La Jumbo-Visma quest’anno ha apportato diverse novità nel suo allestimento tecnico. Non solo è passata da Shimano a Sram, ma è intervenuta anche sul set pedali e scarpe, ora Nimbl. Questo nuovo mix ha inciso anche sulla posizione in sella degli atleti.
Le scarpe Nimbl hanno una conformazione particolare. Sono full carbon e soprattutto hanno una suola diversa, ben più bassa della media. E questo va a modificare, o quantomeno ad influenzare, le catene cinetiche dell’atleta, la sua messa in sella.
Affini durante le prove per la creazione della sua scarpa full carbonAffini durante le prove per la creazione della sua scarpa full carbon
Spinta più diretta
Edoardo Affini già in tempi non sospetti ci parlò di quanto queste scarpe avrebbero inciso. E le sue parole hanno trovato riscontro nella realtà dopo i primi mesi di utilizzo.
«Alcuni di noi – racconta il mantovano – con la suola e i nuovi pedali si sono abbassati anche di 7 millimetri. Io devo ancora provare la soluzione definitiva delle scarpe, vale a dire quella senza adattatore. Quelle con l’alloggio specifico per l’attacco del pedale Wahoo (sviluppato sulla piattaforma SpeedPlay). Con questa soluzione infatti, in pratica sarà il pedale ad “entrare” nella scarpa.
«La sensazione in sella è effettivamente differente, ma anche molto soggettiva. In generale tutti ci troviamo bene e Nimbl lavora molto sul piano della personalizzazione. Sono sempre aperti e disponibili per le modifiche. Poi è chiaro che alcune problematiche potrebbero emergere con il passare del tempo. Penso per esempio a quando farà più caldo e si alzeranno le temperature nella scarpa, ma appunto ci servirà del tempo…».
Oggi si parla di ciclismo del millimetro e quando in ballo ce ne sono tanti come quei 7 millimetri di altezza sella, ne risente anche la posizione.
«La sensazione in sella cambia – prosegue Affini – senti una spinta più diretta sul pedale. Hai proprio l’idea che ci sia una minore dispersione di forza. La spinta parte diretta da sotto al piede».
Rispetto allo scorso anno, Affini (qui nel 2022) si è abbassato di 4 millimetri con la sella. Ma gli interventi potrebbero non essere finitiPer ora, rispetto allo scorso anno cui si riferisce la foto, Affini si è abbassato di 4 millimetri con la sella
Giù il baricentro
Ma in una catena cinetica, se si interviene su un punto e si vuol mantenere l’equilibrio, bisogna intervenire anche sugli altri punti, almeno quelli nevralgici.
«Ci siamo abbassati anche con il manubrio – va avanti Affini – ognuno si è abbassato anche in base alla sua flessibilità e questo è un buon guadagno immagino.Non è uno stravolgimento, ma nel ciclismo dei marginal gains, quando metti tutto insieme… conta anche quello.
«Nella maggior parte dei casi si è tolto uno spessore da 5 millimetri, che è un po’ la misura standard. Ma non è così matematico che se abbassi la sella, tu debba abbassare anche il manubrio. Te lo devi anche sentire perché se poi sei troppo chiuso, comprimi troppo gli angoli, magari hai problemi con i glutei, o con la schiena.
«Di certo ne guadagna la guida. In questo modo si abbassa un po’ il baricentro e in discesa soprattutto c’è più maneggevolezza».
I tecnici della Jumbo-Visma stanno lavorando da mesi sul nuovo set scarpe-pedaliI tecnici della Jumbo-Visma stanno lavorando da mesi sul nuovo set scarpe-pedali
Biomeccanica da rivedere
Edoardo Affini ci spiega tutto ciò dalla Spagna, dove è in ritiro con la sua squadra. E lì il “laboratorio è ancora aperto”. Insomma, lavori in corso.
Andando a toccare scarpe, pedali, altezza sella e altezza manubrio… va da sé che si riveda la biomeccanica. E c’è chi stando a cavallo tra due misure potrebbe valutare di cambiare il telaio e passare alla misura inferiore.
«La squadra – dice Affini – ci mette a disposizione un tecnico e a turno, solitamente la sera, andiamo a farci dare un’occhiata. Lo farò anche io. Anche se io vado dal mio biomeccanico di sempre, Alfiero Dalla Piazza (e suo figlio Michele) a Sommacampagna non lontano da casa.
«Per quanto mi riguarda, in attesa come ripeto della scarpa definitiva, io mi sono abbassato di 4 millimetri con la sella e di 5 millimetri con il manubrio. Per ora, al netto di quelle sensazioni di guida differenti in quanto a spinta e maneggevolezza, non ho avuto nessun problema di schiena o altro».
Lo squadrone olandese con le nuove scarpe durante il ritiro spagnolo (foto Instagram)Lo squadrone olandese con le nuove scarpe durante il ritiro spagnolo (foto Instagram)
Feedback positivi
E che i lavori procedano spediti ce lo conferma anche Francesco Sergio,di Nimbl, il quale si trova nel ritiro di Denia per seguire la messa punto delle scarpe ai piedi degli atleti.
«Stiamo ultimando le consegne finali – ha detto Sergio – mancano solo le donne che abbiamo fatto in questi giorni. Quasi tutti hanno provato la scarpa definitiva con gli attacchi per i nuovi pedali Whaoo. I feedback sono tutti positivi. Sul piano della biomeccanica qualche intervento c’è stato».
Sergio non può esporsi troppo, ma lascia intendere che gli angoli di spinta tutto sommato sono rimasti invariati sul piano orizzontale, a parte un atleta che ha spostato un po’ le tacchette in avanti. Mentre sono variati quelli sul piano verticale, appunto le altezze di sella e manubrio.
Dopo lo smacco di Leuven (per il quale ha tenuto un contegno ineccepibile), Marianne Vos è tornata nel cross vincendo in CdM. Per lei la nuova Cervélo R5CX
Jay Vine è il nuovo campione australiano a cronometro (immagine di apertura AusCycling). Non sorprende la sua vittoria, quanto il fatto che abbia dominato su una bicicletta e in una disciplina in cui non si inventa nulla. Ricordando che è passato professionista solo nel 2021, dopo un anno in continental e approdando al massimo livello con la Alpecin-Deceuninck per aver vinto la Zwift Academy.
Da quest’anno l’australiano di Townsville, 27 anni, è nel WorldTour con la UAE Emirates e pedala su una Colnago. Abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti e David Herrero, rispettivamente meccanico e biomeccanico del team, di raccontarci la sua posizione in bicicletta.
Vine con la nuova Colnago V4Rs (foto FIZZA-Team UAE-Emirates)Vine con la nuova Colnago V4Rs (foto FIZZA-Team UAE-Emirates)
Sotto il profilo delle scelte tecniche che tipo di corridore è Jay Vine?
ARCHETTI: «Dal punto di vista tecnico,Jay Vine è un corridore preparato. Sa quello che vuole ed è in grado di percepire le differenze dei materiali. Si fida parecchio di noi meccanici e del biomeccanico, quindi per tutto quello che concerne la preparazione dei mezzi, bici standard e da cronometro e anche in merito alla posizione in sella. Inoltre è un ragazzo estremamente educato e uno votato al lavoro».
HERRERO: «E’ un corridore che ha delle buone conoscenze ed è dedito ad ascoltare mettendo in pratica quello che gli viene detto. Non si discutono le sue potenzialità, ha già dimostrato il suo valore alla Vuelta 2022 e in altre corse di buon livello. Mi piace definirlo un diamante grezzo da affinare e lucidare».
