LALLIO – Il Giro d’Italia Women è iniziato con una cronometro che non ha sorpreso per il risultato finale e per i distacchi inflitti da Marlen Reusser. La svizzera del Team Movistar ha lasciato alle sue spalle tutte le altre pretendenti alla maglia rosa e non solo. Un Giro Women iniziato senza sorprese, vero, ma che già oggi porterà il gruppo sulle prime montagne con l’arrivo ad Aprica. Non un percorso impegnativo ma che può portare già i primi verdetti in negativo, un banco di prova dove è difficile pensare di creare grandi distacchi.
Shirin Van Anrooij ha aperto il suo Giro d’Italia Women con un buon decimo posto nella cronometro di BergamoShirin Van Anrooij ha aperto il suo Giro d’Italia Women con un buon decimo posto nella cronometro di Bergamo
Top 10
Nella prova contro il tempo di ieri una delle protagoniste che non ha fatto mancare la propria presenza nella top 10 di giornata è stata Shirin Van Anrooij. L’olandese della Lidl-Trek si è presentata al via del Giro d’Italia Women come l’atleta di punta dopo la rinuncia di Gaia Realini. Per la formazione americana sono cambiati gli obiettivi ma la fiducia è alta visto anche il lavoro fatto.
«Ci siamo concentrate – ci ha raccontato Van Anrooij ai margini di un evento al Trek Store di Lallio – sul lavoro in quota per affrontare al meglio questo appuntamento. Personalmente mi sono sentita molto bene e sono felice di tornare al Giro Women con le giuste sensazioni. Dopo il Giro dei Paesi Baschi, corso a maggio, mi sono fermata per allenarmi in vista del Girod’Italia Women».
Van Anrooij, Henderson, Brand e Holmgren sono state ospiti al Trek Store di Lallio per unincontro con i tifosiVan Anrooij, Henderson, Brand e Holmgren sono state ospiti al Trek Store di Lallio per unincontro con i tifosiUn aperitivo voluto da Trek Italia per far vivere al pubblico l’atmosfera del Giro d’Italia Women
Com’è andata la preparazione?
Tutto molto bene. Sono soddisfatta di come abbiamo lavorato e della scelta di fermarci per fare un training camp di tre settimane. Una volta tornata dal ritiro mi sono messa alla prova nei campionati nazionali a cronometro e su strada. Le sensazioni erano abbastanza buone, erano comunque le prime corse quindi serviva ritrovare il ritmo giusto.
Con quali ambizioni arrivi al Giro Women?
Arrivo con una mentalità aperta. Devo fidarmi e trovare la giusta confidenza nei miei mezzi. Ho fatto un passo avanti e devo metabolizzare questa cosa, acquisire fiducia. Sarà importante capire in che modo esco dall’operazione all’arteria iliaca fatta questo inverno.
VAn Anrooij è tornata a correre dopo l’operazione all’arteria iliaca, una ripresa graduale ma che sta dando buone risposteVAn Anrooij è tornata a correre dopo l’operazione all’arteria iliaca, una ripresa graduale ma che sta dando buone risposte
Senti di essere tornata in bici al meglio?
Non ho avuto fastidi, questo è un bene. L’inizio di stagione non è stato semplice però sento di migliorare gara dopo gara.
La Lidl-Trek come affronterà questo Giro Women?
Con l’obiettivo di vincere una tappa con una delle ragazze al via, me compresa. Credo sia un obiettivo realistico anche per me. Poi capirò giorno dopo giorno se si potrà provare a curare la classifica generale o meno. Però non mi metto pressioni da questo punto di vista.
Nella seconda tappa del Giro d’Italia Women la Lidl-Trek ha raggiunto il primo obiettivo: vincere una tappaA trionfare a l’Aprica è stata Anna Henderson che ha anche conquistato la maglia rosaNella seconda tappa del Giro d’Italia Women la Lidl-Trek ha raggiunto il primo obiettivo: vincere una tappaA trionfare a l’Aprica è stata Anna Henderson (a destra)L’atleta britannica ha anche conquistato la maglia rosa strappandola a Reusser
Hai visto qualche tappa che ti piace?
In realtà non ce n’è una specifica. Penso che l’ultima parte del Giro Women sia davvero difficile, soprattutto gli ultimi tre giorni. L’andamento delle tappe dipenderà molto dal mio posizionamento in classifica generale. Se avrò perso tanto tempo si potrà pensare di entrare in qualche fuga, altrimenti dovremo cercare di restare con le migliori.
Quali pensi possano essere gli step da fare per arrivare a essere competitiva nelle corse a tappe?
L’anno scorso ero partita per il Tour de France con l’obiettivo di fare classifica, poi il problema all’arteria iliaca mi ha frenata. Alla Vuelta Femenina non mi aspettavo di partecipare e mi sono limitata a dare supporto a Fisher-Black e Riejanne Markus. Ora al Giro Women avrò più spazio per me e non dovrò lavorare per una capitana. Senza pressioni penso di poter puntare in alto e se non ci riuscirò sarà comunque un’esperienza positiva. Da un lato non avere una leader unica permette a tutte di avere maggiori occasioni e da un certo punto di vista è un bene.
BERGAMO – Sulle gambe e sulle braccia si notano i segni di alcune cadute più o meno recenti. Qualcuno dice che le cicatrici siano sinonimo di esperienze vissute e probabilmente […]
Undici italiani (meno Ganna) al Tour de France. Il piemontese è caduto il primo giorno ed è tornato subito a casa senza aver fatto in tempo a entrare nel clima della corsa. Incontrato ieri a Corvara,Miguel Indurain si è detto incredulo della situazione del ciclismo italiano.
«Non so se all’Italia manchino corridori – ha detto – oppure il fatto di avere una squadra di spessore o forse entrambe le cose. Non so quale sia il fattore scatenante di questa crisi, ma è davvero doloroso non vedere l’Italia protagonista. Nei miei anni aveva tanta abbondanza di grandi corridori sia per le classiche sia per i Grandi Giri. E’ un momento difficile perché poi si lotta contro superpotenze che hanno budget enormi, come la Uae Emirates».
Vincenzo Nibali è stato l’ultimo grande italiano, capace di vincere Giri e classiche con regolaritàVincenzo Nibali è stato l’ultimo grande italiano, capace di vincere Giri e classiche con regolarità
Il silenzio dopo Aru
Da Bugno e Chiappucci siamo passati a Gotti e poi Pantani. Quindi a Simoni, Cunego e Garzelli. Ci sono stati gli anni di Savoldelli e Di Luca e Basso. Abbiamo creduto di aver trovato la risposta con Riccò, ma non è andata come si sperava. Abbiamo ringraziato Nibali, che ha portato orgogliosamente per anni la bandiera del ciclismo italiano. E quando di colpo il suo erede Fabio Aru è crollato sotto un peso imprecisato e per lui troppo grande, ci siamo guardati intorno e abbiamo visto che non c’era più niente. Non c’erano nemmeno più le squadre. Gli americani si sono mangiati la Liquigas, l’hanno trasformata in Cannondale e poi l’hanno lasciata morire. La rossa Saeco è diventata Lampre e la Lampre è diventata la UAE degli Emirati Arabi.
Senza il controllo da parte di manager nostrani, come in un moderno far west i settori giovanili sono diventati terreno di caccia per gruppi di agenti e squadre straniere, certamente ben strutturate ma senza grande slancio nel proporre un percorso di crescita coerente con la formazione dei nostri atleti. Siamo abbastanza certi che tanti di loro, inseriti in un team italiano di livello, avrebbero seguito un percorso di crescita diverso e più redditizio.
Davvero qualcuno crede cha la vittoria di Conca al campionato italiano sia lo specchio del problema?Davvero qualcuno crede cha la vittoria di Conca al campionato italiano sia lo specchio del problema?
