Corti e troppo avanzati: bocciatura secca del biomeccanico

20.02.2025
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La premessa di Mauro Testa, biomeccanico e responsabile scientifico di Biomoove Lab, è di quelle che da una parte ti mettono a tuo agio e dall’altra annunciano un lungo viaggio. Ci siamo rivolti a lui per fare nuovamente il punto sulle posizioni estreme in bicicletta. Prima avevamo parlato con Alessandro Mariano, che aveva ricondotto tutto al superiore lavoro dei ciclisti in palestra. Poi con Diego Bragato, secondo cui certi assetti sono possibili proprio perché i ciclisti sono atleti molto più completi di un tempo. Ed è stato proprio lui a suggerirci di parlare con Mauro Testa, raccontandoci il lavoro fatto con la nazionale per studiare la contrazione muscolare.

«La figura del biomeccanico in Italia è sconosciuta – dice subito Testa – e si confonde spesso il con il bike fitter, che è una figura completamente differente. Il bike fitter prende il soggetto e lo integra con la bicicletta, ma non tiene conto assolutamente dei parametri fisiologici, neurofisiologici, né morfologici. Il biomeccanico invece è in grado di farlo perché si è formato all’Università e ha studiato anche l’anatomia. Il bike fitter è un ergonomo, passatemi il termine, che cerca di posizionare l’atleta sulla bicicletta. Il problema è che ogni atleta è fatto a modo suo ed è sbagliato fare delle generalizzazioni».

Nel suo book spiccano 300 brevetti, fra cui la prima sella col gel per Selle Italia del 1994, il sistema My Own con Prologo, lo studio di validazione della bici crono di BMC, i rulli Rizer e Justo di Elite, i lavori con Aprilia e con Ferrari, lo studio delle piste di atletica Mondo, gli interni del Frecciarossa ETR100 e varie altre collaborazioni con la Fifa e la Fidal. Non poteva mancare chiaramente quella con la FCI.

Mauro Testa, piemontese, è il responsabile scientifico del centro Biomove e titolare di oltre 300 brevetti
Mauro Testa, piemontese, è il responsabile scientifico del centro Biomove e titolare di oltre 300 brevetti
Ogni atleta è fatto a modo suo, ripartiamo da qui?

Se dico che tutti gli atleti sono più trofici perché lavorano con i pesi, faccio una generalizzazione. Inoltre, dal mio punto di vista è sbagliato, perché i pesi non riproducono la specificità del movimento. Che cosa succede se avendo reso più trofiche le loro masse muscolari (invece di renderle più elastiche e quindi pronte alla contrazione o accorciamento), li portiamo avanti, accorciando il soggetto rispetto ai suoi punti di vincolo? Succede che spostiamo il centro di massa del corpo e non solo.

Con quale conseguenza?

Si ottimizza la spinta, ma questo va a svantaggio del comfort e conseguentemente della capacità di endurance. Quindi può andare bene per un attacco in salita, dove tutti si spostano sulla punta della sella, utilizzando le catene muscolari deputate per la parte di sprint e di accelerazione nel percorso breve, ma non per un lavoro di resistenza.

Il lavoro in palestra è ormai una presenza fissa, ma secondo Testa non è del tutto funzionale
Il lavoro in palestra è ormai una presenza fissa, ma secondo Testa non è del tutto funzionale
Serve un passaggio di anatomia, per capire meglio…

Esistono degli sport che hanno una doppia componente di attivazione muscolare. Una fase è chiamata eccentrica, in cui è possibile esprimere dei livelli di forza addirittura tripli rispetto a quella che avviene nella sola contrazione. Ad esempio nel calcio o in atletica leggera, quando ci sono degli sprint, delle forti accelerazioni a piedi, dei balzi. Nel ciclismo questa fase eccentrica non c’è, esiste fisiologicamente solo la fase concentrica.

Che cosa significa?

La tendenza del muscolo non è quella di rilasciarsi completamente, tende a rimanere contratto, per cui il soggetto alla fine risulta estremamente corto dal punto di vista muscolare. Se distendi un corridore sul lettino a pancia in su e gli sollevi una gamba, vedrai che tende a muoversi anche l’altra, anche se il muscolo non è sottoposto a contrazione. Se lo accorcio ancora, cioè avvicino i segmenti tra di loro spostando il corridore in avanti, riduco ulteriormente la possibilità di rilassamento. In altre parole se riduco la distanza tra i segmenti corro il rischio di accorciare, in modo sicuramente parziale, il ventre muscolare (il corpo centrale del muscolo, ndr). Il ciclo dei ponti tra actina e miosina si trova di fatto più pronto alla contrazione (si parla del meccanismo stesso della contrazione muscolare, ndr). E’ come se comprimessi una molla, che genera immediatamente forza ed è pronta per esprimerla ai massimi livelli.

Michele Bartoli, Giro d’Italia 1998: il peso è decisamente centrale sulla bici
Michele Bartoli, Giro d’Italia 1998: il peso è decisamente centrale sulla bici
Quali sono gli effetti di questo tipo di lavoro?

Nell’immediato ho una percezione di forza superiore, perché essendo più corto sono in grado di contrarre più rapidamente il muscolo e quindi di percepire più rapidamente la spinta. In realtà, da un punto di vista della forza, essendo il muscolo una struttura elastica e non essendoci il ciclo completo del rilassamento e della contrazione, non sono in grado di stoccare energia potenziale elastica. Il muscolo funziona come una molla, si diceva. E alla lunga, a forza di contrarlo, non ha più la stessa capacità di risposta.

Chiariamo meglio il concetto di energia potenziale elastica?

Quando pedaliamo, immagazziniamo energia potenziale elastica nell’organismo e ogni volta la rilasciamo, in modo che nelle pedalate successive io non faccia fatica come nella prima. Non devo più vincere la forza di inerzia per spingere e creare velocità, le pedalate successive devono essere fluide sfruttando il più possibile questa forma di energia, legata alla capacità contrattile e di rilassamento del muscolo. Se me lo impedisci, io ho una sensazione di beneficio immediato, ma ho una caduta dell’endurance e a lungo termine ho anche una caduta della capacità di generare forza. Inoltre una scarsa capacità del soggetto ad “estendersi” (perché accorciato nei suoi punti di vincolo) incrementa i sovraccarichi e quindi le condropatie che sono un problema tipico del ciclista.

Vuelta a Murcia 2025, tutti in sella allo stesso modo: è davvero corretto? Il biomeccanico dice di no
Vuelta a Murcia 2025, tutti in sella allo stesso modo: è davvero corretto?
Quindi se anche un campione si trovasse bene con questo assetto, sarebbe un’eccezione?

Il ciclista non ha bisogno di un picco elevato di forza per un tempo breve, a meno che ovviamente non debba fare degli sprint in pista. Ha bisogno di un picco di forza, magari anche più basso in termini di intensità, ma che duri nel tempo. Serve che il muscolo non perda capacità contrattile, non avendo possibilità di rilassarsi completamente. Quindi per me la tendenza di accorciarli è una stupidaggine. E poi c’è un altro problema.

Quale?

Nell’accorciamento, si riducono i bracci di leva. Questo mi rende anche meno abile nella capacità di gestire la guida della bicicletta. Se ho le braccia contratte quindi avvicinate al tronco, con il gomito molto flesso, non ho una rapidità di esecuzione sulla correzione della traiettoria, che invece potrei avere se il braccio è un attimino più rilassato. Quindi ne va di mezzo anche la sicurezza. Per non parlare dei carichi sulla schiena, di cui poco si parla.

