La stagione di Luca Vergallito si è chiusa anzitempo, con la caduta alla Coppa Agostoni costatagli la frattura alla clavicola che ha richiesto un intervento del chirurgo. A rendere la convalescenza meno amara è stata però la notizia della sua promozione nella prima squadra dell’Alpecin Deceuninck, che andrà a comporre il risicato contingente italiano insieme a Nicola Conci, unico azzurro confermato.
Per il milanese è un passo importante, dopo un anno di apprendistato nel team Devo che aveva fatto seguito alla sua vittoria nel contest Zwift. Una seconda opportunità che gli ha aperto la porta del ciclismo che conta, ridando vigore ai sogni che aveva messo da parte quasi con rassegnazione.
Vergallito con il braccio al collo alla Tre Valli, con Chiara Doni anche lei passata per la Zwift AcademyVergallito con il braccio al collo alla Tre Valli, con Chiara Doni anche lei passata per la Zwift Academy
«Per me questa promozione ha un sapore dolcissimo – racconta Vergallito – la conferma da parte del team è il premio più bello per quel che ho fatto in questo primo anno di attività, dimostra che ho fatto davvero qualcosa di buono se i dirigenti mi hanno visto adatto a fare l’ulteriore, decisivo salto di qualità».
Questo risultato è anche la risposta ai dubbi sul tuo cammino ciclistico, avevi confessato che anche tu ne avevi…
Sì, è vero, mi hanno accompagnato nel corso di questa stagione. Io per primo avevo dentro di me quella vocina scettica che mi poneva davanti a quel che stavo facendo. Alla fine quest’anno ha dimostrato che la mia scelta era stata giusta, ma credo di aver lanciato anche un messaggio agli altri, facendo vedere che si può seguire anche una strada diversa per realizzare i propri sogni, che tutto è possibile. Non voglio sembrare arrogante, so che i miei risultati sono arrivati in corse minori e che tanto altro c’è da fare, ma per me questo è un inizio, non l’arrivo di un percorso.
Per il lombardo appena 33 giorni di gare Uci e 5 vittorie. Ha 26 anni, è alto 1,90 e pesa 67 chiliPer il lombardo appena 33 giorni di gare Uci e 5 vittorie. Ha 26 anni, è alto 1,90 e pesa 67 chili
Ora sali di categoria, ti confronterai con i più forti, anzi alcuni li avrai nel tuo stesso team…
E’ uno stimolo assoluto, dovrò affrontare il meglio al mondo e questa è la più grande sfida che mi posso trovare davanti. E’ importantissimo che possa affrontare una buona preparazione invernale. Per questo appena possibile, spero già fra una settimana, voglio tornare in bici, per farmi trovare pronto quando la preparazione vera e propria inizierà.
Qual è stato il momento più bello di questa stagione?
Probabilmente la vittoria all’ultima tappa dell’Oberosterreichrundfarth, che mi ha permesso di conquistare anche la classifica generale. Era la mia terza corsa a tappe della stagione, è stata una svolta, ha messo da parte tutti quei dubbi di cui dicevo prima. Una scarica violenta di emozioni. Poi sono arrivati altri buoni risultati, come i successi al Province Cycling Tour in Belgio e al Giro del Friuli, ma non hanno avuto quel carico emozionale.
Vergallito solo al traguardo in Austria, una vittoria forse decisiva per il suo futuro (foto Instagram)Vergallito solo al traguardo in Austria, una vittoria forse decisiva per il suo futuro (foto Instagram)
Che effetto ti fa essere stato scelto come uno dei due italiani?
So che nel team hanno cambiato molto, d’altronde 30 posti sembrano tanti, ma non è assolutamente così, soprattutto considerando tutti gli obiettivi che un team del WorldTour ha. I posti sono quelli e ciascun dirigente vuole che ogni poltrona sia occupata bene… Questo significa che se sei fra quelli prescelti te lo sei meritato davvero, non è un regalo…
Gareggerai con i più grandi, Van Der Poel e Philipsen, che cosa significa?
A dir la verità non saranno molte le occasioni nelle quali saremo insieme, avremo calendari molto differenziati almeno come impostazione. Loro sono corridori da classiche e da volate, hanno bisogno di una squadra che li supporti. L’Alpecin d’altro canto è costruita molto su di loro e su quel tipo di calendario, non è un team che punta ai grandi Giri. Io sarò chiamato a impegnarmi in gare più adatte alle mie caratteristiche, a prove impegnative, con molte salite. Non saremo molti a seguire questa strada, ma so che avremo comunque un team competitivo dove di volta in volta si proverà a fare risultato, magari in qualche caso ci proverò in prima persona.
Il milanese insieme a Diego Ulissi. Dal prossimo anno pronto per lui un calendario di classiche impegnativeIl milanese insieme a Diego Ulissi. Dal prossimo anno pronto per lui un calendario di classiche impegnative
Da quando la tua storia è emersa, hai avuto addosso molta attenzione da parte dei media. Pensi che questa ti abbia aiutato?
Non più di tanto, ma non mi ha creato neanche tanta pressione addosso. Mi sono sempre concentrato su quel che posso fare. Non guardo tanto quel che succede intorno a me quanto a me stesso e alle persone che mi sono state più vicine e mi hanno spinto a dare sempre quel qualcosa in più.
Nel mondo social, accennavi tu stesso in passato che molti non hanno mancato di darti addosso, come se la tua trafila attraverso un concorso invece che tramite le categorie giovanili fosse una colpa. Pensi che questo epilogo chiuderà finalmente la bocca a tanti detrattori?
Purtroppo non ci credo molto, le critiche non sono mai mancate, anche nei momenti migliori della stagione e so che non appena qualcosa andrà storto torneranno a farsi sentire. Spero che comunque almeno qualcuno che aveva dubbi su di me si sia convinto. Io dubbi non ne ho più, questo è ciò che conta.
NONGLA SCENIC ROAD – Spunta dalla curva e raggiunge l’arrivo in totale apnea, dietro di lui a due soli secondi il francese Rochas. Spiegherà poi che per i suoi trascorsi in mountan bike, fare un minuto e mezzo a tutta sia cosa fattibile. Milan Vader, olandese della Jumbo-Visma, si accascia sull’asfalto del piazzale in cima a questa collina ripida e ricca di suggestioni. Il ritmare incessante dei tamburi, gli abiti tipici delle donne e dei bambini, il tempio là in alto in cui al contrario si coltiva il silenzio: tutto rende il giorno vagamente magico.
Questa è la storia di un ragazzo di 27 anni che lo scorso anno, il primo su strada dopo tre bronzi europei nella mountain bike e il decimo posto alle Olimpiadi di Tokyo, cadde in una discesa nella quinta tappa del Giro dei Paesi Baschi. Ricoverato nel Policlinico Universitario di Bilbao, gli fu indotto il coma a causa delle condizioni critiche. Aveva riportato svariate fratture vertebrali, oltre a quelle di una clavicola e di una spalla. Fu anche sottoposto a un intervento alla carotide per l’inserimento di uno stent che aumentasse l’afflusso di sangue al cervello.
