Pogacar e Milan: motori diversi, ma la benzina è la stessa

27.07.2025
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NANTUA (FRANCIA) – Il Tour de France si accinge a vivere l’ultima tappa dopo tre settimane faticose e veloci. Abbiamo avuto la sensazione di una Boucle estenuante, impressione avvalorata quando si guardano i corridori nel fondo degli occhi. Sono stanchi, anzi stanchissimi. Ci siamo chiesti in che modo abbiano vissuto questa immensa sfida due corridori agli antipodi per fisicità e attitudini: Tadej Pogacar (il più forte di tutti) e Jonathan Milan (il più veloce). Entrambi sono andati così bene da essere stati sino all’ultimo in lizza per la maglia verde.

Tadej Pogacar ha 26 anni, corre al UAE Team Emirates, è alto 1,76 e pesa 66 chili. Jonathan Milan ha 24 anni, corre alla Lidl-Trek, è alto 1,96 e pesa 87 chili. Non potrebbero esistere due corridori più diversi e allora, parlando con i loro nutrizionisti, abbiamo cercato di capire quanto sia stato diverso anche il loro approccio nutrizionale con la corsa. Scoprendo che, al netto dei centimetri e dei chili, le differenze non sono poi così abissali. E questo è strano.

Gorka Prieto, spagnolo classe 1990, è il nutrizionista del UAE Team Emirates
Gorka Prieto, spagnolo classe 1990, è il nutrizionista del UAE Team Emirates

Quanto consuma Pogacar

Gorka Prieto è il nutrizionista del UAE Emirates e dice che da uno come Pogacar si impara tantissimo. E sei nei primi tempi della loro collaborazione, lo sloveno non seguiva alla lettera le sue dritte, ora è molto attento.

«Il consumo calorico – dice – ovviamente dipende dalla tappa e dal ruolo del corridore. Nella tappa di Hautacam, Tadej ha vinto, ma forse Nils Politt ha consumato anche più carboidrati di lui. Ha tirato a lungo e magari ha avuto un calo maggiore, dato che ha faticato più degli altri. Non è detto però che il corridore più forte sia quello che consuma di meno: anche Tadej ha bisogno di tanti carboidrati. In quella tappa è andato con 120-130 grammi ogni ora. A colazione ne avevamo messa una quota superiore e così anche nel recupero. Si guardano subito i file, si aggiusta la cena e si guarda la strategia alimentare per il giorno successivo. Non si devono guardare solo i carboidrati, in realtà, anche se si parla sempre di quelli. Bisogna anche avere un piano giusto con le calorie, con le proteine e tutto il resto». 

Marco Sassi, classe 1997, è da un anno nutrizionista della Lidl-Trek (@hardyccphotos)
Marco Sassi, classe 1997, è da un anno nutrizionista della Lidl-Trek (@hardyccphotos)

Quanto consuma Milan

Marco Sassi è il nutrizionista della Lidl-Trek. Per esprimere la sua enorme potenza, Milan deve arrivare ai finali avendo ancora delle riserve e senza aver speso tutto per portare in giro il suo peso.

«E’ sempre complicato gestire un Grande Giro – spiega Marco Sassi, nutrizionista della Lidl-Trek – perché non c’è tempo di fare grandi ricarichi di carboidrati. Ogni tappa comporta un consumo variabile di glicogeno muscolare, quindi bisogna sempre tenere i carboidrati alti. Vista la corporatura di Jonathan, che gli impone dei dispendi molto elevati, diventa fondamentale sia la nutrizione in bici sia riuscire a raggiungere il target calorico nel resto della giornata. Un altro aspetto fondamentale è la regolarità gastrointestinale, perché lo stomaco e l’intestino nell’arco delle tre settimane di gara sono messi sotto forte pressione. Per questo è necessaria una attenta gestione delle fibre. Si danno alimenti che possano favorire il recupero, ma anche la salute gastrointestinale».

Non solo i carboidrati nelle borracce: il serbatoio di Milan prevede anche l’uso di gel
Non solo i carboidrati nelle borracce: il serbatoio di Milan prevede anche l’uso di gel

Il metabolismo di Pogacar

«Si fanno tanti test – prosegue Gorka – per capire il metabolismo di ogni atleta, in base ai quali possiamo capire quanto consumerà in corsa. Pesiamo Pogacar il mattino prima della tappa e dopo l’arrivo per valutare la disidratazione. Sappiamo quanto peso perde e da cosa è composto. Si fa il rapporto fra carboidrati e liquidi, si guarda il resto che può aver perso e si lavora per colmare la differenza. Il recupero inizia dopo l’arrivo. Prima il Magic Cherry all’amarena, Poi mangia il recovery e per cena abbiamo pasti diversi preparati dai nostri chef. E’ tutto pesato, non c’è neanche un grammo in più. Ognuno ha il suo, il ciclismo di vertice è adesso così. La verifica successiva ovviamente non si fa dopo cena, ma la mattina dopo, prima di ripartire. Quindi va bene se al risveglio Tadej ha una quantità di liquido ancora da assumere: lo farà a colazione e il recupero sarà completo».

Il metabolismo di Milan

«Per il suo metabolismo – dice Marco Sassi – Jonathan tende ad asciugarsi tanto, ma dato che i carboidrati per ora hanno un limite, accumula un deficit calorico importante al termine di ogni tappa. Non è sempre facile raggiungere il bilancio energetico ed è l’aspetto più delicato. Bisogna evitare che dopo due settimane, il corridore arrivi con il collo tirato, quindi bisogna sempre monitorare la situazione. Per fortuna riusciamo a calcolare con precisione il dispendio energetico in base alla lettura del powermeter. In questo modo possiamo fare una stima abbastanza corretta del dispendio calorico. E poi, al termine della tappa, possiamo valutare e confrontare la stima che avevamo previsto in base a quello effettivo. Così, se necessario, possiamo rivalutare i passi successivi. Tra i fattori di cui tenere conto nel suo caso, c’è anche quello mentale, perché le pressioni incidono. Poi per fortuna è arrivata la vittoria di tappa che ha dato un senso a tanto spendere».

Lo scatto verso Hautacam: difficilmente vedrete Pogacar mangiare sulla salita finale
Lo scatto verso Hautacam: difficilmente vedrete Pogacar mangiare sulla salita finale

Pogacar, borracce e granite

«Le borracce alla partenza sono sempre due – spiega Gorka – ci sono i carboidrati, ma anche gli elettroliti che Enervit fa per noi. Nelle giornate calde, si guardano il meteo, la temperatura, il vento e l’umidità e poi si decide dove mettere le borracce. Se è molto caldo, a volte diamo semplicemente acqua perché possano buttarsela addosso, per abbassare la temperatura del corpo. Quando fa caldo, è importante anche un occhio alla termoregolazione. Ma se si tratta di bere, allora solo l’acqua non basta. La composizione della borraccia si decide ogni giorno in base al tipo di percorso. Se c’è una tappa piatta, bastano 30 grammi di carboidrati nella prima borraccia ed elettroliti nell’altra. Se la tappa è più impegnativa, ricorriamo anche alle granite, che sono come dei ghiaccioli con i carboidrati dentro. Capita che Tadej si ritrovi in salita senza borraccia. Se vede che ha mangiato tutto e la borraccia pesa mezzo chilo, magari sceglie di essere più leggero. Perché sa che in cima gli daranno una borraccia e anche un gel».

Milan, ricecake e borracce

«Ormai si usano praticamente soltanto alimenti tecnici – conferma Sassi – che siano liquidi o anche solidi. Enervit ci offre una gamma piuttosto vasta che ci permette di incontrare il gusto di tutti, senza annoiare troppo il corridore. Magari si usano le classiche ricecakes, però principalmente nel pre corsa, come ultimo snack. Quando si va al via, Milan ha due borracce e sta a lui scegliere se avere 30 o 60 grammi di carboidrati. Lungo il percorso diamo sempre la scelta tra acqua e una borraccia che contenga almeno 30 grammi di carboidrati. E’ una questione variabile, anche in base alla temperatura e alla sudorazione. Se la tappa è particolarmente calda, si berrà di più, quindi si prendono più borracce di acqua o comunque meno concentrate al livello dei carboidrati. Anche perché nella conta dei carboidrati vanno considerati anche i gel».

L’acqua semplice, in corsa e dopo, serve a Pogacar per la termoregolazione: nelle borracce ci sono sempre carbo ed elettroliti
L’acqua semplice, in corsa e dopo, serve a Pogacar per la termoregolazione: nelle borracce ci sono sempre carbo ed elettroliti

Arrivo in salita: in finale non si mangia

«Quando ci sono più salite – dice Gorka Prieto – abbiamo sempre due persone dello staff all’inizio e due alla fine. Abbiamo diversi prodotti energetici, che contrassegniamo con una sola X oppure con due X. Cambia la quantità di carboidrati per ogni borraccia, quindi nelle tappe impegnative mettiamo le borracce con più carboidrati. Tadej ha un target ben chiaro di quello che deve mangiare per ogni ora. Può essere che faccia poco più o poco meno, ma difficilmente sbaglia. Sa che deve mangiare prima che cominci la salita, in modo che quando poi attaccherà o dovrà rispondere agli attacchi, avrà già dentro quello che serve. Non si vede mai un corridore che scatta e poi prende un gel. Per cui anche se l’ultima salita dura 40 minuti e lui deve attaccare, la quantità rimane la stessa di 120-130 grammi per ora».