Questa posizione quasi fetale, spiega il biomeccanico, di fatto accorcia la colonna e limita la possibilità di guida
Questa posizione quasi fetale di fatto accorcia la colonna e limita la possibilità di guida
In termini di vibrazioni?

Pochi nell’ambito dello sport tengono in considerazione gli aspetti vibratori. La bicicletta da corsa è fatta in fibra di carbonio, una struttura che trasmette le vibrazioni, perché non è in grado di assorbirle. Inoltre le strade non sono perfette, per cui le sollecitazioni sono costanti. Accorciando il corridore e portandolo in posizione quasi fetale, nella colonna vertebrale si incrementa la cifosi. Disponendo di quel poco spazio, l’adattamento fa sì che le vertebre si avvicinino tra di loro, rendendo la struttura meno elastica e meno capace di assorbire le vibrazioni che arrivano dalle gambe e dalle braccia. Per cui anche da un punto di vista strettamente biomeccanico, l’accorciamento in sé non ha dei reali benefici, a meno che non sia la morfologia dell’atleta a richiederlo.

Come detto in precedenza, a ciascuno la sua biomeccanica?

E’ importante sottolinearlo, non generalizziamo né nel senso dell’accorciamento né dell’allungamento come si era invece portati a fare anni fa. Lo sport e la scienza ad essa applicata compiono spesso l’errore di costituire delle mode e seguirle. Dovremmo invece vedere ogni atleta, amatore o professionista, come unico e solo, adattandoci e adattando la posizione in bici alle sue specifiche peculiarità, necessità e caratteristiche. Questo è quello che fa un buon biomeccanico.

Bragato: posizioni avanzate, le spie di un ciclismo che cambia

07.02.2025
6 min
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Il lavoro in palestra che determina le nuove posizioni in sella. Le affermazioni di Alessandro Mariano hanno dato parecchio da discutere, perché tutte le volte che si parla di biomeccanica l’interesse è tanto e gli esperti ancor di più. Quel che traspare è che anche su questo fronte il ciclismo stia vivendo una notevole evoluzione e le concezioni, che fino a 5-6 anni fa erano il cardine del ragionamento, siano ormai superate.

Il Team Performance della Federciclismo di tutto questo si nutre. Lo osserva, lo studia, formula ipotesi e le riscontra, infine elabora dei modelli prestazionali da proporre agli atleti nel giro della nazionale. Per questo quando abbiamo proposto a Diego Bragato, che lo guida, di fare un pezzetto di strada con noi, la sua apertura è risultata decisiva. Lo abbiamo strappato per qualche minuto alla preparazione degli europei su pista, alla cui volta la spedizione azzurra partirà domenica.

Diego Bragato e il responsabile del Team Performance della Federazione ciclistica
Diego Bragato e il responsabile del Team Performance della Federazione ciclistica
Davvero le posizioni in sella cambiano come conseguenza delle diverse preparazioni?

Sì, è vero, anche se secondo me è il discorso è più ampio. Dal punto di vista della biomeccanica, ci sta che risulti questa evidenza, anche se ai quadricipiti di cui parla Mariano aggiungerei anche il gluteo e il bicipite femorale, che viene potenziato in maniera diversa. Però secondo me il discorso da fare è più ampio, non è legato solo al singolo distretto muscolare, ma piuttosto a una filosofia che finalmente sta passando anche nel ciclismo, per cui non sono più soltanto corridori, ma finalmente atleti.

Che cosa cambia?

Si lavora su tutti quei concetti che magari nel ciclismo sono poco conosciuti, ma negli sport di squadra invece sì. Si ragiona ad esempio di strutturare il fisico perché sia pronto a sostenere situazioni o posizioni, nel nostro caso estreme, che una persona normale soffrirebbe. Pensiamo ai contrasti nel rugby, nel calcio, nel basket… Sono scontri duri, ma un atleta che fa quegli sport li può sostenere, perché è strutturato per cadere, per rialzarsi, per saltare e prendere dei colpi mentre salta. Li può sostenere perché ha il fisico pronto per farlo. Anche nel ciclismo abbiamo finalmente atleti in grado di fronteggiare situazioni estreme.

Ad esempio?

Ad esempio, le posizioni di cui si parla. Fatta la dovuta prevenzione, possono tenere a lungo assetti in sella in cui una persona normale si farebbe male. Infatti secondo me il problema principale non è tanto la posizione che ha Pogacar (foto di apertura, ndr), ma quelli che cercano di imitarlo senza avere alle spalle il percorso fisico e biomeccanico che ha fatto lui. Il fatto che pedalino così avanzati è una conseguenza del fatto che adesso gli atleti del ciclismo sono in grado di fare ciò che un tempo era impossibile.

Una posizione così avanzata è possibile grazie alla migliore preparazione degli atleti. Qui, Uijtdebroeks
Una posizione così avanzata è possibile grazie alla migliore preparazione degli atleti. Qui, Uijtdebroeks
Hai parlato di prevenzione.

Nel ciclismo di vertice, le squadre hanno tutto attorno all’atleta degli staff che lavorano in prevenzione, con alert relativi a sovraccarichi e quant’altro. Perciò riescono a intervenire prima di un infortunio. Di conseguenza gli atleti sono seguiti anche per poter mantenere queste posizioni efficaci ma estreme per tutto il tempo necessario.

Quando è avvenuta questa svolta?

Il ciclismo è cambiato e con esso è cambiato anche il modo di correre, di interpretare le gare. Da quando la forza è entrata in maniera predominante nella preparazione di un ciclista, ovviamente è cambiata anche la fisicità. E’ cambiato il potenziale, legato alla forza che un atleta può esprimere. Quindi di conseguenza ci siamo spostati di più sopra i pedali e di fatto tutto in avanti. Sicuramente questo determina una diversa distribuzione del peso sulle bici. In più sono cambiati molto anche i materiali quindi la combinazione di questi fattori ha reso più difficile guidare questi mezzi. Ma c’è un altro fattore legato all’esperienza da fare prima di usarli.

Cosa vuoi dire?

Secondo me dovremmo creare un percorso che porti i ragazzi ad imparare un po’ alla volta a guidare le bici da gara, come si fa in Formula Uno passando prima per i kart. Ad oggi abbiamo ragazzi che troppo spesso si trovano su bici da Formula Uno senza aver fatto la garetta con bici più normali in cui si impara a controllare e guidare. E’ necessario proporre invece un percorso in cui insegnare ai ragazzi come si guida una bici che non ha quella rigidità, che non ha quel tipo di frenata, che non ha quel tipo di comfort. Non comfort come posizione, ma come strumenti a disposizione. Imparare anche a gestire le frenate, le cose fatte come si facevano una volta. Se invece parti subito dalle bici e le posizioni estreme, è un attimo cadere e farsi davvero male.

Le posizioni avanzate da seduti assottigliano la differenza rispetto alle azioni en danseuse. Lui è Mikel Landa
Le posizioni avanzate da seduti assottigliano la differenza rispetto alle azioni en danseuse. Lui è Mikel Landa
Torniamo alla nuova fisicità degli atleti: questo essere così avanzati riduce la differenza fra pedalare da seduti e farlo in piedi?

La differenza si è assottigliata, certo. Adesso di fatto da seduti sono quasi sopra i pedali, mentre prima raggiungevano quella posizione alzandosi e venendo avanti col corpo. La differenza resta, perché quando sei in piedi, viene meno l’appoggio sulla sella, ma è vero che è inferiore.

E c’è uno studio del lavoro in palestra per rendere più efficace anche la pedalata in piedi oppure i muscoli coinvolti sono gli stessi e si può aggiungere poco?