Proprio sopra al podio, un antico tempio buddista, avvolto nel silenzio rispetto al baccano della corsaIl suono dei tamburi, percossi da grandi e piccini, ha riempito l’aria per tutto il giornoProprio sopra al podio, un antico tempio buddista, avvolto nel silenzio rispetto al baccano della corsaIl suono dei tamburi, percossi da grandi e piccini, ha riempito l’aria per tutto il giorno
Senza parole
Vader fatica a parlare. Rientrò alle gare in tempo per disputare la CRO Race e poi andò incontro all’inverno consapevole del tanto lavoro da fare. La cima della montagna si è svuotata di corridori e personale. I primi sono scesi in bici per il chilometro e mezzo che li divideva dalle ammiraglie, gli altri sono saliti su provvidenziali navette che se le sognano persino il Giro e il Tour. Lo hanno premiato. Gli hanno infilato la maglia rossa di leader e adesso l’olandese è senza parole. Nella sua commozione c’è la rinascita, che va oltre la prima vittoria da professionista.
«E’ stato uno sforzo totale – dice prima in olandese – ma è venuto dal cuore per tutto ciò che ho vissuto l’anno scorso. Non è stato un momento facile, soprattutto per la mia famiglia. Per fortuna non ricordo nulla della caduta e dei giorni successivi. Quelle due settimane e mezza sono state cancellate dalla mia memoria. La prima settimana ero mezzo paralizzato. Il dottore disse che non c’erano sicurezze che sarei tornato a camminare. Fortunatamente non ho vissuto tutto, ma i miei genitori e la mia ragazza erano lì. Ho reagito magnificamente. Ho avuto il supporto della squadra e oggi i ragazzi hanno avuto fiducia in me. Lo abbiamo pianificato stamattina e sono contento di aver concluso bene».
Alle interviste Vader si è presentato evidentemente commosso: il suo racconto ha chiarito il perchéAlle interviste Vader si è presentato evidentemente commosso: il suo racconto ha chiarito il perché
Chiamare casa
Ha gli occhi umidi. Lui è uno degli artefici della qualificazione olimpica per l’Olanda nella mountain bike, ma anche a causa dell’incidente ne ha fatto gentile omaggio a Van der Poel. Dice che conosce abbastanza bene Mathieu e Pidcock da stargli alla larga. Che Parigi era un sogno, ma che per ora ha deciso di concentrarsi sulla strada in attesa che il suo corpo recuperi le abilità necessarie per gareggiare nel fuoristrada. Ma la bici con le ruote grosse non la molla ed è la base dei suoi allenamenti.
«Il mio primo obiettivo ora – sorride – prima ancora di ragionare se questa maglia di leader sia al sicuro oppure no, è chiamare la mia famiglia e la mia ragazza Ilse. Sono abbastanza sicuro che anche lei stia piangendo a casa. Ora mi emoziono di nuovo anche io, sono senza parole. L’anno scorso ho ricevuto così tanto supporto da lei e dalla mia famiglia, mi hanno davvero tenuto in vita e questo rende la vittoria ancora più speciale. Non ho pensato agli altri, ero concentrato solo su me stesso».
A due chilometri dall’arrivo, il gruppo è entrato nel territorio del tempio: la salita è appena iniziataRemy Rochas, 2° all’arrivo, ha 27 anni: dopo tre stagioni alla Cofidis, per 2024 e 2025 sarà alla Groupama-FDJSubito dopo l’arrivo, Vader si è steso per terra. certi sforzi brevi e violenti gli vengono dal passato sulla MTBA due chilometri dall’arrivo, il gruppo è entrato nel territorio del tempio: la salita è appena iniziataRemy Rochas, 2° all’arrivo, ha 27 anni: dopo tre stagioni alla Cofidis, per 2024 e 2025 sarà alla Groupama-FDJSubito dopo l’arrivo, Vader si è steso per terra. certi sforzi brevi e violenti gli vengono dal passato sulla MTB
La scelta cinese
Qui il racconto si fa divertente, perché il dolore resta nella memoria, ma la gioia ha il potere straordinario di coprirlo e renderlo incapace di farci ancora del male.
«Penso di essere stato il primo della squadra – ride Vader – a chiedere se potevo venire in Cina. All’inizio hanno riso, poi hanno detto:“ Okay, vediamo se troviamo qualche compagno da mandarti e poi potete andare”. Sono un grande fan della cucina asiatica, questo è certo, ma il motivo era un altro. Appena ho guardato le altimetrie della corsa nel file che ci è stato mandato, ho visto questo giorno tutto piatto e con il finale durissimo. Se ora penso che dopo l’incidente non potevo nemmeno camminare, credo che questo giorno resterà a lungo nella mia memoria».
Vader ha conquistato la maglia di leader. Ha ora 6 secondi di vantaggio su Rochas e 14 su CarthyVader ha conquistato la maglia di leader. Ha ora 6 secondi di vantaggio su Rochas e 14 su Carthy
Un po’ di scaramanzia
Nella classifica generale del Tour of Guangxi ora Vader guida con 6 secondi su Rochas, 14 su Carthy, 17 su Barrè, 18 su Jorgenson e Ethan Hayter. La corsa per domani propone un’altra tappa impegnativa: 209,6 chilometri da Liuzhou a Guilin, senza troppa pianura e una salita senza grandi pretese a 30 chilometri dall’arrivo.
La corsa potrebbe essersi chiusa oggi quassù, ma se c’è una cosa che gli incidenti insegnano è a non fare mai il passo troppo lungo. Starà pensando questo Vader dirigendosi verso il buffet. Da qui all’hotel di Liuzhou ci sono quasi due ore. Mentre l’olandese si avventa sul piatto, sul pullman che trasporta i giornalisti, cominciamo tutti a scrivere la sua storia…
Vittoria Bussi l’ha fatto di nuovo e, poco più di un anno dal sensazionale 56,792 km di Filippo Ganna, ecco il 50,267 della trentaseienne romana, prima donna della storia ad abbattere la fatidica barriera dei 50 chilometri per rendere questo primato tutto tricolore.
Non si è fermata di fronte a nulla Vittoria e, tenendo fede al suo nome, è volata ancora una volta in altura ad Aguascalientes (1.887 metri di quota), come aveva fatto in occasione del primo record datato 13 settembre 2018 (48,007). Stavolta, ha spodestato dal trono l’olandese Ellen Van Dijk (49,254 il 23 maggio 2022 a Grenchen). Oltre 200 giri di passione per prendersi quel primato che avrebbe dovuto tentare già lo scorso 11 ottobre, prima che il maltempo spostasse l’appuntamento con la storia di qualche giorno. Dopodiché, via qualche sassolino dagli scarpini per il primo record ottenuto col crownfunding e senza il sostegno sperato.
La romana ha migliorato il precedente primato di oltre un chilometroLa romana ha migliorato il precedente primato di oltre un chilometro
Che cosa vuol dire riuscirci di nuovo?
L’aspetto principale era il confronto con me stessa ed è stato importante tornare qui e avere il confronto diretto con la Vittoria Bussi del 2018. Mettere altri due chilometri nelle gambe è stato un lavoro minuzioso non solo mio, ma di un team personale che mi sono scelta: il mio allenatore personale Luca Riceputi, le sessioni in palestra col professor Giuseppe Coratella, il mio nutrizionista Marco Perugini e poi grazie al posizionamento in bicicletta di Niklas Quetri.
