Vuelta Femenina, dietro le olandesi spunta Realini

09.05.2023
6 min
Salva

Chi meglio la conosce sa che, sul podio finale della Vuelta Femenina, Gaia Realini si è chiesta cosa ci facesse accanto a Van Vleuten e Vollering. Lei si è limitata a godersi il magnifico stupore, mentre gli altri hanno iniziato a ragionare sulla sua prestazione. Se a 21 anni hai la forza per tenere testa alla campionessa del mondo e all’astro nascente del ciclismo femminile, il terzo posto nella corsa spagnola significa qualcosa di importante.

«Ho pensato proprio a questo – sorride Realini col gusto di raccontarlo – cosa ci faccio qui? Non riesco a realizzare dove sono arrivata e dove posso arrivare. Proprio non lo so. La vittoria di tappa e il terzo posto sono stati inaspettati. Quando domenica sono arrivata al traguardo e ci siamo messi a guardare i distacchi, la ragazza che era lì con me mi fa: “Guarda che sei terza in generale!”. Le ho detto che non era possibile. Dopo le prime tappe ero a dir tanto cinquantesima. Poi sono diventata quindicesima e adesso sarei stata terza? Io ero incredula di tutto, lei prendeva i tempi e alla fine ha avuto ragione. Ai Lagos de Covadonga sono volati distacchi pesanti. Ma è stato davvero inaspettato…».

Il viaggio di Gaia alla Vuelta è iniziato dopo il terzo posto alla Freccia Vallone e il settimo alla Liegi: altre anticipazioni di futuro da cogliere con discrezione e mettere da parte. Da qui a dire che sia andata in Spagna per puntare alla generale ce ne vuole, ma il bello del suo stupore è che le impedisce di porsi limiti.

Sei andata sapendo di stare così bene?

Sicuramente la preparazione era buona, però sono andata senza nessuna pretesa, con l’idea di godermi la mia prima Vuelta. Per imparare e mettermi a disposizione della squadra.

Prima Vuelta, ma avevi già esperienza di Giro d’Italia. Ci sono tante differenze?

Molta differenza non c’è stata, perché comunque le ragazze sono le stesse. Forse cambia il modo di correre, dato che in Spagna ci sono solo sette tappe e al Giro invece sono dieci. Con tre giorni in meno, si combatte subito, c’è più bagarre. Ci si risparmia meno.

Siete partite con il terzo posto nella cronosquadre.

Ce la siamo cavata benissimo. Poi sapevamo che la seconda e la terza tappa sarebbero state completamente piatte, senza aspettarci la batosta così dura per i ventagli nella terza. Abbiamo preso il buco, io per prima. Dietro di me Amanda Spratt ha bucato, quindi tutto il team è rimasto nel secondo gruppo. E’ stata una giornata difficile da mandar giù (a La Roda, il distacco della Trek-Segafredo all’arrivo è stato di 2’41”: lo stesso che sul podio la dividerà da Van Vleuten, ndr). 

Parlando a febbraio con Larrazabal, capo dei preparatori alla Trek, si ragionava sui ventagli e ci avvisò che quelli del UAE Tour in cui ti eri mossa benissimo fossero più semplici di quelli belgi o spagnoli…

Le strade erano molto più strette. Siamo sempre 150 ragazze, un conto è metterle su una strada immensa come quelle nel deserto, che di lato c’è la sabbia, altra cosa in Spagna, che a lato ci sono l’erba, le buche e le scarpate. Hai quasi paura, è molto più pericoloso.

Vos sugli scudi: prima vince la cronosquadre con la Jumbo-Visma, poi porta a casa la 3ª e la 4ª tappa
Vos sugli scudi: prima vince la cronosquadre con la Jumbo-Visma, poi porta a casa la 3ª e la 4ª tappa
Dal giorno dopo è scattata la rabbia?

Non abbiamo perso la concentrazione, siamo rimaste sempre noi stesse e super motivate. Sapevamo che la classifica si poteva comunque ribaltare nelle tappe di montagna. Ho dei rimorsi legati a quel giorno, però fino a un certo punto. Sono ancora giovane, devo imparare molto da questo lavoro. Non è scattata la rabbia, semplicemente sapevo che iniziavano le tappe adatte a me. Quindi testa bassa e non mollare. Non voltarsi indietro e guardare avanti. E alla fine, grazie anche al team e al bellissimo clima che c’è, abbiamo portato a casa un bellissimo risultato.

A Laredo ti sei trovata davanti con Van Vleuten, scatti e controscatti e poi l’hai battuta. Come è stato?

Mi sono vista al primo anno in una WorldTour insieme alla campionessa del mondo. Emozione tanta, ma nessuna pressione, perché ero fuori classifica, quindi non dovevo fare chissà cosa. Qualcuno mi ha criticato perché non ho dato mai il cambio, ma io non avevo pretese, non dovevo prendere io la maglia rossa, quindi non avevo niente da perdere. Poi in volata ce la siamo giocata e vedendo il fotofinish, ho vinto davvero per poco.

Van Vleuten ha fatto il forcing perché voleva guadagnare su Vollering, compreso l’attacco mentre Demi si era fermata per fare pipì. Tu cosa hai capito di questa storia?

Van Vleuten sa bene quello che vuole, è molto concentrata e la squadra la asseconda. Non so bene come siano andate le cose. Ho sentito dire che Vollering si è fermata per un pit stop e la Movistar si è messa davanti ad attaccare. Non lo vedo come una cosa molto rispettosa, non c’è stato un grande fair play. Tutti abbiamo necessità fisiologiche.

Van Vleuten ha detto che quello era il punto in cui avevano deciso da tempo di attaccare. Ha sbagliato Vollering a fermarsi proprio lì?

In quel punto c’era molto vento, era molto aperto. Si capiva che potesse succedere qualcosa, però è anche vero che stavamo andando piano, quindi forse Demi ha valutato di potersi fermare. Ma non so davvero bene come sia andata.