In realtà c’è un grosso studio legato al controllo e alla stabilità del movimento. Soprattutto quando ci si alza in piedi e appunto viene meno il punto d’appoggio più importante che è la sella, il controllo del bacino deve essere fatto dai muscoli stabilizzatori e su quello in palestra si lavora molto. Per la nostra filosofia di lavoro, conoscere la tecnica di sollevamento del peso e il controllo del movimento vengono prima della velocità e del carico.

Affinché il gesto tecnico rimanga efficiente?

Perché dobbiamo saper controllare i movimenti, altrimenti le spinte non vanno dove devono, ma vanno a muovere il bacino e la schiena. Quando ti alzi sui pedali devi gestire anche la forza di gravità, per cui immaginiamo un ragazzo che si alza in piedi e spinge sui pedali senza aver lavorato su addominali, dorsali, lombari per bloccare il bacino. Lo vedremmo ondeggiare, con il bacino che si sposta a destra o sinistra. Questo vuol dire non essere bravi, si disperde potenza e si sovraccaricano dei compartimenti che soffrono.

In palestra lavorando sulla forza e sul controllo del gesto: aspetto determinante per essere più efficienti
In palestra lavorando sulla forza e sul controllo del gesto: aspetto determinante per essere più efficienti
Tirando le somme, cambia la fisicità, cambia la posizione, cambia il gesto, non cambia la bicicletta. Secondo te, tenendo conto di tutto questo, si andrà verso un cambiamento delle geometrie dei telai?

Secondo me siamo in un momento storico in cui la tecnologia ci permetterà di fare degli altri passi avanti, ma non so in quale direzione. Questo non è l’ambito che sto seguendo di più, però posso dire che qualche anno fa in pista a Montichiari abbiamo fatto dei test e la relativa raccolta dati facendo inossare ai ragazzi un abbigliamento che permetteva di leggere l’elettromiografia di superficie (la rappresentazione grafica dell’attività elettrica muscolare, ndr) durante il gesto sportivo. Leggevamo come si comportassero i muscoli durante certi movimenti e cambiando la posizione in bici. Quando si attivassero e quando si disattivassero. Secondo me, continuando con questi strumenti e questa tecnologia, potremmo raggiungere il miglior connubio tra rendimento e comodità, personalizzando le scelte tecniche per ciascun atleta.

La posizione tutta avanti è figlia della palestra. Ecco perché

01.02.2025
6 min
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Tornato da Calpe, dove aveva fatto un mini giro sulla bici di Velasco che ha le sue stesse misure, Filippo Lorenzon ha continuato a raccontare per giorni il modo in cui il bolognese pedali con tutto il corpo buttato in avanti. La famosa posizione di una volta per cui, stando in sella, la piega del manubrio dovesse coprire la vista del mozzo anteriore, è andata a farsi benedire. La faccia è sopra al mozzo, la piega resta indietro (in apertura, Rafal Majka in azione all’AlUla Tour). Guidare la bici è nervoso e complicato.

E’ la tendenza di tutti i corridori, al pari delle leve curvate verso l’interno. E siccome lo stupore del collega continuava a risuonarci nella testa, abbiamo pensato di sentire uno che della ricerca della miglior posizione in sella ha fatto la sua ragione di vita e il suo mestiere. Alessandro Mariano, genovese, che negli anni ha messo in sella decine di professionisti e che da qualche anno collabora con il Fisioradi Medical Center di Pesaro.

«Quando vengono da me gli amatori – sorride – si lamentano perché metto i corridori in una posizione diversa dalla loro. E io gli rispondo che quelli sono professionisti e so anche che gli sto facendo un po’ male. Però è il loro lavoro e può capitare che a fine carriera dovranno farsi operare alle ginocchia, come il camionista da grande soffrirà di ernia discale».

Alessandro Mariano Fisioradi
Alessandro Mariano è il biomeccanico di riferimento del Fisioradi Medical Center di Pesaro
Alessandro Mariano Fisioradi
Alessandro Mariano è il biomeccanico di riferimento del Fisioradi Medical Center di Pesaro
La posizione del corridore deve essere efficace o anche comoda?

Comodo è un concetto relativo, quando ti abitui è comodo tutto. Se invece andiamo a vedere il benessere, con questo tipo di posizione sovraccarichi tanto le articolazioni. E quindi bisogna trovare un equilibrio tra non fargli male e portarli il più vicino possibile al massimo della performance. E’ cambiato tutto, come per le pedivelle corte

Una moda?

Se Pogacar montava le 200, montavano tutti le 200. Non è che sia sbagliato accorciarle, ma non vanno bene per tutti. Nel 2023 seguivo Fortunato, poi è arrivato in Astana e gli hanno detto che avrebbe dovuto attenersi alle loro indicazioni. Quest’anno invece è tornato, perché arrivando Bettiol e Ulissi, che seguo da sempre, anche lui si è fatto forza. E mi ha detto di aver provato le pedivelle più corte, ma che in salita non la muoveva più. Perché ha caratteristiche diverse, c’è anche una questione di fibre muscolari. Per chi ha la frequenza molto elevata, la pedivella corta va bene. Ma se non è elevatissima, non serve a niente, anzi…

L’assetto tutto sull’anteriore incide nella guida e sulla sicurezza?

Sicuramente il peso è tutto sulla ruota anteriore e di conseguenza la bici è un po’ meno guidabile, però il professionista riesce comunque a farlo bene. Il fatto che si cada di più dipende un po’ da quello, ma soprattutto dalla velocità, dallo stato delle strade e dal fatto che fanno passare gente troppo giovane, che non ha l’esperienza giusta. Una volta passavi professionista che avevi fatto due o tre anni da under 23, adesso passi direttamente dagli juniores: una categoria in cui l’imperativo non è più imparare, ma limare.

Velasco pedala con il corpo proiettato verso l’avantreno, sfruttando quadricipite e gluteo (foto XDS-Astana)
Velasco pedala con il corpo proiettato verso l’avantreno, sfruttando quadricipite e gluteo (foto XDS-Astana)
Il sovraccarico alle ginocchia è inevitabile o si potrebbe avere una posizione ugualmente redditizia, però meno estrema? Si guadagna tanto con queste posizioni estreme?

Come aerodinamica, non guadagni così tanto, in realtà. Diciamo che è più una conseguenza di un altro cambiamento, di cui mi accorgo facendo la posizione e non guardando solo l’aspetto scheletrico, ma anche quello muscolare. Vedo che è cambiato il tipo di preparazione, la muscolatura è diversa. Gente che io seguo da una vita, parliamo ad esempio di Ulissi con cui lavoro da quando ha vinto i due mondiali da junior. Negli anni è cambiato muscolarmente, quindi il fatto di averlo avanzato è la conseguenza del lavoro su alcuni distretti muscolari. Non avrebbe senso lavorarci e non usarli.

Parliamo di lavoro in palestra?

La preparazione è cambiata a monte. Una volta la palestra non si faceva come si fa adesso, semmai era limitata all’inizio di stagione e poi ai momenti di scarico. Adesso c’è gente che la fa tutto l’anno e non è sbagliato, però questo implica un cambiamento muscolare. Se rafforzi i quadricipiti e poi non li usi, perché lavorare con la pressa? Allora cambi la posizione, avanzi per sfruttare i quadricipiti, ma non riesci a lavorare con gli altri. Il bicipite femorale non dico che lo isoli, ma dai la precedenza al quadricipite, che è il muscolo più forte che abbiamo. Solo che pedalando così avanzato, la cartilagine rotulea soffre e con gli anni può dare problemi.

