Milesi, il primo maestro. E il Conca tricolore da rilanciare

14.07.2025
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Fra il 2019 e il 2020, nell’allora Biesse-Arvedi che oggi è la Biesse-Carrera, Marco Milesi si trovò a guidare due spilungoni forti in salita nonostante la statura: Kevin Colleoni e Filippo Conca. Il secondo, soprattutto, aveva un rapporto di amore/odio con la bilancia perché essere magri quando si è alti 1,91 non è sempre semplice. Quando fu chiaro che il talento fosse pronto per affrontare il professionismo, alla fine del 2019 i due (che non avevano ancora un procuratore) firmarono entrambi un contratto con la Androni di Gianni Savio. Ma il sole non fece in tempo a tramontare su quella firma che i procuratori arrivarono e riscrissero il passaggio. Colleoni andò al Team Bike Exchange, attuale Jayco-AlUla, Conca alla Lotto.

«Era un contratto di due anni – ricorda Milesi – e io vedevo Filippo Conca meglio con Savio, perché sarebbe potuto crescere ancora. Soprattutto con i problemi fisici che ha avuto, avrebbe potuto fare come Cattaneo, che dopo la Lampre era andato all’Androni ed era tornato quello che era con me ai tempi della Trevigiani. Ci sono dei momenti che se trovi la squadra che ti permette di fare la gara, sei libero e non hai pressioni. Devi indovinarla, devi essere anche fortunato in quelle cose. Però tante volte si fidano più dell’imbeccata del procuratore, mentre io ho corso in Belgio e la Lotto non era un ambiente adatto. O ti fai rispettare subito, sennò si fa dura».

Oggi che Filippo è diventato campione italiano a capo del singolare passaggio allo Swatt Club, tornare da chi l’ha lanciato può essere il modo di rimettere in ordine i tasselli e capire quale potrebbe essere ora la traiettoria del fresco e inatteso tricolore. Milesi è al lavoro con la squadra preparando il Giro della Valle d’Aosta, che inizierà mercoledì. Dal prossimo anno saranno un vivaio per la Cofidis, pur mantenendo nome e sponsorizzazioni, ma di questo ci sarà tutto il tempo per parlare in seguito.

Filippo Conca, Giro del Belvedere, 2020
Nel 2020, Conca corre con la Biesse-Arvedi e conquista il quinto posto al Giro U23 vinto da Pidcock (photors.it)
Filippo Conca, Giro del Belvedere, 2020
Nel 2020, Conca corre con la Biesse-Arvedi e conquista il quinto posto al Giro U23 vinto da Pidcock (photors.it)
Hai continuato a sentire Conca anche in questi ultimi tempi difficili?

Lo sentivo spesso, lo vedevo anche alle gare. Sono sempre in contatto con i ragazzi e quando penso a lui, la mia idea è che non abbia mai trovato la sua dimensione. In qualche modo mi ci rivedo, siamo alti uguale e pesiamo uguale. Corridori grandi: corazzieri al servizio di un capitano, anche se lui un capitano per cui lavorare non l’ha mai avuto. Non nego che la sua vittoria mi abbia sorpreso.

Le squadre cercano vincenti e non corazzieri…

L’ho sempre detto. L’ho detto anche a Bramati (i due hanno corso insieme nei dilettanti, ndr), perché uno come Conca sarebbe stato da prendere per metterlo a tirare per i loro leader. Se hai un ruolo, riesci a rimanere a galla anche lassù. Invece per come correva, Filippo l’ho sempre visto un po’ spaesato.

Qualcuno ha pensato che non abbia avuto la grinta necessaria, Conca ha risposto che l’ha utilizzata tutta per rimettersi dagli infortuni.

E’ vero, come è vero che si fa fatica a guardare i piazzamenti e si pensa solo alle vittorie. Nel 2023, al primo anno con la Q36.5, Filippo era andato molto forte al campionato italiano, con un settimo posto. L’anno scorso è stato nono alla Coppa Agostoni. Da uno come lui non puoi aspettarti i risultati, ma di fatto non ha mai corso per un capitano che potesse vincere grazie al suo lavoro.

In questo ciclismo di corridori leggerissimi, il peso può essere stato un problema? Lui stesso ne parla spesso.

Può darsi anche quello, che sia stato un fattore. Di una cosa sono sicuro, Filippo ha tanti watt, la squadra in cui corre ora, neanche a farlo apposta, ha il nome giusto. Lui deve stare sempre dentro il peso e allora può sfruttare tutta la sua forza. Mi ricordo al Giro d’Italia U23 del 2020, quando fece quinto in classifica, saliva sul Mortirolo solo di forza. Spingeva in una maniera assurda. Era il suo punto forte e probabilmente il peso gli ha sempre dato un po’ di problemi.

Al Giro dei Paesi Baschi al quarto mese di professionismo. E’ il 2021, subito dopo Conca risulterà positivo al Covid
Al Giro dei Paesi Baschi al quarto mese di professionismo. E’ il 2021, subito dopo Conca risulterà positivo al Covid
Pensi che aver vinto il campionato italiano gli dia la motivazione per cambiare passo?

Secondo me sì. Ora ha visto dove può arrivare, il potenziale che ha. Ha capito che può vincere, come è successo negli anni che era con me. Nel 2019 andò bene, ma non benissimo. Poi quando ha iniziato ad andar forte, ad essere là davanti, si convinse dei suoi mezzi e andò bene tutto il 2020. Secondo me anche adesso, se si trova l’opportunità di una squadra, potrà fare bene, perché il suo potenziale è ancora tutto là. E poi sapete una cosa?

Che cosa?

Ha toccato il fondo e adesso sono guai. Sono ragazzi diversi, ma in qualche modo mi ricorda Finetto. Anche Mauro toccò il fondo, rischiò di smettere, ma da allora si mise ad andare forte e fece un’ottima seconda parte di carriera in Francia.

E’ già buono che non abbia pensato di smettere, no?

Ha avuto la forza di continuare. Anche quest’anno ha avuto due infortuni, però non ha mai smesso di crederci. E’ giusto che abbia la possibilità di riprovarci.

EDITORIALE / Il Tour, l’UCI e le aziende calpestate

14.07.2025
5 min
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Quanti corridori attualmente in gara al Tour de France sarebbero in regola con le nuove norme approvate dall’UCI per il 2026? E perché tante, ma davvero tante aziende hanno appena immesso sul mercato componenti palesemente fuori legge, sapendo che resteranno invenduti? Lo sanno anche i muri: se un oggetto non possono usarlo i professionisti, nei negozi non lo guarderanno neppure.

L’annuncio delle nuove disposizioni tecniche in materia di altezza dei cerchi, di larghezza per i manubri e sviluppo metrico dei rapporti, di cui abbiamo dato notizia nell’articolo pubblicato il primo luglio, ha avuto diverse reazioni piuttosto energiche. L’approvazione di quelle norme è stato un brusco risveglio ed evidentemente non ha seguito le tempistiche necessarie. Altrimenti come si spiega che Deda Elementi, DT Swiss e Swiss Side, ad esempio, abbiano lanciato nelle ultime 3-4 settimane delle ruote ad alto profilo, quando li limite massimo è fissato a 65 e manubri più stretti dei 380 millimetri c/c consentiti?

Preavviso di 6 mesi

Come spiegò con grande chiarezza Claudio Marra già un anno fa, di simili adeguamenti, in concerto con l’UCI, si occupava inizialmente il GOCEM (Global Organisation of Cycling Equipment Manufacturers), l’associazione dei costruttori di biciclette e parti. Quando tuttavia si capì che sarebbe stato più saggio confluire in una struttura di più ampio respiro, anche il ciclismo è entrato nella WFSGI (World Federation of the Sporting Goods Industry), l’associazione mondiale delle aziende che, messe insieme, dialogavano con le varie federazioni. Ad essa si rivolge Gianluca Cattaneo, general manager e direttore commerciale di Deda, con un post su Linkedin.