Si rivede anche Marta Cavalli: 10ª nell’ultima tappa e 13ª in classifica finale
Si rivede anche Marta Cavalli: 10ª nell’ultima tappa e 13ª in classifica finale
Il tuo calendario prevede anche il Giro d’Italia?

Sì e sarò a disposizione della squadra. Quello che mi diranno di fare si farà senza pretese né pressioni. Non mi sarei aspettata che a 21 anni mi sarei trovata così bene, ma bisogna rimanere sempre coi piedi a terra, perché oggi può andare bene e domani può andarti male. Tutto questo è il punto di partenza per migliorare. Ecco, io almeno la penso così.

Vollering si confessa: «Voglio l’eredità di Van Vleuten»

19.02.2023
6 min
Salva

Si può giudicare deficitaria una stagione nella quale sei arrivata seconda al Tour de France? Eppure alla fine del 2022 qualche critica è arrivata alle orecchie di Demi Vollering. Probabilmente dopo i tanti successi dell’anno precedente e le grandi aspettative che circondano la campionessa olandese della Sd Worx (in apertura in un’immagine pubblicata su Instagram), si pensava a un anno più dirompente, anche al confronto con la Cannibale Van Vleuten.

Forse proprio grazie a queste critiche, Demi parte per il nuovo anno con un piglio quasi sconosciuto a chi la conosce. Per la prima volta, nelle interviste di rito ai ritiri, la 26enne di Pijnacker si è detta pronta alla sfida con la straordinaria connazionale, vogliosa di batterla sul suo stesso campo prima che, a fine stagione, la campionessa mondiale chiuda la sua carriera.

A differenza di molte altre rivali, Vollering deve ancora scendere nell’agone competitivo. In attesa del suo esordio, si è presta di buon grado a rispondere a qualche domanda anche piuttosto delicata, mostrando una grande disponibilità, anche questo segno forse di una Vollering nuova al cospetto della nuova stagione.

L’olandese si è prestata volentieri a una lunga chiacchierata via Zoom
L’olandese si è prestata volentieri a una lunga chiacchierata via Zoom
Nel 2021 avevi vinto grandi classiche, nel 2022 sei stata seconda al Tour de France. Ti senti più portata per le corse a tappe o quelle d’un giorno?

In realtà entrambe. Mi piacciono molto le classiche perché sono difficili e hanno sempre un’interpretazione diversa rispetto alla maggior parte delle corse. Lì tutti si presentano per vincerle e la differenza scaturisce da minimi particolari, c’è uno spirito che mi piace molto. Ma mi piacciono molto anche le corse a tappe, soprattutto quando sono un po’ più dure. Come per esempio il Tour de France dell’anno scorso, anche quella è stata una gara dura, con gli ultimi due giorni con tante salite. Se poi devo scegliere preferisco le classiche, perché a livello emotivo sono una scarica di adrenalina, non vedi davvero l’ora di affrontarle e ti senti carico a mille. Le grandi corse a tappe richiedono una concentrazione continua, per più giorni, spesso è questo che ti logora anche se fa parte del gioco.

Avere in squadra Wiebes e Kopecky ti toglie un po’ di responsabilità per le classiche o per certi versi è un ostacolo per le tue ambizioni?

No, per me non è affatto un ostacolo. Voglio dire, è davvero bello riavere Lorena nella squadra e penso che sia anche molto utile per me. Se ad esempio all’arrivo vengono a cercare entrambe, è una bella cosa. Non sentiamo la concorrenza interna, anzi penso che sia solo utile. Quel che conta è se la tua squadra sta vincendo, fra noi c’è sempre un grande spirito nella squadra. Quindi anche questo è davvero bello, si traspone anche in nazionale e ne beneficiamo.

Il podio dell’ultimo Tour femminile con Vollering accanto a Van Vleuten, rivale inafferrabile, e Niewiadoma
Il podio dell’ultimo Tour femminile con Vollering accanto a Van Vleuten, rivale inafferrabile, e Niewiadoma
Questo dovrebbe essere l’ultimo anno di Van Vleuten: che cosa pensi cambierà nel ciclismo femminile senza di lei, ci sarà più incertezza?

Non credo. Ovviamente Annemiek è molto importante per il ciclismo femminile, ma ora siamo anche cresciute noi altre, c’è più concorrenza, non parte vincente già dall’inizio. Ovviamente negli ultimi anni ha vinto grandi gare, ma stanno arrivando nuove stelle, molto forti e voglio dire che abbiamo molti corridori forti. Io sinceramente preferisco averla in gara, giocarmi le corse contro di lei, ma quando non ci sarà, crescerà anche l’interesse proporzionalmente all’incertezza.

Ti senti pronta a diventare il riferimento del ciclismo olandese come lo sono state Van Der Breggen e Van Vleuten?

Sì, ma penso di non essere l’unica. Abbiamo anche Lorena e anche Shirin Van Anrooij sta andando molto bene. E attenzione alla mia giovane compagna Mischa Bredervold, è ancora molto giovane ed è già molto brava. Quindi penso che abbiamo molte brave cicliste nei Paesi Bassi e ora sono già a quel livello. Ovviamente è normale che la gente pensi che io sia il prossimo leader, ma penso di non essere l’unica. Ci sarà da lottare e non avere una dominatrice non farà altro che aumentare il livello generale.

In casa Sd Worx ora Vollering è la capitana, ma Blaak (in maternità) resta un riferimento per lei
In casa Sd Worx ora Vollering è la capitana, ma Blaak (in maternità) resta un riferimento per lei
Secondo te a che cosa si deve un simile dominio del ciclismo femminile olandese?