Il discorso delle leve girate è collegato a quest’ultimo aspetto?

E’ una conseguenza, ti appoggi meglio. Ricordate gli Spinaci, le appendici manubrio che poi furono vietate? Li hanno rifatti, si è scoperta l’acqua calda. Secondo me è giusto tenere le leve piegate così e non condivido il discorso di certi regolamenti, per cui vieti una posizione per impedire che l’amatore si faccia male adottandola. Come mettere il limite di piega in Moto GP. Le leve girate servono per avere un appoggio, perché stando così avanti non è facilissimo impugnare la parte bassa del manubrio. E anche il fatto della limitazione ha trovato l’eccezione. Si misura da fine piega, ma loro hanno iniziato a fare i manubri larghi sotto come nel gravel e le leve le girano lo stesso come preferiscono. Fatta la legge, trovato l’inganno…

I tanti lavori di forza in palestra hanno cambiato la morfologia dell’atleta: la posizione in sella va di seguito
I tanti lavori di forza in palestra hanno cambiato la morfologia dell’atleta: la posizione in sella va di seguito
A fronte di questi cambiamenti di assetto, qualcuno ha mai chiesto di cambiare la geometria del telaio?

Di quelli che ho, viste le bici in commercio che hanno tutte la stessa geometria, nessuno ha chiesto una cosa del genere.

Quindi in tutto questo il discorso, l’aerodinamica c’entra ma fino a un certo punto?

Diciamo che essendo più raccolto hai un po’ meno turbolenze, però sei anche più alto. Secondo me è più un discorso muscolare che aerodinamico. E poi comunque, sembra che il ciclismo l’abbiano inventato adesso. Ma se alle medie di una volta, quelle di Gotti e Cipollini, trovaste il modo di togliere le resistenze di bici più pesanti, ruote che scorrevano meno, abbigliamento che svolazzava e un’alimentazione completamente diversa, vedrete che la prestazione dell’uomo non risulterebbe così inferiore.

Visto che segui Ulissi da quando era junior, anche lui negli anni ha cambiato posizione?

Sì e di parecchio. Un po’ perché non esiste la posizione della vita e un po’ perché anche lui sta assecondando le ultime tendenze. Anche Diego è cambiato muscolarmente per effetto della preparazione, ma non è estremo. Se lo mettessi come certi altri, non andrebbe avanti. Anche perché comunque non è un ragazzino e ricondizionare uno che è professionista da 15 anni non è facile. In più Diego ha una muscolatura importante, quindi è più difficile da modificare rispetto a uno più esile.

Anche Ulissi sta assecondando il cambiamento, ma con molta più gradualità
Anche Ulissi sta assecondando il cambiamento, ma con molta più gradualità
Non esiste la posizione della vita?

Volendo essere pignoli, ci sarebbe da rivederla anche nella terza settimana di un Grande Giro, perché tanti giorni di corsa ti danno un diverso adattamento. Invece al massimo durante un Giro si può modificare la posizione sulla bici da crono, se la crono è l’ultima tappa. Nel 2012 a Purito Rodriguez cambiammo tutto alla vigilia dell’ultima tappa a cronometro. Non vinse il Giro per appena 16 secondi, ma fece la crono della vita. E vi posso giurare che era messo in bici in modo davvero sovversivo.

Froome e l’errore nelle misure della bici: fantasia o verità?

22.11.2023
5 min
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Un errore di valutazione nella misura e nella taglia della bici di Froome, come ha lasciato intendere il britannico in svariate interviste? E’ ancora possibile nel momento in cui la cura di ogni dettaglio è maniacale? Ci può essere una correlazione tra il non sentirsi a posto sulla bici e la rottura del femore?

Cerchiamo di approfondire l’argomento con l’aiuto del dottor Loris Perticarini, ortopedico e traumatologo a Brescia, che tra gli altri ha operato Formolo e più recentemente Marco Frigo, oltre ad aver curato il ginocchio di Colbrelli. E poi con il parere di Alessandro Mariano, biomeccanico che in più di un’occasione ha aiutato diversi pro’ a rimettersi in sella.

Il dottor Loris Perticarini è un ortopedico piuttosto conosciuto nel ciclismo
Il dottor Loris Perticarini è un ortopedico piuttosto conosciuto nel ciclismo
Dottor Perticarini, quanto influisce la rottura del femore nella carriera di un pro?

La rottura del femore è un discorso ampio. La gamba inizia proprio dal femore, ma nel caso di una rottura sono da considerare i diversi fattori. Le cicatrici ad esempio e i danni muscolari, aspetti che portano ad alterazioni nell’espressione della forza sui pedali. Il femore guarisce, ma tutto quello che è intorno può aver subito dei danni. Il femore è articolato al bacino, di conseguenza alla colonna:, argomento davvero ampio e complesso.

Cosa significa?

Il femore non è circondato dal vuoto. Quando si ha la frattura ad un femore i tessuti intorno si lacerano, si tagliano e, quando guariscono, lasciano cicatrici. Bisogna valutare con attenzione se la contusione si è estesa al bacino, alla colonna con alterazioni di entità varie. La colonna vertebrale ad esempio può ridurre la lordosi naturale, con la conseguente modifica della mobilità. Quello che succede al femore si ripercuote inevitabilmente sul resto.

Il femore è l’osso più lungo del corpo umano
Il femore è l’osso più grande del corpo umano
Si rompe un femore, è da prevedere l’accorciamento dell’arto inferiore?

Decisamente no, bisogna capire dove si trova e come è fatta la frattura. Chiaro è che l’intervento, ovvero la riduzione della frattura, deve essere fatto bene. Non devono esserci dismetrie.

La frattura può portare a problemi al gesto della pedalata e a modificare la posizione in sella?

Sì, si possono verificare degli squilibri biomeccanici, soprattutto a livello del ginocchio e dell’anca. Non cambiano i punti di appoggio delle tuberosità ischiatiche una volta in sella, piuttosto influisce sulla mobilità della colonna.

Ha seguito il caso Froome?

Io penso che questi ragazzi, capaci di erogare prestazioni eccezionali, sentano a naso i 2 millimetri di differenza, mi limito a dire questo.

La vecchia Pinarello

In un’intervista rilasciata a Cyclingnews, Froome aveva raccontato di aver portato da un esperto una vecchia Pinarello dei tempi del Team Sky e di aver confrontato la posizione di allora con l’attuale. Il risultato è stato riscontrare una differenza di altezza sella di qualche centimetro. E avendo riportato le misure di allora sulla bici di oggi, avrebbe dichiarato di sentirsi molto più a suo agio.

«Partiamo dal presupposto – argomenta Alessandro Mariano – che mi sembra molto strano che un corridore del calibro di Froome non si accorga di un fitting che non gli permette di essere efficiente. Non è da escludere che gli sia stata impostata una posizione antalgica sulla bici e che questa non sia stata aggiornata nei periodi successivi all’infortunio. Detto questo, parlare di centimetri mi sembra un’enormità. Faccio fatica ad accettare una considerazione del genere».

Maurizio Radi, titolare di Fisioradi Medical Center a Pesaro. A destra, Alessandro Mariano
Maurizio Radi, titolare di Fisioradi Medical Center a Pesaro. A destra, Alessandro Mariano
Nel caso di Froome è possibile un errore di valutazione biomeccanica?

L’errore ci può stare, ma quello che ritengo inaccettabile è una differenza così grande, inoltre 3 centimetri in allungamento si vedono ad occhio. Si parla di centimetri, considerando che ci sono atleti che sentono i millimetri del fondello.

Cosa succede quando si è troppo lunghi sulla bici?

