In auto con la Human: dietro le quinte della crono del Giro Women

09.07.2025
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BERGAMO – Dove la devo portare? Al Sentierone, grazie. E’ il botta e risposta scherzoso “a mo’ di taxi” con la diesse Giorgia Bronzini appena saliamo sull’ammiraglia della Human Powered Health poco prima della crono d’apertura del Giro Women di domenica scorsa. Da Chorus Life al Sentierone, appunto, per un totale di 14,2 chilometri nelle vie di Bergamo.

Sfruttando la disponibilità del team WorldTour statunitense, ci accordiamo sui dettagli da rispettare: ore 13,41 partenza di Katia Ragusa, quindi presentazione in zona ammiraglie almeno dieci minuti prima. Alla guida c’è Bronzini, nel sedile destro posteriore il meccanico spagnolo Joaquin Novoa (ex pro’ per due stagioni alla Cervélo) mentre a noi tocca il posto del passeggero davanti facendo ben attenzione a non interferire con tutta la strumentazione extra di bordo.

Postazione di controllo

Le ammiraglie attuali sono sempre più delle piccole “regie mobili” grazie a dotazioni indispensabili e altamente tecnologiche per seguire la gara e dialogare con la propria squadra. Poco prima di partire Bronzini ci illustra a grandi linee ciò di cui dispone l’auto. «Anche se io – ammette serenamente – non ho mai avuto troppa confidenza con questi macchinari».

La plancia della Skoda della Human ha il classico grande schermo del navigatore di serie che all’occorrenza diventa una piccola tv attraverso un pulsante nero aggiunto all’apparecchiatura standard. Sulla parte destra del cruscotto invece è installato un portatablet in cui vedere la mappa del percorso su VeloViewer con la segnalazione di ogni riferimento. Dalla curve alle rotonde, agli spartitraffico, oltre ovviamente ai chilometri percorsi e da percorrere. Oppure ai dati di salite e discese.

«Essendo una crono – prosegue Bronzini – non accendiamo la televisione, ma nelle tappe in linea la colleghiamo. Inoltre abbiamo un’antenna per il segnale WiFi ed anche altri tablet su cui vediamo gli aggiornamenti dei risultati, dei tempi intermedi e altri dati di questo genere. Questo avviene specialmente se ti stai giocando una gara a tappe e magari la crono è negli ultimi giorni».

«Infine chiaramente – conclude la descrizione Giorgia lanciando un appello – abbiamo radio corsa e la radio per parlare con le ragazze. Quest’ultima per me è fondamentale per la sicurezza delle atlete. Non capisco ancora perché nelle competizioni più importanti, tipo mondiale ed europeo, non la facciano usare. Lo ripeto sempre: fosse stato possibile, magari la povera junior svizzera morta (Muriel Furrer, ndr) avrebbero potuta rintracciarla subito e salvarla. Mah…»

Pronti, via, traguardo

Ormai ci siamo, gli speaker annunciano la partenza di Ragusa. La 28enne vicentina passa davanti a noi e 13 secondi dopo parte anche la nostra crono con le prime esortazioni ed indicazioni da parte della diesse piacentina verso la sua atleta.

La prima curva ampia a destra viene disegnata da Ragusa in posizione sulle protesi in piena velocità sbigottendo sia Bronzini che Novoa per il primo rischio preso forse inutilmente. Da lì in avanti, fino al giro di boa, siamo accompagnati da incitamenti e raccomandazioni, anche quelli che possono sembrare scontati come la respirazione.

La parte finale della crono è quella più complicata. Uno strappo secco che sfiora la città alta di Bergamo da fare metà di slancio e metà di grinta, poi una serie di curve, svolte e dossi rallentatori da fare con attenzione e, possibilmente, senza calare il ritmo. Gli ultimi tre chilometri tornano ad essere per grandi passisti.

Ai 250 metri c’è la deviazione ammiraglie. Bronzini dà le ultime indicazioni sulla curva a destra ed il rilancio sui sampietrini fino al traguardo. E lascia in radio Ragusa con un sentito e sincero elogio per la prova disputata tenendo conto delle sue caratteristiche poco avvezze alle cronometro.

Bronzini durante la crono ha continuato a fornire incitazioni e indicazioni a Ragusa, tenendo sempre alta l’attenzione
Bronzini durante la crono ha continuato a fornire incitazioni e indicazioni a Ragusa, tenendo sempre alta l’attenzione

Campolunghi spiega

Un vecchio adagio del ciclismo dice che la cronometro si divide in tre momenti. Si parte forte, a metà si aumenta e si finisce a tutta. Forse può anche essere vero, però ormai le prove contro il tempo sono esercizi da fare con grande metodologia, sia fisica che mentale.

Al pullman della Human c’è Enrico Campolunghi, diesse e preparatore atletico della squadra che parla con le atlete dopo aver seguito alcune loro ricognizioni. Prima dell’orario di partenza, ogni ragazza ha una sua tabella cui attenersi. Ed anche in questo caso non c’è nulla di scontato.

«La crono di Bergamo – dice Campolunghi – l’abbiamo studiata nei minimi particolari. Durante la ricognizione il percorso va visto con attenzione, notando com’è l’asfalto o dove sono tombini o buche ad esempio. Sui rulli ormai tutto è chiuso ed esegui solo un programma di 20-25 minuti di lavoro prima di andare alla partenza.

«Fai una prima parte tranquilla – continua – poi una progressione ogni minuto aumentando l’intensità fino alla soglia, da mantenere per un paio di minuti. Si fanno ancora trenta/sessanta secondi di “sgasata” ed infine vai col recupero. In pratica non si fa la visualizzazione del percorso sui rulli. Questo riscaldamento serve per l’attivazione metabolica e neuromuscolare nervosa».

Enrico Campolunghi è diesse e preparatore atletico della Human. Soprattutto per le crono, allena fisico e mente delle atlete
Enrico Campolunghi è diesse e preparatore atletico della Human. Soprattutto per le crono, allena fisico e mente delle atlete

L’attesa prima di partire

In televisione o dal vivo, si è abituati a vedere la crono che inizia quando il corridore scende dalla rampa. C’è però tutto un dietro le quinte che in molti non si aspettano e che non è semplice da gestire. Quei famosi lunghi sospiri che tirano gli atleti prima del via hanno una storia.

«Avere gli orari di partenza – spiega Campolunghi – il giorno prima ed il prima possibile, ci permette di stilare le tabelle di riscaldamento con precisione inserendo tutti i riferimenti cronologici. Un’atleta deve arrivare in chiamata 15 minuti prima del via. Bisogna quindi tenere conto di quanto tempo ci impiega per andare in partenza dalla zona pullman. E quindi tenere conto di quando vestirsi e iniziare il warm-up. Da quando salgono sui rulli a quando partono possono passare tranquillamente 50 minuti.

Le atlete hanno una tabella oraria di riscaldamento da rispettare prima di recarsi alla partenza e attendere per 15 minuti il proprio turno
Le atlete hanno una tabella oraria di riscaldamento da rispettare prima di recarsi alla partenza e attendere per 15 minuti il proprio turno

Quindici minuti sedute

«E quando arrivano in zona partenza – sottolinea Campolunghi – per regolamento devono aspettare sedute il proprio turno, senza pedalare. Lì devono saper gestire l’aspetto mentale e la tensione. Devono essere brave a concentrarsi, ignorare le distrazioni e pensare alla gestione della gara come è stata preparata. Magari bere piccoli sorsi ogni tanto senza appesantirsi o solo se necessario. Anche questo quarto d’ora di attesa si allena attraverso meeting e colloqui individuali. Ne faccio spesso con le atlete».