Penso che sia davvero bello avere una Nazione così forte, ma vedi anche che altri Paesi stanno diventando sempre più competitivi. Voglio dire, l’Italia è davvero forte al momento, hanno buone velociste, fortissime atlete in salita, ottime gregarie. Ad esempio, Elena e Barbara (Cecchini e Guarischi, ndr) sono persone davvero simpatiche e ottime compagne. Ma anche altre nazioni stanno migliorando sempre più, non ci siamo solo noi e penso che questo sia molto bello, vincere è sempre meno facile. Anche perché siamo sempre le più controllate. Poi non ci siamo solo noi più giovani, Mariana Vos ad esempio è più che competitiva. C’è un ricambio in atto in Olanda e al contempo altri Paesi stanno crescendo velocemente. Questo è un bene per il ciclismo, forse un po’ meno per noi…

Dove pensi di dover ancora migliorare?

Ad esempio devo migliorare le mie basi, quindi la mia resistenza e il mio motore e penso di poterci ancora lavorare, anche se ho già fatto molto nell’ultimo anno. Ci dedico più ore e faccio anche sforzi più duri ma soprattutto mi accorgo che col passare degli anni il mio motore cresce. Sicuramente devo lavorare ancora sulle mie capacità a cronometro, l’anno scorso, ad esempio, non ero quasi mai seduta sulla bici da crono perché non avevamo molte prove a tempo e non aveva senso per me passare ore sulla bici da cronometro. Ora la situazione è diversa, al Tour ci saranno due tappe contro il tempo, voglio farmi trovare pronta e non mi dispiacerebbe guadagnarmi la selezione nazionale per europei e mondiali. Investire su questa specialità, a livello generale, mi pare una buona cosa.

Lo sprint vittorioso alla Liegi 2021, battendo Van Vleuten e Longo Borghini
Lo sprint vittorioso alla Liegi 2021, battendo Van Vleuten e Longo Borghini
Quali sono gli obiettivi più importanti per te quest’anno?

Di sicuro tutta la parte delle classiche delle Ardenne, dall’Amstel alla Liegi. Sono corse che mi sono sempre piaciute, l’anno scorso ho fatto podio in tutte e tre, vorrei essere almeno a quel livello. E ovviamente il Tour: mi sono divertita molto lo scorso anno, è una gara bellissima e voglio onorarla al meglio anche perché per la mia squadra è primaria. Erano anni che aspettavano che nascesse.

Ti vedremo in Italia per il Giro?

Probabilmente no, perché anche il mondiale è davvero troppo vicino a Giro e Tour, bisogna fare una scelta. Il Giro mi piace molto, ma fare tutto è ancora un po’ troppo difficile per me.

Van Vleuten: «Tour in 3 settimane? Ci si arriverà…»

21.01.2023
5 min
Salva

«Voglio veder crescere la mia squadra e godermi la mia maglia iridata, perché è il miglior modo per salutare questo sport». Parole, quelle di Annemiek Van Vleuten riportate dal quotidiano spagnolo Marca che sembrano un epitaffio alla sua straordinaria carriera.

L’olandese, superata la soglia dei 40 anni, si appresta a vivere la sua ultima stagione, al termine della quale appenderà la bici al chiodo. E non sembra ci siano margini perché receda dai suoi propositi, anche se sembra strano considerando che siamo nell’anno preolimpico.

La Van Vleuten in Colombia, dove si è allenata nel mese di dicembre (foto Marca)
La Van Vleuten in Colombia, dove si è allenata nel mese di dicembre (foto Marca)

Smettere nonostante tutto

La campionessa della Movistar è stata al riguardo molto chiara: «Voglio smettere quando è ancora doloroso farlo, non cambierò idea. Soffrirò, piangerò, ma non voglio mollare quando il mio livello calerà, voglio essere ancora nel pieno delle mie capacità, al mio massimo livello».

Nella sua intervista, durante il ritiro che la campionessa arancione ha svolto in Colombia, la Van Vleuten ha sottolineato anche come il rapporto con la sua squadra, con la quale è solo al secondo anno, sia molto profondo: «E’ un team forte, hanno tutte grandi qualità tecniche, devo riconoscere che è la prima volta che ripongo una fiducia totale nelle mie compagne e nel sistema di squadra. So che le ragazze mi porteranno davanti ai piedi della prima salita, sempre e comunque. Io dovrò solo stare alla loro ruota. Voglio vederle crescere e accompagnarmi in questo mio ultimo viaggio agonistico, mettendo nel mirino alcune corse, anche se non ho ancora in mente specifici obiettivi».

Tra i nuovi arrivi alla Movistar spicca Liane Lippert, campionessa tedesca ai piedi del podio ai mondiali 2022 (foto Instagram)
Tra i nuovi arrivi alla Movistar spicca Liane Lippert, campionessa tedesca ai piedi del podio ai mondiali 2022 (foto Instagram)

Professionismo femminile

Dopo quel che ha realizzato lo scorso anno, aggiudicandosi tutti e tre i maggiori giri, si sarebbe portati a pensare che voglia ripetersi salutando così il gruppo nella maniera migliore. A tal proposito la Van Vleuten ha puntato l’obiettivo sulla durata delle corse a tappe, dicendo la sua su un tema molto dibattuto.

«Fare corse di tre settimane anche per le donne è possibile – dice l’olandese – ma bisogna lavorarci con calma. Non è qualcosa di realizzabile a breve termine. Per ora è meglio una decina di giorni, concentrati di emozioni. Ma sono sicura che avverrà, ci si arriverà dopo che il passaggio al professionismo sarà completato e ogni ciclista avrà un salario minimo decente, sufficiente per vivere con il proprio lavoro di atleta».

Le sue affermazioni fanno riflettere e ci hanno spinto a chiedere una replica a un altro totem del ciclismo femminile, Fabiana Luperini. La toscana come la Van Vleuten era una specialista delle corse a tappe, vincitrice di 5 Giri d’Italia e 3 Tour de France.

