Marco Frigo è un’altra delle belle novità di questo 2023 ciclistico, dei giovani italiani che crescono e che si fanno largo nel WorldTour. Abbiamo ancora in mente le sue fughe alGiro d’Italia, il primo della sua carriera.
Da qualche settimana il veneto della Israel-Premier Tech ha ripreso il cammino per la sua seconda parte di stagione. Prima il ritorno in Repubblica Ceca, poi l’Arctic Race in Norvegia, poi ancora la trasferta in America per la Maryland Cycling Classic. Ma all’orizzonte per Frigo ci sono anche le classiche italiane e un paio le farà in maglia azzurra.
Marco Frigo (classe 2000) in Norvegia ha corso per il compagno Williams, poi vincitore della garaMarco Frigo (classe 2000) in Norvegia ha corso per il compagno Williams, poi vincitore della gara
Marco, partiamo proprio dall’America…
La trasferta negli Stati Uniti è stata un po’ stancante. Non che sia stanco fisicamente, ma nonostante le precauzione il fuso orario si fa sentire. Bisogna attuare i migliori metodi per subirlo il meno possibile. Detto questo è stata una bella esperienza.
Che corsa hai trovato?
Veramente un bel percorso, magari non molto selettivo, ma di certo curioso. Sembrava di essere sulle montagne russe. Un continuo su e giù. Mi sono sentito bene. E’ stata una bella gara. Ero anche lì per giocarmela, ma nel finale purtroppo ho avuto un problema meccanico che mi ha tagliato fuori, ma succede.
Frigo (secondo da destra) è un amante dello sci di fondo e correre al circolo polare artico per lui è stata una doppia emozione (foto Instagram)Frigo (secondo da destra) è un amante dello sci di fondo e correre al circolo polare artico per lui è stata una doppia emozione (foto Instagram)
Quindi la condizione è buona. Com’è stato questo anno col primo grande Giro nelle gambe?
Se dovessi già tirare una prima linea, anche se probabilmente ne andrà fatta un’altra a fine stagione, dico che sono contento di come ho reagito al mio primo grande Giro. Tuttavia in futuro avrei forse un approccio un po’ diverso al recupero, post Giro. Starei un po’ più tranquillo nell’immediato. Quest’anno forse ho continuato a spingere un po’. Forse proprio perché uscivo bene dal Giro, forse per l’euforia di una buona corsa rosa… Col tempo un pelo l’ho pagato e quindi immagino che quella fase di recupero sarà da ritoccare. Ma parliamo di dettagli, comunque sto bene.
Come hai lavorato questa estate?
Dopo i campionati italiani ho recuperato per bene. E’ seguita una fase di altura nella quale ho costruito di nuovo una bella base per tutta questa seconda parte di stagione. Sono andato prima con la squadra a Livigno e poi ho aggiunto una settimana da solo sul Pordoi.
Due giorni fa hai disputato il GP de Wallonie, corsa di un giorno…
Avevamo una buona squadra per fare bene e io avevo un ruolo di supporto. Ero pronto e contento di dare il mio contributo. Le gare a tappe ormai sono finite. C’è rimasto qualcosa in Asia, ma da dopo la Norvegia solo corse di un giorno per me.
E poi ci sono le classiche italiane…
Sabato e domenica correrò il Pantani e il Matteotti con la nazionale. Dopodiché mi aspetta qualche gara del calendario italiano. Penso ad un Giro dell’Emilia o ad una Bernocchi, gare accattivanti che mi è sempre piaciuto fare e che non ho ancora mai corso e per questo sono molto curioso. Ce ne sono poi un paio come le ultime due in Veneto, vicino casa, che mi piacciono parecchio. Le sento di più.
Dopo Giro lungo per Frigo: Giro del Belgio, campionato italiano a crono e in lineaDopo Giro lungo per Frigo: Giro del Belgio, campionato italiano a crono e in linea
Torni in azzurro dai tempi dell’under 23 in quella grandiosa nazionale che salì sul podio dell’Avenir e vinse il mondiale… Com’è andata questa convocazione?
In realtà dovreste chiederlo a Bennati! Una cosa è certa: anche se non è una convocazione per un europeo o un mondiale, mi fa sempre piacere indossare una maglia azzurra. E’ successo che nelle seconda metà di agosto mi è arrivata la telefonata di Bennati che mi ha chiesto se volessi fare queste due corse in azzurro. Io ho detto di sì. Chiaramente prima di una risposta definitiva, per non creare conflitti, ho chiesto il via libera alla mia squadra. E tutto è andato bene.
Quindi ti ha un po’ sorpreso questa convocazione?
Sinceramente sì, come ho detto mi fa piacere. Sono due belle gare e per entrambe sarà la mia prima partecipazione. Mi aspetto di fare una buona prestazione, poi se sarà per dare supporto o per cogliere un risultato questo non lo so. Quello che mi interessa è andare forte.
Balsamo contro Wiebes, Wiebes contro Balsamo. E in mezzo spesso c’è Charlotte Kool, ma questa è un’altra storia. Nel duello fra l’olandese e l’italiana c’è il sale di tante corse che si decidono in volata. E proprio perché le due ragazze sono molto diverse fra loro, la sfida diventa interessante per le sue sfumature. Ne abbiamo parlato con Giorgia Bronzini, scoprendo come attraverso quelle differenze si trovino a confronto le culture ciclistiche delle diverse regioni d’Europa, a metà fra il Nord che avanza e impone le sue nuove leggi e la vecchia Italia che si difende con l’esperienza.
«Già partendo dal piano fisico – esordisce Bronzini, che il prossimo anno cambierà ammiraglia – fra Elisa e Wiebes, c’è una netta differenza nella corporatura. Penso che a livello di massa muscolare Wiebes ne abbia molta di più e quindi, nelle volate più veloci, esprime più potenza. Mi viene in mente com’era fra me e Ina Teutenberg, che quando era lanciata a tutta velocità, con la mole che aveva, ovviamente era più veloce. Se però c’era un arrivo tecnico o sbagliava il tempo della volata oppure il percorso aveva tanta altimetria, allora arrivava stanca ed era meno veloce».
Nelle volate piatte, Teutenberg era imbattibile come Wiebes. Qui Marianne Vos non riesce a uscireMa nelle corse più dure, come il mondiale di Copenhagen del 2011, Teutenberg finiva dietro Bronzini e VosNelle volate piatte, Teutenberg era imbattibile come Wiebes. Qui Marianne Vos non riesce a uscireMa nelle corse più dure, come il mondiale di Copenhagen del 2011, Teutenberg finiva dietro Bronzini e Vos
Di fatto Wiebes è una velocista, Balsamo è un’atleta velocissima…
Elisa diventa una sprinter fortissima più il percorso è duro e selettivo. In quel caso lei mantiene gli stessi watt nella volata, ci arriva più fresca delle altre, perché la sua corporatura glielo permette. E credo che sia questa la sua arma per vincere più corse nell’anno, perché è difficile che ci siano sempre dei percorsi totalmente piatti. La cosa che mi ha stupito è che comunque adesso anche la Wiebes sia presente su certe altimetrie nonostante il suo fisico.
E’ stato il suo salto di qualità di questa stagione.
Le due che ultimamente stupiscono di più sotto questo aspetto sono Kopecky e lei. Non sono esili e non sono filiformi, diciamo, mentre Elisa è più asciutta, ha una massa delineata. Loro invece hanno proprio la massa da velocista. Un po’ come se ai tempi, Cipollini fosse arrivato all’Amstel a fare la volata con Gasparotto e Valverde. L’altro giorno hanno fatto prima e seconda sul Cauberg, non so se lo scorso anno Wiebes sarebbe stata lì.
Quest’anno Bronzini ha guidato la LIV Racing Teqfind, dal prossimo anno cambierà ammiragliaQuest’anno Bronzini ha guidato la LIV Racing Teqfind, dal prossimo anno cambierà ammiraglia
Nel racconto delle compagne, ha lavorato sodo per riuscirci.
