Nella notte, lampi di gran Velasco a Montreal

11.09.2023
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In Italia era notte quasi alta quando a Montreal il gruppo si è sfidato per tutto il giorno sotto la pioggia, consegnandosi (dopo 227 chilometri e 17 giri del circuito che nel 2026 ospiterà i mondiali) allo sprint fra Adam Yates e Pavel Sivakov. Alle loro spalle, quinto e indomito, Simone Velasco ha provato fino all’ultimo a vincere, sprecando forse troppo. Con il contratto appena rinnovato, il campione italiano ha disputato probabilmente la classica WorldTour più bella da quando è professionista. E soprattutto ha ritrovato il fastidio di perdere, quello che si sopisce quando si va alle corse rassegnati. Invece mentre è sul lettino dei massaggi fra le mani di Michele Pallini, già uomo di fiducia di Vincenzo Nibali, a tratti il tono è seccato. Voleva vincere, non ci è riuscito.

In serata per Velasco il massaggio con Michele Pallini, domani (oggi) il volo di rientro e poi la Coppa Sabatini
In serata per Velasco il massaggio con Michele Pallini, domani (oggi) il volo di rientro e poi la Coppa Sabatini
Diciamo che se non vi fossero scappati Yates e Sivakov, si poteva pensare di riuscirci?

L’errore è stato farmi trovare un po’ indietro sulla salita quando sono partiti. Sono risalito, ma mi sono mancati quei 50 metri finali per prenderli. Comunque sia le gambe erano buone e nell’ultimo giro magari ho sprecato un po’ troppo. Mi sono fatto prendere un po’ dall’euforia, mentre potevo essere magari più furbo. E comunque il quinto posto qui a Montreal, con questo parterre, penso che sia un ottimo risultato.

L’euforia perché pensavi di rientrare?

Sinceramente volevo vincere. Ho detto: «Ci provo, magari davanti si guardano un attimo». Sivakov ha corso all’arrembaggio, tirando sempre. Ho pensato che magari agli ultimi 300 metri si sarebbero fermati. Invece loro sono andati e io ho fatto la maggior parte del lavoro per chiudere su Aranburu e poi O’Connor, per cui quando è stata ora di partire sono rimasto sulle gambe.

La miglior classica WorldTour fatta finora?

Sì, a livello di corse di un giorno, sicuramente. Oggi avevo delle belle gambe, questa è un’ottima cosa per il finale di stagione. Da quando ho vinto l’italiano, ho sbloccato qualcosa nella testa. Mi sono accorto che sono tornato ad essere quello che ero anche da dilettante e da juniores. Quindi sono fiducioso per tutto ciò che rimane del calendario.

Il Grand Prix Cycliste de Montreal l’ha vinto Adam Yates, che ha preceduto Pavel Sivakov
Il Grand Prix Cycliste de Montreal l’ha vinto Adam Yates, che ha preceduto Pavel Sivakov
Quando rientrate in Europa?

Voliamo domani e sarò subito alla Sabatini (14 settembre, ndr) e poi farò il Pantani e il Matteotti con la nazionale. A quel punto valuteremo se farò anche la Adriatica Ionica Race o se saltiamo direttamente fino all’Agostoni, per fare poi tutto il finale italiano.

Ti abbiamo visto al mondiale, come sei arrivato a questa condizione?

Innanzitutto, dopo l’italiano, come da programma ho fatto una settimana di stacco. Sono andato a casa all’Elba a festeggiare un po’ e mi è servita per ricaricare le pile, soprattutto a livello mentale. Poi sono andato a lavorare bene in altura, al passo Costalunga con la famiglia, per farmi trovare pronto subito alle corse in Spagna, quando è stata ora di tornare a correre. Ho cercato di fare un buon mondiale in supporto ai due capitani e successivamente ho fatto un altro breve stacco in vista del finale di stagione. Mi era venuto in mente di tornare in altura, però alla fine abbiamo optato per correre. Saltare la Vuelta e fare queste gare di un giorno e sembra che sia stata la scelta giusta.

Che cosa si è sbloccato all’italiano?

In realtà, già dopo che mi è nata la bimba, ho ritrovato tanta più consapevolezza in me stesso e ho lavorato bene durante l’inverno. Ho vinto subito alla Valenciana, mentre di solito a inizio stagione ho sempre bisogno di un po’ per ingranare la marcia. Quest’anno invece mi son fatto trovare subito pronto. Proprio alla Valenciana ho preso il Covid e quindi mi sono dovuto fermare e magari tirare un po’ il fiato mi ha permesso di fare una bella primavera fino al Giro.

Nell’Astana al via da Montreal, un solo straniero (Laas, a sinistra), poi Nibali, Garofoli, Boaro, Basso e Velasco
Nell’Astana al via da Montreal, un solo straniero (Laas), poi Nibali, Garofoli, Boaro, Basso e Velasco
A quel punto?

A quel punto ho fatto il Giro di Svizzera e poi ho recuperato bene fino all’italiano e ci sono arrivato consapevole e rilassato della gamba che avevo. Ho fatto bene nella crono e ho vinto su strada. Avevo con me la mia bimba e la mia compagna, quindi ero bello sereno e questo sicuramente mi ha aiutato a dare il massimo.

Il rinnovo del contratto?

Qui in Astana, ho trovato subito il mio posto. Sono migliorato molto e ora posso guardare avanti, puntando a qualcosa di più grande e ambizioso. Il tricolore è stato un sogno che si è avverato, per questo ora voglio puntate a traguardi più importanti. Magari questo quinto posto è il segno che qualcosa si sta muovendo.

Artuso: «Al Tour abbiamo visto il miglior Hindley»

26.07.2023
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Uno dei corridori sui quali si era posta maggiore attenzione, per quanto riguarda l’ultimo Tour de France, era Jai Hindley. L’australiano della Bora-Hansgrohe, vincitore del Giro d’Italia 2022, era atteso a questo importante banco di prova. Con Paolo Artuso, preparatore del team tedesco, avevamo parlato del tema legato ai giorni di corsa. Così, guardando la classifica del Tour, che ha visto Hindley piazzarsi in settima posizione finale, abbiamo contato i giorni di corsa fatti. L’australiano ha messo in cascina, prima della Grande Boucle, 40 giorni di gara, rispetto a numeri più contenuti degli altri corridori. 

Nella tappa numero cinque Hindley ha centrato la fuga, ha vinto la tappa e preso la maglia gialla, persa il giorno dopo a Cambasque
Nella quinta tappa Hindley ha centrato la fuga, ha vinto la tappa e preso la maglia gialla, persa il giorno dopo a Cambasque

Partenza dall’Australia

Il calendario di Hindley si è aperto nel mese di gennaio, dall’Australia, casa sua. Debutto alla Schwalbe Classic e poi ritorno al Tour Down Under, dopo due anni di assenza. Fin dopo la conquista della maglia rosa, Hindley, si era lasciato andare dicendo che sentiva parecchio la mancanza di casa. Normale per un corridore che da anni non tornava in Australia, così a gennaio, appena è stato possibile, ha preso un aereo in direzione Perth. 