«Io -spiega Fabiana – credo che tornare al passato, ai miei tempi sia la soluzione migliore. Molti hanno dimenticato che quando ho vinto il Tour era articolato su due settimane ed era una quantità di tappe e chilometri più che sufficiente. Tre sarebbe troppo, per me lo è anche per gli uomini e da tempo se ne discute».

«Quindici giorni è la soluzione giusta, quella che fa emergere i valori reali in campo, non credo che una settimana in più cambierebbe le cose. Si è visto d’altronde come anche la formula attuale alla fine premi chi è più forte, allungarla di qualche tappa metterebbe alla prova la resistenza di tutte. Ma non andrei oltre le due settimane: non avrebbe più un senso tecnico».

Per la Luperini ben 3 vittorie al Tour, dal ’95 al ’97 e 5 successi al Giro (foto Facebook)
Per la Luperini ben 3 vittorie al Tour, dal ’95 al ’97 e 5 successi al Giro (foto Facebook)

Due settimane okay

Per certi versi però questa disparità fra uomini e donne può sembrare non al passo con i tempi. È stato scientificamente provato che in tutti gli sport di endurance le prestazioni fra i due sessi tendono a ravvicinarci sempre più con l’aumento dei chilometri tanto che in alcune prove di corsa sono le donne a vincere.

E’ un problema di cultura ciclistica ancora troppo maschilista? «Io non credo – dice la Luperini – ogni sport va visto nella sua singolarità. Se guardiamo al tennis, nei grandi tornei c’è ancora la differenza fra 3 e 5 set ed è giusto che sia così. Nel ciclismo ad esempio la distanza di 150 chilometri per le donne è più che sufficiente per far emergere le giuste gerarchie in campo. Casomai è sul sistema maschile che bisognerebbe intervenire.

«Tornando al discorso delle due settimane – continua la diesse del Team Corratec – queste permetterebbero al Tour di affrontare sia le Alpi che i Pirenei, oggi con una durata così ridotta è impossibile fare entrambi, ci sarebbero trasferimenti troppo lunghi».

La Luperini (qui con Attilio Viviani) esordirà da diesse Corratec al Saudi Tour dal 30 gennaio
La Luperini esordirà da diesse Corratec al Saudi Tour dal 30 gennaio

Ritiro? Forse ci ripenserà

La toscana dice la sua anche sulla decisione della Van Vleuten di chiudere la sua carriera essendo ancora al vertice.

«Al suo posto avrei tirato avanti ancora un anno, proprio perché si arriva alle Olimpiadi che sono un po’ il compendio di tutto il lavoro di un quadriennio. Ma probabilmente l’olandese sa che il percorso di Parigi non le sarà favorevole e poi in fin dei conti lei un oro olimpico lo ha già vinto, anche se a cronometro e non in linea. Io comunque sul suo ritiro a fine anno non sono così convinta: è nettamente superiore e se lo sarà anche nel 2023, magari ci ripenserà. Prima di dare la cosa per certa è meglio aspettare…».

Tour Femmes, il Tourmalet non è una novità…

19.11.2022
5 min
Salva

Dopo aver raccontato il suo approdo al Team Corratec, con Fabiana Luperini abbiamo un po’ deviato dal discorso. Freschi dell’incontro con Marta Cavalli e della sua voglia di tornare al Tour per riprendere il discorso interrotto dalla caduta, il tanto parlare che si è fatto del Tourmalet nel percorso della Boucle ci ha ricordato che non si tratterà di una prima volta. E ci siamo chiesti per quale motivo si stia enfatizzando (giustamente) il Tour Femmes, dimenticando però le campionesse che l’hanno reso grande nel passato. Il Tour donne, insomma, c’era anche prima di Christian Prudhomme e Marion Rousse. E sul Tourmalet Fabiana ha anche vinto.

«L’ho scalato per due volte – sorride la toscana – e l’ho vinte tutte e due. Nel 1995 a La Mongie, l’anno dopo dalla parte opposta. La prima volta con la maglia gialla, nella tormenta. Mi ricordo che vidi l’arrivo solo agli ultimi 10 metri. E poi c’ho vinto anche nel 1996. Avevo la maglia tricolore e mi sembra che ci presi quella gialla».

Cosa ricordi del Tourmalet?

E’ una salita impegnativa perché è lunga. Poi mi ricordo che comunque è fastidiosa perché ci puoi trovare una tormenta, come anche un caldo terribile. Mi ricordo che quella volta diluviava. La volta dopo quasi si sprofondava nell’asfalto, da tanto era caldo. Sicuramente non ha le pendenze come possono averle le Alpi, il Mortirolo, insomma le nostre salite mitiche. Però quelle francesi sono salite lunghe…

Il Tour era più duro del Giro?

Sicuramente quando lo facevo io, era molto più impegnativo del Giro d’Italia, anche perché in quel periodo non è che si facessero le salite mitiche che ci sono in Italia, tipo il Mortirolo. Una volta abbiamo fatto lo Zoncolan, però non siamo arrivati fino in cima: mancavano gli ultimi 2-3 chilometri che sono quelli più impegnativi. Ad esempio io non ho mai fatto lo Stelvio, un anno si fece il Pordoi, ma non ho mai fatto altre salite importanti. Invece al Tour de France si facevano tutte: in due settimane si facevano sia i Pirenei che le Alpi.

Fabiana Luperini, classe 1974, ha vinto 3 Tour de France consecutivi a partire dal 1995
Fabiana Luperini, classe 1974, ha vinto 3 Tour de France consecutivi a partire dal 1995
Infatti era un Tour più lungo di quello attuale che ha 8 tappe, giusto?