C’è sempre da fare tre valutazioni. Se l’attacco manubrio è troppo lungo, se il telaio è lungo, oppure se la sella ha un arretramento/avanzamento non adeguati. Come principio la bici lunga, con la sella a posto, aiuta a scaricare le pressioni che si generano sulla schiena, ma è vero che ogni caso è a sé e merita una valutazione specifica. Quando si è troppo lunghi sulla bici, si possono verificare dei problemi alle ginocchia e all’articolazione del bacino, in particolar modo quando c’è la misura sbagliata del telaio. Quando si è troppo corti, è la schiena a risentirne maggiormente.

Un trauma come quello subito da Froome, obbliga a un cambio di posizione in sella?

Generalmente sì, talvolta si tratta di un fitting temporaneo per poi tornare alla posizione usata in precedenza. In altri casi il cambio è radicale e viene portato avanti per il resto della carriera. In casi come questo di Froome, è necessario analizzare cosa è stato coinvolto, se solo l’arto inferiore o altre parti. Ma a prescindere, faccio fatica ad immaginare un corridore professionista di alto livello che non si accorga di una differenza così importante.

Ancora sul test del lattato. Riflessioni sulla posizione

09.12.2022
4 min
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Qualche giorno fa vi abbiamo proposto un articolo che riguardava il test sul lattato. Tra le varie domande poste a Michele Dalla Piazza, che spiegava appunto il test, si chiedeva se tra le variabili che influiscono sul test, e quindi sul lattato, ci fosse anche il fitting sulla bici, cioè la posizione.

E Dalla Piazza aveva così risposto: «La posizione sulla bici influisce sulla performance e tutto quello che gira intorno alla fase di sforzo. L’ideale sarebbe utilizzare la propria bicicletta collegata con un ciclosimulatore. Quando si utilizzano delle cyclette sarebbe importante riportare le proprie misure nel modo più fedele possibile».

Il massimo sarebbe riuscire a collegare la propria bici ai sensori e agli hardware del laboratorio per eseguire il test
Il massimo sarebbe riuscire a collegare la propria bici ai sensori e agli hardware del laboratorio per eseguire il test

Parola a Mariano

Questa riposta ha suggerito uno spunto di riflessione molto meno banale di quanto possa sembrare. La posizione corretta infatti influisce sul rendimento, vale a dire sui numeri del test? Oppure riguarda la produzione di acido lattico stesso perché magari con una diversa posizione cambia la circolazione sanguigna, o perché non si respira altrettanto bene?

Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Mariano, esperto biomeccanico, il quale come sua abitudine non lesina chiarezza.

«E’ vero – spiega Mariano – la posizione incide sul test del lattato. Se vai a reclutare distretti muscolari diversi da quelli che usi solitamente, è chiaro che i dati sono falsati. E potrebbero essere anche falsati in meglio. Se si reclutano gruppi muscolari che non sono stressati e quindi più freschi, la concentrazione del lattato sarà inferiore».

Quando Mariano effettua le sue visite biomeccaniche tiene conto anche degli schiacciamenti delle vene: «Se il femore ha un angolo troppo chiuso, è chiaro che la vena iliaca non irrora in modo corretto».

Giro 2012, Purito Rodriguez 2° per soli 16″: nella crono finale di Milano arrivò 26° a meno di 2′ da Pinotti in oltre 33′ di sforzo
Giro 2012, Purito Rodriguez 2° per soli 16″: nella crono finale di Milano arrivò 26° a meno di 2′ da Pinotti in oltre 33′ di sforzo

Watt o millimoli?

Come dicevamo, c’è da fare una distinzione tra valori: i watt espressi e l’accumulo di millimoli di acido lattico. E’ un discorso di dati, più o meno buoni, o una produzione intrinseca di lattato?

«Entrambi – va avanti Mariano – ma probabilmente si tratta anche della produzione stessa, perché torno al discorso di prima: se usi muscoli meno allenati o più freschi, questi dati possono variare. In questo caso dipende anche dal tipo di test che si va a fare, perché come sappiamo ci sono diversi protocolli. 

«Se fai un test il cui protocollo è breve, in cui è previsto un picco massimo da lì a pochi minuti o secondi e la posizione è diversa, il risultato è diverso e quasi certamente migliore… per assurdo.

«E’ un po’ come quando vi ho raccontato che stravolgemmo la posizione di Purito Rodriguez prima della crono finale del Giro d’Italia. Fu una scelta estrema e azzardata che teneva conto di questa situazione. Volevamo fargli usare muscoli più freschi. E infatti, al netto che perse il Giro, lui fece la crono della vita».

Alessandro Mariano Fisioradi
Alessandro Mariano, biomeccanico di Mariano Engineering Cycling e Fisioradi, alle prese con il suo lavoro
Alessandro Mariano Fisioradi
Alessandro Mariano, biomeccanico di Mariano Engineering Cycling e Fisioradi, alle prese con il suo lavoro

Con la propria bici 

Mariano spiega poi che oggi l’atleta professionista tende a fare i test con la sua bici. Preferisce avere dati concreti piuttosto che usare un cicloergometro e avere dei dati in output più precisi (ipotizzando che un cicloergometro professionale sia estremamente preciso).

«E’ difficile stabilire quanto incida il cambio di posizione – chiarisce il biomeccanico – sinceramente non saprei. Non ho mai fatto certe comparazioni numeri alla mano, anche perché io curo solo la parte biomeccanica e mi piace dare risposte concrete».

E allora visto che si parla di posizione, cosa incide di più?

«Tutto è tutto legato. Se ti metto in bici e non guardo almeno i tre punti principali, cioè arretramento, altezza e tacchette, si scombussola tutto il resto. Se ne sistemo uno solo, ho modificato la situazione. Se arretramento, altezza e tacchette non vanno a collimare peggioro la situazione. Faccio un esempio, se tu hai la sella troppo indietro ed è anche bassa e io la alzo solamente, ho fatto peggio».

Sella più bassa? Comanda la ricerca (disperata) di forza

10.05.2022
5 min
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Vi ricordate, eravamo partiti da Thibaut Pinot e quanto pedalasse basso. Il francese aveva catturato la nostra attenzione al Tour of the Alps. In quei giorni lo avevamo visto dal vivo, sia nelle fasi di corsa che in quelle di contorno, come andare e tornare al foglio firma. E in effetti ci sembrava davvero basso di sella. Teoria rincarata da Adriano Malori.

Per non parlare poi di quella sua posizione tanto raccolta anche in termini di lunghezza. 

Qualcosa però che a ben analizzare non riguarda solo il corridore della Groupama-Fdj. In tanti pedalano qualche millimetro al di sotto dei canoni biomeccanici. Ma a questo punto ci siamo domandati se questi canoni siano ancora esatti. Ancora attuali. 

Posizione iper raccolta e bassa per Pinot, ma va detto che il francese da anni combatte col mal di schiena
Posizione iper raccolta e bassa per Pinot, ma va detto che il francese da anni combatte col mal di schiena

Parola a Mariano 

Alessandro Mariano è uno degli esperti in materia. Con lui già avevamo parlato qualche mese di argomenti simili, come per esempio la sella in avanti. E adesso torniamo a battere il chiodo sul discorso dell’altezza.

«La vostra sensazione – spiega Mariano – è corretta. Avevamo già parlato più o meno di questo discorso, che infatti è strettamente legato all’avanzamento della sella stessa.

«C’è questa tendenza di abbassare la sella perché sono cambiate le strategie di allenamento. Poi Pinot lo fa in modo esagerato, ma anche altri l’hanno abbassata. Mediamente, almeno guardando i mei corridori si è scesi di 3-5 millimetri, ma c’è anche chi è arrivato ad 8».

«Portare la sella in avanti o abbassarla implica un maggior lavoro del quadricipite. Oggi sono molto sviluppati. Questo perché? Perché si va a prendere la forza dove c’è… Di riflesso è qualcosa che vogliono anche gli amatori, ma gli si fa del male. Perché questa posizione va a sovraccaricare ginocchia e tendine rotuleo. Il che, in teoria, non va bene neanche per un pro’. A loro però una vittoria cambia la vita, la ricerca della prestazione è centrale. E poi non lo devono fare per tutta la vita».

Senza contare, aggiungiamo, che sono seguiti da staff medici.

Anche VdP pedala piuttosto basso di sella. La ricerca della forza vale anche per lui
Anche VdP pedala piuttosto basso di sella. La ricerca della forza vale anche per lui

Parola a Toni

Mariano tira in ballo la preparazione e allora abbiamo ascoltato anche un preparatore. E uno dei più attenti al discorso legato alla biomeccanica è Pino Toni.

La cosa bella è che i due tecnici, seppur di settori differenti, parlano esattamente la stessa lingua. Toni conferma quel che sostiene Mariano.

«Personalmente – spiega Toni – non ho mai consigliato di abbassare la sella, ma c’è chi lo ha fatto. Per quel che mi riguarda accade maggiormente nei biker. Io seguo anche Josè Dias, un biker potente. Lui ha abbassato la sella e ha anche cambiato preparazione e qualche crampo lo ha avvertito. Questo perché quando i muscoli sono fortemente sollecitati, si accorciano. Pertanto ci sta che abbassino la sella per ridurre queste estensioni».

Ma in cosa è cambiata la preparazione? Si è detto che oggi i corridori vanno più agili: è in questa direzione che è cambiata? E sempre per questa motivazione si è ridotta l’altezza della sella? Anche in questo caso Toni fa chiarezza: la questione dell’agilità è marginale.

«Oggi – spiega il tecnico toscano – serve più potenza, più energia. Per fare un esempio, oggi un corridore di 65 chili che fa 400 watt alla soglia non dico che non va da nessuna parte, ma è uno dei tanti. Sono i numeri che lo dicono. Per forza di cose, andando a cercare la forza là dove ce n’è di più (sul quadricipite, ndr) mi devo abbassare, devo creare più energia, più efficienza muscolare».

«Poi il discorso dell’agilità a me in quanto preparatore paradossalmente riguarda fino ad un certo punto (nell’ambito di questo discorso, ndr). Non si tratta di andare agili o duri, si tratta di fare forza, di sviluppare energia. Se poi lo si fa con l’alta o bassa cadenza non cambia».

Esercizi come i balzi contribuiscono alla forza esplosiva, quella di cui c’è più bisogno e che più accorcia la muscolatura
Esercizi come i balzi contribuiscono alla forza esplosiva, quella di cui c’è più bisogno e che più accorcia la muscolatura

Comanda la forza

Sia Toni sia Mariano pertanto dicono che alla base c’è la ricerca della forza. Non si abbassa quindi la sella perché si va più agili, ma perché si deve sviluppare più forza. E i muscoli che si sviluppano di più sono i quadricipiti.

Anche per questo motivo Mariano aggiunge una nota molto interessante. «L’abbassamento della sella riguarda soprattutto i corridori potenti, i passisti veloci, quelli da classiche. Sono loro che spingono di più, che sviluppano più forza e chiamano in causa i quadricipiti. Ma si vede ad occhio nudo. La muscolatura dello scalatore è più allungata, lavora di più col bicipite femorale e anche col polpaccio».

«Già 25 anni fa in Telekom – conclude Toni – dicevano, quando si parlava di biomeccanica, che non si trattava solo di misure degli arti, ma anche d’intersezione dei tendini (altro cavallo di battaglia anche di Mariano, ndr). Una biomeccanica fisiologica dell’atleta, se così possiamo dire. Non è detto infatti che due corridori che hanno la stessa lunghezza di femore abbiano gli stessi attacchi tendinei.

«Questo per dire che alcune caratteristiche poi non possono essere cambiate: chi va duro, va duro. E chi va agile, va agile. Sì, ci si può lavorare, ma non si può stravolgere». 

Mariano: «Non esiste la posizione della vita». Valverde insegna

09.03.2022
5 min
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Posizione in sella e anni che passano: che relazione c’è tra le due cose? Quanto varia la posizione del corridore?

Una volta, quando si iniziava la stagione quasi sempre con qualche chiletto di troppo, e si andava dal biomeccanico spesso le misure erano prese “in prospettiva”. Una delle domande che venivano poste era: “quanto sei sopra”?». Riferendosi ai chili. Quindi si lasciava uno spessore in più sotto al manubrio con la promessa di toglierlo non appena si fosse raggiunto il peso forma.

Questo per dire che un po’ si è sempre intervenuti sulla posizione nel corso della stagione. Ma il discorso è ben complesso e merita l’ausilio di un esperto. Nel nostro caso è Alessandro Mariano, biomeccanico che da tantissimi anni segue molti professionisti. 

Alessandro Mariano: parte sempre dall’analisi muscolare con gli strumenti per individuare la posizione più efficiente
Alessandro Mariano: parte sempre dall’analisi muscolare con gli strumenti per individuare la posizione più efficiente
Alessandro, quanto varia, ammesso che vari, la posizione in bici nel corso della carriera?

Varia sì! Non esiste la posizione della vita, né per un pro’, né tantomeno per un amatore. Una volta venne da me un cicloamatore di 60 anni che mi disse: quando ero dilettante stavo così. E io gli risposi: ecco perché questa posizione non va più bene.

Un bel lasso di tempo in effetti… Quanto dura quindi una posizione?

La vita media è di 1-2 anni. Poi bisognerebbe rivedere sempre qualcosa. Perché ci sono molte cose che cambiano.

Cosa?

Nell’atleta il passare del tempo e quindi principalmente della sua muscolatura. In un amatore quello che fa nella vita, se ha cambiato mestiere. Se un rappresentante ha cambiato macchina me ne rendo conto dalla sua postura, pensate un po’. Ma in generale, al netto dell’ingrassare o del dimagrire, col passare degli anni cambiano le taglie dei vestiti, figuriamoci una posizione basata sui millimetri.

Hai detto che col passare del tempo, il corridore modifica soprattutto la sua muscolatura: cosa succede?

Premesso che non c’è una regola fissa, la tendenza media è quella di “accorciarsi” muscolarmente. Si diventa più piccoli. E la prima cosa che si fa è quella di portare la sella più avanti. Ma c’è stato anche chi è andato contro questa regola e si allungato.

Però molti corridori, almeno una volta, quando passavano pro’ erano grossi, potenti, poi col tempo perdevano massa: in teoria non dovrebbero allungarsi?

Questo è vero, ma appena passati. Dopo tanti anni la maggior parte si accorcia. Cambiando muscolarmente, per farlo lavorare allo stesso modo, nella stessa efficienza, con gli stessi muscoli bisogna intervenire e chiaramente cambiano anche gli angoli. Nelle mie valutazioni parto sempre dall’osservare come lavora e come rende la muscolatura.

C’è un corridore che più di altri ha variato la sua posizione in questi anni?

Valverde – risponde secco Mariano – in Alejandro la differenza è ancora più macroscopica vista la longevità della sua carriera. Io poi l’ho anche seguito all’inizio e me lo ricordo bene.

E in cosa è cambiato?