Ci racconti qualche retroscena?
Le difficoltà sono state tantissime perché mi è successo di tutto: dal muoversi da soli, fino ad arrivare al meteo inverso degli ultimi giorni. Non far parte di alcun team WorldTour è complicato e fare una roba del genere a certi livelli nel ciclismo di oggi non è una passeggiata. Ho dovuto fronteggiare tanti ostacoli.
Tanto entusiasmo intorno alla nuova primatista, anche da parte del pubblico localeTanto entusiasmo intorno alla nuova primatista, anche da parte del pubblico locale
Dove hai trovato le forze di riprovarci a dispetto delle insidie?
Quando, a maggio 2022, il record della Lowden è stato battuto dalla Van Dijk, l’asticella si è alzata oltre i 49. Così ho pensato: «Perché non facciamo qualcosa di storico?». Alla fine, i record vengono battuti, però sicuramente la prima donna a battere i 50 chilometri rimarrà per sempre. Da lì, ho iniziato a coinvolgere altri “pazzi” che credessero nel progetto, a partire dagli inglesi della Hope, che ha realizzato la mia bicicletta.
Hai chiesto qualche consiglio a Ganna?
No, non ci siamo parlati.
Che effetto fa però vedere il suo nome accanto al tuo e pensare che l’Ora è tutta italiana?
L’Ora è italiana ed è molto bello, però se ci fosse stato un po’ più di supporto sarebbe stato meglio. Ad esempio, non ho avuto nessuna spinta dalla Federazione.
Il tentativo di Vittoria Bussi era previsto l’11 ottobre, ma il maltempo aveva costretta al rinvioIl tentativo di Vittoria Bussi era previsto l’11 ottobre, ma il maltempo aveva costretta al rinvio
Come ti sei mossa per costruire il tentativo?
Economicamente avevamo pochi mezzi, ma dal punto di vista delle risorse, le persone che avevo attorno erano eccellenti. Poi sono arrivati anche i fondi e penso che sia stato il primo tentativo al mondo finora realizzato con un crowdfunding.
Quanto hai raccolto?
Dodici mila euro.
In tanti ti vogliono bene…
Le persone normali si sono identificate nell’impresa di una persona comune, che non ha un entourage intorno e non è servita e riverita. Si sono immedesimati e anche donazioni di 10 euro hanno fatto la differenza.
Su strada l’anno migliore per Bussi è stato il 2020: quinta agli europei (foto) e decima ai mondiali a cronometroSu strada l’anno migliore per Bussi è stato il 2020: 5ª agli europei (foto) e 10ª ai mondiali a crono
Il numero finale era quello atteso?
Volevamo solo battere i 50, poi non guardavo sicuramente i 51, ma aver sorpassato la barriera di più di un giro significa aver girato in 17”8 per un’ora.
Quali sono state le sensazioni durante il tentativo?
E’ stata una buona giornata. Sono partita tranquilla e sapevo sin dall’inizio che ce l’avrei fatta. Tutto si è incastrato alla perfezione ed è stato anche un lavoro di famiglia.
Con il record Vittoria dovrebbe chiudere la sua carriera, nella quale ha sempre spiccato nelle prove contro il tempoCon il record Vittoria dovrebbe chiudere la sua carriera, nella quale ha sempre spiccato nelle prove contro il tempo
Come mai?
I tempi me li dettava mio marito Rocco. In realtà, futuro marito: stiamo insieme da 15 anni e a breve ci sposeremo. Adesso che ho fatto il record, cercherò di organizzare il matrimonio.
Altri sogni in sella?
Avrei tanto da dare, ma purtroppo occasioni non ne ho, per cui penso che chiuderò questi 10 anni di carriera. Sono partita con un record e chiuderò con un record, sono contenta così. Non mi sento finita perché l’età è relativa: sono sempre stata una fan di Annemiek Van Vleuten e sono convinta che a 36 anni un’atleta non sia finita. Però, non gareggiando su strada, è giusto che guardi a qualcos’altro nella vita.
Dario Cioni, allenatore di Ganna, apre la porta sul progetto record dell'Ora. Il perché della data. La pista. L'attività di Pippo. I materiali. E Bigham
FELTRE – Metti che un giorno nella splendida sede di Sportful, l’MVC Store di Caupo, arriva Peter Sagan. E con lui almeno due centinaia di ciclisti. Metti che Sagan ha smesso di essere un professionista su strada e che voglia godersi questa pedalata con uno degli sponsor che più gli è stato vicino e che sente vicino. Ecco, metti insieme tutto questo e ne esce una giornata memorabile, fatta di passione e divertimento (in apertura foto Instagram).
Peter Sagan slovacco, classe 1990, 14 anni da pro’, 121 vittorie, tre mondiali, due classiche Monumento, sette maglie verdi e una ciclamino: un personaggio. Un personaggio vero. Il primo ad aver intuito l’importanza dei social e ad aver “bucato” in questa direzione.
Prima di partire Peter si raccomanda di non usare i cellulari per le foto: «Faremo tutti i selfie che volete al ritorno»Si parte. Ci siamo incollati alla ruota di Sagan (al centro)Peter autografa due maglie per i fratelli Cremonese, proprietari di Sportful. «Questo è un rapporto familiare e non una normale partnership»Prima di partire Peter si raccomanda di non usare i cellulari per le foto: «Faremo tutti i selfie che volete al ritorno»Si parte. Ci siamo incollati alla ruota di Sagan (al centro)Peter autografa due maglie per i fratelli Cremonese, proprietari di Sportful. «Questo è un rapporto familiare e non una normale partnership»
Subito leader
Si inizia con una pedalata nella Conca Feltrina: un po’ di nebbiolina, ma non fa freddo. Si parte e Peter, seppur di buon passo, parla con tutti. Su richiesta ci regala anche un’impennata! Questo è uno dei suoi saluti ai tifosi. Ma è quando si rientra alla base che il racconto diventa mito, specie se è lui stesso a narrare.
«Credo – dice Sagan – che 14 anni da professionista siano abbastanza, soprattutto perché li ho fatti tutti da leader. Questo implicava tante più cose: pressioni, responsabilità, interviste, inviti, rapporti con gli sponsor. Di fatto io dopo tre mesi che ero alla Liquigas già avevo la squadra che lavorava per me».
Lo sloveno durante i mondiali di mtb a Glasgow. Dovrà lavorare molto per tornare a buon livelloLo sloveno durante i mondiali di mtb a Glasgow. Dovrà lavorare molto per tornare a buon livello
Ritorno alle origini
Anche per questo Peter ora vuol divertirsi. Il suo non è un addio al ciclismo, ma al professionismo su strada. Lo aspetta la Mtb e il sogno è quello di prendere parte alle Olimpiadi 2024. Ma prima del risultato la parola d’ordine è divertirsi, appunto.
«La Mtb è la mia radice – racconta Sagan – se da bambino mi avessero chiesto d’immaginare il mio futuro, mi sarei visto biker. Anche perché la strada a me non piaceva. Ma poi la vita non va come vuoi… All’inizio per me è stato un sacrificio abbandonare la Mtb. E i risultati su strada sono stati una sorpresa».