In piedi sui pedali al Giro del Veneto 2022, chiuso in 58ª posizioneIn piedi sui pedali al Giro del Veneto 2022, chiuso in 58ª posizione
Rispetto alla posizione che usava in precedenza avete fatto delle variazioni?
ARCHETTI: «Sono state fatte delle variazioni su entrambe le biciclette, per le quali il corridore ha passato diverse ore con il biomeccanico David Herrero. Sono stati numerosi test e lamaggior parte del tempo è stato investito sulla bicicletta da cronometro».
HERRERO: «Abbiamo cambiato completamente le posizioni che usava in precedenza, ma le differenze maggiori le troviamo sulla bicicletta da crono. In precedenza non c’era stato un approfondimento vero e proprio atto a trovare la combinazione ottimale mezzo meccanico/atleta. Ecco perché durante il primo collegiale con il Team UAE gli abbiamo dedicato un’intera giornata in velodromo e sulla bici da crono. Abbiamo utilizzato la telemetria in tempo reale, con l’obiettivo di conciliare la miglior cadenza e l’espressione di potenza, la frequenza cardiaca e quella respiratoria, considerando anche la velocità. Vine ha vinto il titolo nazionale e questo è per noi un primo grande riscontro».
Vine con la maglia di campione nazionale australiano a cronometro: ha battuto Durbridge e O’BrienVine con la maglia di campione nazionale australiano a cronometro
C’è qualcosa di particolare che contraddistingue la sua bicicletta?
ARCHETTI: «Potremmo dire che è un australiano atipico. Non di rado i corridori che arrivano dall’Oceania, o comunque legati alle terre Commonwealth, chiedono le leve dei freni invertite, rispetto agli europei. Jay Vine invece ha chiesto di usare la configurazione standard, ovvero leva destra per il freno dietro e leva sinistra per quello anteriore».
HERRERO: «Considero una sorta di standard l’insieme delle scelte relative alla bici tradizionale. Invece per quella da crono abbiamo alzato i supporti delle appendici. Lo abbiamo fatto in modo importante, in modo da sfruttare l’allungamento del corridore sull’orizzontale e dare a lui la possibilità di contenere la testa tra le braccia. La sua posizione aerodinamica è molto buona, con un fattore cx non trascurabile e di ottimo livello, considerando che in passato non ha mai fatto dei test specifici».
Giuseppe Archetti, al primo ritiro con Vine si è preso cura della sua bici e delle richieste del corridoreDavid Herrero, ex corridore e ora esperto di biomeccanica ed aerodinamica (foto UAE-Emirates)Giuseppe Archetti, al primo ritiro con Vine si è preso cura della sua bici e delle richieste del corridoreDavid Herrero, ex corridore e ora esperto di biomeccanica ed aerodinamica (foto UAE-Emirates)
Jay Vine ha chiesto delle variazioni dei materiali, oppure ha mantenuto tutto inalterato fin dal primo utilizzo?
ARCHETTI: «Ha chiesto di potere provare ed usare una sella con una larghezza maggiore, rispetto a quella utilizzata nelle battute iniziali».
HERRERO: «Nulla che valga la pena segnalare e che ha obbligato a rivedere la sua biomeccanica».
Pronto per il Tour Down Under, Jay Vine con il DS Marco Marcato (foto Laura Fletcher-Colnago)Pronto per il Tour Down Under, Jay Vine con il DS Marco Marcato (foto Laura Fletcher-Colnago)
Il setting di Vine è di quelli normali, oppure è un po’ estremo?
ARCHETTI: «Assolutamente nella normalità per la bici standard, se contestualizziamo il tutto nei tempi più moderni. Il setting di Vine non ha eccessi, nel senso che eccede nello svettamento tra sella e manubrio, con un’estensione delle gambe adeguata alle sue caratteristiche. La sella è piuttosto avanzata, comunque in linea con le richieste attuali».
HERRERO: «Per quanto riguarda la bicicletta standard, ha dei valori che rientrano nella normalità, invece su quella da crono il setting può considerarsi di quelli impegnativi. Il vantaggio di Jay Vine è un corpo molto elastico e flessibile, un vantaggio non da poco. Questa elasticità gli permette di adattarsi senza criticità ed ecco che il biomeccanico può osare andando a sfruttare l’aerodinamica, senza dispersioni e perdite di potenza, restando in un range temporale di performance inferiore all’ora».
Al primo training camp in Spagna con i nuovi compagni (foto FIZZA-Team UAE-Emirates)Al primo training camp in Spagna con i nuovi compagni (foto FIZZA-Team UAE-Emirates)
Focalizzandoci sui materiali a disposizione di Jay Vine, che dotazione ha il corridore?
ARCHETTI: «A Vine è stato fornito l’ultimo modello della Colnago, ovvero quella che ha debuttato al Tour de France, la V4Rs. Una taglia 51 e con il manubrio Colnago in carbonio. Invece per le crono la TT1. Da quest’anno le biciclette hanno la trasmissione Shimano Dura Ace, le ruote Enve in tre versioni, 2.3, 4.5 e 6.7, tutte con cerchi hookless della serie SES e canale interno 23 millimetri. Come team avremo in dotazione solo gli pneumatici tubeless e anche in questo caso c’è stato un cambio rispetto al passato. Abbiamo Continental, consezioni comprese tra i 28 e 30 millimetri».
HERRERO: «Vine usa una taglia 51 e lui è alto 184 centimetri. Se prendiamo in esame solo i numeri potremmo dire che la bicicletta è troppo piccola, invece non è così. L’atleta ha un busto lungo ed è il classico caso dove è meglio usare un telaio più piccolo, soluzione che paradossalmente permette di trovare facilmente il giusto equilibrio, senza perdere di potenza, avendo il giusto comfort e anche un feeling costante nella guida del mezzo meccanico».
Pochi secondi che valgono il titolo e l’abbraccio con la moglie (ZW Photography/Zac Williams/AusCycling)Pochi secondi che valgono il titolo e l’abbraccio con la moglie (ZW Photography/Zac Williams/AusCycling)
Gomme sempre più grandi, esiste il rischio di abbassare la performance?
ARCHETTI: «Non è solo una questione di pneumatici, la bicicletta di oggi è un sistema complesso dove ci sono molte variabili in gioco. Bisogna partire dal presupposto che si utilizzano sempre più le ruote ad alto profilo anche in salita, con sezioni spanciate e con i canali interni maggiorati. Lo pneumatico si deve accoppiare in modo perfetto con il cerchio, quindi l’allargamento delle sezioni delle gomme è una conseguenza. Poi in termini di numeri, test e medie orarie delle corse, i risultati dicono il contrario, ovvero che con i nuovi materiali si va più forte».
HERRERO: «I risultati in laboratorio e su strada dimostrano il contrario, anche se è necessario trovare il giusto equilibrio tra i diversi componenti in gioco. Qui bisogna considerare anche l’impatto frontale. E’ un discorso molto ampio, che tocca diverse variabili e componenti della bicicletta, oltre alla posizione del corridore. Il ciclismo moderno è fatto di ricerca, tecnologia e numeri, dettagli e conta anche il più piccolo».
Quando si mette in sella un corridore non ci sono solo numeri da rispettare, ma una vera e propria filosofia. Come quella di Niklas Quetri, il biomeccanico che segue molti campioni, tra cui Marta Cavalli. E’ stata lei ad indirizzarci sul tecnico di Rosà, nel vicentino.
