Europei pista: clima non facile, ma bei segnali dalle giovani azzurre

23.07.2025
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Quelli del velodromo di Anadia sono stati europei che si sono trasformati in una rassegna non semplice per la spedizione italiana. La morte improvvisa di Samuele Privitera al Giro della Valle d’Aosta ha toccato a distanza le anime soprattutto dei giovani corridori italiani. Tuttavia il raccolto ottenuto dalle donne juniores e under 23 parla di 10 medaglie complessive: tre ori e quattro argenti per le prime, un oro, un argento e un bronzo per le seconde.

Il bilancio della trasferta portoghese l’abbiamo chiesto a Diego Bragato, cittì femminile della pista (ruolo che condivide con Marco Villa) e capo del Team Performance della nazionale. Il tecnico di Motta di Livenza è già sul campo di gara impegnato alla “Tre Sere Internazionale Città di Pordenone”, ma torna indietro di qualche giorno per raccontarci come ha visto le sue atlete, in previsione anche dei mondiali juniores che si disputeranno sull’anello olandese di Apeldoorn dal 20 al 24 agosto.

Il team sprint (composto da Trevisan, Campana, Cenci e Fiscarelli) hanno vinto l’oro migliorando il bronzo del 2024
Il team sprint (composto da Trevisan, Campana, Cenci e Fiscarelli) hanno vinto l’oro migliorando il bronzo del 2024
Diego non possiamo non partire dalla tragedia del Valle d’Aosta che ha colpito da vicino anche Vittoria Grassi, fidanzata di Privitera. Come avete gestito quei momenti?

Sono state giornate molto difficili. Era la prima volta che mi capitava una situazione simile ed essendo genitore anch’io, l’ho vissuta in modo intenso. Per noi era il secondo giorno di gare. Avevamo saputo che Samuele era grave e Vittoria era in contatto con i suoi genitori che erano in ospedale, assieme a quelli del ragazzo. Non appena abbiamo avuto la tragica notizia, il mattino successivo le compagne sono state bravissime a darle conforto.

Lei come ha reagito, se esiste una reazione a queste cose?

Conosco bene Vittoria, è una ragazza solare, tant’è che è voluta restare con noi per ricambiare l’affetto delle sue amiche e colleghe. Aveva già corso le qualifiche col quartetto, però abbiamo deciso di farla rientrare il giorno dopo perché era giusto così. Abbiamo cercato di fare il meglio possibile in generale, ma non so se c’è un modo giusto o meno.

Alcune prestazioni delle U23 possono aver risentito di questa situazione?

Certamente sono notizie che ti condizionano, ma quest’anno sapevamo che con le U23 avremmo fatto un po’ più fatica rispetto al passato. Alcune erano assenti perché stavano recuperando da infortuni. Poco prima degli europei c’era il Giro Women e certe prove vanno preparate. Nonostante questo, Sara Fiorin è riuscita a venire in Portogallo e cogliere un bell’argento nello scratch. Bene anche Baima, bronzo nell’eliminazione. Siamo mancate in due specialità.

Quali?

Sicuramente il rammarico più grande arriva dall’inseguimento a squadre. Ci stavamo giocando il pass per le finali contro la Germania, con cui avevamo tempi molto vicini. Purtroppo la terza e la quarta ragazza si sono toccate in un cambio e sono cadute. E’ stato un errore tecnico, forse dato dal fatto che la pista di Anadia ti porta in uscita dalla curva in maniera molto veloce. Peccato eravamo da medaglia, così come nell’omnium.

Cos’è successo in quel caso?

Nulla di particolare, solo che Venturelli la mattina della gara si è svegliata con la febbre. Abbiamo dovuto dire a Basilico che avrebbe corso lei. E come dicevo prima, certe corse vanno preparate. Siamo certi che per come avevamo visto Venturelli e per come sa interpretare quel tipo di gara, avremmo potuto ambire ad un risultato importante. Sono cose che capitano, però in generale vediamo il bicchiere mezzo pieno con le U23.

Grandi soddisfazioni invece sono arrivate dalle juniores, che si conferma una categoria in costante crescita.

Assolutamente vero, siamo consapevoli di avere un grande potenziale con le juniores, pensando poi anche agli anni futuri. Siamo contenti perché il gruppo è forte, anche con le ragazze del primo anno. Ad esempio Fiscarelli, Rossignoli e Campana si sono integrate subito alla grande e tutte sono andate a podio. Siamo cresciute nella velocità dove abbiamo preso due ori tra team sprint e keirin. Bravissima Pegolo, così come Sanarini, che tuttavia deve affinarsi in corse come madison e omnium.

Rossignoli, Erja Bianchi, Sanarini, Pegolo e Elisa Bianchi si sono alternate nel quartetto, vincendo l’argento dietro la Gran Bretagna
Rossignoli, Erja Bianchi, Sanarini, Pegolo e Elisa Bianchi si sono alternate nel quartetto, vincendo l’argento dietro la Gran Bretagna
Altre note positive?

Siamo migliorate nel quartetto, dove abbiamo conquistato l’argento dietro la Gran Bretagna che ha fatto il record del mondo. Stessa cosa ad esempio con Rapporti nell’inseguimento individuale. E’ stata battuta dalla danese Fialla che ha fatto un tempo strepitoso. Se per batterci devono fare i record del mondo, allora significa che siamo sulla strada giusta. Per contro pecchiamo ancora di inesperienza in certe corse, ma mancano gare in Italia ed è difficile arrivare più preparate.

Che indicazioni ha tratto Diego Bragato per i mondiali di agosto?

Credo che per Apeldoorn siamo in crescita, proprio perché in questi europei abbiamo fatto quella esperienza in generale ed internazionale cui facevo riferimento prima. L’idea è sempre quella di mantenere una rosa allargata tenendo sott’occhio tante ragazze. Per i mondiali vorremmo portare un mix di atlete tra primo e secondo anno, perché abbiamo visto che funziona non solo tecnicamente.

Come sarà l’avvicinamento?

La settimana prossima inizieremo con gli allenamenti a Montichiari. Cercheremo di preparare a dovere le discipline in cui siamo più competitive e chiaramente salire di livello in quelle in cui lo siamo meno. Partiremo per l’Olanda il 17 agosto per prendere confidenza con quel velodromo. Siamo fiduciosi.

Diego Bragato agli europei ha dovuto gestire la tragica notizia della morte di Privitera (foto FCI)
Diego Bragato agli europei ha dovuto gestire la tragica notizia della morte di Privitera (foto FCI)
Guardando ancora più in là, si fanno già ragionamenti per Los Angeles 2028?

Gli europei delle giovani, così gli stessi mondiali, sono passaggi intermedi fondamentali per crescere ed accumulare punti per quelle che saranno poi le qualifiche olimpiche. Dall’anno prossimo riprenderà la caccia ai punteggi attraverso le prove di Nations Cup. Sappiamo che le cosiddette big non potranno farle tutte perché saranno impegnate su strada con le proprie formazioni. Disputarle con queste atlete, che nel frattempo saranno diventate più grandi ed esperte, sarà importantissimo e ci consentirà di lavorare con maggiore serenità o pianificazione.

Mastromarco: caro Balducci, come va con gli juniores?

23.07.2025
5 min
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Il progetto della Mastromarco-Vincit ha subito una modifica importante a partire da questa stagione, infatti chiusa la storica squadra under 23 il team è ripartito dagli juniores. Una novità importante, figlia di un ciclismo che sta cambiando e che ha messo sulla graticola diverse formazioni delle categorie giovanili. Molte società hanno chiuso i battenti, altre lo faranno a fine 2025. La Mastromarco ha avuto la forza di trovare un nuovo equilibrio e ripartire, ma non è stato semplice. La categoria juniores è diventata ormai centrale nello sviluppo e nella crescita umana e sportiva dei ragazzi. Prendere le misure non è facile, e i primi mesi per Gabriele Balducci, diesse del team (in apertura foto Instagram), sono stati fondamentali per capire come muoversi e come gestire diversi aspetti. 