«Ci aveva manifestato questa volontà fin da subito – dice Artuso – d’altronde era da prima del Covid che non vedeva la sua famiglia. Abbiamo così deciso di improntare la stagione partendo proprio dall’Australia e “modificando” la sua preparazione».

Hindley ha iniziato la sua stagione al Tour Down Under dopo due anni di assenza
Hindley ha iniziato la sua stagione al Tour Down Under dopo due anni di assenza
In che modo?

Niente training camp con la squadra a gennaio, ma le cinque tappe del Tour Down Under (più la Schwalbe Classic e la Cadel Evans Great Ocean Road Race, ndr). A febbraio si è fermato, ha fatto tanti giorni di allenamento, ed è tornato in gara all’Algarve.

Partendo così presto però Hindley è arrivato al Tour de France con 40 giorni di corsa, il doppio rispetto a Vingegaard, Pogacar e Rodriguez…

Premetto che nella preparazione di Hidley non cambieremmo nulla. Era chiaro che la sua presenza al Tour non poteva essere legata ad un tentativo di vittoria, i primi due sono di un altro livello. Il primo in particolare (Vingegaard, ndr). L’obiettivo era quello di lottare per il podio e fino alla caduta era in gioco. 

Rodriguez, diretto rivale per il podio, è stato quello che ha corso di meno, 20 giorni.

Il suo caso è interessante, fino a giugno aveva messo insieme solo 11 giorni di corsa. Poi sul podio ci è finito Adam Yates, che ha corso più di Rodriguez. Se devo dire un nome che mi ha sorpreso, dico proprio lui. Ma da questo punto di vista a livello tecnico si è capita una cosa importante.

Il passaggio al Catalunya è stato ritenuto più adatto, per tipo di percorso e salite
Il passaggio al Catalunya è stato ritenuto più adatto, per tipo di percorso e salite
Quale?

Che per performare al meglio serve arrivare freschi sia a livello fisico sia a livello mentale. Il futuro va sempre più verso un corridore che corre meno e si allena molto, soprattutto in altura. In allenamento sei tu che gestisci i tuoi impegni, come e quanto spingere e tutte le altre variabili. In gara sei più preda degli eventi. 

Il fatto di aver iniziato così presto, quindi, non ha influenzato negativamente Hindley?

Secondo me no, anzi. L’essere tornato a casa gli ha fatto bene, sicuramente ha potuto smorzare lo stress e riposare. Dal punto di vista fisico nemmeno, perché i numeri di Jai erano gli stessi del Giro dello scorso anno. Il livello di gare che c’era in Australia non era di certo elevato, e lui non è arrivato al massimo. Abbiamo usato la corsa di casa proprio come un allenamento. 

Hindley al Tour ha replicato i numeri che gli hanno permesso di conquistare la maglia rosa nel 2022
Hindley al Tour ha replicato i numeri che gli hanno permesso di conquistare la maglia rosa nel 2022
Poi però è andato alla Vuelta Algarve, alla Tirreno e al Catalunya, mettendo più fatica nelle gambe rispetto agli avversari. 

L’unica cosa che si potrebbe fare, forse, è ricalibrare leggermente gli appuntamenti. Inizialmente doveva fare i Baschi, ma il percorso del Catalunya era più adatto e con lui abbiamo deciso di correre lì. 

Al Giro lo scorso anno arrivava con 26 giorni di corsa, sicuramente più fresco e riposato…

Giro e Tour sono totalmente diversi. I mesi che precedono la corsa rosa sono pochi ed il percorso di avvicinamento è pressoché unico. Al Tour no, nei primi dieci abbiamo visto altrettanti metodi di approccio. Hindley al Tour è arrivato pronto, i numeri lo dicono, tutto si corre al limite e gli imprevisti ci sono. La caduta lo ha sicuramente influenzato, anche Rodriguez ha subito una brutta caduta perdendo la possibilità di lottare per il podio.

Pogacar a Vingegaard: «Adesso la vediamo»

11.07.2023
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Vingegaard ha detto che non è preoccupato di aver perso quei pochi secondi e che le tappe alpine che arrivano sono più adatte a lui. «Bene – dice Pogacar con un sorrisetto sottile – vedremo sulle Alpi a chi si adattano meglio quelle salite. Piacciono anche a me, ho fatto le ricognizioni, alcune montagne le ho già fatte in corsa. Ogni anno miglioro anche nelle lunghe esposizioni al caldo. Dobbiamo aspettare e vedere cosa succederà nell’ultima settimana».

Giorno di riposo, il primo. Il Tour sembra iniziato da un mese, tante sono state finora le emozioni smosse da quei due e dai poveretti che cercano di stargli dietro. Quei pochi metri guadagnati sul Puy de Dome hanno lasciato nella mente dello sloveno il senso di potercela fare. Vingegaard e la sua squadra sembrano una barriera inscalfibile, ma da un paio di giorni Pogacar ha intravisto una breccia e tanto basta per infilarsi dentro, cercando di spaccare il muro.

Pogacar ha 24 anni ed è professionista dal 2018. Ha vinto due Tour
Pogacar ha 24 anni ed è professionista dal 2018. Ha vinto due Tour
E’ cambiata la tua motivazione?

Sento qualcosa di speciale, ma non so se sia legato a Jonas. Mi sento meglio ogni giorno. Oggi (ieri, ndr) è stato un buon giorno di riposo e sono pronto per tornare a correre. Sono davvero contento finora di questo Tour, posso solo migliorare.

Si dice che non avendo corso prima, potresti soffrire nella terza settimana. Sei preoccupato?

No, per niente. Anzi, penso che l’ultima settimana dovrebbe essere anche migliore della prima. Ho una buona base, in primavera stavo davvero bene, quindi la resistenza c’è. Mi sarebbe piaciuto fare qualche corsa prima del Tour, ma sono due cose diverse. Confido di stare bene nella terza settimana. Intendiamoci, potrebbe anche succedere che peggiorerò, ma non credo.

Sei sorpreso per le tue prestazioni visto che vieni da una lunga inattività?

No, non sono sorpreso. Mi sono stupito semmai quando ho perso terreno sul Marie Blanque. Sapevo che stavo bene, invece qualcosa non è andata. Mi conosco, andrò sempre meglio.

Sul Marie Banque, il cedimento inatteso di Pogacar, arrivato a Laruns 1’04” dopo Vingegaard
Sul Marie Banque, il cedimento inatteso di Pogacar, arrivato a Laruns 1’04” dopo Vingegaard
Come definiresti la tua rivalità con Vingegaard?

Bella. Già l’anno scorso, è stato uno dei migliori Tour di sempre e penso che quest’anno sia successo molto già nella prima settimana. E’ un buon momento. Sganciamo bombe quotidianamente l’uno sull’altro. Abbiamo vinto una tappa ciascuno, mi sto proprio divertendo.

Sembra che tu corra con molta più avvedutezza degli anni scorsi. Perché questo cambiamento?

