Andrea Vendrame vittoria al Giro d'Italia

Rosti ancora per tre anni con l’AG2R – Citroën

21.06.2021
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Durante il Giro d’Italia è stato ufficializzato il rinnovo per altri tre anni dell’accordo di sponsorizzazione tecnica dell’AG2R – Citroën da parte di Rosti. Per farci raccontare qualcosa di più siamo andati a trovare Giovanni Alborghetti, titolare insieme al fratello Maurizio di Rosti Maglificio Sportivo, presso la sede dell’azienda a Brembate, in provincia di Bergamo.

Allora Giovanni, come è andato il rinnovo della sponsorizzazione?

Ci siamo incontrati con Vincent Lavenu, manager dell’AG2R – Citroën a Torino alla vigilia della partenza del Giro ed abbiamo raggiunto subito l’accordo per la conferma della nostra partnership. Si tratta di un rinnovo triennale e tenendo conto che quello in corso è già il quarto anno in cui lavoriamo con loro, alla fine arriveremo ad una collaborazione lunga sette anni. Un bel record!

Da sinistra, Giovanni Alborghetti, Vincent Lavenu e Maurizio Alborghetti
Da sinistra, Giovanni Alborghetti, Vincent Lavenu e Maurizio Alborghetti
Da sinistra, Giovanni Alborghetti, Vincent Lavenu e Maurizio Alborghetti
Da sinistra, Giovanni Alborghetti, Vincent Lavenu e Maurizio Alborghetti
Come è nata la vostra collaborazione con il team francese?

Tutto nasce da una forte arrabbiatura (in realtà usa una espressione più colorita, ndr) provata nel 2018 a seguito del mancato invito al Giro del Team Androni di cui eravamo fornitore tecnico. Ne ho parlato allora con Michael Magnin, responsabile di Rosti Francia, dicendogli di trovarmi una formazione francese da poter sponsorizzare. Dal momento che lui in passato aveva gareggiato con la formazione under 23 dell’AG2R mi ha creato un contatto con Vincent Lavenu. Ci siamo così visti alla Parigi – Nizza. Nel frattempo lo stesso Lavenu aveva avuto dei riscontri positivi sulla qualità dei nostri prodotti da chi li stava già indossando. Purtroppo all’inizio non se ne è fatto nulla dal momento che le sue richieste e quanto noi proponevamo non combaciavano.

L'interno della sede di Rosti
L’interno della sede di Rosti
L'interno della sede di Rosti
L’interno della sede di Rosti rispecchia la creatività tipica del marchio bergamasco
Alla fine come si è arrivati all’accordo?

Eravamo a luglio e Magnin era qui da noi in azienda. Ad un certo punto l’ho visto agitarsi mentre stava telefonando. Non sapevo con chi stesse parlando e neppure il motivo della sua agitazione. Al termine della chiamata è venuto da me tutto euforico per dirmi che avevamo trovato l’accordo con Lavenu. Da lì è iniziato tutto.

E’ stata una collaborazione fin dall’inizio facile o ci sono stati dei problemi?

Per prima cosa abbiamo deciso di sottoscrivere un accordo annuale con opzione per il secondo anno. Volevamo essere sicuri che alla fine del primo anno sia noi che loro fossimo soddisfatti dell’accordo raggiunto. Devo dire che il primo anno è stato davvero difficile in quanto le pretese del team erano altissime costringendoci ogni volta a innumerevoli modifiche e correzioni. Alla fine però sono stati contenti del lavoro che abbiamo fatto per loro e lo stesso Lavenu è stato felice di far valere l’opzione per il secondo anno. Subito dopo è arrivato un ulteriore rinnovo per altri due anni fino all’accordo sottoscritto alla vigilia del Giro che porterà alla fine ad una sponsorizzazione di sette anni.

Giovanni Alborghetti nella sede dell'azienda
Giovanni Alborghetti nella sede dell’azienda
Giovanni Alborghetti nella sede dell'azienda
Giovanni Alborghetti nella sede dell’azienda
C’è qualche curiosità che ci puoi raccontare sulla divisa di quest’anno?

A essere sinceri, la divisa è stata disegnata dai vertici Citroën e noi ci siamo attenuti alle loro indicazioni. All’inizio non ero molto convinto dell’impatto che avrebbe avuto. Poi ho iniziato ad usarla anch’io nelle mie uscite in bicicletta e mi è piaciuta sempre più. Aggiungo una piccola curiosità che pochi hanno forse notato. Quando il team corre in Francia, sul pantaloncino viene riportato il logo AG2R. In tutte le altre corse troviamo invece al suo posto il logo Citroën. È il frutto di un accordo fra il team e la casa automobilistica.

Tra le tante squadre che vestite troviamo anche il team Colpack – Ballan…

Abbiamo collaborato con loro per nove anni. Con l’arrivo dell’AG2R avevamo deciso di interrompere la collaborazione perché temevamo di non poter soddisfare appieno le loro aspettative. Dopo tre anni di pausa siamo tornati a lavorare insieme.

Un’ultima domanda. C’è un corridore che ti piacerebbe veder gareggiare in maglia Rosti?

Come primo nome mi viene in mente Sagan, ma è un sogno. Sarei però contento che in una squadra vestita da Rosti corresse Giacomo Nizzolo che è un amico e qui da noi è uno di casa.

 Ayuso con i pantaloncini rosa realizzati in tempi record da Rosti
Ayuso con i pantaloncini rosa realizzati in tempi record da Rosti
 Ayuso con i pantaloncini rosa realizzati in tempi record da Rosti
Ayuso con i pantaloncini rosa realizzati in tempi record da Rosti

Mentre ci stavamo salutando (n.d.r. erano le 11.00) è arrivata una telefonata dalla Colpack impegnata in quei giorni al Giro Under 23. Dal team chiedevano per le 17.00 un paio di pantaloncini rosa per Ayuso per la tappa del giorno dopo. Una saluto veloce e Giovanni Alborghetti si è messo subito all’opera per prepararli. Se avete fatto attenzione, erano i pantaloncini che lo spagnolo ha utilizzato nell’ultima tappa, quella che ha decretato il suo trionfo.

rosti.it

Ponomar, il bimbo del Giro. Poche parole, tanti fatti

25.05.2021
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Con i suoi 18 anni Andrii Ponomar è il corridore più giovane del Giro d’Italia. Di fronte a lui persino Remco Evenepoel sembra un’esperto e Bernal un “vecchietto”. L’Ucraino corre con l’Androni Giocattoli-Sidermec. Fino a qualche mese fa i suoi avversari erano i ragazzi che vanno a scuola, che devono prendere la patente, adesso invece eccolo tra Nibali e Yates

Ponomar (il primo a destra) è approdato all’Androni questo inverno, ha fatto lo junior in Italia
Ponomar (primo a a destra) è approdato all’Androni questo inverno

Scuola Franco Ballerini

Andrii non è molto loquace, primo perché parla poco l’italiano, e secondo perché è proprio così: poche chiacchiere e tanta sostanza.