«E’ una categoria, dal mio punto di vista, molto bella – ci racconta proprio Balducci – ma vogliono farcela credere migliore di quel che è. Le realtà con le quali ci si confronta sono particolarmente belle e stimolanti, ma il ciclismo è un’altra cosa. Anche i ragazzi non sono atleti fatti e finiti. Anzi, sia tecnicamente che fisicamente non siamo ai livelli che vogliono farci credere. Una grande fetta del gruppo deve crescere. Ci sono dei ragazzi già maturi, ma non così all’altezza per affrontare il WorldTour».

La Mastromarco-Vincit da quest’anno ha cambiato categoria passando dagli U23 agli juniores (foto Instagram)
La Mastromarco-Vincit da quest’anno ha cambiato categoria passando dagli U23 agli juniores (foto Instagram)
Una considerazione che nasce da dove?

Il ciclismo professionistico fisicamente e mentalmente richiede dei requisiti importanti. Non si può far credere a un ragazzino di 17 o 18 anni che ha vinto tre o quattro corse nazionali o regionali che è pronto per un devo team. Ho esperienza in una squadra WorldTour, da quest’anno lavoro con lo staff performance dell’Astana.

Pensare a un salto da juniores a WorldTour è fattibile?

Solo perché vogliono farcelo credere. Il movimento va in quella direzione, ma non è detto che sia una cosa corretta. A mio modo di vedere da parte dei team WorldTour deve esserci tanta pazienza se si vuole fare un cammino del genere. Molti però non aspettano e dopo due anni ti trovi dei ragazzi che smettono o devono ripartire da capo. 

Cosa ti ha affascinato allora di questa categoria?

Mi piace avere a che fare con ragazzi che stanno crescendo, molti di loro sono intelligenti e svegli. Fanno delle domande interessanti che portano al dibattito e al confronto, sull’allenamento, il metodo di corsa e tanti altri aspetti. E’ una categoria in cui i corridori sono in piena adolescenza, c’è un abisso. Fisicamente si vedono ragazzi sviluppati e altri ancora acerbi.

L’approccio al lavoro è diverso, ma i metodi sono pressoché simili alla categoria U23 (foto Instagram)
L’approccio al lavoro è diverso, ma i metodi sono pressoché simili alla categoria U23 (foto Instagram)
Insomma, arrivare a giudicare se un corridore è pronto o meno diventa molto difficile…

Praticamente impossibile. Non è detto che il ragazzo più emancipato poi diventi un corridore. Guardate Conca, Gaffuri e altri ragazzi che sembravano essere finiti, ora stanno raccogliendo ottimi risultati. 

Com’è stato per voi allestire il lavoro e approcciare la categoria juniores?

La Mastromarco nasce come società juniores, Carlo Franceschi aveva già lavorato in questa categoria. Ai tempi era più facile, adesso ci sono tante cose e altri aspetti da considerare che prima non ci riguardavano. Ci siamo concentrati sul prendere ragazzi al primo anno juniores e ci siamo concentrati sull’approccio e trovare un metodo di lavoro funzionale. Poi per nostra fortuna abbiamo vicini sia Vincenzo Nibali che Alberto Bettiol

Qual è l’aspetto con il quale hai avuto maggiore difficoltà?

La scuola, che chiaramente ha la priorità su tutto. Gestire ciclismo e scuola non è semplice, ho dovuto prendere i calendari scolastici e trovare l’equilibrio tra i vari impegni. 

Con i ragazzi giovani si aprono spesso dialoghi e un confronto continuo dettati dalla loro curiosità (foto Instagram)
Con i ragazzi giovani si aprono spesso dialoghi e un confronto continuo dettati dalla loro curiosità (foto Instagram)
Ore di allenamento a settimana?

Ci sono stati periodi in cui abbiamo fatto a malapena 11 ore in un cinque giorni, soprattutto in inverno. Altri, come adesso in estate, in cui ho messo qualche allenamento in più. Tuttavia non siamo mai andati sopra le 18 ore settimanali. Alcuni ragazzi chiedono di allenarsi di più e di fare le stesse ore in bici di un under 23, ma per me non esiste. Preferisco lasciare un margine di crescita per il futuro. E’ difficile farglielo capire perché con i vari strumenti a disposizione vedono cosa fanno gli altri. Certo che non capisco dove trovano il tempo di allenarsi tutte quelle ore. 

Avete fatto dei ritiri in montagna?

No, per il momento non ne facciamo. Se una famiglia viene da noi a dire che vanno in vacanza in montagna allora sistemo il programma per l’atleta, ma noi ritiri in altura non ne facciamo. 

Come avete formato la squadra?

Tanti primi anni e qualche ragazzo di secondo, ma pochi. Al momento abbiamo otto atleti, non è da escludere che il prossimo anno ne avremo una decina. Ci siamo concentrati su gare regionali e nazionali, con qualche apparizione nelle competizioni internazionali. Sono sempre stato dell’idea che il calendario lo fanno i ragazzi, quindi se sono stanchi o se non si sentono in forma è inutile portarli in determinati appuntamenti. Da questo punto di vista voglio ringraziare tutti gli organizzatori perché ci hanno sempre invitati a tutte le gare. 

Nello staff c’è sempre Carlo Franceschi lo scopritore di Vincenzo Nibali, il quale ha già lavorato con gli juniores
Nello staff c’è sempre Carlo Franceschi lo scopritore di Vincenzo Nibali, il quale ha già lavorato con gli juniores
Si corre tutte le domeniche?

No, assolutamente no. Abbiamo lavorato sul trovare un equilibrio tra gare e recupero. Ora facciamo le ultime corse e poi dal 27 luglio ci prenderemo due settimane di pausa, prima di riprendere per il finale di stagione. 

Materiale?

Siamo super forniti. Abbiamo abbigliamento firmato Q36.5, le biciclette ce le dà Cannondale, casco e occhiali sono di Rudy Project

Come vi rapportate con la categoria allievi?

Mi limito a vedere qualche gara, ma non vado a mettere becco nel lavoro degli altri. Non è facile parlare con i ragazzi perché appena qualcuno fa un paio di risultati ha già attorno tante squadre e qualche procuratore. 

Ora hai molto più a che fare con i genitori?

Per forza di cose. Alcuni dei ragazzi sono minorenni e non hanno l’auto e quindi il genitore diventa una figura centrale, fa parte del percorso. Con alcuni lavori meglio, con altri peggio, ma è normale. Quando un ragazzo vince non è facile nemmeno per loro avere così tanta attenzione intorno al proprio figlio, c’è anche chi si fa dei film che non esistono. 

Non il solito Pogacar, ma quanto basta per arginare Vingegaard

22.07.2025
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MONT VENTOUX (Francia) – Che sia stato per una crepa o un leggero malessere, la tattica del UAE Team Emirates è parsa subito insolita. Se Pogacar chiede di partire con la bici nera superleggera e poi lascia che la fuga guadagni sei minuti e chiede ai compagni un ritmo regolare, qualcosa forse non va. Abbiamo vissuto l’avvicinamento della corsa alle pendici del monte calvo seduti davanti al maxischermo sulla cima. Un panino comprato nell’ultimo bar, una felpa provvidenziale e lo sguardo fisso sulla corsa. Il vento non era violento come in altre occasioni, mentre tutto intorno lo sguardo si perdeva all’infinito facendo capire perché poeti e campioni abbiano trovato quassù la loro sublimazione.

I tifosi sloveni

La fuga guadagnava, solo il gruppo di Ben Healy alla fine è riuscito ad agganciarsi e dare la svolta al finale. Dietro, se non fosse stato per un’accelerata della Visma-Lease a Bike nell’avvicinamento alla salita, il margine sarebbe continuato a crescere. Pogacar non sta bene, abbiamo pensato, altrimenti sarebbe andato a riprendere tutti i fuggitivi. E così, nella disputa fra colleghi che parteggiano per l’uno o per l’altro, l’eventuale calo dello sloveno avrebbe significato il riaprirsi del Tour in vista delle Alpi. Solo che quando Vingegaard ha attaccato, l’altro gli si è incollato addosso. Pochi scatti, ben altra cosa rispetto a quello che sarebbe stato necessario. Tanto che quando Pogacar è scattato a sua volta, non è parso troppo provato. Non s’è tolto il danese di ruota, ma ha confermato ancora una volta che il suo è un livello a parte.