Hanno adottato un altro tipo di allenamento, che magari non è ancora comune. Sembra proprio che abbiano anche la parte di resistenza che di solito è difficile avere con quel tipo di corporatura. Penso che siano avanti sul fronte della preparazione, che ci siano dietro degli studi cui noi italiani non siamo ancora arrivati. Noi non facciamo test o comunque non sperimentiamo, siamo sempre un po’ restii al cambiamento. Se vediamo che una cosa va bene, è difficile che cerchiamo di cambiarla. Non siamo i numeri uno nella tecnologia, siamo molto nella tradizione.
Come possiamo difenderci?
Quando ci presentiamo come nazionale, quello che ci permette di fare la differenza è la testa che non sempre hanno nel Nord Europa, perché vengono trattati in modo più freddo. Quando lavoro con delle ragazze straniere, è difficile che apprendano al volo quello che gli suggerisco tatticamente, il comportamento che gli suggerisco di avere, perché non è nella loro indole. Se invece parlo con le ragazze italiane, capiscono subito. Fortunatamente questa parte è ancora molto importante. Per contro credo che se un’italiana venisse gestita come le altre, il suo rendimento sarebbe inferiore, perché non siamo abituate a certe rigidità.
Simac Ladies Tour, sul Cauberg Kopecky batte Wiebes: gran numero per due atlete così possentiSimac Ladies Tour, sul Cauberg Kopecky batte Wiebes: gran numero per due atlete così possenti
Pensi che Balsamo dovrebbe provare a crescere muscolarmente per arrivare a quelle punte di velocità?
Io eviterei di cambiare pelle o di provarci. Se il percorso di Elisa l’ha portata a questo punto, con gli allenamenti che ha fatto, è perché lei è così, quindi rimarrei fedele a me stessa. Quanto ha vinto Marianne Vos che in proporzione ha lo stesso fisico di Elisa? Anzi, la nostra è ancora più definita, è ancora meglio. E poi comunque le gare stanno diventando sempre più dure e sempre più lunghe, tanto che persino Wiebes si è asciugata parecchio.
Uno dei motivi del cambiamento è certamente questo, sta crescendo: ha 24 anni.
Secondo me dall’anno scorso avrà perso 5-6 chili, che fanno la differenza. Però ugualmente penso che se nella penultima tappa del Simac Ladies Tour avesse dovuto fare il Cauberg per sei volte invece di tre, difficilmente sarebbe stata lì. Ancora ha un limite fisico, anche se vedendo quello che ha fatto Kopecky al Tour, capisci che i campioni riescono sempre a tirare fuori una percentuale di grinta e sofferenza che gli permettono di fare cose bellissime.
Balsamo (1,71 per 55 chili) ha una struttura più longilinea che la rende più forte in salitaBalsamo (1,71 per 55 chili) ha una struttura più longilinea che la rende più forte in salita
Tornando alle due ragazze, hanno entrambe un leadout italiano. Quanto conta chi ti lancia la volata?
Sanguineti con Balsamo e Guarischi con Wiebes. Credo che il leadout sia almeno l’ottanta per 100 del successo, soprattutto adesso che si sta andando sempre di più verso un ciclismo di squadra. Se vai alla volata ad occhi chiusi e ti fidi ciecamente di chi hai davanti, non devi pensare perché ci pensa lei per te. Io ai tempi preferivo che mi mettessero sull’avversaria e la… usavo come ultimo uomo. Preferivo che se le cose andavano male, la responsabilità fosse mia al 100 per cento, senza dubbi o cose da rivendicare con qualcun altro. Era una convinzione mia, anche perché ai tempi la figura del gregario a questo modo non c’era. Si vedeva un po’ in nazionale, ma generalmente nelle corse non c’era. Oppure c’erano gli squadroni contro i quali era inutile competere. Se io andavo col mio treno contro quello della Ina, saremmo deragliate dopo un chilometro, mentre oggi ci sono tre o quattro squadre che possono farlo. E chi non riesce a farlo, non è per mancanza di volontà, ma per la potenza e l’abilità delle ragazze.
Quindi secondo Giorgia Bronzini, Balsamo va bene com’è?
Non la snaturerei, preferirei che rimanesse com’è, perché ha già vinto il campionato del mondo, quindi vuol dire che funziona. Quest’anno ha avuto sfortuna e chapeau per come è tornata, però le sue caratteristiche le hanno permesso comunque di vincere. Al Simac ha battuto nuovamente la Wiebes e così facendo potrà vincere 10-15 gare all’anno, magari con dentro un titolo che sia il mondiale o l’europeo. Può vincere la Gand e pure Cittiglio, magari aiutando al Fiandre una Longo Borghini che ricambierà in altre occasioni. Fra le donne, anche per gli organici esigui, c’è una collaborazione che fra gli uomini non si vede. Piuttoso invece le direi di prendersi le pause giuste.
Wiebes (1,71 per 60 chili) ha la struttura fisica potente della velocista pura, ma è dimagrita rispetto al 2022Wiebes (1,71 per 60 chili) ha la struttura fisica potente della velocista pura, ma è dimagrita rispetto al 2022
In che senso?
Non so se sia anche il suo caso, ma ancora adesso le ragazze fanno fatica a fermarsi per recuperare. Sembra che gli fai un dispetto, io invece non vedevo l’ora, perché sapevo che dal recupero nascevano le cose migliori. Faccio l’esempio di Rachele Barbieri, che non ha mai recuperato la stagione scorsa. Nel 2022 è stata bravissima, fra pista e strada, però non ha staccato nel modo giusto per recuperare tutti gli sforzi che ha fatto. E secondo me quest’anno l’ha un po’ pagata a livello fisico e anche mentale, proprio perché non sono robot. Le ragazze che fanno tanta attività, quindi anche Elisa, devono farsi un esame di coscienza ed evitare che una goccia faccia traboccare il vaso. Se un giorno non vado a girare in pista, non è per pigrizia, ma per salvaguardarmi. Vedo che le ragazze fanno fatica a conoscersi, perché viene tutto basato sui watt, senza distinzioni.
Invece cosa bisognerebbe fare?
Quando mi danno le schede di valutazione di un’atleta da prendere, io preferisco conoscere la persona. Chiaro, se ha 200 watt e nulla di più, non può andare avanti. Ma a parità di motore, gli atleti sono persone e il bilanciamento fra la vita di tutti i giorni e la vita sportiva è un gioco di equilibrio, per cui è sbagliato trattarle come delle macchine. Alla SD Worx sono fortissime, io però non lo so se sono tutte contente come pare e se il gruppo funziona proprio bene. Vogliono vincere tutte, da fuori può sembrare tutta festa, ma dentro è davvero così? Prima dell’abbraccio fra Vollering e Kopecky alla Strade Bianche sono volate parole non proprio belle in olandese.
Il ritorno alla vittoria di Balsamo contro Wiebes dopo l’infortunio ha meritato il plauso di Giorgia BronziniIl ritorno alla vittoria di Balsamo contro Wiebes dopo l’infortunio ha meritato il plauso di Giorgia Bronzini
Loro parlano di ottimo ambiente e vanno fortissimo.
Non mi piace tanto che una squadra abbia il monopolio di tutto, ma non perché sia gelosa di loro. Sono bravi, stanno lavorando in un certo modo, hanno fatto crescere diversi campioni, quindi non è una critica. Però la loro superiorità quando si presentano alle corse fa un po’ scemare l’attesa della gara. E poi quello che mi stupisce a volte è che gli avversari gli danno anche una mano, facendo il lavoro per loro. Magari se tanti inseguimenti dovessero farseli da sole, alle volate la Wiebes ci arriverebbe più stanca.
Giorgia Bronzini, ds della Human Powered Health, spiega i passi avanti di Barbara Malcotti in salita e il discesa. Il prossimo step riguarderà la forza
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Remco Evenepoel che sull’arrivo porta ripetutamente l’indice al casco, come a dire che serve la testa, e la Jumbo-Visma che incorona Sepp Kuss: La Cruz de Linares ha dato questi verdetti. Questa pazza e strana Vuelta ha trovato protagonisti e tappe inattese.
Giuseppe Martinelli, che oggi era alla Coppa Sabatini in Toscana, non si è comunque perso la corsa spagnola. Il “vecchio” Martino ne sa una più del diavolo ed è lui a prenderci per mano e a dare risposte importanti.
Si correva ancora nelle Asturie, quasi al confine coi Paesi Baschi. In tutto oltre 4.600 m di dislivelloSi correva ancora nelle Asturie, quasi al confine coi Paesi Baschi. In tutto oltre 4.600 m di dislivello
Remco bravo, ma…
Partiamo da Remco. Ancora un’impresa mostruosa, potente, grandiosa ma anche, lasciatecelo dire, un po’ triste. Il belga compie numeri pazzeschi, anche watt alla mano, ma se li fai quando hai 37 minuti di ritardo, non hanno lo stesso piglio di quando sei in lotta per la generale. L’approccio è differente.
«Secondo il mio punto di vista – dice Martinelli – Remco non pensava di prendere quella batosta. Ed è stata una batosta più di testa che di gambe. Ne sono certo. Non prendi 27′ e il giorno dopo fai quello che fai. E anche sull’Angliru quasi riesci nuovamente nell’impresa e oggi di nuovo così. Alimentazione, recupero… No, è stata la testa».
«Remco è forte, ma deve capire che nei giorni in cui non vai, non puoi lasciare andare tutto. Deve imparare a gestirsi. Ma questo dipende solo da lui. In quel momento sei solo, non ti deve crollare il mondo addosso. Lotti, muori, tieni duro».
Quel dito sul casco diventa ancora più suggestivo dopo queste parole.
Un bravissimo Damiano Caruso chiude secondo a 4’44” da Evenepoel con cui era in fuga Un bravissimo Damiano Caruso chiude secondo a 4’44” da Evenepoel con cui era in fuga
Bisogna crescere
In quel momento sei solo. Momenti che deve imparare a gestire. Due frasi che hanno un certo peso quelle di Martino. Giusto qualche giorno fa avevamo riportato le parole di Bruyneel, diesse discusso, ma che sa il fatto suo.
Il belga aveva detto che Evenepoel era il direttore sportivo della sua squadra, come se davvero fosse da solo.
«Nella tappa dell’Angliru – prosegue Martinelli – uno come lui non doveva andare in fuga (Bruyneel aveva detto anche questo, ndr): è forte e doveva affrontare i big. Alla fine, dal giorno della crisi questo ragazzo è sempre stato davanti. E le sue non sono fughe bidone, non scappa con quattro pellegrini. Remco domina.
«Dire che in squadra soffrano la sua personalità non lo so, ma è certo che Evenepoel deve imparare a gestire quei momenti difficili. Lui stacca il cervello dalle gambe e non so chi potrebbe aiutarlo. Bruyneel ha detto quelle cose in modo un po’ generico, ma Remco deve lavorare su questo aspetto se vuole puntare a fare bene nei grandi Giri. Per me è il più forte del gruppo o alla pari di qualcuno, perché Roglic, Vingegaard, Auyso o Kuss non sono in grado di fare quei numeri come oggi».
Ayuso e Mas scattano nel finale, Kuss e Roglic chiudono per tenere tutti a distanza nella generale, mentre Vingegaard molla 9″Ayuso e Mas scattano nel finale, Kuss e Roglic chiudono per tenere tutti a distanza nella generale, mentre Vingegaard molla 9″
Dominio Jumbo
E con Kuss si passa al secondo tema di giornata: l’ormai consueto dominio della Jumbo-Visma. Oggi sono arrivate quelle risposte che cercavamo ieri. Chi designeranno come vincitore della Vuelta in casa Jumbo? Come si gestiranno? A quanto pare vedremo un americano a Madrid.
«Per me si sono accapponati la pelle da soli – dice Martinelli – loro avevano questi due fenomeni e si sono ritrovati col “terzo incomodo” in maglia roja. Alla fine non sapevano cosa fare… Non puoi lasciare andare via Kuss in maglia di leader. Un errore per me, visto che potevano vincere due grandi Giri nella stessa stagione con Roglic o con Vingegaard, qualcosa che non riesce più a fare nessuno da anni».
L’opinione pubblica è tutta a favore di Kuss. E’ la favola del gregario che dà sempre l’anima per i suoi capitani e si ritrova per una volta con lo scettro in mano. Oggi, salvo sconvolgimenti nella frazione di sabato, i gialloneri hanno dato il via all’operazione simpatia, così è stata ribattezzata e invocata da più di qualcuno la sua vittoria.
Sepp Kuss in rosso a tre tappe dal termine. Guida con 17″ su Vingegaard, 1’08″su Roglic e 4′ su Ayuso, primo degli “altri”Sepp Kuss in rosso a tre tappe dal termine. Guida con 17″ su Vingegaard, 1’08″su Roglic e 4′ su Ayuso, primo degli “altri”
Operazione simpatia
L’arrivo odierno di Vingegaard faceva sorridere: il danese in pratica non ha pedalato per lasciare qualche secondo al compagno. E quando Kuss è partito a caccia di Ayuso, dietro parlottava con Roglic. Forse i due campioni non erano neanche in soglia!
«La tappa di sabato è durissima… se decidono di farla forte e di attaccare – va avanti Martinelli – ma chi li attacca quelli? E non credo che tra di loro si meneranno. Ripeto, gli si è creata questa situazione e a quel punto chi non tifava per Kuss? Oggi hanno giocato col gatto col topo, si è visto. Hanno deciso chi vincerà la Vuelta. O forse lo hanno deciso ieri sera…».
In effetti le dichiarazioni post Angliru di Roglic e Vingegaarderano a favore di Kuss e i due sono stati fedeli a quanto detto. Poi c’è anche un altro aspetto da valutare: il futuro. Decidere uno tra Primoz e Jonas potrebbe creare qualche problema in squadra. Il terzo incomodo, che tra l’altro è sempre stato presente nei grandi Giri conquistati dalla corazzata olandese, quasi, quasi faceva comodo stavolta.
Insomma i coltelli non volano a porte chiuse e i sorrisi in pubblico sembrano essere reali. E poi è vero che non faranno vincere uno dei due corridori più prestigiosi, ma è anche vero che ne piazzano tre sul podio. Assolo totale.
«No, quali coltelli – conclude il “Martino nazionale” – sono i più forti. Hanno regalato emozioni e spettacolo. Con Kuss colgono l’occasione di accontentare il pubblico, hanno vinto tutte le tappe più importanti…. Non si litiga quando è così».
Abbiamo intercettato Marta Cavalli al rientro dal Tour International de l’Ardeche, che ha conquistato grazie al distacco dato alle avversarie nella tappa regina, vinta in solitaria facendo bottino pieno: tappa e maglia.
La caratteristica che contraddistingue la corsa francese è che tutte le squadre e l’organizzazione pernottano in un grande campeggio. Ogni squadra ha a disposizione tre o quattro bungalow, poi ognuno deve organizzarsi al meglio per gestire i pasti e i trasferimenti, che sono sempre piuttosto lunghi e tortuosi.
La carovana del Tour de l’Ardeche alloggia nei bungalow del Camping Sunelia Le Ranc DavaineLa carovana del Tour de l’Ardeche alloggia nei bungalow del Camping Sunelia Le Ranc Davaine
Aprendo per un istante la pagina dei ricordi, fatta la mia prima esperienza in Ardeche nel 2013, l’anno successivo scommisi con il direttore sportivo che, se avessi fatto podio alla prova di coppa del mondo qualche giorno prima, ci avrebbe portato tutti i giorni al ristorante del campeggio. Purtroppo arrivai quarta per mezza ruota e toccò a noi atlete cucinare per tutti durante tutto il tour.
Marta, avevi mai corso in Ardeche?
Per me era la prima volta. E’ stata una settimana molto impegnativa, ma allo stesso tempo meno stressante rispetto ai grandi Giri. Le giornate erano molto lunghe a causa dei trasferimenti e delle tappe impegnative, però il nostro approccio e l’atmosfera che c’era, forse complice il campeggio, l’hanno resa anche divertente. E’ stato un po’ come ritornare indietro nel tempo a quando correvo le gare open. Era normale vedere gli altri team alla ricerca dell’ombra prima della gara, e le ragazze che, in assenza del camper, si cambiavano in pulmino.
La camping experience…
La soluzione del campeggio è ormai stata accettata come parte della gara. Ogni squadra cerca di organizzarsi al meglio per curare il recupero delle atlete, ma il divario tra i team è netto.
Sul camion cucina della Fdj-Suez operano lo chef Rossini e la nutrizionista Elsa HugotSul camion cucina della Fdj-Suez per il Tour de l’Ardeche ha cucinato la nutrizionista Elsa Hugot
Ci sono ancora atlete che cucinano e lavano i piatti da sole?
Sì, in effetti la realtà è che si nota molto il divario tra gli squadroni e gli altri team. Noi abbiamo avuto un’organizzazione eccellente, molto professionale e penso che abbia fatto la differenza. Squadre più piccole, con atlete forti, hanno retto bene le prime tappe, poi con l’accumulo della stanchezza, a causa di questa situazione difficile tra trasferimenti e campeggio, non sono più riuscite a stare al passo.
Come eravate organizzati?
C’era tanto staff quante atlete ed avevamo molti mezzi, compreso il food track con la nutrizionista, che in queste occasioni eccezionali, fa anche da cuoca. Lei rimaneva in campeggio a cucinare per il giorno successivo, mentre noi andavamo alla gara portando con noi la colazione d’asporto e il lunch box per il dopo gara. Per rispettare i tempi giusti dei pasti siamo state costrette a mangiare sempre in macchina. Considerando i lunghi e tortuosi trasferimenti, avere tanti mezzi è stato sicuramente un vantaggio, perché viaggiare nei sedili anteriori è sempre meglio.
L’Ardeche è un dipartimento francese nella regione Rhone-Alpes: si corre spesso fra i vignetiL’Ardeche è un dipartimento francese nella regione Rhone-Alpes: si corre spesso fra i vigneti
Avere la nutrizionista al seguito ha fatto la differenza?
E’ stata bravissima a trovare soluzioni d’asporto pratiche, per mantenere la nostra dieta pre-gara anche in queste condizioni. Il mio porridge per esempio era meno liquido del solito alla mattina. Alla sera invece mangiavamo all’aperto. Purtroppo la luce fuori dal bungalow non funzionava, così per vedere quello che si mangiava avvicinavamo il più possibile il tavolo al food track, da cui usciva uno spiraglio di luce. E’ stato divertente.
Come hai gestito il rifornimento in gara?
Insieme alla nutrizionista abbiamo studiato i percorsi per pianificare i punti di rifornimento. Avendo a disposizione tanto personale, siamo riuscite ad averne anche sei volte in 100 chilometri e nei momenti migliori. In questa gara si andava in salita ad andatura vivace oppure si affrontavano discese tecniche, quindi non c’erano molte occasioni per mangiare. Anche in questo caso l’organizzazione professionale del mio team è stata fondamentale: abbiamo avuto tutto ciò di cui avevamo bisogno in gara al momento giusto.
Suk podio finale del Tour de l’Ardeche, Cavalli ha preceduto Erica Magnaldi e Anastasyia KolesavaSuk podio finale del Tour de l’Ardeche, Cavalli ha preceduto Erica Magnaldi e Anastasyia Kolesava
Come valuti questa esperienza?
Non avevo mai fatto nulla di simile, ma è stato bello. I percorsi mi sono piaciuti molto. Credo che come team non potessimo organizzarci meglio di così. Personalmente la presenza del food track con la nutrizionista è un grosso vantaggio, perché essendo a conoscenza della mia intolleranza al lattosio, prepara soluzioni apposta per me. Eravamo attrezzate così anche per Tour e Vuelta (al Giro no, perché in Italia si mangia sempre bene) e ho notato che sono molto più tranquilla. So che quello che mangio è sicuramente privo di lattosio, ed è tutto ciò di cui ho bisogno.
Questa testimonianza di Marta, fa riflettere sui passi in avanti fatti dal ciclismo femminile negli ultimi anni, soprattutto grazie agli squadroni WordTour e sui miglioramenti ancora possibili. Con il successo in Ardeche, Marta si prepara con determinazione per gli ultimi appuntamenti di stagione, e nella speranza di vederla trionfare in Italia sul San Luca o alle Tre Valli, le facciamo anche noi un grosso in bocca al lupo.
Bronzini a favore di programmi più precisi, anche se gli organici sono in emergenza. «Non avrei portato la Cavalli a Roubaix, 3 giorni prima della Freccia»
Il 7-8 ottobre ancora in Veneto avrà luogo il secondo mondiale gravel della storia. Il primo lo organizzò e anche bene Filippo Pozzato nel 2022. Sembrava dovesse andare così anche quest’anno, dato che l’assegnazione era biennale, invece nel cuore dell’estate qualcosa non è andato come si pensava. Nessuno sa bene come e perché, ma la PP Events del vicentino ha ricevuto una lettera di disdetta da parte dell’UCI. La Federazione italiana si è affrettata a scrivere in un comunicato di non averne responsabilità, mentre il diretto interessato al momento ha scelto di non dire nulla, concentrato sulle sue corse di fine stagione.
Comunque sia, il mondiale gravel 2023 è passato nelle mani di Pedali di Marca, organizzazione trevigiana che fa capo a Massimo Panighel, organizzatore di mondiali Marathon e referente per le tappe dolomitiche dell’ultimo Giro d’Italia. E così dai sentieri di Asiago in cui par di capire che fosse tutto pronto, la sfida si svolgerà sulle colline del Prosecco, avendo però appena due mesi per mettere insieme tutto. Abbiamo intercettato Massimo Panighel, appena uscito dalla banca in cui lavora.
Alla presentazione di Gravel in the Land of Venice, Panighel con il presidente veneto ZaiaAlla presentazione di Gravel in the Land of Venice, Panighel con il presidente veneto Zaia
Quando hai saputo ufficialmente che c’era da mettere mano al mondiale gravel?
Il 4 agosto. E non è vero, come dice qualcuno, che Panighel lavorasse sotto traccia dall’inverno, perché davvero non ne sapevo nulla. Il 2-3 agosto, durante una riunione con il Comitato provinciale per parlare della riforma dello sport, ho chiesto al presidente provinciale se ci fossero notizie: se il mondiale gravel lo avrebbero fatto ad Asiago oppure a Cortina, perché girava anche questa voce. E lui ha fatto un sorriso strano, che ora posso interpretare diversamente. Avevo sentito qualche voce un mese prima, alla Dolomiti Superbike, ma nulla di più. Il primo passaggio ufficiale è stato due giorni dopo quando mi ha chiamato Peter Van den Abeele dell’UCI, mentre ero in vacanza ad Auronzo.
Che cosa significa mettere in piedi un mondiale in così poco tempo?
Prima c’è stato il percorso, che andava disegnato. Ci penso tutte le mattine e tutte le sere quando vado a letto, abbiamo 20-25 giorni di tempo. L’UCI ha visto il percorso l’ultima settimana di agosto. Lo abbiamo disegnato cercando di stare nei limiti che ci hanno imposto, cioè 60 per cento di sterrato e 40 di asfalto. Il tutto, dovendo anche assecondare le richieste dei sindaci, per passare dove hanno piacere o necessità che si passi. Però è un bel percorso.
Fatto come?
Si parte dal Lago delle Bandie, dove c’è stato il mondiale di ciclocross del 2008, poi si passerà una prima volta a Pieve di Soligo e faranno un primo anello nella zona di Revine Laghi, Tarzo e San Pietro di Feletto. Un altro passaggio sul traguardo di Piave di Soligo e si farà un secondo anello nella zona classica del Prosecco, fra Pieve di Soligo e Valdobbiadene. La lunghezza sarà sui 160-170 chilometri per gli uomini con circa 1.800-2.000 metri di dislivello. Quello delle donne lo stiamo ridisegnando adesso, perché abbiamo dovuto fare dei tagli, sarà sui 140 chilometri con 1.600 metri di dislivello. Ma il problema non è tanto per le categorie elite, il fatto è che bisogna disegnare tre percorsi per le categorie master e questo sarà davvero impegnativo. Come sarà un bel lavoro trovare e gestire i volontari, trovare le ambulanze… Non è così semplice.
Il mondiale gravel partirà dal centro Le Bandie, dove si disputò il mondiale 2008 di cross (foto Facebook)Da Pieve di Soligo si andrà verso Valdobbiadene e le colline del Prosecco (foto f. Marquez)Il mondiale gravel partirà dal centro Le Bandie, dove si disputò il mondiale 2008 di cross (foto Facebook)Da Pieve di Soligo si andrà verso Valdobbiadene e le colline del Prosecco (foto f. Marquez)
Quali risposte avete avuto dai Comuni, dai territori, avendo così poco preavviso?
Ottime, perché fortuna vuole che Fabrizio Cazzola, che è Consigliere federale e fa parte del gruppo ristretto che sta lavorando al mondiale, è di quelle zone quindi conosce benissimo le persone che contano. Un’altra figura cardine è il presidente del Comitato provinciale, Giorgio Dal Bo’, che con la Prefettura e la provincia di Treviso sta portando avanti il discorso delle autorizzazioni. Gli stessi Comuni si sono impegnati a chiedere i permessi nei confronti dei privati, i cui terreni saranno attraversati dai percorsi.
L’organizzazione è in mano a Pedali di Marca?
Diciamo che Pedali di Marca è il referente presso l’UCI, ma abbiamo cercato di fare un comitato di lavoro esteso, coinvolgendo tutte le società della provincia di Treviso, fra cui quella di Lucio Paladin, papà della Soraya. C’è bisogno di tutti, non si può pensare che una sola persona faccia il mondiale, ci vuole la collaborazione di tutto un territorio.
Pensi che ci sarà anche una ricaduta in termini di promozione del territorio?
L’anno scorso, quando venne fuori che Pozzato avrebbe organizzato il mondiale per due anni, ci incontrammo. Io sto portando avanti da tre anni con la Regione Veneto un progetto che si chiama Gravel in the Land of Venice. Abbiamo fatto 80 percorsi nel Veneto dedicati al gravel, più o meno impegnativo, dagli argini alla pianura, la laguna, le colline, la montagna. Proposi di unire le forze, in modo che la gente venisse a vedere il campionato del mondo, ritrovandosi in un territorio dove c’è la possibilità di fare pedalare. Però non se ne fece nulla. La risposta a questa domanda è che se il territorio capisce di avere delle potenzialità, allora il ritorno c’è.
Se lo scorso anno il… pezzo forte era Peter Sagan, quest’anno ci sarà anche Van AertSe lo scorso anno il… pezzo forte era Peter Sagan, quest’anno ci sarà anche Van Aert
Di quali potenzialità parliamo?
In quegli 80 percorsi, abbiamo mappato 6.000 chilometri di gravel, ma probabilmente potrebbero essere molti di più. Bisogna capirlo. La Toscana ne ha fatto un business, perché ormai le Strade Bianche sono un’icona, che non ha neppure bisogno di presentazione. Qui avremmo un territorio che è altrettanto valido, ma per avere un ritorno bisogna cogliere l’occasione, non dipende da Panighel. Però facciamo un po’ fatica. Ho visto anche che le tappe del Giro d’Italia a livello personale sono state una bellissima esperienza, ma siamo certi che abbia avuto un ritornoadeguato?
Qual è la tabella di marcia per i giorni che restano?
E’ come quando arriva una fattura con scritto “pagamento a vista”. Spero di fare l’ultimo sopralluogo e chiudere i percorsi nel prossimo fine settimana, cercando anche di accontentare le richieste di Golazo Cycling, la società belga che lavora con l’UCI. Una tabella di marcia vera e propria non la so indicare, perché è tutto urgente. Ci dividiamo i compiti, ognuno porta avanti il suo. Il discorso dell’assistenza sanitaria non è una cosa di poco conto, perché l’evento va avanti per due giorni. Si dovranno gestire circa 500 volontari. Poi c’è la parte della logistica. Va preparata la guida tecnica internazionale per l’UCI. C’è il discorso hotel. C’è tutto il fronte della comunicazione, c’è da trovare lo speaker. Non so chi abbia avuto la bella idea di dare in giro il mio numero, per cui mi stanno arrivando richieste per le iscrizioni che invece gestisce Golazo. Spero che alla fine vada tutto bene e che qualcuno ci dica se non altro che abbiamo fatto un bel lavoro.
Per comunicazione intendi anche quella verso gli utenti?
E’ un problema, perché la gente potrebbe aver preso impegni diversi. Ci fosse stato almeno il secondo mese a disposizione, sarebbe stato diverso, ma il secondo mese a disposizione era agosto ed era tutto fermo. E’ chiaro che più vai avanti e più diventa difficile gestire ad esempio le prenotazioni. Magari c’è il belga che ha aveva prenotato una settimana a Peschiera del Garda, e ora deve disdire, magari perdendo la caparra. Per questo ci sono cose che non capisco.
Panighel ha spiegato che con Gravel in the Land of Venice sono stati mappati 6.000 chilometri di percorsiPanighel ha spiegato che con Gravel in the Land of Venice sono stati mappati 6.000 chilometri di percorsi
Quali cose?
Ho firmato altri contratti con l’UCI. A fine settembre 2023 avremmo dovuto pagare la prima rata per il mondiale Marathon che organizzeremo nel 2026. L’abbiamo posticipata, dovendo pagare quella del mondiale Gravel, ma in ogni caso so benissimo che se ritardi un giorno, ti chiamano subito. In queste cose non si affonda da soli, ci sono anche altre componenti. Forse ci saranno sotto questioni politiche che a me sfuggono, io da uomo di sport sto dando una mano per venirne fuori.
Non resta che lavorare?
Quello che stiamo facendo. Noi abbiamo anche un mondiale nel 2026. C’è un velodromo a Spresiano che speriamo prima o dopo abbia conclusione, in cui si dovrebbe svolgere un mondiale su pista. Stiamo lavorando tanto col gravel, perché è una disciplina emergente che porta tanta soddisfazione, in fondo basterebbe che ognuno facesse bene il proprio compitino. Io provo a fare il mio e intanto lavoro anche in banca. La tipa di Golazo non voleva crederci, ho dovuto spiegarle che ho una moglie e dei figli da far mangiare e tutto il resto per me è volontariato. Ma non sono convintissimo che ci abbia creduto…
L’ultima settimana di corsa della Jumbo-Visma ha visto una grande serie di vittorie. Quella che, da un certo punto di vista, ha colpito più di tutte è il dominio al Tour of Britain. In particolare il poker calato da Olav Kooij nelle prime quattro tappe, un dominio in volata che merita di essere approfondito. Chi può aiutarci a guardare attraverso questi successi è Edoardo Affini.
Il mantovano risponde da casa, è appena rientrato dalla trasferta britannica. La notizia dell’incidente di Van Hooydonck lo ha raggiunto nella mattinata di ieri. I due hanno corso insieme il Tour of Britain.
«Siamo stati insieme fino a 24 ore prima dell’incidente – dice Affini con voce affranta – anche noi non sappiamo nulla. Il comunicato di ieri sera della squadra racchiude quel che sappiamo: praticamente nulla. Con Nathan ci avevo appena corso 8 giorni di fila e fino alla sera prima ci eravamo scambiati anche dei messaggi. Mi dà fastidio che parte della stampa scriva cose non accertate, la vedo come una mancanza di privacy verso la famiglia».
Affini è stato il penultimo uomo del treno per Kooij al Tour of BritainAffini è stato il penultimo uomo del treno per Kooij al Tour of Britain
Edoardo, cerchiamo di tornare con la mente al Tour of Britain, siete andati in grandi forze.
Per fare una squadra da grande Giro mancavano due corridori, visto che correvamo in sei. Però eravamo ben attrezzati diciamo, considerando che l’ultimo uomo di Kooij era Wout (Van Aert, ndr).
Quattro vittorie di fila non si vedono tutti i giorni…
Vero, ma è anche dovuto alla conformazione delle tappe, l’arrivo in volata era quasi sicuro in tutte le prime frazioni. Dopo aver vinto il primo sprint abbiamo capito che la corsa sarebbe stata in mano nostra. Le altre squadre hanno capito il nostro potenziale e ci hanno lasciato l’onere di chiudere sui fuggitivi.
Tu che ruolo hai ricoperto in questo Tour of Britain?
Ero il penultimo uomo del treno, un ruolo che ho già fatto qualche volta e con il quale mi sono trovato bene. Alla Parigi-Nizza, sempre per Kooij, ho fatto anche l’ultimo uomo. Al Tour of Britain eravamo più organizzati, perché la squadra era tutta per lui: Van Emden e Kruijswijk avevano il compito di chiudere sulla fuga. Mentre Van Aert, Van Hooydonck ed io eravamo gli addetti al treno.
L’ultimo uomo era un certo Wout Van Aert, una garanzia per il giovane calabroneL’ultimo uomo era un certo Wout Van Aert, una garanzia per il giovane calabrone
Che tipo di velocista è, esigente?
Il giusto. In questo caso eravamo ben attrezzati per lui, ma alla Parigi-Nizza ci è capitato più volte di doverci arrangiare. E’ uno che sa prendere bene la posizione in gruppo anche se non scortato alla perfezione, ha una buona capacità di lettura.
In che modo affrontavate gli sprint?
Nella maniera classica: guardando la strada su Veloviewer. A parte un paio di occasioni, dove abbiamo avuto la fortuna di partire e arrivare nello stesso posto, così dopo il foglio firma andavamo a vedere gli ultimi 2 chilometri.
Sempre meglio avere un occhio in più…
Sì, Kooij veniva insieme a Wout e me e insieme guardavamo la strada: buche, tombini, rotonde. Che poi, si può guardare tutto alla perfezione, ma poi la corsa è un’altra cosa.
Kooij è un velocista moderno, che non teme gli arrivi in leggera pendenza o percorsi difficiliKooij è un velocista moderno, che non teme gli arrivi in leggera pendenza o percorsi difficili
In che senso?
Ricordo che in un’occasione, ai meno 7 dall’arrivo, eravamo piazzati bene in testa al gruppo. Stavamo arrivando verso una rotonda che avevamo già visto dalle mappe e sapevamo di doverla prendere a sinistra. Solo che accanto a noi c’erano due squadre che hanno sbagliato la traiettoria e siamo finiti dalla parte opposta. Tutto ad un tratto da primi ci siamo trovati ultimi.
In questi casi è uno che si fa prendere dal panico?
No. Come detto, ha ottimo capacità di prendere posizione anche da solo, quindi non cade in questi tranelli.
Che tipo di sprint ha?
Non ha una volata estremamente lunga, non è uno di quei corridori che parte ai 300 metri. Allo stesso tempo non nemmeno è uno sprinter alla Ewan che esce praticamente sulla linea d’arrivo.
Per l’olandese è l’anno della consacrazione: 10 vittorie ed altrettanti piazzamenti sul podio nel 2023Per l’olandese è l’anno della consacrazione: 10 vittorie ed altrettanti piazzamenti sul podio nel 2023
E’ un corridore che tiene bene anche nelle volate atipiche, magari con la strada che sale un po’ o con un finale insidioso.
Non teme salitelle o rettilinei che tirano un po’ all’insù. Non è pesante (è alto 184 centimetri e pesa 72 chili, ndr) e questo lo aiuta. E’ quello che definiremmo come velocista moderno.
Correrete ancora insieme?
Domenica abbiamo una gara in Belgio: la Gooikse Pijl.
Poi tu come prosegui con il calendario?
Ancora non lo so bene. L’unica cosa che so è che dovrei finire con la Parigi-Tours l’8 di ottobre. Quest’anno ho iniziato presto: dalla Omloop Het Nieuwsblad a febbraio e correrò fino all’ultima gara del calendario europeo, la Parigi-Tours appunto. Metterò insieme 65 giorni di corsa più o meno, non pochi.
Un Angliru da protagonista, o almeno nella parte attiva della corsa: per questo Antonio Tiberi merita un plauso. Ieri la Bahrain-Victorious è stata l’unica squadra a cercare di contrastare l’egemonia della corazzata giallonera in questa Vuelta. E una fetta di questo merito è stata proprio del corridore laziale.
Tiberi era al battesimo sulle rampe del mostro asturiano. Una salita mitica che non lo ha spaventato affatto. Anzi, lo ha affrontato con la sua solidità e il suo metodo da cronoman. Antonio è giunto 18°, appaiato a Damiano Caruso, a 4’10” da Roglic.
Antonio Tiberi (classe 2001) subito dopo l’arrivo, sguardo nel vuoto, ma anche tanta soddisfazioneAntonio Tiberi (classe 2001) subito dopo l’arrivo, sguardo nel vuoto, ma anche tanta soddisfazione
Antonio, insomma… che cosa ti è sembrato di questa salita?
Eh – sorride – bella tosta! Scherzi a parte è stata una salita davvero dura. Io sono abbastanza contento sia di me stesso che di come ha corso la squadra. In quanto Bahrain-Victorious abbiamo guadagnato terreno.
Angliru, salita mitica al pari di Zoncolan o Mortirolo: cosa sapevi?
L’ho conosciuta tramite le slide nel meeting pre-gara. E alla fine è stata più o meno come me l’aspettavo. Sapevo che iniziava in modo più regolare e che man mano che si saliva diventava più dura.
Hai tagliato il traguardo con Damiano Caruso: ti ha dato dei consigli?
Io ho iniziato a tirare già prima della salita. Poi, una volta sull’Angliru, Damiano mi diceva dove si poteva aumentare un po’ e dove invece era meglio recuperare un pelo. Poi quando ho terminato il mio lavoro e mi sono spostato, ho cercato di tenere duro, di non mollare il mio gruppetto, anche pensando un po’ alla mia classifica. Anche se nel tratto più ripido in effetti poi ho faticato un bel po’.
Tiberi in testa al gruppo, dietro di lui il controllo di Caruso. Il forcing di Antonio a inizio salita ha prodotto una grande selezioneTiberi in testa al gruppo, dietro di lui il controllo di Caruso. Il forcing di Antonio a inizio salita ha prodotto una grande selezione
Quindi secondo te, Antonio, l’Angliru è una salita “on-off”, cioè in cui per salire si va a tutta, oppure con i rapporti corti di oggi si riesce a gestire in qualche modo?
Di certo con i rapporti corti attuali è più gestibile. Io avevo il 36×34 e credo fosse giusto. Anche perché dovevo tirare e oltre sarebbe stato troppo agile. Comunque c’era da spingere. Dal canto mio sono riuscito a gestirmi abbastanza bene, soprattutto quando tiravo. Sentivo che il fisico rispondeva: in alcuni tratto riuscivo a dare di più, in altri a salvarmi, il tutto senza mai superare il limite e non accumulare troppo acido lattico. E la stessa cosa ho fatto dopo che mi sono staccato.
In questo caso il potenziometro aiuta molto, giusto?
In realtà non l’ho guardato molto. Anzi, sono andato parecchio a sensazione… come piace a me.
E il contapedalate?
Neanche. Bisogna considerare che nel tratto più ripido (oltre il 23 per cento, ndr) non si riesce a controllare. Lì non puoi fare nulla se non spingere e salire. In quei momenti sia la velocità che la cadenza sono bassissime. Per il resto, come in altre salite, ho cercato di tenere alte le pedalate il più possibile.
Quando dici alte cosa intendi?
Sulle 90, anche 95 rpm. Sulle salite lunghe tendo a gestirle come in una crono.
Il laziale è alla seconda Vuelta, ma era al debutto sull’Angliru. Per ora è 20°, primo degli italianiIl laziale è alla seconda Vuelta, ma era al debutto sull’Angliru. Per ora è 20°, primo degli italiani
Voi della Bahrain avete tenuto testa ai Jumbo-Visma: come mai questa azione? Qual era l’obiettivo?
Contro quei tre non puoi fare nulla o quasi e allora abbiamo impostato un ritmo alto per far stancare un po’ di più i loro gregari, fargli fare più fatica e lasciarli così soli. E lo stesso nei confronti delle altre squadre. L’idea era di guadagnare sugli altri.
L’Alto de Angliru è una salita simbolo. A livello emotivo come l’hai vissuta?
Nel complesso in modo tranquillo direi. Non l’ho sentito sin dal giorno prima tanto da non dormirci su, per dire… Magari ho “sentito” più il Tourmalet perché era la prima tappa regina, con tanti chilometri e tanto dislivello. Io avevo qualche dubbio sulle mie gambe. Adesso invece, in questa terza ed ultima settimana mi sento meglio. E questo è rassicurante, mi dà consapevolezza e toglie un po’ di paura.
In effetti, vedendoti da fuori ieri sembravi molto sciolto sulla bici, più a tuo agio. Ma sono sensazioni chiaramente…
No, no… ci sta. Io più corro e più mi sento a mio agio. Ma credo che in questo aspetto conti parecchio anche la squadra. In Bahrain-Victorious abbiamo un livello molto alto e anche nei momenti di difficoltà c’è sempre più di un compagno ad aiutarti.
Il più classico degli Angliru da una parte, con nebbia, umidità, due ali di folla nei tratti più aperti… E una scalata “più piatta” del solito dall’altra, con una selezione da dietro dettata dal dominio della Jumbo-Visma.
Sul mostro asturiano ha vinto Primoz Roglic. Lo sloveno si conferma a suo agio con certe pendenze, visto che quassù già aveva fatto bene nella Vuelta2020 e visto quanto accaduto pochi mesi fa sul Lussari.
All’uscita del tratto più duro, Roglic (con la monocorona) ha attaccato. Alla fine è stata tripletta Jumbo anche quiAll’uscita del tratto più duro, Roglic (con la monocorona) ha attaccato. Alla fine è stata tripletta Jumbo anche qui
L’analisi con Cassani
Ma in tutto questo ci si pongono diverse domande: chi ha deciso di far vincere la Jumbo-Visma? Come sono gli equilibri in campo? Quando in squadra ci sono troppi i galli a cantare il rischio è che il pollaio possa rompersi.
Davide Cassani in carriera ne ha viste e vissute di cotte e di crude. Lui, tanto per dirne una, era in quella famosa Carrera di Roche e Visentini. Lì sì che volarono coltelli. Qui in apparenza sembra filare tutto liscio.
«Il nostro problema – racconta Cassani riferendosi proprio ai fatti del 1987 – è che Roche aveva apportato quell’attacco senza dire niente a nessuno. Visentini si arrabbiò e fu detto a noi gregari di andarlo a prendere. A quel punto Roche davanti tirò come un forsennato… Ma la questione di base è che non c’era feeling tra Roche e Visentini. Non mi sembra questo il caso della Jumbo-Visma. Kuss ogni volta che finisce una tappa, anche se ha perso terreno, è l’uomo più sorridente e tranquillo del mondo».
Anche oggi lo squadrone olandese ha controllato la gara, anche se ha sfruttato e il grande lavoro della Bahrain-Victorious. Ma quando sono arrivati al dunque Sepp Kuss, Jonas Jonas Vingegaard e appunto Primoz Roglic hanno messo in chiaro i valori in campo.
«Ho visto un finale particolare – commenta Cassani – ho avuto come l’impressione che Vingegaard fosse rimasto lì come a dire: “Io mi metto a ruota del primo che va e non faccio niente. Poi vediamo che succede”. Kuss si è difeso come meglio ha potuto e Roglic era a tutta. Ci ha provato».
Ancora un grande Cattaneo ha portato fuori Evenepoel. L’ultimo della fuga ad arrendersi sulle rampe dell’AngliruAncora un grande Cattaneo ha portato fuori Evenepoel. L’ultimo della fuga ad arrendersi sulle rampe dell’Angliru
Risultato in cassaforte
Calma apparente sull’Angliru. Come se su quelle pendenze ci possa essere della calma. Ragionare non è facile neanche per dei super campioni come loro. Il fatto è che Vingegaard dopo le difficoltà ammesse nella prima settimana è in netta crescita. Kuss non è stato attaccato del tutto perché… è Kuss, uomo squadra a cui tutti vogliono bene. E Roglic è forte, ma non il più forte.
«Per me in Jumbo-Visma hanno tutto sotto controllo – ha detto Cassani – almeno da fuori è così. Di certo in questi giorni si sono parlati e di certo se volevano platealmente far vincere Kuss lo potevano fare. Avrebbero rallentato.
«La mia idea è che loro vogliano mettere in cassaforte il risultato (sia di tappa che della generale, ndr) e una volta fatto questo dicano ai ragazzi di giocarsela nel finale».
«Posso ipotizzare che oggi gli abbiano detto di stare insieme fino ai tre chilometri dall’arrivo e se fosse stato tutto sotto controllo, se la sarebbero potuta giocare. Che poi è il discorso legato a Kuss. Alla fine lo hanno attaccato, ma gli hanno anche portato riguardo nel corso di questa Vuelta. Attacchi sì, senza mai mettere in pericoloso il successo della squadra. Quindi possono aver trovato questo accordo, anche perché già da un po’ hanno capito che possono vincere la corsa».
Ayuso, l’unico che poteva impensierire i tre Jumbo per il podio, ha incassato 1’42”. Ora è 4° a classifica a 4′ tondi, tondiAyuso, l’unico che poteva impensierire i tre Jumbo per il podio, ha incassato 1’42”. Ora è 4° a classifica a 4′ tondi, tondi
Due triplette in vista
L’analisi dell’ex cittì rispecchia quanto accaduto negli ultimi arrivi in salita. L’idea della doppia tripletta – tutti e tre i grandi Giri e le prime tre posizioni a Madrid – è ormai più che una possibilità concreta. Sarebbe un successo clamoroso basato su grandi singoli, ma anche su una grande forza di squadra.
Ma squadra o no, il re a Madrid sarà uno. Idea nostra è che Roglic, salvo un’azione monster, non possa recuperare tanto terreno a Vingegaard e forse neanche a Kuss. Resta infatti una sola tappa di pura salita, quella di domani. E poi c’è quella di sabato, ideale per le imboscate. Una tappa che tanto ricorda quella in cui fu beffato Purito Rodriguez. Ma con una Jumbo così, e seguendo quanto dice Cassani, viene da pensare che si deciderà tutto domani sulla Cruz de Linares.
«Ho avuto l’impressione – conclude Cassani – che Vingegaard non volesse affondare il colpo. Ma il bello di questa Jumbo è che sono imprevedibili. Tatticamente non sono mai banali. Ogni tanto cambiano strategia… Cambiano modulo, passano dal 4-3-3 al 3-4-3 ma sempre con tre punte giocano!
«A questo punto della corsa a tutti e tre hanno dato e daranno la possibilità di giocarsi la Vuelta. Come è giusto che sia. Hanno trovato un meccanismo vincente. Magari dettato anche dalle piccole situazioni di difficoltà in cui si sono ritrovati, ma hanno rimediato subito (il pensiero va alla tappa di San Sebastian al Tour con Van Aert furioso ma il giorno in prima linea per i compagni, ndr). Piccoli inconvenienti che li hanno fatto crescere anche in tal senso».
Kuss sorridente già prima del via. Oggi l’americano compiva 29 anni. A quattro tappe da Madrid è leader con 8″ su Vingegaard e 1’08” su RoglicOggi Kuss compiva 29 anni. A quattro tappe da Madrid è leader con 8″ su Vingegaard e 1’08” su Roglic
Tutti per Kuss?
E far scopa con quanto detto da Cassani ci sono poi i diretti interessati. Sepp Kuss continua a ridere nonostante ormai abbia pochi secondi di vantaggio sul re del Tour.
«Sono arrivato in Spagna senza aspettative – ha detto Sepp – volevo aiutare i leader. Poi all’improvviso ho preso questa bellissima maglia e così che ho anche scoperto un nuovo livello di corsa per me e un istinto da competizione. Ma ci sono due grandi uomini al mio fianco. Lavoriamo bene insieme dietro le quinte. Sono grandi campioni. Naturalmente voglio avere la mia occasione, ma non mi dispiace lavorare per loro se necessario».
E a queste parole si aggiungono quelle di Vingegaard, per certi aspetti ancora più al miele: «La vittoria di tappa era il nostro obiettivo principale e poi volevamo anche mantenere la situazione nella classifica generale. Siamo molto contenti. Sono sinceramente felice che Sepp sia ancora il leader. Onestamente spero che mantenga la maglia di leader e vinca questa Vuelta».
E infine Roglic: «Oggi ho provato a vincere io. Ho attaccato nel finale, Jonas è riuscito a restare a ruota e Seppe no. Ha detto di essersi sentito un po’ così, così… Comunque ho detto a Sepp di continuare a lottare. La maglia rossa ti porta a fare questo e alla fine ce la farà».
Dichiarazioni non banali quelle di Roglic e Vingegaard. Che in casa Jumbo-Visma abbiano deciso a chi andrà la Vuelta?
Mentre la stagione su strada si avvia alla sua conclusione con ancora tante emozioni da vivere, tra finale della Vuelta, europei, classiche italiane di fine stagione già si parla di ciclocross. Pontoni è diviso fra l’allestimento della nazionale di gravel per i mondiali dell’8 ottobre e la programmazione dei primi impegni sui prati, le squadre intanto fanno i loro progetti per il nuovo anno, con qualche novità e soprattutto con un atteggiamento nuovo verso la struttura della stagione italiana.
Questo almeno è quel che emerge dai primi contatti con i responsabili di alcune squadre fra quelle più in vista, quelle che vengono viste un po’ come le colonne portanti di un movimento che attende lo start, previsto per il 1° ottobre con l’apertura del Giro d’Italia.
Guerciotti con Sara Casasola, che resta la sua punta di diamante femminile, ma si lavorerà sulle juniorGuerciotti con Casasola, sua punta di diamante femminile, ma si lavorerà sulle junior
Nuovi sponsor per Guerciotti
A prima vista può sembrare che in casa Guerciotti tutto sia come prima, ma non è così: la squadra di ciclocross viene ridisegnata partendo soprattutto dal sostegno degli sponsor.
«Entrano importanti entità come Premac e Fas Airport Services – afferma Alessandro Guerciotti – grazie a loro contiamo di allargare la nostra attività e naturalmente ottenere sempre nuovi successi. La nostra ambizione è essere protagonisti un po’ in tutte le categorie, ma soprattutto abbiamo investito sul settore femminile junior acquisendo i migliori prospetti, per dare anche un messaggio di speranza e investire sulla crescita del settore».
L’obiettivo del team lombardo è fare molta attività all’estero, in contesti che consentano ai ragazzi di acquisire esperienze ed emergere: «Gareggeremo soprattutto in Svizzera – prosegue Guerciotti – dove faremo il nostro esordio il 24 settembre e in Francia, ma non per questo trascureremo il Belgio che resta la patria di questo sport. Nel periodo delle feste tutti i migliori si concentrano lì, noi ci saremo speriamo nella forma migliore, anche perché di lì a poco ci saranno i campionati italiani che sono il nostro riferimento principale».
Cambio di casacca per Lucia Bramati e tutto il suo gruppo che approda in Emilia RomagnaCambio di casacca per Lucia Bramati e tutto il suo gruppo che approda in Emilia Romagna
Anche Bramati cambia colori
Novità in vista anche per Luca Bramati: se nella mtb il marchio di riferimento resta Trinx, nel ciclocross tutto il suo gruppo affluisce nell’Alé Cycling Team: «E’ il gruppo di Milena Cavani, con la quale ho condiviso svariate stagioni di ciclismo offroad. Il roster resta pressoché lo stesso, con Eva Lechner che probabilmente vivrà la sua ultima stagione di vertice».
Anche la Alé Cycling affronterà tutte le categorie con un gruppo di 19 corridori, decisamente ampio: «Quest’anno però seguiremo con più attenzione il calendario nazionale, che è stato arricchito con molte prove internazionali che danno punti Uci, ma non per questo trascureremo l’attività all’estero. La sensazione è che comunque, da parte della Federazione, si ascoltino finalmente le richieste e i suggerimenti delle società».
Bramati mantiene però un punto di vista critico sulla gestione della nazionale di Pontoni: «Lasciamo che finisca il quadriennio olimpico, poi si vedrà. Pensare di partecipare ai grandi eventi solo se hai la possibilità di vincere medaglie è utopistico. Ho sempre detto che mondiali ed europei devono essere l’occasione per far fare ai ragazzi esperienze fondamentali. Io comunque vado avanti per la mia strada, so che a livello giovanile ho bei talenti per le mani, ma devono crescere con calma e facendo i giusti passi».
Per Nicolas Samparisi e il suo team un inizio stagione ritardato a causa di mtb e gravelPer Nicolas Samparisi e il suo team un inizio stagione ritardato a causa di mtb e gravel
Samparisi e lo stress da fuoristrada
Chi invece mantiene la sua impostazione consolidata è la Ktm Alchemist powered by Brenta Brakes, ossia il team dei fratelli Samparisi. Tra mtb e gravel, la loro stagione del ciclocross inizierà più tardi e questo certamente rappresenta un problema, considerando i calendari.
«Noi abbiamo avuto una stagione molto intensa nelle ruote grasse – spiega Lorenzo – partecipando a ben 7 corse a tappe. Ormai il calendario delle marathon e prove a tappe è ricchissimo, i nostri chiuderanno con oltre 50 giorni di gara, siamo a livelli da ciclismo professionistico su strada. Questo influirà sul nostro calendario di ciclocross, ma ci aiuta la sua nuova struttura nazionale, significa che viaggeremo un po’ meno, faremo meno prove di Coppa del mondo ormai strutturata su troppe gare».
Una scelta che Lorenzo è deciso ad attuare anche per preservare i suoi ragazzi: «L’esperienza mi ha insegnato che i risultati arrivano solo quando i ragazzi sono al massimo dal punto di vista fisico, ma anche mentale e psicologico. Un’attività troppo stressante non fa assolutamente bene, la coincidenza dei tre aspetti deve sempre essere considerata».
Diversa invece la sua posizione sulla gestione della nazionale: «Con Pontoni abbiamo contatti frequenti, c’è un feedback continuo e questo va a vantaggio dell’attività e della gestione dei ragazzi. Ora siamo tutti concentrati, noi e lui, sul gravel, vedremo poi come venirci incontro per il ciclocross. Il nostro gruppo è rimasto lo stesso, ma contiamo molto sul giovanissimo Falcioni, laureatosi tricolore di cross country nella sua categoria, che può fare il salto di qualità anche sui prati».
Alessia Bulleri in azione. L’elbana farà una stagione a metà visti gli impegni per il team della stradaAlessia Bulleri in azione. L’elbana farà una stagione a metà visti gli impegni per il team della strada
Cycling Café, un anno italiano
Il nuovo calendario, arricchito di prove internazionali, rappresenta un indubbio aiuto e anche la Cycling Café, la società di Cristian Cominelli e Alessia Bulleri è intenzionata a sfruttare maggiormente questa possibilità. Fabio Ottaviani, responsabile del team di Ciampino alle porte di Roma conferma che la squadra, riconfermata nel suo roster salvo Baldestein che passa fra i dirigenti, svolgerà la sua attività soprattutto in Italia.
«Il calendario in questo modo sicuramente ci aiuta – spiega – anche se non rinunceremo ad alcune trasferte, in Svizzera per l’apertura della stagione in Slovenia a novembre per due gare. Il problema è la gestione dei corridori che fanno anche strada: la stessa Bulleri già sa che quest’anno non potrà rinunciare allo stage invernale di preparazione con il suo team spagnolo».
Anche per questo il team segue un po’ un sentiero tracciato da altri e punta sui giovani: «Abbiamo 5 junior, di cui un paio dalla Toscana e uno dalla Puglia, che sono molto promettenti e puntiamo su di loro per la stagione italiana, come Ferruzzi che quest’anno ha vinto l’Eroica per allievi».
E il discorso nazionale? Questo resta un punto interrogativo: «Con Pontoni non ci sono stati contatti, salvo per lo stage di Monte Prat dove ho portato mia figlia. Ma so che Daniele deve far fronte a mille impegni soprattutto ora che c’è alle viste il mondiale gravel che interesserà anche i nostri, quindi confido che dopo ci saranno occasioni di confronto. Una Bulleri brillante potrebbe rientrare nel giro azzurro».
Ecco cosa significa correre il cross ad alto livello. Bisogna guadagnarsi il rispetto, essere pronti alla battaglia. Parola di Dorigoni, Bramati e Pontoni
Luigi Bielli, detto “Billo”, è stato collaboratore di Scotti nel cross e ora lo è di Pontoni. Ma è anche il cittì azzurro del ciclismo indoor. Sapete cos'è?
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