«Il Giro? Bello. “Io contento”. Come me lo aspettavo? Così…». Non è facile tirargli fuori commenti ed emozioni, però i suoi compagni e lo staff ci dicono che invece si è ben inserito nel gruppo e sta bene in compagnia. Ponomar, che viene dalla scuola della toscana Franco Ballerini, ha fatto quindi il grande salto juniores-professionisti. Un qualcosa che è sempre meno raro, per chi ha le qualità come lui. Ma certo ritrovarsi a fare un Giro non è cosa da poco.

Fisico possente, neanche tiratissimo, ha dei margini enormi. E se un ragazzino dopo 14 tappe si ritrova in fuga verso lo Zoncolan qualcosa di buono deve averlo per forza. «Io ogni giorno mi sento più forte – dice Ponomar – ma la tappa alla vigilia del primo giorno di riposo (la L’Aquila-Foligno, ndr) per me è stata la più dura. Ero stanco».

L’ucraino sistema il computerino prima di partire. Compirà 19 anni a settembre
L’ucraino sistema il computerino prima di partire. Compirà 19 anni a settembre

Un gestione delicata

Come gestiranno in casa Androni questo talento? «Con la massima attenzione verso l’atleta – spiega il team manager Gianni Savio – Andrii chiaramente deve imparare non tanto, tutto. Lo abbiamo portato per fargli fare esperienza, senza la minima pressione. Non so se ritirerà, non abbiamo un programma preciso in tal senso. Finché starà bene e se la sentirà andrà avanti. Io più che con lui sono in stretto contatto con il medico della squadra, Andrea Giorgi. Lo monitoriamo costantemente la mattina e la sera. E se Giorgi mi dirà che i suoi valori sono in calo, che sta andando oltre i suoi limiti io andrò dal ragazzo e lo fermerò». 

Ponomar sullo Zoncolan, dopo 14 tappe ha trovato la forza di andare in fuga
Ponomar sullo Zoncolan, dopo 14 tappe ha trovato la forza di andare in fuga

Fuga sì, fuga no!

Contrariamente a quanto ci si potesse aspettare vista la sua giovane età, Ponomar non ha un corridore di stretta fiducia che gli stia accanto, in corsa e fuori. Un po’ tutti e un po’ nessuno sono le sue “chiocce”. Lui ama fare da solo, provare sulla propria pelle.

«Chi mi aiuta? Nessuno… Però anche io aiuto la squadra – rilancia come a sentirsi sminuito – ho cercato di andare in fuga e mi sarebbe piaciuto andarci di più. Cosa mi piace del Giro? Quando vinco, quello è bello!».

Sorride Savio che è al suo fianco. 

«I primi giorni – dice il team manager piemontese – durante le riunioni mi diceva: io quando in vado in fuga? Quando tocca a me? E io lo tenevo buono. Dopo una settimana di Giro ha smesso di chiedermelo! E’ un bravo ragazzo, taciturno, come avete visto, ma anche gioviale. Ha un grande motore, ma non mettiamogli fretta». E infatti l’altro giorno è andato in fuga verso lo Zoncolan: il coraggio (e il motore) non gli mancano.

Miche, le ruote veloci e insieme leggere dell’Androni

22.05.2021
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Il team Androni Giocattoli Sidermec utilizza le ruote Miche Supertype con profilo da 50 o 38 millimetri.

La leggerezza e la performance sono garantite dall’alto livello di qualità dei materiali utilizzati. Il cerchio, ovvero il componente più consistente della ruota, è realizzato con fibra di carbonio 3K. Mentre il mozzo è realizzato in alluminio 7075 T6 forgiato, al fine di offrire un’adeguata resistenza e anche la migliore scorrevolezza possibile, grazie ai cuscinetti sigillati SKF.

«I corridori – racconta Paolo Bisceglia, responsabile Miche – hanno la possibilità di scegliere il profilo che ritengono più adatto in base al tipo di percorso che dovranno affrontare. Se prendiamo in considerazione le Supertype 550 da 50 millimetri, si può sostenere sicuramente che sono ruote adatte all’alta velocità. Si prestano su qualsiasi tipo di terreno, ottime anche in salita».

Luca Chirico, professionista dal 2015, è attualmente in forza al team Androni Giocattoli Sidermec.

«Io personalmente – dice – utilizzo le ruote da 38 millimetri. Non sono un velocista che fa solo corse piatte. Grazie alle Supertype da 38 mm riesco a trovarmi bene sia in pianura che in salita.”

Le Miche Supertype da 50 mm
Le Miche Supertype da 50 mm

Raggi in acciaio

I raggi sono realizzati in acciaio Inox, inseriti rispettando l’ordine di un design innovativo che prevede una raggiatura 14+7 e che bilancia in maniera ottimale le forze di trazione e di frenata, mantenendo un peso accetabile.

«Sono raggi sottili – riprende Bisceglia – ma sapete, a noi interessa che siano di quantità inferiore, ma altissima qualità, piuttosto che inserire un esagerato numero di raggi che si rompono non appena avviene un piccolo urto. Preferiamo una distribuzione su tutto il cerchio che abbia un progetto ben studiato».

Le Miche Supertype da 38 mm
Le Miche Supertype da 38 mm

Anche per copertoncino

Le ruote sono per tubolare, ma esiste anche una versione per copertoncino che i corridori utilizzano in allenamento e che a quanto pare sono molto apprezate al punto da essere utilizzate anche in corsa.

«Sono lo stesso modello – dice Bisceglia – però per copertonicno e tubeless. Da quel che so, i corridori le utilizzano anche in corsa, specialmente quando ci sono delle particolari difficoltà meteorologiche per le quali aumenta il rischio di foratura. In base a quello che ci riportano i tecnici, i corridori sono estremamente soddisfatti. Anche i meccanici sostengono che le nostre ruote sono rigide al punto giusto, non si muovono ne tantomeno disperdono velocità. Preferiamo parlare con lo staff – conclude Bisceglia – altrimenti dovremmo parlare con 20 corridori contemporaneamente. Un pregio delle ruote? La reattività sicuramente, contribuiscono allo scatto in modo soddisfacente. Non sono ruote che restano inchiodate, tutt’altro».