Otto giorni, ma poi che salite hanno fatto? Il nostro era duro anche per i trasferimenti, perché noi facendo sia le Alpi che i Pirenei, avevamo due settimane di corsa. Dopo la tappa c’erano sempre 3-4 ore di macchina. Veniva duro anche per quello, perché non è che arrivavi nel posto da cui partivi il giorno dopo. Insomma, per fare i Pirenei e le Alpi, dovevi per forza fare lunghi trasferimenti. Mi ricordo a volte si arrivava la sera fra le nove e le dieci. Poi io che avevo l’antidoping e tutto il cerimoniale, arrivavo sempre più tardi e quindi diventava una corsa impegnativa.

Credi che gradualmente aumenteranno la durezza del nuovo Tour?

La Van Vleuten è brava. Ha vinto Giro, Tour e Vuelta, ma se sommi insieme i giorni di Vuelta e Tour, forse fai il Giro di una volta. Mi sembra che la Vuelta era di 5 giorni, il Tour di 8. E anche quest’anno, che salite hanno fatto al Tour? Sicuramente ci arriveranno. E dopo il Tourmalet, torneranno a Luz Ardiden o all’Alpe d’Huez come si faceva noi. Oppure la Madeleine, il Glandon. Nella tappa che ho vinto con 8 minuti sulla Longo, si fece il Glandon e la Madeleine con arrivo a Vaujany. Su 111 chilometri della tappa, mi sembra ce ne fossero 60 di salita o più. 

Il Tour del 1997 fu il primo con la maglia della Sanson: i primi due li vinse con quella azzurra
Il Tour del 1997 fu il primo con la maglia della Sanson: i primi due li vinse con quella azzurra
La Sanson del tuo terzo Tour era paragonabile a una WorldTour di oggi?

Di sicuro aveva un organico importante e io mi sono sempre allenata in modo importante. Il Tour del France del 1997 fu il primo che corremmo con la maglia di club, dopo i due anni precedenti con la nazionale di Broccardo. Al terzo Tour invece, mi guidò Marino Amadori. E se guardate la foto di apertura, era la Sanson con Valeria e Alessandra Cappellotto, Roberta Bonanomi e Nada Cristofoli. Davvero uno squadrone…

Abus: doppio trionfo iridato in appena quattordici giorni…

19.10.2022
3 min
Salva

Due titoli mondiali in appena due settimane! E’ questo quanto straordinariamente ottenuto da Abus grazie ai successi di due atleti d’eccezione: l’olandese Annemiek van Vleuten, con il trionfo incredibile colto ai campionati del mondo a Wollongong in Australia, e Gianni Vermeersch, il belga della Alpecin Deceuninck (nella foto di apertura Tornanti.cc in compagnia di Mathieu Van der Poel) che si è imposto nella prima, storica edizione del mondiale gravel che si è disputato appena qualche giorno fa a Cittadella, in Veneto, e sotto la regia di Filippo Pozzato. E ad essere portati in trionfo sono stati i due caschi Abus più noti agli appassionati stradisti – i modelli AirBreaker e GameChanger – entrambi in dotazione sia al team Movistar femminile quanto alla Alpecin Deceuninck del neo campione del mondo gravel Gianni Vermeersch. In quest’ultimo caso il casco è “brandizzato” esclusivamente con i loghi di Canyon.

Gianni Vermeersch a braccia alzate sul traguardo del mondiale gravel di Cittadella domenica 9 ottobre (foto Tornanti.cc)
Gianni Vermeersch a braccia alzate sul traguardo del mondiale gravel di Cittadella domenica 9 ottobre (foto Tornanti.cc)

Sicurezza in movimento

La linea di caschi per il ciclismo proposta sul mercato da Abus si distingue in modo particolare per la scelta di materiali, di assoluta qualità, funzionali alla produzione, per i moderni processi di realizzazione e per il design.

Il casco indossato da Vermeersch in occasione del successo nel mondiale gravel è il modello AirBreaker. Grazie alla struttura a nido d’ape dell’innovativo Multi Speed Design, questo “bestseller” di Abus è in grado di offrire sempre sia un’ottimale aerodinamica quanto un’eccellente areazione. Il Multi Speed Design fornisce la ventilazione necessaria dosandola: massima ventilazione per le tappe più lunghe e montuose, aerodinamica ottimale per le tappe pianeggianti e più… veloci.

Annemiek Van Vleuten, due settimane prima aveva conquistato la maglia iridata nella prova su strada (foto social Abus)
Annemiek Van Vleuten, due settimane prima aveva conquistato la maglia iridata nella prova su strada (foto social Abus)

Dimensione GameChanger

“GameChanger riscrive le regole”. Così viene definita l’essenza del casco portato in trionfo a Wollongong da Annemiek van Vleuten, l’olandese che quest’anno al mondiale australiano ha aggiunto anche i successi al Giro Rosa, al Tour de France e alla Vuelta: un vero e proprio storico Grande Slam. Con il suo Multi Position Design, GameChanger ha reinterpretato il concetto di aerodinamicità e di resistenza dell’aria. Le particolari geometrie di questo casco riducono la superficie esposta al vento in qualsiasi condizione, indipendentemente dall’inclinazione della testa e dall’angolo di incidenza del vento stesso. L’innovativa Forced Air Cooling Technology aspira l’aria e la canalizza attorno alla testa per garantire una temperatura perfetta, mantenendo la testa sempre fresca anche nelle condizioni più difficili.

Abus

Capolavoro Van Vleuten: 1.300 metri per prendersi il mondo

24.09.2022
5 min
Salva

Una settimana schifosa, una corsa anche peggio. Piove. S’è messo pure a far freddo e il gomito rotto le fa un male cane quando si alza sui pedali e prova a saltare lo strappo. Annemiek Van Vleuten non è una che si piange addosso, ma quando l’altro giorno è caduta al via della cronosquadre e si è rotta il gomito, ha sentito attorno un alone di negatività.