Ecco che ci tornano alla mente le parole di Marco Villa su Guazzini e Venturelli dopo l’italiano a crono di qualche settimana fa, in cui hanno conquistato le maglie delle rispettive categorie. Il cittì delle crono diceva che partono con mezzo minuto di svantaggio proprio perché prima del via tendono più a lamentarsi per eventuali cose che non vanno, che a focalizzarsi sulle proprie grandi potenzialità. Insomma, nel ciclismo moderno non si può più lasciare nulla al caso.

Lenny Martinez: fughe e progetto maglia a pois restano in piedi

09.07.2025
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«Lenny, ti abbiamo visto un po’ in difficoltà in questa prima parte di Tour, cosa è successo?». «Vero, non è stato un buon inizio, ma ieri sono tornato ad avere le sensazioni corrette». Queste parole Lenny Martinez ce le aveva dette esattamente 24 ore prima della sua fuga di ieri, quando si era prossimi alla partenza da Valenciennes.

E ieri quelle sensazioni buone le ha subito messe in mostra il corridore della Bahrain-Victorious. E’ stato lui il combattivo di giornata. E’ stato lui a ritrovarsi in fuga con passisti del calibro di Kasper Asgreen, ed è stato sempre lui l’ultimo a mollare, specie quando c’erano in ballo i punti di un Gpm di terza categoria.

Lenny Martinez arriva in mix zone accompagnato da Jeff Quenet, il responsabile delle conferenze stampa del Tour
Lenny Martinez arriva in mix zone accompagnato da Jeff Quenet, il responsabile delle conferenze stampa del Tour

In lotta col vento

Nella frazione di apertura, Martinez era sfilato sotto l’arrivo di Lille per ultimo. Il suo ritardo sfiorava i 10 minuti. Velocità folli, tanta pianura, ventagli, ma anche il nervosismo della prima tappa… troppo per uno scalatore puro e minuto come lui. E ci si era subito chiesti se l’operazione maglia a pois fosse ancora in piedi.

«Quella prima tappa – racconta Martinez – è stata davvero complicata per me. Non riuscivo a trovare la posizione in gruppo, non mi sono mai sentito a mio agio. In ogni punto ero bloccato, non c’erano spazi e si andava sempre a 60 all’ora. Non sono mai, mai stato davanti al gruppo e sappiamo che se sei dietro è peggio. Le giornate così, con il vento laterale e due volte a favore, sono le peggiori. Ma posso assicurarvi che il progetto maglia a pois va avanti».

«Se ho mangiato o integrato in qualche modo per recuperare? Nulla di particolare, assolutamente tutto nella norma. Ho solo cercato di dormire bene e di avere un buon risveglio. Il corpo è un po’ così: non sempre va tutto come si vuole».

E in effetti, mentre raccontava, Lenny era sereno, sorridente. Non dava l’aria di un corridore preoccupato, teso per la condizione che non c’è e un lungo Tour davanti a lui. Evidentemente sapeva cosa fosse successo e conosceva la sua condizione.

Quanta fatica all’arrivo della prima tappa per Lenny
Quanta fatica all’arrivo della prima tappa per Lenny

Crono a tutta: sì o no?

La maglia a pois come suo nonno Mariano, storia che tante volte abbiamo raccontato e che tanto affascina: sarà il fascino delle salite, sarà il romanticismo di questa “staffetta” quasi cinquantennale, tiene banco. I francesi ci tengono moltissimo e non c’è giorno che non gli chiedano qualcosa in merito. Ma Martinez ci ha tenuto a dire una cosa.

«Okay la maglia a pois – riprende Lenny – ma prima preferisco puntare a una tappa. Quello è il primo obiettivo. La gamba, dopo la prima frazione, ha iniziato a girare bene e spero continui così. In questo Tour ci sono diverse salite che mi piacciono particolarmente. Sicuramente il Mont Ventoux, penso. Mi piace anche La Plagne e poi il Mont-Dore (sul Massiccio Centrale, ndr): quell’arrivo è davvero bello».

Oggi c’è la cronometro e Lenny potrebbe anche decidere di recuperare un po’, tanto più dopo gli sforzi di oggi, ma non ci è sembrato molto convinto in merito.

«In questo Tour de France ci sono due crono. Una, quella di Peyragudes, è una cronoscalata e la farò a tutta. Mentre quella di Caen, vedrò. Se mi sentirò affaticato non credo la farò al massimo, però a prescindere credo che potrebbe essere giusto invece farla a blocco in ottica futura, pensando alla classifica generale. Fra qualche anno».

Grinta e concentrazione: da ieri per Martinez è iniziato un nuovo Tour (foto Instagram)
Grinta e concentrazione: da ieri per Martinez è iniziato un nuovo Tour (foto Instagram)

Generazione francese

Martinez dunque non molla. Ha già in mente le sue tappe e la maglia a pois. Ieri ha dato una risposta importante. Certo, fa e probabilmente farà sempre, una gran fatica contro i “bestioni” per la classifica generale, almeno con questa generazione. Ma in salita c’è.

Tenere su quelle cotes dopo essere stato in una fuga a quattro per tutto il giorno, con la UAE Emirates dietro che tira, non è stata cosa da poco. Ci farà divertire e tanto.

Per ora fa divertire i francesi, che senza più neanche Bardet si godono questa “nouvelle vague”, questa nuova ondata di ragazzi: Gregoire, Seixas, Vauquelin, Valentin Paret-Peintre e appunto Martinez.

«E’ stimolante fare parte di questa generazione – ha detto Lenny – spero che piaccia anche al pubblico».
E a proposito di Valentin Paret-Peintre, il Tour de France, fatte le visite di rito prima del via, ha dichiarato il portacolori della Soudal-Quick Step come il più leggero della Grande Boucle.
A questa dichiarazione Lenny ha un po’ storto la bocca.

«Non ne sono mica sicuro – quasi a voler rivendicare il primato, ovviamente scherzando – in gruppo quando lo incontro glielo chiedo. Io so che peso 54 chili».

A Rouen la numero 100, ma chi ricorda la prima? Petilli racconta

08.07.2025
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Rouen finisce di colpo tutta in basso quando Tadej Pogacar accelera sulla Rampe Saint-Hilaire. Vingegaard lo tiene, poi si siede e lo perde. E a quel punto o l’altro molla o il danese ha una botta d’orgoglio e gli torna sotto allo scollinamento. E’ l’antipasto per la centesima vittoria da professionista del campione del mondo.

C’è Almeida a scortarlo e li rintuzza tutti. L’ultimo è Jorgenson, ma il portoghese che per mezza tappa non l’hanno mai visto, è efficiente come un cecchino. Li mira e li prende tutti e a quel punto per Tadej non resta che la volata, in cui Van der Poel si scopre a corto di energie, mentre tutti pensavano che l’avrebbe vinta facilmente. Primo Pogacar, secondo Mathieu, terzo Vingegaard. Oggi quota cento non parla di pensioni, ma di un traguardo a suo modo storico.