Finora ho fatto tre Tour de France e ogni edizione ti dà esperienza in più. E’ bello vincere una corsa con 50 chilometri di fuga solitaria, ma siamo al Tour de France e bisogna essere consapevoli. Ci sono tre settimane e ogni giorno puoi pagare il prezzo per lo sforzo fatto il giorno prima. Devi correre davvero con la testa, non puoi semplicemente impazzire e pensare di ottenere tutto in un solo giorno.

Stai invecchiando? Nel 2021 hai vinto con una fuga di 48 chilometri a Le Grand Bornand…

Sì, probabilmente sto diventando vecchio. Infatti (sorride, ndr), è il mio ultimo anno con la maglia bianca.

Le discese sono veloci e insidiose, giusto rischiare tanto? Lui è Adam Yates, gregario extra lusso
Le discese sono veloci e insidiose, giusto rischiare tanto? Lui è Adam Yates, gregario extra lusso
Adam Yates sarà a tua disposizione o farà la sua corsa?

Averlo accanto può essere un vantaggio. E’ in super in forma e penso che stia migliorando sempre di più. Quindi penso che nelle prossime tappe possiamo correre d’intesa. Adam è un grande compagno di squadra e averlo così vicino in classifica generale mi toglie pressione di dosso.

Sei entrato in questo Tour dicendo che non hai niente da perdere, la pensi ancora così?

E’ più divertente correre senza niente da perdere rispetto a dover difendere una maglia gialla. Ora che siamo nel cuore del Tour, non sembra così diverso. Ti concentri solo sulle corse, ma di sicuro ho avuto meno pressione arrivando al Tour. E’ stata una sensazione un po’ diversa rispetto a quando avevo il titolo da difendere.

In casa Jumbo Visma hanno detto che sul Puy de Dome hai fatto i tuoi migliori 35 minuti. Sei d’accordo?

Non lo so. Non conoscono tutti i miei allenamenti o tutti i miei dati di gara, quindi non sanno tutto su di me. Quindi non possono presumere certi numeri con esattezza. Però posso dire che è stata un’ottima prestazione, forse davvero la migliore.

La Jumbo-Visma sembra una barriera inscalfibile, ma Pogacar pensa di aver aperto una crepa
La Jumbo-Visma sembra una barriera inscalfibile, ma Pogacar pensa di aver aperto una crepa
Come sta Urska?

Sta molto meglio, oggi è andata di nuovo in bici. Non è in condizioni perfette, avrà bisogno ancora di qualche giorno per riprendersi. Quando perdi il manubrio ad altissima velocità è uno degli incidenti peggiori. A volte penso alle discese, come domenica, quando andavamo a 90 all’ora in gruppo sull’ultima grande discesa prima del Puy de Dome. Meglio non pensare a ciò che può succedere e che tutto possa andare in malora. E’ il nostro lavoro. Abbiamo cercato di essere rispettosi in gruppo e affrontarla con più calma, ma a volte è tutto così caotico. E allora ti chiedi se ne vale la pena.

E’ tutto così caotico, al punto da chiedersi se ci sia ancora tempo per fare i propri bisogni…

Normalmente nel ciclismo tradizionale succede che quando la maglia gialla si ferma, tutti si fermano con la maglia gialla e poi rientrano (sorride, ndr). Poi ci sono quelli che la fanno dalla bici. Personalmente, provo a fermarmi al massimo due volte per tappa, sempre quando c’è un momento in cui sai che puoi rientrare abbastanza velocemente. Oppure quando c’è più gente che si ferma, mai da solo. E se hai bisogno di fare qualcosa di grosso, sei fottuto. E’ difficile rientrare.

Cosa ti aspetti dalla Jumbo Visma?

Proveranno di tutto per preparare un grande attacco. Proveranno a farmi crollare di nuovo, ma staremo a vedere. Preferisco andare avanti giorno per giorno, sono motivato e pronto a tutto. Anche per le loro tattiche, cercherò di essere pronto qualsiasi cosa facciano.

Gran morale sul Puy de Dome e anche grande caldo: forse il solo punto debole di Pogacar
Gran morale sul Puy de Dome e anche grande caldo: forse il solo punto debole di Pogacar
E’ vero che per il prossimo anno stai ragionando di fare il Giro, lasciando che Almeida venga in Francia, dato che il Tour finisce solo tre giorni prima delle Olimpiadi?

Lo vedremo. Almeida è un ottimo corridore e quest’anno l’ha dimostrato al Giro. E’ pronto per andare al Tour e magari l’anno prossimo sarà possibile. Penso che lo voglia da molto tempo. Potremmo farlo insieme, come quest’anno sono con Adam Yates. Con Almeida ho fatto poche gare, ma abbiamo buoni rapporti. Sarà l’argomento di cui discutere fra otto mesi o giù di lì. Adesso no, per favore. Domani (oggi, ndr) ricomincia il Tour de France.

Come corre adesso la UAE Emirates? Risponde Matxin

02.07.2023
5 min
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La corazzata Jumbo-Visma e il campione uscente Jonas Vingegaard fanno paura, ma Joxean Fernandez Matxin (sports manager del UAE Team Emirates) è sicuro che i suoi uomini daranno filo da torcere ai gialloneri e lo dice senza peli sulla lingua. Ieri Pogacar e Vingegaard (foto di apertura) si sono appena punzecchiati. Nella breve visita nel ritiro di Sestriere del team avevamo visto all’opera Rafal Majka, Marc Soler e i nuovi innesti targati 2023 Adam Yates e Felix Grosschartner.

Ora che Adam Yates ha conquistato tappa e maglia al Tour, l’abbiamo stuzzicato a più ampio raggio, dal podio del mese scorso di João Almeida al Giro d’Italia e su quanto di buono mostrato dall’astro nascente Juan Ayuso al Giro di Svizzera.

Matxin è il direttore della parte sportiva del UAE Team Emirates: i tre giovani di casa li ha visti crescere
Matxin è il direttore della parte sportiva del UAE Team Emirates: i tre giovani di casa li ha visti crescere
Come valuti la prima metà del 2023 del team?

Abbiamo visto tante cose interessanti, soprattutto da tre corridori che seguo da diversi anni e che godono della mia piena fiducia. Almeida lo conosco da quando è junior, così come Tadej, mentre Ayuso dalla categoria allievi. Sono ragazzi che ho visto crescere mentalmente e fisicamente. Almeida ha dato un segnale importante al Giro.

Lo rivedremo alla Vuelta?

Sì, l’idea è quella, così come Ayuso che avrà la corsa spagnola come focus della stagione. E’ un corridore in grande crescita e su cui puntiamo molto. 

Dunque, nessun problema di abbondanza?

No, perché tra tutti e tre, ovvero Tadej, João e Juan, c’è un rapporto fantastico. Li avete anche già visti insieme, soprattutto gli ultimi due, ad esempio alla Vuelta dello scorso anno. Ma anche Almeida e Pogacar, o Pogacar e Ayuso che hanno lavorato insieme a Sierra Nevada e fatto dei bei giorni di allenamento tranquilli da soli. Con le persone intelligenti è facile lavorare, senza problemi, e loro lo sono.