Il parafulmine Conca
E’ innegabile che ci siano dei problemi e che ci fossero anche in passato, tuttavia le vittorie hanno permesso di ignorarli. Si sono tutti attaccati alla vittoria tricolore di Conca, facendone una sorta di parafulmine. In realtà il campionato italiano è stato altre volte teatro di clamorose sorprese, come quando lo vinse Filippo Simeoni, lasciandosi dietro la crema del ciclismo italiano. Nessuno la prese troppo bene, ma furono costretti a fare buon viso e si rimisero a pedalare. Eravamo pieni di corridori forti a livello internazionale, per cui smisero presto di farsene un problema.
La vittoria di Conca, come da lui giustamente fatto notare e come sottolineato da Visconti, è arrivata in un giorno caldissimo e al termine di una fase ancor più torrida della stagione in cui a tutti i corridori delle professional è stato chiesto di fare punti su punti. In ogni corsa, anche le più piccole. Ogni giorno. La loro superiorità numerica nel giorno del campionato italiano è stata solo nominale: squadre composte da tanti corridori sfiniti, come è normale che sia quando l’obiettivo smette di essere fare buon ciclismo. Salta all’occhio in questo senso il terzo posto di Valerio Conti, 32 anni, nel Giro del Medio Brenta vinto ieri da Turconi. Non ci sarebbe da ragionare anche sulla presenza delle squadre professionistiche nelle internazionali che un tempo furono dei dilettanti?
Il Tour e i suoi vertici fanno sistema con il movimento, ne fanno parte e lo alimentanoIl Tour e i suoi vertici fanno sistema con il movimento, ne fanno parte e lo alimentano
Gli affari di Cairo
In tutto questo, la Federazione e la Lega (che ne è emanazione diretta) hanno smesso di parlare, rimbalzandosi responsabilità sempre troppo vaghe. Un atteggiamento che conduce in acque scure e non aiuta nel venirne a capo. E’ difficile dire se prevalga l’egoismo o se ci troviamo di fronte a dirigenti non all’altezza. Nella Francia del Tour che attira risorse come miele, è noto che gli stessi organizzatori abbiano più volte agevolato l’ingresso di nuovi sponsor per le squadre francesi. E’ utopia immaginare che Urbano Cairo, il presidente di RCS, possa svolgere un ruolo analogo? Probabilmente sì. O almeno la storia finora ha mostrato altre realtà. Il lavoro che viene svolto dai suoi uomini è quello di reperire capillarmente risorse sul territorio, senza (in apparenza) troppa attenzione per coloro cui le stesse vengono sottratte. L’obiettivo è fare utile: scopo legittimo, con il senso tuttavia di una mietitura che non tiene conto della necessità di arricchire il terreno prima che diventi arido.
Che cosa dovrebbero fare la Federazione e la Lega? Organizzare alla svelta un tavolo che detti nuove regole per il ciclismo italiano: dalla base ai vertici. Non significa consegnare a RCS ogni corsa che desideri, ma farlo in un quadro che gli imponga anche degli obblighi promozionali. Si sta addirittura valutando di costringere i super team a dividere parte delle loro risorse con le squadre più piccole: perché nessuno tocca le tasche degli organizzatori?
Le possibilità più concrete di vittoria per gli italiani al Tour le ha probabilmente Milan, qui vittorioso al DelfinatoLe possibilità più concrete di vittoria per gli italiani al Tour le ha probabilmente Milan, qui vittorioso al Delfinato
Gli italiani del Tour
Se non può essere il presidente Dagnoni a far sentire la sua voce, forse può farlo Roberto Pella, che ha un suo disegno e il suo passo, cui non sembra voler rinunciare? Il problema non è Conca, lui è stato semplicemente il più motivato nella corsa che assegnava la maglia tricolore. Il problema è il meccanismo che gli ha permesso di farlo e che sta svuotando il nostro ciclismo di ogni programmazione. Dalle squadre juniores, che vengono regolarmente depredate e poi chiudono, alle U23 che stanno lentamente sparendo, fino alle professional alle prese con il sistema dei punti. Era così anche prima, solo che ormai davanti non ci sono più campioni in grado di mettere tutto sotto il tappeto. Undici italiani (meno uno) al Tour sono un punto forse più basso di quanto è accaduto al campionato italiano.
La vittoria dello scorso fine settimana al Giro della Valdera rappresenta, per Vinnie Manion, non solo la ciliegina sulla torta alla sua prima parte di stagione ma anche una risposta concreta a chi vedeva in lui un talento da scoprire. Vinnie d’altronde ha iniziato la sua annata agonistica molto prima dei suoi coetanei italiani, era in gara già all’inizio dell’anno nella stagione degli antipodi e finora ha collezionato oltre 30 giornate di gara, con 2 vittorie e tanti piazzamenti. Ma quello di domenica ha un sapore speciale.
Ma chi è Manion? Australiano diciassettenne, è in Italia dallo scorso anno, colonna della Work Service Coratti che con il tricolore di Vincenzo Carosi e la sua vittoria nella gara a tappe è il club sugli scudi in questo periodo. Ma com’è arrivato Vinnie su questi lidi?
La sua carica sul traguardo di Chianni: il Valdera è suo (foto Pagni)La sua carica sul traguardo di Chianni: il Valdera è suo (foto Pagni)
«E’ stata una scelta del mio agente. Dopo i campionati nazionali del 2024 aveva preso contatto con la squadra pensando che un’esperienza in Europa mi avrebbe fatto bene e i dirigenti della Work Service sono stati così gentili da prendermi. Il primo anno è stato molto importante, ho imparato molto da compagni davvero bravi come Leonardo Consolidani e Santiago Ferraro, e anche il campione del mondo Stefano Viezzi. E’ stato un anno di apprendistato davvero buono».
Nella tua esperienza in Italia che cosa apprezzi e quali sono le difficoltà?
Cosa apprezzo? Non posso che partire dal cibo, è fantastico. Mi piace molto la gastronomia italiana. Il terreno su cui pedalare, per quanto riguarda l’allenamento, è il migliore in cui sia mai stato. Adoro essere in Italia. I miei compagni di squadra mi fanno sentire a casa e benvenuto, perché ovviamente è difficile stare lontano dalla famiglia e dagli amici in Australia. Devo ringraziare anche il diesse Luigi e sua moglie Silvia che sono come una seconda famiglia. Grazie a loro mi sono goduto ogni momento del mio soggiorno in Italia.
Manion sul podio del Giro della Valdera, contornato da Morlino (2°) e Ballerini (3°, foto Pagni)Manion sul podio del Giro della Valdera, contornato da Morlino (2°) e Ballerini (3°, foto Pagni)
E cosa hai trovato di difficile da affrontare?
Forse la barriera linguistica è un po’ problematica, resta, mettiamoci poi essere così lontani da casa. Ma sono piccoli ostacoli che si superano nel processo di maturazione, come persona prima ancora che corridore.
Finora, tra Australia e Italia hai corso molto, pensi rispetto a inizio stagione di essere migliorato?
Sì, credo che ci sia stato un netto progresso, anche nella stessa interpretazione delle corse. Io poi vedo che sto migliorando il mio rendimento con il caldo. Finora è stata una stagione piuttosto costante e spero di finire bene anche perché arrivano appuntamenti importanti, chissà che non possa essere anche ai mondiali in Rwanda.
L’australiano aveva già trionfato nella prima tappa del Giro d’Abruzzo a Manoppello (foto Fci)L’australiano aveva già trionfato nella prima tappa del Giro d’Abruzzo a Manoppello (foto Fci)
A tal proposito, tu hai disputato ben 4 gare di Nations Cup. Quanto cambia il modo di correre quando sei in nazionale rispetto a quando corri per la Work Service?