«La World Federation of the Sporting Goods Industry (WFSGI) – scrive – che pretende di essere l’organismo mondiale autorevole per l’industria sportiva, riconosciuto dal Comitato Olimpico e referente dell’UCI, dimostra di aver fallito due volte. La prima, non riuscendo a intercettare le regole allucinanti annunciate dall’UCI. La seconda, non avvertendo per tempo i suoi membri (molti marchi di biciclette e componenti). Deda non è un membro».

Adam Hansen, attuale presidente del CPA, correva con manubrio Deda 36 c/c: lo riteneva pericoloso?
Adam Hansen, attuale presidente del CPA, correva con manubrio Deda 36 c/c: lo riteneva pericoloso?

La voce dei corridori

La riforma voluta dall’UCI si muove nel senso della sicurezza, in seguito alle indicazioni messe insieme da SafeR, la struttura dedicata alla sicurezza nel ciclismo su strada, maschile e femminile. Essa riunisce i rappresentanti e le associazioni di tutte le parti interessate al ciclismo su strada: organizzatori, squadre, corridori e l’UCI. Ci sono gli organizzatori dei tre Grandi Giri e per i corridori il CPA guidato da Adam Hansen. Fin qui tutto bene, ma come hanno agito?

«Il ruolo della CPA, di cui Adam Hansen è presidente – scrive ancora Cattaneo – è quello di servire gli interessi dei ciclisti professionisti. La posizione di Adam Hansen, che come mio ciclista e prima dell’attuale tendenza utilizzava manubri Deda da 38 esterno/esterno (36 c/c), è davvero curiosa. In che modo le nuove regole possono garantire una maggiore sicurezza? Non ci sono prove di una correlazione diretta tra l’uso di manubri stretti e gli incidenti di gara. Se si vuole intervenire sulla sicurezza, penso che si possa e si debba agire su altri aspetti».

L’UCI è intervenuta anche sullo sviluppo dei rapporti: dal 2026, massimo consentito 10,46 metri
L’UCI è intervenuta anche sullo sviluppo dei rapporti: dal 2026, massimo consentito 10,46 metri

Prodotti da buttare

Perché l’UCI si è resa promotrice di questo strappo, avvertendo le aziende appena sei mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma? Tanti sponsor ben più potenti, come ad esempio quelli della Formula Uno, hanno dovuto negli anni piegarsi all’introduzione di norme restrittive in tema di elettronica, geometrie delle auto e larghezza delle gomme, ma hanno ricevuto l’avviso con il tempo necessario per adeguare la produzione.

Una simile decisione sarebbe stata da ratificare nell’ambito del Congresso UCI agli ultimi mondiali di Zurigo, in modo che certi investimenti venissero fermati quando c’era ancora il tempo per farlo in modo indolore. Un preavviso così breve significa buttare progetti, stampi e prodotti in una fase economica in cui molti sponsor tecnici faticano a ritrovare l’equilibrio dopo gli scossoni del post Covid.

Il presidente dell’UCI Lappartient e quello del Rwanda Kagame: continui scossoni al ciclismo che sbanda (foto KT Press Rwanda)
Il presidente dell’UCI Lappartient e quello del Rwanda Kagame: continui scossoni al ciclismo che sbanda (foto KT Press Rwanda)

L’UCI di Lappartient

La sicurezza resta centrale. Ma allo stesso modo in cui per le bici da crono sono stati individuati dei range antropometrici in cui contenere tutte le atlete e gli atleti del gruppo, forse anche nel caso dei manubri sarebbe stato opportuno prevedere una gradualità. Tutto il resto fa pensare a mancanza di realismo, scarso collegamento con il mondo delle aziende e anche ad un filo di arroganza.

Sommando a questo il disagio di aver imposto il mondiale in Africa a federazioni economicamente provate, la devastazione delle categorie giovanili nel nome del risultato a tutti i costi, la sensazione è che il presidente Lappartient abbia perso la misura e il senso stesso del suo mandato. Forse distratto dalla corsa alla poltrona del CIO, da cui è uscito con le ossa rotte, e in preda alla voglia di rivincita? O perché incapace di governare l’ennesima infrastruttura di cui ha dotato l’UCI senza che ce ne fosse davvero bisogno?

Rocchetti lascia la Trevigiani: «Non c’era modo di proseguire»

14.07.2025
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Il mondo del ciclismo e il suo gruppo si racchiudono spesso in piazze che ospitano la partenza delle gare, per qualche ora quei pochi, o tanti, metri quadri all’aperto diventano un universo a parte. Si corre su e giù, ci si saluta scambiando sorrisi e qualche parola con tutti. Poi la gara porta via tutto e si riparte, verso altre città oppure verso casa. Nell’ultimo periodo nei vari ritrovi di partenza mancava una figura, quella di Filippo Rocchetti, il giovane diesse che abbiamo imparato a conoscere con la U.C. Trevigiani (in apertura photors.it). Ci eravamo accorti della sua assenza al Trofeo Piva, era inizio aprile, un messaggio per sapere come stesse ma nessuna risposta. 

La U.C. Trevigiani ha fatto l’affiliazione come team continental per il 2025 (photors.it)
La U.C. Trevigiani ha fatto l’affiliazione come team continental per il 2025 (photors.it)

Un passo indietro

Poi al Giro Next Gen ci siamo accorti che la sua assenza continuava, anzi al suo posto c’era una nuova figura in squadra: Rino de Candido, ex cittì della nazionale juniores e della rappresentativa friulana, sempre juniores. Così incuriositi siamo tornati da Filippo Rocchetti, questa volta al messaggio è seguita una risposta e una telefonata per raccontare. 

«Ho interrotto il mio rapporto con la Trevigiani – racconta durante una pausa pranzo al lavoro – a fine aprile. Il motivo è semplice: a inizio anno erano stati fatti dei programmi che poi non sono stati rispettati. Si era deciso di fare l’affiliazione come continental per allargare il calendario e proporre una serie di corse ai ragazzi. Lo scorso anno (quando la squadra era ancora affiliata come club, ndr) avevamo fatto i primi passi in questa direzione. Eravamo andati a correre alla Ronde de l’Isard e poi in Ungheria».

Il calendario presentato ai ragazzi a novembre prevedeva delle gare con i professionisti ed esperienze all’estero (photors.it)
Il calendario presentato ai ragazzi a novembre prevedeva delle gare con i professionisti ed esperienze all’estero (photors.it)
Quali erano i programmi di questa stagione?

Avevo parlato con la società fin da novembre e con l’affiliazione come continental avevamo concordato di correre alla Coppi e Bartali, il Giro d’Abruzzo e anche la Ronde de l’Isard. Alla fine però non siamo andati, anzi ci siamo trovati a fare un calendario inferiore rispetto a quello dello scorso anno (è notizia di pochi giorni fa che la Trevigiani non correrà nemmeno al Giro della Valle d’Aosta, ndr).

Quando hai presentato il calendario eri in accordo con la società? 

Sì, anche perché nel cercare i corridori per questa stagione ho detto loro che avremmo fatto determinate corse. Comunque abbiamo preso ragazzi da devo team (Raffaele Mosca, ndr) e alcuni da altre formazioni continental. Quindi mi sono chiesto: «Perché facciamo anche noi l’affiliazione continental, se poi non proponiamo un calendario di livello?».

Lo scorso anno, quando era ancora una squadra di club, la Trevigiani era andata a fare le prime gare all’estero (foto DirectVelo/Florian Frison)
Lo scorso anno, quando era ancora una squadra di club, la Trevigiani era andata a fare le prime gare all’estero (foto DirectVelo/Florian Frison)
Come avete gestito la cosa?

Quando ho capito che l’intento era di non rispettare gli impegni ho deciso di fare un passo indietro, anche perché chi poi ci ha messo la faccia con i corridori sono stato io. Loro venivano da me a chiedere come mai non andassimo a fare le gare. E’ successo anche con le biciclette e i materiali, con Bottecchia avevamo un accordo sulla fornitura di biciclette e ruote che poi la squadra non ha rispettato sino in fondo. 

Ai ragazzi cosa hai detto?

Nulla, loro devono seguire la loro strada sportiva. Non credo avesse senso coinvolgerli in certe dinamiche a livello societario. Mi dispiace sicuramente per i ragazzi perché il progetto era un altro e loro erano stati presi con un programma differente.