Doveva correre da gregaria per Marianne Vos, invece ne riceve i complimenti
Doveva correre da gregaria per Marianne Vos, invece ne riceve i complimenti

Gregaria di Marianne

Ha trovato la via d’uscita convertendosi in gregaria per Marianne Vos. La figuraccia dello scorso anno andava lavata con una superba prestazione di squadra. Così l’ha riportata sotto al penultimo giro quando l’altra s’è staccata. E poi l’ha vista sparire alle spalle nell’ultimo giro, quando ha capito di non poterci fare più niente. La corsa sta finendo e l’olandese sa che in volata non potrà sorreggere con quel braccio malconcio la potenza delle gambe. E allora fa la sola cosa che le passa per la testa: attacca!

«Non ho avuto un solo secondo da mercoledì – racconta – per pensare o sognare a un mondiale diverso da quello da gregaria. Era tutto andato. Le seguivo in salita, avrei voluto accelerare come sempre, ma non potevo. Degli amici mi hanno detto di godermi la corsa, ma non c’è niente di divertente nel dolore che sentivo. Ci sono stati anni in cui ero la più forte della squadra, ma non era questo il giorno…».

Non c’era niente di divertente, ha detto Van Vleuten, nel dolore al gomito quando si alzava sui pedali
Non c’era niente di divertente, ha detto Van Vleuten, nel dolore al gomito quando si alzava sui pedali

Gruppo compatto

Mancano 1.300 metri e finalmente l’inseguimento fra i due gruppi di testa è finito. C’è voluta una vita, perché nessuna davanti si sentiva sicura di come sarebbe finita rimescolando le carte. Per noi ci sono due azzurre, Persico e la Longo. E mentre siamo lì a chiederci se siano riuscite a parlarsi, un’ombra bianca schizza a doppia velocità sulla destra. Mette la freccia e se ne va. Come Saronni a Goodwood. Come un folletto o un missile.

«Non pensavo a niente – racconta Van Vleuten e fissa il vuoto con i suoi occhi azzurri – se non a spingere a tutta, pensando che mi avrebbero ripresa con lo sprint. Non ci credevo neanche io. Avevo corso per tutto il giorno da gregario, pensando che stasera avrei detto ciao a Wollongong. Invece me ne vado con la maglia iridata e all’arrivo c’è voluto un po’ di tempo per capirlo. E’ la più bella di tutte. Non ho parole. E’ stato un flash, un’ispirazione. Non sentivo più dolore, non sentivo niente…».

La vittoria più bella

Dietro si organizzano, perché manca tanto ed è impossibile che arrivi da sola con tante ragazze veloci alle spalle. Eppure lei non si volta e spinge, mettendo nelle gambe l’amarezza di questi giorni. Massimo rapporto, il braccio rotto che tira e poi si vedrà. Basterebbe che si girasse e forse la prenderebbero, ma lei guarda fisso e la riga è sotto le ruote.

«Questa è la mia vittoria più bella – dice – un’altra maglia iridata dopo che il Covid mi ha rovinato quella del 2019. Questa volta conto di godermela in ogni corsa. Dire come faccia a resistere alla sfortuna che ho spesso in maglia arancione (quella della nazionale, ndr) è un bel viaggio nella mia testa. Provo a non essere negativa. Quando ho rotto il gomito, ho pensato che avrei comunque potuto correre in aiuto della squadra. Mi piace lo spirito che abbiamo costruito questa volta. Cerco di non sprofondare. In tutti i brutti momenti della mia carriera, ho sempre guardato avanti. E’ una abilità che evidentemente ho messo a punto…».

Un anno pazzesco

Quando si allontana verso il controllo medico, ha ancora la stessa espressione incredula che aveva sotto il traguardo. Molto più che alla Liegi, al Giro d’Italia, al Tour de France o alla Vuelta. Ha vinto il mondiale e il suo attacco nel finale è stato un vero capolavoro, un colpo di genio mentre tutte le altre si concentravano sulla volata. Le ha svegliate come le dita nella presa, ma prima che reagissero lei era già lontana. Da italiani avevamo altre ambizioni e il bronzo di Silvia Persico è un’altra storia da raccontare. Ma davanti a una vittoria come questa e anche se piove, siamo tutti qui a toglierci il cappello.

Tris nei grandi Giri: brava Van Vleuten, ma non fate paragoni

22.09.2022
5 min
Salva

Annemiek Van Vleuten si lecca le ferite della spaventosa caduta nel Team Relay. Sabato l’aspetta la corsa mondiale ed è chiaro che anche se non è proprio un percorso per lei ideale, il sogno di conquistare l’ennesima maglia iridata c’è, perché sarebbe la ciliegina su una torta incredibile, formata dalla conquista delle tre grandi corse a tappe nello stesso anno: Giro, Tour e Vuelta.

Un’impresa alla quale nessun uomo si è neanche mai avvicinato, prima del 1995 perché Vuelta e Giro erano troppo vicine, poi perché il ciclismo è diventato talmente competitivo ad altissimi livelli che è diventato arduo anche provare a lottare per la vittoria in solo due di esse. Quale valore va attribuito allora all’impresa dell’olandese? Paolo Slongo, preparatore della Longo Borghini e profondo conoscitore di entrambi i mondi ha idee precise al riguardo.

«Un paragone per me non è proponibile – afferma con nettezza – basta solo guardare il totale delle tappe disputate: 10 per il Giro, 8 per il Tour, 5 per la Vuelta. Il totale è di 23, quanto una sola delle grandi corse a tappe al maschile. Inoltre c’è una profonda differenza per il periodo: al maschile le gare sono lontane fra loro e la programmazione al massimo può contemplarne due, fra le donne era tutto racchiuso in meno di due mesi e mezzo».

Quanto influisce anche il numero di atleti dei rispettivi ambiti?

Moltissimo, mettiamo a confronto team di 30 corridori con 14 cicliste quando va bene. E’ chiaro che il calendario così ricco impone alle squadre di schierare le ragazze quasi sempre, questo porta anche a un maggiore livellamento. Ciò non toglie che va dato merito all’olandese di essere almeno una spanna sopra tutte: in salita è troppo superiore alle altre, fa la differenza e su quella costruisce i suoi successi, quando attacca non le resiste nessuno.