C’è una certa differenza, visto che le competizioni sono ovviamente molto dure e con un livello elevato, incontri sempre il meglio della categoria. Penso che influisca parecchio con il nostro posizionamento nel gruppo, gli spazi da trovare, le strategie. Molto influisce anche la durezza della singola gara. Ma sono occasioni nelle quali ho molto da imparare e quelle esperienze estere mi hanno aiutato con le mie gare italiane. Poi rappresentano anche un diversivo rispetto alla normale stagione nazionale.
Che tipo di corridore sei, in quali gare ti trovi meglio?
Mi ritengo un corridore a tutto tondo, un po’ più legato al clima, prediligo il caldo rispetto alle gare con clima autunnale. Direi che mi piacciono le cronometro e le salite lunghe. Sento che il mio punto di forza principale è il motore, quindi mi piace mantenere la potenza, curare molto la mia crescita anche nei numeri per lungo tempo. Credo comunque di essere più uno scalatore che predilige le corse più dure.
Per il tasmaniano 35 giorni di gara con 3 vittorie e 4 Top 10 (foto Instagram)Per il tasmaniano 35 giorni di gara con 3 vittorie e 4 Top 10 (foto Instagram)
Quanto è stato importante il successo di domenica e quale pensi sia stato il motivo scatenante?
Oh, è stato molto importante, c’era molta pressione. Volevo dare il massimo sfruttando anche l’ottima atmosfera nel team dopo la vittoria tricolore di Carosi. Poi la gara ha un grande prestigio e volevo vincerla per cercare di ottenere un contratto per l’anno prossimo con un devo team del World Tour e anche per aiutarmi a crescere nella valutazione.
Guardandolo da australiano, qual è il livello del ciclismo italiano rispetto al tuo Paese?
Ovviamente è molto diverso. In una gara in Australia trovi 30-40 corridori, se vieni in Italia ci saranno dai 150 ai 200 avversari, cambia davvero tutto. Il livello è molto più alto per velocità, potenza, tecnica. Ammetto che inizialmente è un grande shock. Ma mi sembra che ci si abitui abbastanza in fretta.
Manion è al suo secondo anno in Italia e punta a rimanere, anche se ambisce a un devo team (foto Pagni)Manion è al suo secondo anno in Italia e punta a rimanere, anche se ambisce a un devo team (foto Pagni)
Pensi di lasciare l’Italia a fine stagione cambiando categoria?
Sì, devo valutare tante cose, ma l’Italia è un posto fantastico e non vorrei lasciarlo, quindi non escluderei di vivere qui il prossimo anno. Dobbiamo aspettare e vedere, credo.
Chi è il tuo corridore australiano preferito?
E’ facile. Per me Richie Porte è un modello, è uno dei miei mentori e sono molto legato a lui, anche perché siamo entrambi tasmaniani. Tra quelli di oggi probabilmente Ben O’Connor, per le somiglianze che abbiamo come tipo di corridore, credo.
VALENCIENNES (Francia) – I meccanici lavorano senza sosta. Chi lava, chi smonta, chi monta: le Colnago della UAE Team Emirates per affrontare il Tour de France sono oltre cinquanta. Si lavora già anche sulle bici da crono. Ma certo gli occhi erano tutti per le bici di Tadej Pogacar.
Abbiamo avuto l’occasione di vederle da vicino, tutte e tre: la Colnago V5Rs, la Y1Rs e la Colnago da crono, la TT1. Sin qui lo sloveno ha preferito la Y1Rs, ma in questa Grande Boucle le userà tutte. Sarà interessante vedere quale bici (e quale setup) sceglierà per la cronoscalata di Peyragudes. Si vocifera la Y1Rs con le protesi. Vedremo.
La Colnago V5Rs di PogacarLa Colnago V5Rs di Pogacar
V5Rs, per la salita e non solo
Partiamo dalla sua classica Colnago V5Rs, la bici che usa più spesso. Definirla “solita” è riduttivo. Anche per il Tour de France non ci sono state novità. I meccanici hanno preparato sia la versione con la guarnitura ufficiale Shimano, sia quella con le corone Carbon-Ti da 55-38 che Tadej utilizza praticamente sempre.
Grande pulizia di linee sul manubrio. Si notano i comandi interni sull’arco della piegaAvvistato un prototipo di copertura Continental su questa bici (e anche sulla Y1Rs). Sembra essere da 28 mmPer Tadej pedivelle da 165 millimetriSella tutta posizionata in avanti sulla V5RsGrande pulizia di linee sul manubrio. Si notano i comandi interni sull’arco della piegaAvvistato un prototipo di copertura Continental su questa bici (e anche sulla Y1Rs). Sembra essere da 28 mmPer Tadej pedivelle da 165 millimetriSella tutta posizionata in avanti sulla V5Rs
Finalmente siamo riusciti a capire con precisione l’attacco manubrio: è da 125 millimetri, la larghezza dello stesso è di 38 centimetri. Sempre riguardo al manubrio, Pogacar ha anche i comandi all’interno della piega, per cambiare anche quando è in presa bassa o durante uno dei suoi scatti.
Pedivelle da 165 millimetri e ruote Enve 4.5 con profilo differenziato (50 millimetri all’anteriore e 56 al posteriore) con i mozzi color argento, nuovi e visti in anteprima al Giro. La posizione della sella Fizik Argo (creata con mappatura specifica e su misura) è tutta in avanti e parecchio scaricata verso il basso
La Colnago Y1Rs di Tadej PogacarLa Colnago Y1Rs di Tadej Pogacar
Y1Rs, l’aerodinamica su strada
La Colnago Y1Rs è decisamente aggressiva. Sulla sua estetica si è detto tutto e il contrario di tutto, ma non si possono mettere in discussione le sue performance. Il setup di questa bici è quasi del tutto identico alla V5Rs. Quel che cambia, in virtù di geometrie un po’ differenti, è la posizione della sella. In questo caso è sì arretrata, ma come si dice in gergo, non va “a battuta”. E’ un filo più centrale. Nel senso che è posizionata almeno 4-5 millimetri più indietro rispetto al movimento centrale.
Gli angoli finali del corridore, però, ci hanno riferito i meccanici, non cambiano: pertanto è solo questione di geometrie del telaio.
Sotto una delle “ali di gabbiano” del manubrio i dati delle misure di questa piega. Attacco lungo 130 mm e larghezza centro-centro di 37,7 mmSulla Y1Rs la sella è lievemente meno avanzata rispetto alla V5RsNon è la bici di Pogacar, ma la Y1Rs di Wellens: in basso sugli stelli della forcella abbiamo notato questi piccoli spoilerSempre sulla bici del belga anche la nuova monocora firmata Carbon-TiSotto una delle “ali di gabbiano” del manubrio i dati delle misure di questa piega. Attacco lungo 130 mm e larghezza centro-centro di 37,7 mmSulla Y1Rs la sella è lievemente meno avanzata rispetto alla V5RsNon è la bici di Pogacar, ma la Y1Rs di Wellens: in basso sugli stelli della forcella abbiamo notato questi piccoli spoilerSempre sulla bici del belga anche la nuova monocora firmata Carbon-Ti
Le ruote più utilizzate per questa bici sono le Enve 6.7, anche in questo caso con profilo differenziato 60 millimetri all’anteriore e 67 al posteriore), che gli stessi meccanici stavano ultimando con serigrafie iridate, per un total look perfetto al Tour. Anche qui non manca – e come sarebbe stato possibile – l’adesivo dell’incredibile Hulk sul manubrio.
Quel che abbiamo notato, ma non sulla bici di Pogacar bensì sulla Y1Rs di Tim Wellens, è una nuova monocorona Carbon-Ti, la cui dentatura ci sembrava abbondante: probabilmente un 56. Magari potrebbero usarla in qualche tappone veloce.
La Colnago TT1 di Tadej PogacarLa Colnago TT1 di Tadej Pogacar
TT1, per la crono
Infine ecco la bici da crono, la Colnago TT1, che Pogacar userà tra pochi giorni a Caen, quando il Tour proporrà la tappa contro il tempo.