«Ma quando sono venuti a cercarmi cosa potevo fare? Se uno fa l’attore in Slovacchia e gli dicono di andare ad Hollywood… lui ci va. E io così ho fatto. Ora però voglio chiudere come ho iniziato e voglio divertirmi, cosa che su strada è sempre più difficile».
Peter ha anche detto di essere consapevole che non sarà facile andare a Parigi: «Anche il livello della mtb è altissimo. E’ cambiata tanto rispetto ai miei tempi. Oggi ci sono materiali diversi, percorsi diversi, il telescopico… Prima si correva per due ore e mezza su terreni naturali, adesso un’ora e 20′ su terreni artificiali molto tecnici. Io ho seguito le gare in tv e da quel che ho visto devo ricominciare da zero».
Primavera 2015: Sagan non vince, ha dolori. E’ vicino a lasciare il ciclismo. Poi la svoltaPrimavera 2015: Sagan non vince, ha dolori. E’ vicino a lasciare il ciclismo. Poi la svolta
Il momento chiave
Peter ha parlato dei suoi rapporti con i tifosi. Per lui sono stati il sale, l’adrenalina. Non si è dimenticato di sottolineare che li ha apprezzati soprattutto quando le cose andavano male e non lo hanno mai criticato.
E ci sono stati dei periodi duri. Anzi, lo slovacco dice che uno di questi è stato il momento chiave della sua carriera. Ed ha individuato una data e un luogo.
«Maggio 2015. Eravamo a Lake Tahoe, tra California e Nevada. Avevo continuamente problemi fisici con la gamba sinistra. Cercavo di mettermi apposto, ma niente. In primavera non avevo vinto. All’epoca ero con la Tinkoff e patron Oleg voleva licenziarmi. Stavo iniziando la preparazione per il Tour e avrei corso al California e un giorno penso: “Io smetto. Lascio perdere”».
«C’era Lombardi (il suo agente, ndr) che mi ha detto: “Tranqui Peter. Ti sei allenato bene in primavera. Le cose si sistemeranno. Vedrai che dopo questa pausa tornerai e vincerai”. Quella sera Lomba aprì una bottiglia di Malbec e ricordo che sull’etichetta c’era il numero 1. “Numero uno come il campione del mondo”, disse Lomba. In autunno ho vinto il mondiale. E poi altri due e già dopo pochi giorni vinsi il California. Sì, quello è stato un momento chiave della mia carriera».
A Bergen, Peter vince il suo terzo mondiale su KristoffA Bergen, Peter vince il suo terzo mondiale su Kristoff
Mal di pancia iridati
E questo passaggio del mondiale introduce il suo lungo rapporto con la corsa iridata. Sagan è l’unico ad aver vinto tre mondiali di fila. Da fuori appariva sempre rilassato e burlone, anche in quelle circostanze, ma le cose non erano proprio così.
«Già al primo anno da elite – racconta Sagan – pensavo che potevo fare bene. Avevo vinto cinque corse. Ero convinto, ma poi dopo 200 chilometri in vista del finale mi è preso il mal di pancia. Dovevo andare in bagno. E quindi niente. Per dire lo stress che avevo. Quanto le energie nervose mi avevano consumato. L’anno dopo, più o meno la stesa cosa e così fino al 2015».
Prima di Richmond 2015 una moto lo butta giù alla nona tappa della Vuelta. Peter è furioso. La conquista del mondiale sembra ancora rimandata. Va in altura, ma di fatto arriva al mondiale senza corse.
«Arrivo pochissimi giorni prima della cronosquadre. Partiamo e cadiamo. Restiamo in piedi in due. Sempre peggio. Il giorno dopo faccio 6-7 ore, come sempre prima del mondiale. Però non ero convinto. In corsa non ero super, ma nel finale sentivo che la gamba era buona e senza pensarci ho vinto. Se non avessi avuto il problema della moto alla Vuelta, magari sarei stato più pimpante e avrei sprecato più energie».
L’anno dopo a Doha, Sagan non è il favorito, quindi parte senza pressione. «Siamo arrivati in volata e ho vinto. Devo dire grazie a Nizzolo che fu correttissimo e non mi chiuse».
Infine eccoci al mondiale 2017. Sembra andare tutto bene. Peter è tranquillo, alla fine due mondiali già li aveva vinti.
«Con Bodnar, Gatto e altri amici facciamo le solite 7 ore pre-mondiale. Dopo 4 ci fermiamo in un bar. Io prendo un pezzo di pizza e ripartiamo. La sera durante il massaggio, la pancia inizia a brontolare. Vomito tutta la notte. La mattina dopo avevo il volo per Bergen. Ero disidratato, vuoto».
Quel venerdì Sagan non tocca la bici. Il sabato fa un’oretta pianissimo, però inizia a stare meglio. E comincia a riempire lo stomaco di carboidrati.
«Arriva la gara. La corsa è veloce ma regolare. Nel finale sono ancora lì. C’era questa salita di 3 chilometri e penso: “Un ultimo sforzo. Se non mi stacco qui, o mi stacco solo da 5-6 corridori, poi rientro in discesa”. In quel momento mi torna la gamba giusta e capisco che è una giornata buona».
Istrionico, grande comunicatore, ma anche molto grintoso e tatticamente intelligente…Istrionico, grande comunicatore, ma anche molto grintoso e tatticamente intelligente…
Intelligenza tattica
Peter parla delle corse come se stesse leggendo un copione. Si ricorda ogni cosa. Per esempio temeva Dillier alla Roubaix. Vero che lo svizzero era un reduce della fuga del mattino.
«Per radio mi avevano anche detto che era un ex pistard e quindi sapeva correre in velodromo. Allora mi chiedo: “Cosa faccio? Se facciamo 100 volate le vinco tutte e 100, ma è ancora qui”. Così ho iniziato a pensare che di Roubaix ne avevo viste in tv e vinceva chi partiva dietro. Lo faccio entrare in testa. Resto lì. Salgo lentamente sulla curva e quando decido di partire mi butto giù su secco e prendo l’interno. A quel punto lui non aveva più spazio e ho vinto».
Un capolavoro. Ma non sempre le ciambelle gli sono riuscite col buco. E qualche sconfitta è bruciata. Soprattutto quelle nei primi anni.
«All’inizio lanciavo la bici, urlavo… poi ho capito che non serviva a niente. Un giorno avrei perso per poco, il giorno dopo avrei vinto per poco».
E’ il 10 marzo 2010 e alla Parigi-Nizza Peter Sagan, in Liquigas, conquista la prima delle sue 121 vittorie da pro’E’ il 10 marzo 2010 e alla Parigi-Nizza Peter Sagan, in Liquigas, conquista la prima delle sue 121 vittorie da pro’
Cosa lascia?
Di certo Peter Sagan lascia un ciclismo diverso rispetto ai suoi primi anni e a quelli d’oro. Tutto è estremizzato. E non c’è più spazio per momenti meno intensi. Prendiamo il rapporto con gli sponsor per esempio.
«Nessuno ormai è più come me – spiega Sagan – oggi pensano solo a correre. Van der Poel dopo il Tour non è andato alla cena con i suoi sponsor, per dire. Cosa gli sarebbe cambiato se avesse fatto mezzanotte? Poteva anche non bere… ma è così».