«Ero al limite – dice il campione del mondo – ho provato con un allungo sull’ultima salita e Jonas mi ha seguito. Poi alla fine ci siamo ricompattati. Mi hanno attaccato, c’è voluto un lavoro straordinario per controllare tutti, quindi sono super felice e orgoglioso della squadra. Sono senza parole, è stata una vittoria così bella. Vincere al Tour è incredibile, con questa maglia ancora di più. E avere messo insieme 100 vittorie è pazzesco. Questo è il tipo di ciclismo che mi piace, semplicemente perfetto. Con tanti corridori forti in finale, sei sempre un po’ al limite e nervoso per quello che succederà. Non si sa mai come finirà, per cui hai addosso un’adrenalina incredibile. Perciò ora mi godrò la vittoria in maglia iridata e poi penseremo alla crono di domani, in cui ovviamente puntiamo alla maglia gialla».

Algarve 2019, la prima volta

Si potrebbe raccontare di Van der Poel piegato dalla fatica. Di Vingegaard pimpante che adesso sa fare anche gli sprint. Oppure di Milan che ha mantenuto la maglia verde. Invece riavvolgiamo il nastro e torniamo alla vittoria numero uno, sei anni fa, con chi c’era. Sarà un approccio insolito, ma quando Simone Petilli scortò Pogacar alla prima vittoria nel 2019 si aspettava che nel giro di sei anni Tadej sarebbe arrivato a quota cento?

Lui sorride. Sta recuperando dopo il Giro e le corse subito successive. Dovrebbe rientrare per San Sebastian e poi la Vuelta, ma essendo riserva per Polonia e Giro di Vallonia, la sensazione è che una delle due gli toccherà.

Volta ao Algarve 2019, ultima tappa a Malhao. Pogacar vince, l’abbraccio con Petilli è l’inizio della storia
Volta ao Algarve 2019, ultima tappa a Malhao. Pogacar vince, l’abbraccio con Petilli è l’inizio della storia

UAE, il capitano è Fabio Aru

Il 21 febbraio del 2019 è di giovedì, la Volta Algarve vive la seconda tappa e la UAE Emirates ha Fabio Aru come capitano. Pogacar, 21 anni, è stato chiamato in extremis per sostituire un corridore malato.

«Si vedeva subito che Tadej avesse una marcia in più rispetto a tutti gli altri – ricorda Petilli – ma già più di un anno prima, quando l’avevo conosciuto, avevo visto che gli veniva tutto con una facilità incredibile. Ricordo benissimo quell’Algarve, lui venne davvero in extremis perché era andato bene in Australia. Si vedeva che aveva una gran gamba, ma il capitano quel giorno era Aru. Tadej era lì senza stress e ricordo bene quell’arrivo. Io avevo tenuto duro, mi ero staccato all’ultimo chilometro. Lui era rimasto davanti coi primi 3-4. Se non sbaglio c’erano Poels e Mas, dei bei corridori. Ricordo che siamo arrivati in cima e c’era un gran casino tra i massaggiatori per cui mi dissero di andare giù, perché il pullman era in basso. Chiesi di Tadej, ma nessuno mi rispondeva».

Sei anni dopo, Pogacar attacca sulla Rampe Saint-Hilaire. Nel mirino la vittoria numero 100
Sei anni dopo, Pogacar attacca sulla Rampe Saint-Hilaire. Nel mirino la vittoria numero 100

I consigli di Aru

Petilli arriva al bus e sale sui rulli. La tappa aveva l’arrivo in salita agli 887 metri dell’Alto da Foia, scalata di circa 12 chilometri. Intorno c’è l’andirivieni del dopo corsa. Altri corridori arrivano alla spicciolata, finché Petilli vede passare uno dei due direttori sportivi e lo chiama.

«Era Bruno Vicino – ricorda – la UAE Emirates era ancora come la Lampre, c’era ancora tanta gente di quel gruppo. E così gli chiedo che cosa avesse fatto Tadej, che avevo lasciato con i primi 3-4 e non lo avevo più visto. E lui mi dice che ha vinto. Fu anche per me una sorpresa, però sapevo che era davanti e da quel giorno in poi ci mettemmo a difendere la maglia sino in fondo e il resto è storia (la seconda vittoria infatti arriverà a breve e sarà la classifica generale della corsa portoghese, ndr). Quel giorno Aru non andò troppo bene, ma per il resto della corsa fu utilissimo, perché aiutò Pogacar a gestire la pressione della maglia gialla. Con Fabio quel giorno rimase Valerio Conti, io invece ebbi una giornata di libertà e arrivai settimo».

Il giorno dopo, la crono

Il giorno dopo, come pure domani al Tour, l’Algarve affronterà i 20,3 chilometri della cronometro di Lagoa. In squadra non si sa se Pogacar sia abbastanza solido da difendere la maglia, per cui l’invito di tutti è alla grande cautela.

«Dicevano che dovevamo cercare di difenderci – ricorda Petilli – in realtà Tadej ha guadagnato su tutti gli altri (arrivò quinto ad appena 17″ da Kung, ndr), poi le sue caratteristiche sono venute fuori».

Sono passati sei anni, ma ci è sembrato interessante ripescare questa storia di 100 vittorie fa. Domani il Tour de France affronterà la cronometro di Caen di 33 chilometri e molto probabilmente Tadej Pogacar ritroverà la maglia gialla. Oggi ha vinto con quella iridata e per quanto sia parso irritante, aver lasciato a Wellens quella a pois rispondeva alla voglia di raggiungere quota 100 con il simbolo dell’iride. Domani il Tour chiederà ai campioni di mettere sul tavolo le loro carte migliori. Evenepoel dovrà far vedere a che punto si trovi davvero, ma sarà soprattutto dal duello fra Pogacar e Vingegaard che capiremo molto di più sul resto della sfida.

Ciabocco si fa vedere al Giro Women. E ci presenta Monte Nerone

08.07.2025
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BERGAMO – Il quarto posto di ieri sul traguardo dell’Aprica non è un caso, anche se lei viaggia a fari spenti tra le big del Giro Women. Arriva da un bel periodo Eleonora Ciabocco, che in poco più di una settimana, ha ottenuto i suoi migliori risultati da quando è pro’. Il terzo posto al campionato italiano le è valso anche la maglia tricolore tra le U23, confermando un ulteriore gradino di crescita.

«La seconda tappa – ci racconta la 21 enne della Picnic PostNL al suo terzo Giro femminile – è stata molto veloce. All’inizio bisognava stare attente e cercare di stare davanti, poi c’è stata una grande bagarre per l’inizio della salita finale, specie nei primi chilometri dove c’erano le pendenze più ripide e severe. Io ero venuta a provare la tappa dell’Aprica con Francesca (Barale, ndr) quindi sapevamo cosa ci aspettava. Ultimamente ho una buona condizione, sento che sto crescendo. Ero fiduciosa, però non mi aspettavo di andare così forte. E’ sempre un punto di domanda quando si corrono tappe così difficili e intense».

«Inizialmente – continua Ciabocco facendo un bell’accenno alle colleghe – mi attendevo che restassimo in un gruppo più numeroso, ma la velocità è stata davvero elevata ad inizio salita. Ho provato anche a seguire anche un paio di attacchi, cercando di fare qualcosa, ma ero sola. Persico poi ha imposto un gran ritmo nel finale e a quel punto ho pensato solo alla mia volata. Sono felice del mio risultato, ma anche che Soraya (Paladin, ndr) abbia ottenuto un bel terzo posto, seppur davanti a me, perché mi piace molto come atleta. Abbiamo ancora tante tappe davanti a noi, speriamo di continuare così».