Quetri ha un centro, il Niklas Bike Fitting, appunto a Rosà, il cui concetto di bike fitting nasce dalla sua formazione. Niklas è laureato in Scienze Motorie. Sono 13 anni che svolge questo mestiere: numeri, esperienza e ricerca (come vedremo) s’intrecciano sempre di più. L’esperienza conta: «Ma il bike fitting – dice – deve fondarsi su basi scientifiche».
La Cavalli con i sensori Retul per individuare gli angoli. Mentre quelli esterni (Leomo) misurano la stabilità e la sostenibilità della posizioneLa Cavalli con i sensori Retul per individuare gli angoli. Quelli esterni (Leomo) misurano la stabilità e la sostenibilità della posizione
Niklas, di biomeccanici ce ne sono molti. C’è chi si affida solo agli strumenti, chi all’esperienza: quale è la tua filosofia e di conseguenza il tuo metodo?
Avere una certa formazione ritengo sia fondamentale. Aver studiato Scienze Motorie mi ha permesso di conoscere l’importanza dell’anatomia, della fisiologia, della biomeccanica… e di conseguenza a imparare ad utilizzare in modo corretto gli strumenti del bike fitting che sono tantissimi.
Da dove parti per mettere in sella un ragazzo o una ragazza?
Faccio una valutazione della persona, che sia l’ultimo degli amatori o il primo dei professionisti. E’ il punto da cui partire: serve a me per capire le sue esigenze. Poi sostanzialmente utilizzo un sistema di analisi cinematica in tre dimensioni. Questa mi consente di valutare l’allineamento, anche in tempo reale, a diverse intensità di sforzo.
Perché la posizione cambia a seconda della fatica…
Esatto. Con Marta (Cavalli, ndr) per esempio, ho utilizzato un sistema che mi permette di valutare la sua posizione su strada e registra fino a cinque ore di attività. Cinque ore nelle quali posso vedere come cambia la posizione all’aumentare della fatica, in base ai cambi di intensità, di pendenza… In questo modo ho una sua posizione “solida”, concreta. Questo metodo si utilizza anche in pista se per esempio si fanno dei test per dei caschi. Tu provi cinque modelli differenti e il cx (coefficiente di penetrazione dell’aria) cambia, ma magari ti sei spostato anche tu con il busto. Metti un sensore sul casco e uno sul busto, così capisci se il cx è cambiato per via del casco o perché ti sei spostato.
Niklas segue anche gli azzurri della pista. Eccolo con Liam BertazzoMassima cura anche per la crono. Qui Brambilla, professionista esemplareGrande importanza a soprassella e piedi: i punti su cui si fa pressioneNiklas segue anche gli azzurri della pista. Eccolo con Liam BertazzoMassima cura anche per la crono. Qui Brambilla, professionista esemplareGrande importanza a soprassella e piedi: i punti su cui si fa pressione
Interessante…
Con Vittoria Bussi, con la quale stiamo lavorando per il record dell’Ora, abbiamo fatto dei test in pista e abbiamo notato che dopo 30′ di sforzo cambiava la sua posizione in bici. In questo modo hai dei feedback diretti.
Come funziona tecnicamente questo metodo? Come sono fatti questi sensori?
Si tratta di accelerometri che si collegano a delle unità tipo i Garmin e grazie ai quali si possono visualizzare in tempo reale o scaricando poi il file tutti i movimenti dell’atleta. Solitamente se ne applicano cinque: due sui piedi, uno sulla coscia, uno sul bacino e uno sul busto. Ma volendo si può decidere di posizionarli anche altrove, sul casco per esempio. Per vedere così se e quando si modifica la posizione della testa con il passare delle ore. Una volta per fare un test sull’idratazione e vedere veramente quanto quell’atleta bevesse in allenamento, ho messo un accelerometro su una borraccia.
Andiamo avanti.
C’è poi un altro strumento basilare per quel che riguarda il mio bike fitting che misura la pressione che si fa sulla sella. Uno strumento che tra l’altro sto sviluppando con un’azienda tedesca e che evidenzia la pressione sui punti critici. Perché una sella sul momento, quando si è freschi, magari va bene, ma con il passare delle ore cambiando la posizione cambia anche il punto di appoggio e quindi di pressione. Una volta si badava solo alle ossa ischiatiche e alla loro larghezza. Adesso non è più così. Adesso si sta uscendo da quei luoghi comuni che un pro’ dovesse usare per forza una sella piatta e messa in bolla.Poi ci sono altri test, ma sono davvero più di nicchia. Di base si parte appunto da un’analisi del soggetto, dal test degli accelerometri e dallo studio delle pressioni nei punti critici.
Bartoli era un modello con la sua posizione allungata. Steinhauser al suo fianco, conferma quelle tendenzeOggi invece gli atleti sono molto più raccolti. Ecco Kwiatkowski. Sono anche più avanzati e sempre meno bassi all’anteriore Bartoli era un modello con la sua posizione allungata. Steinhauser al suo fianco, conferma quelle tendenzeOggi invece gli atleti sono più raccolti, più avanzati e sempre meno bassi all’anteriore. Ecco Kwiatkowski
Un metodo davvero innovativo e dinamico, Niklas…
Il tema dell’analisi attiva e dinamica è sempre più diffuso. Una volta si faceva tutto in laboratorio con conseguenti grandi errori. Molti ciclisti, anche pro’, vengono da me per correggere errori divenuti molto importanti con il tempo (persino patologie, ndr). E con il diffondersi del ciclismo c’è più volume di questi servizi, ma anche una minor qualità generale. La cosa però che mi piace di questa evoluzione generale è che stanno saltando tanti falsi miti.
Tipo?
Come abbiamo detto prima per esempio la sella in bolla. O il ginocchio più avanti dell’asse del pedale. L’idea che per essere aerodinamici bisogna per forza essere schiacciati… E questo è merito delle nuove generazioni che accettano i cambiamenti. Anche alcuni pro’ di lungo corso se ne accorgono, ma cambiare non è facile. Per cambiare la posizione di un pro’ ci vogliono anni.
Perché?
Un professionista pedala minimo da 10 anni. Prendiamo un Nibali, per esempio. Sono almeno 20 anni che percorre 30.000 chilometri all’anno. Non puoi cambiargli la posizione adesso. Vincenzo stesso è consapevole che la sua posizione è sempre quella, ma cambiarla a 37 anni all’improvviso sarebbe un errore. E ha ragione. Se si vogliono ottenere risultati (salute e/o prestazione) a medio e lungo termine bisogna aggiornare il fitting regolarmente e non tenere le stesse misure per anni.
Marta Cavalli durante i test della sella prototipo di Prologo, messa a punto anche con Niklas Quetri (foto Facebook)Marta Cavalli durante i test della sella prototipo di Prologo, messa a punto anche con Niklas Quetri (foto Facebook)
E’ un’evoluzione lunga. Uno scoglio psicologico e culturale se vogliamo?
Esatto. Ci sono tre fasi: la ricerca scientifica, l’applicazione e l’accettazione da parte degli utenti finali. Altro esempio: le pedivelle corte. Il primo studio sull’efficacia di queste pedivelle risale al 2001, ma solo adesso inizia ad essere accettato. Quando lo proponevo mi prendevano per matto. Idem l’arretramento delle tacchette. Anche i produttori di scarpe, chiaramente entro certi limiti, iniziano a posizionare gli attacchi un po’ più dietro. Ma anche in questo caso gli studi risalgono a 15 anni fa.
Cosa chiedono i corridori quando vengono da te?
La prima cosa è: «Fammi stare comodo». Questo è fondamentale per loro. Stare comodi vuol dire rispettare anatomia del corpo. E se conosci l’anatomia, riesci a collegare i numeri degli strumenti ai componenti e ad individuare la posizione migliore e performante. Per questo è fondamentale conoscere l’anatomia del corpo umano, i componenti presenti sul mercato, la fisiologia.
Per loro comodità significa anche prestazione…
Chiaro che per loro la comodità è funzionale alla prestazione. Poi ci sono aspetti minori e individuali come gli accorgimenti per lo scalatore, per il velocista. Per esempio lo scalatore sacrificherà qualcosina per rendere in pianura per essere più performante in salita. E il velocista per essere al top nei 200 metri finali. Ma per questo si lavora sui dettagli.
Ricordate l'articolo sui rapporti utilizzati negli sprint fatto a San Juan. C'era una grande differenza di denti e di cadenze. Ci torniamo con Martinello
Scialpinista e skyrunner di riferimento mondiale, Palzer è passato al ciclismo. Ha zittito gli scettici tanto da finire la Vuelta. Ma come è cambiato il suo fisico?
Prologo MyOwn Pressure Map è un ulteriore passo in avanti a favore della biomeccanica e per la scelta ottimale della sella. MyOwn Pressure Map completa il percorso iniziato grazie al protocollo MyOwn.
Il nuovo strumento di Prologo si basa sulla mappaturadelle pressioni che si generano sulla sella, grazie ad un software sviluppato in collaborazione con l’Università di Pisa.
I due MyOwn Prologo a confrontoI due MyOwn Prologo a confronto
MyOwn Pressure Map è per tutti
Pressure Map di Prologo è il nuovo sistema di mappatura delle pressioni che il ciclista genera quando è in sella. Collima e “completa” il protocollo MyOwn, tanto semplice, quanto utile per trovare la sella ideale. Se il primo è uno strumento che lascia spazio ai feedback diretti dell’atleta e all’esperienza del biomeccanico, il secondo è molto più scientifico, ma il secondo non annulla il primo, anzi lo completa.
Prologo MyOwn Pressure Map è ovviamente sviluppato sulle caratteristiche delle selle del marchio lombardo, ma si adatta anche ai prodotti dei brand concorrenti, grazie ad una serie di feedback standard.
La copertura Map da posizionare sulla sellaLa copertura Map da posizionare sulla sella
Come funziona
Il cappello del sistema Prologo è la cover da posizionare sulla sella, dotata di 50 sensori e di una centralina che comunica con il sistema di immagazzinamento e valutazione dati.
In base alle pressioni che si generano in fase di pedalata, il software legge e analizza i dati. Prologo MyOwn Pressure Map non è da considerare uno strumento statico di valutazione, perché analizza anche gli spostamenti e le pressioni che si creano di conseguenza; ovvero quello che avviene quando si pedala sulla bicicletta in condizioni normali.
Il test Pressure può essere combinato con il protocollo MyOwn tradizionale ed è rivolto agli operatori del settore bici.
Un software di analisi facile da usare e interpretare
Una delle schermate disponibili in fase di rilevazione
Un software di analisi facile da usare e interpretare
Una delle schermate disponibili in fase di rilevazione
I vantaggi
Il test è eseguito indoor. Nonostante questo e grazie alla mappatura delle pressioni, permette di avere un’idea estremamente precisa di come si comporta il ciclista nelle varie fasi di pedalata. Come si comporta quando spinge in posizione aerodinamica, oppure simulando una salita, quando ritorna sulla sella dopo un rilancio in piedi sui pedali e molto altro.
Ci sono degli enormi vantaggi che vengono tradotti anche sulle diverse biciclette, in fatto di biomeccanica e con un riferimento diretto alla tipologia di sella da usare.
Ergo Shape Design, un concetto sviluppato da Repente con la collaborazione di Alessandro Mottola, biomeccanico di fama internazionale. L'obiettivo è lasciare la massima libertà al movimento dei muscoli
Continua il nostro percorso che mette insieme i diversi dettagli tecnici della bicicletta. Dall’aerodinamica alle geometrie, dalla biomeccanica agli pneumatici, dal manubrio alla sella, una via infinita che è in costante evoluzione, proprio come la bicicletta.
Abbiamo chiesto all’ufficio tecnico di FSA e Vision, quanto conta il manubrio nei termini di efficienza e se possiamo fare degli accostamenti tra le biciclette “normali” e quelle da crono. Ci rispondono a quattro mani Matteo Palazzo e l’ingegnere Francesco Ragazzini.
I corridori e i partener Jumbo-Visma utilizzano la galleria del vento di Eindhoven (foto FSA-Vision)I corridori e i partener Jumbo-Visma utilizzano la galleria del vento di Eindhoven (foto FSA-Vision)
Quanto conta un manubrio da crono in termini di efficienza aerodinamica del sistema mezzo meccanico/corridore?
Chiaramente nelle prove a cronometro ci sono una miriade di aspetti da tenere in considerazione, ma possiamo affermare che l’aerodinamicità gioca un ruolo predominante, anche rispetto alla potenza. Sicuramente il cockpit da cronometro, che sviluppiamo e personalizziamo per ogni atleta dei team con cui lavoriamo è uno degli aspetti principali.
Perché?
L’accoppiata manubrio/estensioni può portare ad un guadagno fino al 10%, ovvero 374 watt su uno sviluppo medio di 350. Questo significa che il corridore può essere più veloce di circa 7 secondi su 40 km di gara, e sappiamo bene che ormai le cronometro vedono i primi 5 atleti anche in meno di un secondo di distacco (il ricordo della crono di apertura del Tour de France è ancora fresco, ndr).
I test sulle protesi Vision (foto FSA-Vision)I test sulle protesi Vision (foto FSA-Vision)
Si può fare un parallelo con i manubri delle bici tradizionali, oppure le bici da crono sono un mondo a se?
Negli anni, soprattutto grazie alle possibilità che il carbonio offre in fatto di lavorazioni, non si è più legati alle sezioni tonde o ovali dei tubi. Quindi possiamo tranquillamente affermare che le biciclette sono totalmente diverse, soprattutto come geometrie. Questo porta ovviamente anche a differenze nette tra i manubri crono e road.
Di che tipo?
Nei primi ovviamente la base di studio è quella delle più elementari leggi sull’aerodinamica. Infatti non hanno solo funzione aerodinamica ma sono pensati anche per generare un certo carico aerodinamico sulla ruota anteriore per garantire anche la stabilità massima.
Damiano Caruso con le appendici personalizzateDamiano Caruso con le appendici personalizzate
Quali sono i punti chiave nello sviluppo di un manubrio da crono? E per uno tradizionale?
I punti fondamentali sono sempre il comfort, inteso come corretta posizione dell’atleta, i flussi d’aria e la generazione delle turbolenze. Un manubrio tradizionale ha misure relativamente standard, le variazioni tendenzialmente sono sulla lunghezza dell’attacco e la larghezza del manubrio. Mentre in quelli da cronometro, il cockpit è composto da due parti, ovvero il base-bar o aerobar, che è pressoché standard se non nelle misure e dalle estensioni superiori. Queste ultime sono sviluppate in modo specifico per ogni atleta, attraverso studi 3D, la galleria del vento e test su strada.
Cos’altro?