«Quanto dureranno i campioni di oggi? Difficile dirlo è una questione del tutto personale. Dipende anche dal tuo approccio mentale. Magari possono durare anche più di me. Guardate Valverde. Poi magari possono subentrare problemi fisici o mentali e possono smettere da un giorno all’altro. Sicuramente oggi il ciclismo è più stressante. Più professionale, ma più stressante».
Prima di chiudere, mentre Peter firma autografi e posa per i selfie. Gli chiediamo cosa ne pensa di quel che pochi giorni fa ci ha detto Zanatta, suo diesse alla Liquigas, e cioè che lui è stato un Evenepoel dieci anni prima.
«No, non credo. Lui vince le classifiche generali, va forte in salita, a crono… Io non ho fatto tutto questo!».
TRENTO – Due anni fa, quando la sua UAE Emirates aveva appena vinto il Tour de France e cominciava a prendere altri corridori importanti, chiedemmo a Mauro Gianetti, alto dirigente di questo team, quale fosse il loro obiettivo. E ci rispose: «Diventare i migliori al mondo».
A distanza di un paio di stagioni eccoci qui: i migliori al mondo sono loro. La UAE Emirates ha vinto la classifica a squadre del WorldTour. E lo ha fatto battendo i rivali “di sempre” nonché i campioni in carica della Jumbo-Visma (per i più curiosi qui c’è la graduatoria redatta dall’UCI).
Con Gianetti riprendiamo quel discorso, nello scenario entusiasmante della presentazione del Giro d’Italia.
Gianetti (a sinistra) Team Principal & CEO della UAE Emirates, con Andrea Agostini, Chief Operating OfficerGianetti (a sinistra) Team Principal & CEO della UAE Emirates, con Andrea Agostini, Chief Operating Officer
Mauro, ripartiamo da quella tua frase: ce l’avete fatta: siete diventati i numeri uno…
Sì è vero: ce l’abbiamo fatta ed è veramente una bella sensazione. Si tratta di un traguardo importante, di un traguardo voluto non solo da me, ma anche dai nostri sponsor e da tutto il Paese degli Emirati Arabi Uniti. Abbiamo lavorato per costruire questo obiettivo tutti insieme. Chiaramente l’altro grande obiettivo era il Tour de France, non lo abbiamo vinto ma abbiamo comunque messo due corridori sul podio. Siamo stati protagonisti da gennaio a ottobre. Abbiamo interpretato bene la gestione degli atleti in tutte le gare e questo ci ha portato così in alto. Questo è davvero un traguardo importante.
Ecco, hai toccato un tema tecnico importante: avete vinto con tanti corridori. E lo avete fatto nonostante ci sia in squadra un faro catalizzatore, Pogacar, così importante. E’ stato qualcosa di ponderato?
Era proprio quello che volevamo. Abbiamo portato alla vittoria ben 18 corridori su 30 e questo è anche un’altro record a cui teniamo. Siamo una squadra con più corridori diversi che abbiano vinto almeno una gara nell’arco della stessa stagione.
Come si fa?
Fa parte di un processo di sviluppo che abbiamo in mente. Per esempio abbiamo investito e continuiamo ad investire sui giovani, ai quali diamo immediatamente spazio, ma senza mettergli la pressione del risultato. Questa non solo è una soddisfazione, ma credo sia anche uno dei motivi che spinge tanti corridori a voler venire da noi. Vedono che con noi hanno la possibilità di crescere, “malgrado”, ma per fortuna direi, ci sia Tadej Pogacar che potrebbe togliergli spazio.
Il cambio di alcuni materiali ha spinto la UAE a migliorare, sull’onda di quanto fatto in precedenza alla Jumbo. Gianetti ha parlato di sana rivalitàIl cambio di alcuni materiali ha spinto la UAE a migliorare, sull’onda di quanto fatto in precedenza alla Jumbo
L’anno scorso hanno vinto questa classifica i vostri grandi rivali della Jumbo-Visma: questa è la conferma che rivincere è più complicato che vincere?
E’ chiaro che ripetersi è più difficile. La competizione tra le squadre aumenta. Ci sono team come Bora-Hansgrohe, Lidl-Trek… che si sono rafforzate moltissimo. La Ineos Grenadiers magari ha avuto una stagione non proprio esaltante, ma ha dei corridori che possono fare di più. Quindi sì: rivincere l’anno prossimo questa classifica sarà difficile quanto averla vinta quest’anno, se non di più. Però attenzione, rimangono obiettivi importanti, come i grandi Giri, a partire dal Tour de France.
Il fatto che lo scorso anno avesse vinto la Jumbo-Visma è stato uno stimolo ulteriore per voi?
Tra noi e la Jumbo c’è una rivalità veramente interessante, molto sana. Una rivalità che spinge le due squadre a dare il massimo, a migliorarsi, a ricercare i dettagli. Quindi ci stimoliamo a vicenda in questa direzione. Sicuramente è stato uno stimolo, come noi lo saremo adesso per loro per l’anno prossimo. Vorranno tornare a vincere, immagino.
Il giorno più duro per Pogacar sul Col de Loze all’ultimo Tour. Soler vicino a Pogacar. Adam Yates invece libero di potersi giocare le sue carte Il giorno più duro per Pogacar sul Col de Loze all’ultimo Tour. Soler vicino a Pogacar. Adam Yates invece libero di potersi giocare le sue carte
Si pensa che squadroni come la UAE e gli altri di vertice non pensino a certe classifiche. Tuttavia qualche settimana Matxin ci aveva snocciolato un sacco di numeri circa i punteggi elargiti durante la Vuelta: ma quindi si fanno i conti anche in UAE?
I piani e i conti si fanno, si fanno… Quest’anno magari la distanza tra le prime due, quindi noi e la Jumbo, e la terza era veramente abissale e magari abbiamo fatto qualche conto in meno. Nel mezzo invece tutto è più complicato. E si fanno perché poi questa classifica a squadre sta diventando importante… come è giusto che sia. Il ciclismo è uno sport di squadra, poi vince uno solo, ma è la squadra che gli mette a disposizione tutto il necessario per farlo. E finalmente tutto ciò viene riconosciuto. Questa classifica non è più solo l’elenco delle migliori 18 squadre che possono restare nel WorldTour. Il fatto di essere la prima, di stare sul podio o tra le prime dieci diventa un punto di prestigio e importante leva da presentare poi agli sponsor.
Organizzerete una festa per questo risultato?
Certamente! Una grande festa negli Emirati, perché per loro era un obiettivo. Il sogno si è realizzato: siamo la prima squadra al mondo in uno sport importante come il ciclismo. E’ un fatto eccezionale e lo vogliono festeggiare.
A proposito di gestione dei corridori. Ci ha colpito non poco la fermezza con cui avete gestito alcuni atleti sui loro programmi, anche magari di fronte a qualche emergenza. Pensiamo ad Ayuso, ma anche ad Almeida che sarebbe stata un’eccellente spalla per Pogacar al Tour. Invece lui era designato leader al Giro e ha corso solo in funzione di quello. Come mai?