«E’ stato piuttosto difficile – dice quando tutto è finito e sul traguardo ha rifilato 2 secondi a Vingegaard – perché c’era solo una salita. Considerando che era la tappa dopo il giorno di riposo, sono molto contento di come l’ho affrontata e di aver mantenuto il vantaggio. Ho visto più bandiere slovene che sui Pirenei, penso che d’ora in avanti ce ne saranno tantissimi. Tifano anche Roglic e questo dà a entrambi un’energia in più. Quindi spero che nei prossimi giorni sulle Alpi, anche se il tempo sarà un po’ peggiore, avremo ancora le bandiere slovene alzate e che tiferanno per noi».

Violenti colpi di tosse

Un breve passo indietro. Ieri nell’hotel subito fuori Montpellier, passando casualmente accanto alla tavola in cui stavano mangiando i corridori della UAE, ci siamo accorti che proprio Tadej tossisse in modo violento. La notizia del ritiro mattutino di Van der Poel per problemi respiratori aveva acceso un allarme. Se davvero c’è qualcosa e gli avversari se ne accorgono, sul Ventoux per lui si farà dura.

«Fin dall’inizio della salita – prosegue Pogacar – sapevo che i corridori della Visma stavano bene e che avrebbero provato ad attaccare. Avevano un buon ritmo e noi ne abbiamo tenuto uno altrettanto buono, quindi sicuramente non hanno avuto tante occasioni per attaccare. In alcuni tratti ho sofferto, lo sforzo è stato intenso e le raffiche di vento si sono fatte sentire. Abbiamo lasciato andare la fuga perché non ci interessava vincere. Se avessimo voluto farlo, avremmo attaccato la salita con Adam Yates, invece abbiamo deciso di lasciare spazio. Anche se con gli scatti di Jonas e miei, ho pensato che li avremmo raggiunti. Si meritavano la vittoria. Mentre ci cambiavamo ho visto Paret Peintre, era super felice. Stava chiamando qualcuno ed è stato bello. E’ stata una giornata davvero dura dopo il giorno di riposo, ma ora sono motivato per i giorni successivi».

Vingegaard ha attaccato e ci riproverà: forse manca un po’ di convinzione?
Vingegaard ha attaccato e ci riproverà: forse manca un po’ di convinzione?

Vingegaard ci crede ancora

Il danese non ha vissuto il miglior finale di tappa. Dopo aver attaccato per staccare la maglia gialla e averne subito il ritorno, Vingegaard si è ritrovato anche per terra a causa di uno scontro fortuito con un fotografo. Si spiega perché di colpo gli addetti al servizio d’ordine siano diventati spietati e per muoverci abbiamo dovuto adottare tattiche da… uomo ragno.

«Un fotografo si è ritrovato davanti a me subito dopo il traguardo – racconta Jonas – e sono finito a terra. Credo che chi sta dietro al traguardo dovrebbe stare più attento… Mi sentivo davvero molto bene. Sono molto contento delle mie sensazioni oggi e degli attacchi che sono riuscito a sferrare. Certo, non ho recuperato tempo, ma è una grande motivazione per me. Volevamo mettere dei nostri corridori in fuga, la squadra è stata fantastica. Tutti hanno lavorato, hanno dato quello che avevano e mi hanno sostenuto completamente. Pogacar mi ha seguito in ogni attacco e così ho fatto io. Non credo di aver visto debolezze in lui, ma le mie sensazioni di oggi mi danno la motivazione e mi spingeranno a continuare».

La Visma è parsa unita. Prima il lavoro di Van Aert, poi Kuss (nella foto) infine Benoot e Campenaerts
La Visma è parsa unita. Prima il lavoro di Van Aert, poi Kuss (nella foto) infine Benoot e Campenaerts

La tappa migliore

Sulla stessa linea è il suo tecnico Marc Reef, uno che porta bene alla squadra. Quando c’è, di solto vincono. Lo incontriamo nella coda delle ammiraglie che si avviano lungo la corsia di evacuazione e si ferma per rispondere a qualche domanda.

«Eravamo e siamo ancora pronti per la battaglia – dice – siamo ancora molto fiduciosi. Jonas ha incitato i ragazzi a fare un ritmo molto alto e poi ha fatto un attacco davvero, davvero forte. Benoot era pronto più avanti e dopo di lui anche Victor (Campenaerts, ndr). Penso che continuare ad attaccare sia l’unico modo per creare ancora qualcosa e riguadagnare un po’ di tempo. Vogliamo lottare per ogni occasione che avremo. E’ stata la tappa migliore che abbiamo fatto finora e continueremo a mettergli pressione. Aver visto che oggi non è riuscito a staccarci accresce la nostra fiducia per le giornate che dovremo affrontare».

Dopo l’arrivo, Pogacar ha ringraziato i compagni: qui con Adam Yates
Dopo l’arrivo, Pogacar ha ringraziato i compagni: qui con Adam Yates

Raffreddore e aria condizionata

L’ultima parola è per Matxin, il responsabile tecnico della UAE Emirates, che aspettava proprio Pogacar per affrontare la discesa. Tutti gli altri sono andati in bicicletta, con il classico fischietto al collo, approfittando della strada chiusa con encomiabile zelo dalla Gendarmerie, che per certe cose è inimitabile.

«Non siamo voluti entrare nella lotta per la fuga – dice lo spagnolo – eravamo consapevoli che a un certo punto la Visma avrebbe iniziato a muovere le acque, dato che avevano cinque corridori, fra cui due scalatori. Ma noi abbiamo usato la testa. Potevamo anche controllare e cercare di vincere la tappa, ma avrebbe significato spremere tutti i corridori per un solo giorno. Alla fine abbiamo una priorità che è la maglia gialla, alla tappa si può anche rinunciare. La Visma ci proverà ancora, dovrà provarci ancora, per questo non è nostro interesse essere sempre i primi ad attaccare.

«Il raffreddore di Tadej? Ha avuto qualche fastidio per l’aria condizionata e per tutti questi cambiamenti dovuti al meteo degli ultimi giorni. Arrivi al podio che ci sono 15 gradi, poi il giorno dopo ne trovi 30 e in hotel hai l’aria gelida. Fa parte degli aspetti da tenere sotto controllo».

In sintesi, prima di salutarvi e darvi appuntamento a domani: se Pogacar sta bene, te ne accorgi perché attacca. Se invece non è al meglio, si mette buono in gruppo e lascia fare. Manca una settimana di Tour, mancano le Alpi dove probabilmente pioverà. L’obiettivo della maglia gialla è fisso su Parigi: le azioni plateali per ora sono sospese, in attesa di altre comunicazioni.

Paret-Peintre si prende il Ventoux e la Francia scoppia di gioia

22.07.2025
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MONT VENTOUX (Francia) – Ogni volta che Valentin Paret-Peintre attaccava o rispondeva a un attacco di Ben Healy sul Ventoux, esplodeva il boato. Noi eravamo proprio in cima al Gigante della Provenza, e sotto di noi c’era la curva ai 150 metri con un maxischermo. Quel maxischermo trasformava il Ventoux in uno stadio e Paret-Peintre nel loro eroe.

Un eroe francese sulla montagna simbolo di questo Tour de France. Ascoltavamo i commenti dei cugini: questa per loro era la tappa simbolo, quella a cui forse tenevano di più. Il fatto che abbia vinto uno dei loro significa tantissimo. Sul Gigante della Provenza non fa né freddo né caldo, ma c’è sempre un certo venticello che complica le cose per gli attaccanti e per chi è a bordo strada.

Sul Ventoux un bagno di folla, nonostante strade chiude da due giorni. E i francesi godono con Paret-Peintre
Sul Ventoux un bagno di folla, nonostante strade chiude da due giorni. E i francesi godono con Paret-Peintre

Finale da brivi

Gli ultimi 2.700 metri erano praticamente tutti controvento, esclusi gli ultimi 80 metri dove si girava. Paret-Peintre oggi ha fatto una vera impresa: ha gestito lo sforzo, non ha perso la testa quando davanti erano rimasti i corridori sulla carta più forti. Con la voglia di conquistare un traguardo ambizioso si è messo sotto: è stato il primo a scattare, il primo ad aprire il drappello dei contrattaccanti e il primo a richiudere sullo spagnolo.