A quanto sopra citato si aggiunge l’altra costante fondamentale, ovvero la rigidità. Infatti i manubri in carbonio hanno il grande vantaggio di poter essere costruiti anche pensando a quanto devono essere flessibili per smorzare le vibrazioni del terreno, un fattore che è parte dello studio e sviluppo che c’è dietro ogni modello.
Rispetto al passato notiamo le appendici sempre più alte e sagomate con una sorta di allineamento degli appoggi alla sella? Cosa è cambiato e perché?
In passato si tendeva a tenere la posizione delle braccia molto bassa a favore dell’aerodinamica. Studi successivi più moderni, hanno portato a considerare in maniera significativa il gesto della respirazione. Quest’ultimo è uno dei motivi principali che hanno portato ad alzare la posizione nella parte frontale.
L’aerodinamica, fondamentale anche per i manubri delle bici standard (foto EF-Easypost/Gruber)L’aerodinamica, fondamentale anche per i manubri delle bici standard (foto EF-Easypost/Gruber)
Perché molti corridori utilizzano ancora oggi una importante differenza tra sella e manubrio sulla bici tradizionale? Sarebbe più conveniente limitare lo svettamento?
Con le tecnologie attuali si può studiare il corpo umano in maniera più approfondita, soprattutto il movimento del muscoli. I posizionamenti in sella sono frutto di questi studi e anche di quelli aerodinamici. Una posizione particolarmente svettante della sella, porta ad una migliore distribuzione dei pesi. In questo passaggio, dobbiamo considerare che a differenza delle crono, sulle biciclette standard mancano le estensioni atte ad allungare il corpo.
Quindi?
Quindi nel caso delle bici tradizionali si tende sempre a cercare una maggiore chiusura del corpo, alzando il più possibile la zona posteriore. Questo porta a una forma più aerodinamica e offre più controllo sul manubrio e sulla bici.
Vi ricordate, eravamo partiti da Thibaut Pinote quanto pedalasse basso. Il francese aveva catturato la nostra attenzione al Tour of the Alps. In quei giorni lo avevamo visto dal vivo, sia nelle fasi di corsa che in quelle di contorno, come andare e tornare al foglio firma. E in effetti ci sembrava davvero basso di sella. Teoria rincarata da Adriano Malori.
Per non parlare poi di quella sua posizione tanto raccolta anche in termini di lunghezza.
Qualcosa però che a ben analizzare non riguarda solo il corridore della Groupama-Fdj. In tanti pedalano qualche millimetro al di sotto dei canoni biomeccanici. Ma a questo punto ci siamo domandati se questi canoni siano ancora esatti. Ancora attuali.
Posizione iper raccolta e bassa per Pinot, ma va detto che il francese da anni combatte col mal di schienaPosizione iper raccolta e bassa per Pinot, ma va detto che il francese da anni combatte col mal di schiena
Parola a Mariano
Alessandro Mariano è uno degli esperti in materia. Con lui già avevamo parlato qualche mese di argomenti simili, come per esempio la sella in avanti. E adesso torniamo a battere il chiodo sul discorso dell’altezza.
«La vostra sensazione – spiega Mariano – è corretta. Avevamo già parlato più o meno di questo discorso, che infatti è strettamente legato all’avanzamento della sella stessa.
«C’è questa tendenza di abbassare la sella perché sono cambiate le strategie di allenamento. Poi Pinot lo fa in modo esagerato, ma anche altri l’hanno abbassata. Mediamente, almeno guardando i mei corridori si è scesi di 3-5 millimetri, ma c’è anche chi è arrivato ad 8».
«Portare la sella in avanti o abbassarla implica un maggior lavoro del quadricipite. Oggi sono molto sviluppati. Questo perché? Perché si va a prendere la forza dove c’è… Di riflesso è qualcosa che vogliono anche gli amatori, ma gli si fa del male. Perché questa posizione va a sovraccaricare ginocchia e tendine rotuleo. Il che, in teoria, non va bene neanche per un pro’. A loro però una vittoria cambia la vita, la ricerca della prestazione è centrale. E poi non lo devono fare per tutta la vita».
Senza contare, aggiungiamo, che sono seguiti da staff medici.
Anche VdP pedala piuttosto basso di sella. La ricerca della forza vale anche per luiAnche VdP pedala piuttosto basso di sella. La ricerca della forza vale anche per lui
Parola a Toni
Mariano tira in ballo la preparazione e allora abbiamo ascoltato anche un preparatore. E uno dei più attenti al discorso legato alla biomeccanica è Pino Toni.
La cosa bella è che i due tecnici, seppur di settori differenti, parlano esattamente la stessa lingua. Toni conferma quel che sostiene Mariano.
«Personalmente – spiega Toni – non ho mai consigliato di abbassare la sella, ma c’è chi lo ha fatto. Per quel che mi riguarda accade maggiormente nei biker. Io seguo anche Josè Dias, un biker potente. Lui ha abbassato la sella e ha anche cambiato preparazione e qualche crampo lo ha avvertito. Questo perché quando i muscoli sono fortemente sollecitati, si accorciano. Pertanto ci sta che abbassino la sella per ridurre queste estensioni».
Ma in cosa è cambiata la preparazione? Si è detto che oggi i corridori vanno più agili: è in questa direzione che è cambiata? E sempre per questa motivazione si è ridotta l’altezza della sella? Anche in questo caso Toni fa chiarezza: la questione dell’agilità è marginale.
«Oggi – spiega il tecnico toscano – serve più potenza, più energia. Per fare un esempio, oggi un corridore di 65 chili che fa 400 watt alla soglia non dico che non va da nessuna parte, ma è uno dei tanti. Sono i numeri che lo dicono. Per forza di cose, andando a cercare la forza là dove ce n’è di più (sul quadricipite, ndr) mi devo abbassare, devo creare più energia, più efficienza muscolare».
«Poi il discorso dell’agilità a me in quanto preparatore paradossalmente riguarda fino ad un certo punto (nell’ambito di questo discorso, ndr). Non si tratta di andare agili o duri, si tratta di fare forza, di sviluppare energia. Se poi lo si fa con l’alta o bassa cadenza non cambia».
Esercizi come i balzi contribuiscono alla forza esplosiva, quella di cui c’è più bisogno e che più accorcia la muscolaturaEsercizi come i balzi contribuiscono alla forza esplosiva, quella di cui c’è più bisogno e che più accorcia la muscolatura
Comanda la forza
Sia Toni sia Mariano pertanto dicono che alla base c’è la ricerca della forza. Non si abbassa quindi la sella perché si va più agili, ma perché si deve sviluppare più forza. E i muscoli che si sviluppano di più sono i quadricipiti.
Anche per questo motivo Mariano aggiunge una nota molto interessante. «L’abbassamento della sella riguarda soprattutto i corridori potenti, i passisti veloci, quelli da classiche. Sono loro che spingono di più, che sviluppano più forza e chiamano in causa i quadricipiti. Ma si vede ad occhio nudo. La muscolatura dello scalatore è più allungata, lavora di più col bicipite femorale e anche col polpaccio».
«Già 25 anni fa in Telekom – conclude Toni – dicevano, quando si parlava di biomeccanica, che non si trattava solo di misure degli arti, ma anche d’intersezione dei tendini (altro cavallo di battaglia anche di Mariano, ndr). Una biomeccanica fisiologica dell’atleta, se così possiamo dire. Non è detto infatti che due corridori che hanno la stessa lunghezza di femore abbiano gli stessi attacchi tendinei.
«Questo per dire che alcune caratteristiche poi non possono essere cambiate: chi va duro, va duro. E chi va agile, va agile. Sì, ci si può lavorare, ma non si può stravolgere».
Il tema della biomeccanica, associato al benessere in bici e quando si pedala è sempre attuale. Ma oggi la seduta in sella non è più “solo” una questione di salute, perché è sempre più una sorta di nuovo confine che permette di pedalare più forte e più a lungo. La nostra posizione in bici e come ci sediamo sulla sella influiscono in maniera esponenziale sull’equilibrio di tutto il nostro corpo, dal basso verso l’alto e viceversa. Abbiamo scambiato due chiacchiere con Alessandro Mottola, biomeccanico di fama internazionale, che ha contribuito nello sviluppo del concetto Ergo Shape di Repente.
Il contributo degli atleti pro’ è sempre fondamentale per lo sviluppo dei prodotti (foto Team Efapel)Il contributo degli atleti pro’ è sempre fondamentale per lo sviluppo dei prodotti (foto Team Efapel)
Il marchio Repente in Italia è distribuito da Beltrami-TSA e fornisce le selle anche l’omonimo team, oltre a supportare tecnicamente la Bingoal, la polacca Mazowsze, il Team Efapel in Portogallo e la BePink nel femminile. A questi si aggiunge il Team Ktm Protek mtb.
Che cos’é Ergo Shape di Repente?
E’ un concetto molto semplice. Si basa su alcuni fattori che il mondo del ciclismo e della biomeccanica hanno trascurato, o hanno valutato come secondari. Ergo Shape di Repente ha l’obiettivo di lasciare una maggiore libertà ai muscoli del bicipite femorale e gli ischio-crurali. Sono quei comparti muscolari dell’interno della coscia, che spesso non hanno lo spazio necessario per muoversi in modo naturale. Il blocco, oppure lo schiacciamento anomalo e prolungato di questi distretti muscolari, può portare a perdite di forza e tensioni a livello del ginocchio. Oltre al comfort ed al piacere di stare in bici, l’obiettivo è quello di lasciare liberi questi muscoli, protagonisti nel gesto della pedalata.
Il design Ergo Shape di RepenteIl design Ergo Shape di Repente
Come nasce il concetto Ergo Shape di Repente?
Il protocollo nasce da un’idea e dalla collaborazione con l’azienda Repente, il risultato di uno studio che combina le caratteristiche del corpo umano e di come interagisce con il prodotto sella. Inoltre Ergo Shape vuole dare una maggiore considerazione ai punti di appoggio soggettivi del ciclista, andando oltre gli standard attuali. Noi biomeccanici, ma anche l’utente finale, che sia un atleta di primissimo livello, oppure un praticante saltuario, dobbiamo sfruttare una tecnologia semplice e di facile applicazione. Ergo Shape è un strumento comprensibile, una soluzione per la forma della sella, che nasce senza troppe complicazioni e con risultati che diventano tangibili nell’immediato.
Repente Artax Ergo Shape
Il modello Repente Spyd che adotta il design Ergo Shape. Qui si nota anche il sistema CloseFit
Repente Artax Ergo Shape
Il modello Repente Spyd che adotta il design Ergo Shape. Qui si nota anche il sistema CloseFit
Dal lato pratico, cosa significa?
Davanti agli ischi c’è una serie di muscoli e di terminazioni nervose, fondamentali per un gesto ottimale. Pochi biomeccanici e produttori di selle, ad oggi, hanno considerato e valutato quanto può incidere il blocco di questi muscoli, per via degli ingombri non corretti delle selle. Grazie allo sviluppo di Ergo Shape, con Repente sono state disegnate delle selle che lasciano un’ampia libertà di movimento nella sezione interna e frontale della coscia, per una pedalata fluida e priva di sovraccarichi. Tutto questo a prescindere della larghezza della sella, anche se proprio la larghezza è un dato da tenere sempre in considerazione. Posso anche dire che proprio le forme delle selle Ergo Shape abbracciano l’80% e oltre dei ciclisti, ma il protocollo è ancora in evoluzione.
Il Team Mazowsze è 1^ Continental nel ranking mondiale UCI, supportato da Repente (foto Team Mazowsze)Il Team Mazowsze è 1^ Continental nel ranking mondiale UCI, supportato da Repente (foto Team Mazowsze)
Libertà della pedalata, sovraccarichi e larghezza: è tutto connesso?
Sono tutti fattori connessi tra loro.Una sella troppo larga e che blocca la gamba, porta a scompensi nel corso della pedalata, sovraccarichi muscolari, articolari e perdita di performance. Determinare la giusta larghezza degli ischi di un atleta è fondamentale. Giocano un ruolo primario anche il peso del ciclista e la sua flessibilità. Ad esempio, più un ciclista è flessibile maggiormente sarà la sua capacità di sfruttare una sella piatta, ma dobbiamo dare modo alla sua gamba di girare libera. Se facciamo pedalare un atleta su una sella che è ingombrante e si scontra con il suo modo di appoggiare il corpo, lo obblighiamo ad andare contro la sua natura. Il ciclista si sposterà in avanti in maniera anomala, abbassandosi in un modo non corretto. Così si chiuderanno gli angoli del ginocchio e della caviglia, creando delle pressioni prima di tutto sul ginocchio. Il primo riscontro negativo è la perdita di efficienza, prima quando si pedala in pianura. Ma gli effetti negativi si riflettono anche sulle braccia e sul busto, nella zona lombare, schiena e sul muscolo del trapezio. Inoltre il corridore diventa meno efficace in fatto di aerodinamica.
Quali sono i criteri per scegliere la sella giusta? Una doppia voce, quella di Matteo Trentin e di Hermann Pernsteiner. Due corridori molti differenti per struttura fisica e capaci di fornire delle indicazioni utili a tutti
Leve lunghe. Corridori altissimi e magrissimi. Il caso del norvegese Jacob Hindsgaul visto al Tour of Antalya è stato emblematico. E’ sembrato di tornare ai tempi di Andy Schleck, il quale era solo un centimetro più basso ma aveva lo stesso peso.
Il corridore della Uno-X è alto 187 centimetri per 67 chili. Il rapporto potenza/peso incide ancora molto? E quanto conta avere delle leve lunghe? Argomento che abbiamo portato all’attenzione di Alessandro Mariano, biomeccanico di lungo corso e tra più esperti in assoluto.
Jacob Hindsgaul (a destra) è alto 187 centimetri per 67 chili. A colpire è stato il suo femore molto lungoJacob Hindsgaul (a destra) è alto 187 centimetri per 67 chili. A colpire è stato il suo femore molto lungo
Alessandro, siamo in un’era in cui il discorso del peso, e di conseguenza del rapporto potenza/peso, sembra incidere un po’ meno rispetto a qualche anno fa. E’ così? Si presta più attenzione ad altri aspetti come alimentazione, materiali, vestiario…
Eh – il suo tono la dice lunga – il rapporto potenza/peso incide ancora molto, moltissimo. I corridori sono magrissimi. Più leggero sei, più sali forte. Vi racconto questa e lo premetto: non è una barzelletta. Un corridore poco mentalizzato a perdere peso non mangiava come doveva. Abitava in cima ad uno strappo molto impegnativo. Un giorno poco prima che rientrasse, la moglie lo chiamò e gli disse di prendere alcune cose, tra cui se ben ricordo c’era un chilo di mele. Lui si fermò e fece la salita con questo peso in più. Si accorse, “dati alla mano”, della fatica in più che fece. Fu una scossa…
Okay, si dice il peccato e non il peccatore, ma…
Non lo svelo, ma posso dire che è un corridore ancora in gruppo.