Per Slongo parlare dei tre grandi Giri in relazione a uomini e donne è molto diverso
Per Slongo parlare dei tre grandi Giri in relazione a uomini e donne è molto diverso
Da che cosa nasce questa enorme superiorità?

E’ difficile dare una risposta non essendo nel suo entourage. Sicuramente la Van Vleuten ha una resistenza notevole unita a una grande attitudine per questo tipo di gare. Su di lei calza a pennello un ritornello che si sente spesso: un grande talento naturale affinato con l’allenamento…

Van Vleuten a parte, un’impresa del genere nel ciclismo femminile è ripetibile?

Il calendario lo permette: magari non ci sarà più una dominatrice così netta, ma quel che è certo è che tra una corsa e l’altra potremo assistere a confronti ripetuti. Se guardiamo le classifiche delle tre corse, ben 6 atlete oltre la Van Vleuten sono finite sempre nelle prime 13 posizioni (Longo Borghini, Ludwig, Labous, Persico, Garcia e Chabbey, ndr) il che significa che si può sicuramente fare con l’attuale struttura della stagione.

Tra le altre la migliore “stakanovista” è stata la Longo Borghini: quarta al Giro, sesta al Tour, seconda in Spagna
Tra le altre la migliore “stakanovista” è stata la Longo Borghini: quarta al Giro, sesta al Tour, seconda in Spagna
Parlavi prima della lunghezza delle corse, secondo te sono ampliabili?

Sì, ma senza esagerare. Credo che una dozzina di giorni sia una proporzione giusta, ma si dovrebbe mettere mano non solo alla lunghezza dei Giri, quanto anche alla loro struttura, renderli più vari ed equilibrati. Non dovrebbe mancare una cronometro individuale che quest’anno era solo al Giro, per dare possibilità anche a chi scalatore non è di competere per la classifica finale.

In campo maschile una simile impresa è inconcepibile. Negli ultimi anni qualcuno ha provato la semplice presenza, ultimo l’australiano Adam Hansen nel 2017. Secondo te non puntando alla classifica, si può pensare a effettuare tre corse di tre settimane nello stesso anno?

Dipende da che cosa ci si prefigge. Essere presenti per dare una mano in squadra è possibile, se vai come velocista anche e gli esempi di Baffi, Poblet e Petacchi che vinsero una tappa in tutti e tre i grandi Giri nello stesso anno lo dimostra. Pedersen ad esempio se quest’anno avesse provato il Giro, magari non facendolo tutto, magari centrava una vittoria. La classifica richiede attitudine e soprattutto una preparazione che non si adattano al ciclismo odierno. A meno che…

Adam Hansen, un caso a parte: ha disputato 20 grandi giri di seguito, dalla Vuelta 2011 al Giro 2018
Adam Hansen, un caso a parte: ha disputato 20 grandi giri di seguito, dalla Vuelta 2011 al Giro 2018
A meno che?

Anni fa Tinkoff lanciò una provocazione: una sfida nello stesso anno fra tutti i big delle corse a tappe nelle tre gare, preparando solo quelle. Forse potrebbe anche essere fattibile, ma bisognerebbe studiare bene la cosa, anche un regolamento ad hoc e adattare la preparazione affrontando comunque terreni sconosciuti. Per ora resta un’utopia…

Van Vleuten regala a La Passione una tripletta storica

20.09.2022
4 min
Salva

Sono passati meno di dieci giorni dalla conclusione della Challenge by La Vuelta e per La Passione è ancora tempo di festeggiare. Grazie a Annemiek Van Vleuten è arrivata una tripletta davvero storica. La fuoriclasse olandese è infatti riuscita a conquistare nella stessa stagione Giro Donne, Tour Femmes e Vuelta femminile. Si tratta di un’impresa davvero incredibile, a testimonianza di quanto la Van Vleuten sia davvero una grandissima atleta. In tutti e tre i suoi successi la campionessa olandese ha potuto contare sul supporto tecnico de La Passione che da questa stagione è partner tecnico del Movistar Team maschile e femminile.

Dominio assoluto

Così come avvenuto prima al Giro e successivamente al Tour, sono state le montagne a decretare il dominio assoluto della Van Vleuten sulle sue rivali. A decidere fin dall’inizio La Vuelta è stata la seconda tappa con partenza e arrivo a Colindres e con diverse salite disseminate lungo il percorso. Nell’occasione la Van Vleuten ha inflitto un distacco di 2’16” alla nostra Longo Borghini indossando la maglia roja, simbolo del primato, e ipotecando di fatto la corsa. Nelle successive tappe l’olandese si è resa protagonista di una difesa della maglia da manuale, portandola fino a Madrid e segnando un nuovo record nella sua già prestigiosa carriera.

La Passione ha disegnato una maglia speciale per Valverde, indossata alla Vuelta dal Team Movistar
La Passione ha disegnato una maglia speciale per Valverde, indossata alla Vuelta dal Team Movistar

Qualità La Passione 

Nel conquistare prima e difendere poi il simbolo del primato, la Van Vleuten ha potuto contare sulla qualità tecnica dei capi firmati La Passione. In una corsa segnata da alcune tappe contrassegnate da un clima decisamente torrido, i prodotti Ultralight, testati per resistere alle più alte temperature, sono risultati perfetti per garantire una sensazione di freschezza nonostante le temperature elevate. Il kit indossato da la Van Vleuten era completato da un pantaloncino realizzato con tessuto ultra-leggero e una costruzione diversificata che ne aumentava la traspirabilità e la dispersione del calore. Il corpino confezionato con una rete ancora più traspirante, e il fondello, caratterizzato dall’innovativo sistema HTS, hanno regalato alla campionessa olandese una sensazione di freschezza continua. 