La volata inizia due giorni prima

«Se c’è una volata – spiega invece Sassi – si ragiona partendo da un paio di giorni prima. Il pasto all’immediata vigilia della gara deve essere molto digeribile, perché lasci per tempo lo stomaco e non dia problemi di appesantimento, visto che spesso c’è stato da fare il traguardo volante molto vicino alla partenza. Durante la gara si cerca di mantenere i livelli più possibile alti, senza rischiare di incorrere in problemi gastrointestinali. Semmai per avere un boost ulteriore, può capitare di dare un gel con la caffeina, oppure del bicarbonato o altri tamponi nel pre gara. Più si va verso il finale, si prediligono cibi liquidi. Le barrette, pur molto digeribili, si riservano alla prima parte di gara. Nei finali, anche se è frequente vederli assumere un gel negli ultimi 20 minuti di gara, quel che prevale è la suggestione di aver preso degli altri carboidrati. Può esserci un vantaggio psicologico: sappiamo infatti che oltre all’effetto sui livelli di glucosio, avere dei carboidrati nella bocca fa sì che gli appositi recettori mandino un segnale al cervello che recepisce l’energia in arrivo, anche se poi non è ancora totalmente in circolo».

La vittoria di Milan a Laval: lo sprint richiede energia disponibile anche dopo 4 ore di corsa
La vittoria di Milan a Laval: lo sprint richiede energia disponibile anche dopo 4 ore di corsa

I carbo uguali per tutti

La chiusura la affidiamo a Marco Sassi, per amore di bandiera e per tirare le somme di un confronto che più improponibile non potrebbe essere e ha invece evidenziato che puoi essere uno scalatore o un vero gigante, eppure la quota carboidrati è identica.

«Jonathan è una bomba – sorride – ha un motore enorme. Avendo inoltre una massa da atleta, non al minimo come gli scalatori ma comunque da ciclista, consuma veramente tanto e in alcune tappe arriviamo tranquillamente a superare le 7.000 calorie. Diventa una bella sfida riuscire a coprire tutte queste calorie ed è il motivo per cui non si può pensare di fare tutto in una sola giornata, ma bisogna partire prima. Dovrebbe mangiare più carboidrati in corsa, dato che ne consuma come Pogacar ed è grande il doppio? Non ci sono troppe evidenze che la quota di carboidrati dipenda dal peso. Sappiamo che a livello intestinale si può raggiungere una certa quantità. Il bello sta nel portare questo limite ancora oltre, ma non c’è proporzionalità diretta. Probabilmente è vero che una corporatura maggiore riesce ad assorbire un po’ di più, ma la parte maggiore la fanno la genetica e quanto il soggetto si sia allenato per questo tipo di assunzione».

Privitera e Giaimi: i ricordi di una vita pedalando insieme

27.07.2025
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«Se chiudo gli occhi e penso a Samuele (Privitera, ndr) vedo una nostra foto insieme di quando ho vinto il Giro della Valdera da juniores. Correvamo entrambi per il Team Fratelli Giorgi e quella gara l’ho conquistata grazie a lui, mi aveva dato una mano incredibile. Aveva tirato per tutta l’ultima tappa (i due sono insieme nella foto di apertura, al centro Leone Malaga, diesse del team Giorgi, foto Rodella, ndr)».

A parlare è Luca Giaimi, l’atleta del UAE Team Emirates è a Livigno per preparare il finale di stagione e smaltire le fatiche degli europei. La notizia della scomparsa di Samuele Privitera lo ha raggiunto durante la rassegna continentale su pista. Da quel momento andare avanti è stato difficile, i giorni sono passati, ma l’incredulità resta. Sui social i ricordi e le foto di Privitera sono praticamente infiniti e, accanto a lui, spesso si vedeva il volto di Giaimi. I due, classe 2005, sono cresciuti insieme sulle strade della Liguria e il loro cammino si è incrociato presto.

Samuele Privitera davanti e Luca Giaimi alle sue spalle in una delle prime gare su strada in Liguria
Samuele Privitera davanti e Luca Giaimi alle sue spalle in una delle prime gare su strada in Liguria

Gli anni da giovanissimi

«Privitera e io – racconta ancora Giaimi, che nel parlare del suo amico ha un sorriso dolce – ci siamo incontrati per la prima volta nella categoria G3, da avversari. Ogni fine settimana ci scontravamo sulle strade della Liguria e ci univa un senso di rivalità e amicizia. Volevamo mettere uno la ruota davanti all’altro. I primi anni ci incontravamo sui sentieri in mtb perché io ancora non correvo su strada, ho iniziato qualche anno dopo. Lui correva sia su strada che in mtb ed era uno dei più forti in gruppo, anche sui sentieri. A “Privi” la bici è sempre piaciuta tantissimo, un amore viscerale. Per renderlo felice dovevi farlo pedalare».

Crescendo, Giaimi e Privitera hanno continuato a correre l’uno contro l’altro legati da rispetto e amicizia
Crescendo, Giaimi e Privitera hanno continuato a correre l’uno contro l’altro legati da rispetto e amicizia
Com’era da piccolo?

Gli piaceva la competizione, ma una volta finita la gara eravamo amici. Parlava con tutti. Dopo l’arrivo restavamo a guardare i più grandi e aspettavamo le premiazioni giocando insieme. Ci sfidavamo nel fare le impennate e mangiavamo insieme il classico panino con la salamella. Forse è anche merito suo se poi sono arrivato a correre su strada.

Perché?

Alla fine in mtb vincevo tanto e mi sono detto: «Perché non provare anche su strada?». I ragazzi più forti erano Privitera e altri due gemelli, che poi hanno smesso. Le prime gare me le hanno rese davvero dure, arrivavo sempre dietro. Poi sono migliorato ed è diventato un “dare e avere”. 

Quando si è trattato di passare alla categoria juniores entrambi hanno scelto il Team Fratelli Giorgi, qui in foto con Carlo Giorgi
Quando si è trattato di passare alla categoria juniores entrambi hanno scelto il Team Fratelli Giorgi, qui in foto con Carlo Giorgi
Negli anni successivi?

Da esordiente e allievo era più forte, la mia sfida personale era provare ad arrivare al suo livello. Quando eravamo allievi era tanto conosciuto anche a livello nazionale. La cosa che ricordo era che alle corse parlava con tutti, conosceva ogni persona. Fino a quel tempo avevamo corso tra Liguria, Piemonte e Lombardia. Arrivavamo alle gare nazionali e “Privi” chiacchierava con ragazzi della Toscana, Trentino, Veneto. Io mi chiedevo come facesse a conoscerli. Ma lui era così, un carattere aperto, dopo due secondi parlava con tutti, anche i sassi. Il suo carattere lo portava spesso al centro dell’attenzione ma non in maniera egoista, creava subito gruppo, aveva una dote innata. Vi faccio un esempio…

Dicci pure…

Alla presentazione del Giro Next Gen, lo scorso giugno, arrivo per salire sul palco e sento una voce che tiene banco. Era Privitera che stava distribuendo crostata a tutti i suoi compagni di squadra e non solo. 

Privitera e Giaimi, entrambi liguri, hanno passato tanto tempo insieme nella casetta del team durante i ritiri rafforzando la loro amicizia
Privitera e Giaimi, entrambi liguri, hanno passato tanto tempo insieme nella casetta del team durante i ritiri rafforzando la loro amicizia
Una volta juniores da avversari siete diventati compagni di squadra, al Team Fratelli Giorgi. 

Appena arrivati, eravamo i due ragazzi che venivano da lontano. La squadra è della provincia di Bergamo e i ragazzi arrivavano da quelle zone. Durante i ritiri abbiamo passato tanti momenti insieme nella casetta del team, siamo andati tantissime volte a mangiare la pizza insieme e facevamo a gara a chi ne mangiasse di più.

Com’è stato vivere con lui?

Sapeva fare tutto, anche da piccolo. Avevamo 16 o 17 anni e lui era capace di fare ogni cosa in casa, invece io ero parecchio imbranato. Mi ha insegnato a fare la lavatrice e a cucinare il porridge. Una volta avevo provato a farlo e mi era uscita una cosa immangiabile. “Privi” invece era uno sveglio, sapeva tutto. Inoltre la sua enorme passione per il ciclismo lo portava a informarsi di continuo. Avevamo due caratteri opposti, lui parlava tantissimo ed era espansivo, io al contrario sono molto timido. Una giornata con Samuele partiva con lui che iniziava a chiacchierare a colazione e finiva che andavamo a letto e ancora aveva da dire. Era divertentissimo. 

Privitera era capace di creare un legame forte con i compagni, caratteristica che lo ha portato a essere il capitano in corsa del Team Giorgi
Privitera era capace di creare un legame forte con i compagni, caratteristica che lo ha portato a essere il capitano in corsa del Team Giorgi
Cosa vi siete detti quando avete firmato entrambi per un devo team?

