La premessa di Mauro Testa, biomeccanico e responsabile scientifico di Biomoove Lab, è di quelle che da una parte ti mettono a tuo agio e dall’altra annunciano un lungo viaggio. Ci siamo rivolti a lui per fare nuovamente il punto sulle posizioni estreme in bicicletta. Prima avevamo parlato con Alessandro Mariano, che aveva ricondotto tutto al superiore lavoro dei ciclisti in palestra. Poi con Diego Bragato, secondo cui certi assetti sono possibili proprio perché i ciclisti sono atleti molto più completi di un tempo. Ed è stato proprio lui a suggerirci di parlare con Mauro Testa, raccontandoci il lavoro fatto con la nazionale per studiare la contrazione muscolare.
«La figura del biomeccanico in Italia è sconosciuta – dice subito Testa – e si confonde spesso il con il bike fitter, che è una figura completamente differente. Il bike fitter prende il soggetto e lo integra con la bicicletta, ma non tiene conto assolutamente dei parametri fisiologici, neurofisiologici, né morfologici. Il biomeccanico invece è in grado di farlo perché si è formato all’Università e ha studiato anche l’anatomia. Il bike fitter è un ergonomo, passatemi il termine, che cerca di posizionare l’atleta sulla bicicletta. Il problema è che ogni atleta è fatto a modo suo ed è sbagliato fare delle generalizzazioni».
Nel suo book spiccano 300 brevetti, fra cui la prima sella col gel per Selle Italia del 1994, il sistema My Own con Prologo, lo studio di validazione della bici crono di BMC, i rulli Rizer e Justo di Elite, i lavori con Aprilia e con Ferrari, lo studio delle piste di atletica Mondo, gli interni del Frecciarossa ETR100 e varie altre collaborazioni con la Fifa e la Fidal. Non poteva mancare chiaramente quella con la FCI.
Ogni atleta è fatto a modo suo, ripartiamo da qui?
Se dico che tutti gli atleti sono più trofici perché lavorano con i pesi, faccio una generalizzazione. Inoltre, dal mio punto di vista è sbagliato, perché i pesi non riproducono la specificità del movimento. Che cosa succede se avendo reso più trofiche le loro masse muscolari (invece di renderle più elastiche e quindi pronte alla contrazione o accorciamento), li portiamo avanti, accorciando il soggetto rispetto ai suoi punti di vincolo? Succede che spostiamo il centro di massa del corpo e non solo.
Con quale conseguenza?
Si ottimizza la spinta, ma questo va a svantaggio del comfort e conseguentemente della capacità di endurance. Quindi può andare bene per un attacco in salita, dove tutti si spostano sulla punta della sella, utilizzando le catene muscolari deputate per la parte di sprint e di accelerazione nel percorso breve, ma non per un lavoro di resistenza.
Serve un passaggio di anatomia, per capire meglio…
Esistono degli sport che hanno una doppia componente di attivazione muscolare. Una fase è chiamata eccentrica, in cui è possibile esprimere dei livelli di forza addirittura tripli rispetto a quella che avviene nella sola contrazione. Ad esempio nel calcio o in atletica leggera, quando ci sono degli sprint, delle forti accelerazioni a piedi, dei balzi. Nel ciclismo questa fase eccentrica non c’è, esiste fisiologicamente solo la fase concentrica.
Che cosa significa?
La tendenza del muscolo non è quella di rilasciarsi completamente, tende a rimanere contratto, per cui il soggetto alla fine risulta estremamente corto dal punto di vista muscolare. Se distendi un corridore sul lettino a pancia in su e gli sollevi una gamba, vedrai che tende a muoversi anche l’altra, anche se il muscolo non è sottoposto a contrazione. Se lo accorcio ancora, cioè avvicino i segmenti tra di loro spostando il corridore in avanti, riduco ulteriormente la possibilità di rilassamento. In altre parole se riduco la distanza tra i segmenti corro il rischio di accorciare, in modo sicuramente parziale, il ventre muscolare (il corpo centrale del muscolo, ndr). Il ciclo dei ponti tra actina e miosina si trova di fatto più pronto alla contrazione (si parla del meccanismo stesso della contrazione muscolare, ndr). E’ come se comprimessi una molla, che genera immediatamente forza ed è pronta per esprimerla ai massimi livelli.