E’ stato intelligente anche nella gestione dello sforzo quando sono iniziati gli scatti con Healy. Il finale è storia che tutti abbiamo visto: una volata tesissima e quella mezza ruota che precede quella dell’irlandese.

Dopo il traguardo abbiamo incontrato Davide Bramati, ci saluta, si ferma, tira fuori il braccio dall’ammiraglia. «Non riesco a parlare», ci “urla sottovoce”… senza voce. Riesce appena a sussurrare qualcosa. La gendarmerie fa sgombrare tutti. E’ il caos solito, solo che stavolta siamo in cima a una montagna di 1.910 metri e la strada è strettissima.

Il Brama forse vorrebbe parlare molto più di altre volte, ma proprio non ci riesce. A chiudergli la gola è un mix di emozioni e la voce effettivamente se n’è andata. Solo quando da dietro piomba Ilan Van Wilder e si sente un “Brama” in un italiano perfetto, il direttore sportivo ferma di nuovo la macchina. I due si abbracciano e scoppiano a piangere. Stavolta neanche il gendarme s’intromette.

Van Wilder come Pogacar

«Abbiamo giocato bene le nostre carte – racconta Van Wilder – Valentin ha attaccato, mi ha detto che si sentiva molto bene. Io invece no, quindi è stato facile scegliere di tirare per lui. Non sono egoista, se un mio compagno sta meglio di me corro per lui. Così ho accelerato e Valentin è partito dalla mia ruota. A quel punto, quasi all’improvviso, ho ritrovato il mio ritmo e le mie gambe. Ho fatto un crono con e contro me stesso!».

La scalata di Van Wilder ricorda vagamente quella di Pantani nel 2000, quando si staccò e poi rientrò sui migliori.
«Verso il finale – riprende il belga – ho visto che i ragazzi davanti a me non erano lontani e intorno all’ultimo chilometro ero di nuovo davanti. Vedevo che la situazione era difficile per Valentin, sia davanti che dietro. Sentivo che la maglia gialla si avvicinava velocemente quindi non ho esitato. Mi sono messo a blocco e ho tirato per lui.
«Fortunatamente ha fatto una bella volata e ho sentito dallo speaker che aveva vinto. Per radio “Brama” è impazzito completamente. Ha iniziato a urlare, non capivo cosa dicesse. E’ stato incredibile, non dimenticherò mai questa giornata. Per le montagne russe che abbiamo vissuto in questo Tour sono contento per la squadra. E’ come se avessi vinto io». Una chiosa alla Pogacar con Wellens.

In effetti dopo la batosta Remco, questa è stata una grande risposta per la Soudal-Quick Step. La squadra belga ha corso benissimo e, tutto sommato, liberandosi del leader tutti hanno avuto più libertà. Oggi la Soudal ha corso alla perfezione. Oltre a Paret-Peintre e Van Wilder, nella fuga c’era anche Pascal Eenkhoorn.
«E’ stato anche grazie a Pascal – ha concluso Van Wilder – se siamo riusciti a rimanere nel gruppo degli attaccanti. In pianura ha lavorato moltissimo consentendo a me e Valentin di risparmiare energie».

Valentin Paret-Peintre ha conquistato il Ventoux da pochi secondi. Una bevanda per recuperare seduto al fianco della pietra miliare della cima
Valentin Paret-Peintre ha conquistato il Ventoux da pochi secondi. Una bevanda per recuperare seduto al fianco della pietra miliare della cima

Sulla pietra del Ventoux

Quindi ecco l’eroe di giornata. Lo caricano letteralmente dal traguardo, e non ci vuole molto visto che Valentin è il più leggero del Tour: 52 chili. Lo portano dietro il palco dove c’è la pietra miliare tipica delle montagne francesi che indica la cima. Una di quelle pietre con la testa arrotondata, di colore giallo, il nome della montagna e la quota. Lo trascinano lì. Chiede e manda giù una di quelle bevande per il recupero.

La sensazione è che non abbia ancora realizzato l’impresa. Il patron del Tour Christian Prudhomme si avvicina e con ammirazione si complimenta con lui. In fin dei conti è anche la prima vittoria francese in questo Tour. Il fatto che sia arrivata quassù amplifica tutto.

«Una vittoria sul Ventoux… Non so che dire – attacca spaesato Paret-Peintre – è incredibile. Quando chiedono agli appassionati stranieri qual è la salita che conoscono in Francia, dicono il Ventoux. Davvero, non so che dire…

«All’inizio non credevo troppo alla fuga, guardavo cosa succedeva, ma pensavo che stare lì davanti non servisse a nulla. Poi finalmente si è creato un grande gruppo e le cose sono andate meglio. Ho detto a Ilan e a Pascal che mi sentivo davvero bene. Quando poi è partito il drappello di Arensman, la squadra ha scelto di tenere con noi Eenkhoorn. Lui ha tirato e penso che questa sia stata la strategia giusta. Non abbiamo sprecato energie».

Per la squadra

A chi dice che il ciclismo non è uno sport di squadra bisognerebbe far sentire le parole degli atleti e portarli dentro la corsa, dentro il gruppo. Quante cose ci sono che sfuggono.
«Questa vittoria – riprende Valentin – è di squadra. Se non ci fossero stati Eenkhoorn e Van Wilder non avrei vinto».

E questo vale anche a parti inverse, cioè se ci fosse stato ancora il leader, Remco Evenepoel. Anche in quel caso tutti per lui.
«Con Remco in corsa – conclude Paret-Peintre – non so se avrei avuto la libertà di andare davanti. Giustamente eravamo qui per lui. In ogni caso oggi è stato molto diverso rispetto a una giornata come quella di Carcassonne. Lì ho potuto pedalare tranquillamente nel gruppetto e fare così due giorni di recupero (la tappa tranquilla più il giorno di riposo di ieri, ndr), mentre se ci fosse stato Remco sarei dovuto restare al suo fianco. E questi, ai fini del recupero in un Grande Giro, contano tantissimo».

La Francia gode dunque, almeno oggi. Passata l’ondata Alaphilippe (e in attesa di Seixas), i cugini non hanno molto. Non più di noi… E come detto prima, il fatto che un francese abbia vinto quassù, proprio quando tutti davano per scontata la vittoria di Pogacar, è un regalo di quelli grossi. Una bella scossa che rinnova l’amore dei francesi per la loro corsa.
E intanto aspettiamo la prima pagina dell’Equipe di domani…

Dopo il Giro, Sarah Gigante è la scalatrice più forte del gruppo?

22.07.2025
4 min
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Sarah Gigante, la scalatrice più forte del gruppo? E’ una domanda legittima dopo il suo super Giro d’Italia Women. L’atleta della AG Insurance-Soudal Team si è portata a casa le due tappe più dure, Pianezze e il Monte Nerone, salendo anche sul terzo gradino del podio finale. E se non fosse rimasta coinvolta nell’imboscata della tappa pianeggiante di Monselice, chissà dove sarebbe arrivata.

Come mai dunque questo exploit? Ne abbiamo parlato con Stijn Steels, il direttore sportivo che le è stato più vicino in questo periodo e che guidava l’ammiraglia nella corsa rosa. Di certo non è una sorpresa per l’australiana, visto il fisico da scalatrice: 165 centimetri di altezza per 53 chili.

Sarah Gigante (classe 2000) conquista la tappa di Pianezze
Sarah Gigante (classe 2000) conquista la tappa di Pianezze
Congratulazioni Stijn per questo podio al Giro Women: vi aspettavate una prestazione del genere?

In realtà non siamo sorpresi. Quando è stato annunciato il percorso, abbiamo subito pensato che fosse perfetto per la nostra squadra di scalatrici, con Sarah, visto il numero di arrivi in salita. L’anno scorso al Tour de France Femmes Sarah ha dimostrato quanto valeva in salita, restando sempre con le migliori al mondo. Sapevamo che, con il livello che aveva, sarebbe stato davvero difficile batterla in salita, se fosse arrivata ben posizionata ai piedi dell’ultima ascesa.