Nella 2ª tappa ad Aprica, Ciabocco chiude quarta dietro Paladin e davanti alla maglia rosa Reusser (poi ceduta ad Henderson)
Nella 2a tappa ad Aprica, Ciabocco chiude quarta dietro Paladin e davanti alla maglia rosa Reusser (poi ceduta ad Henderson)

Navigando a vista

Sondando il terreno con le italiane del team olandese, durante la team presentation di sabato, l’impressione è stata quella di voler curare più le tappe della generale.

«Noi della Picnic – spiega Eleonora – vivremo alla giornata. A questo Giro Women non sono partita con l’obiettivo della maglia bianca come in tanti mi hanno chiesto. Se poi viene, tanto meglio, ma il livello è altissimo in generale e tra le giovani. In squadra ci siamo soffermate per ora ai successi parziali, cercando di fare il meglio possibile restando nella mischia. Finora sono soddisfatta della mia stagione. Al campionato italiano sono andata bene e spero di continuare ad avere buone gambe nei prossimi giorni, poi vedremo».

Vi presento il Monte Nerone

Dal giorno della presentazione del percorso ad oggi, addetti ai lavori e soprattutto atlete hanno individuato nella settima e penultima tappa che si conclude in vetta al Monte Nerone il punto cruciale del Giro Women. Questa montagna delle Marche (in provincia di Pesaro-Urbino e al confine con l’Umbria) in passato è stata affrontata soltanto una volta durante la 16a tappa del Giro d’Italia del 2009. Si saliva da Pianello, mentre quest’anno si scala il versante da Pian di Molino e Serravalle di Carda, ma non cambia lo sforzo che attenderà le ragazze in gara.

«E’ vero che sono marchigiana – apre la descrizione Ciabocco – ma sono della provincia di Macerata e non sono le mie strade abituali di allenamento. Ho fatto la ricognizione da sola col mio fidanzato Marco una settimana prima del campionato italiano, in un momento in cui con la squadra era difficile trovarsi tra una corsa e l’altra. La salita si divide in due. La prima parte non è troppo dura, poi è tutta al sole. Quando l’ho provata io il meteo non era dei migliori, però credo che il caldo possa diventare un fattore e fare la differenza».

Senza respiro

«Gli ultimi 8 chilometri – prosegue Eleonora nell’analisi – sono davvero molto impegnativi. Si sale sempre attorno all’8/9% con punte in doppia cifra. La seconda parte non ha un vero momento in cui si può rifiatare. Il vento l’avevo trovato di più nella parte centrale della tappa, però potrebbe essere un altro aspetto da tenere in considerazione. Lo controlleremo qualche giorno prima.

Per Ciabocco sarà la tappa decisiva perché è dura fin dall’inizio. «Il gruppo può esplodere già dopo 20 chilometri e poi credo che la stanchezza accumulata potrebbe fare una ulteriore differenza. Se il clima sarà caldissimo come l’anno scorso, arriveremo in fondo davvero stanche, quindi conteranno solo le gambe. Tuttavia credo che anche la tappa di Pianezze (in programma domani, ndr) potrà fare selezione. Questa salita e Monte Nerone saranno importanti per la classifica generale».

Ciabocco e Niedermaier, attuale maglia bianca. La marchigiana curerà la classifica delle giovani anche se non è un obiettivo dichiarato
Ciabocco e Niedermaier, attuale maglia bianca. La marchigiana curerà la classifica delle giovani anche se non è un obiettivo dichiarato

Orizzonte azzurro

All’Avenir Femmes del 2024, Ciabocco era stata insignita dei gradi di capitana della giovane Italia, dimostrandosi all’altezza della situazione e chiudendo sesta in classifica. Quest’anno le rassegne iridate e continentali presentano percorsi adatti a lei, ma se l’europeo in Ardeche non presenta alcun problema, la trasferta per il mondiale in Rwanda sembra averne di più. Il contingente azzurro andrà in Africa in formato ridotto e per le ragazze U23 (che correrebbero il primo loro mondiale a parte) pareva non esserci posto, anche se non c’è nulla di definitivo ancora.

«Forse – dice Eleonora – per le convocazioni azzurre al mondiale U23 potrebbero esserci delle novità. Così ho sentito, anche se a me non hanno detto nulla. Sentivo che anche altre nazionali U23, che inizialmente avevano detto che non avrebbero fatto la trasferta, stanno cercando di organizzarsi per portare almeno un paio di U23. Posso immaginare un numero ridotto per molte nazioni, però se anche l’Italia potesse portare qualche atleta sarebbe bello. Spero possa essere così.

«Detto questo – conclude Ciabocco sorridendo – negli ultimi due anni non sono mai andata né al mondiale né all’europeo, quindi non dico nulla per scaramanzia. Se dovesse arrivare una convocazione sarei sicuramente molto felice, sapendo che molto può passare da questo Giro Women. Ora penso solo a fare buone prestazioni e se ne riparlerà eventualmente più avanti».

Conca ha aperto lo scrigno, ma il problema parte dai giovani

08.07.2025
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Le vicende del ciclismo italiano continuano a tenere banco, la vittoria del campionato italiano da parte di Filippo Conca ha aperto un cassetto pieno di problemi fino ad adesso tenuti nascosti. Come quando nel fare pulizia si ritrovano carte appallottolate e piegate in malo modo, messe in un angolo nella speranza che qualcuno se ne dimenticasse. Ma come accade con le multe il tempo accumula, non dimentica. Ci siamo così trovati, in una calda domenica di fine giugno, con un ciclista che ha deciso di aprire quel cassetto ormai nascosto dalla polvere. Ma il problema è ben più radicato e parte dai giovani

Era necessario prima o poi venire a patti con la realtà. Le parole che lo stesso Conca ci ha regalato qualche giorno dopo ci hanno permesso di fermarci e cercare delle risposte. Un ragazzo di 26 anni, scaricato dal ciclismo professionistico con la fretta che ormai lo contraddistingue, ha avuto la forza di non arrendersi e ripartire. Gli è costato tanto: fatica, impegno e tanti bocconi amari da mandare giù. 

Il tricolore di Conca ha aperto il dibattito, il ciclismo è a un punto di svolta?
Il tricolore di Conca ha aperto il dibattito, il ciclismo è a un punto di svolta?

Una piramide che crolla

La deriva del movimento è partita però dal ciclismo giovanile, la sua gestione è ormai in mano a pochi soggetti che non sempre fanno il bene dell’atleta. Si vanno a cercare i talenti in categorie che prima servivano a raccontare quanto i giovani amassero andare in bici. Ora quei giovani amano ancora andare in bici? La risposta per certi versi è “sì” ma non dobbiamo farci ingannare. 

«Quello che ci ha dimostrato la storia di Conca – analizza Stefano Garzelli, in questi giorni impegnato con il commento tecnico della RAI al Tour de Franceè che un corridore di 26 anni è considerato vecchio. Nel dirlo provo un gran senso di rabbia. La sua carriera è un insieme di episodi che si possono ripetere e possono coinvolgere tutti. Una serie di problemi fisici e in quattro anni Conca si è trovato fuori dal ciclismo professionistico. Un ragazzo come lui non ha trovato nessuno che lo facesse correre, nemmeno una continental».