Nell’avanzamento della sella. Vedendolo adesso credo sia almeno 2 centimetri più avanti. Forse, e sottolineo forse, potrebbe essere un po’ troppo, ma di base sono d’accordo con questa tendenza. E tutto sommato nella sua condizione può anche osare di farsi male, tanto tra poco smette.

Cosa potrebbe accadergli?

Come abbiamo detto anche qualche tempo fa, oggi si esagera nel pedalare in avanti. Bisogna stare attenti ai sovraccarichi articolari, bisogna sempre trovare l’equilibrio tra l’efficienza articolare e il carico (la forza della spinta, ndr).

Se si sposta la sella più avanti poi bisogna anche alzarla?

Dipende. C’è chi ha bisogno di portarla solo in avanti, chi deve solo abbassarla un po’ (e automaticamente va un pelo avanti, ndr) e chi deve abbassarla e avanzarla.

E invece riguardo al manubrio cosa succede?

Ancora una volta dipende dal soggetto. Come ho detto, si tende ad accorciarsi, quindi gli attacchi sono un po’ più corti o un po’ più alti.

Eppure Valverde sembra sia ancora più basso. Però è anche vero che lui è un “fan” della ginnastica, addominali e dorsali in particolare, magari ha acquisito una certa elasticità…

La ginnastica incide di sicuro. Ma bisogna andare oltre addominali e dorsali, c’è anche tutta la zona paravertebrale su cui lavorare, la catena posteriore, quella anteriore… Valverde evidentemente si poteva abbassare.

E in un grande Giro varia la posizione?

Feci dei test durante il Giro e la Vuelta e se davvero uno volesse la stessa pedalata dall’inizio alla fine, a metà Giro bisognerebbe intervenire. Ma poi praticamente nessuno lo fa per paura di sconvolgere equilibri fisici e mentali.

E nel caso come si dovrebbe intervenire?

Spostandosi un po’ indietro. Il che può sembrare un controsenso, ma dopo 15 giorni di carichi intensi ci si allunga.

C’è qualcuno che ha variato la posizione durante un Giro?

Ancora una volta… Purito Rodriguez. Lui ti chiedeva: ma così vado più forte? Io gli rispondevo di sì. E lui: vai cambia!

Cambia di più uno scalatore o un velocista la sua posizione col passare del tempo?

Più o meno è lo stesso, cambiano tutti, ma nello scalatore che pedala più arretrato forse si nota di più lo spostamento.

All’inizio abbiamo parlato del peso: oggi i corridori sono molto costanti tutto l’anno anche col peso. Alla ripresa al massimo hanno 2-3 chili in più. Ma incide?

E’ una delle motivazioni che porta a cambiare posizione, ma se si dimagrisce il giusto, 2-3 millimetri la sella si può alzare (di conseguenza si è un po’ più schiacciati davanti, ndr) perché avendo “più spazio” ci si può estendere meglio.

Leve lunghe: quanto incidono? Ne parliamo con Mariano

19.02.2022
5 min
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Leve lunghe. Corridori altissimi e magrissimi. Il caso del norvegese Jacob Hindsgaul visto al Tour of Antalya è stato emblematico. E’ sembrato di tornare ai tempi di Andy Schleck, il quale era solo un centimetro più basso ma aveva lo stesso peso.

Il corridore della Uno-X è alto 187 centimetri per 67 chili. Il rapporto potenza/peso incide ancora molto? E quanto conta avere delle leve lunghe? Argomento che abbiamo portato all’attenzione di Alessandro Mariano, biomeccanico di lungo corso e tra più esperti in assoluto.

Jacob Hindsgaul (a destra) è alto 187 centimetri per 67 chili. A colpire è stato il suo femore molto lungo
Jacob Hindsgaul (a destra) è alto 187 centimetri per 67 chili. A colpire è stato il suo femore molto lungo
Alessandro, siamo in un’era in cui il discorso del peso, e di conseguenza del rapporto potenza/peso, sembra incidere un po’ meno rispetto a qualche anno fa. E’ così? Si presta più attenzione ad altri aspetti come alimentazione, materiali, vestiario…

Eh – il suo tono la dice lunga – il rapporto potenza/peso incide ancora molto, moltissimo. I corridori sono magrissimi. Più leggero sei, più sali forte. Vi racconto questa e lo premetto: non è una barzelletta. Un corridore poco mentalizzato a perdere peso non mangiava come doveva. Abitava in cima ad uno strappo molto impegnativo. Un giorno poco prima che rientrasse, la moglie lo chiamò e gli disse di prendere alcune cose, tra cui se ben ricordo c’era un chilo di mele. Lui si fermò e fece la salita con questo peso in più. Si accorse, “dati alla mano”, della fatica in più che fece. Fu una scossa…

Okay, si dice il peccato e non il peccatore, ma…

Non lo svelo, ma posso dire che è un corridore ancora in gruppo.

Dal punto di vista biomeccanico, le leve lunghe quanto incidono anche in relazione al peso? Sono un vantaggio per chi non è propriamente uno scalatore?

Come avete detto voi parliamo di leve. E più sono lunghe e meglio è, si spinge di più. A prescindere da quanto pesa l’atleta. Nel caso di un ciclista però è ancora più importante il frazionamento di queste leve, vale a dire quanta differenza c’è tra femore e tibia. 

Spiegaci meglio…

Dico dei numeri a caso: se ho 100 centimetri di gamba è meglio che siano ripartiti 70 sul femore e 30 sulla tibia, che non 60-40.

C’era un corridore che non essendo scalatore è riuscito a difendersi bene in salita anche grazie soprattutto alle leve lunghe?

Beh, mi viene in mente Indurain! Lui è l’esempio perfetto. E infatti vinceva anche a cronometro.

Con l’aumentare delle cadenze le pedivelle si sono “accorciate” e le 170 millimetri sono tornate molto di “moda”
Con l’aumentare delle cadenze le pedivelle si sono “accorciate” e le 170 millimetri sono tornate molto di “moda”
La leva lunga dello scalatore è diversa da quella del passista o del velocista?

Premesso che non è una regola, hanno un’attaccatura muscolare diversa. Quella dello scalatore avrà quasi sicuramente un’inserzione più bassa, e quindi più allungata, rispetto a quella del velocista, che invece avrà una muscolatura più compatta.

E una volta messi in sella che differenze noteremmo?

Se fosse solo per le misure, tra un “lungagnone” velocista e un “lungagnone” scalatore, non ci sarebbero differenze da un punto di vista biomeccanico, ma quasi certamente, in virtù del discorso della muscolatura più corta il velocista avrà la sella più avanzata, a parità di misura della bici. E’ il discorso che facemmo la volta scorsa con Abdujaparov e Gotti.

Oggi vediamo delle posizioni sempre più raccolte, con selle molto avanzate (come Froome in apertura). Perché si cerca questa spinta molto in avanti? Una volta c’era la regola del menisco in linea verticale con l’asse del pedale quando questo era davanti parallelo al terreno…

Il fatto che negli anni siano cambiate le preparazioni, l’alimentazione, la palestra… si sono avute delle ripercussioni anche sulla muscolatura e si cerca una spinta più avanzata e più “potente”, tuttavia non c’è un test scientifico che ne accerti i vantaggi muscolari. Non ci si rende conto di quanto influisca l’aspetto psicologico su certe scelte. Mentre non si dà la giusta importanza al piede.

Il piede?