La prima cosa che si nota è che stavolta la bici è nera. Tadej non è l’iridato a crono, quello è terreno di Remco Evenepoel, quindi rientra nei ranghi. Il peso della bici non è stato dichiarato, ma alzandola e paragonandola con le due precedenti possiamo garantirvi che non vi si discosta troppo. Proprio il peso della bici da crono della UAE Team Emirates era stato messo sotto accusa qualche tempo fa, ma a quanto pare ci hanno lavorato e anche bene.
Tra piantone, zona del movimento centrale e carro posteriore si crea un grande blocco “unico” a tutto vantaggio dell’aerodinamicaAnche qui abbiamo sbirciato i dati del manubrio da crono. La sua larghezza è di 380 mm (centro-centro)La lunghezza delle pedivelle scende di 5mm e passa a 160 rispetto alle bici da stradaGuardate che linee pulite, la Colnago TT1 è fatta per fendere l’ariaTra piantone, zona del movimento centrale e carro posteriore si crea un grande blocco “unico” a tutto vantaggio dell’aerodinamicaAnche qui abbiamo sbirciato i dati del manubrio da crono. La sua larghezza è di 380 mm (centro-centro)La lunghezza delle pedivelle scende di 5mm e passa a 160 rispetto alle bici da stradaGuardate che linee pulite, la Colnago TT1 è fatta per fendere l’aria
Se il peso è una peculiarità importante della TT1 di Pogacar, altrettanto importante è la misura delle pedivelle. Qui le 165 lasciano spazio alle 160 millimetri. Riguardo ai rapporti, la bici fotografata aveva una corona da 64 denti, ma questo varia in base al percorso, chiaramente.
BOULOGNE SUR MER (Francia) – Mentre Mathieu Van der Poel tagliava per primo la linea del traguardo, l’urlo più forte che si è sentito in tutta la città è stato quello di Roxane Beterls, la compagna di VdP. Un urlo acuto, tipico da donna.
E’ così che si chiude l’astinenza di Van der Poel al Tour de France, che durava dal 2021: un’eternità per un vincente come lui. Anche in quell’occasione, a Lachen conquistò la frazione e prese la maglia. Il campione della Alpecin-Deceuninck vince come in una classica, solo che stavolta i rivali non sono Pedersen o Van Aert, ma Pogacar (quello c’è sempre), Vingegaard, Remco…
Philipesn (in giallo) ha parlato di una squadra compatta. E lo stesso ha detto Van der PoelPhilipesn (in giallo) ha parlato di una squadra compatta. E lo stesso ha detto Van der Poel
Philipsen e la Alpecin
E a proposito di Alpecin-Deceuninck, l’inizio della squadra dei fratelli Roodhooft è a dir poco perfetto: due tappe, due vittorie, due maglie gialle con i due corridori più rappresentativi. Loro sono formidabili a puntare ai singoli obiettivi. E ancora una volta lo fanno muovendosi alla perfezione in certe corse. Non dimentichiamo Dillier, Vermeersch, Groves…
Infatti proprio Jasper Philipsen, contento nonostante abbia appena perso la maglia gialla, ha detto: «Abbiamo avuto un ottimo feeling e un’ottima fiducia sin da ieri, abbiamo preso il controllo della corsa. I ragazzi hanno lavorato molto duramente e bene. E non era semplice. Ma con un capitano forte come Mathieu, che si è messo a disposizione, è stato tutto più semplice. Oggi è stato differente. Si correva per lui, con la stessa fiducia e compattezza di ieri, ma con un altro leader».
Tutto sommato, Philipsen era felice anche la propria prestazione. Neanche lui, che è un velocista, si aspettava di andare così forte nei 15 chilometri finali, duri sia tecnicamente (e quello per lui non sarebbe un problema) che altimetricamente.
«E’ stato un giorno incredibile e lungo, a volte sentivo quasi freddo. Nel penultimo strappo ero davvero a blocco, sapevo che se avessero continuato così per me sarebbe stato impossibile. Ma l’importante è che abbiamo ancora vinto noi e che la maglia gialla sia rimasta in casa». E non è finita qua per lui e la sua squadra. Domani si annuncia ancora una tappa per sprinter, ma il meteo inciderà moltissimo.
Van der Poel in giallo. Rispetto all’ultima volta, col nonno, Raymond Poulidor, appena scomparso ha messo che c’è stata meno emozioneVan der Poel in giallo. Rispetto all’ultima volta, col nonno, Raymond Poulidor, appena scomparso ha messo che c’è stata meno emozione
Tappa e maglia
E poi c’è lui, Mathieu Van der Poel. Tra la partenza posticipata del mattino per il caos tra l’arrivo dei bus dei team e la partenza della carovana pubblicitaria, sono quasi le 19 quando Van der Poel si presenta ai microfoni. Fa qualche smorfia, è felice, ma anche stanco.
«Era davvero difficile vincere oggi – attacca Van der Poel – contro Tadej e Jonas che sono in super forma per la conquista del Tour. Stamattina ho visto un video della linea d’arrivo e quindi sapevo cosa volevo fare e come dovevo farlo. Arrivare qui nel Nord della Francia è stato un po’ come correre le classiche, ma con qualche avversario differente.
«Avere la giusta posizione era fondamentale e infatti c’era un grande nervosismo, grande la lotta per le buone posizioni. Ma con una squadra come Alpecin-Deceuninck è qualcosa a cui siamo abituati e bravi, e questa guerra delle posizioni l’abbiamo vinta».
Sull’arrivo c’era anche suo padre, il grande e ancora in forma Adrie Van der Poel. Era felice, ma con la sua solita schiettezza ripeteva che loro (va a capire il plurale) preferiscono le classiche. E che nonostante lui queste strade le avesse battute, al figlio non aveva detto una parola. «Non metto bocca nelle tattiche del team».
La sequenza dello sprint. Ai 250 metri inizia la volata su questo strappo che tira al 5% o poco più…Van der Poel prende subito 2 metri a Pogacar e se li porta fino al colpo di reni… L’olandese fa esplodere tutta la sua adrenalina. Per lui è la 55ª vittoria (su strada), per Pogacar è il rinvio della 100ªLa sequenza dello sprint. Ai 250 metri inizia la volata su questo strappo che tira al 5% o poco più…Van der Poel prende subito 2 metri a Pogacar e se li porta fino al colpo di reni… L’olandese fa esplodere tutta la sua adrenalina. Per lui è la 55ª vittoria (su strada), per Pogacar è il rinvio della 100ª
Dubbi sulla forma?
Dopo l’incidente in MTB e la conseguente microfrattura al polso, ci poteva essere qualche dubbio sulla condizione di Van der Poel. Ma già averlo visto al Delfinato aveva tolto quasi del tutto i dubbi. Lo stesso Mathieu ha parlato del Delfinato e di come ha ricostruito questo stato di forma stellare. Di fatto ripetendo il metodo che usano per le classiche.
«Rispetto ai miei altri Tour – riprende Van der Poel – stavolta ho avuto un approccio diverso. Per una volta abbiamo fatto il Delfinato ed è stata una buona scelta. Ogni anno facciamo un’esperienza diversa per arrivare al meglio al Tour de France, ma direi per arrivare a tutti i nostri obiettivi nella migliore condizione possibile.
«Per esempio, quest’anno abbiamo capito che avremmo dovuto fare un periodo di allenamenti in altitudine prima della Tirreno-Adriatico, che è la corsa che mi piace di più prima delle classiche, e lo abbiamo fatto. E di nuovo ci siamo resi conto che serviva un altro training camp in quota prima del Tour de France. Anche perché questa edizione ha un percorso sul quale io e i miei compagni possiamo eccellere. Abbiamo molte tappe e questo fa una grande differenza rispetto al percorso dell’anno scorso. E anche sulle motivazioni».