Uno dei motivi di discussione tra Rocchetti e il team ha riguardato la fornitura del materiale (photors.it)
Uno dei motivi di discussione tra Rocchetti e il team ha riguardato la fornitura del materiale (photors.it)
Non c’era modo di riparare e ripartire?

No. Alla fine credo che se si vuole creare una squadra solida si debba andare dallo sponsor e presentare un determinato progetto. Non in tutte le realtà è possibile fare in questo modo, purtroppo. Non sempre interessa fare un calendario di valore e proporre un’attività che faccia crescere i ragazzi, in particolar modo nella categoria under 23 dove trovi corridori competitivi e pronti per il professionismo. 

Affiliarsi come continental era stata una delle richieste fatte a inizio stagione?

No, dal canto mio sarei rimasto anche con l’affiliazione come club. Quello che mi interessava davvero era il progetto. Alla fine lo scorso anno abbiamo tirato fuori un corridore come Zamperini, avremmo potuto fare lo stesso con altri ragazzi. 

Ti rivedremo presto in gruppo? 

Al momento sto fermo, non ho in mente nulla. Ci devo pensare ancora.

Bici nuove, caschi e body senza cerniera: anche questo è il Tour

14.07.2025
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Il Tour de France è la vetrina principale, non solo per i corridori, ma per tutto quello che ruota intorno al ciclismo. Bici sotto embargo (non ancora ufficializzate), caschi nuovi, i body senza cerniera frontale e molto altro. Come ogni anno torna pertanto l’approfondimento legato alle curiosità viste durante la prima settimana della Grand Boucle.

Una nuova Merida in gruppo

Un misto tra forme assottigliate, filanti, con linee decise che naturalmente (come vuole lo sviluppo attuale) si intrecciano con l’aerodinamica. Non abbiamo notizie precise e dettagliate in merito, ma di sicuro quella utilizzata dai corridori del Team Baharain-Victorious è una bici tutta nuova.

Sembra il blend perfetto tra le attuali Scultura (quella leggera) e la Reacto (quella aero). Anche Merida si avvia verso una piattaforma unica?

Guarnitura Elilee super light per Buitrago
Guarnitura Elilee super light per Buitrago

Guarnitura diversa per Buitrago

E’ una guarnitura con power meter SRM ed firmata Elilee, montata sulla nuova Merida di Buitrago. Di cosa si tratta? Di una delle guarniture più leggere in commercio, ha le pedivelle in carbonio e nella configurazione usata da Buitrago (senza corone Shimano) ferma l’ago della bilancia intorno ai 500 grammi (dichiarati): poco più, poco meno.

Non le solite ruote Shimano

Quelle sbirciate nel corso delle prime frazioni non sono le “tradizionali” Dura Ace. Hanno un mozzo diverso e una raggiatura che si discosta (non poco) dalle ruote Shimano viste fino a poco tempo addietro. Mozzo più magro ed asciutto, raggiatura radiale dal lato opposto al disco e potremmo giurare sui raggi in carbonio. E’ l’antipasto per un futuro nuovo gruppo Dura Ace?

Nuovo Abus da crono

In realtà lo abbiamo visto in anteprima al Giro Donne ed ha subito vinto grazie al primato di Marlen Reusser, per poi essere utilizzato nella frazione contro il tempo al Tour (mercoledì 9 Luglio). Coda allungata e calottata nella sezione inferiore, visiera ampia e arrotondata, forma ampia che tende a coprire in modo importante le spalle dell’atleta.

Un nuovo Giro per la Visma-Lease a Bike?

Potremmo dire che, Campenaerts a parte, tutti gli atleti della corazzata olandese indossano un casco del tutto nuovo. Ricorda il Giro Eclipse Spherical e nessuno vieta di pensare che sia proprio un aggiornamento del casco tra i più utilizzati fino a prima del Tour de France.

Il body con la cerniera dietro

E’ uno dei plus che Hushovd (General Manager del Team Uno-X Mobility) ci aveva spoilerato durante i giorni del Fiandre, in ottica Tour de France e che ci aveva pregato di tenere nascosto. La squadra norvegese è di fatto il primo team ad usare in modo ufficiale un body senza cerniera frontale (è a ¾ ed è sulla schiena) durante le gare in linea.

Il fornitore dei capi tecnici è Fusion, marchio danese e poco presente nella parte latina dell’Europa, azienda che ha un importante know-how nel triathlon.

Una “areo” di Factor: è la nuova One?

Ovviamente non passa inosservata, soprattutto per le sue forme avveniristiche e anche per il fatto che non mostra nulla in termini di nomi, acronimi e riferimenti. Profili alari ovunque, con una forcella mastodontica e super tagliente.

Di sicuro ricorda la bici da pista Hanzo. Potrebbe essere la nuova One, modello storico di Factor? Così come la vediamo oggi rispetterà le “future regole dell’UCI”, sempre se verranno effettivamente applicate?

La nuova SLR vista sulle Factor presenti al Tour
La nuova SLR vista sulle Factor presenti al Tour

La nuova Selle Italia SLR

Abbiamo visto la rinnovata SLR, la prima volta, al Giro d’Italia e non ci era stato possibile fotografarla. Dopo il suo esordio ufficiale ad inizio Luglio, ecco la nuova generazione di una sella iconica. Sempre corta (Boost), spoilerata nella sezione posteriore e con un naso e una sezione centrale con una sorta di forma anatomica. A favore di una pedalata profonda e che permette di sfruttare tanto la parte frontale, quanto di spostarsi facilmente verso il retro.

Casco nuovo per Pogacar e compagni

La parte frontale ricorda a pieno il modello esistente del Trenta 3K Carbon, con piccole diversità nella zona perimetrale. Cambia completamente la sezione sopra le orecchie, maggiormente calottata e filante, di sicuro è stato oggetto di una rivisitazione aerodinamica per aumentarne l’efficienza.

Longo il Giro è ancora suo! Pensieri e parole attorno a lei

13.07.2025
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IMOLA – «E’ stata una settimana folle, abbiamo fatto saltare il Giro. La dedica va a mio padre che tanti anni fa mi disse che lo avrei vinto e non sapevo nemmeno cosa volesse dire. Adesso mi ritrovo ad averne conquistati due». Elisa Longo Borghini è serena e sollevata mentre, dopo il cerimoniale delle premiazioni, inizia a raccontare gli ultimi otto giorni suoi e della sua UAE Team ADQ. A Imola si celebra il trionfo di un’atleta che ha trasformato un ambiente intero, dalle compagne allo staff fino ai vertici societari.

Sul traguardo posizionato all’interno dell’autodromo “Enzo e Dino Ferrari” – il medesimo del mondiale 2020 – Lippert concede il bis come ci aveva anticipato che avrebbe tentato di fare dopo il sigillo di Terre Roveresche di venerdì. La tedesca della Movistar batte una rediviva Van der Breggen che nel finale di tappa aveva allungato in fondo alla Gallisterna, col gruppo delle big ad 8” regolato da Reusser davanti a Longo Borghini. Cinquanta metri dopo la linea Elisa allunga la mano all’avversaria per un autentico «Brava Marlen».

Lippert fa doppietta ad Imola battendo Van der Breggen con cui aveva allungato nel finale
Lippert fa doppietta ad Imola battendo Van der Breggen con cui aveva allungato nel finale

La voce della presidentessa

Dopo l’arrivo c’è un senso di liberazione per tutti. Lippert festeggia la sua seconda vittoria al Giro (terza in totale alla Corsa Rosa) sul lato destro della strada. Dalla parte opposta, al muretto della Formula 1, c’è una bolgia di gente attorno a Longo Borghini. C’è tutto lo stato maggiore del team che non poteva perdersi questa giornata. Melissa Moncada, la presidentessa, è decisamente contenta malgrado cerchi di mantenere un certo aplomb.