Io sono stato il primo a firmare e Privitera era felicissimo per me. Sapete, in questi casi può capitare che nella felicità percepisci un po’ di invidia, con lui no. Era genuinamente felice per me. Lì ho definitivamente capito che ci univa un legame di vera amicizia. Quando ha firmato lui ero contento perché se lo meritava davvero. E’ sempre stato l’uomo squadra al Team Fratelli Giorgi. 

Come si comportava in gruppo?

Parlava tantissimo e aveva la capacità di prendere decisioni. Era comunicativo e schietto, due qualità che lo hanno fatto eleggere capitano in corsa. Non che si corresse per lui, ma era quello capace di gestire la gara. In gruppo non sono mai stato un leone e capitava spesso di finire in fondo, lui veniva a prendermi e riportarmi in testa. Tante volte altri miei compagni mi hanno lasciato là, facendo finta di non vedermi. 

Privitera ha fatto vedere grandi qualità nella categoria juniores che gli sono valse la chiamata della Hagens Berman tra gli U23 (foto Rodella)
Privitera ha fatto vedere grandi qualità nella categoria juniores che gli sono valse la chiamata della Hagens Berman tra gli U23 (foto Rodella)
Una volta passati under 23?

Ci vedevamo meno perché le nostre qualità atletiche ci portavano a fare gare diverse. Quelle poche volte che ci incontravamo voleva dire che uno dei due era in una corsa non troppo adatta alle sue caratteristiche, quindi ci cercavamo in gruppo per darci morale. A casa, il fatto di allenarci su distanze più lunghe ci permetteva di incontrarci a metà strada, io partivo da Pietra Ligure e lui da Soldano. Così passavamo il tempo insieme e pedalavamo in compagnia. 

Di cosa parlavate durante l’allenamento?

Dei vari programmi di gara, delle corse che avremmo fatto così da sapere se poi ci saremmo visti. Ci confrontavamo sugli allenamenti. Ma più che altro volevamo stare insieme, condividere il tempo in bici.

Ecco Giaimi e Privitera (qui al centro in maglia Hagens e UAE) in una delle prime gare da U23
Ecco Giaimi e Privitera in una delle prime gare da U23
E ora?

Non ho ancora metabolizzato la cosa, era talmente presente nella mia vita che non posso immaginare di tornare in Liguria e non vederlo più. Pensare che quest’inverno non ci sarà “Privi” che mi scrive: «Oh Luca, cosa facciamo oggi?» non riesco a realizzarlo. Andare alle corse senza qualcuno con cui scherzare quando la corsa è dura o noiosa. 

Vi sentivate spesso?

Tutti i giorni. Era il primo a scrivermi quando facevo un risultato. Quando ho vinto l’europeo su pista da juniores lui era davanti al computer nella casetta del Team Giorgi insieme agli altri a vedere la gara, c’è un video in cui esulta come un matto. Forse ho iniziato a realizzare che “Privi” non c’era più agli europei di settimana scorsa, lui mi avrebbe scritto entro dieci minuti dalla fine della gara. 

Groves sorprende tutti. Velasco tradito da quella caduta

26.07.2025
6 min
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In quanti aspettavano questa tappa. Per tanti atleti l’ultima occasione per provarci, per altri addirittura un esame di riparazione. C’è chi in questo Tour de France non era neanche mai riuscito ad andare in fuga, pur avendo, come si dice, “carta bianca”. E così verso Pontarlier si è visto di tutto, persino un velocista, Kaden Groves, vincere in solitaria. E un grande Simone Velasco finire quarto.

L’olandese firma il tris per la sua Alpecin-Deceuninck, che quando quasi non si vede riesce comunque a metterci la firma, anche senza Mathieu Van der Poel e Jasper Philipsen. Una mezza “fagianata” quella di Groves, ma tattica e gambe hanno funzionato alla grande. I due inseguitori che parlottano e lui che s’invola.

Con una fuga solitaria di 16 km Kaden Groves conquista Pontarlier e diventa il 114° a vincere almeno una tappa in tutti e tre i GT
Con una fuga solitaria di 16 km Kaden Groves conquista Pontarlier e diventa il 114° a vincere almeno una tappa in tutti e tre i GT

Groves bravo, Velasco sfortunato

In questo bailamme di scatti e controscatti e di una lotta tremenda per entrare nella fuga, tra gli attaccanti c’era anche, come detto, Simone Velasco. L’altra mattina lui e il compagno di squadra Davide Ballerini ci avevano detto che avrebbero puntato tutto su questa tappa. Ma un conto è dirlo, un conto è farlo. Soprattutto al Tour.

«Ero ben motivato a far bene in questa tappa – ha detto Velasco – come vi avevo detto era già da un po’ di giorni che la puntavo. Ormai le occasioni al Tour non erano più tante, sono partito motivato come sempre, ma non basta la motivazione: servono anche le gambe. E oggi per fortuna c’erano. C’è un po’ di amaro in bocca perché poteva essere una buona opportunità, ma niente da dire… Siamo qua, abbiamo dimostrato di essere presenti ed è già qualcosa di molto importante».

Velasco parla di amaro in bocca: chiaramente il riferimento è alla caduta di Ivan Romeo a circa 20 chilometri dall’arrivo. Una curva verso destra, la strada bagnata, lo spagnolo va giù. Velasco è in seconda ruota e ha meno tempo di reazione degli altri… Ciononostante riesce a salvarsi, ma va lungo. E mette il piede a terra.

«Sì – riprende l’elbano della XDS-Astana – la caduta ha un po’ rotto le scatole. Guardando il bicchiere mezzo pieno, nella sfortuna sono stato fortunato a non finire in terra anche io. Non so se sia stata bravura, fortuna o qualche vecchia dote dalla mountain bike che mi ha permesso di restare in piedi, ma resta il fatto che proprio dopo quel momento hanno attaccato. A quel punto la storia per giocarsi la tappa si è fatta complicata. Qualcuno ha anticipato, qualcun altro è rientrato. Io ho provato a fare il mio meglio».

Velasco firma autografi ai bambini. Oggi era quantomai determinato ad andare in fuga
Velasco firma autografi ai bambini. Oggi era quantomai determinato ad andare in fuga

Un istante decisivo

Dal racconto di Velasco si capisce come davvero l’istante della caduta di Romeo sia stato l’ago della bilancia della Nantua-Pontarlier. Sono attimi, i corridori sono tutti al limite, basta un nulla per fare la differenza.

«Oltretutto – prosegue – ho avuto anche la sfortuna che a me non mi ha neanche spinto nessuno per ripartire. Avevo anche il rapporto lungo, venendo dalla discesa e quindi ho dovuto fare tutto da solo. E questo ha aumentato il distacco dai tre davanti. Ho ricevuto due cambi da un ragazzo della Total Energies (Jegat, ndr), ma lui ormai era “morto” perché, essendo in lotta per la classifica generale, aveva tirato tanto prima… E anche per tutti noi le energie erano quelle che erano. Niente da fare, è andata così».

«Poi – riprende Simone dopo una breve pausa – va detto che non è stata una gara che abbia brillato per tattica. Anche il Tour sembra si corra da juniores, con attacchi da tutte le parti e tattiche non sempre chiare. Ho visto uomini di classifica cadere e i loro compagni davanti attaccare».

E in effetti qualche tattica azzardata o insolita si è vista. E poi una cosa, che ci faceva notare anche Marco Marcato, diesse della UAE Emirates, parlando al mattino prima della tappa: chi attacca per primo vince.

«Anche questo è vero – conferma Velasco – e come è stato già detto durante il Tour (tra questi anche Campenaerts, ndr), le moto giocano un ruolo importante in queste occasioni. Magari dalla tv non ce se ne rende conto, ma anche oggi c’erano tante moto che facevano quasi da scudo a chi attaccava, e questo aiuta. Ma nessuna polemica: fa parte del gioco. Vorrà dire che proverò ad attaccare anche io un po’ prima la prossima volta».

Con un ottimo sprint Simone si prende la quarta piazza. Una dimostrazione ulteriore che la gamba c’era eccome
Con un ottimo sprint Simone si prende la quarta piazza. Una dimostrazione ulteriore che la gamba c’era eccome

Un Tour positivo

Velasco però il suo l’ha fatto in questa Grande Boucle. Due top ten, quattro fughe (compresa quella sul Ventoux), e buone prestazioni anche nelle prime frazioni, dove si è fatto vedere. A Boulogne sur Mer era persino nel drappello che si è giocato la vittoria.

«Direi che è stato un Tour positivo – dice Velasco – e sinceramente potevo fare ancora qualcosa di più. E’ mancato l’acuto per vincere una tappa, però è chiaro che tutti vogliono vincere una tappa al Tour: non è facile. L’importante è che ci abbiamo provato e abbiamo fatto il possibile. Forse potevamo fare qualcosa meglio nelle settimane centrali, per qualche fuga che ci è scappata, ma oggi abbiamo dimostrato comunque che quando ci siamo, siamo della partita».

Il riferimento al “qualcosa di più” è sostanzialmente alla tappa di Carcassonne, quando una caduta nelle fasi di avvio ha compromesso i piani della XDS-Astana.