La caccia agli juniores porta a una professionalizzazione della categoria, non sempre un bene per dei ragazzi giovani
La caccia agli juniores porta a una professionalizzazione della categoria, non sempre un bene per dei ragazzi giovani
E’ il segno che forse si sta esagerando in questo continuo ricambio?

I corridori giovani non hanno tempo per crescere, ora stiamo vedendo test di ragazzi giovani (juniores, ndr) con numeri impressionanti. Ma poi, in corsa, come riesci a gestire il tuo potenziale se ti mettono a fare il lavoro sporco? La vera domanda è cosa stiamo chiedendo ai giovani? Perché poi se non performi e non porti punti, ti lasciano a casa. 

Il rischio è di vedere sempre più ragazzi come Conca.

Sì, ma a 25 anni un corridore non è finito, anzi. E’ appena entrato nella sua completa maturazione fisica e mentale. Non si guarda più a ragazzi di questa età, ma agli juniores. La cosa più spaventosa è che sono ragazzi giovani trattati come campioni, ma non lo sono. Esistono delle eccezioni, come è stato Evenepoel e ora Seixas. Anche se su quest’ultimo qualche dubbio sul fatto che stiano facendo un calendario esagerato ce l’ho. 

Il problema è che alle corse degli allievi ora trovi i procuratori, i tecnici non vanno più a vedere le categorie giovanili, si accontentano dei test…

Si fa credere ai ragazzi di essere entrati nel mondo del professionismo e poi non è vero. Non lo sono. C’è una lotta sfrenata per entrare nelle squadre development di formazioni WorldTour già dagli allievi. Per me il male più grande è l’aver lasciato carta bianca per i team juniores. Red Bull, Decathlon e tutti gli altri. Siamo davanti a specchietti per le allodole. 

I devo team juniores rischiano di creare una spaccatura all’interno del movimento (foto Instagram/ATPhotography)
I devo team juniores rischiano di creare una spaccatura all’interno del movimento (foto Instagram/ATPhotography)
Sembra che senza procuratore non puoi correre, anche a 17 anni.

Ognuno guarda al suo interesse, questo meccanismo che si è creato è incontrovertibile. Si dovrebbe lavorare per renderlo meno pressante. Ma se le squadre WorldTour continueranno a creare team giovanili, il sistema continuerà a prendere ragazzi sempre più giovani. 

Tanti ragazzi poi decidono di abbandonare la scuola.

Questo è un tema importante. Quando hai 16 anni la tua priorità devono essere gli studi. Invece adesso ti trovi davanti ragazzi che hanno delle vie “facilitate” o comunque che mettono in secondo piano l’istruzione. Anche io sono padre e mio figlio, che corre in Spagna (dove Garzelli e la sua famiglia vivono, ndr) si è trovato più volte a gareggiare contro ragazzi che si allenano 22 ore a settimana. Se vai a scuola e studi non hai tutto quel tempo per allenarti. Vi faccio un esempio.

Prego…

Qualche settimana fa mio figlio era a una gara riservata agli juniores in Spagna, erano in quarantotto al via, pochissimi. Il perché era presto detto, la settimana successiva c’era una gara più prestigiosa. Il rischio è di non avere più gare perché un organizzatore non avrà più interesse a fare una corsa per neanche cinquanta ragazzi. Tutti vogliono correre con la nazionale o con i devo team. Non esisteranno più le altre squadre, quelle “normali”.

Certe esperienze, come le prove di Nations Cup dovrebbero offrire la possibilità a tanti ragazzi di crescere e confrontarsi (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Certe esperienze, come le prove di Nations Cup dovrebbero offrire la possibilità a tanti ragazzi di crescere e confrontarsi (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Tutti vogliono emergere, ma non c’è spazio.

Come possono starci tutti? Anche se un giorno tutte le diciotto squadre del WorldTour avranno dei team juniores, comunque i posti saranno limitati. E poi che calendario faranno? Scusate, ma a me la gara in cui i primi cinque erano gli atleti della Grenke Auto Eder (vivaio juniores della Red Bull, ndr) non ha senso. Cosa vuol dire andare alle corse e competere contro chi fa la vita di un diciassettenne “normale”?

Senza considerare che anche la nazionale sta diventando una cosa circoscritta a pochissimi.

Sono dell’idea che le federazioni nazionali dovrebbe dare la possibilità di correre al maggior numero di giovani possibile e non di lavorare con un cerchia di dieci ragazzi. Tutti si caricano di aspettative e si credono già arrivati, poi fanno interviste, eventi, foto. Sta anche ai media non esagerare in proclami e titoloni.

Vero…

Poi tutto diventa dovuto e si creano delle classi in base al talento. Ma a 16 anni, come detto prima, ci sono diversi fattori che incidono. Io sono contro queste esclusioni e alla creazioni di gruppi ristretti. E’ chiaro che se poi le diciotto formazioni WorldTour creano le squadre juniores e prendono i migliori allora il sistema si inceppa. 

Perché i team WorldTour al posto di creare formazioni non possono sostenere i team locali aiutandoli nella gestione? (foto ufficio stampa Nordest)
Perché i team WorldTour al posto di creare formazioni non possono sostenere i team locali aiutandoli nella gestione? (foto ufficio stampa Nordest)
Ci sarebbero tanti modi per far crescere in maniera uniforme i ragazzi.

Nel calcio le squadre hanno i loro team giovanili, ma anche una serie di squadre locali che fungono da team satellite. Il ciclismo non ha questa capillarità, ma grandi sponsor che possono permettersi di fare il WorldTour potrebbero dare una mano alle squadre giovanili senza surclassarle. Magari distribuendo la ricchezza (o anche organizzando corse così da tenere vivo il movimento, ndr). Sono contento per Conca, il suo risultato fa capire che certe dinamiche sono irreali, bisogna sperare che questo avvenimento non si asciughi come una goccia d’acqua nel deserto.

Troppi rischi negli sprint intermedi e Philipsen ne fa le spese

08.07.2025
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Non è facile immaginare la delusione in casa Alpecin-Deceuninck dopo il ritiro di Philipsen. Ci siamo passati pochi giorni fa con Ganna, su cui avevamo appuntato ben più di una speranza, caduto prima di aver dato una forma al grande lavoro. Ma il belga aveva già vinto una tappa, indossato la maglia gialla ed era il detentore della verde: ieri avrebbe certamente lottato per concedersi il bis.

Philipsen è caduto in un traguardo volante, abbattuto da Brian Coquard per una manovra al limite dell’incomprensibile. Il francese della Cofidis prima si è toccato con Laurenz Rex della Intermarché, poi è rimbalzato a centro strada e ha trascinato nella rovina il belga che risaliva per i fatti suoi, preparando la volata sul traguardo a punti. Philipsen è stato trasportato in ospedale e ha riportato la frattura della clavicola e di almeno una costola. Per essere operato, verrà trasferito all’ospedale di Herentals.

«Jasper è stato vittima di una caduta stupida – ha commentato il suo team manager Philip Roodhooft – completamente fuori dal suo controllo. Non voglio puntare il dito contro gli altri due corridori. Le conseguenze per Jasper e la nostra squadra sono particolarmente gravi, ma cosa si può fare? A volte succedono cose brutte».