Ci racconti dell’avvicinamento anomalo di Tadej al Tour 2023?

Abbiamo fatto un programma iniziale un po’ diverso rispetto a quello che avevamo in mente, anche se le tempistiche erano simili. Già da gennaio abbiamo tolto l’altura che facevamo per il Uae Tour e, pur sapendo che questa era una corsa importante per la nostra squadra, l’abbiamo tolta per dare a gente come Ayuso e Yates la possibilità di farsi vedere. Soprattutto a quest’ultimo dovevamo dare un bello spazio, dopo averlo voluto fortemente in squadra.

Sarà lui l’ultimo uomo di Pogacar in salita?

E’ un corridore che può fare benissimo anche il leader. Insomma, un secondo capitano. Si è integrato bene, l’avete visto anche voi al Delfinato, non così lontano da Vingegaard, pur non essendo ancora nella miglior condizione.

Ha ancora voglia di imparare il britannico?

Tutti impariamo, anche io a 52 anni continuo ad apprendere qualcosa dai miei corridori, sia a livello professionale sia personale.

Secondo Matxin, Yates può essere anche un capitano aggiunto. Intanto è partito con tappa e maglia
Secondo Matxin, Yates può essere anche un capitano aggiunto. Intanto è partito con tappa e maglia
Tadej ti stupisce ancora?

Bè, tutti gli obiettivi che ti prefissi, con lui li riempi. E’ completo sotto tutti gli aspetti ed è capace di vincere in volata, a cronometro, in uno strappo, in una salita lunga, in pavé. E’ la perfezione fatta ciclista.

E umanamente?

E’ un ragazzo normale. Dirlo di lui può sembrare strano, però è così. Come Ayuso, con cui sono stato qualche giorno fa in Svizzera: sono corridori che vanno forte qualunque cosa facciano, perché fanno bene il loro lavoro. 

Avete segnato in rosso qualche tappa in particolare della terza settimana dopo i sopralluoghi?

Certo, ma ovviamente non vi dico quale (ride, ndr).

C’è qualche possibilità di vedere Tadej anche alla Vuelta?

Per ora, l’unico focus è il Tour, anche perché è stato un anno particolare. Ha fatto una prima parte di stagione fino alla Liegi, che era comunque l’ultima corsa di quel periodo anche senza la caduta, incredibile. Senza intoppi, avrebbe fatto o il Delfinato o il Giro di Slovenia in vista del Tour. Invece abbiamo cambiato il programma e deciso di puntare direttamente sui campionati nazionali (con il doppio successo, ndr) per dargli più recupero. Dovevamo fare i passi giusti.

La caduta della Liegi ha riscritto i piani di Pogacar, che ha ultimato la preparazione a Sestriere (foto Matteo Secci)
La caduta della Liegi ha riscritto i piani di Pogacar, che ha ultimato la preparazione a Sestriere (foto Matteo Secci)
Come sta adesso?

Bene, la sua condizione è in crescendo e abbiamo deciso, dopo Sierra Nevada, di spostarci al Sestriere anche per evitare di fare troppi viaggi. In Spagna, ha usato il tutore in bici da crono per non appoggiarla e non mettere pressione sulla mano, adesso lo usa e lo toglie, ha ancora l’abbronzatura del tutore, però la progressione è giusta, poi vedremo in corsa. 

La squadra è carica?

Abbiamo messo in chiaro già da diversi giorni prima dell’annuncio ufficiale chi avrebbe corso il Tour e chi sarebbero state le riserve. Abbiamo fatto un primo briefing a Sierra Nevada e poi un altro a Sestriere a cui hanno partecipato tutti i direttori sportivi. Abbiamo studiato le tappe che ci aspettano, la tattica con piano A, B e così via, ma anche i rivali che ci troveremo di fronte.

Sarà un Tour scoppiettante come lo scorso anno col duello Pogacar-Vingegaard a farla da padrone?

Credo sinceramente che abbiamo avversari importanti. Non possiamo nasconderci e si può dire che la rivalità sportiva con Vingegaard è molto forte e la sua condizione è importante. Però, non bisogna dimenticarsi che Tadej ha vinto parecchio (14 corse su 20 con le due nuove maglie di campione nazionale sloveno dello scorso weekend, ndr), lasciando pure vincere qualche compagno in alcune occasioni. Ci sarà da divertirsi.

Gemelli contro a Bilbao. Adam Yates infila Simon

01.07.2023
7 min
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BILBAO – Certe volte il destino è davvero incredibile. Ci sono delle storie che persino il miglior scrittore farebbe fatica a pensare. Ma se non sei né l’uno, né l’altro, fai il preparatore e ti chiami Maurizio Mazzoleni (sotto nel video, ndr), allora hai qualche chances in più.

Il coach dell’Astana-Qazaqstan questa mattina in un’intervista a 360° parlando dei “terzi incomodi” aveva detto proprio di stare attenti ai gemelli Yates: perché vanno forte, se ne parla poco e sanno vincere. Non poteva essere più preciso.

Tra l’altro non è la prima volta che Simon e Adam arrivano in parata. Era successo dieci anni fa. Al Tour de l’Avenir… quella volta ci fu un accordo e vinse Simon.

Vento decisivo?

Forcing micidiale di Adam Yates sul Muro del Pike. Gli restano attaccati “quei due” e il sorprendente Lafay. Adam si defila, rientra e scappa. 

Simon lo vede e lo bracca. Innanzitutto sa come sta il fratello e poi intuisce subito che tatticamente l’azione può essere favorevole. In quel momento la Jumbo-Visma non si era compattata.

Ieri avevamo percorso gli ultimi 10 chilometri e dentro di noi ci siamo detti: “Se al tornantone verso sinistra sono ancora davanti, arrivano”. Lì infatti il vento girava e diventava favorevole. E così è andata. I gemelli sono riusciti a fare una grande velocità. In più tra le curve cittadine hanno guidato benissimo.

I due gemelli scappano via. E in effetti Simon tira un po’ più di Adam
I due gemelli scappano via. E in effetti Simon tira un po’ più di Adam

Simon c’è

Il finale poi era tutto di gambe: 500 metri al 4-6 per cento. E lì le gambe Simon non le aveva più.

«Ha avuto dei crampi nel finale, così mi ha detto Simon – ha rivelato Brent Copeland, general manager della Jayco-AlulaUna storia bellissima oggi. Poteva essere meglio per noi! Potevamo vincere noi la tappa e prendere la maglia gialla, ma se proprio doveva vincere qualcun altro, bene così che lo abbia fatto Adam».

«Vero, ha tirato più di Adam, ma ci poteva stare: lui dietro aveva Pogacar e poteva anche non tirare per niente. Sì, sono gemelli, ma in gara sono rivali e professionisti».

Simon sui rulli, spalle alla strada. Non correva dal 26 aprile, probabilmente i crampi sono il frutto di questa lunga assenza dalle gare
Simon sui rulli, spalle alla strada. Non correva dal 26 aprile, probabilmente i crampi sono il frutto di questa lunga assenza dalle gare

Sorriso amaro

Copeland li avuti entrambi e li conosce. Sono molto simili. Adam forse è un filo più adatto per le corse di un giorno, più esplosive, tipo una “classica come quella di oggi” (era la prima tappa). Simon più per le tre settimane, e infatti ha vinto una Vuelta.