Sarah Gigante è sempre andata forte in salita, ma stavolta ha fatto un vero salto di qualità. Vincere sulle salite in Australia al Tour Down Under è una cosa, vincere su quelle del Giro è un’altra. Da cosa dipende questo passo in avanti?

Il cambiamento più importante è stato ovviamente l’intervento chirurgico che ha affrontato quest’inverno, risolvendo il problema dell’arteria iliaca ostruita. Prima dell’operazione, aveva test davvero pessimi sul flusso sanguigno nella gamba: sapendo già quanto andasse forte prima, era chiaro che dopo l’intervento avremmo visto una ciclista in grado di lottare con le migliori scalatrici.

E non è poco…

Inoltre, Sarah sta imparando sempre più ad ascoltare il proprio corpo. Fa qualche giorno di recupero in più, e questo rende il suo fisico ancora più forte.

Sarah Gigante ha vinto la maglia blu di miglior scalatrice al Giro Women
Sarah Gigante ha vinto la maglia blu di miglior scalatrice al Giro Women
Quali sono le sue caratteristiche fisiche?

La sua forza principale è probabilmente la capacità di recupero. Sarah riesce a sostenere volumi di allenamento enormi prima di avvertire la fatica. Nelle corse a tappe spesso riesce a produrre gli stessi numeri sia nella prima che nell’ultima tappa: è davvero tagliata per le classifiche generali.

Come si è preparata Sarah per questo Giro Women?

Dopo l’operazione, le abbiamo detto subito che il Giro d’Italia Women sarebbe stato il primo grande obiettivo. E si era messa sotto bene. Era motivata. Poco prima del rientro previsto a fine aprile, però, è caduta e si è lussata una spalla: un colpo durissimo per il suo percorso di recupero. Durante il rientro abbiamo lavorato soprattutto sulla guida in gruppo e sul posizionamento, i suoi punti deboli.

Tipici difetti degli scalatori puri…

Dopo la caduta ha potuto allenarsi solo sui rulli e questo ovviamente ha rallentato i progressi nella guida. Senza quella caduta, avrebbe probabilmente iniziato la stagione nel blocco spagnolo a maggio, invece abbiamo dovuto posticipare al Tour of Norway. Lì ha quasi vinto la prima tappa, è stata ripresa a 50 metri dal traguardo, ma il recupero non era ancora ottimale. Due settimane dopo, al Tour de Suisse Women, abbiamo già visto un grande passo avanti: in quell’occasione andò via insieme a Urska Zigart tra le migliori scalatrici, ma in discesa ha perso tempo. Ha dunque lavorato tantissimo su questo aspetto tra il Suisse e il Giro, e i risultati si sono visti.

Gigante al Tour Femmes 2024: lì un primo salto di qualità
Gigante al Tour Femmes 2024: lì un primo salto di qualità
C’è l’idea di portarla anche al Tour de France Femmes?

In questo momento abbiamo ancora qualche dubbio. Sarah ha lavorato tantissimo per essere al top al Giro e dobbiamo essere sicuri che abbia recuperato del tutto, prima di mandarla in Francia. E’ ancora un’atleta giovane e affrontare due grandi corse a tappe nello stesso mese, dopo un lungo periodo senza gare, può essere rischioso. Prima del Tour faremo dei test per verificare il recupero dal Giro e capire se potrà correre al 100 per cento.

A 24 anni, qual è il suo potenziale?

Questo Giro le ha dato molta fiducia e ha dimostrato che può competere con le migliori scalatrici. Il nostro obiettivo principale resta migliorare in discesa e nel posizionamento in gruppo, dove possiamo ancora crescere. Anche se devo ammettere che stiamo già facendo dei passi avanti. Sarah lavora duramente su questi aspetti, ed è bellissimo vedere che il suo impegno ha dato frutti al Giro.

Secondo te, vedremo una nuova personalità in Sarah dopo questo Giro Women?

Credo di sì. Finalmente ha ricevuto una grande ricompensa per tutti gli sforzi fatti negli ultimi anni. Questo le darà una spinta enorme in termini di fiducia.

Lunigiana: La Corsa dei Futuri Campioni, di ieri e di oggi

22.07.2025
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Il Giro della Lunigiana ha vissuto una delle sue giornate più importanti poco più di una settimana fa, quando un comitato di rappresentanza è andato a presentare la Corsa dei Futuri Campioni alla Sala Stampa della Camera dei Deputati. Un passo enorme per una manifestazione che da sempre raccoglie, e accoglie, i migliori talenti della categoria juniores da tutto il mondo. Sulle strade della Lunigiana e della vicina Liguria sono passati tanti nomi che poi si sono affermati anche ai massimi livelli del ciclismo

Perché prima di diventare campioni, questi corridori che tra poco scopriremo, sono stati ragazzi con un sogno da realizzare. Il talento gli ha permesso di emergere, ognuno in maniera diversa. Siamo però tornati a parlare di loro da una prospettiva diversa, non solo l’atleta ma anche la persona. Abbiamo voluto così raccontarli con gli occhi di chi ha potuto vedere un passaggio chiave della loro crescita, in un’età in cui si ha ancora spazio per essere davvero se stessi. Ricordiamo che la categoria juniores è riservata ai ragazzi di età compresa tra i 17 e i 18 anni.

I “vicini” francesi

Lucio Petacchi è il direttore del Giro della Lunigiana dal 2023, ma vive la corsa da dentro fin dal 2021. Sotto il suo sguardo appassionato e attento sono passati gli ultimi talenti che ora brillano sulle strade di tutto il mondo. Una rapida accelerazione al titolo di “Corsa dei Futuri Campioni” per il Giro della Lunigiana è arrivata proprio negli ultimi anni, quando i giovani campioni usciti da questa gara hanno mosso subito passi importanti anche tra i professionisti

«Il mio primo anno – racconta Lucio Petacchi – è stato quello di Lenny Martinez e Romain Gregoire, due talenti incredibili. In realtà tutte le mie edizioni sono state caratterizzate dai colori della bandiera francese visto che hanno vinto tre delle ultime quattro edizioni. Si vede che c’è qualcosa di diverso nel loro sguardo. Sono concentrati e determinati, sanno di avere gli occhi puntati addosso, questo però vale per tutti i ragazzi. I francesi però si guardano parecchio intorno, sono curiosi sul territorio che li circonda. Qualcuno chiede delle specialità culinarie, degli usi e delle tradizioni della Lunigiana».

Gli azzurri

Il Giro della Lunigiana è per molti il primo banco di prova a livello internazionale, le Rappresentative Regionali portano i loro ragazzi a confrontarsi con atleti da tutto il mondo. Nelle passate edizioni c’è stato spazio anche per un atleta di casa: Lorenzo Mark Finn.

«Finn – dice ancora Lucio Petacchi – è un ragazzo di un’educazione e un talento incredibile. E’ molto disponibile e con lui si è parlato tanto dei percorsi visto che conosce benissimo le strade. Inoltre è un ragazzo molto attento anche ai diversi temi sociali, come Giro della Lunigiana ci siamo impegnati nel portare avanti alcune proposte legate al primo soccorso e non solamente in gara».

«Sono passati tanti ragazzi da noi – prosegue – anche perché per tanti italiani questa gara rappresenta il primo vero appuntamento internazionale della loro carriera. Molti conservano un ricordo indelebile ed è bello vedere come ognuno porti con sé qualcosa di diverso».

Gli anni passati

Una delle figure storiche del Giro della Lunigiana è quella di Alessio Baudone, alla guida della corsa per diversi anni. Il suo ricordo è radicato e profondo, in una corsa internazionale ma che ha visto comunque dei cambiamenti

«Credo ci sia stato un prima e un dopo Evenepoel – ci spiega con una risata – lui mi ha fatto impazzire. Partiva e salutava la compagnia anche in tappe pianeggianti. Era qualcosa di incredibile. Era l’Evenepoel che arrivava dal calcio e aveva quell’atteggiamento tipico, un po’ polemico. Ricordo che nella cronometro a Castelnuovo di Magra perse per un secondo da Matias Vacek. Fece una polemica incredibile, diceva di aver vinto lui. Però era di un altro livello, ho visto tanti campioni ma nessuno straripante come lui».