Perché questa è una nostra filosofia di squadra. Come ho detto prima, vogliamo che i nostri corridori abbiano il loro spazio. Voi avete parlato di Almeida, io dico Adam Yates, per esempio. E’ andato al Tour, ha lavorato per Tadej, ma è finito comunque sul podio. Ha avuto il suo spazio sia in Francia che in altre gare della stagione, come al Romandia o al Catalogna, anche se poi lì è caduto. Non c’è solo Pogacar, la squadra è la squadra.
La UAE Emirates ha vinto il WT con 30170,18 punti, alle sue spalle la Jumbo-Visma (29177,45) e la Soudal-Quick Step (18529,85) La UAE Emirates ha vinto il WT con 30170,18 punti, alle sue spalle la Jumbo-Visma (29177,45) e la Soudal-Quick Step (18529,85)
Chiaro…
Lo stesso lo abbiamo fatto con Ayuso alla Vuelta. Non abbiamo cambiato i programmi, Juan sapeva dall’inizio dell’anno che alla Vuelta sarebbe stato leader e avrebbe avuto tutto il supporto necessario. E così è stato.
Potete fare questa programmazione perché anche in caso di qualche defezione, sapete di avere tanti atleti super validi. Una panchina lunga parafrasando il calcio…
Sì, però alla fine devi anche avere il coraggio di portala avanti questa idea e di prenderti il rischio di mettergli a disposizione gli altri compagni. Non è così scontato.
Domanda finale un po’ estemporanea, ma che si sposa bene nel luogo in cui siamo. Quando vedremo Pogacar al Giro? I tifosi lo aspettano…
E’ un po’ presto per dirlo. Vediamo prima le presentazioni, anche quella del Tour e poi a dicembre a bocce ferme decideremo se sarà l’anno prossimo o fra qualche stagione. E’ scontato dirlo, ma per noi l’obiettivo principale rimane il Tour.
BEIHAI – De Lie lo chiamano il Toro di Lescheret e quando ci sediamo davanti a lui nel gazebo al via della tappa, l’irruenza traspare nei piccoli gesti a scatti. Ha spalle non larghissime, ma quadricipiti potenti e probabilmente anche da sfinare (il belga è alto 1,82 per 78 chili). Nel parlare c’è l’esuberanza dei 21 anni, come pure nelle battutine sommesse con Thomas De Gendt seduto accanto, all’indirizzo di chiunque. Forse anche il mio.
Il 2023 è stato l’anno del salto di qualità. In Belgio lo hanno già individuato come una sorta di reincarnazione di Tom Boonen. Gli hanno risparmiato il paragone con Van Aert e negli ambienti più legati alla tradizione, i suoi modi discreti fanno più presa dell’esuberanza di Evenepoel. La vittoria WorldTour del Gp Quebec lo ha lanciato fra i grandi, ma dire che tutti si fossero già ampiamente accorti del suo arrivo è persino scontato.
«Quando sono partito per la volata – racconta – ero ancora lontano dal traguardo, ma avevo due compagni che mi hanno pilotato davanti. Hanno alzato il ritmo e sono riuscito a prendere velocità stando a ruota. La squadra ha fatto tutto alla perfezione. Su un finale di quel tipo vince sempre il più forte è quel giorno lo sono stato io. Finora il GP Quebec è stato la vittoria più importante. Volevo vincere una gara WorldTour e ci sono riuscito a 21 anni».
La vittoria di Quebec City è la più grande e la più bella di De Lie, con le dita al cielo per De DeckerLa vittoria di Quebec è la più grandedi De Lie, con le dita al cielo per De Decker
Le dita al cielo di Quebec?
Erano per Tijl De Decker (il giovane belga vincitore della Roubaix U23, scomparso il 25 agosto per un incidente, ndr). Penso sempre a lui. Speravo di vincere davanti a lui nel Renewi Tour, volevo ringraziarlo perché con lui in squadra ho vinto La Polynormande ad agosto, invece se ne è andato proprio in quei giorni. Anche per questo aver vinto in Canada è stato un tributo a lui.
A Montreal, due giorni Quebec, invece di aspettare la volata hai attaccato da lontano. Forse anche troppo…
Ho attaccato per il gusto di farlo, volevo divertirmi. Ero nel gruppo di testa, avrei potuto aspettare. Nessuno in quel momento poteva sapere che fosse un attacco sbagliato, mentre dopo la corsa sono tutti bravi a dirlo. Per quanto mi riguarda, mi rendo conto che sono ogni anno più forte e che magari in futuro certi attacchi finiranno diversamente.
Hai firmato con la Lotto Dstny fino al 2026, come mai?
Mi è piaciuto molto il progetto che mi hanno proposto. Posso continuare a crescere come negli ultimi due anni. Se invece avessi scelto una nuova squadra, avrei avuto il tempo che mi serve? Mi piace stare qui, la Lotto Dstny investe sulla mia carriera e io cerco di ripagarli.
E’ il 26 agosto, si corre il Renewi Tour. Il giorno prima è morto il compagno De Decker, investito in allenamento. Il momento è duroE’ il 26 agosto, si corre il Renewi Tour. Il giorno prima è morto il compagno De Decker, investito in allenamento. Il momento è duro
Il prossimo anno si passa a bici Orbea, cosa ne pensi?
Mi sono sempre trovato bene con Ridley, la scelta è stata della squadra, io ho insistito soltanto per l’arrivo di Lionel Taminiaux (belga di 27 anni, ex Alpecin-Deceuninck, ndr). Perderò invece Maxime Monfort, che passerà sull’ammiraglia Lidl-Trek, con cui ho sempre avuto un ottimo rapporto. Me ne aveva parlato in anticipo. E’ un peccato che se ne vada, ma così è la vita.
E’ andato via Caleb Ewan, per il prossimo anno si prospetta un ruolo da leader?
La parola leader non mi piace, sembra che voglia metterti al di sopra degli altri.
Leader significa essere capaci di guidare la squadra.
Allora è meglio. In alcune squadre il capitano è al di sopra degli altri e questo provoca tensioni. Io mi trovo bene con tutti, siamo un gruppo omogeneo. Se invece inizi a formare gruppetti separati, difficilmente ci riuscirai. L’anno prossimo voglio giocarmi la vittoria nelle grandi classiche. Ci sono andato vicino l’anno scorso alla Omloop Het Nieuwsblad, ora voglio vincere altre gare a livello WorldTour.
De Lie è arrivato fortissimo all’europeo. Ha lavorato per Van Aert, ma forse avrebbe potuto fare lui il finaleDe Lie è arrivato fortissimo all’europeo. Ha lavorato per Van Aert, ma forse avrebbe potuto fare lui il finale
Si parla anche di debutto in un Grande Giro?
L’intenzione per il prossimo anno è quella, ma non sappiamo ancora quale. Se il Tour de France avesse solo sprint in pianura, non ci andrei. Ho notato che mi manca ancora la velocità pura nelle gambe per gli sprint totalmente piatti. Invece quelli in leggera pendenza, posso vincerli. La scelta sarà determinata dai percorsi, la squadra è d’accordo. Sono certo che qualunque corsa sceglieremo renderà il mio motore più forte.
Agli europei hai tirato la volata per Van Aert: pentito di averlo fatto?