Quali sono gli effetti di questo tipo di lavoro?
Nell’immediato ho una percezione di forza superiore, perché essendo più corto sono in grado di contrarre più rapidamente il muscolo e quindi di percepire più rapidamente la spinta. In realtà, da un punto di vista della forza, essendo il muscolo una struttura elastica e non essendoci il ciclo completo del rilassamento e della contrazione, non sono in grado di stoccare energia potenziale elastica. Il muscolo funziona come una molla, si diceva. E alla lunga, a forza di contrarlo, non ha più la stessa capacità di risposta.
Chiariamo meglio il concetto di energia potenziale elastica?
Quando pedaliamo, immagazziniamo energia potenziale elastica nell’organismo e ogni volta la rilasciamo, in modo che nelle pedalate successive io non faccia fatica come nella prima. Non devo più vincere la forza di inerzia per spingere e creare velocità, le pedalate successive devono essere fluide sfruttando il più possibile questa forma di energia, legata alla capacità contrattile e di rilassamento del muscolo. Se me lo impedisci, io ho una sensazione di beneficio immediato, ma ho una caduta dell’endurance e a lungo termine ho anche una caduta della capacità di generare forza. Inoltre una scarsa capacità del soggetto ad “estendersi” (perché accorciato nei suoi punti di vincolo) incrementa i sovraccarichi e quindi le condropatie che sono un problema tipico del ciclista.
Quindi se anche un campione si trovasse bene con questo assetto, sarebbe un’eccezione?
Il ciclista non ha bisogno di un picco elevato di forza per un tempo breve, a meno che ovviamente non debba fare degli sprint in pista. Ha bisogno di un picco di forza, magari anche più basso in termini di intensità, ma che duri nel tempo. Serve che il muscolo non perda capacità contrattile, non avendo possibilità di rilassarsi completamente. Quindi per me la tendenza di accorciarli è una stupidaggine. E poi c’è un altro problema.
Quale?
Nell’accorciamento, si riducono i bracci di leva. Questo mi rende anche meno abile nella capacità di gestire la guida della bicicletta. Se ho le braccia contratte quindi avvicinate al tronco, con il gomito molto flesso, non ho una rapidità di esecuzione sulla correzione della traiettoria, che invece potrei avere se il braccio è un attimino più rilassato. Quindi ne va di mezzo anche la sicurezza. Per non parlare dei carichi sulla schiena, di cui poco si parla.
In termini di vibrazioni?
Pochi nell’ambito dello sport tengono in considerazione gli aspetti vibratori. La bicicletta da corsa è fatta in fibra di carbonio, una struttura che trasmette le vibrazioni, perché non è in grado di assorbirle. Inoltre le strade non sono perfette, per cui le sollecitazioni sono costanti. Accorciando il corridore e portandolo in posizione quasi fetale, nella colonna vertebrale si incrementa la cifosi. Disponendo di quel poco spazio, l’adattamento fa sì che le vertebre si avvicinino tra di loro, rendendo la struttura meno elastica e meno capace di assorbire le vibrazioni che arrivano dalle gambe e dalle braccia. Per cui anche da un punto di vista strettamente biomeccanico, l’accorciamento in sé non ha dei reali benefici, a meno che non sia la morfologia dell’atleta a richiederlo.
Come detto in precedenza, a ciascuno la sua biomeccanica?
E’ importante sottolinearlo, non generalizziamo né nel senso dell’accorciamento né dell’allungamento come si era invece portati a fare anni fa. Lo sport e la scienza ad essa applicata compiono spesso l’errore di costituire delle mode e seguirle. Dovremmo invece vedere ogni atleta, amatore o professionista, come unico e solo, adattandoci e adattando la posizione in bici alle sue specifiche peculiarità, necessità e caratteristiche. Questo è quello che fa un buon biomeccanico.