Le Supertype 338
Le Supertype 338

Leggere e performanti

Le Supertype 550 da 50 mm pesano 1.488 kg, mentre le 338 da 38 millimetri pesano 1.430 kg. Sono realizzate con gli stessi identici materiali, entrambe sono ruote per freni a disco.

«Come dico sempre – riprende Bisceglia – la ruota non va mai considerata in base al singolo pezzo con il quale è montata. Bensì, la differenza finale, la farà l’insieme di questi pezzi, ognuno dei quali, contribuirà a rendere omogeneo e scorrevole il movimento ciclico della ruota. Può sembrare scontato – continua – ma non è affatto così. Non bisogna credere che un componente ne compensì l’altro. Ognuno fa il suo e lo deve fare nel migliore dei modi per garantire la massima prestazione».

miche.it

E venne finalmente la prima tappa di Nizzolo

21.05.2021
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Mentre Nizzolo veniva scortato verso il palco, nel marasma dopo l’arrivo i suoi compagni del Team Qhubeka-Assos si abbracciavano con uno slancio raro a vedersi. La squadra aveva già vinto due giorni fa la tappa di Montalcino con Schmid e la volata con il milanese ha prolungato il momento pazzesco per un team rinato dal poco, che nei giorni scorsi aveva perso con Pozzovivo l’uomo per la classifica. Mentre raccontava il finale ai colleghi belgi, Campenaerts è parso commuoversi. Quando lo raccontiamo a Giacomo, anche lui ha il groppo in gola.

La pelle d’oca

«Mi viene la pelle d’oca – dice – adesso che hai menzionato questa cosa. Ho sentito attorno una fiducia estrema e questa cosa mi ha dato tantissima motivazione nei giorni scorsi. Probabilmente abbiamo sbagliato qualcosa, ma sentivo grandissima fiducia da parte loro. Tutti erano concentrati nei minimi dettagli, per portarmi al meglio negli ultimi metri. E devo dire che li ringrazio tantissimo perché oltre all’aspetto fisico, anche dal punto di vista mentale mi hanno dato tantissima fiducia. E spero si possano godere questa vittoria».

Victor Campenaerts dopo l’arrivo era davvero contentissimo
Victor Campenaerts dopo l’arrivo era davvero contentissimo

Lampi negli occhi

Il racconto ha perso forse lo slancio della grande emozione e Nizzolo sembra molto controllato nei suoi slanci. Nei giorni scorsi avevamo raccontato del suo casco e della sua bicicletta, ma questa volta è diverso. Però nel lampeggiare degli occhi sopra il bordo della mascherina, si capisce che la vittoria ha messo a posto tutti i tasselli. Arrivare secondo magari non peserà tanto, ma di certo un po’ fastidio lo dà.

E’ una lettura giusta?

La vittoria mette in ordine tutti i pezzi, dà un senso al cammino fatto finora. Averla vinta chiude il cerchio di tutto quello che c’è stato prima. 

Sull’arrivo con il fiato corto e l’emozione: prima vittoria al Giro
Sull’arrivo con il fiato corto e l’emozione: prima vittoria al Giro
Già una volta prima di oggi avevi esultato, invece la vittoria ti fu portata via…

Se parlate di Torino nel 2016, la sentivo mia, ma la valutazione dei giudici è stata diversa (Giacomo tagliò per primo il traguardo, ma venne declassato per aver chiuso Modolo alle transenne, ndr). Ci sono state parecchie occasioni in cui ho sentito di poter vincere eppure ho sbagliato qualcosa nel finale. Però sapevo di avere il potenziale di poter vincere una tappa al Giro. Oggi non ero particolarmente teso, mi sono concentrato sulla mia volata. Poteva essere oggi, come un altro giorno

L’allungo di Affini ti ha offerto un riferimento?

Il mio obiettivo di oggi era riuscire a esprimere il mio potenziale senza rimanere chiuso. In realtà questo finale era quello che meno mi piaceva, per la strada larga e dritta, mentre io preferisco gli arrivi tecnici. Ho preso come riferimento prima Gaviria e poi Affini, che mi ha dato un punto di riferimento e che ha fatto una sparata davvero notevole. Il mio obiettivo era non rimanere chiuso. Ho preso probabilmente un po’ troppa aria, ma è andata bene così.

I compagni lo hanno abbracciato e hanno festeggiato con rara commozione
I compagni lo hanno abbracciato e hanno festeggiato con rara commozione
C’erano tutti i tiuoi tifosi, ma questa volta non c’era tuo padre…

E’ vero, il mio fan club è un insieme di amici e parenti che mi seguono ogni volta che possono. Oggi mancava mio papà Franco perché ha subìto un’operazione pochi giorni fa, niente di grave, ma è ancora in ospedale. Una menzione speciale va a lui, spero di avergli dato un motivo per sorridere.

E alla fine è arrivata anche la tappa al Giro.

Perché non avessi mai vinto è una bella domanda, alla quale non saprei dare una risposta. In volata non è mai semplice trovare la quadra. Il mio motto è fare il meglio, se taglio il traguardo sapendo di aver fatto il massimo, allora non ho rimpianti. Oggi per vincere ho rischiato di perdere, perché mi sono esposto al vento molto presto e mi è andata bene.

I tifosi erano con lui, mancava solo suo padre Franco
I tifosi erano con lui, mancava solo suo padre Franco
Si può dire che ora il grande obiettivo di stagione, soprattutto dopo il secondo posto alla Gand, sia il mondiale nelle Fiandre?

Ho assolutamente la motivazione di farmi trovare nelle migliori condizioni possibili nel periodo del mondiale. Farò un programma di avvicinamento adatto a questo. Ho visionato il percorso, mi piace molto, però devo farmi trovare al top della condizione per farmi trovare competitivo ai mondiali.

Cassani, che continua a sfilare accanto a loro da giorni e per tutto il giorno, avrà certamente annotato il suo nome. Fece di Giacomo il leader per i mondiali del 2016 a Doha, quando era ancora un ragazzo di 27 anni, pieno di promesse, ma molto meno solido di adesso. Un posticino per lui nel personale elenco degli azzurri, probabilmente a prescindere da questa vittoria, crediamo fosse già stato previsto. Diciamo che ora probabilmente potrebbe essere un posto più comodo.

Quando Egan si perse con la bici da crono: Ellena racconta…

21.05.2021
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L’unico sterrato che finora abbia mai respinto Egan Bernal, ricorda Giovanni Ellena, è quello che si trovò sotto le ruote con la bicicletta da cronometro in un giorno del 2016.