Dal punto di vista biomeccanico, le leve lunghe quanto incidono anche in relazione al peso? Sono un vantaggio per chi non è propriamente uno scalatore?
Come avete detto voi parliamo di leve. E più sono lunghe e meglio è, si spinge di più. A prescindere da quanto pesa l’atleta. Nel caso di un ciclista però è ancora più importante il frazionamento di queste leve, vale a dire quanta differenza c’è tra femore e tibia.
Spiegaci meglio…
Dico dei numeri a caso: se ho 100 centimetri di gamba è meglio che siano ripartiti 70 sul femore e 30 sulla tibia, che non 60-40.
C’era un corridore che non essendo scalatore è riuscito a difendersi bene in salita anche grazie soprattutto alle leve lunghe?
Beh, mi viene in mente Indurain! Lui è l’esempio perfetto. E infatti vinceva anche a cronometro.
Con l’aumentare delle cadenze le pedivelle si sono “accorciate” e le 170 millimetri sono tornate molto di “moda”Con l’aumentare delle cadenze le pedivelle si sono “accorciate” e le 170 millimetri sono tornate molto di “moda”
La leva lunga dello scalatore è diversa da quella del passista o del velocista?
Premesso che non è una regola, hanno un’attaccatura muscolare diversa. Quella dello scalatore avrà quasi sicuramente un’inserzione più bassa, e quindi più allungata, rispetto a quella del velocista, che invece avrà una muscolatura più compatta.
E una volta messi in sella che differenze noteremmo?
Se fosse solo per le misure, tra un “lungagnone” velocista e un “lungagnone” scalatore, non ci sarebbero differenze da un punto di vista biomeccanico, ma quasi certamente, in virtù del discorso della muscolatura più corta il velocista avrà la sella più avanzata, a parità di misura della bici. E’ il discorso che facemmo la volta scorsa con Abdujaparov e Gotti.
Oggi vediamo delle posizioni sempre più raccolte, con selle molto avanzate (come Froome in apertura). Perché si cerca questa spinta molto in avanti? Una volta c’era la regola del menisco in linea verticale con l’asse del pedale quando questo era davanti parallelo al terreno…
Il fatto che negli anni siano cambiate le preparazioni, l’alimentazione, la palestra… si sono avute delle ripercussioni anche sulla muscolatura e si cerca una spinta più avanzata e più “potente”, tuttavia non c’è un test scientifico che ne accerti i vantaggi muscolari. Non ci si rende conto di quanto influisca l’aspetto psicologico su certe scelte. Mentre non si dà la giusta importanza al piede.
Il piede?
Certo, se ci si pensa fa parte degli angoli della spinta e possono cambiare molto in base alla sua conformazione. Tutto dipende da dove si ha il malleolo, il punto di spinta, il punto di forza del piede. Per esempio, Joaquim Rodriguez aveva un piede anomalo. Aveva il malleolo molto indietro, tanto che Sidi doveva fargli una doppia foratura per posizionargli le tacchette in modo ottimale. Aveva dei fori che erano 3-4 millimetri più indietro rispetto alla norma. E’ moltissimo.
Spesso i corridori sono restii a cambiare scarpa. Per Mariano la tacchetta è importantissima per il discorso di angoli e leveSpesso i corridori sono restii a cambiare scarpa. Per Mariano la tacchetta è importantissima per il discorso di angoli e leve
E invece la lunghezza degli arti incide sulle pedivelle?
Certamente, va ad influenzare la loro lunghezza. Però dipende molto dal soggetto e dalla sua capacità di pedalare con una certa cadenza. E infatti Purito, continuo a citare lui in quanto è stato uno dei campioni recenti che ho seguito più da vicino, era una particolarità. Lui pur essendo basso, utilizzava pedivelle da 172,5 millimetri. Dipende dalla cadenza ottimale. Più le rpm sono alte e più si tende ad utilizzare una pedivella più corta. Più sono basse e più si tende ad utilizzare una pedivella lunga. E questo incide sulla scelta a parità di misure degli arti inferiori.
Hai parlato di cadenza ottimale…
Sì, e si può determinare. Si chiama test di coppia, esattamente come in un motore di una vettura s’individua la coppia massima dell’atleta.
E come funziona questo test?
Si fa pedalare il corridore con le stesse frequenze cardiache e man mano si aumenta il numero di pedalate. Si arriverà ad un punto in cui avverrà una perdita di potenza. Quello è il punto di rottura ed individua la cadenza ottimale di quel corridore.
Oggi si tende ad utilizzare pedivelle più corte…
Vero, rispetto a qualche anno fa le rpm si sono alzate e di conseguenza assistiamo a questo “accorciamento” delle pedivelle.
Perché conviene fare il test lattato con la propria bici anziché sul cicloergometro? E' solo una questione di watt o c'è altro? Ne parliamo con il biomeccanico Alessandro Mariano
Quali sono i criteri per scegliere la sella giusta? Una doppia voce, quella di Matteo Trentin e di Hermann Pernsteiner. Due corridori molti differenti per struttura fisica e capaci di fornire delle indicazioni utili a tutti
La “ricetta magica non esiste” e le indicazioni di base, la biomeccanica e i fattori soggettivi devono collimare. Quali sono i criteri da considerare quando si sceglie una sella? Cosa dobbiamo tenere bene a mente quando pedaliamo per evitare problematiche alle zone sensibili del nostro corpo?
Abbiamo domandato a due atleti che si allenano per 30 ore (e oltre) alla settimana e autorevoli anche nelle valutazioni tecniche: Matteo Trentin (UAE Team Emirates) ed Hermann Pernsteiner (Team Bahrain Victorious), molto differenti anche nella struttura fisica. Trentin ha una struttura muscolare importante e potente, il corridore austriaco è il tipico scalatore, più esile e leggero. Entrambi, pur militando in squadre diverse, utilizzano selle Prologo.
Matteo Trentin in azione sul pavé, il corridore trentino è dotato di una struttura muscolare importante
Hermann Pernsteiner, al contrario di Trentin ha un fisico minuto, tipico degli scalatori
Trentin in azione sul pavé, il corridore trentino ha una struttura muscolare importante
Hermann Pernsteiner, al contrario di Trentin ha un fisico minuto, tipico degli scalatori
Può risultare banale, ma consideriamo l’ampia scelta dei prodotti sul mercato. Quali sono i criteri con i quali viene scelta la sella?
TRENTIN: «Senza dubbi, il primo fattore da considerare è la comodità, questa deve essere sopra a tutto. Il mercato attuale offre tante possibilità e molta scelta, anche per le differenti categorie di prodotti, ma il comfort deve essere in cima alle valutazioni. Un altro aspetto è il design del prodotto. Non è corretto scegliere una sella solo perché ci gratifica esteticamente. Non è detto che una sella super performante sia ottimale e adatta alle proprie esigenze».
PERNSTEINER: «Per la scelta della sella adeguata alle mie esigenze, utilizzo dei criteri personali. Non ho una struttura fisica imponente, ho il bacino stretto e appoggi ischiatici ridotti. Diciamo che ho il tipico fisico da scalatore e sono leggero. Preferisco una sella non eccessivamente morbida, anzi piuttosto dura. Associo questo fattore alla stabilità che riesco ad ottenere dalla sella. Inoltre non amo le selle eccessivamente larghe».
