Petacchi: «Per il 2026 una Padovani rinnovata e più giovane»

06.09.2025
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MISANO ADRIATICO – La prima stagione della SC Padovani Polo Cherry Bank come team continental l’ha vista protagonista in tante corse, con un calendario ricco di appuntamenti sia tra i professionisti quanto all’estero. Il progetto portato avanti dal presidente Galdino Peruzzo insieme a Martino Scarso e Alberto Ongarato nato con l’intento di trovare il giusto mix tra esperienza e voglia di innovare ha messo una prima pietra importante per la sua crescita. La stagione 2025 sta volgendo al termine, e mentre alcuni dei ragazzi sono impegnati al Giro del Friuli si guarda già al futuro.

La SC Padovani Polo Cherry Bank ha corso anche con i professionisti, qui al Trofeo Laigueglia
La SC Padovani Polo Cherry Bank ha corso anche con i professionisti, qui al Trofeo Laigueglia

Tra Italia ed Europa

Allo stand di Dmt, nei giorni dell’Italian Bike Festival, è passato Alessandro Petacchi che della formazione veneta è il team manager. I suoi pensieri sono divisi a metà tra un bilancio del primo anno di attività e la voglia di crescere. 

«Siamo partiti poco più di un anno fa – ci racconta Petacchi – era il mese di agosto del 2024. Siamo riusciti a mettere in piedi un bel progetto e creare un organico interessante, con dei buoni corridori. Abbiamo anche preso le misure con un calendario che ci ha messi a confronto con i professionisti, ad esempio alla Coppi e Bartali e al Giro d’Abruzzo, dove abbiamo anche vinto la classifica dei GPM con Federico Guzzo».

Al Giro d’Abruzzo Federico Guzzo ha conquistato la maglia blu dei GPM (Photors.it)
Al Giro d’Abruzzo Federico Guzzo ha conquistato la maglia blu dei GPM (Photors.it)
Una squadra nata in poco tempo…

Non è stato semplice, perché quando ti trovi a prendere dei corridori e non hai nemmeno una maglia da mostrare loro diventa difficile convincerli. Ci siamo trovati a scegliere tra pochi atleti, ma per il prossimo anno la selezione diventerà più complicata. Per il 2026 stiamo lavorando al fine di avere una rosa giovane con corridori selezionati insieme al nostro futuro preparatore. 

Selezione mirata?

Siamo riusciti a trovare corridori di qualità che vanno forte in salita, cosa che un po’ ci è mancata quest’anno. Penso che dal prossimo anno saremo ancora più competitivi da questo punto di vista. La stagione ci sta vedendo attivi con qualche corridore che sta raccogliendo buoni risultati. 

Nella seconda tappa del Giro Next Gen Mirko Bozzola ha trovato un terzo posto alle spalle di due atleti dei devo team (Photors.it)
Nella seconda tappa del Giro Next Gen Mirko Bozzola ha trovato un terzo posto alle spalle di due atleti dei devo team (Photors.it)
Avete ufficializzato, nei giorni scorsi, tre nuovi innesti dalla categoria juniores…

Uno di loro sta correndo ora al Giro della Lunigiana (Riccardo del Cucina, ndr) e nella prima tappa si è comportato molto bene. Lui e Matteo Scofet hanno caratteristiche simili, mentre Kevin Bertoncelli è un passista e cercheremo di far emergere le sue qualità. 

Del Cucina lo hai visto correre giovedì al Giro della Lunigiana?

E’ stata la prima volta che sono riuscito a guardarlo dal vivo e mi è piaciuto veramente molto. E’ un ragazzo inquadrato e molto determinato, ha fatto tutto il mese d’agosto in altura prima di andare al Lunigiana. Nonostante avesse già preso un impegno con noi per il prossimo anno, ci teneva a far bene in quest’ultima gara. 

Marco Palomba sta trovando continuità e risultati, sarà uno degli atleti elite della SC Padovani del prossimo anno (Photors.it)
Marco Palomba sta trovando continuità e risultati, sarà uno degli atleti elite della SC Padovani del prossimo anno (Photors.it)
Dopo aver fatto uno stage con la Tudor poche settimane fa ha poi firmato con voi.

Ha fatto questa esperienza, però abbiamo parlato con lui, in presenza del padre e del suo procuratore (Matteo Roggi, ndr). E’ stato lo stesso Del Cucina a non volere la Tudor perché il calendario non gli piaceva, ha preferito il nostro. Posso capire che si tratta di una scelta in controtendenza, perché per un ragazzo di 18 anni vestirsi e utilizzare i mezzi dei professionisti è un sogno. Però noi abbiamo presentato il nostro progetto, dal prossimo anno avremo due nuove figure tecniche nello staff, un preparatore e un nutrizionista, che collaborano anche con un team WorldTour. 

Quanto è difficile approcciarsi alla categoria juniores per una continental?

E’ evidente che i ragazzi sono attratti dai devo team e lo capisco. D’altro canto ho qualche esperienza con ragazzi che arrivano da quelle realtà e non si sono trovati bene. Il rischio è di correre con meno rispetto dei ruoli per la voglia di emergere, perché spinti dal voler dimostrare che possono passare professionisti. 

Un profilo sul quale Petacchi crede molto è Ursella, caduto alla Popolarissima e non ancora tornato in gruppo (Photors.it)
Un profilo sul quale Petacchi crede molto è Ursella, caduto alla Popolarissima e non ancora tornato in gruppo (Photors.it)
Alla fine i devo team sono formazioni continental, la dinamica dell’egoismo rischia di emergere anche da voi?

Vero, però abbiamo uno staff qualificato e valido, gente esperta che sa come gestire i corridori. Uno su tutti è Dmitri Konychev, i ragazzi lo rispettano perché è capace di trasmettere loro molte cose e riesce a farli correre bene. L’obiettivo della Padovani è di portare i ragazzi al professionismo, quindi insegnargli come si corre e a gestirsi sin da quando passano da juniores a under 23.  

State puntando molto sui primi anni…

Si tratta di una scelta un po’ in controtendenza rispetto allo scorso anno, ma crediamo serva trovare il giusto equilibrio tra under ed elite. I grandi possono aiutare i compagni più giovani. Abbiamo deciso di costruire un calendario più equilibrato, che verrà deciso insieme al nuovo preparatore, per dare il giusto ritmo tra allenamenti e gare. Bisogna gestire gli impegni perché la stagione è lunga e le gare sono tante. Avremo quattordici ragazzi, riusciremo a fare la doppia attività, ma senza esagerare. 

Marta Cavalli, quale futuro? Un viaggio fra mille domande

06.09.2025
8 min
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MISANO ADRIATICO – Alle 12 ci aspetta Marta Cavalli allo stand di Prologo, con cui ha collaborato a lungo. L’atleta cremonese è a un passo dall’ultima corsa di stagione, il Tour de l’Ardeche. Il 2025 è stato l’anno del ritorno in gruppo, quando neppure lei credeva di meritarsi un posto. La giornata è calda, ma all’ombra si sta ancora bene e il momento va bene per fare quattro chiacchiere in libertà, spaziando dalla sua storia a quello che si sta muovendo sotto il cielo del ciclismo femminile. In tanti anni di incontri e interviste, raramente si è raggiunta la profondità di quando davanti c’è lei.

«E’ stata una stagione particolare – dice – che ha avuto il suo lato positivo, perché non mi aspettavo niente. L’avrei presa come fosse arrivata. E’ iniziata bene, meglio delle mie aspettative. Ripartivo da zero, dall’infortunio dell’anno scorso, e la costruzione della forma fisica è stata graduale. A differenza di tutti gli inverni, dove a un certo punto mi ammalavo perché facevo troppo, non ho avuto delle interruzioni quindi sono arrivata alle classiche bene e senza chiedere troppo al mio corpo. E’ stato un crescendo, con gli occhi puntati sul ritiro in altura che mi avrebbe aiutato a migliorare la condizione, ma qualcosa non è andato secondo il piano».

Abbiamo incontrato Marta Cavalli allo stand Prologo dell’Italian Bike Festival
Abbiamo incontrato Marta Cavalli allo stand Prologo dell’Italian Bike Festival
Che cosa?

Subito dopo l’altura sono andata in Svizzera e sono tornata un po’ malata e da lì non ho più recuperato, infatti ai campionati italiani non stavo benissimo. Al Giro ho fatto fatica sin dalle prime tappe e mi è spiaciuto veramente tanto doverlo abbandonare. Di conseguenza le cose non sono andate bene per il Tour, che sembrava una corsa troppo ambiziosa per la quale non ero pronta. Non mi sentivo di prendere la responsabilità di un posto in squadra e non essere al livello che avrei voluto. Quindi mi sono concentrata di più sulla preparazione. E adesso mi trovo con l’ultima gara della stagione, l’Ardeche. Ho dei bei ricordi dagli anni scorsi, quindi vediamo di fare qualcosa di buono e poi ci sarà tempo per pensare. Devo fare dei ragionamenti. Pensare un po’ e vedere cosa chiedermi e cosa aspettarmi per il prossimo anno. Adesso come adesso non lo so, vorrei solo concludere la stagione e prendere del tempo per estraniarmi e valutare quello che è stato.

Ti piace ancora il mondo delle corse, l’allenamento, l’adrenalina?

Diciamo che dopo un po’ di anni inizia ad essere la stessa cosa, la stessa routine, c’è sicuramente meno entusiasmo. La sensazione degli ultimi anni di non riuscire, di dover spingere di più ma non riuscirci mi sta mettendo alla prova. Il ciclismo è cambiato, è diventato tutto migliore e io sento di essere rimasta indietro. Mi sembra di essere sempre in rincorsa. Rincorro la mia miglior condizione, ma so che in questo momento la mia miglior condizione non è più sufficiente, quindi vedremo.

Marta Cavalli ha riscoperto il gusto di correre grazie al Team PicNic, che le ha permesso un rientro graduale
Marta Cavalli ha riscoperto il gusto di correre grazie al Team PicNic, che le ha permesso un rientro graduale
Si è fermato tutto con l’incidente del Tour 2022?

Lì c’è stata una brusca interruzione che non mi aspettavo e mi ha dato la scossa. Quasi come se mi avesse fatto crescere, uscire dalla sfrontatezza della gioventù. Mi ha dato qualcosa su cui riflettere sul fatto che si rischia tanto. Ho riconquistato fiducia, ma da lì è stato sempre più facile perderla. Ci sono stati altri infortuni, è stato un rincarare la dose. Mi hanno cambiato come atleta, ma anche come persona.

Come è stato assistere da fuori alla vittoria di Ferrand Prevot al Tour?

Avevo un piccolo sentore, perché lo capisci quando un’atleta è tanto concentrata. Dai messaggi che cerca di far trasparire sui social, per esempio. So che lei è un atleta forte e determinata, soprattutto l’ha dimostrato quando anni fa ha vinto tutti e tre i mondiali in un anno. Non è una cosa facile. Poi penso che anche lei abbia avuto un momento difficile, poi è riuscita a rivincere e a ritrovare la serenità. Me la ricordo benissimo alla Sanremo, poi molto bene alla Roubaix. E lì ho iniziato a pensare che facesse sul serio anche su strada. Quando poi ho visto tutte le storie della preparazione in altura per il Tour, ho pensato che avrebbe potuto davvero scuotere le gerarchie del gruppo.

Il Giro è stato un momento difficile per Cavalli, ritirata alla 4ª tappa
Il Giro è stato un momento difficile per Cavalli, ritirata alla 4ª tappa
Sentire quei commenti sul suo peso cosa ti ha fatto pensare? Addirittura Marlene Reusser si augurava che lei non vincesse…

Tifare che uno non vinca non mi è mai piaciuto. Ognuno nella propria vita sceglie cosa è giusto e cosa è sbagliato. C’è chi fa scelte di un tipo, chi fa scelte di un altro e vanno tutte rispettate, così come le idee e le opinioni. Non credo sia giusto giudicare quanto fatto da altri. Lo dico perché tante volte ho ricevuto giudizi su quello che facevo io, ma alla fine ognuno si prende la responsabilità per se stesso. Con l’attenzione che c’è adesso nelle squadre, credo che non sia stato fatto niente di troppo pericoloso. Sono d’accordo con l’altra sponda della corrente, perché noi atlete veicoliamo un messaggio. Però mi sembra che siano state prese le dovute precauzioni.

Quindi un limite esiste?

E’ giusto perdere peso, è giusto prepararsi. Questo definisce anche la mentalità e la determinazione di un atleta, la sua serietà. Se è sotto controllo di un medico non fa niente di sbagliato, anche perché poi ha fatto il suo periodo di riposo, di recupero e preparazione. L’importante è non finire in giri negativi, di cui risente la salute. Ci si prende cura della sicurezza per quanto riguarda caschi e attrezzature, si deve prendere molto a cuore anche la sicurezza fisica e della salute. Perché finito il ciclismo, poi c’è un’altra vita da affrontare. Ed è quello che sto facendo. Dopo anni in cui ho tirato la corda, adesso ho capito che è meglio lasciare un po’, mollare ogni tanto. E dire: «Okay, però per la Marta del futuro cosa è meglio? Continuare ad allenarsi forte o fare un passo indietro, riposare, recuperare e guadagnare di freschezza, di tranquillità e di poterlo spendere da altre parti?».

Tour de l’Ardeche 2023, l’ultima vittoria di Cavalli, che precede Erica Magnaldi e Anastasyia Kolesava
Tour de l’Ardeche 2023, l’ultima vittoria di Cavalli, che precede Erica Magnaldi e Anastasyia Kolesava
Si può dire, estremizzandola molto, che si smette di essere atleti a quel livello estremo quando si comincia a pensare al dopo?

Sì, certo. Quando sei fuori dal loop di essere sempre a gas aperto, inizi a dirti che forse sta arrivando un cambiamento. Ho iniziato a prendermi più cura di me. Mi rendo conto che anni fa andavo a tutta d’estate, inverno, in pista e strada. Poi inizi a capire che non puoi reggere quei ritmi e inizi a centellinare energie. Poi anche centellinarle non è più sufficiente. Cambiano le generazioni, arrivano altri più nuovi, con più forza.

Voler fare tutto accorcia le carriere?

Sicuramente. Sono anni che spingo, spingo, spingo. Invece ogni tanto ci sta prendersi un anno più tranquillo. Ora guardo un po’ fuori dalla mia bolla. Per quello mi è piaciuto quest’anno. Smettere dopo l’anno scorso sarebbe stata un’interruzione brutta e brusca, che mi avrebbe fatto lasciare con dei brutti ricordi. Non mi sarebbe piaciuto.

Che cosa ti ha convinto a riprovarci?

Tante persone, la squadra in primis. Mi hanno preso sotto braccio senza pressione e mi hanno invitata al primo ritiro, poi al secondo, poi mi hanno proposto di fare le prime gare e mi sono ritrovata con il numero sulla schiena. Non l’avrei mai detto, per questo non so che cosa avverrà nel futuro. Però ho avuto la soddisfazione di aver superato la paura. Gradualmente sono riuscita a godermi una nuova opportunità ed è stato bello. Ho vissuto sul lato umano le mie compagne, mentre prima ero più concentrata su di me. Anni di corse ne ho, quindi magari non mi sono resa utile in corsa, ma ho potuto dare dei consigli con l’esperienza che ho messo insieme. Mi ha fatto piacere condividerla.

Cavalli ha scoperto il gusto di mettersi a disposizione delle compagna: qui con Ciabocco
Cavalli ha scoperto il gusto di mettersi a disposizione delle compagna: qui con Ciabocco
Quindi ti è piaciuto di avere il numero sulla schiena?

Sì, ma proprio non me lo aspettavo. Per me era un no categorico e invece pian piano ci ho provato, l’ho vissuto, me la sono anche goduta. Mi è piaciuto, ha portato fuori una parte di me e spero di averla trasmessa. Spero che sia stata utile alle ragazze giovani della squadra, a cui auguro un bel futuro perché lo sport dà tante soddisfazioni. Sono convinta che se anche uno non arriva al top, è importante che abbia dato il massimo per se stesso. Di questo mi sono resa conto e ho imparato che lo sport non è solo eccellere, vincere ed essere perfetti. Esiste anche uno sport agonistico in cui hai dato il massimo. Sai quanto c’è voluto per arrivare lì. Non importa se le altre persone non lo sanno, ma è importante che tu sia convinto di aver fatto tutto quello che potevi. Mi rendo conto che negli anni ho fatto anche cose che io in prima persona magari non avrei mai fatto perché per me non erano essenziali. Però in quel momento per arrivare là serviva e sforzandomi l’ho fatto.

Hai davanti due porte. Cosa potrebbe convincerti a continuare?

A volte si va avanti per abitudine, ma a me quell’abitudine non è mai piaciuta. Per me deve esserci il vero fuoco dentro. Quando il fuoco si spegne, puoi tenerlo acceso soffiando, però sai che il grande falò non tornerà. Però il fatto di aver trovato un modo per essere di supporto e godersi ancora questo mondo potrebbe essere una spinta per continuare. Veramente, voglio vedere come va questa gara. Ho fatto delle buone settimane di allenamento, mi sono goduta paesaggi differenti. E’ una gara che mi piace, le mie compagne continuano a credere in me ed è bello. Mi piace così e poi vedremo…

Lunigiana, il vichingo Haugetun beffa Morlino sull’arrivo

05.09.2025
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VEZZANO LIGURE – «Yaaah, yaaah». Centocinquanta metri dopo il traguardo Kristian Haugetun si lascia andare tutto solo ad un urlo liberatorio che squarcia il tranquillo e piccolo centro abitato di Vezzano Ligure. La seconda frazione del Giro di Lunigiana ha un finale thrilling che giustifica l’emozione del norvegese e parallelamente mostra il rimpianto del piemontese Luca Morlino, superato in rimonta proprio sulla linea d’arrivo.

Gli stessi diametrali umori li vivono altri due protagonisti. Seff Van Kerckhove col terzo posto di tappa sfila la maglia verde di leader della generale ad Anatol Friedl (ottavo) per soli tre secondi. La giornata ha quindi mantenuto e forse superato le attese, complice un caldo intenso che ha acuito le difficoltà di un percorso duro e tecnicamente selettivo. Cinque “gpm”, di cui due passaggi dal traguardo (prima dell’ultima scalata) nei quali i ragazzi hanno potuto prendere punti di riferimento, come nelle relative discese. Tutto però si risolve negli ultimissimi metri, come racconteranno alcuni protagonisti.

Vichingo di Bergen

Già nella prima tappa Kristian Haugetun si era fatto vedere andando a conquistare la maglia a pois dei “gpm” prima di chiudere nel primo gruppo inseguitore ad una dozzina di secondi. Quel risultato deve avergli dato delle consapevolezze e con la spavalderia tipica della sua età (compirà 17 anni il prossimo 5 ottobre ed abita a Bergen, città dei mondiali 2017) nelle interviste prima del via aveva dichiarato che puntava al successo, non solo a rafforzare la maglia degli scalatori. Detto, fatto e come dice un vecchio adagio ciclistico, la vittoria dichiarata vale doppio.

«Questa è la prima vittoria dell’anno – ci dice Haugetun appena dopo aver abbracciato alcuni suoi compagni – e significa tutto per me. Stamattina avevo detto che avrei voluto fare una grande tappa perché mi sentivo molto bene, ma non è mai semplice mantenere le attese. In corsa ho cercato di stare calmo, senza strafare, poi sull’ultima salita ho aspettato gli ultimi trecento metri per attaccare. Finora è stata una stagione lunga e ho sempre cercato di fare un passo avanti. Devo ringraziare la squadra che è stata fantastica».

Per Hagetun è il primo successo stagionale e gran merito lo tributa ai suoi compagni di nazionale
Per Hagetun è il primo successo stagionale e gran merito lo tributa ai suoi compagni di nazionale

Presente e futuro

Il nome di Haugetun è uno dei più gettonati nella categoria, a maggior ragione essendo al primo anno nella categoria. La scuola norvegese sta sfornando talenti, quasi tutti destinati a ritagliarsi spazio e considerazione tra U23 e pro’. Kristian durante la stagione difende i colori della Jegg-Skil-Djr, società satellite olandese della Visma | Lease a Bike, e corre con una Cervelo. Oggi al Lunigiana ha usato una Ridley della Uno-X. Anche in questo caso, i rumors di ciclo-mercato dicono che ci sia già un braccio di ferro tra le due formazioni per prenderlo. L’impressione è che possa passare alla squadre del suo Paese, ma intanto lui ci dice che deve fare ancora un anno da juniores e tutto può succedere.

«Oltre al ciclismo – ci racconta Haugetun mentre mangia un panino prima delle premiazioni – ho fatto triathlon per tanti anni e in inverno faccio sci di fondo per tenermi in allenamento. Non ho un vero e proprio idolo, ma mi piace tantissimo Tobias Johannessen (vincitore dell’Avenir nel 2021 e quest’anno sesto al Tour de France, ndr). Mi piace la salita e voglio migliorare a crono, soprattutto perché mi sento un uomo da corse a tappe. Ora al Lunigiana indosso la maglia dei “gpm”, però non è lontana nemmeno quella verde della generale (terzo a 14”, ndr). Nelle prossime tappe farò come oggi. Se vedrò un’opportunità, cercherò di sfruttarla al massimo».

Hagetun forza il ritmo in salita al penultimo passaggio. Una prova generale per quello successivo in cui fa l’allungo decisivo
Hagetun forza il ritmo in salita al penultimo passaggio. Una prova generale per quello successivo in cui fa l’allungo decisivo

Vetrina per Morlino

Fino sulla riga ha accarezzato la vittoria che gli manca dal 2022 quando era allievo, ma Luca Morlino nonostante tutto può essere soddisfatto del suo secondo posto, il più importante dei tre ottenuti in stagione. Con questo piazzamento sale quarto in classifica (a 18”) diventando per il momento il capitano della rappresentativa del Piemonte, dove Capello sta ancora cercando di trovare la giusta brillantezza dopo essere sceso da tre settimane di altura a Livigno con la nazionale in vista del mondiale. Con Morlino riviviamo l’ultimo giro, buttando uno sguardo al salto tra gli U23.

«C’era in fuga il ceco Matejek – spiega il novarese che corre da sempre col GB Team Pool Cantù – e in discesa Frigo, Pascarella ed io ci siamo riportati su di lui, solo che eravamo tutti un po’ stanchi. Avevamo ancora una quindicina di secondi di vantaggio, ma ad un chilometro e mezzo dalla fine sono rientrati altri 5/6 corridori. Ai 300 metri, prima della strettoia, sono partito e fino ai 100 metri ero ancora tutto solo. Peccato perché sapevo di essere abbastanza veloce, ma mi sono mancate le gambe per resistere e non farlo passare. Però sono stato battuto da uno molto forte e va bene così».

«Le discese – prosegue – hanno fatto selezione quanto le salite, tanto che ad inizio tappa ci sono state diverse cadute. Personalmente ho cercato di non prendere rischi, tuttavia restando davanti in ogni frangente. Non voglio correre rischi nemmeno nella semitappa pianeggiante di domani, mentre in quella mossa del pomeriggio bisognerà attaccare subito visto che è una tappa molto corta».

Adesso c’è una generale da curare e dopo il Lunigiana correrà il Trofeo Buffoni per mirare poi ad altri obiettivi. «Mi sto sentendo con qualche team continental – conclude speranzoso Morlino – anche se di concreto non c’è nulla. Visto che l’anno prossimo salgo di categoria, spero che il secondo posto di oggi possa essere un buon biglietto da visita per me».

La terza giornata del Giro della Lunigiana, come anticipato, si dividerà in due. Al mattino semitappa da Equi Terme a Marina di Massa di 54,4 chilometri per una probabile volata. Al pomeriggio si va da Pontremoli a Fivizzano per 52,1 chilometri con un finale in circuito ed in leggera ascesa che chiamerà allo scoperto passisti e uomini di classifica. Non c’è da stupirsi se dovessimo assistere ad un colpo gobbo di qualche corridore.

Almeida si prende l’Angliru: Vingegaard sfinito

05.09.2025
5 min
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Purtroppo per lui, Jonas Vingegaard dovrà attendere ancora prima di regalare l’orsacchiotto al figlio. L’Alto de Angliru resta un tabù e, dopo il secondo posto nel 2023 dietro Primoz Roglic, stavolta deve inchinarsi a Joao Almeida.

Sul gigante asturiano trionfa il portoghese della UAE Emirates che forse mette nel sacco la vittoria più importante della sua carriera, per come è arrivata e per chi ha battuto. Una vittoria che lo consacra, semmai ce ne fosse stato bisogno, tra i grandissimi.

Bravo Garofoli (in coda) che in questa Vuelta si è fatto vedere ancora una volta
Bravo Garofoli che in questa Vuelta si è fatto vedere ancora una volta

La consacrazione di Almeida

La tappa scorre via secondo copione: fuga da lontano, dentro c’è anche Gianmarco Garofoli e un tentativo lo fa anche di Antonio Tiberi. Dietro Red Bull-Bora e UAE che chiudono. Poco ha contato il breve stop per la protesta pro Palestina: in gruppo andavano troppo più forte.

La scalata dell’Angliru si trasforma presto in una cronoscalata: Almeida contro tutti. Uno dopo l’altro li fa saltare. L’unico ad averlo messo in difficoltà, anche solo per qualche metro, è stato paradossalmente il compagno Felix Grossschartner. Dopo il grande lavoro di Vine, l’austriaco aveva cambiato ritmo e saggiamente Joao non lo ha seguito. Poteva essere un campanello d’allarme, tanto che in casa Visma-Lease a Bike, cioè lo stesso Vingegaard e Sepp Kuss, che su queste rampe si rigenera, si è subito confabulato. Magari l’americano aveva consigliato al suo leader di attaccare.

Almeida taglia in testa il traguardo dell’Alto de Angliru davanti a Vingegaard. Terzo Hindley a 28″ che nel finale ha recuperato parecchio
Almeida taglia in testa il traguardo dell’Alto de Angliru davanti a Vingegaard. Terzo Hindley a 28″ che nel finale ha recuperato parecchio

Vuelta riaperta

Jonas però non lo ha fatto. La domanda è perché. Troppo presto? Non ne aveva? Alla fine lo scatto che tutti si aspettavano non è arrivato. Nel chilometro finale di salita anche lui dava le spalle e allo sprint, nonostante fosse rimasto sempre a ruota, non è riuscito a sopravanzare il portoghese, abile anche a prendersi la posizione nelle curve conclusive.

Ma un aspetto ha colpito più di tutti: la faccia di Jonas dopo il traguardo. Quando è salito sulla bici da crono per i rulli defaticanti ha fatto un’espressione eloquente. Sollevare la gamba per montare in sella deve essere stato uno sforzo ulteriore e tremendo per il danese. Quella smorfia di dolore potrebbe dire molto.

In fondo il danese è l’unico dei big in classifica (assieme a Gall) ad aver corso il Tour de France a tutta. E le energie, lo abbiamo visto anche con Tadej Pogacar, in questo ciclismo si pagano eccome. Anche se sei un supereroe. In tal senso la tappa di domani, ancora in salita, dirà molto.

Ora i due sono separati da 46”, ma il morale di Almeida è in crescita e quello di Vingegaard forse scricchiola…

Vingegaard è parso davvero stanco dopo l’arrivo
Vingegaard è parso davvero stanco dopo l’arrivo

Quel chilometro finale…

Sembra strano dirlo dopo quanto accaduto con Juan Ayuso in settimana, ma la squadra di Matxin e Gianetti si è mostrata davvero unita. Ayuso escluso, tutti hanno fatto la loro parte. Come si lavora per Pogacar, lo stesso è stato fatto per Almeida.

«La squadra ha lavorato in modo perfetto – ha detto Joao – sono super felice di come sia andata. E’ una vittoria incredibile. Se sia la più importante della mia carriera? Io ho pensato solo a spingere, a fare il mio passo e nell’ultimo chilometro sono andato oltre il limite».

«Abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra – ha sottolineato Matxin a Eurosport – i ragazzi hanno corso al meglio e con la fuga non era facile controllare il distacco. La vittoria di Joao è speciale, questo è un traguardo prestigioso. Oggi volevamo vincere la tappa e ci siamo riusciti. Per radio gli dicevamo di spingere, di restare concentrato, che stava andando forte».

Anche oggi la protesta pro-Palestina lungo le strade della Vuelta si è fatta sentire
Anche oggi la protesta pro-Palestina lungo le strade della Vuelta si è fatta sentire

Marcato se la gode

Intanto i corridori arrivano alla spicciolata. L’Angliru è un giudice micidiale e spacca la corsa come poche salite al mondo. Marco Marcato, direttore sportivo della UAE, si gode il momento: «Questa vittoria vale per tre. L’Angliru è un’icona e un successo così dà tantissimo morale. Ancora di più perché hai battuto Vingegaard, il migliore al mondo su certi arrivi dopo Tadej. Siamo davvero soddisfatti. Joao l’ha presa di petto e chapeau a lui».

Con Marcato si parla anche di tattica. Durante la scalata ci si chiedeva se quel ritmo regolare impostato da Almeida non favorisse Vingegaard. Ma a quanto pare era tutto studiato.
«La tattica era questa – spiega Marcato – Joao è un regolarista e bisognava evitare che uno scalatore puro come Jonas potesse scattare, così abbiamo deciso di impostare un passo forte. Poco importava se l’altro restava a ruota, perché su quelle pendenze e con quelle velocità la scia conta poco. E’ stata una scelta che alla fine ha pagato.


«Vuelta riaperta? Per noi non era mai stata chiusa. Ora il distacco tra i due è di 46” e restano molte tappe dure fino a Madrid. Ci proveremo ancora, ma bisogna fare i conti con le energie rimaste».

Pellizzari intanto rafforza la sua maglia bianca (+32″ su Riccitello). E’ sesto all’arrivo e sesto nella generale
Pellizzari intanto rafforza la sua maglia bianca (+32″ su Riccitello). E’ sesto all’arrivo e sesto nella generale

Il bilancio delle energie

E con questa frase Marcato apre un altro capitolo: quello delle energie, che già avevamo accennato. In teoria il bilancio dovrebbe pendere a favore del portoghese, che ha lasciato il Tour quasi subito. Un dato però non va perso nell’analisi della scalata: il recupero di Hindley e Kuss nel finale, segno che davanti erano stanchi.

«Eh – sospira Marcato – l’idea è quella, ma finora non si è visto questo calo da parte di Vingegaard. E’ vero però che oggi anche lui ha faticato, altrimenti avrebbe attaccato. Bisogna stare attenti, perché una salita finale come quella di domani è più adatta a uno come Jonas.

«Noi andiamo avanti per la nostra strada. Voglio sottolineare il lavoro dei ragazzi, da Novak a Grossschartner, da Vine a Oliveira… tutti. Stamattina eravamo tutti per Joao. Pressione non ne avevamo: in classifica eravamo messi bene e avevamo già vinto cinque tappe. Però abbiamo fatto bene quel che dovevamo, in particolare prima dell’Angliru, quando abbiamo preso davanti la tecnica discesa del Cordal per portarlo al meglio ai piedi della salita. Poi il resto lo ha fatto Almeida, che ci ha messo gambe e cuore».

Il test completo del nuovo Campagnolo Super Record 13

05.09.2025
6 min
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Il DNA del design è quello di sempre, ma tutto il resto è rivoluzionato. Il nuovo Super Record 13 porta precisione, efficienza e sostanza a un livello completamente nuovo: un gruppo totalmente wireless che cambia completamente l’esperienza di guida rispetto al passato.

Come va e cosa c’è da sapere sul nuovo Campagnolo Super Record 13? La prima cosa che ci ha colpito durante la nostra prova e che vogliamo trasmettere è l’elevata efficienza, precisione e sostanza di un gruppo completamente wireless che assomiglia poco o nulla alla precedente versione, soprattutto per quanto concerne l’impiego.

Il nuovo Super Record, come vuole la tradizione Campagnolo, è un simbolo di ingegneria e ricerca dei materiali, di microcomponenti, ma anche di funzionalità da usare, sfruttare, godere e mettere alla prova.

Il ritorno della levetta/pulsante

E’ uno dei primi componenti che attira l’attenzione. Una sorta di ritorno al passato? Forse, ma quello che interessa a noi è l’efficienza che collima in modo eccellente con l’ergonomia e perché no, anche alla sicurezza. Il palmo della mano si distende quasi completamente sulla base superiore del manettino. C’è tanto spazio e le forme non sono panciute ed ingombrati, inoltre c’è un’angolazione ottimale che si integra al meglio con la curva manubrio (e la svasatura) del manubrio integrato. Significa trovare immediatamente la giusta altezza del manettino, facendo in seconda battuta le regolazioni di fino dell’apertura della leva del freno.

La forma della sezione superiore del manettino aiuta a scaricare buona parte delle pressioni che inevitabilmente si generano nella zona del polso (non è poca cosa). Il pollice agisce sui pulsanti interni allo shifter, l’indice o il medio sulla levette posizionata dietro la leva del freno. E’ azzerato il pericolo di schiacciare due pulsanti contemporaneamente, oppure creare delle interferenze quando si è sotto pressione agonistica, oppure con i guanti pesanti che fanno perdere sensibilità. Ben inteso che è possibile customizzare grazie alla nuova app MyCampy.

Alleggerire la pedalata? Non esiste

Il cuore del nuovo Campagnolo Super Record 13 sono il deragliatore ed il bilanciere posteriore. Il primo è una sorta di impianto di risalita e discesa della catena (merito ovviamente anche delle corone e della catena stessa) che anche nella fasi di maggiore stress non necessita di un alleggerimento della pedalata per cambiare nel modo migliore. Funziona bene, è preciso e non si pianta, forse potrebbe migliorare la velocità in fase di deragliata. Piccolezze. Mostra un’autonomia della batteria degna di nota e non è un semplice dettaglio, sottolineando il fatto che le batterie ricaricabili dei due componenti sono ben integrate, ma sono specifiche per cambio posteriore e deragliatore, non sono intercambiabili l’una con l’altra.

In proporzione, il cambio posteriore consuma una maggiore quantità di energia, ma è altrettanto vero che la sua velocità di azione, la precisione e la stabilità, sono davvero tanta roba. Circa 4 secondi (pochissimo) dal primo al tredicesimo pignone e viceversa, con la catena sul 52 ed una scala posteriore 11/32 (ben congegnata ed adatta a tutte le esigenze, senza buchi in fatto di sviluppo metrico). La stabilità è qualcosa che non ha prezzo, perché il cambio “non perde mai la catena” quando si sprinta e si maltratta il sistema, quando si affrontano tratti strada con asfalto al limite della percorribilità. Il cambio posteriore del nuovo Campagnolo 13 è corpulento, è muscoloso, a tratti sembra ingombrante (meno se paragonato alla versione Wireless), anche se in realtà adotta i medesimi ingombri dei competitor della stessa categoria di prodotto. Osservato nel dettaglio è un’opera d’arte.

Super Record 13, una F1 per il quotidiano

Il nuovo Campagnolo Super Record 13, oltre ad essere il primo sistema specifico per le bici da strada con i 13 rapporti posteriori, è da considerare un pacchetto che andrà ad equipaggiare biciclette top di gamma in senso assoluto. Fin qui non argomentiamo nulla di strano, quello che invece ci piace sottolineare è la bontà del sistema e quella sostanza, quella concretezza e facilità di approccio che ha mostrato nel nostro percorso di test. Ecco perché ci è piaciuto categorizzarlo come un componente da F1 della bici, ma da usare tutti i giorni. Certamente gratifica al solo sguardo, ma il valore aggiunto è l’utilizzo e la semplicità di approccio che mostra fin dalle prime cambiate.

Campagnolo

Lonardi vince (l’altro) Plouay e riflette sulla corsa ai punti

05.09.2025
5 min
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Giovanni Lonardi si trova al Tour of Istanbul, breve corsa a tappe di quattro giorni che si snoda intorno alla capitale turca. Da qui inizierà una serie di appuntamenti che porteranno il veronese e i suoi compagni della Polti VisitMalta fino al termine della stagione. L’obiettivo dichiarato è conquistare il maggior numero di punti per riuscire a entrare nelle prime trenta squadre al mondo e guadagnarsi il diritto di godere di una wild card per partecipare a un Grande Giro nel 2026. La corsa ai punti è serratissima e ogni occasione è buona per riuscire ad aumentare il bottino

«Siamo arrivati martedì a Istanbul – racconta Lonardi alla vigilia della corsa – con un volo diretto comodo e veloce. Meno comodo e molto più lento è stato il trasporto fino all’hotel. Da quando sono professionista è l’undicesima volta che vengo a correre in Turchia, ma la prima partecipazione al Tour of Istanbul. Nella giornata di ieri (mercoledì, ndr) abbiamo visto il percorso del prologo che apre la corsa. Per il resto ci affideremo alle mappe e a VeloViewer, riuscire a fare le ricognizioni del percorso non è mai facile da queste parti visto il traffico».

Podio Grand Prix Plouay 2025, Lonardi, Houcou e Ronan Augé (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Podio Grand Prix Plouay 2025, Lonardi, Houcou e Ronan Augé (foto Freddy Guérin/DirectVelo)

Punti e vittorie

Nella ricerca di punti Lonardi è riuscito anche a ritornare al successo, lo ha fatto al Grand Prix de Plouay, gara 1.2 che anticipava la corsa di categoria WorldTour, la Bretagne Classic, vinta da Arnaud De Lie. Un successo che ha portato 40 punti in casa Polti VisitMalta, e nella rincorsa alla top 30 danno una mano non indifferente (in apertura foto Freddy Guérin/DirectVelo). 

«Siamo affamati di punti – continua Lonardi – come tutti i team che sono nella nostra posizione, e dobbiamo cogliere ogni occasione. Da qui al 20 ottobre ogni gara può rimescolare la classifica, basta davvero poco. Uscire dalla top 30 vorrebbe dire non avere diritto alla wild card per il Giro. Va bene vincere ma ora ciò che conta è portare a casa qualsiasi risultato».

Lonardi è alla sua undicesima corsa in Turchia, qui al Tour of Turkiye insieme a Malucelli e Kristoff
Lonardi è alla sua undicesima corsa in Turchia, qui al Tour of Turkiye insieme a Malucelli e Kristoff
Così capita di correre in mezzo a continental e devo team.

Al Grand Prix de Plouay noi e la Vf Group-Bardiani eravamo le uniche professional in gara (il team di Reverberi ha però schierato al via tutti ragazzi under 23, ndr). Avevamo fatto richiesta per la corsa WorldTour ma non è stata accettata, ogni organizzatore decide quali team invitare. Chiaramente in una corsa francese verranno preferite squadre della stessa nazione (l’unica squadra italiana a partecipare è stata la Vf Group-Bardiani, che ha corso congli elite, ndr). 

E questi 40 punti raccolti al Gran Prix Plouay sono un bel bottino?

Ora si corrono anche le gare di secondo piano, la squadra si trovava già in Francia, visto che avevamo appena finito il Tour Poitou, e ha deciso di prendere parte anche a questa. Naturalmente avremmo preferito correre con i team WorldTour, però quando sei in gara non ci pensi. Alla fine è sempre una vittoria. Nella mia carriera ho corso tante gare di primo livello.

La lotta ai punti è serratissima, il rischio è di rimanere fuori dalla top 30 e dover rinunciare alle wild card
La lotta ai punti è serratissima, il rischio è di rimanere fuori dalla top 30 e dover rinunciare alle wild card
Un successo che aiuta anche moralmente?

Certo, è stato importante sia per me che per la squadra. Non vincevo da aprile 2024, quindi è una bella iniezione di fiducia. Inoltre questa vittoria è una carica importante anche per i miei compagni in vista del prossimo mese e mezzo. Saremo tutti alla ricerca di risultati e punti. 

Quanto è difficile per un corridore scendere a patti con questa realtà?

Non semplice, perché a volte devi “rinunciare” al risultato per portare a casa un doppio piazzamento, e quindi più punti. Penso che con questo sistema si stia rovinando il ciclismo, o meglio con questa distribuzione dei punti. 

Il team Polti VisitMalta è andato a correre al GP Plouay dopo aver corso il Tour Poitou, gara a tappe francese
Il team Polti VisitMalta è andato a correre al GP Plouay dopo aver corso il Tour Poitou, gara a tappe francese
In che senso?

Ci sono gare a tappe dove se si ottiene una vittoria si prendono 14 punti (le 2.1, ndr). Oppure gare come la Volta Valenciana dove un successo di tappa vale 30 punti. Poi si va al Circuit Franco Belge, corsa di un giorno 1.Pro che mette in palio 200 punti. Come il fatto che vincere una classifica generale, ad esempio alla Vuelta a Burgos, dà sempre 200 punti. Una corsa a tappe e una gara di un giorno non è la stessa cosa.

Servirebbe un equilibrio diverso?

Credo di sì, anche perché noi squadre professional non possiamo scegliere il calendario. Possiamo provare a organizzarci, ma non è mai facile e si deve trovare il compromesso tra dove vorresti correre e dove accettano la nostra richiesta.

Italian Bike Festival, ci siamo. Ma prima si parla di sicurezza

05.09.2025
6 min
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MISANO ADRIATICO – «Proviamo a ragionare uniti – dice a un certo punto Gianluca Santilli – e a raggiungere qualcosa di concreto. La sicurezza stradale non riguarda solo ciclisti e pedoni, ma le migliaia di persone che muoiono ogni anno sulle strade italiane. Tutti sbagliano, ma l’utente debole la paga troppo cara. Bisogna immaginare che determinate strade andrebbero vietate alle biciclette, almeno finché qualcuno non garantisce che siano sicure. Usciamo di qui con un progetto. Se dovesse essere l’ennesima riunione di sole chiacchiere, è l’ultima volta che mi vedete».

Italian BIke Festival apre stamattina i cancelli: ieri era tutto un lavorare
Italian BIke Festival apre stamattina i cancelli: ieri era tutto un lavorare

Dieci anni allo stesso modo

Italian Bike Festival apre i cancelli fra due ore. Ieri sera il parcheggio dell’autodromo era come una cittadina brulicante di uomini e mezzi. Stand da riempire, biciclette da montare sugli espositori. Intanto nella terrazza della grande tribuna centrale un convegno sulla sicurezza stradale ha raccolto diversi personaggi già molto attivi sul territorio nazionale. Persone di spessore, ciascuno nel suo settore. L’idea è quella di costituire un soggetto unico, composto da diversi attori, ma portatore di una sola voce. Almeno si è capito che la frammentazione fra i tanti soggetti non porta da nessuna parte. Lo ha detto ben chiaramente Davide Cassani.

«In dieci anni – ha detto il romagnolo, presidente di APT Emilia Romagnala situazione non è migliorata di nulla. La maleducazione è aumentata e parlo di ciclisti e anche di automobilisti. Quando parlo con i ragazzi, dico sempre che bisogna pensare a quello che fanno gli altri. Il fatto di avere la precedenza non significa essere al sicuro».

Il grafico mostra le regioni italiane con il maggior numero di incidenti
Il grafico mostra le regioni italiane con il maggior numero di incidenti

Trenta morti ad agosto

I numeri sono raccapriccianti. I morti al 31 agosto 2025 sono 155, 30 quelli morti soltanto ad agosto. Li snocciola Giordano Biserni, presidente di ASAPS, il portale della sicurezza stradale. Ribadisce che si è fatto ancora poco, ma sottolinea che le strade non sono presidiate a sufficienza dalle forze di Polizia. La Lombardia guida il ranking degli incidenti, seguiti da Lazio, Emilia Romagna, Toscana e Veneto. Se però si fa il rapporto fra il numero dei morti e quello dei residenti, la Lombardia scende all’ultimo posto dell’infausto ranking. Le regioni ad alta vocazione ciclistica hanno anche un superiore numero di incidenti.

«Il metro e mezzo – dice Paola Gianotti – è un passo avanti, una conquista culturale, per far sapere che ci sono anche le bici. I Comuni ci chiamano per montare i cartelli e l’arrivo delle bike lane è un altro passo avanti. L’obiettivo sarebbe quello di collegare i paesi con queste corsie riservate alle bici».

Fra i presenti, l’avvocato Balconi, Andrea Albani (CEO dell’autodromo), Jolanda Ragosta della FCI e Marco Scarponi

Il metro e mezzo serve?

Non sono d’accordo su tutto, lo capisci quando Santilli ribatte che a suo avviso il metro e mezzo non ha risolto nulla. E a quel punto la parola va a Federico Balconi, l’avvocato che s’è inventato Zerosbatti e ha gestito finora 1.500 sinistri in cui sono state coinvolte delle bici.

«Ci sono vuoti normativi – dice – e non sempre le Forze dell’Ordine intervengono quando cade una bici. Se l’incidente dipende dalle cattive condizioni della strada, non si muove nessuno. La normativa non è adeguata. Non si capisce perché i Italia sia vietato pedalare in fila per due. Se non altro l’automobilista si accorge meglio delle bici e sa che non può superarle tutte in una volta».

L’Italia, gli fa eco Massimo Gaspardo Moro di FIAB, è cinque volte meno sicura dell’Olanda. Perché da noi circolano più auto che negli altri Paesi europei. A Roma il 64 per cento della mobilità è composto da auto e moto, mentre a Berlino la ripartizione è ben più equilibrata. Le bike lane sono utili aggiunge, ma non ci sono i decreti attuativi che le prevedono e soprattutto mancano i controlli.

La pista sarà teatro di test ed eventi per tutto il lungo weekend
La pista sarà teatro di test ed eventi per tutto il lungo weekend

Le scuole e le famiglie

Quello della sicurezza stradale è un problema culturale, ormai è evidente. Lo sottolinea Bruno Di Palma, Direttore Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna. «In Italia ci sono 7.500 scuole – dice – tanti studenti e in media due genitori per studente. E i genitori devono essere di esempio per i figli. All’inizio del percorso scolastico si firma il patto di corresponsabilità e non è accettabile che nelle scuole si insegni qualcosa e a casa venga tradita. Abbiao firmato un protocollo di intesa con l’Osservatorio regionale sulla sicurezza stradale e l’abbiamo inserita nei corsi di educazione civica».

Cultura, gli fa eco Marco Scarponi, segretario della Fondazione che porta il nome di suo fratello Michele. «Si fa fatica a comunicare – dice – anche a trovare l’accordo sui termini. Si usa spesso la parola incidente, ma quando qualcuno guida usando il cellulare, oppure va a 100 all’ora nei tratti con limite a 50 e ammazza qualcuno, è incidente oppure è violenza? Servono cultura, comunicazione e controlli. Davanti alle nostre scuole abbiamo messo un vigile che costringe i genitori a rallentare sulle strisce».

E di formazione, che genera cultura, parlano anche Andrea Onori in rappresentanza delle scuole guida, e Jolanda Ragosta della Federazione ciclistica italiana.

Italian Bike FEstival richiama anche quest’anno le principali aziende del mondo del ciclismo
Italian Bike FEstival richiama anche quest’anno le principali aziende del mondo del ciclismo

La legge di Pella

C’è in collegamento anche l’onorevole Roberto Pella, il presidente della Lega Ciclismo, che si collega da Roma dove si sta lavorando alla Legge di Bilancio. Le sue parole di sindaco e onorevole sono un netto richiamo alla realtà.

«Molte delle cose che sono state dette – spiega – cozzano con le attuazioni delle esigenze delle singole parti. A fine luglio abbiamo presentato una legge che porterà il mio nome, ma non perché l’abbia scritta io. E’ stata scritta con i Prefetti e con i campioni che collaborano con la Lega, da Gianni Bugno a Francesco Moser, Saronni e Nibali, Fondriest e Ballan. Ho voluto raccogliere le loro istanze. Una proposta concreta in tema sicurezza che possa essere integrata con altre norme».

L’intervento dell’Onorevole viene ascoltato e recepito, anche se qualcuno annota con stupore che nessuno fosse al corrente della volontà di depositare una proposta di legge. Ciascuno dei presenti avrebbe dato volentieri il suo contributo. Quando alle 18, dopo tre ore, tutti si alzano dalle sedie, la promessa è quella di risentirsi alla svelta. Il fuggi fuggi fa sì che dopo tre minuti non ci sia più nessuno. Sono tutti grandi e vaccinati. Se sarà stata l’ennesima riunione che non porta a nulla, lo capiremo nel giro di pochi mesi. Noi siamo a disposizione, perché la comunicazione è una delle chiavi per il successo. Nel frattempo, Nostro Signore della strada, tieni una mano sul capo dei tuoi figli che ogni giorno sfidano le strade su una bicicletta.

Friedl detta la sua legge anche nella prima tappa del Lunigiana

04.09.2025
5 min
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CHIAVARI – Pronti, via e già il Giro di Lunigiana mette in mostra uno dei talenti più pronosticati alla vigilia. L’austriaco Anatol Friedl conquista la prima tappa grazie ad uno sprint ristretto sul belga Seff Van Kerckhove e Riccardo Del Cucina del Casano (in apertura foto Ptzphotolab), confermando il suo ottimo momento di forma dopo aver vinto la prima prova e la classifica finale della Due Giorni Internazionale di Vertova lo scorso weekend.

In una frazione partita da Genova e corsa a grande velocità, senza che nessun plotoncino riuscisse ad avere spazio per evadere, l’azione decisiva arriva sull’ultima salita di giornata posizionata a 6 chilometri dal traguardo. Tutti i favoriti ci provano e qualcuno invece fa i conti con la sfortuna. Il polacco Jackowiak attacca, ma viene ripreso, mentre Capello viene estromesso dalla contesa da una caduta causata da un francese.

Dopo un altro tentativo a vuoto, l’accelerazione giusta la piazzano Friedl e Del Cucina. Il loro vantaggio è minimo, ma buono per tenere a debita distanza il gruppo tranne Van Kerckhove che rientra sui battistrada proprio al triangolo rosso. Dietro i tre, a dodici secondi chiude la prima parte del gruppo regolato da Magagnotti.

Dietro all’austriaco Friedl (al quarto successo stagionale) si sono piazzati il belga Van Kerckhove e Del Cucina (Casano)
Dietro all’austriaco Friedl (al quarto successo stagionale) si sono piazzati il belga Van Kerckhove e Del Cucina (Casano)

Grande inizio

La salita di Bocco è stata un perfetto trampolino di lancio per Friedl. Lui rompe gli indugi chiamando allo scoperto tutti i più diretti rivali ed il finale sappiamo com’è andato. Per il 18enne in forza al Team Grenke-Auto Eder si tratta del quarto successo stagionale ed anche il primo austriaco della storia a conquistare una tappa al Giro di Lunigiana. Il mirino ora è già puntato sulla generale.

«Oggi – racconta Anatol dopo aver firmato un paio di autografi ad alcuni bambini – sentivo di avere una buona gamba ed una pedalata facile. Fino all’ultima salita non è stata una gara troppo complicata, poi lì ho attaccato ed è diventata molto dura. Ho visto che in due avevamo fatto la differenza e a quel punto abbiamo cercato di resistere fino in fondo alla discesa e quindi sull’arrivo. Sono molto felice della vittoria, non poteva andare meglio di così. Speravo infatti di avere lo stesso livello di Vertova. Nelle prossime tappe voglio provare a conservare la maglia di leader e magari cercare di essere ancora protagonista. So però che non sarà semplice».

Conoscendo Anatol

Friedl confessa ad una televisione locale di non essere mai stato in Liguria e di sicuro non si dimenticherà questa giornata. E’ un ragazzo di poche parole con le idee molto chiare, lo si intravede dallo sguardo. Le voci di mercato per il 2026 lo danno ancora nel gruppo Red Bull nella formazione “Rookies”. Lui intanto ci dice qualcosa in più di lui, indicandoci i prossimi importanti obiettivi stagionali.

«Ho sempre fatto solo ciclismo – spiega – ed ho iniziato a correre a sette anni. Oltre alla strada faccio anche Mtb, dove ho vinto qualche settimana fa il mio secondo campionato nazionale e il campionato europeo in Portogallo. Ho uno buono spunto veloce, vado bene in salita e penso di essere abbastanza completo per il momento. Il mio idolo è Tom Pidcock, mi ispiro a lui. Dopo il Giro di Lunigiana mi concentrerò sul mondiale di Mtb in Svizzera (il 12 settembre, ndr) e poi sull’europeo su strada in Ardeche (il 3 ottobre, ndr). A quel punto sarà tempo di off-season».

Seff Van Kerckhove ama salite e crono, ma sta ancora scoprendo le sue caratteristiche
Seff Van Kerckhove ama salite e crono, ma sta ancora scoprendo le sue caratteristiche

Van Kerckhove, giovane interessante

Secondo sul traguardo di Viale Arata a Chiavari è Seff Van Kerckhove, fratello minore di Matisse visto all’opera all’ultimo Giro NextGen con la Visma | Lease a Bike Development e maglia azzurra nelle prime tappe. Seff durante la stagione corre nella Decathlon AG2R La Mondiale U19 ed è un “primo anno” da seguire con attenzione.

«La tappa di oggi – ci risponde soddisfatto della maglia di miglior giovane – è stata dura, soprattutto per il grande ritmo fin dalle prime salite. Poi sull’ultima ho fatto un grande sforzo per tornare su Friedl e Del Cucina in discesa. Quando li ho ripresi potevo respirare un attimo, ma ho lanciato la volata troppo presto e sono stato superato negli ultimi metri. Sono comunque molto contento di questo secondo posto.

«Ancora non so che tipo di corridore sono – ci dice con una battuta – ma di sicuro non uno che ha uno spunto veloce. Mi piacciono le salite e le cronometro, un po’ come mio fratello (che è stato bronzo iridato a crono nel 2024, ndr), però lui è più forte di me. Sto crescendo step by step. Qua al Lunigiana non ho particolari ambizioni, anche se cercherò di curare la generale. Di base però sono qua per lavorare per la squadra. Dopo di ché preparerò sia il mondiale in Rwanda che l’europeo».

La seconda tappa del Giro di Lunigiana prevede un menù che promette spettacolo. Si parte da Luni e si arriva a Vezzano Ligure, dove la salita che porta al traguardo si affronterà altre due volte, per un totale di 96,3 chilomentri. Con gli juniores non c’è mai nulla di scontato e il terreno per stravolgere tutto non manca.

Mattia Agostinacchio: al Ruebliland cerca la convocazione iridata

04.09.2025
4 min
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La voce di Mattia Agostinacchio esce dal telefono bassa e profonda, nascondendo la sua giovane età dietro un tono sicuro e gentile. Il più giovane dei due fratelli valdostani è alle prese con una leggera influenza che lo ha colpito poco prima del Trofeo Paganessi. Una volta rientrato a casa si è preoccupato di curarsi al meglio per arrivare pronto al Grand Prix Ruebliland, gara a tappe della categoria juniores che si corre in contemporanea al Giro della Lunigiana. La sua assenza dalla Corsa dei Futuri Campioni è una scelta obbligata dal fatto che la Valle d’Aosta non schiererà al via la propria Rappresentativa Regionale

Mattia Agostinacchio, al suo secondo anno juniores, ha raccolto vittorie importanti già in primavera (Photors.it)
Mattia Agostinacchio, al suo secondo anno juniores, ha raccolto vittorie importanti già in primavera (Photors.it)

Oltre le Alpi

Così Mattia Agostinacchio è costretto ad attraversare le Alpi e arrivare fino ai confini con la Germania per correre e preparare questo finale di stagione. L’inverno nel cross ci ha consegnato e fatto conoscere il suo talento, finito anche nel mirino degli squadroni. Mentre la primavera e l’estate hanno enfatizzato la sua capacità di andare forte in bici anche su strada.

«Domani mattina presto si parte – ci dice Mattia Agostinacchio – il viaggio sarà abbastanza lungo, ci aspettano quattro ore di macchina. Se sarò pronto lo si vedrà quando metterò il numero sulla schiena, domenica al Paganessi stavo bene ma avevo già qualche sintomo dell’influenza che mi ha poi accompagnato in questi ultimi giorni».

I risultati del giovane Agostinacchio gli sono valsi una prima convocazione con la nazionale juniores alla Corsa della Pace
I risultati del giovane Agostinacchio gli sono valsi una prima convocazione con la nazionale juniores alla Corsa della Pace
Un quarto posto che vale qualcosa in più allora…

Di gambe stavo bene, credo di aver avuto una buona risposta. In questi ultimi mesi sono migliorato un po’ in tutti gli aspetti. Della preparazione se ne occupa ancora mio fratello Filippo. Mi ha messo qualche ora in più giusto per riuscire ad aumentare il chilometraggio durante le uscite. 

Quindi arrivi pronto per l’ultima parte di stagione?

Vedremo al Ruebliland, al momento non ne sono certo. Ho ancora due giorni per riprendermi pienamente prima di correre in Svizzera. 

Con la maglia dell’Italia è arrivata anche una vittoria di tappa al Trophée Centre Morbihan a giugno
Con la maglia dell’Italia è arrivata anche una vittoria di tappa al Trophée Centre Morbihan a giugno
Quanto ti dispiace non correre il Lunigiana?

Molto, devo essere sincero. Il Ruebliland, in questa edizione, sarà ancora più duro perché nelle tre tappe previste avremo tantissima salita. Avrei preferito andare al Lunigiana perché ha più varietà all’interno delle varie tappe e poi fare cinque giorni di gara permette di mettere qualche chilometro in più. E’ anche vero che correrò altri due giorni una volta tornato in Italia: al Pezzoli e al Buffoni il 13 e il 14 settembre.

In ottica mondiali ed europei ti preoccupa correre lontano dagli occhi del cittì Salvoldi?

No, in queste settimane abbiamo avuto modo di parlare tanto. Siamo stati anche in ritiro a Livigno con la nazionale dal 21 al 30 agosto. Eravamo un gruppetto di cinque che è andato a preparare gli ultimi impegni. Ci siamo allenati bene per una settimana, ma senza esagerare.

Ora Mattia Agostinacchio (il secondo da sinsitra) vuole guadagnarsi un posto per i mondiali di categoria in Rwanda
Ora Mattia Agostinacchio (il primo da destra) vuole guadagnarsi un posto per i mondiali di categoria in Rwanda
Cosa intendi?

Siamo rimasti sulle 20 ore di allenamento, poco più. Un numero buono, vicino alla mia media che di solito si aggira tra le 17 e le 19 ore a settimana. Raramente ho caricato di più e va bene così. 

Hai già visto i percorsi di mondiali ed europei?

Sì, a Kigali saremo sui 120 chilometri con 1.400 metri di dislivello ma ben distribuiti lungo tutto il percorso. Praticamente non ci sarà un metro di pianura. Mentre in Francia i metri verticali saranno meno ma con due salite vere da affrontare a ogni giro. Personalmente preferisco un tracciato come quello del mondiale, quindi meglio recuperare e andare forte per guadagnarsi uno dei tre posti disponibili.