«Mi telefonò da un punto sperduto a 10 chilometri da casa – ricorda il direttore sportivo piemontese della Androni – dicendomi che non riusciva più a tornare a casa. In effetti aveva imboccato una strada che di colpo era diventata sterrata e che non lo avrebbe mai ricondotto all’hotel in cui viveva. Così andai a riprenderlo con la Peugeot di mia figlia. Non ricordo perché non avessi l’ammiraglia, ma ricordo benissimo il percorso di ritorno con quella macchina così piccola e la bicicletta da cronometro caricata dentro».

Nei mesi alla Androni Giocattoli, Egan ha vissuto a lungo in PIemonte
Nei mesi alla Androni Giocattoli, Egan ha vissuto a lungo in PIemonte

Il sorriso giusto

Negli ultimi mesi secondo Ellena qualcosa è cambiato. Aveva incontrato il suo ex corridore nei giorni del Trofeo Laigueglia, quando aveva approfittato del passaggio in Italia per visionare qualche tappa del Giro, e lo aveva trovato teso e incupito. Adesso invece è evidente che Egan abbia ritrovato la voglia di divertirsi, il sorriso giusto e soprattutto stia finora tenendo a bada il mal di schiena.

«Nei giorni scorsi – prosegue Ellena – è venuto qualche volta all’ammiraglia per parlare scambiare qualche battuta. Ci siamo anche scritti dei messaggi. Io credo che aver corso a marzo la Strade Bianche gli abbia dato la fiducia per fare quella tappa verso Montalcino, avendo per di più accanto una squadra così forte che gli ha permesso di gestire a proprio piacimento la tattica. Ha la faccia di quando finalmente può fare le cose a suo modo e si ha la sensazione che si stia davvero divertendo».

La coppia colombiana, Bernal-Sosa, ora entrambi alla Ineos
La coppia colombiana, Bernal-Sosa, ora entrambi alla Ineos

Istinto da biker

Neppure Ellena si è troppo meravigliato dell’ottimo comportamento del colombiano prima sullo strappo di Campo Felice e poi sugli sterrati toscani.

«Non dimentichiamoci – dice – che viene dalla mountain bike. Ha partecipato anche ai mondiali e non solo per onor di firma, ma prendendo medaglie. Al punto che quando arrivò da noi, mantenemmo per lui una posizione più alta e vicina a quella della bici da fuoristrada. Soltanto dopo il Lombardia del 2016, che lui non corse a causa della caduta al Beghelli, lo portammo da un biomeccanico e passò definitivamente alla posizione da strada, abbassandosi di quasi 2 centimetri nella parte anteriore».

Il colombiano è di ottimo umore: si vede anche dal modo di correre
Il colombiano è di ottimo umore: si vede anche dal modo di correre

Quella tacchetta

La biomeccanica è un pallino di Giovanni Ellena, così anche lui sentendo parlare di mal di schiena e degli spessori che il colombiano ha sotto la scarpa destra, ha un po’ storto il naso.

«Volendo essere puristi – dice – qualche appunto si potrebbe fare. Però la sensazione è che per ora le cose funzionino e, se sta bene lui, sta bene anche a noi. E’ nuovamente un piacere vederlo correre e credo anche che per lui si possa tirare fuori la definizione di fuoriclasse. A ben vedere, è un corridore che può vincere i tre grandi Giri e anche classiche dure come la Liegi. A questo si aggiunga la sua grande intelligenza. Aveva sempre detto di voler correre la Strade Bianche, ma sono certo che in quel giorno di marzo mentre pedalava verso il podio, si è reso conto che quel percorso gli sarebbe andato bene anche al Giro d’Italia. E per lo stesso motivo, fatte tutte le proporzioni, a marzo ci abbiamo portato anche Cepeda. Finì fuori tempo massimo, ma almeno l’altro giorno a Montalcino si è salvato alla grande».

Bisolti “inviato speciale” al Tour du Rwanda racconta…

13.05.2021
9 min
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C’era un solo italiano al via del Tour du Rwanda, Alessandro Bisolti. Una dozzina di giorni, viaggio di andata e ritorno incluso, nel piccolo Paese nell’Africa centrale. Una corsa diversa, in una Nazione “ciclisticamente nuova”. Una trasferta esotica e ricca di significati.

Il ciclismo si apre a nuove realtà e va in uno Stato e da un popolo che escono da una delle più atroci guerre civili degli ultimi anni. Un genocidio tremendo, quello del 1994, del quale è impossibile definire il numero dei morti (forse un milione). Dovette intervenire l’Onu per ristabilire la situazione. Certe cicatrici restano e quando si riparte, anche con lo sport è sempre un momento importante. E per questo Bisolti era il nostro “inviato”.

All’avventura

«Prima di partire mi sono anche documentato – racconta il corridore dell’Androni Giocattoli Sidermec – Ammetto di essere stato un po’ titubante. Correre in Africa può sembrare un’avventura, soprattutto durante una pandemia. Invece già dall’atterraggio all’hotel si è rivelato tutto subito al top. Ci hanno fornito il numero del governo ruandese, ci hanno fatto il tampone…».

Bisolti è da poco rientrato a casa sua, tra le Valli Giudicarie, sulle sponde del Lago d’Idro e il tono del racconto è squillante e vivo. Sono stati giorni importanti, costruttivi e anche ricchi di sorprese.

«Se riesco a mantenere la sveglia del Rwanda uscirò sempre presto! Alle 5,30 si era già tutti svegli perché le tappe partivano alle 9 e in un paio di occasioni ci sono stati da fare dei trasferimenti visto che siamo rimasti sempre nello stesso hotel».

Tornanti questi sconosciuti

Ma non va dimenticato anche l’aspetto agonistico del viaggio. Bisolti parla di tappe non lunghe ma molto dure e praticamente in altura, visto che la capitale, Kigali, sorge a circa 1.500 metri di quota ed era uno dei punti più bassi.

«Una cosa che mi ha colpito dei percorsi – dice Bisolti – è che non hanno “inventato” i tornanti. Mamma mia che muri. Si andava su dritti con strappi anche al 20%. Salivi di 200-300 metri in un chilometro e mezzo. 

«E poi la gente a bordo strada: che bello! Impazziva letteralmente per la corsa. Purtroppo a causa del Covid non siamo riusciti a godercela in pieno perché le restrizioni erano severe. Avevamo sempre la polizia vicino con i manganelli alla cintura. Però il calore si avvertiva lo stesso. Pensate che una volta dovevo fare pipì e in 140 chilometri ho fatto fatica a trovare un punto dove non ci fosse nessuno per fermarmi. Certe scene di pubblico a bordo strada le ho viste solo quando il Giro partì dall’Olanda. Un entusiasmo che da noi si fa fatica trovare. I bambini ti rincorrevano in salita. E anche in allenamento ogni volta ci salutavano.