«Esatto, Carcassonne – spiega Simone – sinceramente era una tappa a cui avevo veramente puntato, ma sono rimasto nella caduta e da lì in poi il gruppo si è rotto. Non sono mai più riuscito ad entrare davanti. Anche lì credo che siano un po’ dinamiche strane, perché tanti corridori di classifica cadono, rimangono coinvolti e i loro compagni davanti attaccano a tutta per andare in fuga. Credo che siamo arrivati veramente a un ciclismo esasperato. In questi casi sono della vecchia scuola, per il fair play».

Anche se oggi non ha preso punti, Jonathan Milan ha ipotecato la maglia verde. Eccolo all’arrivo scortato dai compagni
Anche se oggi non ha preso punti, Jonathan Milan ha ipotecato la maglia verde. Eccolo all’arrivo scortato dai compagni

Jonathan e Simone a Parigi

Quella di Pontarlier è anche la frazione che ha sancito un altro verdetto: la maglia verde per Jonathan Milan. Il gigante della Lidl-Trek taglia il traguardo senza festeggiare troppo. Sappiamo che è un po’ scaramantico e che aspetterà la linea bianca dei Campi Elisi per urlare… magari per la terza vittoria.

A lui, come a Tadej Pogacar e a tutti gli altri 159 corridori rimasti in corsa, non restano che 132 chilometri. Non era proprio Pogacar che contava i chilometri che restavano a Parigi? Solo che Jonny ha un impegno in più: la barba verde… Siamo curiosi di vedere come si concerà e siamo curiosi anche di vedere come andrà la sfida sul circuito con Montmartre.

Una sfida che potrebbe vedere ancora protagonista Simone Velasco. «Se domani ci provo o porto la bici all’arrivo? Visto che la gamba è buona, vediamo di essere presenti anche domani. E’ chiaro che oggi è stata una giornata veramente dura, quindi recuperare le forze non sarà facile. Però a Parigi ci sarà da fare l’ultima faticata… quindi cerchiamo di farci trovare pronti».

Design funzionale, unico e distintivo. Il test delle Fizik Vega Carbon

26.07.2025
6 min
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La nuova Fizik Vega Carbon non è una calzatura come le altre. L’azienda veneta offre sempre spunti interessanti in fatto di soluzioni tecniche, di fitting ed ergonomia, tutti fattori che messi insieme permettono ad una calzatura da bici di fare l’effetto wow.

Non è una calzatura estrema. Vega Carbon ci ha sorpreso per l’elevata rigidità complessiva e di quanto la stessa calzatura offra un sostegno centrale che è decisamente superiore alla media. Vega Carbon è l’esempio lampante di quanto sia il perfetto abbinamento tra gli elementi a creare la prestazione ottimale e non il singolo componente. Ecco le nostre considerazioni.

Fizik Vega Carbon colpisce subito per le sue forme, ma c’è tanto da argomentare
Fizik Vega Carbon colpisce subito per le sue forme, ma c’è tanto da argomentare

Le nuove Fizik, viste in primavera

Osservate ed approfondite in primavera, grazie al Product Manager Fizik Alex Locatelli, ufficializzate ad inizio maggio. Le abbiamo provate ora, in piena estate e nel corso di alcune giornate calde, contesti ambientali che permettono di avere realmente il polso (o la caviglia) delle Vega Carbon. In parte ricordano le Powerstrap, con un chiaro riferimento ad una parte della tomaia, al suo materiale e costruzione. Di fatto sostituiscono le Stabilita, con le quali (tecnicamente) condividono solo il sistema di chiusura con i rotori Boa (Li2). Al lato pratico la Vega Carbon è una calzatura con un’anima tutta sua.

Una suola in carbonio nascosta, che mostra la fibra nel punto di ancoraggio della tacchetta ed una sorta di scheletro centrale portante nella sezione mediana. La zona della talloniera è un mix di soluzioni, con la parte bassa (visibile) che è una sorta di contenitore, mentre il guscio vero e proprio è al di sotto della tomaia. L’indice di rigidità nella scala Fizik è 10, ma come scritto in precedenza non è il valore del singolo componente a primeggiare, ma l’insieme delle sezioni che devono performare all’unisono e fare la differenza.

La tomaia è in filato Aerowave PRO, arcigno, super resistente e contenitivo, tanto traspirante. Integra una sorta di calza/collare nella zona della caviglia e nella prima parte del collo del piede, che ferma e stabilizza tutto il piede, limitando il serraggio dei rotori Boa e quindi contenendo le pressioni generate dei cavi. A destra e sinistra ci sono degli inserti in TPU che seguono l’angolo di tiro dei rotori, con i passanti costruiti con lo stesso materiale e ben strutturati.

Fasciante e ultra aderente

E’ una calzatura che fascia completamente il piede: un aspetto per nulla banale che crea anche una sorta di auto-sostegno. Infatti, non di rado c’è la sensazione che il sistema di chiusura sia posizionato per completare l’impatto estetico e adeguare il volume superiore della tomaia. La scarpa non si muove, non tende a scivolare, non trasmette la sensazione di slittare via, dietro e soprattutto nella sezione superiore, anche quando i cavi sono lenti. Buona parte del merito è della tomaia, grazie al suo disegno ed al fatto che, se pur mantenendo un’elevata elasticità e capacità di adeguarsi alle forme del piede, diventa un tutt’uno proprio con l’estremità corporea.

Entra in gioco anche lo shape della suola, molto diverso da Powerstrap e da Stabilita, una soluzione tecnica che influisce in modo esponenziale sul movimento della caviglia e sulla sua libertà. La scarpa è “più dritta” ed è più semplice trovare l’allineamento ottimale ginocchio/scarpa/pedale. Si ha la sensazione costante di non “affondare” con il tallone, neppure quando si è stanchi, a tutto vantaggio della spinta e del comfort. Qui entra in gioco la bontà costruttiva e di design della suola, ben equilibrata, equilibrio che ritroviamo in quella sensazione di sostegno centrale, anche senza plantari customizzati e senza che la stessa suola diventi “ingombrante” nella zona dell’arco plantare. E poi la punta larga, che offre dei benefici soprattutto nel lungo periodo con le dita che sono libere di muoversi e restano distese. Il design della Vega Carbon aiuta a sfruttare l’appoggio di tutto il piede, dal tallone fino alle dita.

In conclusione

Fizik Vega Carbon è una calzatura tanto gratificante e “diversa” sotto il profilo estetico, quanto performante e ultra fasciante. E’ una calzatura da inserire in una categoria di prodotti dedicati all’agonismo, perché una volta completata la naturale fase di adattamento, una resa tecnica elevata è uno dei primi fattori che emerge ed è lampante. Piede dritto sul pedale e caviglia completamente libera, per nulla condizionata da una talloniera troppo alta, eccessivamente rigida ed invasiva. Il sistema di chiusura diventa una sorta di regolatore di fino del volume e della taglia, ma non è lui a bloccare la calzatura al piede. E’ ben presente, aiuta a completare in modo adeguato il pacchetto performance, ma è il fitting complessivo ed il fatto che la scarpa Fizik si comporta come un guanto, i fattori che fanno realmente la differenza.

Infine una menzione al prezzo. 390 euro non sono briciole, ma è sempre necessario valutare il rapporto che il prezzo ha con il relativo posizionamento sul mercato e la Vega Carbon rientra in una fascia molto alta, al netto dell’impiego di materiali innovativi ed un concetto costruttivo avanzato. 390 euro sono un prezzo che è al di sotto della media.

Fizik

Niewiadoma-Vollering e le altre. Borgato fa le carte al Tour Femmes

26.07.2025
8 min
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Un cavalcata di quasi 80 chilometri da bere tutta d’un fiato per conoscere stasera la prima maglia gialla del Tour Femmes all’ora dell’aperitivo. Si apre in Bretagna la quarta edizione della Grande Boucle femminile in un weekend in cui si incastrerà cronologicamente con la corsa maschile seppur a distanza, prima che il menù delle donne da lunedì proceda con una conformazione più tradizionale ed autonoma.

Frizzanti saranno pure le giornate fino alla quinta tappa, anticipando le ultime quattro frazioni alpine nelle quali le montagne potrebbero diventare dure da digerire. Il conto alla rovescia per l’assalto al trono della vincitrice uscente Niewiadoma è finito (in apertura foto Tour de Suisse/UCI WWT). Nove tappe (nessuna cronometro) da oggi a domenica 3 agosto per un totale di 1165 chilometri e 17240 metri di dislivello con 154 atlete al via in rappresentanza di 22 formazioni.

Questi numeri li abbiamo sottoposti a Giada Borgato sovrapponendoli ai nomi delle possibili protagoniste del Tour Femmes, tenendo conto di ciò che hanno espresso il Giro Women due settimane fa e la stagione finora. La commentatrice tecnica di RaiSport apre il ventaglio di soluzioni mantenendo le idee chiare come sempre, senza sottovalutare eventuali evoluzioni tattiche che potrebbero riguardare chi parte a fari spenti.

Qual è la tua impressione sul percorso?

Hanno disegnato un Tour Femmes come il 2024. Prima parte dedicata alle ruote veloci e per chi vuole andare in fuga. La quinta tappa di media montagna fa da spartiacque perché poi ci sarà salita fino alla fine. Insomma, c’è spazio un po’ per tutti, dalle velociste alle attaccanti fino, naturalmente, alle donne di classifica.

C’è una tappa in più rispetto agli altri anni, così come sarà il Giro Women 2026. Pensi che possa incidere questo aspetto nell’economia della gara?

Direi proprio di no, anzi è giusto che siano nove tappe. Per il livello attuale del ciclismo femminile, queste atlete non avrebbero problemi ad una gara a tappe di dieci giorni, come il Giro di qualche anno fa. Detto questo, ce ne sarà abbastanza per le ragazze che dovranno affrontare tre tappe da 160 chilometri, un paio con dislivelli alti, di cui una con l’arrivo al Col de la Madeleine dopo 20 chilometri di salita.

Balsamo (qui vincente al Tour de Suisse) a Plumelec può conquistare la prima maglia gialla
Balsamo (qui vincente al Tour de Suisse) a Plumelec può conquistare la prima maglia gialla
Invece quanto influirà la componente stress, che si preannuncia immancabile?

Quello purtroppo ci sarà fin dalla prima tappa e, anche se spero di sbagliarmi, temo che ci saranno anche cadute dovute alla tanta tensione in gruppo. Vollering l’anno scorso ha perso il Tour per una caduta, non perché le mancassero le gambe. Tutte vorranno e dovranno stare attente e davanti, specialmente le leader per la generale. In questo senso, le prime tappe saranno difficili perché potrebbero non esserci volate scontate.

Buttiamo uno sguardo alle atlete partendo dalle velociste. Wiebes-Balsamo per la maglia verde?

Certo, ma non solo. Innanzitutto loro due potrebbero sfidarsi per la prima maglia gialla. La nostra Balsamo può regalarci questa gioia, tenendoci accese le speranze come è stato con Milan al Tour uomini, magari con un altro esito. Elisa ha fatto una preparazione mirata per il Tour Femmes ed il finale di stagione. In ogni caso oltre a lei e Wiebes, che ha vinto la classifica a punti al Giro, non dobbiamo escludere Kool che ha vinto le prime due frazioni dell’anno scorso o Vos che ha vinto l’ultima maglia verde. Nella lotta inserisco pure Paternoster che potrebbe essere una sorpresa. Tra le velociste sarà una bella sfida.

Apriamo il capitolo invece per la vittoria finale con tanta concorrenza. Vollering parte con i favori del pronostico?

L’anno scorso Niewiadoma si è guadagnata e meritata il successo del Tour Femmes proprio sull’olandese. Kasia sarà molto motivata per confermarsi, visto che ha impostato buona parte della sua stagione su questo appuntamento. La vedo però mezzo gradino sotto Vollering. Entrambe hanno squadre forti, ma dico che Demi è favorita per ciò che ha detto l’annata. Finora ha vinto quasi tutte le gare a tappe a cui ha partecipato: Valenciana, Vuelta, Itzulia e Catalunya, finendo seconda al Tour de Suisse alle spalle di Reusser.

Giada Borgato ha commentato Giro NextGen e Giro Women assieme ad Umberto Martini
Giada Borgato ha commentato Giro NextGen e Giro Women assieme ad Umberto Martini
A proposito, cosa potrebbe fare la svizzera della Movistar?

Reusser ha fatto due mesi favolosi rischiando di vincere anche il Giro. Ha chiuso in calando perché, come ha detto lei, negli ultimi tre giorni era malata. Per come l’abbiamo vista ad Imola, credo che possa avere perso quello smalto e quella adrenalina, però se ha recuperato bene le energie nervose, penso che possa tenere molto bene su tante tappe di montagna.

La SD Worx-Protime come la vedi?

E’ una squadra che può puntare sempre in alto con Kopecky e Van der Breggen. Lotte ha corso il Giro in funzione delle compagne poi si è ritirata per un problema alla schiena per non compromettere il Tour. Vanta già due secondi posti a Giro e Tour e ha mostrato doti indubbie in salita. Sulla carta il percorso sembra un po’ duro per Kopecky, però lei ha un grande carattere e può fare qualsiasi cosa. Per Anna invece bisogna capire come è uscita dal Giro. Potrebbe avere qualcosa in più da spendere. Parliamo comunque di due fenomeni. Attenzione però ad altre atlete…

Gigante ha vinto due tappe al Giro Women. Per Borgato l’australiana della AG Insurance in salita può impensierire tutte le favorite
Gigante ha vinto due tappe al Giro Women. Per Borgato l’australiana della AG Insurance in salita può impensierire tutte le favorite
A chi ti riferisci?

La prima che mi viene in mente è Pauline Ferrand-Prevot. In pratica è tornata a correre su strada perché puntava forte sul Tour Femmes. Per la generale c’è anche lei, nonostante si sia un po’ nascosta. Ad aprile, dopo la vittoria della Roubaix, aveva detto che avrebbe dovuto e voluto perdere un po’ di peso per essere competitiva ad agosto.

Al Giro Women eri stata buona profeta per Gigante nelle tappe che ha vinto. L’altro nome a cui pensi è lei?

Sì, esatto. Vedendola tra le partenti al Tour non posso non inserirla tra le favorite. Al netto del recupero e della preparazione, Gigante in salita ha dimostrato di essere nettamente la più forte e per me è l’unica che può impensierire Vollering. Ha una bella formazione, molto adatta alle tappe mosse, con compagne forti come Ghekiere e Le Court. Spero che impari a correre, tenendo le giuste posizioni in gruppo. Se non perderà tempo nelle tappe iniziali, sarà una cliente scomoda per tutte.

Uscendo dalla zona podio, chi può rientrare nella top 5 o top 10?

Ce ne sono diverse da tenere in considerazione. Malcotti della Human, Rooijakkers e Pieterse della Fenix-Deceuninck, Vallieres e Kerbaol della EF Education-Oatly, Mavi Garcia nonostante l’età (con i suoi 41 anni è la più “grande” al via, ndr). Fisher-Black della Lidl-Trek punta a fare molto bene e infine sono curiosa di vedere Bunel (vincitrice dell’Avenir Femmes 2024, ndr) della Visma | Lease a Bike in coppia con Ferrand-Prevot.

Longo Borghini ha annunciato che al Tour Femmes non curerà la generale, ma giorno dopo giorno può inserirsi nella lotta
Longo Borghini ha annunciato che al Tour Femmes non curerà la generale, ma giorno dopo giorno può inserirsi nella lotta
Cacciatrici di tappa, su chi puntiamo?

E’ una lista di partenti molto ricca, ce n’è per tutte, ma bisognerà capire gli ordini di squadra. Ad esempio la Canyon//Sram zondacrypto ha Bradbury che può fare classifica, quindi c’è da vedere se lasciano spazio a Paladin o Dygert per le fughe. Mentre Ludwig dovrà aiutare in salita, quindi sarà meglio che si risparmi. La EF ha una formazione forte che sa andare all’attacco e penso a Faulkner. La Lidl-Trek potrebbe liberare Brand, Norsgaard o Van Anrooij per azioni da lontano, così come Lippert della Movistar o ancora De Jong e Edwards della Human.

Teniamo apposta per ultima Longo Borghini. A fine Giro ha specificato che in Francia non curerà la generale. Secondo Giada Borgato sarà così?

Per me Elisa ha fatto bene a tenere i piedi per terra, proprio come aveva dichiarato prima del Giro Women. Sa correre, ha una squadra attrezzata e vedrà giorno dopo giorno. Ho visto comunque che ha fatto una bella preparazione, con allenamenti duri e lunghi, quindi penso che sarà pronta. Arriva col morale alto e poi ha un conto aperto col Tour Femmes che vuole saldare.

Tante medaglie e tanti segnali. Salvoldi mette un po’ d’ordine

26.07.2025
5 min
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Una trasferta per certi versi difficile quella vissuta dalla nazionale italiana ad Anadia (POR) per gli europei juniores e under 23 su pista. Siamo nell’anno postolimpico e Dino Salvoldi ha spesso specificato come questa stagione sia importante per cercare risposte nella costruzione della nazionale che poi dovrà andare a caccia della qualificazione olimpica. Dall’altro lato la ristrutturazione dei quadri tecnici ha avuto un effetto, rallentato i tempi di lavoro e per questo il testo lusitano era visto non senza apprensione.

Proprio da queste considerazioni parte l’analisi del tecnico azzurro, che visti suoi incarichi deve anche differenziare più di prima l’occhio verso i più giovani come verso coloro che sono alle porte della nazionale maggiore.

Ad Anadia l’Italia ha conquistato complessivamente 22 medaglie di cui 9 d’oro, finendo seconda nel medagliere
Ad Anadia l’Italia ha conquistato complessivamente 22 medaglie di cui 9 d’oro, finendo seconda nel medagliere

«Complessivamente sono chiaramente soddisfatto, ma devo fare un distinguo. Per gli juniores ho la consapevolezza di aver fatto il percorso giusto e di aver presentato una squadra competitiva. Al contrario, negli under 23 avevo un po’ di dubbi perché c’è stata discontinuità nella preparazione, oltre al fatto di avere iniziato tardi. Per una serie di imprevisti non abbiamo avuto modo di prepararci e quindi arrivare con i ragazzi al meglio delle loro potenzialità».