«Sono davvero molto felice – risponde – perché questa vittoria significa tanto per noi. E’ fantastico se pensiamo da dove siamo partite. Ed è importante perché abbiamo un profondo legame con l’Italia attraverso Colnago, ad esempio, e tante atlete italiane. Avere Elisa nella nostra squadra è stata una benedizione ed una motivazione per le nostre ragazze. Guardate solo ciò che ha fatto ieri Persico, però è l’intera squadra che ci ha regalato davvero un grande sogno.

«Credo che stiamo creando la storia del ciclismo femminile – aggiunge la numero 1 del UAE Team ADQ – che si sta evolvendo ogni anno di più. Spero che una vittoria come questa possa essere utile e significativa per il movimento perché abbiamo visto sulle strade il doppio dei tifosi, così come è importante aver visto anche tanti giornalisti e fotografi. Quindi spero che questa grande affermazione per il ciclismo femminile diventi una pietra miliare. E che naturalmente possa portare tante grandi vittorie in più alla nostra squadra».

Melissa Moncada è la presidentessa della UAE Team Adq. Con Longo Borghini anche Nicola Rosin di Colnago con la bici rosa
Melissa Moncada è la presidentessa della UAE Team Adq. Con Longo Borghini anche Nicola Rosin di Colnago con la bici rosa

Spazio a casa Mosca-Longo

Jacopo Mosca ha in braccio Pietro, il nipote di Elisa, e ha il suo bel daffare per contenere la sua gioia. Il 31enne della Lidl-Trek era in allenamento in Spagna, ma non sarebbe mai mancato e gli straordinari fatti per essere a Imola non gli pesano assolutamente.

«Rispetto all’anno scorso – espone il suo punto di vista – il Giro è iniziato più in salita perché Elisa si è ritrovata ad inseguire. Però la sentivo e so che è sempre rimasta tranquilla. Hanno gestito tutto alla perfezione, inteso proprio come gruppo di persone. E onestamente sono stato sorpreso di vedere la serenità di Elisa.

«Il numero venuto fuori ieri – va avanti Mosca – è stato da pelle d’oca. Questa è un’azione che si rivedrà per molti anni. Non solo quello di Elisa, ma anche il super lavoro di Persico. Vederla tirare e poi spostarsi stanca morta è stato emozionante per uno che capisce di ciclismo. Ho rivisto l’energia che ha usato Silvia in quella che ci metto io, solo che io lo faccio ad inizio o metà tappa, lei invece nel finale quando conta di più. E’ veramente bello quando lavori così per un tuo compagno che poi riesce a fare risultato».

«Ho letto – conclude Jacopo scherzando – che vi aveva detto che se avesse vinto sarebbe andata al concerto dei Pinguini Tattici Nucleari, però ho controllato le date e ho visto che non ce ne sono più disponibili. Secondo me si va all’anno prossimo, però a me preoccupa un’altra cosa. L’anno scorso per fare spazio al trofeo del Giro abbiamo fatto sparire il forno microonde. Quest’anno che elettrodomestico ci fa saltare? Non so… (ride, ndr)».

Moglie e marito. Jacopo Mosca non è voluto mancare per il bis rosa di Elisa
Moglie e marito. Jacopo Mosca non è voluto mancare per il bis rosa di Elisa

Generatore Longo Borghini

Ci sono vari capannelli di gente. Quelli formati da parenti delle atlete, quelli dei tifosi o degli amici. Da quello della UAE sbuca fuori Erica Magnaldi, una di quelle che alla vigilia del Giro Women era parsa tra le più convinte della vittoria e più dedite alla causa.

«Penso – ci confida la 32enne di Cuneo – che questo sia il più bel momento della mia carriera. Dietro a questa vittoria c’è tutto il lavoro che abbiamo fatto assieme in altura. Durante questo Giro abbiamo speso tantissimo in termini di energie psicofisiche per conquistare la maglia rosa. Siamo state protagoniste dal primo all’ultimo giorno. Rappresenta il giusto premio per ognuna di noi. Elisa è semplicemente una leader che tutti sognerebbero di avere. Lei si merita tutto questo trionfo. Non so se correrò il Tour, ma Elisa certamente darà battaglia e spettacolo anche lassù».

Tra una foto ed un’altra, acchiappiamo anche Eleonora Gasparrini, che sembra sfinita dall’adrenalina post gara e festeggiamenti.

«E’ una grande soddisfazione per noi – dice – ed anch’io devo dire che in queste otto tappe abbiamo dimostrato di essere la squadra più compatta e più forte. Elisa poi ha finalizzato al meglio tutto quanto. Abbiamo inseguito la maglia rosa, ma non ci siamo mai scoraggiate di non poterla prendere. Ci abbiamo creduto ogni giorno, ascoltando anche le nostre sensazioni che erano sempre più buone. Avere Elisa come compagna è tutto più facile. Con lei ti viene naturale dare non il 110 per cento, ma il 200 per cento. E la cosa più bella di tutte è avere la sua riconoscenza. Non è scontata e penso che sia tanta roba».

La vittoria di Longo Borghini è la vittoria di tutte le sue compagne, trasformate dal suo arrivo
La vittoria di Longo Borghini è la vittoria di tutte le sue compagne, trasformate dal suo arrivo

Slongo e le mani salvate

La preparazione al Giro è stato il momento cruciale di questa prima parte di stagione. Tutte con lo stesso obiettivo. A gestire motori e umori delle ragazze c’è sempre Paolo Slongo. Durante il ritiro in altura si è spinto molto in là con le scommesse dopo quelle giornate storte di cui parlava ieri Elisa in conferenza stampa. Il racconto è divertente, che tuttavia fa trasparire una ricerca dei dettagli incredibile.

«Quando si lavora con grandi campioni come è Elisa – dice Slongo – non è sempre facile. Tante volte ci sono dubbi sulla condizione o su tante altre cose. Quando questi atleti esprimono dei valori, poi li vorrebbero avere sempre, ma non è possibile. Abbiamo iniziato una progressione di lavoro cinque settimane prima del Giro per ottenere una condizione da portare anche al Tour, nonostante in Francia non avrà la pressione della classifica. Quindi quando siamo arrivati in ritiro sul Passo San Pellegrino avevamo certi riferimenti da far crescere.

«Al termine di una giornata di allenamento – prosegue – Elisa non era contenta perché avvertiva che le cose non stessero andando dal verso giusto. Ormai la conosco bene, vedo i suoi stati d’animo e ho lasciato passare del tempo. Ho parlato con lei tranquillizzandola e dicendole che le cose sarebbero andate dalla parte giusta. Non ci credeva e così le ho scommesso che mi sarei tagliato una mano se non fosse stato vero. Ecco, ora posso dire che la tappa di Pianezze ho iniziato a pensare che forse sarei arrivato ad Imola con entrambe le mani (dice ridendo, ndr).

Reusser e Gigante hanno chiuso rispettivamente a 18″ e 1’11”. Longo Borghini ha conquistato 15 top 10 di tappa negli ultimi due Giri Women
Reusser e Gigante hanno chiuso rispettivamente a 18″ e 1’11”. Longo Borghini ha conquistato 15 top 10 di tappa negli ultimi due Giri Women

Niente classifica al Tour

Assieme a Longo Borghini avevamo detto tutto o quasi in vetta a Monte Nerone. Oggi ha completato un’opera che resterà negli annali del ciclismo e che dovrebbe essere insegnata nelle scuole. Rende onore a Reusser riconoscendole di aver reso questo Giro Women spettacolare, poi chiude con un cenno sui suoi prossimi programmi.

«Ve lo dico subito – anticipa Elisa – che non vado al Tour Femmes per la generale. Che sia chiaro, non rompetemi le scatole fra poco (dice ridendo assieme alla mixed zone, ndr). Prima la Francia poi penseremo al mondiale e alle altre corse, c’è tempo».

Ce ne torniamo in sala stampa elettrizzati dalla scossa che sa trasmettere Longo Borghini. Quella con cui ha stravolto e rivinto il Giro Women.