Ho dichiarato che avrei potuto fare la volata, ma è stato giusto tirarla per Wout. In quel momento ho pensato che fosse più forte. Non ho rammarichi su come è finita Drenthe. Wout ed io siamo corridori simili, tranne che per la crono. Per me è fonte di ispirazione, se ci troveremo a dividere ancora i gradi in nazionale, basterà essere onesti l’uno con l’altro.
NANNING – E’ bastata una salita senza troppa storia, indicata sul libro della corsa col nome Qingxiushan Scenic Songtao Road, e lo scenario nel gruppo dei velocisti del Tour of Guangxi è cambiato radicalmente. Primo Kooij, secondo Pluimers, terzo Van Den Berg.
Manning, pur immersa nella foschia, trasmette un senso di possenza, che è strano per una città di cui in Europa forse non si è mai sentito parlare e conta oltre 7 milioni di abitanti. E così nel corso dei cinque passaggi davanti all’arrivo, posto all’ombra dell’imponente Palazzo delle Arti, prima a tenere il gruppo in tiro ci ha pensato la fuga. E quando poi a 10 chilometri dall’arrivo, il gruppo ha riassorbito il drappello in cui viaggiavano De Bondt (nuovo leader della corsa) e Wandahal (sempre più maglia a pois), i velocisti si sono guardati in faccia.
Il circuito di Nanning prevedeva il passaggio del fiume Jong Jiang su ponti giganteschiIl circuito di Nanning prevedeva il passaggio del fiume Jong Jiang su ponti giganteschi
Lavorone Jumbo
Viviani sin dal mattino ha detto che qualcuno avrebbe fatto di tutto per arrivare in volata. Ma mentre il nome da lui ipotizzato era quello di De Lie, gli unici in grado di scendere nelle retrovie e prendere per mano l’uomo veloce sono stati i corridori delle Jumbo-Visma. Così, quando il Kooij ripescato si è trovata spalancata la via dello sprint, ha avuto gioco relativamente facile.
Alle interviste il corridore ventunenne olandese arriva con comodo, in tuta e scarpe da tennis, dopo essersi sottoposto all’antidoping, Poi però, una volta arrivato, è gioviale e disponibile.
Per Olav Kooij, la tappa di Nanning è la 12ª vittoria stagionale. Ha 21 anni, è alto 1,84 e pesa 72 chiliPer Olav Kooij, la tappa di Nanning è la 12ª vittoria stagionale. Ha 21 anni, è alto 1,84 e pesa 72 chili
Uno sprinter di sostanza, insomma…
Non penso oggi di aver fornito la prova più grande. Su quella salita ho faticato, ma grazie ai miei compagni sono riuscito a risalire. Sono venuto perché è bello poter vincere a fine stagione. Il paesaggio è selvaggio, qualcosa di diverso da quello a cui siamo abituati, ma è arrivata un’altra vittoria WorldTour, quindi è sempre bello.
A parte le volate, come sta andando questa esperienza cinese?
Al di fuori della gara è tutto completamente diverso. Probabilmente sarebbe carino venire una volta per turismo e assaggiare la cucina cinese. Qualche giorno fa lo avete visto tutti nel nostro hotel, abbiamo un bel buffet, ma anche tante limitazioni.
I tuoi amici in Europa sanno che sei qui a correre?
Per la maggior parte delle persone potremmo anche essere andati in vacanza. Penso che sia stata davvero una grande stagione per la nostra squadra e siamo stati in grado vincere molte corse. Averlo fatto anche questa settimana aggiunge un buon sapore
Nanning è una città modernissima, ma non mancano manifestazioni folkloristiche che la legano alla tradizioneNanning è una città modernissima, ma non mancano manifestazioni folkloristiche che la legano alla tradizione
Intanto si è parlato molto della fusione con la Soudal-Quick Step, che cosa ne avete pensato?
Come corridori, anche noi abbiamo seguito la notizia sui media. Ovviamente non abbiamo alcuna influenza su questo aspetto. Quindi sostanzialmente si è trattato di aspettare che le cose evolvessero. Non so quale squadra avessero in mente di costruire, ma la sensazione è che per noi non sarebbe cambiato molto.
E’ difficile essere Olav Kooij in una squadra così votata ai Grandi Giri? Avrai la possibilità di farne uno?
Normalmente, il 2024 sarà l’anno in cui correrò un Grande Giro. La squadra ha già fatto qualcosa di speciale vincendoli tutti e tre e nel frattempo c’erano molte altre gare più adatte per i velocisti. Ma per me uno degli obiettivi è andare in un Grande Giro.
A un certo punto si è iniziato a dire che avresti lasciato la Jumbo-Visma, invece sul più bello la squadra ha annunciato il prolungamento del tuo contratto fino al 2025. Decisione difficile da prendere?
Quando hai il contratto in scadenza, guardi alle opzioni e poi anche a dove vuoi andare con la tua carriera. Io mi trovo ancora in una squadra olandese, per me la migliore al mondo. E’ stato davvero bello che abbiano avuto fiducia in me. Avevo la sensazione di avere ancora le possibilità per crescere, avere un buon programma e fare dei bei risultati.
De Bondt ha conquistato la maglia di leader, Wandahl ha mantenuto quella a poisUn trofeo artigianale per De Bondt, premiato con la maglia di leaderPer il belga della Alpecin-Deceuninck il premio alle tante fugheDe Bondt ha conquistato la maglia di leader, Wandahl ha mantenuto quella a poisUn trofeo artigianale per De Bondt, premiato con la maglia di leaderPer il belga della Alpecin-Deceuninck il premio alle tante fughe
Alla presentazione della squadra fu dichiarato per te un bilancio di 10 vittorie stagionali: ti ha sorpreso essere tanto considerato?
E’ bello che oltre ai Grandi Giri ci siano anche altri obiettivi, soprattutto nelle gare più piccole, quelle di una settimana. Il mio era quello di avere un anno corposo, mantenere un buon livello e ovviamente provare a vincere dall’inizio alla fine. Sono davvero felice di aver vinto questa settimana per chiudere il 2023 nel modo migliore. Domani sarà decisivo per la classifica e poi ci saranno altre due occasioni per me, quindi non depongo le armi. Magari ci vedremo ancora qui…
Nella volata a 4 sul traguardo di Treviso, De Bondt brucia Affini. Le loro parole al termine della grande fatica sono ispirazione e spunto di riflessione
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Il suo 2023 ha viaggiato a due velocità distinte. Nella prima parte con le marce ridotte, nella seconda con quelle alte. Vittoria Grassi negli ultimi tre mesi della stagione ha ingranato la quinta e l’ha mantenuta fino in fondo tra BFT Burzoni e nazionale, tra strada e pista (in apertura foto Piva).
Non solo, la classe 2005 di Grugliasco ha provato da stagista con la BePink-Gold ciò per cui sta lavorando sodo e che la attende nelle prossime stagioni. Per Grassi ora è giunto il momento di riposarsi e, contemporaneamente, di concentrarsi sull’ultimo anno al liceo scientifico “Curie-Vittorini” del suo paese. Come le capita in sella alla bici, anche a scuola riesce ad ottenere buoni voti e risultati. Ha un bell’eloquio la junior torinese quando racconta e ricorda i passaggi fondamentali della sua annata. Ecco cosa ci ha detto nella nostra chiacchierata.