«Ma questo risultato – continua Copeland – è importante anche perché ora sappiamo che Simon sta bene. Non correva da aprile (una sola tappa del Romandia, ndr) e per noi era un punto di domanda. E’ bravissimo a prepararsi a casa, però le corse sono un’altra corsa.

«Partiamo per curare la classifica, poi vediamo… Perché correre per un quinto posto non ha molto senso per noi. A quel punto meglio puntare a qualche tappa».

Simon Yates intanto scioglie la gamba. Ha chiesto al meccanico di girarli i rulli verso il bus e non verso la strada. E’ un modo per evitare anche la stampa. Non è deluso, perché ai compagni spiega le cose con lucidità e ogni tanto sorride, ma chiaramente qualche pensiero gli frulla nella testa.

Quello che si sono detti col gemello lo sanno, e probabilmente lo sapranno, sempre e solo loro. Ma sono dei professionisti. E questo lo ha ribadito anche Adam nella conferenza stampa.

Primo e terzo

E poi c’è la sponda del vincitore. La UAE Emirates esplode in un urlo di gioia. L’altro team manager, Mauro Gianetti, esce dal bus con le braccia al cielo, perdendo la sua proverbiale compostezza, per qualche secondo.

«Primo Adam, terzo Tadej, maglia gialla – dice il manager svizzero – meglio di così non potevamo iniziare. Tadej sta bene e questa è l’altra notizia importante».

«Abbiamo giocato alla Play Station? No, però era prevista questa azione – ha detto il diesse Hauptman – . Era previsto che Grosschartner facesse quel forcing per stare davanti sul Pike. Volevamo vedere come stavamo noi e come stavano gli altri. Poi ci dovevamo provare anche con Adam, che sta attraversando un ottimo periodo di forma. E’ stata importante questa tappa per noi. Ed è stato anche importante vincere».

Tour de l’Avenir 2013, tappa di Morzine. Simon precede Adam… dieci anni dopo ancora una fuga tra gemelli (foto James Startt)
Tour de l’Avenir 2013, tappa di Morzine. Simon precede Adam… dieci anni dopo ancora una fuga tra gemelli (foto James Startt)

Destini incrociati

Adam e Simon hanno fatto una carriera parallela. Da piccoli erano sempre il primo rivale l’uno dell’altro. E oggi, nella corsa più grande, è stato come tornare alle corse di paese che facevano da bambini.

Chissà cosa è passato nella testa e nel cuore dei loro genitori, dei loro compaesani. In particolare in quella di papà John che li ha messi in bici. Lui aveva una piccola squadra, la Bury Clarion, e li portava a girare nel velodromo di Manchester. Le prime gare, i primi successi.

Anche se tra i due chi ha fatto da “testa di ponte” è stato Adam. E’ stato lui a battere il primo grosso colpo. Era l’Avenir del 2013 e fu secondo. Proprio lì, arrivarono in parata davanti al grande pubblico per la prima volta.

Come ci disse Vittorio Algeri, il diesse che meglio li conosce: «Se uno ottiene un risultato, l’altro si sbriga a coglierne un altro».

Scortato dal suo addetto stampa, Luke Rowe, Adam Yates si gode la maglia gialla… oltre alla vittoria
Scortato dal suo addetto stampa, Luke Rowe, Adam Yates si gode la maglia gialla… oltre alla vittoria

Adam incredulo

«Non ci credevo di essere davanti con mio fratello – ha detto Adam Yates nella sua fresca maglia gialla – è incredibile. Un’esperienza super. Cosa ci siamo detti? Che dovevamo spingere e ancora spingere… Sapevamo che dietro c’era un po’ di confusione. Tadej mi ha detto di andare».

«Io avevo speso tanto nella salita finale e così ho cercato di risparmiare qualcosa. Quando ai 450 metri Tadej per radio mi ha detto che era tutto okay, ho spinto al massimo e sono riuscito a vincere».

Adam e Simon Yates vivono vicini. Parlano spesso e ogni tanto escono anche insieme, ma ultimamente si sono frequentati meno di quanto si possa pensare. «Ho passato molto più tempo con la squadra che non a casa, però sono contento di condividere questa gioia con lui (i due si sono abbracciati dopo l’arrivo, ndr). Sarà un ricordo indelebile».

Quando hanno aperto il gas per davvero sono rimasti Pogacar e Vingegaard, con Lafay (a destra). Il duello è servito
Quando hanno aperto il gas per davvero sono rimasti Pogacar e Vingegaard, con Lafay (a destra). Il duello è servito

Ma comandano loro

Questa prima frazione però è stata anche il primo confronto fra Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard. I due si sono punzecchiati, o almeno lo hanno fatto con le rispettive squadre. Ora l’una, ora l’altra erano in testa a fare trenate per prendere le salite e i punti critici davanti.

L’arrivo in volata del drappello inseguitore, premia lo spunto veloce dello sloveno, ma sono davvero lì. E se queste sono le premesse… buon Tour de France a tutti.

Adam Yates, Caruso, Bernal: verdetti dal Romandia

30.04.2023
6 min
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Con una volata lunga, potente e intelligente Fernando Gaviria si è aggiudicato l’ultima tappa del Giro di Romandia. La corsa svizzera arrivava sulle sponde del Lago di Ginevra, dove il gigantesco zampillo schizzava nell’aria centinaia di litri di acqua al minuto. Una potenza pari a quella del colombiano che in questa stagione ha firmato così il suo secondo successo.

«E’ stata una giornata difficile – ha detto Gaviria – mi sono staccato sulle salite (molte nella parte centrale, ndr) ma la squadra mi è stata vicino. Nel finale però stavo bene. All’ultimo chilometro ero ben piazzato e sono partito lungo. Questo successo è molto importante per me in vista del Giro perché mi sono allenato tanto e bene».

Ma questa bella corsa nel nord ovest della Svizzera ci ha detto molto di più. Sono emersi verdetti interessanti sui quali è bene fare delle considerazioni, a partire dal vincitore della corsa, Adam Yates, e della sua squadra.

Prima però, tanto per restare in casa Movistar, un appunto di merito va a Matteo Jorgenson. Lo spilungone californiano è arrivato secondo nella generale. Continua ad essere costante nel rendimento e se oggi Gaviria ha potuto vincere, una grossa mano gliel’ha data lui. Nei chilometri finali è stato grazie alle sue trenate se il vantaggio della fuga è letteralmente crollato. Occhio dunque a questo classe 1999.

In casa UAE

Ma torniamo ad Adam Yates. La prima di queste riflessioni riguarda proprio la UAE Emirates. La squadra di Mauro Gianetti conferma il suo trend di crescita. In questa stagione Adam ha preso parte a tre corse a tappe da capitano, ne ha vinte due e in una è caduto.