Anche se la Vuelta femminile è stata baciata dal sole, non sono mancate alcune occasioni per indossare la Rain Jacket. Sviluppata sulla base delle esigenze dei corridori del Movistar Team la Rain jacket è totalmente waterproof. Il mono tessuto impermeabile, accoppiato a tre strati leggeri ne fanno il prodotto indispensabile soprattutto in un grande Giro. Il sistema di ventilazione interno, le cuciture nastrate e il doppio colletto garantiscono un perfetto isolamento dall’acqua. Mentre il pannello sul dorso, più lungo con fascia riflettente, il taglio aerodinamico e la zip spalmata a due cursori completano il capo. 

Il team spagnolo è salito sul podio della Vuelta con Enric Mas
Il team spagnolo è salito sul podio della Vuelta con Enric Mas

Il podio di Mas

Nello stesso giorno in cui la Van Vleuten conquistava la Vuelta femminile, La Passione ha potuto celebrare il secondo posto di Eric Mas nella gara maschile. Un risultato prestigioso, frutto di tre intense settimane di lotta spalla a spalla con Remco Evenepoel. Analizzando attentamente i numeri della corsa, possiamo notare come lo spagnolo del Movistar Team si sia piazzato ben nove volte all’interno della Top Ten e abbia saputo mantenersi nelle prime tre posizioni della classifica generale per 16 giorni consecutivi. Anche Mas ha naturalmente potuto contare sul meglio della qualità tecnica dei prodotti firmati La Passione.

La Passione

La Passione, dopo il rosa ecco il giallo

22.08.2022
3 min
Salva

Il 2022 non smette di regalare successi ad Annemiek Van Vleuten e di riflesso a La Passione, partner tecnico del Movistar Team per quel che riguarda l’abbigliamento da gara. 

In poco più di un mese la fuoriclasse olandese ha saputo conquistare la meritata doppietta: prima il Giro d’Italia Donne e successivamente il Tour de France Femmes.

Dopo un inizio sofferto a causa di problemi di salute, la Van Vleuten ha saputo fare sua la corsa a tappe francese dominando le due frazioni sui Vosgi. Prima ha sbaragliato la concorrenza con un’azione da lontano nella tappa con arrivo a Le Markstein. Il giorno dopo ha conquistato in maglia gialla l’arrivo a La Super Planche des Belle Filles.

La Van Vleuten durante la prova abbigliamento fatta quest’inverno. Attenzione massima per ogni dettaglio
La Van Vleuten durante la prova abbigliamento fatta quest’inverno. Attenzione massima per ogni dettaglio

Abbigliamento top

La vittoria della Van Vleuten ha permesso a La Passione di conquistare, dopo il Giro d’Italia femminile, anche il Tour de France Femmes e sigillare un 2022 che rimarrà indimenticabile. 

Nei giorni di gara la campionessa olandese non ha mancato di sottolineare il perfetto feeling che si è creato fin da subito con l’abbigliamento tecnico de La Passione: «Se non mi trovo a mio agio con quello che indosso – ha detto – non posso essere me stessa nemmeno in corsa. Questo è fondamentale. Voglio essere al cento per cento, e ogni più piccolo dettaglio conta».

La forte sintonia che si è venuta a creare tra la stessa Van Vleuten e La Passione è riassunta perfettamente nelle parole di Yiurika Marchetti, Co-Founder di La Passione: «E’ davvero incredibile come Annemiek incarni in tutto e per tutto la filosofia di La Passione. Ha un carattere di ferro, formato dalle avversità e dalla determinazione. La sua vittoria è un grande traguardo per il movimento. Esserne parte attiva era già un orgoglio, ma Annemiek ha reso tutto più speciale con questo successo che è molto di più che una bella storia da raccontare: è una realtà di lavoro e sacrificio, un motivo di ispirazione per tutti, noi inclusi». 

Annemiek Van Vleuten ha conquistato la maglia gialla dopo le due tappe corse sui Vosgi in maniera eccellente
Annemiek Van Vleuten ha conquistato la maglia gialla dopo le due tappe corse sui Vosgi in maniera eccellente

Contro il caldo

L’edizione femminile del Tour de France ha risentito, a pari di quella maschile, del gran caldo: la famosa “canicule” di cui abbiamo sentito più volte parlare dagli inviati al seguito della corsa.

Ad alleviare la sofferenza causata dal gran caldo un ruolo fondamentale lo ha svolto la linea Ultralight de La Passione, studiata appositamente per le condizioni estive più critiche.

E’ sempre Yourika Marchetti a descrivere le caratteristiche principali di questa linea: «Questi sono prodotti dal peso piuma, caratterizzati da un tessuto a rete ultra traspirante. La maglia in particolare è dotata di maniche a giro e di uno scollo generoso per evitare di sentire la necessità di aprire la zip in corsa e perdere di conseguenza in aerodinamica. Sappiamo che per Annemiek questi dettagli sono molto importanti, anzi fondamentali. Per noi è un piacere lavorare con una campionessa così meticolosa che ci porta continuamente ad alzare l’asticella, rendendo poi fruibili queste evoluzioni tecniche anche ai nostri clienti».

In Francia la Van Vleuten ha utilizzato anche l’Ultralight Road Skinsuit. Il tessuto a rete di cui è composto, oltre che essere traspirante grazie alla sua costruzione a rombo, si asciuga rapidamente, garantendo il massimo del comfort ed evitando la sensazione di freddo che spesso i corridori percepiscono in discesa, anche nelle giornate più calde. 

Il programma di Annemiek Van Vleuten prevede ora la Challenge by La Vuelta in programma dal 7 all’11 settembre. Nel caso in cui la fuoriclasse olandese riuscisse nell’obiettivo di vincerla si tratterebbe di un risultato sensazionale: vincere nella stessa stagione Giro, Tour e Vuelta. Non è mai riuscito a nessuno fino ad ora.

La Passione