Alla luce di questo i risultati (ricordando che l’Italia ha chiuso seconda nel medagliere) assumono quindi una luce diversa?

Sì, perché ho avuto delle conferme, ma soprattutto indicazioni utili in prospettiva, sul materiale umano che abbiamo a disposizione.

Ancora un titolo europeo per Davide Stella, che ha svettato nello scratch. Per Salvoldi è un punto fermo
Ancora un titolo europeo per Davide Stella, che ha svettato nello scratch. Per Salvoldi è un punto fermo
Queste difficoltà si sono ad esempio tradotte nell’impegno dell’inseguimento a squadre U23: quel bronzo ti ha lasciato un po’ l’amaro in bocca?

Alla fine il bronzo è stato un premio – risponde Salvoldi – perché è arrivato dopo tre prove e siamo andati progressivamente meglio. Potrei dire che la terza è stata la prima gara interpretata bene, con tutti gli automatismi proprio perché prima si sono visti i problemi della mancanza di lavoro insieme. E’ stata una prestazione consona a al livello che avevamo in quel momento. Sono tutte indicazioni che ho tratto e incamerato, i problemi tattici che abbiamo riscontrato ci serviranno per il futuro. Il tempo di lavoro mancato poi in gara lo paghi. E’ un bronzo che premia l’applicazione dei ragazzi, ma che non rispecchia il loro reale valore.

Parlavi prima degli juniores. Facendo il paragone con la generazione precedente, quella che adesso è under 23, che valore ha questa?

Vorrei innanzitutto sottolineare che è il quarto anno di fila che vinciamo e sempre con prestazioni cronometriche importanti. Sono frutto di un lavoro continuativo, che per i secondo anno è iniziato nel 2024 mentre per i nuovi è iniziato a dicembre inserendoli progressivamente. E’ un flusso continuo, che poi andrà avanti col cambio di categoria. Io con i ragazzi sono stato chiaro, questo è un anno dove si deve lavorare il più possibile perché probabilmente i mondiali 2026 saranno già qualificativi per Los Angeles e dovremo farci trovare pronti.

Vittoria nella corsa a punti per Juan David Sierra, dedicata al compianto Samuele Privitera
Vittoria nella corsa a punti per Juan David Sierra, dedicata al compianto Samuele Privitera
Proprio per le difficoltà che dicevi prima a proposito degli under 23, le vittorie di Sierra e di Stella hanno magari quel pizzico di valore in più perché raggiunte proprio non essendo al massimo della condizione?

Sì, infatti loro hanno questa grande abilità anche di tattica e di conduzione del mezzo. Anche se non sono al 100 per cento riescono comunque ad essere competitivi in quel tipo di gare, corsa a punti e scratch in quest’occasione. Io non mi preoccupo, è stato solo un problema di tempistica, secondo me più avanti, proseguendo nel lavoro, avremo molte più indicazioni. L’anno prossimo, quando partiremo dall’inizio, iniziando gli allenamenti prima, avremo un altro tipo di riscontri. In prospettiva, alcuni di questi giovani oggi under o juniores, potranno andare ad implementare il gruppo degli elite. Adesso c’è ancora un gap, serve lavoro costante.

E’ pesato il ritorno dei russi?

A livello juniores, ne avevamo già incontrati lo scorso anno ai campionati del mondo. Sono sempre stati forti, hanno sempre avuto grande tradizione e quindi non sono certo una sorpresa. Vedremo quanti e quali di loro continueranno a progredire, ma dobbiamo considerarli un fattore anche in ottica olimpica.

Renato Favero ha chiuso secondo nell’inseguimento, battuto dall’inglese Charlton. 3° Giaimi
Renato Favero ha chiuso secondo nell’inseguimento, battuto dall’inglese Charlton. 3° Giaimi
E ora?

Ora si torna a lavorare a testa bassa – avverte Salvoldi – perché dal 20 al 24 agosto abbiamo i campionati del mondo juniores che per noi sono il vero obiettivo. Questo è stato il primo passaggio, il primo momento di confronto, il mettere il numero sulla schiena dopo tanti allenamenti fatti insieme. Quindi adesso abbiamo un altro mese per arrivare al top della condizione. Con gli Under invece iniziamo a lavorare insieme agli elite per i mondiali di ottobre che ci daranno altre risposte in funzione del nostro vero target, la qualificazione olimpica. Abbiamo fatto delle buone prestazioni, 3’51” del quartetto nella finalina è tanta roba, ma dobbiamo renderci conto che non c’è tempo da perdere, perché le qualificazioni olimpiche sono davvero dietro l’angolo…

Cà del Poggio riunisce i muri del mito. E Ballan racconta

26.07.2025
6 min
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Cà del Poggio, Muro di Grammont, Mur de Bretagne: è il nuovo gemellaggio del ciclismo. Un gemellaggio di passione, fatica, pendenze a doppia cifra. Tre muri che uniscono tre simboli, tre templi che raccontano tre epoche del ciclismo. La strada che sale all’improvviso, la folla, la fatica…

Le delegazioni del Muro di Ca’ del Poggio, del Muro di Grammont e del Mur de Bretagne si sono incontrate in occasione della settima tappa del Tour de France.

Da sinistra: il sindaco di Guerlédan Eric Le Boudec, il sindaco di San Pietro di Feletto Cristiano Botteon, il patron del Tour de France Prudhomme e Celeste Granziera

L’idea di San Pietro di Feletto

La rappresentanza trevigiana era guidata da Cristiano Botteon e da Celeste Granziera, che è anche il coordinatore del gruppo di lavoro formato dai rappresentanti dei Comuni in cui si trovano i tre Muri: San Pietro di Feletto per Ca’ del Poggio, Geraardsbergen per Grammont e Guerlédan per il Mur de Bretagne.

«Si tratta di un progetto di cooperazione tra i Muri – ha detto Botteon – un’iniziativa in cui credo molto e che andrà al di là dello sport, per abbracciare tre territori molto diversi tra loro, ma accomunati dalla medesima vocazione per il ciclismo».

Tra rapporti da consolidare e nuove iniziative da pianificare, si è parlato anche di un grande sogno, tutto trevigiano, per la stagione ciclistica 2026: un arrivo di tappa del Giro d’Italia nel cuore delle colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, con il Muro di Ca’ del Poggio ancora una volta protagonista.

Il Giro d’Italia è transitato a Ca’ del Poggio anche nell’ultima edizione
Il Giro d’Italia è transitato a Ca’ del Poggio anche nell’ultima edizione

Ballan, nostra guida d’eccezione

E questi tre Muri li raccontiamo con l’aiuto di Alessandro Ballan. L’ex iridato li ha affrontati tutti e tre, tutti e tre in corsa, e uno soprattutto rievoca i ricordi di una vittoria indelebile: chiaramente parliamo del Grammont e del suo Giro delle Fiandre.

Partiamo da Ca’ del Poggio: si tratta di uno strappo di poco più di un chilometro, sulle colline del Prosecco.

«Ca’ del Poggio – dice Ballan – è un muro che ricordo soprattutto per il campionato italiano che vinse Giovanni Visconti. Io quel giorno arrivai terzo, anche se il percorso non era troppo adatto a me, visto che si affrontava per ben 12 volte questo muro. Sì, sono un corridore da classiche, da muri, ma non da corse con 4.000 metri di dislivello. Pensavo di attaccare negli ultimi 2-3 giri, ma trovai un Visconti fortissimo. Nonostante ciò ho un bellissimo ricordo di Ca’ del Poggio. Il mio ricordo è legato soprattutto al tifo: la strada è così stretta e pendente che si va pianissimo, e il tifo della gente ti entra nelle orecchie, lo senti a lungo. E’ qualcosa che non dimentichi facilmente».

Ballan dà anche un occhio tecnico: affrontarlo non è difficile solo per le pendenze, ma anche per come ci si arriva.

«Il muro arriva da una pianura molto veloce. C’è una svolta secca a destra e poi subito una rampa sopra il 20 per cento. Una rampa che fa molto male e che resta ripida fino a quasi sotto il ristorante, il cui proprietario è, diciamo, il vero inventore di questa stradina tra le colline del Valdobbiadene. Tra l’altro, se capitate da quelle parti in bici, fermatevi in quel ristorante: si mangia bene tutto, ma in particolare i piatti a base di pesce. Io apprezzo molto i loro risotti».

Alessandro Ballan sul Grammont: questo scatto lo consacrò tra gli Dei della Ronde
Alessandro Ballan sul Grammont: questo scatto lo consacrò tra gli Dei della Ronde

Da Ca’ del Poggio al Grammont

Passiamo a un altro muro: il Grammont. Questo sì che è un vero tempio del ciclismo, un’icona assoluta. E lo era soprattutto con il vecchio percorso del Giro delle Fiandre, ma ancora oggi è una meta per gli appassionati.