Merlier bestia nera di Milan. VdP show. E un pensiero a Savio

13.07.2025
6 min
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Caro Gianni Savio, vogliamo credere che oggi nell’ammiraglia della Alpecin-Deceuninck si siano ispirati a te. Che attacco quello di Mathieu Van der Poel e Jonas Rickaert! Con quel piattone davanti al manubrio nessuno si sarebbe mosso e invece… Due compagni, pronti via sin dal chilometro zero. Tutto perfetto: la macchina ad assisterli, le mille borracce a ripetizione per proteggerli dal vento, quella voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo in una tappa piatta. La gestione delle energie con uno dei due a sacrificarsi di più. E dietro, i compagni a rompere i cambi. Una sinfonia ciclistica. I fondamentali di una volta che valgono anche in questa era super tecnologica. E per poco, caro Gianni, non sono arrivati. Eh no, perché Tim Merlier ha messo tutti d’accordo.

La tappa forse più piatta del Tour de France, senza nemmeno un Gpm di quarta categoria, ha regalato una suspense incredibile e inaspettata soprattutto. Van der Poel e Rickaert hanno tenuto tutti sulle spine, mettendo in crisi le squadre dei velocisti, che nel finale si sono presentate con un solo uomo davanti al capitano… o addirittura con il velocista da solo.

Mathieu Van der Poel e Jonas Rickaert sono partiti subito dopo il via. Di fronte a loro 173 km nella pianura della Loira
Mathieu Van der Poel e Jonas Rickaert sono partiti subito dopo il via. Di fronte a loro 173 km nella pianura della Loira

Merlier, bestia nera di Milan

A Chateauroux, Merlier ha concesso il bis. E non lo ha fatto a caso: ancora una volta davanti a Jonathan Milan, confermandosi la sua bestia nera. Il finale, con la strada che calava impercettibilmente, ha reso lo sprint velocissimo. La sensazione non è tanto che Milan sia partito presto, quanto che gli mancasse un dente.

Il campione europeo è sembrato il solito gatto, pronto a scartare da una ruota all’altra. Ma oggi è apparso più potente che mai, forse anche più che nella sua prima vittoria qualche giorno fa. Ma è chiaro: lui e Milan viaggiano su un altro pianeta. Hanno più watt. Appartengono alla categoria degli over 1.800 watt, come ci diceva Andrea Pasqualon.

«E’ stata davvero difficile – ha detto Merlier – Ho avuto una buona giornata e anche in gruppo ci siamo mossi bene. Non abbiamo fatto rifornimento negli ultimi 60 chilometri per via del nervosismo e delle velocità, quindi ho sofferto parecchio il caldo. Per fortuna tutte le squadre hanno collaborato per chiudere sui due fuggitivi. Anche grazie a Remco Evenepoel siamo riusciti a evitare un ventaglio.
Lo sprint? Ero a ruota di Bert Van Lerberghe, è la prima volta che siamo insieme al Tour. Ho molta fiducia in lui e nella sua capacità di pilotarmi. Mi ha portato forte nell’ultimo chilometro e a circa 200 metri ho deciso di partire. Sono felice per questa seconda vittoria di tappa».

Velocità folli, il gruppo si è spezzato tra l’inseguimento ai due fuggitivi e il vento
Velocità folli, il gruppo si è spezzato tra l’inseguimento ai due fuggitivi e il vento

Parola a Bramati

Negli ultimi due anni Milan e Merlier si sono affrontati in molti in sprint: In 16 di questi, entrambi sono finiti nella top 10. In 11 casi ha vinto uno dei due, ma il bilancio pende nettamente verso il belga: 8-3. Anche quest’anno al UAE Tour se le sono date a suon di primi e secondi posti. E ora rieccoli, di nuovo, al Tour.

«Anche l’anno scorso – racconta Davide Bramati, diesse della Soudal-Quick Step – hanno duellato tanto e continuano a farlo. Tutti e due hanno mancato il primo giorno, a Lille, quando c’era in palio anche la maglia gialla, ma poi sia loro che noi abbiamo voltato pagina. Ieri ha vinto Milan, oggi ha rivinto Tim. Questo è lo sport, questo è il ciclismo. Sono gli sprinter più forti di questo Tour, specie dopo la caduta di Philipsen. Si sono dimostrati i più veloci».

Questa vittoria nasce dal passato. A Chateauroux, la Soudal (allora Deceuninck) aveva già vinto con Cavendish. E “Brama” svela un retroscena: «Più che impostare la volata in base al rivale, abbiamo studiato la nostra. Ieri, già nel trasferimento post tappa verso l’hotel, abbiamo iniziato a guardare il filmato del 2021, lo stesso arrivo in cui vinse Cav. Ma era tutta un’altra situazione: la squadra aveva preso in mano la volata. Nel treno c’erano Alaphilippe, Ballero (Ballerini, ndr), Morkov… Ci siamo fatti un’idea. Poi certo, la riunione la fai, ma la realtà è un’altra.

«Questo finale non era banale. Forse non ci si rende conto: oggi è stata la seconda tappa più veloce della storia del Tour. Nella seconda ora hanno fatto 54,5 di media. Van der Poel e Rickaert hanno fatto un grande numero e il gruppo, di conseguenza, è andato fortissimo. C’era anche vento. Bene così: siamo alla terza vittoria e siamo davvero contenti».

Merlier batte Milan. Il friulano però consolida la maglia verde
Merlier batte Milan. Il friulano però consolida la maglia verde

56 vs 54

Senza un vero treno, oggi i velocisti si sono dovuti arrangiare. L’esperienza contava più del solito. Più di ieri, quando era sì uno sprint di gruppo, ma più “di gambe” che di velocità, visto che l’arrivo tirava. E quindi si torna a parlare di tempistiche e di rapporti.

«Non so se lo abbia spinto, ma Tim aveva il 56×11 – dice Bramati – l’esperienza conta. Solo l’anno scorso ha fatto 16 vittorie e anche quest’anno siamo lì. Un corridore come lui sa quando ci sono momenti importanti e oggi si è mosso bene. A un certo punto, all’ultimo chilometro, sembrava ancora dietro. Ma poi si è visto come è risalito. Ha fatto una grande cosa».

Sappiamo invece che Jonathan aveva la corona da 54 denti, quella vista già a Dunkerque. E’ anche vero che con il gruppo SRAM possono usare il 10. Non crediamo abbia fatto lo sprint col 10, altrimenti sarebbe stato più “duro” di Merlier col 56×11. A meno che anche il belga avesse il pignone da 11. Ma l’agilità è il marchio di fabbrica del friulano, che viene dalle cadenze della pista.

«Come‘è Merlier in riunione? Si sapeva che c’erano punti pericolosi per il vento e penso che la squadra sia stata presente, Remco compreso. Anzi, a un certo punto proprio Evenepoel ha dato una mano ai ragazzi. E vedrete che Tim aiuterà Remco quando ce ne sarà l’occasione».

E domani? Parla ancora Bramati

Domani si sale. Velasco ci aveva detto in tempi non sospetti che era tostissima. In XDS-Astana erano andati anche a visionarla.
«Domani – conclude Bramati – è una tappa importante e poi finalmente ci sarà il giorno di riposo, che servirà tantissimo. Nella storia recente non ricordo dieci tappe consecutive, soprattutto a queste velocità. Ci sarà da soffrire sia davanti… che dietro».

Una tappa che doveva essere facile si è trasformata in un piccolo inferno del nord, ma con 32 gradi. Anche i giganti hanno faticato.
«Sono davvero stanco – ha detto Tadej Pogacar, un po’ triste per la perdita di Almeida – Van der Poel e Rickaert hanno fatto un lavoro fantastico. E’ stata una corsa infernale grazie a loro. Sono andati fortissimo. Chissà cosa gli passava per la testa. Noi dietro eravamo tutti in sofferenza».

A proposito di domani, caro Gianni Savio, non fa niente se i fuggitivi del primo chilometro non sono arrivati. Gli eroi sono loro. «Domani – come avresti detto tu – ci si riprova». Rickaert ha vinto il premio della combattività. Anche questo, caro Gianni, ne siamo sicuri, ti sarebbe piaciuto.