Grassi è stata stagista con la BePink in quattro gare internazionali. Manca l’ufficialità ma correrà con loro nel 2024 (foto BePink)Grassi è stata stagista con la BePink in quattro gare internazionali. Manca l’ufficialità ma correrà con loro nel 2024 (foto BePink)
Vittoria hai finito il 2023 con lo stage in BePink, partiamo da qui.
E’ stata un’esperienza molto bella. A settembre ho fatto due gare in Francia, una in Belgio ed il Giro dell’Emilia. Ho corso con loro anche la open di San Daniele del Friuli, ma quella l’avrei potuta correre ugualmente con la Bft Burzoni. In quelle occasioni mi sono divertita con le nuove compagne. L’unica che conoscevo già era Zanardi perché ci siamo trovate tante volte in pista e poi anche lei è cresciuta nella mia attuale formazione. In corsa invece ho subito imparato a fare tanta fatica, come mai mi era capitato prima. Normale che sia stato così, non ero abituata a fare i conti con tanti chilometri, con la durezza dei percorsi e con un ritmo decisamente più intenso. Direi che mi sono difesa bene. E nelle gare open che ho fatto nel mezzo ho sentito immediatamente un rendimento differente, migliore chiaramente.
L’anno prossimo passerai alla BePink. Com’è nato il contatto con loro?
Dovrei andare lì, però aspettiamo per correttezza che arrivi l’ufficialità da parte loro. Per lo stage è stato Stefano Solari, il team manager della Bft Burzoni, a propormi a Zini. L’unica incognita ero io perché fino a luglio non avevo ottenuto grandi risultati. Abbiamo dovuto attendere qualche settimana per capire se potessi provare con la BePink o meno. Poi è arrivata finalmente la domenica giusta…
Grassi vince la prima tappa del Giro di Lunigiana. A Ponte di Piave e Valvasone le altre due vittorie stagionali (foto Piva)Medagliate mondiali. Zanzi, Baima, Grassi e Sgaravato mostrano il bottino raccolto in pista a Cali con la nazionale (foto Piva)Grassi vince la prima tappa del Giro di Lunigiana. A Ponte di Piave e Valvasone le altre due vittorie stagionali (foto Piva)Medagliate mondiali. Zanzi, Baima, Grassi e Sgaravato mostrano il bottino raccolto in pista a Cali con la nazionale (foto Piva)
Quale e perché?
Era il 23 luglio ed eravamo alla gara open di Ponte di Piave, la San Gabriel Gold Race. Sono entrata nella fuga giusta con un’altra decina di atlete. Loro tutte elite, io unica junior. Avrei potuto stare a ruota perché tanto avrei vinto la mia categoria, invece ho voluto collaborare fortemente. Ci tenevo che guadagnassimo il più possibile e ho tirato anch’io affinché non ci riprendessero. Siamo arrivate in fondo ed ero felicissima. Non per il successo, ma per la mia prestazione. Per la cronaca ha vinto Zanardi che poi ha speso belle parole per me, che mi hanno fatto piacere. Forse quel giorno è stata una combinazione che mi trovassi in mezzo alle elite, ma è anche vero che bisogna sapersele creare. E lì la mia stagione ha preso un’altra piega. Sono arrivati altri due successi (a Valvasone e seconda tappa Giro di Lunigiana, ndr).
Perché prima le cose non erano andate bene?
L’inizio del 2023 l’ho passato con diversi problemi. Inizialmente una noia di vecchia data ad un ginocchio. Non riuscivo ad allenarmi come dovevo e le prime gare le ho fatte arrancando ed inseguendo. Il morale era basso pensando che mi stavo condizionando una stagione molto importante per il mio futuro. Poi quando stavo ritrovando un po’ di gamba, è arrivato un altro stop.
Cosa è successo?
Il primo maggio sono caduta in volata a Sant’Urbano nel padovano. Una brutta caduta, nella quale sono svenuta poco dopo. Per fortuna nulla di rotto, ma tante botte, sia nel fisico che nuovamente nel morale. Il rientro alle corse è stato difficile. Avevo paura a stare in gruppo, temevo di cadere ancora e farmi male. Solo da giugno ho riassaporato certe sensazioni benauguranti.
Grassi ha vestito l’azzurro anche su strada sia al Watersley che all’europeo di Drenthe (foto Swpix Cycling)Uno degli obiettivi futuri di Grassi sarà quello di mantenere il contatto con la nazionale pur salendo di categoria (foto Swpix Cycling)Grassi ha vestito l’azzurro anche su strada sia al Watersley che all’europeo di Drenthe (foto Swpix Cycling)Uno degli obiettivi di Grassi sarà quello di mantenere il contatto con la nazionale pur salendo di categoria (foto Swpix Cycling)
Racconta pure…
Agli italiani in pista a Dalmine ho conquistato due ori tra velocità a squadre e 500 metri, un argento nella velocità e due bronzi nel keirin e madison. Poi nella tipo-pista delle Alpi Giudicarie ho vinto scratch e corsa a punti nell’ominum. Poi anche il terzo posto nella cronosquadre tricolore mi ha dato fiducia. Ed il morale è cresciuto ulteriormente dopo il bronzo nel team sprint e l’argento nello scratch agli europei di Anadia.
Una raccolta di medaglie che è proseguita anche ai mondiali su pista di Cali.
Sì, vero e sono molto felice di questo. La trasferta in Colombia non è stata inizialmente semplice viste le sette ore di fuso orario. Alla fine è stata una grande spedizione per noi italiani. Sono orgogliosa di aver contribuito con l’argento nel quartetto e l’oro nella madison con Federica (Venturelli, ndr).
Nel tuo crescendo stagionale sei stata con la nazionale anche su strada. Te lo aspettavi?
A dire il vero no, però sapevo che stavo trovando una buona forma. In generale, tra pista e strada, da una parte sai che stai perdendo molte gare col tuo club, ma dall’altra sai che ne vale assolutamente la pena. Quando vesti la maglia azzurra è sempre un grande stimolo e un orgoglio. Mi ha fatto piacere la chiamata del cittì Sangalli per disputare prima il Watersley (gara a tappe, ndr) e poi l’europeo di Drenthe. Passerò di categoria nel 2024 e spero in futuro di poter fare parte ancora della nazionale.
Grassi e Venturelli campionesse del mondo nella madison. Entrambe hanno anche ottenuto l’argento col quartetto (foto FCI)Grassi è stata versatile su pista tra velocità e endurance. All’europeo ha conquistato il bronzo nel team sprint (foto FCI)Grassi e Venturelli campionesse del mondo nella madison. Entrambe hanno anche ottenuto l’argento col quartetto (foto FCI)Grassi è stata versatile su pista tra velocità e endurance. All’europeo ha conquistato il bronzo nel team sprint (foto FCI)
Hai vinto medaglie sia nell’endurance che nella velocità. Sei un perfetto prototipo per ciò che cercano il cittì Marco Villa e Ivan Quaranta. Ne hai parlato con loro?
Entrambi mi considerano molto versatile e anche mi fa piacere. Però bisogna fare delle scelte. