Due anni da recuperare, ma Paternoster sta arrivando

15.05.2025
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Dopo le classiche, l’obiettivo di Letizia Paternoster è diventato il Tour de France Femmes. Riuscire a vincere una tappa sarebbe il modo di entrare fra le grandi e tenere il ritmo delle coetanee che, a vario titolo, hanno compiuto i loro passi verso l’alto. Basterebbe partire dal podio di Doha 2016, quando quel fantastico gruppo di ragazze fra il 1998 e il 1999 si affacciò (vincendo) sul mondo. Al centro Elisa Balsamo con la maglia iridata e a sostenerla proprio Letizia, Chiara Consonni e Martina Fidanza.

Sono passati nove anni, chilometri e tanta vita. C’è stato il Covid e ci sono stati gli incidenti. In tanti casi rimanere in equilibrio fra la realtà, le attese e i propri guai è già di per sé un’impresa, per cui essere riusciti a risollevarsi è segno di talento e determinazione. Così Letizia Paternoster sta risalendo le posizioni del gruppo. Si è smarcata dalla riduttiva etichetta di velocista. E’ tornata competitiva in pista. Ha imparato a non mettersi addosso pressioni troppo pesanti. E ora addenta le corse con altra consapevolezza, facendo i conti con la sua immagine pubblica che a molti basta e avanza per dare giudizi senza conoscere. La maledizione dei social colpisce spesso chi sui social è più forte.

Passaggio in Spagna

Fra le classiche e il Tour, con la condizione che le restava nelle gambe, la trentina si è trovata a passare per la Vuelta. E senza fare miracoli, ha portato a casa un secondo posto di tappa e ha vestito per un giorno la maglia rossa di leader. Poco al confronto di una leonessa come Marianne Vos, ma abbastanza per capire di aver trovato la chiave. E la stessa Vos, rileggendone la storia, a un certo della sua carriera di predestinata, ebbe un crollo che la costrinse a mettere un lungo punto.

«Ho iniziato la stagione con tanta pressione addosso – racconta – e questo al Nord mi ha fatto vivere dei brutti momenti. Il guaio è che me la mettevo da sola. L’anno scorso ero andata tanto forte e mi sono resa conto che non funziona affrontare certe corse solo con le attese e senza la mente libera. La Vuelta è servita per ritrovare testa e gambe e affrontare quel che verrà con un’altra consapevolezza».

Quattordicesima al Fiandre (qui con Niewiadoma), dopo il nono posto del 2024, pagando pegno alla tensione
Quattordicesima al Fiandre (qui con Niewiadoma), dopo il nono posto del 2024, pagando pegno alla tensione
Però è venuta la maglia di leader e soprattutto alle spalle Marianne Vos, una vera leggenda…

Ricordo che ero piccolina la prima volta che puntai la sveglia per vedere il mondiale del 2010 in Australia, avevo 11 anni. Lo ricordo perché era il primo mondiale di Rossella Callovi, che è una mia amica ed è trentina come me. E ricordo la vittoria di Giorgia Bronzini sulla Vos, che già quattro anni prima, a 19 anni, aveva vinto il mondiale di Salisburgo. Marianne Vos è un riferimento, un modello da seguire.

Che cosa ti ha detto la Vuelta?

Che ho ritrovato testa e gamba. Ci sono arrivata motivata, con la testa leggera e ho capito le mie possibilità. Mi sono scrollata di dosso il fatto di essere una velocista, anche se l’ho sempre saputo e me l’hanno sempre detto. Sono più leggera delle ragazze di 70 chili specializzate negli sprint, vado meglio sui percorsi ondulati, con arrivi sugli strappi. Infatti la seconda tappa della Vuelta aveva l’arrivo dopo l’ultimo chilometro che tirava tutto in salita.

Però le salite lunghe restano indigeste…

Non è tanto il dislivello, infatti, il mio problema è la durata delle salite, la lunghezza. Se le salite sono corte, ripide e non tanto lunghe, se sono in forma posso dire la mia. Per questo ad esempio, non so cosa pensare di mondiali ed europei. Un po’ perché non ho visto i percorsi e un po’ perché non voglio guardare troppo avanti.

Chi ti ha sempre detto che non sei una velocista?

Quasi tutti i tecnici con cui ho lavorato (sorride, ndr). Penso a Josu Larrazabal, il capo dei tecnici alla Lidl-Trek. Non faceva che ripetermelo e l’ultima volta che ci siamo visti in ritiro, perché eravamo nello stesso hotel, me lo ha ricordato.

Al Trofeo Binda, Paternoster ha tenuto bene sulla salita di Orino ed è stata quinta allo sprint vinto da Balsamo
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Si può dire che la parte più difficile in questa fase della carriera sia capire che atleta sei?

Assolutamente. Sto acquisendo adesso la piena consapevolezza, dopo aver perso quasi due anni per problemi di salute. Quello che avrei dovuto fare a 22 anni, io lo sto facendo adesso. Ho riscoperto la Letizia giusta. E grazie a Marco Pinotti e alla squadra, alla LIV-Jayco-AlUla, ho capito quali saranno le corse cui posso puntare.

Il Tour e non il Giro proprio per questo?

Esatto e sono super entusiasta. Non vedo l’ora di iniziare la preparazione per il Tour. Le prime 5 tappe hanno arrivi di questo tipo, che ricordano molto le classiche. La squadra pensa che sia la soluzione migliore per me, quindi andrò dritta in Francia. Il Tour non l’ho mai fatto, l’ho sempre solo guardato, quindi mi gasa tantissimo. Però insieme ho un dispiacere enorme nel non fare il Giro d’Italia. Appena hanno annunciato le tappe, ho visto quella che passa proprio da Cles e arriva a Trento e farla sarebbe stato un sogno. Però per il resto, devo ammettere che il Tour si addice molto di più alle mie caratteristiche.

Farai altura, sai già come ci arriverai?

Questa settimana è stata di respiro dopo le classiche e la Vuelta. Nella prima parte di stagione non ho mai staccato, se non in questi giorni. Prossima corsa sarà il Tour of Britain ai primi di giugno, quindi fra due settimane e mezzo. Poi vado in altura. Scendo per il campionato italiano con le Fiamme Azzurre. Ritorno in altura. E poi, il tempo di riadattarmi al livello del mare e vado dritta al Tour de France.

Linguaccia alla cattiva sorte e ripartenza: il Tour sarà per Paternoster un importante momento di verifica
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Sei passata definitivamente a lavorare con Pinotti, dopo il periodo a metà fra lui e Broccardo. E’ cambiato qualcosa?

Marco mi ha sempre detto che ho tantissimo margine. E quindi gradualmente stiamo aumentando il lavoro e facendo tutto nel modo giusto. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese. Sto crescendo e sta crescendo il carico di lavoro, per arrivare al mio vero valore. Ciclisticamente Dario è stato un padre, siamo in ottimi rapporti, resta un riferimento.

Quindi riassumendo, pochi viaggi mentali, pressioni al minimo e testa libera?

Esatto. E così arriverà tutto. Devo solo continuare in questo modo. Essere positiva con la testa, stare su e lavorare nel modo giusto. E poi la ruota girerà. Ne sono certa.