Carlo Giorgi smette dopo 40 anni: «Il ciclismo non è più passione»

13.07.2025
5 min
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«Dopo 40 anni di attività succede di dire basta – dice Carlo Giorgi, presidente del team Fratelli Giorginon è una questione di soldi, ma burocratica». La voce si ferma e non vorrebbe andare avanti. Dopo così tanti anni nel ciclismo, magari Carlo Giorgi non sente la necessità di parlare, ma ha tante cose da dire. Non vorrebbe nemmeno dirle, la decisione di chiudere la squadra dopo tanti anni è arrivata qualche stagione fa. 

«Ho deciso che avrei smesso da tre anni ormai – continua – ma non l’ho detto a nessuno. Avevo tanti pensieri sul ciclismo giovanile e su com’è cambiato, ma avevo deciso di tenerli per me».

Carlo Giorgi ha deciso di chiudere il Team Fratelli Giorgi dopo 30 anni di attività (foto Facebook Team Fratelli Giorgi)
Carlo Giorgi ha deciso di chiudere il Team Fratelli Giorgi dopo 30 anni di attività (foto Facebook Team Fratelli Giorgi)

Un sistema che non funziona

Carlo Giorgi sembra un uomo di poche parole e magari lo è anche, ma se per quarant’anni ha avuto la forza e la volontà di tenere in piedi una squadra giovanile, vuol dire che la passione per questo sport e per i ragazzi è sempre stata radicata in lui. Per questo sentire che dal 2026 non avremo più il team Fratelli Giorgi ci fa capire che il ciclismo giovanile ha preso una piega difficile da raddrizzare. Se nemmeno la passione di un uomo che ha sempre amato il ciclismo riesce a far superare ostacoli e difficoltà, allora è arrivato il momento di farci (e fargli) qualche domanda. 

«Ogni anno – racconta Carlo Giorgi – c’erano e ci sono sempre più problemi nel gestire una società giovanile. Capirà chi di dovere (la Federazione in primis, ndr) se c’è qualche motivo alla base della chiusura di tante squadre juniores. Le responsabilità aumentano e nessuno ci dà una mano, tutto grava sulle nostre spalle». 

Carlo Giorgi si è preoccupato di trovare una nuova squadra ai suoi collaboratori e ragazzi (photors.it)
Carlo Giorgi si è preoccupato di trovare una nuova squadra ai suoi collaboratori e ragazzi (photors.it)
Non c’era nessuno pronto a prendere in mano la squadra?

No, ai miei figli non interessa, quindi nulla… Ma li capisco, è diventato come avere un secondo lavoro con tantissime responsabilità e nessuna tutela. 

Cosa prova nel chiudere la sua squadra dopo 40 anni?

Nella vita c’è sempre un inizio e una fine. Tre anni fa avevo già deciso che sarei arrivato fino a qui. Lo avevo già comunicato agli sponsor. Basta, questo mondo non mi piace più.

Cosa non le piace più?

Tanti aspetti. I ragazzi non corrono più per amore verso questo sport, i procuratori arrivano a prendere gli atleti fin dagli allievi (ieri abbiamo letto di Tommaso Cingolani, campione italiano allievi, già ingaggiato dai Carera, ndr). Ormai la categoria juniores è diventato il fanalino del professionismo, vengono a prendere ragazzini di 18 anni per portarli già nel WorldTour. Anche le squadre dilettantistiche (le under 23, ndr) non esisteranno più. Prima tutto era diviso e ogni categoria aveva i suoi passi. 

La categoria juniores si sta sempre più assottigliando perdendo ragazzi e team (photors.it)
La categoria juniores si sta sempre più assottigliando perdendo ragazzi e team (photors.it)
Ora è tutto insieme?

I ragazzi a 16 anni vincono una corsa e si sentono dei professionisti (e li trattano come professionisti, ndr). Poi arrivano tra gli juniores e se vincono una o due gare pretendono di diventare grandi subito. Vogliono la  bici nuova ogni anno e se non gliela dai vanno a cercare una squadra nuova. Senza considerare la burocrazia.

Ha un peso importante?

E’ anche per colpa di tutte queste carte che smetto. E’ un lavoro con oneri e responsabilità e nessuna tutela. Rischio più a fare la squadra che il mio vero lavoro. Secondo voi perché le gare continuano a diminuire? Ve lo dico io…

Procuratori e team WorldTour vengono a prendere ragazzi sempre più giovani rendendo difficile il lavoro alle squadre giovanili (photors.it)
Procuratori e team WorldTour vengono a prendere ragazzi sempre più giovani rendendo difficile il lavoro alle squadre giovanili (photors.it)
Prego.

Organizzo e continuerò a organizzare una gara (il Trofeo Vittorio Giorgi, ndr). Ma avete idea di quante cose servono adesso? Devi avere il giusto numero di macchine per garantire la scorta, i volontari devono aver fatto dei corsi, poi c’è l’assicurazione. Devi solamente pagare e non torna nulla: non parlo di soldi, ma di riconoscimento. Sembra che tutto sia dovuto. Ma vi faccio un’altra domanda.

Dica pure…

Secondo voi quanta gente rimarrà disposta a lavorare così? Pochissimi. Guardate le gare giovanili e notate l’età degli accompagnatori, sono tutte persone della mia età o dai cinquant’anni in su. Ho fatto crescere tanti ragazzi e solamente uno o due vengono alle gare ogni tanto per dare una mano. I giovani hanno in testa altro, giustamente, il ciclismo alla fine è uno sport povero.

Tanti ragazzi hanno corso nel team Giorgi (qui Privitera) e poi sono passati nei vivai WT, senza alcun riconoscimento economico per il team juniores
Tanti ragazzi hanno corso nel team Giorgi (qui Privitera) e poi sono passati nei vivai WT, senza alcun riconoscimento economico per il team juniores
Soprattutto per le squadre giovanili…

Tanti ragazzi sono cresciuti nella mia squadra e diventati professionisti e quando passano al team che li ha cresciuti non è riconosciuto nessun rimborso. Come si fa ad andare avanti se ci chiedono solamente di mettere soldi e non abbiamo tutele? Bisogna dare una mano alle società, non si può vivere con i soli investimenti dei privati

Qualcuno capirà prima o poi?

Vedremo. Vi faccio un altro esempio: nell’ultima gara che ho organizzato un ragazzo ha preso una borraccia al di fuori della zona prestabilita e il giudice è venuto a fine gara dicendomi che dovevo pagare una multa. Gli ho chiesto se loro vengono la domenica con l’obiettivo di prendere più soldi possibile. Non è più ciclismo, è politica. Semplicemente dopo 40 anni mi sono stancato.

La polemica del limone: la moglie di Vingegaard e la Visma

13.07.2025
6 min
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Un argomento di cui in Italia si è parlato poco, ma che invece potrebbe aver influito non poco sulla tranquillità di Jonas Vingegaard, è una polemica scoppiata a ciel sereno e sollevata dalla moglie, Trine Marie Hansen. La “polemica del limone”: così è stata ribattezzata.

In sostanza, Trine ha dichiarato al quotidiano danese Politiken che alla Visma-Lease a Bike stanno spremendo Jonas come un limone. Da lì sono arrivate risposte, con grande garbo, da tutte le parti in causa, compresi Wout Van Aert e lo stesso Vingegaard. Ricostruiamo quindi questa vicenda e vediamo come si è evoluta.

Jonas Vingegaard con sua moglie Trine Marie Hansen
Jonas Vingegaard con sua moglie Trine Marie Hansen

L’intervista di Trine

Nell’intervista al Politiken, Trine tocca due temi principali: i numerosi ritiri in quota e la tattica della squadra che, a suo dire, non sarebbe del tutto favorevole a Jonas.

«Jonas non si ricarica dopo tre settimane in quota. Temo che stia bruciando la candela da entrambi i lati – ha detto Trine – Jonas è uno che ha bisogno di più riposo e relax per dare il massimo. Probabilmente si può calcolare tutto in un foglio Excel, ma credo che a volte ci si dimentichi della persona nel suo complesso e di come ottenere il meglio da questa.