Philipsen era partito da Dunkerque con la maglia verde, che costituiva il primo obiettivo per la Alpecin
Philipsen era partito da Dunkerque con la maglia verde, che costituiva il primo obiettivo per la Alpecin

La squadra raggelata

La rabbia dei primi momenti ha lentamente lasciato il posto alla rassegnazione. Poteva andare molto peggio e in fondo la clavicola rotta non cancellerà il successo nella tappa inaugurale e la prima maglia gialla.

«Questo smorza l’atmosfera all’interno della squadra – ha detto Mathieu Van der Poel che da Philipsen aveva ereditato il primato – abbiamo iniziato così bene ed è un peccato, soprattutto per Jasper. Sono situazioni molto frenetiche in cui tutti corrono per i punti. In queste tre settimane solo due o tre corridori riusciranno a vincere, ma tutti hanno il diritto di partecipare alle volate. Quando ho visto Jasper seduto a terra, ho capito subito che non stava bene. Ma penso che dovrebbe essere molto orgoglioso di aver vinto la prima tappa e di aver potuto indossare la maglia gialla. Conoscendolo, sarà molto deluso, ma potrà anche concentrarsi rapidamente sul suo prossimo obiettivo. Abbiamo perso il nostro velocista, ma anche il nostro obiettivo per il Tour: dare il massimo per la maglia verde con lui. Oggi (ieri, ndr) abbiamo cercato di ritrovare la concentrazione e di puntare su Kaden Groves, ma si capiva che nessuno di noi fosse davvero sereno».

E’ stato Coquard a colpire Philipsen, ma il francese (pur scusandosi) ha parlato di un incidente
E’ stato Coquard a colpire Philipsen, ma il francese (pur scusandosi) ha parlato di un incidente

Le scuse di Coquard

Coquard ha impiegato un po’ per recuperare la lucidità e spiegarsi. Il francese che per una caduta ha chiuso la tappa fra gli ultimi, ha ammesso l’errore, ma respinto le accuse di essere stato scorretto

«Una giornata dura – ha detto – immaginate quanto sia spiacevole che Philipsen abbia dovuto arrendersi. Non volevo causare una caduta, non volevo correre rischi. Non è stato intenzionale, ma voglio scusarmi con Philipsen e la Alpecin. Non sono cattivo e tantomeno scorretto e alla fine sono caduto anche io nello sprint finale. Ho dolori ovunque, ma vedremo».

Da lui si è presentato inzialmente con propositi bellicosi Jonas Rickaert, compagno di squadra di Philipsen, che poi ha aggiustato il tiro, pur sollevando una corretta osservazione. «Sono andato subito da Coquard – ha detto – per chiedergli cosa fosse successo e lui mi ha detto che non era colpa sua. Era stato solo uno stupido incidente. Ma quando sei settimo o ottavo nella classifica a punti, non dovresti correre rischi totali in una volata intermedia. Capisco che si faccia all’arrivo, anche se a volte è fastidioso assistere a certe scene, ma questo è il Tour, no?».

Oggi potrebbe toccare nuovamente a Van der Poel sul traguardo nervoso di Rouen
Oggi potrebbe toccare nuovamente a Van der Poel sul traguardo nervoso di Rouen

Oggi occasione per VdP

«Stavamo guardando la gara sul pullman – ha raccontato ancora Roodhooft – quando abbiamo visto Jasper cadere e abbiamo capito subito che era una cosa seria. In un attimo siamo passati dall’euforia alla delusione. Jasper è emotivamente devastato e sta soffrendo».

La squadra belga ha un piano di riserva che per molti altri sarebbe quello principale, con Kaden Groves che ha il livello per vincere le volate di gruppo. L’australiano sarà guidato da Van der Poel, che ieri non è riuscito a portarlo oltre il settimo posto, quando però tutti i corridori della Alpecin avevano negli occhi l’immagine di Philipsen che piangeva seduto sull’asfalto. Per loro fortuna, oggi potrebbe essere un altro giorno buono per Van der Poel. Riuscire a vincere in maglia gialla e dedicare il successo all’amico ferito è una di quelle molle che rende l’olandese una bestia selvaggia e imbattibile.

Perché Bettiol non è al Tour? Parla Vinokourov

08.07.2025
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LILLE (Francia) – Qualche giorno fa vi abbiamo parlato degli undici italiani al Tour de France. Tolti i vari Tiberi e Pellizzari, che avevano già fatto il Giro d’Italia e sapevano che non sarebbero stati della partita in Francia, il nome grosso che manca all’appello è quello di Alberto Bettiol.

A dire il vero, la pulce all’orecchio ce l’aveva messa lui stesso già durante il Giro, quando nel Processo alla Tappa, a Gorizia, Alessandro Fabretti chiese ad Alberto se avrebbe fatto poi la Grande Boucle. Bettiol fu evasivo. Altri invece ci avevano detto che per il Tour si sarebbe puntato forte sul toscano. Evidentemente Alberto sapeva che qualcosa non stava girando per il verso giusto. A chiarire tutto è stato niente meno che il patron della XDS-Astana, Alexandre Vinokourov.

Alexandre Vinokourov (classe 1973) è il team manager della XDS-Astana
Vinokourov (classe 1973) è il team manager della XDS-Astana
Alex, dunque: come mai Bettiol non è al Tour?

E’ perché abbiamo ritenuto di non portarlo. Lo sport è così. Adesso è in allenamento in quota a Livigno e ci starà per un mese. Così sarà pronto da fine luglio fino ad ottobre. Ho parlato molto con lui e posso dirvi che ci ha provato fino alla fine, ma purtroppo non era pronto.

E come lo hai trovato?

Era motivato, perché sa che da qui a fine stagione potrà prima di tutto tornare al suo livello. E poi perché avrà tante occasioni.

Ma perché quindi non era pronto per il Tour?

Perché la sua stagione non è partita benissimo. E’ stato male durante le classiche, poi gli stessi problemi si sono protratti anche dopo e quindi ha saltato il Giro. A quel punto per lui era meglio non fare la corsa rosa e andare a caccia di punti. Ma non ha funzionato come volevamo noi. Alla Quattro Giorni di Dunkerque ancora male. Da lì è rientrato in gara al Tour de Suisse, quasi un mese dopo. Io sono convinto che prima o poi troverà la forma.

Chiaro…

Un campione come lui di certo ritorna. Se riesce a fare una vittoria poi gli verrà tutto più facile. Anche gli altri ragazzi stanno andando bene e questo potrà aiutarlo.

Bettiol ha preso parte al campionato italiano sia a crono (settimo) che su strada (ritirato)
Bettiol ha preso parte al campionato italiano sia a crono (settimo) che su strada (ritirato)
Bettiol si è sempre allenato bene?

Sì, sì… Tra l’altro seguiamo bene i nostri atleti. Certo, non sempre le cose vanno come si vuole e secondo programma. Ma ripeto, ormai siamo qui, è luglio e lui si sta allenando bene in quota.

A questo punto lo vedremo alla Vuelta?

No, grandi Giri per Bettiol no. La Vuelta è troppo dura per lui. E poi, come sapete, noi abbiamo bisogno di punti. Pertanto preferiamo puntare di più sulle corse di un giorno, specie con atleti validi come Alberto.