Il posizionamento della sella comporta una serie di operazioni, necessarie al benessere e alla ricerca della performance (foto Magneticdays)Il posizionamento della sella comporta una serie di operazioni (foto Magneticdays)
Conta maggiormente una valutazione biomeccanica, oppure la soggettività?
TRENTIN: «Entrambe le cose, ma l’ultima parola e una sorta di verdetto finale deve essere legato alla soggettività. E’ giusto avere dei riferimenti ed è altrettanto importante avere unaposizione in bici corretta, tanto comoda, quanto proficua. Quando si parla di sella, si entra in un argomento molto delicato, dove la soggettività ha un grande peso e valore nelle scelte finali».
PERNSTEINER: «La mia esperienza mi ha insegnato che la soggettività ricopre un ruolo fondamentale nella scelta di un componente importante come la sella. E’ ovvio che sono necessari dei riferimenti e oggi la tecnologia di valutazione ci aiuta in questo. Però l’ultima parola è sempre quella delle sensazioni e dei feedback personali. Se non si è comodi su una sella è necessario cambiare».
Per Trentin non esiste la “soluzione che va bene per tutti”: la sella deve essere adatta alle esigenze personaliPer Trentin la sella deve essere adatta alle esigenze personali
Quanto tempo è necessario per abituarsi alla sella?
TRENTIN: «Se la sella è buona, adatta alle proprie caratteristiche ed esigenze, il feeling è immediato e sono sufficienti un paio di uscite tranquille per trovarlo. Se è necessario adattarsi, se la sella porta a fare movimenti strani e continui, allora non va bene ed è meglio provare qualcos’altro. Partendo sempre dal presupposto, come detto in precedenza, che anche una buona messa in sella è un aspetto fondamentale. Da non tralasciare».
PERNSTEINER: «Sono convinto che per abituarsi ad una sella ci vogliono almeno due o tre settimane. Bisogna prendere il proprio tempo per avere il giusto feeling e valutare in modo soggettivo i diversi fattori che entrano in gioco».
L’austriaco del Team Bahrain predilige selle strette e piuttosto dure, in grado di offrire feeling e stabilità (foto ChalyLopez Team Bahrain)L’austriaco predilige selle strette e dure, per feeling e stabilità (foto ChalyLopez Team Bahrain)
Quali sono i campanelli di allarme che permettono di capire che non è la sella adatta alle proprie esigenze?
TRENTIN: «Quando il componente non è adatto si generano pressioni varie, fin dalle prime pedalate. E questo fa drizzare subito le orecchie. Da lì, se insistiamo si può generare una serie di fattori negativi concatenati tra loro. Inoltre mi preme dire che pedalare non deve essere una sofferenzaeuna buona seduta contribuisce al piacere di stare in bici. Avere una buona messa in sella aiuta a spingere e ad esprimersi nel modo più corretto».
PERNSTEINER: «Quello che ho notato, a livello personale è che una sella non adatta a me influisce in modo negativo sull’espressione della potenza: a un certo punto mi viene a mancare. Lo noto dalle sensazioni e anche grazie all’ausilio del power meter. Poi ci sono fattori legati alla difficoltà di pedalare, dolori generalizzati e problemi di fitting, che si riflettono su scompensi fisici».
Il setting del mezzo è una delle operazioni più delicate d’inizio stagione: coinvolge atleti, biomeccanici e meccanici (foto Team Bahrain/Prologo)Il setting del mezzo è un’operazione delicata: coinvolge atleti, biomeccanici e meccanici (foto Team Bahrain/Prologo)
Nell’arco della stagione, ma anche tra l’inverno e il momento delle gare, cambi la posizione della sella?
TRENTIN: «Sì, posso fare piccoli aggiustamenti, più che altro dovuti all’usura della sella ed è importante capire quando è il momento di cambiarla».
PERNSTEINER: «Non cambio mai posizione. Magari piccoli aggiustamenti, questione di qualche millimetro e preferisco tenere la sella leggermente scaricata sulla parte frontale, a prescindere dalla stagione».
Con o senza foro?
TRENTIN: «Personalmente preferisco il foro. E’ un cardine dal quale non voglio prescindere».
PERNSTEINER: «Non utilizzo le selle con il foro e con il canale di scarico. Le ho provate, ma le trovo più flessibili, inoltre quando è capitato di provarle mi sposto parecchio pedalando e non mi trovo a mio agio».
Con o senza, trovi delle differenze sostanziali?
TRENTIN: «Uso le selle con il buco di scarico ormai da tanti annie la sua presenza, mi aiuta a scaricare molto la pressione perineale. Per me è un vantaggio, che si riflette in modo positivo quando bisogna stare in bici per tante ore. Considerando che noi ci alleniamo per 30 ore alla settimana, la sella non è un semplice dettaglio» .
PERNSTEINER: «Credo che ci siano aspetti personali, ma essendo leggero e non avendo problematiche di pressioni, la sella senza il canale mi offre delle sensazioni migliori».
Una Prologo Scratch M5 per Trentin, quindi una sella corta
Il modello Zero C3 con gli inserti CPC, la sella scelta da Pernsteiner
Una Prologo Scratch M5 per Trentin, quindi una sella corta
Il modello Zero C3 con gli inserti CPC, la sella scelta da Pernsteiner
Quale modello utilizzi?
TRENTIN: «Prologo, che è sponsor del team. Io utilizzo la Scratch M5 Pas, quindi una sella corta. Il feeling è stato immediato fin dalla prima volta che l’ho utilizzata e da quel momento sono rimasto su questo modello, senza variazioni anche nel corso della stagione».
PERNSTEINER: «Uso la Prologo Zero C3 CPC. Mi trovo bene con lo shape di questo prodotto e con gli inserti CPC che offrono un maggiore grip, rispetto ad una sella tradizionale. Trovo dei benefici in diverse situazioni, ad esempio quando piove e passiamo molte ore sotto la pioggia. Il CPC aumenta la mia stabilità. Posso dire inoltre che nel corso di una stagione cerco di non cambiare la sella che ho sulla bici delle gare e su quella da allenamento ne cambio un paio, ma sempre dello stesso modello».
Le indicazioni fornite dai pro offrono degli spunti utili per la scelta del prodotto più consono alle proprie esigenze (foto Prologo)Le indicazioni fornite dai pro offrono degli spunti utili per la scelta del prodotto più consono alle proprie esigenze (foto Prologo)
Hai detto che la sella è un argomento delicato. Un tuo consiglio utile che possono sfruttare gli appassionati di bici e gli amatori in genere?
TRENTIN: «La scelta della sella giusta non prevede la formula perfetta e una ricetta magica che va bene per tutti. Non esiste un solo prodotto che è perfetto per tutti i ciclisti. Il comfort quando ci sediamo diventa anche sinonimo di benessere. Quando stiamo comodi pedaliamo più forte e più a lungo, quando siamo scomodi la performance non è ottimale».
PERNSTEINER: «Una sella deve essere confortevole prima di tutto e il comfort diventa anche un fattore soggettivo. Quello che è perfetto per me, può non esserlo per qualcun altro. Bisogna essere in grado anche di fare delle piccole valutazioni sulle proprie esigenze e caratteristiche. Comunque una sella non deve dare problemi e deve garantire sempre una buona fluidità in tutti i movimenti».
Matteo Trentin è rimasto fuori dalla lotta di Harelbeke per la foratura nel punto sbagliato. Alla Gand si dovrà correre davanti, con Kristoff in appoggio
Si chiama Settimana ed è la nostra speciale selezione di contenuti editoriali pubblicati su bici.PRO negli ultimi sette giorni.
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