«Un altro ricordo che conservo è di Matej Mohoric – continua – in discesa andava davvero forte, come ora. Stargli dietro con la macchina era difficilissimo, a volte mi veniva istintivo dirgli di rallentare. Vincenzo Nibali, invece, vinse ma fu dominante in salita. Staccava tutti di ruota. Erano ragazzi diversi da quelli di ora, meno “professionisti”. Vedevi che il ciclismo era la loro passione ma prima che potesse diventare un lavoro c’era ancora tanto da fare. Con Evenepoel, e il fatto che dopo il Lunigiana sia passato subito nel WorldTour, si è aperta una rincorsa ai giovani».

Mont Ventoux, una sola vittoria italiana: 25 anni fa con Pantani

22.07.2025
7 min
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MONTPELLIER (Francia) – Solo dieci volte nella lunghissima storia del Tour, la corsa si è conclusa sul Mont Ventoux. E nell’albo d’oro del monte caro al Petrarca figura soltanto un nome italiano: quello di Marco Pantani (anche Marta Cavalli ha vinto lassù nel 2022 nella Mont Ventoux Denivele Challenge).

Accadde il 13 luglio del 2000, venticinque anni fa, ed è uno di quei ricordi da cui speriamo di non separarci mai. C’era un vento che strappava gli striscioni, tanto che quello di arrivo fu messo via per paura che volasse. La sala stampa era sulla cima, in un tendone e non a 17 chilometri come accadrà oggi. C’era l’imbattibile Armstrong che nel 1999 aveva vinto il primo Tour. C’era anche la fiducia irrazionale, che viveva da qualche parte nel nostro petto, che il Pirata sarebbe tornato. E quel giorno infatti, come è vero Dio, Marco tornò.

Chiudiamo gli occhi e rivediamo i flash della giornata. Si parte da Carpentras e al via c’è Robin Williams. L’immenso attore saluta Ilario Biondi, riconoscendo la somiglianza, e gli sussurra ridendo che potrebbero essere fratelli. Poi la corsa parte e Marco, che in classifica viaggia con un ritardo abissale di 10’34”, si stacca ancora una volta. Tuttavia questa volta, anziché sprofondare, resta lì con la sua fatica. Il tempo di inquadrare la fuga e lo vediamo spuntare nell’inquadratura alle spalle della fuga, dove la montagna si espone al vento. A quel punto noi siamo già sulla cima, cercando di seguire la corsa da uno schermo montato al riparo di un furgone. Di colpo da dietro si muove Armstrong che ha visto staccarsi Ullrich e ne approfitta, arrivando a doppia velocità.

A Carpentras, l’incontro fra Robin Williams e Ilario Biondi
A Carpentras, l’incontro fra Robin Williams e Ilario Biondi

Lo prende e fa per staccarlo, ma non lo stacca. Ci riprova e non si capisce se non affondi il colpo o se l’altro piuttosto che lasciarlo andare abbia scelto di morire sulla bici. E quando infine si tratta di fare la volata, Pantani vince e Armstrong dichiara di avergliela regalata. Non dichiara ciò che su quei giorni emergerà dalle indagini, che hanno portato alla cancellazione dei suoi risultati. Forse è stato meglio che quel giorno abbia vinto Pantani, altrimenti il Ventoux avrebbe avuto soltanto nove vincitori su dieci arrivi in cima.

In bici con Siboni

Noi c’eravamo, ma meglio di noi visse la corsa Marcello Siboni, lo storico gregario di Pantani, che quel giorno chiuse la tappa a 11’23” dal suo capitano. Il compagno di allenamenti e zingarate dai tempi della Carrera, era stato schierato in quel Tour perché oltre a uomini forti, sarebbero servite anche persone capaci di stargli accanto. Il giorno di Campiglio aveva ancora strascichi profondi. Il risveglio di fine Giro, quando Marco spianò la strada di Garzelli verso la maglia rosa, aveva riacceso le speranze, ma niente era più splendente come prima.

«La tappa del Ventoux – ricorda – veniva dopo il giorno di riposo. Eravamo partiti per il Tour con Marco al 75-80 per cento della condizione. Poi col passare dei giorni iniziammo a renderci conto che si stava mettendo a posto, ma nulla aveva potuto fare per evitare la batosta di Hautacam (il romagnolo perse 5’10” da Armstrong, ndr)».

Marcello Siboni, classe 1965, è stato pro’ dal 1987 al 2002. Oggi ha la sua officina a Cesena e si occupa di riparazioni
Marcello Siboni, classe 1965, è stato pro’ dal 1987 al 2002. Oggi ha la sua officina a Cesena e si occupa di riparazioni

«Cominciò a guardarlo – prosegue Siboni – e a pensare che fosse un extraterrestre. In più quel giorno aveva anche piovuto, quindi era stata una giornata un po’ particolare e la sera Marco era demoralizzato. Sapeva che la sua condizione non fosse al 100 per cento, ma sperava che il carattere gli bastasse per colmare le differenze.

«Non aspettava altro che battersi con Armstrong – prosegue Siboni – che aveva vinto il Tour dell’anno prima senza che noi ci fossimo per difendere la vittoria del 1998. L’americano era il favorito, ma quando partimmo, l’idea era quella di sfidarlo ancora».

La tigna del Pirata

La tappa ha una serie di salitelle nell’avvicinamento al Mont Ventoux, in quel dedalo di strade, canyon e stradine della campagna provenzale così morbida e poi di colpo pietrosa. Nessuno prova a fare chissà quale selezione, per cui fatta salva la fuga di giornata, il gruppo arriva compatto nella zona di Bedoin.

«Il gruppo era bello nutrito – ammette Siboni – e lui come al solito era indietro. E’ sempre stato il suo modo di essere e del resto nessuno quel giorno si aspettava che potesse succedere qualcosa di bello. Però l’avete conosciuto anche voi: spesso diceva una cosa e ne faceva un’altra. Quindi magari non disse nulla, ma dentro di sé sperava di fare qualcosa. Solo, per come era andato sulle salite precedenti, era difficile crederci. Invece con la tigna che ha sempre avuto, si staccava, si riprendeva e poi tornava sotto. Quella tappa fu l’espressione massima di Marco: cioè di uno che non molla mai, a costo di arrivare morto».

«Finché a un certo punto è andato via e dopo un po’ abbiamo visto andare via anche l’americano. Magari è vero che l’ha lasciato vincere e Marco non era contento, perché lui lo voleva staccare. Ma quando l’altro si è messo a dire di avergli fatto un regalo, Marco si è imbestialito. Cosa dici certe cose? Se anche fosse, tienile per te…».

L’istinto contro il calcolo

Si passa in poco meno di due ore dalla gioia per la vittoria al fastidio per le parole di Armstrong. Marco è contento, sono tutti felici per il ritorno alla vittoria dopo quella maledetta tappa di Madonna di Campiglio che aveva segnato l’inizio della fine. Quando gli dissero che non avrebbe dovuto vincere così tanto: chissà se a Pogacar qualcuno l’ha mai detto. Probabilmente no.

«Dentro di lui covava il malumore per le parole di Armstrong– ricorda Siboni – e la sua voglia di batterlo è letteralmente esplosa. Per questo a Courchevel lo staccò, per quella cattiveria di cui solo lui era capace e che gli è cresciuta dentro. A Courchevel forse non era il vero Marco, ma nemmeno era da buttare via. Due giorni dopo cercò di sbancare tutto con la fuga di Morzine, perché di colpo credevamo di nuovo che si potesse tentare l’impossibile. Quella settimana ci sentivamo tutti galvanizzati per il suo ritorno alla vittoria.

Spaghetti all’astice per Pantani, Fontanelli e la Mercatone Uno: li ha preparati Giovanni Ciccola per la vittoria sul Ventoux
Spaghetti all’astice per Pantani, Fontanelli e la Mercatone Uno: li ha preparati Giovanni Ciccola per la vittoria sul Ventoux

«Devo ammettere che Marco non avesse mai avuto grande simpatia per Armstrong. Si era visto sin da subito, appena passato, che fosse un giovincello un po’ sbruffone. Marco nel 1998 aveva vinto il Tour, ma di colpo era l’altro che spopolava. Evidentemente non gli era tanto simpatico neppure il suo modo di correre così freddo e calcolato, mentre lui era genuino e garibaldino. Armstrong si muoveva come se fosse il padrone, con una squadra che al pari di oggi sembrava composta da atleti telecomandati».