Quale sarà il suo programma?

Rientrerà al Giro di Polonia, poi farà le corse del Belgio, il Renewi Tour, le classiche italiane e magari la Gree-Tour of Guangxi alla fine.

Vino, tu sei stato un grande atleta e anche tu avrai avuto i tuoi momenti difficili: da ex atleta cosa gli hai detto?

Bisogna guardare al morale. Quindi sostenerlo in tal senso. E la cura è allenarsi e crederci. Perché di certo il talento ce l’ha. Basta mettere la testa a posto e via. Sono fiducioso per il finale di stagione. Sicuro.

Bettiol (ancora in tricolore) e Ulissi: oltre a condividere la stessa squadra, i due condividono anche la stessa città, Lugano
Bettiol (ancora in tricolore) e Ulissi: oltre a condividere la stessa squadra, i due condividono anche la stessa città, Lugano

Questione di testa?

“Basta mettere la testa a posto”. Un tassello non da poco e sempre più importante in questo ciclismo che riduce sempre di più i passi falsi e i margini di errore. Lo abbiamo visto con Gaudu e De Lie, giusto per citare gli ultimi due della lista. Speriamo che Bettiol possa davvero seguire la strada indicata da Vinokourov. Le carte per farlo le ha tutte.

Quando Vinokourov ha detto: «Gli altri stanno andando bene», non ha detto una banalità. Sapere che i tuoi compagni se la giocano vuol dire molto per la testa. Vuol dire che i metodi di allenamento sono validi, che i materiali funzionano… basta riuscire a trovare la porta per questa spirale positiva. Bettiol, vicino ha gente esperta come Diego Ulissi che è un esempio. Il talento ce l’ha. Tocca a lui fare l’ultimo passo.

Milan in verde, Merlier esulta, Philipsen saluta e Leoni commenta

07.07.2025
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«Le cadute ci sono perché le velocità sono basse», spiazza subito tutti Endrio Leoni. L’ex velocista che se la vedeva con Martinello, Cipollini, Minali, Abdujaparov, e ogni tanto li batteva pure, ha fatto un’analisi tecnica molto interessante di quel che è successo oggi a Dunkerque. La parola d’ordine odierna infatti è stata: paura. Pero fateci aggiungere anche gioia. Gioia per la maglia verde di Jonathan Milan.

Prima la caduta di Jasper Philipsen, che è stato costretto a salutare il Tour de France, poi le cadute in prossimità del traguardo e quell’involata che è stata a dir poco spettacolare. Per la cronaca la tappa è andata a Tim Merlier, che per un paio di centimetri o poco più ha battuto il nostro Jonathan Milan. Questa mattina il gruppo era partito sotto un fortissimo scroscio di pioggia.

L’arrivo al photofinish di Dunkerque fra Merlier e Milan (immagine fornita da Tissot)
L’arrivo al photofinish di Dunkerque fra Merlier e Milan (immagine fornita da Tissot)

Tra pioggia e speranza

Il tempo non prometteva nulla di buono, la temperatura era intorno ai 15 gradi. E l’umore che si respirava in partenza non era dei migliori per tutti. Non è mai facile, infatti, pedalare in queste condizioni. Ma tant’è.

Poteva essere davvero la giornata di Milan. I presupposti c’erano: la tappa era veloce, il finale ideale per lui. Ha un buon treno e oggi lo ha dimostrato, anche se manca ancora qualcosa per perfezionarlo al 100 per cento. E lui stesso ci è parso, come sempre, davvero tranquillo. Un controllo sereno, un vero atleta maturo. Tra l’altro, curiosità non da poco: la sua bici montava una corona da 54 denti.

I meccanici all’inizio non erano stati contentissimi delle foto che gli avevamo fatto, perché la corona, la catena e la trasmissione avevano un trattamento particolare, vista la pioggia, per mantenere la scorrevolezza a lungo. Un trattamento che probabilmente deriva anche dalla pista. E Jonathan è un gigantesco pistard, lo sappiamo.

Tuttavia questa accortezza non è bastata. Ai 1.200 metri il treno della Lidl-Trek era effettivamente corto. Due uomini sono pochi a quelle velocità per scortare Milan fino ai 250 metri, tanto più col vento contro. Tant’è vero che quando Stuyven si è spostato, ha lasciato l’altro compagno al vento, ma la velocità non era alta e gli altri lo hanno rimontato.

«Sono andato vicino alla vittoria, ma non è bastato – ha commentato Milan – Mi dispiace perché i miei compagni hanno fatto un grande lavoro, ma nel finale non è stato facile. C’è stata grande lotta per mantenere le posizioni. Di buono c’è che abbiamo altre opportunità. Chapeau a Merlier che ha fatto un’ottima volata».

La monocorona di Milan e la catena con trattamento (probabilmente a cera) di questa mattina al via da Valenciennes
La monocorona di Milan e la catena con trattamento (probabilmente a cera) di questa mattina al via da Valenciennes

Maglia verde

In tutto questo contesto, con la caduta di Philipsen e il secondo posto di Milan, Jonny si è preso la maglia verde. E non è poco, alla prima partecipazione al Tour. Da qui bisogna ripartire e andare avanti.

Tra l’altro, ci crede eccome a questo obiettivo. Uno che ha già conquistato la maglia ciclamino al Giro d’Italia, dove le salite sono anche più pendenti, ha tutte le carte in regola anche per la maglia verde.

«Adesso – ha detto Milan – cercheremo di mantenere questo primato. Per noi è molto importante. E’ un obiettivo sin dall’inizio. Oggi puntavamo alla vittoria di tappa e sono contento in parte, direi 50-50, tra gioia e delusione». Quando si dice il piglio del campione che non si accontenta…

L’ultimo italiano ad indossare questa maglia è stato Petacchi, che poi la portò a Parigi. A Milan serve la ciliegina sulla torta. Ma, come ha detto lui, le occasioni non mancheranno e rispetto ad altri sprinter ha dalla sua una squadra forte e completa.

Wellens in fuga per i punti dei Gpm e sfilare la maglia a pois a Pogacar, che senza premiazioni e interviste recupera prima
Wellens in fuga per i punti dei Gpm e sfilare la maglia a pois a Pogacar che senza premiazioni e interviste recupera prima

Parola a Leoni

E dal discorso delle squadre passiamo all’analisi di Leoni: «Le cadute – spiega l’ex sprinter – avvengono perché molti dei corridori coinvolti nelle volate di oggi non sono adatti, non autentici. Si limava anche una volta, forse più di oggi, ma questi incidenti accadono perché le velocità sono più basse. Mancano quei treni che mettevano tutti in fila. Oggi invece ci sono tante squadre, senza veri treni e con corridori poco adatti».

«Sono meno preparati tecnicamente e tatticamente. E anche senza caratteristiche fisiche specifiche. Ai miei tempi nei treni c’era gente che veniva dalla 100 Chilometri. Corridori come Poli, Vanzella… ti tenevano fuori a 55 all’ora per un bel po’. Oggi quegli atleti ci sono, ma sono Pedersen, Van Aert, Van der Poel… che sono capitani. Si va forte è vero, ma anche perché hanno bici che vanno 7-8 chilometri orari più veloci a parità di sforzo».