«La nostra squadra si muove sempre con un obiettivo perfettamente chiaro a seconda del leader. E tutto ciò che succede durante la giornata e le difficoltà che si presentano, le affrontiamo uniti. E’ il nostro spirito di squadra e credo sia questo a fare la differenza. Ognuno sa cosa deve fare».
In pratica, le stesse parole che ci aveva detto poco prima Philipsen. «Nell’ultimo chilometro – continua VdP – ero concentrato sul fatto di non fare nessun errore. Volevo prendere l’ultima curva davanti. Non ci sono riuscito in pieno, ma ero comunque in buona posizione. Stare vicino a Tadej andava benissimo. E quando lui è partito, ho potuto fare il mio sprint senza problemi».
Pogacar in maglia a pois. Lo sloveno è parso divertito dal vestire questa magliaPogacar in maglia a pois. Lo sloveno è parso divertito dal vestire questa maglia
Pogacar e la centesima rimandata
Meno se lo aspettava a corsa in corso Michele Pallini, massaggiatore della XDS-Astana, che ci aveva detto: «Sapete chi vince oggi? Pogacar oppure Van der Poel. Ma credo più Van der Poel perché tatticamente è più intelligente». Nessuna profezia fu più azzeccata. E Tadej Pogacar stesso in qualche modo dà ragione a Pallini.
Il clima in casa UAE Emirates è sereno e se questo secondo posto non brucia è solo perché a vincere è stato uno dei supereroi di questo ciclismo.
«Direi che è stata una buona giornata nel complesso – ha detto Pogacar – E’ stata una tappa dura e lunga, con un po’ di tutto: pioggia, tensione, strappi… Mi sentivo bene nel finale e anche la mia squadra ha lavorato bene. Il secondo posto va bene, Mathieu è stato più forte in volata, quindi tanto di cappello. E’ difficile batterlo allo sprint. «A dire il vero, ho giocato un po’ male tatticamente, perché avevo un po’ paura di sprintare contro di lui e ho aspettato troppo a lungo nella sua ruota».
«La maglia a pois e l’attacco di Vingegaard? La prima non me l’aspettavo, il secondo sì. Non credevo di vestire questa maglia. Ho vinto la classifica della montagna al Tour due volte, ma l’ho indossata un solo giorno. Mi fa piacere. «Da parte di Jonas ci aspettavamo un attacco, specie dopo quello che abbiamo visto al Delfinato. E’ bello vederlo all’attacco. Ci ha fatto soffrire».
BERGAMO – Oggi chiamatela pure Marlen “Rosa” Reusser. La 31enne svizzera della Movistar domina la crono d’apertura del Giro d’Italia Women rifilando 12” a Kopecky, 16” a Longo Borghini e 20” a Van der Breggen. Non distacchi abissali, ma importanti considerando come ultimamente spesso molte gare a tappe si siano giocate proprio sul filo di margini ristretti.
E non era un caso se molte atlete nel dietro le quinte della team presentation avessero fatto subito il nome di Reusser sia per questa prima frazione contro il tempo che per la generale. In effetti per come è arrivata al Giro – e per le sue caratteristiche – non si poteva sbagliare. Negli ultimi dieci giorni di gara, Marlen ha ottenuto sette vittorie. Sommando la vittoria di inizio stagione in Spagna, quella sul traguardo di Bergamo è la nona sinfonia stagionale, 35a in carriera.
Reusser ha vinto la crono di Bergamo coprendo i 14,2 km in 17’22” alla media oraria di 49 km/hReusser ha vinto la crono di Bergamo coprendo i 14,2 km in 17’22” alla media oraria di 49 km/h
Pronostico rispettato
Curiosamente questa al Giro Women è la seconda affermazione di Reusser sulle nostre strade dopo il campionato europeo a crono di Trento nel 2021. Il rapporto col nostro Paese è sempre stato buono, anche per i trascorsi nella Alè BTC Ljubljana. Marlen capisce bene la nostra lingua e la parla discretamente, ma preferisce risponderci in inglese perché, dice ridendo e facendoci il gesto con la mano sopra la testa, il suo cervello è troppo pieno.
«Oggi tutti mi davano come la più accreditata – racconta relativamente alla crono – ma non ho avvertito più di tanta pressione, anche se chiaramente ce n’era. Penso di aver fatto una delle mie prove migliori, ma soprattutto volevo fare un buon ritmo, cercando di vincere. Ci ho lavorato duramente, questa crono del Giro Women era un obiettivo da tanto tempo, tanto da averla visionata a marzo. Stamattina ho sentito buone sensazioni durante la ricognizione. Ero motivata a fare bene ed ora sono ovviamente molto felice di aver raggiunto questo obiettivo»
«Rispetto ad un anno fa – prosegue facendo riferimento al suo momento di crisi – mi sento mentalmente molto bene. Penso che sia qualcosa di importante, ma solo se hai spalle larghe puoi sentirti bene anche di testa. Attualmente mi sento più completa».
Kopecky è arrivata seconda a 12″ da ReusserMentre Longo Borghini ha chiuso terza a 16″ dalla svizzeraKopecky è arrivata seconda a 12″ da ReusserMentre Longo Borghini ha chiuso terza a 16″ dalla svizzera
Il Giro che verrà
Nell’ordine, i secondi posti finale alla Valenciana, alla Vuelta sommati alle vittorie nella generale della Vuelta a Burgos e Tour de Suisse hanno fatto di Reusser un corridore molto più incline alle gare a tappe rispetto al passato. Il suo crescendo sembra ancora… in crescita.
«E’ un enorme onore – continua in mixed zone – sapere che una grande atleta come Longo Borghini ha fatto il mio nome e quello della Movistar tra le rivali più pericolose. E’ bello sentirsi così forte ed è anche molto motivante che le tue colleghe ti prendano così sul serio. Sono felice di questo».
«Non so se domani la maglia rosa inizierà a pesare – analizza Reusser – però è ovvio che l’obiettivo è vincere il Giro. Cercheremo di farlo andando al “full gas”. Anzi, anche con Liane (Lippert, ndr) cercheremo di vincere un paio di tappe, sarebbe bellissimo per noi. Tuttavia penso che non sarebbe un problema se dovessi lasciare la maglia rosa per qualche giorno nelle prossime tappe a chiunque la voglia. Diciamo che è importante riprenderla prima della fine e tenerla (dice sorridendo, ndr). E comunque questa maglia rosa è davvero speciale».
Durante la recon del mattino, Reusser aveva avvertito ottime sensazioni. Notare il nuovo casco AbusDurante la recon del mattino, Reusser aveva avvertito ottime sensazioni. Notare il nuovo casco Abus
Gli albori
Ha più di un motivo per pensarlo tenendo conto del suo avvicinamento al ciclismo. Reusser si era tuffata nello sport di endurance senza sapere cosa la aspettasse.
«Non ho mai pensato – ricorda Marlen – a vincere mondiali o gare simili quando ho iniziato a pedalare, che era relativamente tardi. Avevo poco più di vent’anni. Però mi avevano sempre detto che avevo un super motore e che dovevo farlo funzionare per arrivare lontano. Bisognava capire quali fossero i miei limiti e se penso a dov’ero dieci anni fa, ora non mi sembra vero e mai avrei immaginato di vivere una giornata come quella di oggi».
Col 14° posto, Niedermaier è la prima maglia bianca del Giro WomenCol 14° posto, Niedermaier è la prima maglia bianca del Giro Women
La “bianca” di Niedermaier
La crono di Bergamo ha assegnato tre maglie su quattro, perché la azzurra dei “gpm” verrà assegnata domani sul traguardo di Aprica. Rosa e rossa sono sulle spalle di Reusser (quella della classifica a punti sarà indossata da Kopecky), mentre la maglia bianca di miglior giovane è andata ad Antonia Niedermaier. La 22enne tedesca della Canyon//Sram zondacrypto è un altro di quei nomi fatti prima del via per la classifica di specialità e per la generale. In mixed zone mostra un bel sorriso per il risultato (quattordicesima assoluta a 48” da Reusser) guardando ai prossimi giorni con fiducia.