Gli spaghetti all’astice

Le esternazioni di Armstrong non riescono a rovinare la cena della Mercatone Uno del Novotel di Avignone. Qualche giorno prima, Giovanni Ciccola, lo chef che lavora con la Mercatone Uno per conto del Tour de France, ha preso da parte Pantani, chiedendogli che cosa avrebbe voluto mangiare. E quando Marco gli ha risposto «aragosta», l’altro per punzecchiarlo gliel’ha promessa per quando avesse vinto.

Quella sera sulla tavola della squadra approdano così degli spaghetti all’astice. A noi che lo aspettiamo fuori dalla porta, ne tocca una forchettata che vale quanto un calice di champagne per brindare al successo.

Quella sera pensammo nuovamente che tutto fosse possibile, mentre il Mont Ventoux da lassù si sentì felice di essersi consegnato a un campione immenso e pelato come lui. Erano anni di sogni che si avveravano e di campioni con gambe e grinta ultraterrena. Ne servì tanto per lottare contro Armstrong che, impunito, continuò a sovralimentarsi per tutto il tempo della corsa. Tre giorni dopo, in un testa a testa niente affatto casuale, Marco lo piegò dimostrando che forse, senza quel che accadde a Madonna di Campiglio nel 1999, l’era Armstrong non sarebbe mai iniziata. Forse un complotto, se complotto ci fu, servì a spianare la strada all’americano cui il Tour tributò sette anni di onori, prima di cancellarlo senza accennare la minima autocritica.

Chi si rivede: Leo Hayter freme per tornare in gruppo

21.07.2025
6 min
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Ci sono vittorie che non arrivano attraverso un traguardo o un responso cronometrico, ma che hanno molto più valore. Guardate la foto di apertura, presa dal suo profilo Instagram: ritrae Leo Hayter in gara, dopo un anno e mezzo e la sua espressione, al di là dello sforzo fisico, è quella di un giovane che ha ritrovato la passione. Ve lo ricordate? Lo avevamo lasciato lo scorso agosto quando a 22 anni aveva deciso di dare un taglio netto con la sua vita di corridore. Chiudendo repentinamente un contratto molto vantaggioso con la Ineos Grenadiers, piegandosi a quello che viene definito il “male oscuro” della depressione. Ora è un uomo nuovo, forse sarà anche un corridore nuovo.

Riavvolgiamo il nastro. Del corridore londinese si comincia a parlare nel 2021, quando raccoglie le sue prime vittorie internazionali. Di spessore, considerando che porta a casa anche la Liegi-Bastogne-Liegi per U23. Poi c’è quel cognome, quello di suo fratello Ethan sempre più in evidenza sia come sprinter di lusso, sia come finisseur, sia anche come pistard colonna della nazionale britannica. Un paragone continuo, soprattutto l’anno successivo quando dimostra di essere uno dei migliori prospetti per le corse a tappe aggiudicandosi una bellissima edizione del Giro NextGen mettendo sotto scacco corridori già molto affermati come il francese Gregoire. I giornalisti lo pressano, vogliono sapere tutto di lui, i paragoni con il fratello sono in ogni intervista.

Leo Hayter ha avuto una splendida carriera da U23, ma il passaggio fra i pro’ ha subito evidenziato i suoi problemi
Leo Hayter ha avuto una splendida carriera da U23, ma il passaggio fra i pro’ ha subito evidenziato i suoi problemi

Troppa pressione e poca pazienza

Nel 2023 approda all’Ineos Grenadiers andando ad affiancare proprio Ethan, anche se i due, per caratteristiche, s’incontrano poco. Il più grande è già affermato specialista delle brevi corse a tappe come pregiato finisseur e poi si divide con la pista. Leo è visto come un ottimo prospetto per i grandi giri, ma bisogna lavorarci sopra lentamente. Già, lentamente, una parola che nel ciclismo attuale non è molto apprezzata, figurarsi per un giovane che vuole tutto e subito. L’anno si chiude con 30 giorni di gara e buone indicazioni alla Settimana Coppi e Bartali, ma lì la sua stagione s’interrompe per 4 mesi e già qualche campanello d’allarme inizia a suonare.

L’anno dopo, corre da gennaio a maggio, ma che sia in Australia o in Europa, è sempre nel fondo del gruppo. Pallida copia di quel che si era visto solo due anni prima. Non è problema di gambe o di condizione, non è il fisico che non risponde. A giugno, prima dei campionati britannici, Leo annuncia che mette in pausa la propria carriera (attenzione a questa frase…) per curarsi da una forte depressione che lo attanaglia sin da quando ha fatto il salto di categoria. La squadra gli è sempre stata vicino, ma si è resa conto di non avere più un proprio effettivo perché da tempo Leo non è più un corridore. Servono tempo, cure, terapie per riprendersi. Il ciclismo non è più un fattore primario, almeno non “quel” ciclismo.

Il britannico, già fermo per mesi nel 2023, ha staccato a metà stagione 2024 per entrare in cura
Il britannico, già fermo per mesi nel 2023, ha staccato a metà stagione 2024 per entrare in cura

La fatica per alzarsi dal letto

«Pensavo che fosse colpa mia – racconta Leo in un suo post sui social, che da sempre sono per lui una sorta di diario di bordo – che mi mancassero le motivazioni. Non c’era sintonia tra mente e fisico. Credevo che sarebbe passato, invece non è così. A maggio 2023 ero completamente bloccato, non riuscivo a lasciare il mio appartamento ad Andorra, a fatica mi alzavo dal letto. Il team ha fatto di tutto, mi ha sottoposto a una valutazione che ha dato il responso temuto: depressione. Mi sono preso una pausa, ho iniziato a prendere dei farmaci, ho iniziato un cammino lungo, molto più lungo di qualsiasi competizione ciclistica. E più duro….

«Sono tornato a fine stagione, al Tour of Guangxi in Cina, sembrava che il ciclismo tornasse a sorridermi, che la voglia riemergesse. L’inverno è andato bene ma non appena sono tornato ad allenarmi, sono tornate le stesse percezioni e gli stessi pensieri negativi, lo stesso panico, la stessa fatica ad alzarmi, ad affrontare la vita. Mi vergognavo di non essere al livello che volevo. Non dormivo, non mi allenavo, mi chiudevo sempre più in me stesso, isolato dal mondo. E mi sfogavo sul cibo».

La ripresa di Hayter è stata lenta, con la bici ritrovata senza pressioni. La Ineos gli è sempre stata vicino
La ripresa di Hayter è stata lenta, con la bici ritrovata senza pressioni. La Ineos gli è sempre stata vicino

Le piccole scosse elettriche dell’ansia

Nel suo articolato racconto, Leo spiega anche la coesistenza con l’ansia, qualcosa che è comune a tante persone: quella macchina che ti sorpassa all’improvviso, quei piccoli normalissimi eventi che su di lui come su altri hanno l’effetto di una scossa elettrica che ti blocca per lunghi istanti. Qualcosa di difficile da sopportare nella vita quotidiana, figuriamoci per un ciclista professionista. Leo ha spiegato nei particolari anche le cause di questo stato.

«Questa pressione viene sempre da me stesso, una pressione interna per essere il migliore, ossessionato dalla perfezione, che nello sport non è qualcosa di realistico o realizzabile giorno per giorno. Le piccole battute d’arresto fanno parte dello sport, ma io non riesco a gestirle in modo positivo. Quando l’anno scorso ho fatto un passo indietro, i miei livelli di testosterone sono aumentati notevolmente, dormivo meglio, ero più socievole e non mi abbuffavo, non ho mai perso peso così rapidamente. Ho sempre ottenuto buoni risultati quando non c’è pressione su di me e mi sento tranquillo. Tutte le mie prestazioni più importanti sono arrivate in questo modo».