«Il desiderio più grande della squadra è che vinca il Tour de France, quindi stanno pianificando di arrivarci nel miglior modo possibile e questo include un sacco di allenamento in quota. Ma Jonas preferirebbe allenarsi stando a casa con noi in Danimarca. Se non è possibile farlo in Danimarca, allora dovremmo avere la possibilità di essere insieme ed essere semplicemente noi stessi. A volte ha bisogno di ricaricarsi in un ambiente il più tranquillo possibile con la sua famiglia. Non è come molti altri ciclisti».

Trine menziona anche il numero limitato di interviste e l’uso ridotto dei social, facendo ancora leva sul tema della famiglia. «Non lo consideriamo più importante del tempo trascorso insieme. Jonas è maturato: prima gli mancavano un po’ di peli sul petto, un po’ di fiducia in se stesso e la convinzione di essere all’altezza. Ora ce l’ha, e sono orgogliosa di lui». Anche su quest’ultima frase ci sarebbe da riflettere…

Al Giro, dopo aver vinto a Siena, Van Aert è stato fondamentale per il successo finale di Simon Yates
Al Giro, dopo aver vinto a Siena, Van Aert è stato fondamentale per il successo finale di Simon Yates

Wout sì, Wout no

E poi forse la critica più forte, quella relativa alla squadra e al modo di correre della Visma-Lease a Bike, definito, come dire, dispersivo…

«La squadra – ha detto la Hansen – dovrebbe concentrarsi esclusivamente sulla vittoria del Tour. Spero che Jonas abbia il pieno supporto della squadra, invece di avere obiettivi diversi. A quel punto avrebbe le migliori possibilità di vittoria. Perché se ci si concentra anche sulle vittorie di tappa per altri corridori, non va bene. Guardiamo cosa fanno alla UAE Team Emirates con Tadej Pogacar: quando è al via di una corsa, non c’è dubbio su chi sia il leader. Tutti conoscono il suo ruolo. Penso che sia incredibilmente importante».

Lei non lo nomina, ma è chiaro il riferimento a Wout Van Aert. E’ certo che tutto questo non aiuti, tanto più in un Tour dove il nervosismo regna sovrano. E possiamo dirvi che al via delle tappe ce n’era parecchio. Anche con Michele Pallini, massaggiatore esperto, se ne parlava e si leggevano i linguaggi del corpo di atleti e non solo.

Troppi ritiri per Jonas. Troppo lunghe tre settimane. L’accusa di Trine Marie Hansen alla Visma (foto Instagram)
Troppi ritiri per Jonas. Troppo lunghe tre settimane. L’accusa di Trine Marie Hansen alla Visma (foto Instagram)

Le repliche

Puntuali, e giustamente, sono arrivate le repliche da parte degli interessati. Quelle della signora Vingegaard non sono state parole semplici da digerire. Partiamo proprio da Van Aert, che ha risposto da signore, senza alimentare la polemica.

«Ne abbiamo parlato a lungo in squadra – ha detto Wout – e credo che tutti nel mio team sappiano cosa aspettarsi da me. Ognuno conosce il proprio ruolo. Il nostro approccio alla corsa è sempre molto chiaro. Abbiamo più obiettivi ed è per questo che abbiamo avuto così tanti successi. Anche Jonas lo sa e la cosa non lo disturba affatto. Quindi sì, è un peccato che sia stata dipinta in questo modo e che queste dichiarazioni siano uscite così».

Poi è intervenuto Grischa Niermann, il direttore sportivo, facendo le veci del team: «Credo che la Visma stia ascoltando i desideri di Vingegaard. Ad esempio, non ha partecipato al ritiro di febbraio. Abbiamo un ottimo rapporto con Jonas e ci riuniamo sempre per pianificare la stagione. Ma bisogna fare sacrifici per vincere la corsa ciclistica più importante del mondo. Jonas lo sa. E lo sa anche Trine.

«Riguardo a Van Aert, Wout è l’aiuto più grande che Jonas possa immaginare. E’ un grande campione, e anche lui ha bisogno dei suoi obiettivi e della sua libertà. Se gli dai questo, ottieni il Wout che hai visto al Giro d’Italia: quello che ha aiutato Simon Yates a conquistare la maglia rosa. Se gli dici di andare al Tour e semplicemente di aiutare Jonas, lo farà. Ma non sarà forte come quando ha anche il suo spazio. L’obiettivo è sempre fare ciò che è meglio per la squadra».

Jonas Vingegaard (classe 1996) è in lotta per la conquista del suo terzo Tour de France. Queste polemiche non lo aiutano
Jonas Vingegaard (classe 1996) è in lotta per la conquista del suo terzo Tour de France. Queste polemiche non lo aiutano

Jonas il moderatore

Alla fine a mettere una pezza è stato proprio il diretto interessato, Jonas Vingegaard. Un po’ glissando e un po’ cercando di gettare acqua sul fuoco ma con più sostanza, ha detto: «Non ho letto l’intervista, quindi non posso commentarla per bene. So che Trine mi sostiene al 100 per cento e farà tutto il possibile per aiutarmi a dare il massimo. Vuole solo il meglio per me. Certo, ci sono molti ritiri di preparazione in quota durante l’anno, quindi è dura per la vita familiare. Ma continuo ad andare in bici e non ho ancora avuto un esaurimento nervoso».

Tra l’altro, le questioni sollevate dalla moglie stonano parecchio con un’intervista rilasciata dallo stesso danese a L’Equipe prima del Tour. In quell’occasione, Vingegaard aveva detto sostanzialmente di amare ancora la vita da atleta, tra cui i ritiri, e che finché sentirà questa motivazione continuerà. Impegnarsi, allenarsi, soffrire: per lui contano più del risultato finale. Il viaggio, non la meta. «Ho 28 anni e ancora quattro anni di contratto… Magari domani perdo la motivazione e smetto? Non succederà. Non domani almeno. Ma potrebbe succedere. Dipenderà da quanto a lungo continuerò ad amare questa vita».

«Mi piace davvero il ciclismo – aveva detto Jonas al quotidiano francese – uscire in bici ogni giorno, fare gare, lottare per la vittoria… tutto questo mi dà la motivazione per allenarmi quotidianamente. Se senti di aver ricevuto un dono, se posso dirlo così, devi usarlo, altrimenti lo perdi. In un certo senso ho ricevuto questo dono, e sentire che lo sto usando mi motiva. Quando ti senti bene in allenamento, quando soffri ma ti sembra normale, come mi è successo nelle ultime settimane, è qualcosa di meraviglioso. Se penso di essere forte mentalmente? Sì, credo che sia la mia qualità principale. Sono capace di resistere anche quando le cose vanno male».

Tour, cade il tabù. Un Milan gigante nell’analisi dello “zio” Elia

12.07.2025
7 min
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Sono le 17,16 quando Jonathan Milan taglia il traguardo di Laval e fa l’inchino per celebrare la vittoria. Nello stesso istante, sul suo letto di Livigno Elia Viviani fa un salto come se avesse vinto lui. La terza volata del Tour parla italiano e arresta il conto dell’astinenza. Dopo Nibali a Val Thorens nel 2019, ecco il Toro di Buja in questa città anche carina ma in mezzo al nulla, fra Rennes e Le Mans.

«Secondo me – dice Elia – oggi tutto il gruppo aveva bisogno di una calmata. C’è stata la fuga dei due TotalEnergies, ma non era una volata semplice. Comunque la strada tirava in su, ho visto un bel po’ di gambe “craccare”. Ne servivano tante per vincere, non era uno sprint di posizione. E Johnny ha fatto vedere che le gambe le aveva perché ha fatto un bellissimo lavoro. Consonni e Stuyven lo hanno aiutato, però negli ultimi 700 metri si è destreggiato da solo. Non è stata la volata servita su un vassoio, non l’hanno portato ai 100 metri. Ho visto un Johnny che l’ha voluta, se l’è cercata, anche dando una spallata al corridore della Israel. Un segnale di maturità. Nel momento in cui si è alzato in piedi per partire, s’è riseduto perché ha visto che era lungo ed è ripartito al momento giusto. E’ una volata che incorona Johnny come sprinter».