Certo, se ci si pensa fa parte degli angoli della spinta e possono cambiare molto in base alla sua conformazione. Tutto dipende da dove si ha il malleolo, il punto di spinta, il punto di forza del piede. Per esempio, Joaquim Rodriguez aveva un piede anomalo. Aveva il malleolo molto indietro, tanto che Sidi doveva fargli una doppia foratura per posizionargli le tacchette in modo ottimale. Aveva dei fori che erano 3-4 millimetri più indietro rispetto alla norma. E’ moltissimo.

Spesso i corridori sono restii a cambiare scarpa. Per Mariano la tacchetta è importantissima per il discorso di angoli e leve
Spesso i corridori sono restii a cambiare scarpa. Per Mariano la tacchetta è importantissima per il discorso di angoli e leve
E invece la lunghezza degli arti incide sulle pedivelle?

Certamente, va ad influenzare la loro lunghezza. Però dipende molto dal soggetto e dalla sua capacità di pedalare con una certa cadenza. E infatti Purito, continuo a citare lui in quanto è stato uno dei campioni recenti che ho seguito più da vicino, era una particolarità. Lui pur essendo basso, utilizzava pedivelle da 172,5 millimetri. Dipende dalla cadenza ottimale. Più le rpm sono alte e più si tende ad utilizzare una pedivella più corta. Più sono basse e più si tende ad utilizzare una pedivella lunga. E questo incide sulla scelta a parità di misure degli arti inferiori.

Hai parlato di cadenza ottimale…

Sì, e si può determinare. Si chiama test di coppia, esattamente come in un motore di una vettura s’individua la coppia massima dell’atleta. 

E come funziona questo test?

Si fa pedalare il corridore con le stesse frequenze cardiache e man mano si aumenta il numero di pedalate. Si arriverà ad un punto in cui avverrà una perdita di potenza. Quello è il punto di rottura ed individua la cadenza ottimale di quel corridore.

Oggi si tende ad utilizzare pedivelle più corte…

Vero, rispetto a qualche anno fa le rpm si sono alzate e di conseguenza assistiamo a questo “accorciamento” delle pedivelle.

Bici aero o tradizionale, per il biomeccanico contano gli angoli

01.02.2022
6 min
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Bici aero o bici “da scalatore”? Questo è il dilemma… Oggi, specie nei grandi team, gli atleti hanno a disposizione entrambe le tipologie di bici. In alcune squadre è il costruttore stesso a dare indicazioni circa il modello più adatto alla tipologia di percorso e del meteo (in questo caso in relazione soprattutto alle ruote), ma molto più spesso accade che il corridore “battezzi” una bici e tenda ad utilizzare sempre quella per tutta la stagione.

Ma su che base la sceglie? Ci sono anche discriminanti che riguardano la biomeccanica? Su questo aspetto chiediamo lumi ad Alessandro Mariano, biomeccanico del centro Fisioradi che da anni segue moltissimi professionisti.

Maurizio Radi, titolare di Fisioradi Medical Center a Pesaro. A destra, Alessandro Mariano
Maurizio Radi, titolare di Fisioradi Medical Center a Pesaro. A destra, Alessandro Mariano

Aero o tradizionale?

Le sue risposte, lo ammettiamo, ci hanno un po’ spiazzato e lui stesso per primo ammette che anche in grandi team tante volte, ma proprio tante è il tarlo del corridore a scegliere la bici.

«La prima discriminante – dice Mariano – che influenza il corridore è il peso. E solitamente la bici aero pesa un po’ di più, quindi chi la sceglie è generalmente un velocista o comunque un atleta grande e potente. Lo scalatore di certo ha la “fissazione” dei grammi… questo per dire che non sempre le scelte delle bici vengono fatte in base a discriminanti tecniche o biomeccaniche».

Ma se questa è la base di ragionamento di molti corridori, lui da biomeccanico su che cosa si basa nell’assegnare una bici aero o una tradizionale?

«Io mi baso sugli angoli – spiega Mariano – e se questi tra modello aero e modello tradizionale sono gli stessi, per me non cambia assolutamente nulla. In quel caso la scelta è del corridore. La tipologia di tubazioni, il tipo di carbonio… non incidono. E’ l’atleta che sceglie in base alle sue sensazioni, alla guidabilità, al peso».

Oggi la componente aerodinamica sta diventano predominante. Le medie orarie aumentano ed essere efficienti contro l’aria conta eccome. Non a caso anche i modelli leggeri hanno dei richiami aero. E le bici prese ad esempio appena sotto di tre team (rispettivamente Bahrain Victorious, Astana Qazaqstan e Bardiani Csf Fainzaè) ne sono testimonianza. La Merida Scultura (specie la versione 2022), la MCipollini Dolomia e Wilier 0 Slr magari non fanno dell’aerodinamica la loro peculiarità, ma neanche la trascurano.

Prima gli angoli…

«Alla fine – riprende Mariano – per me quel che comanda sono gli angoli, soprattutto quello del tubo piantone. Quello del tubo di sterzo, invece, da un punto di vista biomeccanico “conta poco”, questo riguarda più la guidabilità, mentre quello piantone è quello che determina la posizione della sella, se va spostata più o meno avanti. Ed è quella da cui tutto ha inizio.

«Pensate che nel mio protocollo, salvo errori madornali, al primo step la posizione del manubrio neanche la guardo. Prima sistemo l’angolo piantone e la posizione della sella. Il corridore ci pedala per un certo periodo, si assesta e vedo come si adatta la sua muscolatura».

Verso taglie standard 

«Oggi tra l’altro le geometrie, sia aero che tradizionali, si sono molto standardizzate. L’angolo del tubo piantone oscilla mediamente fra 73° e 73,5°. Si arriva a 74,5° nelle taglie molto piccole e a 72,5° in quelle molto grandi. E da biomeccanico mi devo adattare.

«In passato, con i telai in acciaio e in alluminio che si potevano personalizzare era più facile mettere un corridore in sella e farlo rendere al meglio. Se si andava in un team non c’erano due bici uguali».

«Faccio un esempio. Ivan Gotti e Djamolidine Abduzhaparov scheletricamente erano identici. Si sarebbero potuti scambiare la bici in qualsiasi momento, eppure avevano una muscolatura agli antipodi. Abdu aveva un quadricipite molto corto (esplosivo da velocista), Gotti ce l’aveva molto lungo. In particolare l’attacco del suo quadricipite era molto basso. Scherzando, gli dicevo che ce l’aveva sotto la rotula! Abdu era più avanzato e Gotti più arretrato.

«Le misure e le geometrie attuali avvantaggerebbero Abduzhaparov. Ivan infatti aveva un tubo piantone di 71,5° e Abdu di 74°, va da sé che si sarebbe adattato alle nuove geometrie con maggior facilità. Con ogni probabilità Gotti avrebbe avuto un attacco manubrio più lungo e Abdu uno più corto».

Muscoli e ossa

Il “disegno” dei muscoli quindi conta, ma conta sempre ai fini degli angoli di spinta e non della tipologia di telaio. 

«Io – riprende Mariano – che uso l’elettromiografo poi lo vedo subito. Vedo quanto rende l’atleta in questa o quella posizione. Per esempio: un corridore è molto forte nei glutei. Se voglio sfruttarglieli lo posiziono molto indietro, così da esaltare la sua catena posteriore. Se invece è forte di quadricipiti lo metto tutto davanti».

E qui poi subentrano anche i discorsi sulla tenuta, sui conseguenti crampi, sulla comodità col passare delle ore e dei chilometri. Discorso che vale ancora di più durante una grande corsa a tappe. Ma una cosa è certa, nella scelta del modello di bici aero o tradizionale, una volta appurati gli angoli ed escluse forzature di posizione, il biomeccanico ha meno margine di manovra. La scelta finale, spetta al corridore.