Nel suo cammino di rinascita Leo ha riassaporato antichi valori e piaceri come la famiglia (foto Instagram)
Nel suo cammino di rinascita Leo ha riassaporato antichi valori e piaceri come la famiglia (foto Instagram)

La lenta scalata verso la luce

Da allora, Leo è scomparso dall’ambiente, ma a ben guardare proprio in quelle parole c’erano i prodromi della soluzione. Il britannico si è dedicato completamente a se stesso, affrontando un lungo lavoro psicologico che sembra avergli restituito innanzitutto la voglia di correre, di rimettersi in gioco senza chiedere troppo a se stesso. Leo ha detto, sempre sui social, di voler ricominciare e per farlo vuole partire non più dall’alto, ma trovare (con l’aiuto dell’Ineos) un team continental per riprendere l’attività.

«Sono passati 426 giorni dall’ultima volta che ho indossato un numero di gara, ma molti di più da quando ho partecipato a una competizione con desiderio di farlo. Mi “alleno” da pochi mesi e questo è già un grande risultato, frutto di tanta terapia, frequenti telefonate, lavoro su me stesso, nuova mentalità e ritrovata motivazione. Ora sono sicuro di voler essere un ciclista, ma non è tutto ciò che sono. Per molto tempo le prestazioni scadenti e l’aspetto fisico hanno definito la mia immagine di me stesso. Non volevo allenarmi con i miei amici, né tantomeno vederli, per paura che avessero la stessa opinione degradante che avevo di me stesso».

Hayter con l’allenatore John, il preparatore atletico Chris e Nora, la sua ragazza che gli è sempre stata accanto (foto Instagram)
Hayter con l’allenatore John, il preparatore atletico Chris e Nora, la sua ragazza che gli è sempre stata accanto (foto Instagram)

15 chili in più, ma tanta voglia di tornare

Hayter ha già gareggiato al campionato catalano a cronometro: «Peso 15 chili più del mio peso forma, eppure è stata una delle mie migliori prestazioni (…) Per la prima volta dopo tanto tempo sono ottimista per il futuro. Voglio tornare al ciclismo professionistico nel 2025, intanto mi sono posto come obiettivo la Chrono des Nations del prossimo ottobre, voglio salire sul podio, ma per gareggiare devo far parte di una squadra continental. C’è qualche team che è interessato?».

Se raggiungerà quel podio lo sapremo solo con il tempo, ma già il fatto di aver trovato la voglia di esserci è una grande vittoria e un esempio per chi è nelle sue condizioni. Tanti ciclisti ci sono passati, alcuni sconfinando nella tragedia, altri come ad esempio Dumoulin piegandosi al destino. Leo ha combattuto la sua battaglia e anche se non si può dire se abbia vinto, almeno ha lanciato un grande segnale di ottimismo.

Nel giorno di riposo Vingegaard rilancia: «Attaccherò ancora»

21.07.2025
4 min
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NARBONNE (Francia) – La Cote du Midi si sveglia con un vento insolitamente fresco. Nella notte ha piovuto e il cielo è ancora coperto da qualche nuvola. Da Montpellier, dove il Tour de France osserva il giorno di riposo e dove ieri sera, tra una birra e un gelato, i mezzi delle squadre già affollavano la piazza, ci siamo spostati a Narbonne. E’ qui, in uno splendido resort tra vigneti pregiatissimi e dolci colline di macchia mediterranea, che è di stanza la Visma-Lease a Bike di Jonas Vingegaard.

La conferenza stampa inizia di buon mattino. E’ all’aperto. Vingegaard si presenta con una tazza fumante, la tuta lunga e i calzini nei sandali. Non il massimo dello stile, ma di certo una tenuta comoda e rilassata, ideale per un giorno pensato per ricaricare le batterie.

Una giornata trascorsa tra riposo assoluto per alcuni, rulli o una sgambata per altri, in uno scenario ancora molto naturale del sud della Francia. Un recupero prezioso prima del Mont Ventoux e della terza settimana.

Jonas Vingegaard arriva nella conferenza stampa di questa mattina. Il danese è parso più che rilassato
Jonas Vingegaard arriva nella conferenza stampa di questa mattina. Il danese è parso più che rilassato
Jonas, pensi che ancora potresti vincere questo Tour de France? E se sì, come lo farai?

Sì, penso ancora di poter vincere. Ovviamente sembra e sarà molto difficile ora. E’ una grande sfida, ma ci credo ancora. Normalmente la mia forza è nella terza settimana. Non ti dirò le tattiche, ma credo ancora di potercela fare.

Quale potrebbe essere la tua possibilità?

Attaccare. Sono più di quattro minuti indietro. Dobbiamo provare a fare qualcosa. Ma non posso dire di più nel dettaglio.

Hai la sensazione di poter crescere ancora, quindi?

Sì, ho questa sensazione. Purtroppo ho avuto due giorni difficili, che non mi capitano quasi mai. Di solito non avevo proprio giornate negative. Ma posso solo guardare avanti e crederci. Di certo se non ci credi, non succede nulla.

Cosa ti aspetti dal Mont Ventoux?

E’ un giorno un po’ diverso. Dovrebbe fare freddo, sarà una giornata particolare con una sola grande salita alla fine. E’ un arrivo iconico, ci sarà una grande battaglia.

Vingegaard ha parlato di due giornate negative: la crono di Caen (in foto) e Hautacam. In queste due frazioni ha perso 3’15”
Vingegaard ha parlato di due giornate negative: la crono di Caen (in foto) e Hautacam. In queste due frazioni ha perso 3’15”
Hai già notato alcuni punti deboli in Pogacar?

Per essere sincero, no. Tadej Pogacar è molto forte, quindi ovviamente non direi che ha delle difficoltà. Penso che sia uno dei corridori più completi in gruppo, se non il più completo. E comunque, anche se ne trovassi uno, non lo direi. Penso che sia lui, come me, che due anni fa abbiamo fatto un vero salto di qualità. Solo che lui, nell’ultimo anno, è migliorato ancora un po’. Alla fine io ho perso la maggior parte del tempo in due giorni (la prima crono e Hautacam, ndr) e penso che la differenza tra me e Pogacar non sia poi così grande. Anzi, secondo me è minore rispetto all’anno scorso.

Però come ti spieghi questa differenza?

Posso dire con certezza che l’incidente dell’anno scorso ha avuto un grande impatto su di me e sulla mia condizione. Non ero due passi indietro, ma dieci passi indietro. Il problema che ho avuto quest’anno alla Parigi-Nizza non è neanche lontanamente paragonabile: dopo una settimana, seppur lentamente, ho ricominciato ad allenarmi. Dal 2020, dopo la pandemia, il gruppo ha alzato mediamente del 10 per cento il proprio livello. E in questo contesto si è visto che avere continuità, allenarsi a lungo senza intoppi è fondamentale. Anche per noi i piani di allenamento erano basati su questa stabilità. Però quest’anno sto crescendo.

Quindi non si molla?

No, il Tour finisce a Parigi. Ovviamente quattro minuti sono tanti, ma penso ancora di poter fare la differenza. Sono disposto a rischiare anche il mio secondo posto pur di provarci. Tadej è forte e mi aspettavo questo suo livello, ma non penso che sia molto migliore dell’anno scorso.

Proprio sul Ventoux per la prima volta, era il 2021, Vingegaard mise quasi in difficoltà Pogacar. Magari il danese sfrutterà questa “cabala”
Proprio sul Ventoux per la prima volta, era il 2021, Vingegaard mise quasi in difficoltà Pogacar. Magari il danese sfrutterà questa “cabala”
Chiaro…

Come ripeto, ho perso gran parte del terreno in due giorni, due giorni in cui non sono stato io all’altezza. E quando sai che puoi andare più forte, non perdi fiducia in te stesso.

Pensi di aver commesso qualche errore durante questo Tour de France?

Ho avuto due giorni difficili e quando succede, ovviamente perdi tempo. Ma chiunque può avere una giornata no. Il perché lo stiamo ancora cercando, ma non abbiamo ancora una risposta: semmai questo è il problema. Per come è andata, potrei avere difficoltà anche oggi nella sgambata… per dire.

In generale, Jonas, sembri più rilassato, scherzi di più… Stai cercando di ricostruire un’altra immagine di te stesso?

No, non mi interessa. Le persone possono pensare ciò che vogliono su di me. Non mi interessa l’immagine, però è vero che in qualche modo mi diverto più di prima e sono più rilassato nel vivere la corsa.