«Quando oggi si è spostato Stuyven, la velocità è calata e i PicNic-PostNL sono risaliti forti. Milan è quasi dovuto ripartire. Bravo Merlier, che ha vinto da mestierante. Mi ha ricordato me, che dovevo fare un continuo destra-sinistra. E lì spendi tanto. Oggi non puoi farlo, perché fai una volata e sei fuori. Ma Merlier è stato bravo lo stesso. Tatticamente per me è il migliore. Nonostante abbia sbagliato il colpo di reni: lo ha dato troppo tardi altrimenti avrebbe vinto con più margine, molto meglio Milan in tal senso».

Leoni parla poi anche delle altre cadute e di certi fondamentali che mancano. Remco Evenepoel, per esempio, si lascia sfilare all’improvviso al centro del gruppo e probabilmente è lui che indirettamente innesca la caduta ai 4 chilometri dall’arrivo (metro più, metro meno).

«In teoria, per regolamento, quella manovra neanche si potrebbe fare. Ti devi spostare a destra o a sinistra. Perché chi arriva da dietro ti prende. Magari è a testa bassa anche lui. E se non ti prende, frena forte e mette nei guai quelli dietro».

Infine Leoni dà un giudizio su due team poco in vista ma che ci hanno provato. «Non mi sembrano male Uno-X Mobility e i Picnic-PostNL, mi sembrano ben corposi per gli sprint, ma altrettanto non mi sembrano ben gestiti dall’ammiraglia».

Alla fine nello sprint fra Merlier e Milan la differenza è stata davvero esigua
Alla fine nello sprint fra Merlier e Milan la differenza è stata davvero esigua

Bravo Tim

Infine, non possiamo non chiudere con lui: Tim Merlier, il re di Dunkerque. Ha vinto senza un treno. Quello che avevamo scritto prima del Tour, parlando con Petacchi, si è avverato in parte.

La squadra, la Soudal-Quick Step, è giustamente tutta per Remco e alla fine Merlier aveva un solo uomo. Però è bastato a vincere: lo ha portato, si è mosso nel momento giusto al posto giusto e gli ha consentito di alzare le braccia sul traguardo.

«E’ stata una corsa molto complicata. Era difficile essere in una buona posizione. Abbiamo perso Bart prima dell’ultimo quarto di gara, quindi ho detto alla squadra di fare il loro lavoro fino agli ultimi 5 chilometri. E poi è iniziata la vera corsa. E’ stato davvero difficile trovare la posizione. Negli ultimi due chilometri sono riuscito a recuperare, a riposizionarmi, ed ero costantemente nel vento. E visto che era contrario ho anche speso più energie.
«E’ sempre difficile battere Milan. Sono contento di aver conquistato la mia seconda vittoria al Tour de France. All’inizio ero sicuro, ecco perché ho alzato le mani, ma dopo non lo ero più. Ho aspettato con ansia. Certo, la maglia gialla era l’obiettivo, ma va bene così».

Van Anrooij: l’operazione, la ripresa e gli obiettivi al Giro Women

07.07.2025
5 min
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LALLIO – Il Giro d’Italia Women è iniziato con una cronometro che non ha sorpreso per il risultato finale e per i distacchi inflitti da Marlen Reusser. La svizzera del Team Movistar ha lasciato alle sue spalle tutte le altre pretendenti alla maglia rosa e non solo. Un Giro Women iniziato senza sorprese, vero, ma che già oggi porterà il gruppo sulle prime montagne con l’arrivo ad Aprica. Non un percorso impegnativo ma che può portare già i primi verdetti in negativo, un banco di prova dove è difficile pensare di creare grandi distacchi. 

Shirin Van Anrooij ha aperto il suo Giro d’Italia Women con un buon decimo posto nella cronometro di Bergamo
Shirin Van Anrooij ha aperto il suo Giro d’Italia Women con un buon decimo posto nella cronometro di Bergamo

Top 10

Nella prova contro il tempo di ieri una delle protagoniste che non ha fatto mancare la propria presenza nella top 10 di giornata è stata Shirin Van Anrooij. L’olandese della Lidl-Trek si è presentata al via del Giro d’Italia Women come l’atleta di punta dopo la rinuncia di Gaia Realini. Per la formazione americana sono cambiati gli obiettivi ma la fiducia è alta visto anche il lavoro fatto.

«Ci siamo concentrate – ci ha raccontato Van Anrooij ai margini di un evento al Trek Store di Lallio – sul lavoro in quota per affrontare al meglio questo appuntamento. Personalmente mi sono sentita molto bene e sono felice di tornare al Giro Women con le giuste sensazioni. Dopo il Giro dei Paesi Baschi, corso a maggio, mi sono fermata per allenarmi in vista del Giro d’Italia Women».

Van Anrooij, Henderson, Brand e Holmgren sono state ospiti al Trek Store di Lallio per un incontro con i tifosi
Com’è andata la preparazione?

Tutto molto bene. Sono soddisfatta di come abbiamo lavorato e della scelta di fermarci per fare un training camp di tre settimane. Una volta tornata dal ritiro mi sono messa alla prova nei campionati nazionali a cronometro e su strada. Le sensazioni erano abbastanza buone, erano comunque le prime corse quindi serviva ritrovare il ritmo giusto. 

Con quali ambizioni arrivi al Giro Women?

Arrivo con una mentalità aperta. Devo fidarmi e trovare la giusta confidenza nei miei mezzi. Ho fatto un passo avanti e devo metabolizzare questa cosa, acquisire fiducia. Sarà importante capire in che modo esco dall’operazione all’arteria iliaca fatta questo inverno. 

VAn Anrooij è tornata a correre dopo l’operazione all’arteria iliaca, una ripresa graduale ma che sta dando buone risposte
VAn Anrooij è tornata a correre dopo l’operazione all’arteria iliaca, una ripresa graduale ma che sta dando buone risposte
Senti di essere tornata in bici al meglio?

Non ho avuto fastidi, questo è un bene. L’inizio di stagione non è stato semplice però sento di migliorare gara dopo gara.

La Lidl-Trek come affronterà questo Giro Women?

Con l’obiettivo di vincere una tappa con una delle ragazze al via, me compresa. Credo sia un obiettivo realistico anche per me. Poi capirò giorno dopo giorno se si potrà provare a curare la classifica generale o meno. Però non mi metto pressioni da questo punto di vista. 

Hai visto qualche tappa che ti piace?

In realtà non ce n’è una specifica. Penso che l’ultima parte del Giro Women sia davvero difficile, soprattutto gli ultimi tre giorni. L’andamento delle tappe dipenderà molto dal mio posizionamento in classifica generale. Se avrò perso tanto tempo si potrà pensare di entrare in qualche fuga, altrimenti dovremo cercare di restare con le migliori. 

Quali pensi possano essere gli step da fare per arrivare a essere competitiva nelle corse a tappe?

L’anno scorso ero partita per il Tour de France con l’obiettivo di fare classifica, poi il problema all’arteria iliaca mi ha frenata. Alla Vuelta Femenina non mi aspettavo di partecipare e mi sono limitata a dare supporto a Fisher-Black e Riejanne Markus. Ora al Giro Women avrò più spazio per me e non dovrò lavorare per una capitana. Senza pressioni penso di poter puntare in alto e se non ci riuscirò sarà comunque un’esperienza positiva. Da un lato non avere una leader unica permette a tutte di avere maggiori occasioni e da un certo punto di vista è un bene.