«Il ricordo più forte che mi lega al muro di Grammont – dice Ballan – è legato al boato. Un boato fortissimo che c’era in cima quando si usciva dal tratto duro e ci si avvicinava alla chiesetta di Geraardsbergen. Un boato che apprezzai moltissimo, nonostante fossi un rivale di Tom Boonen e nonostante in volata, in quel Fiandre, battei Hoste che era un belga. Però ero un corridore di fatica. Ho fatto anche molti piazzamenti. E credo che sia grazie a tutto questo che mi sono guadagnato il loro rispetto e il loro affetto».

Il Muro di Grammont è veramente impegnativo. La salita inizia già prima del muro vero e proprio, in paese, tra due ali di folla. Poi la strada si restringe e la pendenza aumenta. Il fondo è in pavé.

«All’inizio – riprende Ballan – il pavé è quello tipico delle Fiandre: pietre molto smosse e distanti tra loro. Questo complica ancora di più la salita. Non si tratta solo di pendenza. Quando invece si esce dalla stradina ripida e ci si avvicina alla chiesa, resta sempre pavé, ma le pietre sono più levigate, compatte e vicine. La fatica non cambia, soprattutto perché al Fiandre lo si affrontava dopo 250 chilometri e le sensazioni cambiavano anche in pochi chilometri. Per esempio, l’anno in cui vinsi non stavo affatto bene. Tentai quasi lo “scatto del morto” come si dice in gergo. Poi mi voltai ed ero da solo. A quel punto le energie tornarono all’improvviso e riuscii a scappare».

Il muro di Grammont misura poco più di un chilometro, la pendenza massima è del 18 per cento e si raggiunge nel tratto centrale, molto stretto (poco più di tre metri). Tutto questo complica la scalata, ma ne fa un simbolo assoluto del ciclismo.

Il Tour sul Mur de Bretagne giusto un paio di settimane fa
Il Tour sul Mur de Bretagne giusto un paio di settimane fa

Finale sul Mur de Bretagne

Chiudiamo con il più giovane: il Mur de Bretagne. Il Tour de France l’ha affrontato per la sesta volta un paio di settimane fa, con la vittoria di Tadej Pogacar. Ballan lo affrontò nel Tour del 2008.

«Ricordo – spiega – che arrivava anche in quell’occasione in una delle primissime tappe, e ricordo che mi sfilai quasi subito. Non avevo affatto belle sensazioni. Tanto è vero che pensai: “Ma chi me lo ha fatto fare? Come ci arrivo a Parigi?”. Invece, tutto sommato, quel Tour andò anche bene».

Tecnicamente è una salita diversa rispetto alle altre due: forse è meno muro e più salita. Le pendenze sono più dolci e la strada in asfalto è molto più larga. L’inizio è abbastanza veloce.

«C’è un tratto centrale di circa 700 metri che fa veramente male. Se ben ricordo, non si scende mai sotto l’11 per cento, mentre il finale è più da rapporto: la pendenza scema un po’. Senza dubbio quello che ricordo del Mur de Bretagne è l’ambiente. Un tifo pazzesco, tantissima gente, anche più rispetto agli altri due muri. E’ il richiamo del Tour, dove il tifo è diverso, da grande evento. Un tifo per tutti, con ali di folla che ti accompagnano dal primo all’ultimo metro. Un tifo per tutti, ma in particolar modo per i francesi: era l’epoca di Voeckler, Chavanel, Pinot. Per loro era veramente un altro mondo».

Il bis di Arensman, per merito e grazia ricevuta

25.07.2025
5 min
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LA PLAGNE (Francia) – «Ho cercato di guardarmi dietro il meno possibile – dice Arensman – perché non è proprio necessario. Rischi solo di distrarti. Avevo la radio e mi dicevano che il vantaggio era più o meno stabile sui 30 secondi. Ma ho preferito non fidarmi e ho seguito il mio istinto. Mi sono concentrato solo sul traguardo, perché comunque non posso influenzare le gambe degli altri. Potevo solo andare il più veloce possibile, lottando contro il mio corpo. E’ l’unica cosa che si possa fare in quei momenti. Guardare avanti, mantenere una buona cadenza e dare il massimo per arrivare al traguardo. E’ quello che avrei dovuto fare e che ho fatto. E ne sono davvero orgoglioso».

Che cosa vogliamo fare? Ma Vingegaard non risponde e Pogacar smette di tirare
Che cosa vogliamo fare? Ma Vingegaard non risponde e Pogacar smette di tirare

Una partita di scacchi

Thymen Arensman, olandese di 25 anni in maglia Ineos Grenadiers, conquista la seconda tappa del suo Tour, dopo quella di Superbagneres. In realtà non si capisce quanto sia stato per il suo enorme merito e quanto per l’indulgenza degli inseguitori. La sensazione, in questo pomeriggio freddo e bagnato sulle Alpi francesi, è che Pogacar non fosse forte come al solito e che, in aggiunta, non abbia voluto servire la vittoria a Vingegaard che gli è rimasto a ruota per tutto il giorno. Avrebbe lasciato vincere anche Lipowitz, ma non il danese. Amici mai, lo abbiamo scritto a inizio Tour, e oggi se ne è avuta la conferma. La maglia gialla sembrava voler vincere e ha anche attaccato. Ma quando si è accorto di non poter fare il vuoto, ha chiuso sul primo allungo di Arensman e poi si è concentrato sul suo primato.

«Oggi abbiamo cercato di puntare alla tappa – dice Pogacar, infreddolito e stanco – perché ci sentivamo forti. Siamo stati bravi nel tenere la corsa, poi ci siamo accorti che alcuni corridori pensavano di potersela giocare allo sprint dopo una salita di 19 chilometri. Nessuno ha voluto tirare. Così ho fatto un attacco e ho pensato che con Jonas saremmo potuti arrivare in cima, ma Arensman era lì e oggi si è rivelato il più forte. Io ho cercato di impostare il mio ritmo. Ovviamente sono stanco, non è semplice essere attaccato dal primo all’ultimo giorno ed essere sempre concentrato e motivato. La priorità è la maglia gialla, quindi alla fine contavo i chilometri. Andavo avanti con la testa e speravo che nessuno mi attaccasse. E’ presto per parlare di una vittoria nella tappa di Parigi, sono abbastanza sfinito».

Pogacar non era al meglio, ha pensato alla classifica e incoronato Arensman
Pogacar non era al meglio, ha pensato alla classifica e incoronato Arensman

Il rilancio di Arensman

A fine 2022, Arensman aveva lasciato il Team DSM in direzione Ineos, con la convinzione che potesse diventare uno dei talenti per i Grandi Giri. In realtà le cose non sono andate come lui per primo si aspettava, ma questa seconda vittoria scattando dal gruppo dei migliori riaccende un riflettore che sembrava definitivamente buio.

«Forse ora posso avere un po’ più di fiducia nelle mie capacità – dice – so che posso vincere due tappe al Tour e ho la stoffa per essere tra i migliori. Ma sono anche un essere umano, ancora vivo e vegeto, ho i miei limiti e faccio del mio meglio. La tappa di oggi è una bella spinta per pensare nuovamente a una classifica generale. Non sono tanto le due tappe, quanto piuttosto come mi sono preparato dopo la caduta al Giro e in vista del Tour (Arensman era caduto facendosi male a un ginocchio nella tappa di San Valentino, ndr). Come mi sono preso cura del mio corpo, le scelte che ho fatto, la preparazione adottata con il mio allenatore. Abbiamo cambiato alcune piccole cose in questa stagione. Sono più calmo. Ho più fiducia in me stesso e nel processo. E penso che siano le cose principali che porto con me per i prossimi anni della mia carriera. Sono orgoglioso di questi cambiamenti, perché sembra che stiano funzionando».

Tra forza e astuzia

Il primo scatto rientrando da dietro ha avuto vita breve. Lo sloveno infatti aveva ancora in testa di vincere e ha chiuso facilmente il buco. Arensman lo ha guardato e ha capito che fra lui e Vingegaard non ci fosse grande feeling. Così si è spostato sul lato sinistro della strada ed è scattato ancora. Questa volta Pogacar si è guardato alle spalle, ha percepito l’assenza di reazione e ha lasciato fare.

«Sentire che Pogacar ha detto che sia stato il più forte – sorride – è un complimento davvero bello. Non riesco a sentire le sue gambe, ma sono sicuro che avesse e abbia ancora voglia di vincere un’altra tappa al Tour. Forse, se avesse avuto la forza giusta, avrebbe attaccato lui. Alla fine credo che fossero molto vicini a me, ma anche io avevo anche delle buone gambe e ho cercato di giocare d’astuzia. So che Jonas e Tadej a volte si guardano, così ho cercato di attaccare ancora e alla fine è stata la decisione giusta».

Neanche il tempo di arrivare e alle spalle di Arensman è piombata la maglia gialla
Neanche il tempo di arrivare e alle spalle di Arensman è piombata la maglia gialla

Il filo del passato

Si percepisce la voglia di essere là davanti e la fatica mentale di quando non ci riesci per così tanto tempo. Ritrovarsi a lottare contro Pogacar (sia pure in una posizione lontanissima di classifica) ha riacceso in Arensman dei ricordi che credeva sepolti.