«Non è stata la gara perfetta per me – spiega Niedermaier – però penso che sia un buon inizio e alla fine sono abbastanza soddisfatta del mio piazzamento. Ora aspetto come sarà il resto del Giro, dove il podio è il mio obiettivo reale. Credo che siamo attrezzate per raggiungere questo risultato e penso che sia possibile. In squadra stiamo tutte bene e siamo molto pronte.
«Nel 2022 avevo corso il mio primo Giro – torna indietro con la memoria – riuscendo a vincere la tappa di Ceres (dovendo abbandonare la gara il giorno dopo per una caduta, ndr). Sono cresciuta e cambiata molto. Ho accumulato esperienza e soprattutto più consapevolezza di me stessa. Come dicevo prima, vedremo come sarà il resto del Giro Women».
La seconda frazione partirà da Clusone per concludersi ad Aprica dopo 92 chilometri. Il finale è in salita, adatto a tante atlete che sanno tenere su pendenze morbide. Non dovrebbero esserci soprese, anche se le prime inseguitrici di Reusser potrebbero tentare qualche colpo gobbo per sfilarle la leadership.
Nella domenica della vittoria tricolore di Filippo Conca è successa una cosa curiosa. In quasi contemporanea con il successo del corridore dello Swatt Club, giudicato su molti media (senza nulla togliere alla sua valorosissima impresa) come la certificazione del grave stato di crisi del ciclismo italiano, l’Italia di atletica si confermava sul trono continentale degli europei a squadre, il trofeo che definisce lo stato di salute dell’intero movimento.
Perché la cosa è curiosa? Perché se guardiamo solamente a una decina di anni fa la situazione era esattamente opposta. Il ciclismo italiano era ancora un riferimento internazionale, dall’altra parte nell’atletica ogni manifestazione internazionale era un pianto, dalla quale si tornava a casa a mani vuote. Qual è stata allora la ricetta che ha permesso alla “regina degli sport” di scalare le gerarchie e tornare un riferimento assoluto? Ed è una ricetta esportabile anche alle due ruote?
Daniele Bennati ha lasciato il suo ruolo quest’anno, dopo aver vissuto un quadriennio azzurro difficileDaniele Bennati ha lasciato il suo ruolo quest’anno, dopo aver vissuto un quadriennio azzurro difficile
Lo scollamento tra vertice e territorio
Per trovare qualche risposta abbiamo messo di fronte due personaggi che, in tempi diversi, hanno vestito i panni del cittì nei rispettivi ruoli, Massimo Magnani per l’atletica e Daniele Bennati per il ciclismo. Dieci anni fa c’era proprio Magnani alla guida della nazionale di atletica e ricorda bene la situazione che si trovò davanti: «Mi accorsi che il problema principale era un completo scollamento fra l’atletica di vertice e la base. C’era da rifondare completamente il sistema tecnico, quello degli allenatori di periferia che scoprono i giovanissimi talenti e iniziano a farli crescere con il lavoro. Era necessario decentrare creando poli di lavoro più vicini al territorio, in modo che i tecnici potessero anche confrontarsi».
Questo è un primo aspetto fondamentale: lavorare sull’impianto tecnico. «Bisogna che ci sia un continuo e importante approfondimento culturale di chi lavora vicino ai ragazzi. I tecnici devono avere la possibilità di aggiornarsi, di confrontarsi con il mondo che li circonda. Nel mio periodo alla guida della nazionale ho portato ben 429 tecnici in giro per le gare internazionali, ho spinto molto sull’aggiornamento di ognuno perché il mondo dello sport cambia continuamente e non si finisce mai di aggiornarsi. Quei ragazzini che erano seguiti allora, hanno potuto beneficiare del lavoro dei loro tecnici e sono diventati i campioni di oggi che tutto il mondo c’invidia».
Massimo Magnani, che alla guida della nazionale di atletica ha lanciato il progetto sui tecnici locali (foto Benini)Massimo Magnani, che alla guida della nazionale di atletica ha lanciato il progetto sui tecnici locali (foto Benini)
Un sistema esportabile, ma non è semplice farlo
Un sistema del genere è esportabile? «La ricetta può funzionare – risponde Bennati – ma dobbiamo tenere conto, fra le varie differenze fra i due sport, di una in particolare. L’atletica si svolge negli impianti, in assoluta sicurezza. Il ciclismo paga un prezzo pesantissimo alle tragedie che, purtroppo a ritmo quasi quotidiano, si svolgono sulle nostre strade con ciclisti investiti. Non si fa abbastanza in questo senso e i genitori sono preoccupati, poco propensi a mandare i loro figli ad allenarsi sulle strade. Stiamo passando un periodo di magra anche per questo.
«Il sistema evocato da Magnani però è giusto e sicuramente serve un rinnovamento a livello tecnico. Nel mio periodo azzurro mi sono confrontato con tecnici che svolgevano questo compito già quand’io ero ragazzino, applicando teorie che andavano bene allora ma nel frattempo le cose sono cambiate, il ciclismo si è evoluto. Se dici a un ragazzino “ai miei tempi si faceva così” non ti sta neanche ad ascoltare…».
L’attività juniores è ora centrale, il problema reale sono gli scarsi numeri giovaniliL’attività juniores è ora centrale, il problema reale sono gli scarsi numeri giovanili
Un processo a lungo termine
Magnani sottolinea come questo processo può funzionare se non si ha fretta: «E’ a lungo termine, i risultati si vedranno dopo anni. E’ un sistema virtuoso, nel senso che porta risultati ma anche a ricambi dietro i campioni. Oggi abbiamo tante stelle a livello internazionale, ma sappiamo che dietro ci sono altrettanti ragazzi che stanno crescendo e che potranno fare altrettanto se non di più. Proprio perché si è agito non sui singoli casi e specialità, ma riformando l’intera struttura».
«Nel ciclismo il discorso è complesso – ribatte Bennati – perché è una disciplina dove si fatica ad aspettare. Quando correvo io avevi la categoria U23 che era davvero un periodo di apprendistato, oggi vedi corridori di 20 anni che vincono grandi gare e si cercano talenti sempre più giovani. Ma per trovarli, per creare corridori capaci servono tecnici con una mentalità aperta, che sappiano andare di pari passo con i cambiamenti del mondo che li circonda».
Il lavoro sulle generazioni più giovani è fondamentale, ma fare proselitismo non bastaIl lavoro sulle generazioni più giovani è fondamentale, ma fare proselitismo non basta
Rivedere il rapporto con le società giovanili
E’ anche importante chi cura il rapporto con questi ragazzi, a cominciare da società e procuratori: «Due figure importanti, che meritano particolare attenzione – sottolinea Magnani – nel primo caso, quando un atleta ottiene risultati a livello assoluto e cambia società, parte della cifra va al club dove il suo talento è sbocciato e questo aiuta la società a proseguire nella sua opera di proselitismo. Per quanto riguarda i procuratori, anche lì è un lavoro in prospettiva: cercare talenti giovani e metterli sotto contratto può andar bene, a patto che non si punti al guadagno immediato, ma si aiuti chi lavora per farli migliorare, poi con la loro affermazione arriveranno anche le ingenti commissioni».
«Per quanto riguarda i procuratori nel ciclismo – interviene Bennati – normalmente avviene già così. E’ vero che ormai si contrattualizzano ragazzi addirittura nella categoria allievi, ma inizialmente non ci si guadagna nulla e neanche quando un corridore approda in un devo team. Se e quando riuscirà a passare professionista, allora il contratto inizierà a funzionare. Il discorso relativo alle società è più complesso.