Matxin – come sempre – era stato di parola: «Ayuso andrà al Romandia in supporto di Adam Yates. Ma se starà bene come fermarlo?». E ancora: «Juan sa aiutare i compagni». Dopo la prestazione a crono e la maglia di leader finita sulle spalle del giovane spagnolo si è verificato tutto alla lettera. Verso Thyon 2000 Ayuso ha capito di non essere al meglio e ha dato via libera a Yates. Morale: tappa, maglia e corsa ad Adam.

«Sono contento per me e per la squadra – ha detto Yates – era giusto ieri stare vicino ad Ayuso, perché lui è un talento. Ma poi non era al meglio e mi ha detto di andare. Oggi abbiamo controllato la gara con tranquillità. Siamo una squadra forte e compatta. E’ una vittoria di tutti noi».

Questo certifica che la UAE sta lavorando bene e che per questo ciclismo di livello siderale servono dei gregari di extra lusso. Adam Yates aveva questo spazio del Romandia per sé. Lo ha sfruttato al meglio e ora lavorerà in ottica Tour per Pogacar. E lo farà con convinzione nei propri mezzi, con la tranquillità di chi ha vinto e potrà così dare il 101 per cento per lo sloveno.

Capitolo Ayuso: siamo di fronte ad un nuovo fenomeno. Lo sapevamo, sì, ma stare lontano dalle corse per tanti mesi, rientrare mentre gli altri sono a pieno regime e ottenere un successo a crono, un secondo posto in un’altra tappa e dare una grossa mano ai compagni non è da tutti. Specie se hai appena 20 anni.

Al Romandia visto un ottimo Caruso. Bene in salita, ma bene anche a crono (sesto). Ottimi segnali in vista del Giro
Al Romandia visto un ottimo Caruso. Bene in salita, ma bene anche a crono (sesto). Ottimi segnali in vista del Giro

Caruso c’è

Damiano Caruso: zitto, zitto “Damianuzzo” esce sempre. Nel tappone di Thyon arriva terzo a 19” da un super Yates. E’ in forma Giro d’Italia. Al Giro di Sicilia era palesemente ingolfato dal tanto lavoro. Che sia ancora una volta lui il salvatore della Patria? E’ probabile.

Damiano non ama troppo sentir parlare di ruolo da capitano, leader, classifica… però è lì. Queste prestazioni danno consapevolezza. La salita di Thyon era una scalata vera. Lunga. Dura. Adesso il siciliano della Bahrain-Victorious sa che ha lavorato bene. E che si è scontrato con gente che faceva del Romandia un obiettivo primario.

«Conoscevo molto bene l’ultima salita” – ha detto Caruso – era lunga quindi era fondamentale gestire al meglio lo sforzo. E io l’ho gestito bene. Nel finale ho avuto la forza di aumentare e agguantare il terzo posto.

«Questo podio nella classifica generale mi dà soddisfazione perché dopo Il Giro di Sicilia volevo dimostrare che la mia condizione è buona. Inoltre mi dà morale e più fiducia in vista del Giro».

Ai 2090 metri di Thyon 2000 Bernal è giunto ottavo a 54″ da Adam Yates
Ai 2090 metri di Thyon 2000 Bernal è giunto ottavo a 54″ da Adam Yates

Toh, Bernal

Un altro corridore che può uscire col sorriso dalla Svizzera Romanda è Egan Bernal. Il colombiano della Ineos Grenadiers batte un colpo… non in terra, finalmente. Ottavo nell’arrivo in salita, ottavo nelle generale. Per la prima volta dall’inizio dell’anno, ma se vogliamo dal suo ritorno alle corse, Bernal riesce a concludere una gara senza intoppi

E questo è un bel segnale non solo per Egan, ma per il ciclismo intero che potrebbe ritrovare un altro protagonista sopraffino. In attesa di sfide epocali con Pogacar, Evenepoel, Vingegaard… le poche parole di Egan dicono tutto: «Non si tratta di numeri, ma di carattere. Una top dieci nella generale per me è una piccola grande vittoria. Ora torniamo a casa e continuiamo ad allenarci».

Yates Barcellona

La corsa a piedi? Nel ciclismo non è più un tabù…

09.07.2022
5 min
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Nella recente intervista a Michael Woods, il canadese della Israel Premier Tech, ricordando il suo passato di promettente mezzofondista in atletica leggera, sottolineava un aspetto legato all’attività ciclistica e ai suoi effetti.

«Se sei sempre in bici – ha detto – in realtà stai facendo solo un range di movimento davvero ridotto. Così influisci male sul tuo corpo. Alcuni esperti mi hanno detto che molti ciclisti professionisti finiranno con problemi di densità ossea, perché semplicemente non corrono né camminano mai».

Un’affermazione del genere non poteva passare inosservata. Il rapporto fra corsa a piedi e in bici, che pure hanno tanto in comune al punto da essere unite da discipline multisportive come duathlon e triathlon, spesso è stato visto in antitesi da preparatori e diesse, ma è ancora così? In fin dei conti sono tanti i pro’ che, anche solo per una sgambatina per scaricare la tensione, effettuano uscite di corsa a piedi. Anche al Tour de France non mancano esempi di protagonisti che iniziano la giornata con una mezzoretta di corsa su strada, Roglic in testa.

Notari 2022
Giacomo Notari, preparatore dell’Astana, ritiene la corsa a piedi un ottimo compendio aerobico per il ciclismo
Notari 2022
Giacomo Notari, preparatore dell’Astana, ritiene la corsa a piedi un ottimo compendio aerobico per il ciclismo

Ciclismo e corsa, sport fratelli

Come la pensano oggi coloro che sono chiamati a impostare l’allenamento degli atleti? Abbiamo sottoposto le riflessioni di Woods a Giacomo Notari, preparatore dell’Astana.

«Il canadese ha complessivamente ragione – dice – considerando che si tratta di due movimenti legati all’endurance e quindi che influiscono molto sul sistema cardiovascolare, ma molto diversi fra loro. Il ciclismo ha un movimento ciclico, quello pedestre ha un forte impatto sul terreno, ripetuto. Diciamo che si compendiano, anzi si può dire che il ciclismo sia per certi versi ancor più utile al corridore a piedi del contrario».

Perché?

La storia di Woods è già esemplare in tal senso: chi subisce un infortunio nella corsa, riprende a fare attività fisica attraverso discipline come il nuoto e il ciclismo che permettono di allenare il fisico a livello cardiovascolare in assenza di peso, senza traumi impattanti col terreno. Come detto prima, si tratta di due specialità endurance che aiutano e incrementano le qualità aerobiche.

Woods Tour 2022
Michael Woods, in gara al Tour, non ha mai dimenticato le sue radici nell’atletica
Woods Tour 2022
Michael Woods, in gara al Tour, non ha mai dimenticato le sue radici nell’atletica
E’ pur vero però che la corsa è sempre stata vista poco favorevolmente nel mondo ciclistico…

E’ qualcosa che è andato cambiando negli ultimi anni con l’affermazione sempre più diffusa della multidisciplina. Se guardiamo a mezzo secolo fa è vero, le tabelle di allora non prevedevano la corsa perché si pensava facesse male andando a inficiare la ciclicità del movimento, ma non è più così. Ormai ogni preparatore la giudica una specialità complementare, sicuramente necessaria per chi fa ciclocross, ma utile anche per chi è concentrato sulla strada.

C’è da fare una distinzione nel suo utilizzo in base al periodo?

Direi di sì. La preparazione invernale ad esempio è andata molto cambiando nel tempo, prevede palestra e anche corsa a piedi quando invece una volta si lavorava prevalentemente in bici. D’estate nel pieno dell’attività si usa meno, ma molti preferiscono al mattino fare leggere uscite per riattivare il metabolismo. Van Aert ad esempio è uno di questi. Va sottolineato poi il fatto che si tratta di atleti che hanno anche una certa predisposizione per gli sport di endurance nel loro complesso. Lo stesso belga è comunque uno capace di correre la mezza maratona a un ritmo di 4’ al chilometro che non è da tutti (nella foto di apertura Adam Yates alla Maratona di Barcellona, chiusa in 2h58’46”, ndr). Molto c’entra anche la provenienza geografica.

Van Aert corsa 2022
Wout Van Aert a Livigno: la corsa a piedi fa parte del suo programma di allenamento da sempre
Van Aert corsa 2022
Wout Van Aert a Livigno: la corsa a piedi fa parte del suo programma di allenamento da sempre
In che senso?

Chi viene da un Paese freddo come Olanda o Belgio d’inverno ha buoni vantaggi nell’abbinare alle uscite in bici quelle sostitutive a piedi, perché in tal modo si riesce a fare meno fatica considerando la temperatura e si ha comunque la base aerobica di cui si ha bisogno nel quadro complessivo della preparazione. Per i mediterranei il discorso è diverso: in Spagna il clima è sempre favorevole, tanto è vero che le squadre prevedono ritiri quasi tutti i mesi in loco.

Ci sono controindicazioni?

E’ importante che la corsa a piedi sia qualcosa di naturale, che “appartenga” al corridore come nel caso di Woods. Iniziare dall’oggi al domani significa andare incontro ad almeno due settimane di indolenzimento muscolare che non fa bene a chi pretica attività ciclistica. Se invece è qualcosa di connaturato, di normale, allora non ci sono problemi. Tornando al paragone col passato, bisogna dire che le nuove generazioni sono nate nello spirito della multidisciplina, quindi la corsa fa già parte della loro cultura sportiva. A maggior ragione se praticano specialità offroad come il ciclocross o la mountain bike, dove l’attività a piedi è parte integrante della disciplina. Ma su questo tema io andrei anche oltre.

Boaro 2022
Manuele Boaro è uno dei ciclisti italiani che ha sempre praticato la corsa su strada
boaro 2022
Manuele Boaro è uno dei ciclisti italiani che ha sempre praticato la corsa su strada
Ossia?

Nel caso dei bambini bisogna spingerli a fare la gamma più ampia di sport per accrescere il loro background motorio e sviluppare qualità diverse. Quando si entra nell’età adolescenziale si comincia a fare attività specifica, ossia a individuare quali saranno le specialità più adatte, ma io personalmente sono contrario a concentrare ragazzi di 13-14 su una sola specialità. Avranno tutto il tempo.

Tu che vivi nell’ambiente, ci sono esempi anche in Italia di ciclisti che fanno anche attività di corsa?

Sì, Boaro è uno fra questi. Sicuramente però – e parlo anche in relazione a quel che vedo nel mio team – per i corridori stranieri l’uscita di corsa a piedi è cosa normale, noi siamo ancora un po’ figli di una concezione antica, che piano piano si va sradicando.

Yates scatta ma piega (ancora) la testa. UAE Tour a Pogacar

26.02.2022
4 min
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Un deja vu, un copia e incolla, una replica. Chiamatela come volete, ma dopo un anno si è ripetuta la stessa scena, sulla stessa salita, tra gli stessi interpreti. Adam Yates che attacca, Tadej Pogacar che risponde, soffre, e poi vince.

L’epilogo del UAE Tour è andato più o meno secondo i programmi. I due uomini più in forma e forse più adatti a questa scalata, quella di Jebel Hafeet, hanno tenuto fede alle attese. Ma forse alla fine tutto è racchiuso nelle parole proprio di Yates: «E’ difficile staccare un doppio vincitore del Tour de France».

Adam Yates attacca forte, screma il gruppo, ma non stacca lo sloveno. L’inglese fu 2° nel 2021 e 3° nel 2020, sempre dietro a Pogacar
Adam Yates attacca forte, screma il gruppo, ma non stacca lo sloveno. L’inglese fu 2° nel 2021 e 3° nel 2020, sempre dietro a Pogacar

Errore Yates?

Però qualche errore c’è eccome da parte sua. E se è vera quella sua frase, anche la disamina che fa non convince del tutto.

«Oggi abbiamo lavorato duramente – ha detto il portacolori della Ineos-Grenadiers – come per tutto il giro. Al primo attacco sono andato a tutto gas fino a non averne più (e già qui c’è forse un piccolo errore tattico, ndr). Mi sono guardato dietro e speravo che Pogacar non fosse attaccato alla mia ruota, ma era piuttosto difficile. 

«Ho riprovato proprio alla fine e ancora non riuscivo a liberarmi di lui. Su un traguardo come questo è abbastanza veloce in volata. Tutto sommato, penso che possiamo essere contenti di come abbiamo corso».

Quel che dice l’inglese non è del tutto sbagliato, ma ci sono dei ma… Tu sai chi è il tuo avversario, sai che in volata è più veloce, sai come va su quella specifica salita perché ci hai già perso e ripeti lo stesso errore? Come si dice: sbagliare è umano, perseverare è diabolico.

Inizia la scalata verso Jebel Hafeet, scalata di 10,9 chilometri al 6,7% e che arriva a quota 1.030 metri
Inizia la scalata verso Jebel Hafeet, scalata di 10,9 chilometri al 6,7% e che arriva a quota 1.030 metri

L’assoluzione di Garzelli

Stefano Garzelli, che ha commentato la gara per la Rai, però in qualche modo tende la mano ad Adam. Anzi, lo assolve proprio.

«E che cosa poteva fare di diverso Yates? Ha provato a vincere la corsa – dice – e al tempo stesso a difendere il podio perché c’era anche Almeida. Il UAE Team Emirates si è rinforzata tantissimo. Ha fatto tirare Bennett, poi Majka e anche Almeida… oltre a Pogacar. Se avesse aspettato l’ultimo chilometro avrebbe rischiato tantissimo. Sarebbero rimasti in cinque con due UAE (Pogacar e Almeida, ndr) e si sa che su un arrivo così Joao è pericolosissimo ai fini del podio».