«Un giorno, dopo l’arrivo ho regalato un paio di borracce e sembrava chissà cosa gli avessi dato. Mi è dispiaciuto non avergliele potute lanciare con la nuova regola Uci. Un peccato per quei bambini e per me».

Alessandro Bisolti tra i bambini: è “la sua foto” di questa trasferta
Alessandro Bisolti tra i bambini: è “la sua foto” di questa trasferta

La “foto” del Rwanda 

«La mia foto di questa trasferta? I bambini. Un giorno volevo farmi un selfie con loro. Per fare un bello scatto li ho chiamati, sotto l’occhio di una poliziotta. Ne sono arrivati, due, quattro, cinque… in un attimo saranno stati 30. A quel punto mi sono sbrigato perché altrimenti davano la colpa a me di eventuali contagi. E’ la scena che più mi è rimasta in mente».

Bisolti avrebbe voluto avere un po’ più di tempo per godersi il Rwanda, conoscere la gente e i luoghi. Ma le norme sulla pandemia erano severe anche per i corridori e quel poco che ha visto lo ha fatto dalla sella.

Bici tuttofare

«Ho imparato – continua il corridore di Savio – che puoi trasportare ogni cosa con la testa. Vedevi queste donne che mettevano sul capo, banane, ceste, fusti di latte e camminavano con un equilibrio pazzesco. Entravi nei paesi ed era pieno di gente. Tutti che si muovevano a piedi o in bici, sulle quali caricavano di tutto. Nei trasferimenti alle 6 del mattino, vedevamo che erano già tutti super attivi.

«Le strade erano pulite. Davvero un popolo ordinato, dignitoso. Poi sì, c’erano anche delle baracche come succede in queste Nazioni. Il ricco è ricco per davvero e il povero è super povero. E così si passava dai grattacieli moderni, dai quartieri più lussuosi appunto, alle baraccopoli. Mi auguro che tra qualche anno tutti possano stare meglio. 

«Io avevo già corso in Gabon qualche anno fa e la situazione era diversa. Sporcizia per strada, alloggi meno confortevoli, problemi per mangiare, in Rwanda niente di tutto ciò. E poi foreste, cascate… Se dovessi tornare vorrei portare anche la mia compagna, Sara, per farle vedere tutto ciò. Il clima? Sara mi ha detto: non ti sei abbronzato molto! E ci credo, era abbastanza fresco. Un po’ perché si era in alto e un po’ perché uno scroscione lo abbiamo preso o schivato tutti i giorni. Tante volte ci è capitato di passare sulla strada fumante con il sole che faceva evaporare l’acqua appena caduta».

Avamposto francese

Il Rwanda era territorio belga ai tempi del colonialismo, adesso invece c’è una forte influenza francese. Fu proprio la Francia a farsi promotrice dell’intervento Onu del 1994 ed è stata Aso che ha organizzato il Tour du Rwanda. Anche il presidente Uci, David Lappartient si è fatto vedere.

«E’ venuto anche lui. Vogliono organizzare un mondiale in Africa, in Marocco (si parla del 2025 e in ballo c’è il Rwanda stesso, ndr). Di giovani che vanno in bici attrezzati ne avrò visti giusto un paio, però magari anche grazie a queste corse può nascere un movimento che fra qualche decennio può decollare».

Il livello della corsa era buono e infatti in gara c’erano una WorldTour, la Israel Start-Up Nation, e diverse professional, tra cui le francesi Total Direct Energie e la B&B, oltre all’Androni chiaramente.

«Si andava forte – commenta Bisolti – c’erano dei corridori buoni. Noi siamo arrivati al ridosso del via. Alcune squadre invece erano lì già da un po’ e ne hanno approfittato per fare altura. Si erano adattati meglio. Altura più gara: un Rolland della situazione si prepara per il Tour de France.

«Tappe brevi magari ma con 2.500 metri di dislivello. Nella sesta tappa sono andato in fuga ma nel finale sono andato in crisi di fame. Ero un po’ vuoto per qualche problemino intestinale, altrimenti sarei arrivato con Rolland e Vuillermoz, non male!».

Tattiche naif

Bisolti racconta con lo stesso entusiasmo con cui è stato accolto dalla gente ruandese. E tra i suoi ricordi si parla anche della tattica.

«C’erano i giovani di alcune nazionali come Algeria, Eritrea, Kenya… e il modo di correre era un po’ diverso, più confusionario. Per dire: li ho visti scattare mentre si andava a 60 all’ora in un falsopiano in discesa. O partire da soli quando la fuga aveva ormai 10′.

«Ma il meglio è stato all’ultima tappa. Rompo la bici praticamente al chilometro zero. Me ne danno una che non era la mia e sulla quale proprio non riuscivo a pedalare. Così mi dico: vabbè faccio gruppetto. Mi metto dietro tranquillo, quando vedo alcuni corridori che su uno di quegli strappi dritti prendono e scattano. Ma come – mi dico – partono nel gruppetto? Quindi restavo in fondo da solo. In cima erano stremati e li riprendevo. Si mettevano a ruota. Arrivava un altro strappo e giù che riscattavano. All’inizio mi ero anche innervosito, perché comunque non si fa così, poi l’ho presa a ridere. Alla fine ne avevo 20-30 a ruota».

Tesfatsion, una bella storia sulla strada del Giro

28.04.2021
6 min
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«Chiamatemi Natalino», sorride Tesfatsion. Come a dire che non sarà questo a cambiargli la vita. E’ stato Stefano Di Zio, massaggiatore della Androni Giocattoli-Sidermec, a coniare il diminutivo, perché Natnael non riuscivano a dirlo.

Natnael Tesfatsion ride e con orgoglio ci guida nella sua storia, iniziata in Eritrea 21 anni fa. I capelli ricci legati sopra e l’inglese per farsi capire. In Europa non ha ancora ottenuto grandi risultati, per cui di fronte alla richiesta di un’intervista deve aver pensato che fosse motivata soltanto dalle sue origini. In realtà, l’idea di approfondire il discorso è scattata dopo aver parlato con Daniele Nieri. Il direttore sportivo del Team Qhubeka continental a un certo punto dell’articolo iniziò a raccontarci di quanto siano forti gli eritrei che negli ultimi tempi sono transitati per la sua squadra e aveva puntato il dito su due in particolare. Tesfatsion della Androni e Ghebreigzabhier della Trek. Per questo siamo qui.