Il ciclismo paga un prezzo altissimo alla sicurezza stradale. Questo non invoglia i genitori a far fare attività ai figli…Il ciclismo paga un prezzo altissimo alla sicurezza stradale. Questo non invoglia i genitori a far fare attività ai figli…
Cambiare la cultura e… saper aspettare
«Bisogna considerare che bisogna stravolgere un sostrato culturale ma anche una situazione effettiva, perché una società giovanile vive sugli sponsor e questi vogliono vedere risultati. Per questo si punta, anche troppo, ai risultati in ambito giovanile e chi vince avanza, mentre bisognerebbe guardare più ad ampio spettro, le possibilità di crescita di un ragazzo. Il sistema a percentuale per la firma del contratto potrebbe funzionare, ma lì è la Federazione che deve metterci mano e non è facile».
Su un argomento i due ex cittì concordano: per avere riscontri serve tempo. «Da appassionato – afferma Magnani – posso dire che nel ciclismo è fondamentale che ci sia un aggiornamento culturale che segua l’evoluzione del tempo, perché i ragazzi di oggi sono profondamente diversi da quelli di vent’anni fa. L’aggiornamento tecnico, la loro crescita attraverso il confronto con altre scuole, la stessa progressiva responsabilizzazione anche come dirigenti dei team è un passo fondamentale, che porterà benefici se si saprà aspettare».
«L’ambiente ciclistico deve oggi dimostrare di avere questa capacità – ribatte Bennati – ma rendiamoci conto che oggi il ciclismo ha, per le ragioni dette prima, meno appeal rispetto ad altre discipline anche se le cifre che girano non sono quelle dei miei tempi. E’ chiaro comunque che ha bisogno di uno scossone, per tornare quello che era un tempo…».
Battistella e Conci sono stati le due teste di ponte degli azzurri. Il primo è rimasto in fuga per 230 chilometri. Il trentino era con Rota ed Evenepoel
Diego Ulissi si sta godendo un po’ di meritato riposo nella sua Toscana al termine di una prima parte di stagione conclusa con il campionato italiano. Inizialmente il corridore del XDS Astana Team doveva essere al via anche del Tour of Austria il prossimo 9 luglio, ma alla fine si è optato per tirare il fiato. Abbiamo approfittato di questo suo momento di pausa per fare un punto sui primi mesi con il nuovo team.
«Vero – dice subito – il Tour of Austria era in programma, ma dopo il Giro d’Italia si è deciso di fare altre due corse, Gippingen e Giro dell’Appennino, per sfruttare la condizione. Le gambe stavano bene, infatti nella prima delle due ho chiuso all’ottavo posto, mentre nella seconda ho vinto».
Al Giro dell’Appennino per Ulissi è arrivata la prima vittoria di tappa in maglia XDS AstanaAl Giro dell’Appennino per Ulissi è arrivata la prima vittoria di tappa in maglia XDS Astana
E’ la sedicesima stagione di fila nella quale trovi almeno un successo personale e la sensazione è che possa arrivare anche la diciassettesima.
Quando arrivi a una certa età – dice con un sorriso – non ci pensi a certe dinamiche. Questa stagione era iniziata con l’obiettivo di cercare risultati e fare tanti punti. Ne è scaturito un buon Giro d’Italia, a testimonianza che quando sono in condizione riesco ancora a dire la mia. Non nego che ogni anno diventa sempre più difficile, l’età avanza e riuscire a rimanere con i migliori è dura. Per la diciassettesima vedremo, ci pensiamo a dicembre.
Come hai vissuto il cambio di squadra?
L’ambiente della XDS Astana mi ha dato grandi motivazioni e sono davvero felice di come sono andati questi primi mesi. Arrivato a una certa età servivano nuovi stimoli e obiettivi diversi. Qui c’era, e c’è ancora, questa sfida di lottare per ottenere punti e rimanere nel WorldTour. Ho accettato di buon grado e stiamo lottando. Dopo tanti anni in Lampre, che poi è diventata UAE, è normale che le strade si possano separare. Ci siamo lasciati bene.
Diego Ulissi (quinto da sinistra) è il road captain della XDS-Astana e la sua esperienza è importante per il teamDiego Ulissi (terzo da destra) è il road captain della XDS-Astana e la sua esperienza è importante per il team
Sei passato dalla formazione numero uno al mondo all’ultima.
Ora non lo siamo più (dice con una risata soddisfatta, ndr). Anzi nel 2025 siamo una di quelle che ha ottenuto maggiori risultati. Però quando sono arrivato in Astana non ho guardato al fatto di essere ultimi, ho guardato alla voglia di risollevarsi. Fino a pochi anni fa era uno dei team più forti al mondo. E’ il ciclismo e sono contento di dare una mano alla squadra per tornare dove merita, ma c’è ancora da fare.
Si è parlato tanto dello spirito di squadra, che aria si respira?
Siamo felici, tutti stanno dando il loro contributo. A dicembre, nel primo ritiro, ci siamo guardati negli occhi e abbiamo capito di essere davanti a una stagione difficile ma importante.
Ulissi è tornato al Giro dopo un anno di assenza correndo da protagonistaUlissi è tornato al Giro dopo un anno di assenza correndo da protagonista
Come hai vissuto questa sfida?
Con l’ottica che nulla va lasciato al caso. Anche le gare più piccole sono importanti e si deve lottare tutto l’anno. Devo dire che anche alla UAE Emirates vivevamo così la stagione, infatti erano e sono la squadra numero uno al mondo. Lottavamo per vincere tutto e ho cercato di trasmettere questa mentalità.
Sei tornato anche a correre in gare di primo piano.
L’anno scorso mi era mancato solamente un Grande Giro, le Classiche le avevo corse. Ci tenevo a correre il Giro d’Italia, lo avrei meritato. Quest’anno mi sono ripresentato al via e ho corso un Giro bellissimo. L’ho affrontato diversamente, sono tornato con ambizioni personali e maggiore libertà muovendomi bene. Ho anche preso la maglia rosa in Toscana.
Il toscano ha indossato anche la maglia rosa per un giorno sugli sterrati di casaIl toscano ha indossato anche la maglia rosa per un giorno sugli sterrati di casa
L’anno scorso ti era mancata questa libertà?
Ho sempre avuto lo stesso approccio alle gare, ovvero quello che deve avere un corridore di esperienza. La stagione scorsa ho comunque raccolto dei buoni risultati, ho fatto secondo in classifica generale al Polonia, ho vinto il Tour of Austria, ho fatto secondo in Repubblica Ceca. Ho sempre sostenuto che avere una squadra forte intorno sia un vantaggio. Quando posso aiuto e quando tocca a me sfrutto l’occasione.
Al campionato italiano ha fatto secondo un tuo ex-compagno di squadra, Covi, lo hai sentito?
Siamo molto amici e spesso ci alleniamo insieme. Sì, ci ho parlato. Quando arrivi secondo c’è sempre quell’amaro in bocca difficile da buttare giù. Covi quest’anno è tornato a dimostrare il suo valore, ha già vinto e questo è importante. Poi chiaro che un campionato italiano è un’altra cosa, ma bisogna dare merito a Conca dell’azione e di come ha corso.
Ulissi e Covi sono stati compagni di squadra al UAE Team Emirates e sono rimasti grandi amiciUlissi e Covi sono stati compagni di squadra al UAE Team Emirates e sono rimasti grandi amici
Anche Covi sta vivendo una situazione simile alla tua in UAE, visto che è al secondo anno in cui corre un calendario di secondo piano…
Sono due situazioni diverse. Io sono a fine carriera, lui è ancora giovane. Entrano in gioco due situazioni differenti. Secondo me al momento questo calendario gli fa bene. Arriva da due stagioni difficili e sta trovando continuità. Poi fa tanti punti, fattore determinante nel ciclismo moderno.
Tu quando ripartirai?