Ma cosa avrebbe fatto il Garzelli corridore? Non avrebbe giocato un po’ d’astuzia? Forse qualcosa di più o quantomeno di diverso si poteva fare…

«Più che in Yates, per caratteristiche mie mi vedo più nella parte di Pogacar – dice Garzelli – in una situazione del genere avrei pensato a difendermi per vincere poi in volata. Se proprio devo imputare qualcosa all’inglese dico che questa volta poteva gestire meglio la volata. Quello sì. Doveva anticiparla lui e non farsi trovare davanti in quel punto. Doveva sapere che partendo da dietro, l’altro gli prende quei cinque metri difficili poi da chiudere. E che doveva arrivare davanti all’ingresso dell’ultima curva.

«Ripeto – dice – Yates ha giocato bene le sue carte. La salita la conosceva bene. Ha attaccato nel punto più duro, per di più in un momento in cui la UAE Team Emirates tirava forte, dando una dimostrazione di grande forza. E credo anche che allo “scollinamento” Pogacar abbia sofferto. Ma lui è forte anche in questo: ha una grande capacità di tenere duro e di essere lucido quando è sotto pressione e a tutta. Sapeva che se avesse tenuto fino a quel punto poi lo sprint sarebbe stato dalla sua».

Pogacar re della quarta edizione del UAE Tour
Pogacar re della quarta edizione del UAE Tour

Anche Pogacar soffre

Ed è vero, ha ragione Garzelli: anche Pogacar ha sofferto. «E’ sempre un piacere vincere a Jebel Hafeet», ha detto soddisfatto lo sloveno a fine gara.

«La squadra aveva lavorato molto – ha proseguito – e dovevo ripagare questo sforzo. Tutti i miei compagni hanno tirato forte, soprattutto Rafal Majka che aveva attaccato: sarei stato felice di lasciarlo andare per la vittoria di tappa, ma non ci è riuscito.

«Poi ad un certo punto, Adam è andato all’attacco ed è stato uno degli affondi più duri che abbia mai visto. E’ stata davvero dura ricucire. Ho sofferto molto.

«Ho aspettato che Joao Almeida e Rafal Majka rientrassero. Ci ha provato anche Joao e quando anche lui è stato ripreso a quel punto ho pensato solo alla volata. Il UAE Tour è per noi il primo traguardo della stagione. E’ la nostra gara di casa. È importante per i nostri sponsor».

E anche su questo ultimo punto Garzelli ha la sua teoria: «Staccare Pogacar di questi tempi è pressoché impossibile, ma poi valutiamo una cosa. Per la sua squadra questo è l’appuntamento più importante dopo il Tour. Vincere questa tappa con la maglia di leader, vincere l’intero Tour… è un bel colpo per loro. E si è visto anche da come hanno festeggiato dopo l’arrivo i corridori, ma anche lo staff, a partire dallo sceicco, Gianetti e Agostini».

Gemelli Yates, uguali per modo di dire! Algeri racconta

31.03.2021
4 min
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Gli Yates sfuggono alla regola, come fu in epoca recente anche con gli Schleck, secondo cui tra due fratelli che corrono uno va forte e l’altro fa numero. Sarà perché sono gemelli? I due britannici vanno come le moto e adesso che Adam è passato alla Ineos Grenadiers avranno finalmente modo di misurarsi. E se inizialmente è parso strano che si siano separati, adesso la novità inizia a sembrare ghiotta. Pur essendo gemelli, quali sono le differenze fra loro? Lo abbiamo chiesto a Vittorio Algeri, che li ha accolti alla Orica-GreenEdge nel 2014 e li ha visti crescere.

Lo scatto di Simon Yates verso Prati di Tivo è stato un bel segno di vitalità
Lo scatto di Simon Yates verso Prati di Tivo è stato un bel segno di vitalità
Sono proprio uguali?

Mica tanto. Adam è più estroso e al limite anche nervoso. Simon è più calmo e riflessivo. Adam a volte esplode. Sono sempre stati così, ma fra loro vanno d’accordo, pur essendo sempre in competizione. Se uno vince, l’altro cerca di pareggiare subito i conti. Ricordate quando nel 2018 Simon vinse alla Parigi-Nizza e il giorno dopo Adam andò in fuga e vinse alla Tirreno-Adriatico a Filottrano? Fra loro è sempre così.

Simon sembrava più vincente…

Simon sembrava il predestinato, ma Adam ripeteva che avrebbe vinto grandi corse anche lui. Al Catalunya ci è riuscito e si è lasciato indietro anche il fratello, ma va detto che Simon ha perso le corse spagnole di inizio stagione e ha bisogno di fare chilometri.

Scattano entrambi in salita con il lungo rapporto.

Adam ha sempre esagerato. La sua prima corsa con noi fu in Argentina. Nella settimana che precedeva la gara, seguendolo in allenamento non facevo che dirgli di andare più agile. Poi però vinse la classifica dei giovani, quindi evidentemente quei rapportoni non li pagò.

Adam Yates ha vinto il Catalunya, precedendo i compagni Porte e Yates
Adam Yates ha vinto il Catalunya, precedendo Porte e Yates
Simon è più agile?

Agile è un parolone – sorride Algeri – e comunque hanno i loro allenatori che li guidano. Piuttosto spero che Simon abbia risolto i suoi problemi e possa tornare quello del Giro 2018. Ha doti importanti. L’anno scorso era preparato bene per il Giro, poi saltò fuori la positività al Covid. Quest’anno ha corso la Tirreno senza preparazione. A Prati di Tivo ha attaccato bene, ma si è visto che in finale gli è mancata la base. E a Castelfidardo ha avuto i crampi per lo stesso motivo.

Era prevedibile che si sarebbero separati?

Secondo me era nell’aria e credo che Ineos abbia fatto una bella offerta. In più qui al Team Bike Exchange nel frattempo era tornato Matthews, per cui il budget si è stretto.

Ricordi quando dissero che non sarebbero mai andati al Team Sky?

Ci ho pensato (Algeri ride, ndr), ma cambiare idea ci può stare. Il primo pensiero quando Adam disse che sarebbe andato là, fu che sarebbe andato a tirare per gli altri. In realtà fino a questo momento ha avuto le gambe per imporsi ed essere lui uno dei leader. Sono contento se riuscirà a confermarsi a quel livello, altrimenti ci saranno logiche di squadra da seguire, come è normale.

Simon e Adam alla Vuelta 2018 corsa insieme: Adam si riconosce per la cicatrice sul mento
Insieme alla Vuelta 2018: Adam si riconosce per la cicatrice sul mento
Lo vedi adatto ai grandi Giri?

Sulla carta si è sempre pensato che fosse Simon il più adatto alle tre settimane, in cui bisogna sapersi gestire in modo più oculato. Adam può vincere bene il Catalunya, anche se sempre con noi fece un bel Tour nel 2016, arrivando 4° in classifica dietro Froome, Bardet e Quintana, ma a soli 37″ dal secondo posto. E sempre quell’anno vinse la maglia bianca. Sarei curioso di vederlo partire come leader, per capire come regge la responsabilità.

Mentre Simon?

Simon deve mettere chilometri nelle gambe. Non so se al Catalunya abbia sofferto il fatto di stare dietro al fratello – chiude Algeri – spero solo che torni ai suoi livelli. Così poi vederli uno contro l’altro sarà ancora più divertente.