«La prima volta che ho incontrato Tadej – racconta –  è stato durante il Tour de l’Avenir del 2018, quando arrivammo primo e secondo in classifica generale. Capii subito che è un corridore davvero speciale, un talento davvero grande. Io ero al secondo, lui al primo anno da under 23 e non mi aspettavo davvero che sarebbe diventato così forte. Ma fu davvero bello, per un diciottenne e un diciannovenne, sfidarsi in quella grande corsa. E ora sono qui al Tour de France, il mio primo Tour de France e ho già vinto due tappe. Se ripenso a quei giorni e mi rivedo oggi, è tutto molto speciale. E’ come un filo che si riallaccia e che ora finalmente potrò seguire».

Le mani di Gigio e le gambe di Milan: la verde è più vicina

25.07.2025
6 min
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LA PLAGNE (Francia) – Con i 20 punti conquistati nella volata al chilometro 12,1 e scalati quelli per il terzo posto di Pogacar, il vantaggio di Milan su Tadej nella lotta per la maglia verde è ora di 80 punti. Ad assistere al traguardo volante di Villard sur Doron c’erano anche Luigi Marchioro ed Eugenio Alafaci, i due massaggiatori della Lidl-Trek incaricati dell’arrivo. “Gigio” peraltro è anche il massaggiatore del friulano, per cui quando ci raggiunge ai 500 metri dall’arrivo, il suo sorriso è di quelli ottimisti (in apertura, i due sono insieme subito dopo la vittoria di Laval). Il vantaggio è grande, non ancora matematico, ma quasi. Nel frattempo in cima al monte ha iniziato a piovere e provvidenziale si rivela l’ombrello tenuto da Alafaci. La corsa è annunciata a 65 chilometri dal traguardo, c’è il tempo per farsi raccontare il “suo” Milan.

Nella carriera precedente, “Gigio” è stato il massaggiatore di Sonny Colbrelli. Quando poi nel 2021 alla Bahrain Victorious arrivò il velocista friulano, che a quel tempo era più un pistard che un grande stradista, gli fu affidato l’incarico di massaggiarlo.

«La prima volta che me lo sono trovato sul lettino – sorride – ho pensato: mamma mia che gambe, c’è tanto da lavorare! Aveva 21 anni ed eravamo in Belgio. E gli ho detto una cosa: “Quando scendi dal lettino, fatti una foto intera delle gambe e ogni anno continua a farla e vedrai lo sviluppo”. Fino all’anno scorso lo ha fatto di sicuro, perché me lo raccontava. Johnny è buono, è una persona speciale, con cui è nato un rapporto di grande fiducia».

L’incontro con Gigio (e con lui Alafaci), a pochi metri dal traguardo di La Plagne
L’incontro con Gigio (e con lui Alafaci), a pochi metri dal traguardo di La Plagne
A parte le foto, hai visto cambiare le sue gambe?

Anno dopo anno, è sempre meglio. Dall’anno scorso, da quando è entrato qua in Lidl-Trek, c’è stato un cambiamento ulteriore dovuto alla preparazione, all’età e anche alla testa. Vive per il secondo anno in una squadra che punta su di lui e gli dà gli uomini per fare lo sprint: crescere è davvero inevitabile.

L’altro giorno gli abbiamo chiesto se gli sia sembrato più duro il Mont Ventoux oppure le Tre Cime di Lavaredo del 2023, quando arrivò in cima in maglia ciclamino dopo aver avuto la febbre. Che cosa sono per lui queste salite?

Un handicap tremendo. Mi ricordo anche l’anno scorso quando al Giro fecero per due volte il passaggio del Monte Grappa, potevano fare anche la terza… Quando tratti un velocista puro dopo una tappa con tanta salita, le gambe sono belle toste, dure, incatramate. Però è un gusto massaggiarlo, perché ti fa lavorare bene. In più, come tutti gli altri ragazzi della nostra squadra – che siano italiani, francesi o belgi – quando finisci di fargli il massaggio, anche Milan ti mette la mano sulla spalla e ti dice grazie. E quella è una soddisfazione.

Com’è fatto il massaggio di Jonathan Milan?

Un massaggio bello, profondo, intenso, perché a lui piace così. La durata varia fra un’ora e un’ora e un quarto. Lui si rilassa, il bello è quello. Soprattutto quando si gira con la pancia in giù. Mi dice: “Guarda che adesso sto pensando”. E di solito significa che sta per addormentarsi (sorride, ndr).

La salita per un atleta imponente come Milan (1,96 per 87 kg) è un supplizio: le gambe dopo le tappe più dure richiedono grande lavoro
La salita per un atleta imponente come Milan (1,96 per 87 kg) è un supplizio: le gambe dopo le tappe più dure richiedono grande lavoro
Un massaggio tutto manuale oppure anche con qualche macchinario?

No, manuale. Poche volte con la Tecar, diciamo che all’80-90 per cento è sempre manuale. Dopo aver massaggiato Johnny per un’ora, anche io mi faccio i muscoli (ride, ndr).

Si massaggia tutto il corpo in modo omogeneo oppure ci sono delle differenze?

Dipende dalla tappa. Dopo una crono, sono uno che lavora sia sulle gambe sia sulla schiena. E dipende anche dalla tappa che è stata fatta il giorno prima della crono. Perché magari lavori già sulla schiena per dare un po’ più di elasticità. E la stessa cosa si fa dopo la crono, perché la posizione non è delle più comode e bisogna rimettere in sesto la schiena.

Il primo Tour è stato una prova anche dal punto di vista muscolare? L’hai sentito diverso rispetto ad altre corse?

Sì, assolutamente, il primo Tour è tutto diverso. Fisicamente, ma anche psicologicamente. Jonathan era venuto qua con l’ambizione di vincere la prima tappa, che avrebbe significato avere la maglia gialla. Non è andata bene, ma non per colpa sua, quanto per quel ventaglio. L’obiettivo è rimasto quello di vincere più tappe possibili e prendere la maglia verde. Diciamo che siamo vicini all’averlo centrato, con due vittorie e due secondi posti, che sarebbero potuti essere anche delle vittorie.

In questa foto fornita dallo stesso Gigio, un momendo di massaggio e relax con Jonathan Milan
Il massaggiatore è ancora oggi il vero confidente del corridore o sono abitudini superate?

Secondo me, se il corridore ha fiducia nel suo massaggiatore, si confida su tutto. Sapete benissimo che ho seguito Colbrelli e ho notato la stessa cosa che ora accade con Johnny. Non è che gli chieda qualcosa, è lui che spontaneamente inizia a parlare. Forse c’entra l’età, visto che potrei essere suo padre.

Un altro dei punti fermi di una volta recita che il massaggiatore riesca a capire dalle gambe se il corridore ha il grande risultato in arrivo.

Io penso sempre che il massaggiatore sia una figura importante per il corridore. Senti il muscolo, però senti anche come ti parla, la differenza tra un giorno e l’altro. Quando è arrivato secondo era furibondo, ma il giorno prima di vincere ancora, l’ha detto: “Domani non c’è Merlier che tenga, io domani vinco!”. Johnny è un po’ un testone, ma quando le dichiara, sbaglia poche volte.

Ti ha proposto Johnny di seguirlo alla Lidl-Trek?

Sì, è andata così. Eravamo nuovamente in Belgio e mi ha chiesto se volessi seguirlo. Io ero in scadenza di contratto con la Bahrain. Mi avrebbero tenuto, ma quando Johnny me l’ha chiesto ho avuto pochi dubbi: se ti trovi bene, non c’è motivo di interrompere la collaborazione. In più c’era anche un discorso legato alla sua famiglia, che per lui è fondamentale. E a casa sua avevano notato tutti che quando ci sono io, lui è sereno e tranquillo. E da lì è nato tutto, anche per fare un’esperienza nuova in una grande squadra.

Stamattina la Lidl-Trek ha preso in mano la corsa e lanciato Milan verso la vittoria del traguardo volante di Villard sur Doron, al km 12,1
Stamattina la Lidl-Trek ha preso in mano la corsa e lanciato Milan verso la vittoria del traguardo volante di Villard sur Doron, al km 12,1
Com’è quando ti arriva addosso al traguardo?

Che vinca, che perda o che arrivi a 45 minuti, la pacca sulla spalla si dà sempre, assolutamente. Perché io penso sempre che lui faccia più fatica di quello che vince, come tutti. Arriva e dice: “Quanta fatica anche oggi, quanta fatica anche oggi!”. E io gli rispondo: “Tieni duro, che fra poco è finita. Tieni duro, che fra poco è finita”. Cosa vuoi fare? L’abbraccio è sempre affettuoso e serve per dargli un po’ di carica, di fiducia, di sostegno. Vale per qualsiasi corridore, ieri sono andato a fare i complimenti anche a Simone Consonni, perché ho visto la sua fatica.

Secondo te Milan sta soffrendo più per la maglia verde o fu più dura con la prima ciclamino, soprattutto dopo che era stato male?

Bella domanda! Secondo me, sta soffrendo più per la maglia verde. E’ un simbolo che vuole portare a casa a tutti i costi. Per questo penso che oggi all’arrivo sarà contento.