Dalle corse in Spagna di fine luglio. Poi sarò al Tour de Pologne e alle classiche del calendario italiano di fine stagione.
CORVARA IN BADIA – Circondati dalle maestose Dolomiti, ma col pensiero che vola al Tour de France. Impossibile non parlarne nel weekend della Grand Depart quando ti imbatti in due campioni come Miguel Indurain e Fabio Aru, ospiti speciali della Maratona ciclistica amatoriale che ogni anno porta 8.000 appassionati da ogni angolo del mondo in Alta Badia e poi su e giù per le montagne patrimonio dell’Unesco che tutti ci invidiano.
Indurain è un veterano della Maratona delle Dolomiti, Aru è alla seconda partecipazione (foto Enervit)Indurain è un veterano della Maratona delle Dolomiti, Aru è alla seconda partecipazione (foto Enervit)
I campioni e la Maratona
Entrambi stelle del Team Enervit, i due assi del pedale amano tornare in questi luoghi che hanno visto solo di sfuggita quando correvano da pro’, ma che ora possono godersi con un po’ più di tranquillità.
«Qui a Corvara una volta arrivai secondo (dietro a Franco Vona, 13ª tappa del 1992, ndr) – parte a raccontare il Navarro – ma poi vinsi quel Giro, per cui ho bei ricordi. Ho perso il conto di quante Maratone ho fatto qui, ma posso dire che è una manifestazione bellissima. Incontro sempre grandi amici, come Bugno, Sagan e tanti altri. L’anno scorso ero insieme a Fabio sul Falzarego. Lui faceva la diretta per la televisione mentre pedalava, mentre io ero al gancio in crisi e facevo fatica a tenere il suo passo».
Il Cavaliere dei 4 Mori al suo fianco sorride e esordisce: «Per me è un piacere tornare qui dopo la prima volta dello scorso anno: è una gara unica e si pedala in posti fantastici. L’atmosfera e il calore degli appassionati sono incredibili. E’ un piacere godersi questo bellissimo momento di sport».
Dopo aver vinto il Giro del 1992, Indurain tornò al Tour, ottenendo il secondo di 5 successi, sfidato da Chiappucci e BugnoDopo aver vinto il Giro del 1992, Indurain tornò al Tour, ottenendo il secondo di 5 successi, sfidato da Chiappucci e Bugno
Pogacar favorito, ma…
Col pensiero si vola Oltralpe e si parla della corsa a tappe più attesa. «Non so dire chi la vincerà, perché il Tour è lungo e in tre settimane può succedere di tutto», ribatte Miguelon, vincitore di 5 Tour consecutivi dal 1991 al 1995. «Pogacar ci arriva sicuramente da favorito, poi vedremo come andrà. Ci sono i migliori corridori del mondo. Dietro a Tadej e Vingegaard, un gradino sotto, ci sono Evenepoel e tanti giovani che stanno crescendo, per cui sarà un Tour interessante».
Fabio, che si vestì di giallo e chiuse quinto nella generale otto anni fa, dà ragione allo spagnolo: «Quello che dice Miguel è vero, il Tour è lungo e ci sono tante dinamiche e cose che possono accadere, comprese cadute e problemi tecnici. Col Delfinato, Pogacar ha dimostrato ad oggi di essere il favorito, però Vingegaard è lì vicino, per cui speriamo che sia una bella sfida».
Al Tour del 2017, Aru indossò la maglia gialla. Fu l’ultimo anno di grandi risultati per il sardoAl Tour del 2017, Aru indossò la maglia gialla. Fu l’ultimo anno di grandi risultati per il sardo
La squadra e i dettagli
Con gregari di lusso come Joao Almeida per la Uae e Simon Yates per la Visma, la differenza potrebbero farla anche i compagni nei momenti chiave. «Sono due squadre fortissime, così come anche la Bora. Poi c’è Mas che va sempre forte – aggiunge Indurain, che poi si sposta sul suo connazionale in forza alla Movistar – ma gli manca sempre qualcosa per fare quel salto di qualità. Un po’ è una questione di “motore”, un po’ gli manca anche un po’ di sicurezza nei propri mezzi. Non deve aver paura di perdere e deve provarci di più».
Aru torna sulle guerre stellari: «Penso che Tadej e Vingegaard siano, soprattutto per i Grandi Giri, un pelino superiori a tutti gli altri. Poi corridori come Remco, O’Connor e tanti altri hanno senza dubbio qualità, ma sono sicuramente meno forti degli altri due. Scongiurando problemi, Tadej lo vedo un gradino sopra a Jonas. Nel ciclismo di oggi devi essere attento a tutti i dettagli, così come già quando ho smesso io. Sicuramente in questo lo sloveno è davvero un esempio, con una grande programmazione in allenamento, nel recupero e nell’alimentazione. Bisogna essere perfetti in tutto».
Pogacar è il corridore che più piace al sardo: «Tadej senza dubbio, perché è un corridore completo. Ci ho fatto due anni in squadra insieme e sin da subito ha dimostrato il suo valore. Consigli? Non gliene ho mai dovuto dare, visto che ha sempre vinto. Si merita tutto quello che sta ottenendo perché è davvero un bravo ragazzo».
Alle intervist con Alan Marangoni, A Corvara c’è anche Peter SaganAlle intervist con Alan Marangoni, A Corvara c’è anche Peter Sagan
La crisi del ciclismo italiano
Indurain, invece, svela: «L’ultimo corridore che mi piaceva molto e che mi poteva un po’ assomigliare era Dumoulin. Era alto come me e andava forte a cronometro, ma anche in salita sapeva difendersi bene. Ora, invece, ci sono corridori meno di ritmo e molto più esplosivi come Pogacar, Vingegaard, Evenepoel e Van der Poel. Tutti gli sport cambiano, le tappe sono più corte e così anche le cronometro, ma è normale che sia così».
Negli anni di Indurain, l’Italia era una super potenza del ciclismo, mentre ora arranca. «Non so se all’Italia manchino corridori o il fatto di avere una squadra di spessore o forse ancora entrambe le cose. Non so quale sia il fattore scatenante di questa crisi, ma è davvero doloroso non vedere l’Italia protagonista. Nei miei anni aveva tanta abbondanza di grandi corridori sia per le classiche sia per i Grandi Giri. E’ un momento difficile perché poi si lotta contro superpotenze che hanno budget enormi, come la Uae Emirates».
Aru commenta così la situazione: «Per quanto riguarda le corse a tappe, non voglio mettermi in mezzo, ma direi che mancano corridori come Nibali. E’ un periodo in cui non abbiamo corridori per i Grandi Giri, per cui dobbiamo lavorare sui giovani e sperare di raccogliere qualcosa. Per quanto riguarda questo Tour, invece, mi aspetto qualcosa di buono da Milan, visto che già anche al Giro ha dimostrato il suo valore. Lo conosco poco, ma faccio il tifo per lui».
L’evento di Corvara richiama ogni anno 8.000 cicloturisti ed è in pieno svolgimento (foto Maratona delle Dolomiti)L’evento di Corvara richiama ogni anno 8.000 cicloturisti ed è in pieno svolgimento (foto Maratona delle Dolomiti)
In Piemonte con la Vuelta
Italia e Spagna è un binomio che si fonderà anche ad agosto alla prossima Vuelta, vista la Gran Salida dal Piemonte. E, a proposito della saga di guerre stellari del pedale, ai nastri di partenza potrebbero esserci sia Pogacar sia Vingegaard.
«Spero che Miguel possa esserci nella mia regione adottiva», fa Aru con un sorriso. «Se posso molto volentieri perché amo l’Italia e la Vuelta che partirà da voi sarà qualcosa di unico», ribatte Miguelon prima di concedersi un dolcino e lanciare uno sguardo alle Dolomiti che sono pronte ad abbracciarlo chilometro dopo chilometro lungo la Maratona.