Dopo i campionati italiani, Viviani è salito a Livigno, lavorando per Polonia e Vuelta
Dopo i campionati italiani, Viviani è salito a Livigno, lavorando per Polonia e Vuelta

Lo sprint ritardato

Sono le 17,35 quando Jonathan Milan arriva nella zona delle flash interviews. E’ frastornato e felice, fatica quasi a trovare le parole, ma quando parla appare maturo come un condottiero navigato. Se ci pensi, pur avendo appena 24 anni, è un campione olimpico e mondiale su pista, ha vinto volate da tutte le parti. Milan sulla bici ha smesso di essere ragazzino già da un pezzo.

«Penso di non aver ancora capito – dice – che cosa abbiamo fatto. Arrivare con alcune aspettative e sogni da portare a casa e riuscirci sono due cose diverse. Ero fiducioso perché nella volata precedente ci siamo arrivati vicini (secondo dietro Merlier nella terza tappa, ndr). Sapevamo di essere partiti troppo presto, ma oggi eravamo davvero concentrati. I miei ragazzi hanno fatto un lavoro straordinario. E’ stato un finale davvero stressante, non me l’aspettavo. Abbiamo rimontato nell’ultimo chilometro e mezzo, poi ho dovuto aspettare il più a lungo possibile. Ce lo meritiamo, il livello è alto. Vincere con questa maglia verde sulle spalle significa molto per me e penso anche per tutto il mio Paese».

Milan ha atteso prima di lanciarsi, quando ha capito di essere ancora lungo. Poi non ha concesso scampo
Milan ha atteso prima di lanciarsi, quando ha capito di essere ancora lungo. Poi non ha concesso scampo

La fiducia in Milan

Sono le 17,45 e Viviani va avanti. Oggi si è goduto il giorno di riposo. Prima ha seguito il Giro Women in cui sta correndo sua moglie Elena Cecchini, nel giorno dell’impresa di Elisa Longo Borghini. Poi è passato al Tour e all’osservazione tecnica di un finale che tanto lineare non è stato.

«Non erano in tanti come al solito – osserva – mancava anche Theuns. Probabilmente, come pure la Alpecin, hanno speso gli uomini nella parte precedente che era parecchio caotica. Consonni è stato bravo a tornare e dare un ultimo aiuto, visto era già indietro di 2-3 posizioni. Hanno lavorato bene perché non hanno mai perso fiducia nelle capacità di Johnny. Non si sono chiesti nulla, hanno continuato nel loro cammino. Non sarebbe stato giusto avere mancanza di fiducia, ma è ovvio che ci fosse rammarico per la prima tappa con la maglia gialla in palio. Ho avuto anch’io l’occasione di fare un Tour che si apriva con una volata e ha vinto quello che nessuno si aspettava. La squadra è tra le due migliori al mondo, Guercilena ha fatto un lavoro super. Mi ricorda lo spirito della Quick Step quando c’ero io. Jonny sente la pressione di dover fare bene perché Pedersen ha dominato il Giro e lo rifarà alla Vuelta. E’ un sistema che sta girando bene».

Milan è benvoluto da tutti i compagni: merito anche e soprattutto della sua educazione
Milan è benvoluto da tutti i compagni: merito anche e soprattutto della sua educazione

La commozione di Consonni

Sono le 17,50 e Consonni ha lo sguardo commosso e stralunato. Il suo lavoro, come quello di Lamon nel quartetto, è spesso oscuro. Ma se qualcosa non va, spesso si punta il dito. Perché lo ha lanciato male, perché non c’era, perché la gente punta il dito soprattutto quando non capisce.

«Quando metti tanto lavoro in quello che fai e poi arriva – dice – anche se si tratta solo di una corsa di bici, è veramente una soddisfazione incredibile. Avevamo un po’ di amaro in bocca dopo il primo sprint, però oggi abbiamo tirato fuori gli attributi. Nella terza tappa mi sono fatto prendere dall’emozione, oggi siamo stati davvero una squadra. Mi sembra di tornare nel mio quartetto, che se uno non riesce a fare il suo lavoro, c’è sempre un altro pronto a rimpiazzarlo affinché da fuori non si veda nulla. Oggi è stato un finale incredibilmente caotico, ma sapevamo che Johnny su certe volate di gamba è davvero imbattibile».

Il ruolo di Consonni rischia di essere sottovalutato, per questo Viviani ha acceso i riflettori
Il ruolo di Consonni rischia di essere sottovalutato, per questo Viviani ha acceso i riflettori

Lo “zio” Elia e i suoi nipoti

Intano sono le 18. Lo “zio” Elia vede i nipotini vincere ed ha il tono partecipe e orgoglioso. La sua analisi continua e si attacca proprio alle parole di Consonni, perché è facile esaltare Milan senza vedere ciò che accade nella sua ombra gigantesca.

«Cerco sempre anche di valorizzare quello che fa “Simo” – dice – è facile dire che Johnny è stato grande, perché è così. Ma Simone è uno che poteva fare risultato, invece ha deciso di sacrificarsi per gli altri e si è rimboccato le maniche. Ero qua in altura con lui prima dell’italiano, perché è venuto a fare una settimana in più rispetto al ritiro della squadra. Era concentrato come e più di un leader, quindi è ovvio che mi piaccia valorizzare il lavoro che fa. E’ bello vederli amalgamati. Come ho detto il giorno dopo che hanno vinto l’oro olimpico a Tokyo, quella medaglia li legherà per sempre. Sono come fratelli, quindi è normale che vederli vincere mi faccia felice. Oltre al fatto che l’Italia ne aveva davvero bisogno. E poi motiva anche me. Spengo la tivù e dico che voglio farlo anche io. E mentre parliamo sento le notifiche dei mille messaggi sulle nostre chat e scommetto che i primi a scrivere sono i ragazzi dello staff, perché la famiglia è composta anche da loro».

La Lidl-Trek oggi era tutta per Milan: Quinn Simmons ha fatto la sua parte in testa al gruppo
La Lidl-Trek oggi era tutta per Milan: Quinn Simmons ha fatto la sua parte in testa al gruppo

Pogacar e la verde

Sono le 18,09, la conferenza stampa serve a ripetere quel che ha detto alle flash e poi nella zona mista. Gli chiedono se il treno abbia lavorato bene o male e lui ripete quel che ci aveva detto prima che il Tour partisse, sulla capacità di scambiare i ruoli. Ma per il resto, niente di nuovo: forse ha davvero ragione Quinn Simmons sulla ripetitività delle domande dopo gli arrivi.

«Abbiamo imparato dagli errori – dice Milan – e aspettavamo con ansia la tappa, non vedevamo l’ora. Ci siamo meritati la vittoria, per cui ora ce la godremo, ma pensando che domani potremmo rifarlo ancora.  E poi c’è la maglia verde. Pogacar può essere un vero rivale, ma penso che avrò altre occasioni per fare punti. Cercherò di farne più possibili, e poi vedremo a Parigi come andrà a finire. La maglia verde è un obiettivo per la mia squadra, ma vivrò tappa per tappa». 

La classifica a punti resta un obiettivo da vivere molto alla giornata
La classifica a punti resta un obiettivo da vivere molto alla giornata

Un leader che sa dire grazie

Sono le 18,15 quando salutiamo Viviani. Il tempo di farci spiegare il rientro al Polonia e poi alla Vuelta e la chiusura la dedichiamo a Milan, che nello stesso tempo sarà stato portato all’antidoping e poi finalmente riprenderà la via del pullman.

«Uno così – dice Viviani – non spacca le squadre, non se la tira. E’ giovane, ma con dei sani principi ed è… cazzuto su quello che vuole. Mi immagino che anche quando hanno sbagliato le prime due volate, avrà avuto il suo sfogo, ma poi si è concentrato sull’occasione successiva. Ha carattere. A volte sbotta, però è un giovane di sani principi, è educato e sa benissimo che per vincere gli sprint ha bisogno degli altri. E’ un leader che gratifica chi lavora per lui. Alla fine, la Lidl-Trek che mette a tirare Quinn Simmons già dà un segnale di che qualità ci sia in squadra. E al Tour sono tutti per Milan».