Re del Rwanda

Natalino è arrivato alla Androni proprio quest’anno, dopo due stagioni nella continental sudafricana. Nel suo palmares spiccano soprattutto la classifica generale del Tour of Rwanda del 2020 e il secondo posto dell’anno prima ai campionati nazionali, battuto dall’amico Natnael Berhane della Cofidis. Un metro e 75 per 58 chili, la scheda parla di uno scalatore. Il Giro d’Italia sarà un bel banco di prova, ma sarebbe prematuro pretendere la luna: si tratta pur sempre di un neoprofessionista di 21 anni

Al Tour of Rwanda 2020, per Tesfatsion tappa e maglia a Rubavu
Al Tour of Rwanda 2020, per Tesfatsion tappa e maglia a Rubavu
Quando sei salito per la prima volta su una bicicletta?

Avevo 13 anni, ad Asmara. La mia città, la capitale dell’Eritrea. Un amico aveva cominciato a correre e quando vidi che c’erano dei grandi campioni eritrei, come Daniel Teklehaimanot, Merhawi Kudus e Natnael Behrane, è venuta la voglia anche a me. In più mio padre era molto appassionato di ciclismo e mi portava a vedere le gare. Insomma, prima giocavo a calcio ed ero anche bravo. Poi è arrivata la bicicletta. Nella prima corsa arrivai sesto.

Ricordi la prima bici?

Era bianca e nera, una mountain bike. In Eritrea cominciamo tutti sulla mountain bike, la bici da strada è arrivata a 16 anni. Adesso uso la mountain bike per andare a fare la spesa.

Com’è il mondo intorno Asmara?

Ci sono tante salite, c’è anche pianura, a una quota è di quasi 2.400 metri. Per me non è difficile correre e allenarmi a quella altitudine, perché ci sono nato. Di solito tornavo a casa ogni tre mesi, ma questa volta a causa della pandemia non vado da novembre. Ho due fratelli e due sorelle, da noi le famiglie sono più numerose che in Europa. Anche mio fratello più piccolo ha cominciato a correre. Quando sono giù ho amici corridori con cui allenarmi. I miei tre migliori amici sono tutti corridori.

Presentazione delle squadre, ultima tappa al Tour of the Alps: ora il Giro
Presentazione delle squadre, ultima tappa al Tour of the Alps: ora il Giro
E’ vero che in Eritrea si parla ancora l’italiano?

Diciamo che dopo il tigrino e l’arabo c’è l’italiano. Ho scoperto venendo in Italia che i termini tecnici della bicicletta si dicono allo stesso modo. La ruota, il telaio, la sella…

Come ci si allena in Eritrea?

Meglio che in Europa, secondo me, grazie alla alta quota. E se non fosse per qualche problema con il visto, sarebbe ottimo anche andare a farci dei training camp. Ma se non hai la possibilità di venir fuori, meglio sfruttare l’occasione e partire.

Sul fatto di allenarsi a in Eritrea, il diesse Ellena racconta che il grosso problema di quanto Tesfatsion si trova ad Asmara è l’assenza di connessione internet. Se devono parlargli, il ragazzo va presso un hotel e ne sfrutta la connessione, ma quando hanno provato a fare videochiamate per spiegargli il sistema Adams, la linea non faceva che cadere.

Ci sono tanti giovani corridori ad Asmara?

Tanti e anche forti. Con Daniele Nieri abbiamo anche parlato per provare a portarli da juniores, perché il ciclismo in Eritrea è diverso da qui e per gli juniores non ci sono tante chance di venir fuori. Cresciamo guardando tutte le grandi corse in televisione. Io sono arrivato per la prima volta nel 2019 con la Dimension Data e ricordo che le prime volte rimasi colpito dal numero dei corridori, dalle discese, dalle curve, dalla velocità. E capii che per fare il corridore bisogna anche essere molto svelti. I due anni nella continental sono stati un bel modo di imparare come stare in corsa, la tecnica, il rispetto per i rivali.

Hai vinto il Tour of Rwanda.

E’ diverso, le salite però sono dure. Le strade sono grandi e ben fatte. Magari non ci sono tanti corridori forti, ma per vincere devi andare forte lo stesso.

La crono è un terreno su cui Tesfatsion dovrà lavorare molto
La crono è un terreno su cui lavorare molto
Hai lasciato casa con un sogno?

Il mio sogno è vincere il Tour de France… Anche il Giro d’Italia, sono tutte grandi corse. Se è possibile riuscirci? E’ possibile, se lavori duramente e se Dio mi darà una mano. Con il duro lavoro e con l’aiuto di Dio, niente è impossibile.

Hai tanti tifosi in Eritrea?

Tutti i tifosi di ciclismo tifano per tutti i corridori eritrei. E noi siamo amici, sentiamo molto questa appartenenza. Per cui magari nelle corse in Africa si fanno preferenze, ma quando siamo in Europa tutti tifano per tutti.

Vivi a Lucca come quando eri nella continental?

Esatto, vivo assieme a Ghebreigzabhier della Trek e Berhane della Cofidis, mentre altri due corridori della Qhubeka, anche loro eritrei, vivono a due chilometri. Mi piace vivere in Italia, il cibo è buono. Quando non mi alleno, magari vado a fare un giro, ma il più delle volte restiamo a casa.

Alla Tirreno, il primo assaggio di WorldTour accanto ai veri big del gruppo
Alla Tirreno, il primo assaggio di WorldTour accanto ai veri big del gruppo
Sei musulmano o cristiano?

Sono cristiano ortodosso, credo molto.

E’ vero che per questo alcuni cibi non puoi mangiarli?

Non poi così tanti. Non mangio prosciutto (Ellena ha aggiunto che evita anche la carne di ovini, per quello che le zampe ungulate rappresentano nella Bibbia, ndr). Quando sono a casa preparo anche un po’ di cucina eritrea, soprattutto quando posso portare qualcosa da casa. Il mio preferito si chiama injera, un piatto unico. A Lucca non ci sono ristoranti eritrei, ma a Milano o Bolgna sì. Il nostro cibo è simile a quello dell’Etiopia.

Come è andata al Tour of the Alps?

Ho portato a casa un bel mal di gambe, ma per me è stata una grande corsa, ottima per accrescere la mia condizione e le mie performance, giorno dopo giorno. Mi sono sentito meglio sulle salite e nei piccoli sprint di gruppo. A Innsbruck mi sono piazzato nono alle spalle di Moscon. Ma non chiedetemi cosa mi aspetto dal Giro. Per il momento potrei soltanto parlarvi delle mie emozioni…

E’ cresciuto ad Asmara, però manca da novembre. La città sorge a quasi 2.400 metri
E’ cresciuto ad Asmara, però manca da novembre. La città sorge a quasi 2.400 metri

Quanto vale Natalino?

L’ultima parola la chiediamo al suo tecnico Giovanni Ellena, perché è raro imbattersi in un neopro’ che ti racconti di voler vincere il Tour.

«Lui vale molto – conferma il piemontese – lo sa, però a volte se lo dimentica. Ha dei momenti in cui cerca di capire da che parte stare. Ha molte piccole problematiche che si stanno risolvendo una ad una. Aspetti fisici, tecnici e altri legati alle abitudini e alla cultura del ciclismo. Perché in Eritrea per fortuna o per sfortuna è diversa dalla nostra, anche se i termini tecnici riguardo alla bici sono uguali ai nostri. Però ha un potenziale enorme, impressionante. Ed è una persona eccezionale. Deve crescere, ma ha tutti i mezzi per farlo. Non so quanto sia pronto per una corsa a tappe di tre settimane, però è giusto che anche lui faccia parte della partita».

Storia di Sepulveda, scalatore con la valigia

26.04.2021
4 min
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In una settimana, la stagione di Eduardo Sepulveda ha cambiato volto. Mentre il ventinovenne argentino si assicurava il terzo posto nella classifica generale del Giro di Turchia, ha scoperto che a maggio si sarebbero spalancate le porte del Giro d’Italia, in seguito alla decisione di Rcs Sport di assegnare all’Androni Giocattoli-Sidermec la wild card lasciata vacante dalla Vini Zabù a causa della positività all’Epo di De Bonis.

Al Giro di Turchia ha ottenuto il terzo posto in classifica finale (foto Androni-Sidermec)
Al Giro di Turchia ha ottenuto il 3° posto (foto Androni-Sidermec)

Dopo due apparizioni da gregario (nel 2016 e lo scorso autunno) con la Movistar, Eduardo è pronto ad affrontare per la prima volta la corsa rosa con la maglia della formazione di Gianni Savio, libero da compiti e con tanta voglia di far divertire. In questi giorni, dopo essere rientrato a casa sua ad Andorra, sta studiando il terreno per decidere dove sferrare l’attacco. Le gambe, a forza di far su e giù sui Pirenei, sono già pronte.

Che cosa ha voluto dire per te il podio in Turchia?

Innanzitutto, sono stato contento di finirlo, vista la situazione del Covid e con due squadre costrette a ritirarsi. Avevo già fatto secondo qui in Turchia sei anni fa e devo dire che questa corsa mi piace sia per le strade sia per le salite. Sono soddisfatto: è il mio quarto podio in una corsa a tappe, visto che avevo fatto due volte secondo: al Tour de San Luis in Argentina nel 2016 e al Giro d’Austria nel 2019.

Coppi e Bartali 2021, Eduardo Sepulveda in rotta sul Giro (foto Androni-Sidermec)
Coppi e Bartali 2021, Eduardo Sepulveda in rotta sul Giro (foto Androni-Sidermec)
Nel frattempo è arrivata un’altra bella notizia: pronto per il Giro d’Italia da capitano?

Per tutta la squadra è un’ottima notizia perché è la corsa più importante d’Italia e per una squadra italiana come la nostra ha un valore speciale, anche per le ragioni legate agli sponsor. Non penso a fare il capitano, ma sicuramente sarò più libero di muovermi rispetto al passato. Quando partecipi a una corsa in supporto a un leader come mi accadeva con la Movistar (nel 2018 era gregario di Richard Carapaz,ndr) è differente e tutto il giorno lavori per lui. Stavolta, invece, avrò la possibilità di lanciarmi in qualche bella fuga e provare a vincere una tappa.

Prima di tutto il caos delle wild card, avevi per caso dato una sbirciatina al percorso?

La verità è che noi dell’Androni non abbiamo visto niente del Giro perché prima pensavamo di non correrlo. Adesso che sono a casa qui in Andorra, sto cominciando a studiare bene il percorso e vedo se c’è qualche tappa in comune rispetto alle altre volte che ho fatto il Giro. Comunque, sono motivato e ho il tempo giusto per fare allenamento in altura e prepararmi con tanta salita.

Al Tour de San Luis del 2016 vince a Cerro El Amago e conquista anche il podio finale
Al Tour de San Luis del 2016 vince a Cerro El Amago e conquista anche il podio finale
Beh, c’è lo Zoncolan che avevi fatto nel 2018: te lo ricordi?

Assolutamente sì (ride, ndr). Quello è bello duro, me lo ricordo proprio bene, come potrei dimenticarlo. Comunque mi piacciono le tappe dure così, sono il sale del ciclismo.

Quale frazione ti è piaciuta di più dell’ultima corsa rosa?

La tappa dello Stelvio. E’ una salita speciale, tutti quei tornanti, l’altura: è stata davvero unica.

Dopo il Giro d’Italia, hai qualche idea di quale sarà il tuo programma?

Ho parlato un po’ con l’Argentina, che avrà soltanto un posto per l’Olimpiade di Tokyo: qualche possibilità c’è, ma non hanno ancora deciso chi correrà. Per me sarebbe la seconda volta ai Giochi dopo Rio. E anche in Giappone il percorso mi piace perché sarà per scalatori, con tanto dislivello.

Come ci si sente a non dover più fare il gregario a tempo pieno?

Mi piace perché ogni giorno è diverso, a volte si corre per gli sprinter, mentre nelle tappe in salita i ragazzi mi aiutano. Qui all’Androni ogni corridore ha la possibilità di inseguire un bel risultato e questo è stimolante.

Ha corso dal 2018 al 2020 con la Movistar, qui al Giro 2020 verso Roccaraso
Ha corso dal 2018 al 2020 con la Movistar, qui al Giro 2020 verso Roccaraso
Come si vive in Andorra?

Mi piace perché si parla spagnolo e anche per mia moglie, che è pure lei argentina, è l’ideale. Ci sono delle belle montagne da scalare e poi ci sono tantissimi professionisti che abitano qui e ci si può allenare insieme. E’ un po’ Purito Rodriguez che ha lanciato la moda, ora credo che saremo una settantina di corridori che vivono qui. Mi piace fare dislivello, ma con la testa, senza esagerare.

Ti manca l’Argentina?

Moltissimo, soprattutto la mia famiglia: mia mamma, mio fratello, mia sorella. Lo scorso inverno non ci sono andato a causa della pandemia, perché era molto complicato coi voli. Vedremo come va quest’anno. 

Mastro Ellena, pensieri sul Giro negato e poi ripreso

23.04.2021
5 min
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Quando venne fuori che la Androni Giocattoli-Sidermec non era stata invitata al Giro d’Italia e Giovanni Ellena fornì il suo commento, Gianni Savio insorse perché avrebbe preteso dal suo direttore sportivo dichiarazioni più dure e si mise a parlare di «infamia sportiva». Ellena non avrebbe mai usato simili parole e forse aveva capito che se anche lo avesse fatto (contro una scelta purtroppo legittima) non avrebbe cambiato il corso degli eventi. Giovanni pensò a gestire i suoi ragazzi e non fu facile. I corridori si erano guardati in faccia e si erano resi conto di quel che era accaduto, non era compito loro e tantomeno del direttore sportivo scagliarsi contro gli organizzatori del Giro d’Italia. Sarebbe stato persino più facile usare parole di fuoco che mettere la faccia e spiegare ai corridori in che modo sarebbero ripartiti.

Giovanni Ellena, piemontese, è nato nel 1966. In apertura Cepeda, miglior giovane al Tour of the Alps
Ellena, piemontese, è nato nel 1966. In apertura Cepeda, miglior giovane al Tour of the Alps

«Non ci sono stati conflitti interni – racconta – ma ho avuto un conflitto con me stesso. Lo abbiamo saputo come una sorpresa il 10 febbraio alla vigilia del ritiro. Quindi mi sono trovato ad Alassio, dove eravamo in ritiro, a dovermi confrontare con 35 persone. Non c’era Gianni (Savio, ndr) perché è arrivato dopo, quindi ero io il riferimento per tutti su questa valanga che ci aveva investito. Uscivamo da Caporetto, bisognava organizzare la truppa e ripartire. In quel momento ricordo di aver pensato: “Io credo di lavorare bene, nei miei limiti. Credo anche di comportarmi bene. Le decisioni che sono state prese magari non erano giuste, però erano legali. Se non ci hanno preso, forse sbaglio qualcosa nel mio lavoro. Non puoi trasmettere una grossa energia in quei momenti lì. Però dopo due giorni Caporetto l’avevamo dimenticata e avevamo iniziato a organizzarci sull’altra sponda del Piave».

Poco fumo

Giovanni è della classe 1966 ed è stato corridore. La sensazione, parlandoci, è che ogni cosa abbia dovuto guadagnarsela e abbia perciò costruito la sua storia senza troppo fumo intorno. Ogni sua parola è improntata alla concretezza. Ed è una persona troppo garbata per lasciarsi andare a dichiarazioni che farebbero a cazzotti col suo modo di essere.

Sepulveda, terzo in Turchia, sarà leader al Giro d’Italia
Sepulveda, terzo in Turchia, sarà leader al Giro d’Italia

«Abbiamo saputo che avrebbero riaperto le porte del Giro – dice – come quando le chiusero. Esattamente quando lo hanno saputo tutti. Nessuna anticipazione. C’era stata qualche supposizione, qualche ragionamento. La terza wild card era diretta a una squadra italiana, se dovevano inserirne un’altra, toccava a noi. Ma potevano anche decidere di rimanere a 22 e ci sarebbe stato poco da protestare. Quando è venuto fuori il problema della Vini Zabù, ho pensato che per noi ci fosse una possibilità. Non tanto quando è uscita la notizia di De Bonis, ma quando sono venute fuori le altre. Ho pensato che le cose non sarebbero state così facili per loro.

«Non voglio fare il giudice perché non lo sono, ma la situazione non era chiara e facile da gestire. E ho pensato: “E’ difficile che facciano il Giro. Poi se metteranno un’altra squadra, sarà Rcs a decidere”. Senza il Giro? Sarei andato a fare tutte le corse all’estero. Non mi piango addosso. Il Giro d’Italia è una corsa che amo. Ma il mio lavoro è seguire le corse e i ragazzi. Per cui se non fossi stato sul fronte occidentale, sarei andato sul fronte orientale».

Cambio di piani

Che cosa significa doversi reinventare un Giro è motivo di curiosità, anche se magari i materiali sono quelli a prescindere e semmai ci sarà stato da riprogrammare gli uomini.

Simone Ravanelli è uno degli italiani sicuri del Giro
Simone Ravanelli è uno degli italiani sicuri del Giro

«Vi dico la verità – prosegue – come squadra siamo sempre stati strutturati per fare il Giro. Da ottobre si ragionava in quel senso. Si è trattato solo di cambiare obiettivi. A maggio abbiamo sempre fatto doppia attività, questa volta abbiamo semplicemente dovuto dire di no all’organizzatore del Tro-Bro-Leon. Anche se semplice non è stato affatto. Lui ha capito, perché in passato siamo andati là a vincere con Vendrame. Non sarebbe stato rispettoso presentarsi con corridori non all’altezza.

«Al Giro punteremo sui giovani, ormai è la nostra dimensione. Santiago Umba è veramente un ragazzino. Non è detto che lo porteremo, sarebbe un azzardo, ma di certo avremo una squadra giovane. Tesfatsion per me è dentro al 100 per cento. Cepeda è un altro sicuro. Sepulveda non è giovanissimo, ma ci sarà. Ravanelli è sicuro, stiamo valutando Chirico. Purtroppo Mattia Bais non ci sarà per problemi di salute, non è al 100 per cento. E poi valutiamo un altro giovane che potrebbe essere inserito, come Venchiarutti, che sta bene. Ha corso un buon Turchia, poi è andato in Serbia. Vediamo come si comporta, però è uno dei papabili.

Il gruppo c’è

E così, terminato il Tour of the Alps, gli uomini dell’Androni Giocattoli torneranno a casa per fare le valigie. I meccanici faranno l’inventario del magazzino, i massaggiatori riforniranno le loro borse. Ma resta strano conoscere il proprio calendario con questi tempi così stretti.

Con Ivan Sosa e Vendrame, Giovanni Ellena è un riferimento anche per i suoi ex corridori
Con Ivan Sosa, Giovanni Ellena è un riferimento anche per i suoi ex corridori

«Tocchiamo un punto dolente – dice Ellena – e non è solo per il Giro d’Italia, ma per tutte le corse. Non è possibile che siamo nel 2021 e facendo il paragone con il calcio, non sai ancora dove giocherai domenica prossima e in quale campionato. Questa è una cosa di cui si sta discutendo da anni. Dal punto di vista dell’impostazione del calendario però, è andata bene così. Abbiamo inserito il Turchia e partecipato al Tour of the Alps, due corse che ben si prestavano per costruire il Giro d’Italia. Per cui abbiamo fatto lo stesso avvicinamento che avremmo fatto a cose normali.

«Quando lo abbiamo saputo, i gruppi Whatsapp sono esplosi, quello del personale e quello degli atleti. Io mi immedesimo nei ragazzi. Certi sapevano che difficilmente sarebbe stato il loro Giro, per caratteristiche, perché in squadra sono appena arrivati o perché non sono andati abbastanza bene, eppure erano tutti felici. Il gruppo c’è. Il Giro è importante per un discorso di visibilità, ma fa parte della storia italiana. E il fatto di farne parte è davvero un bel pensiero».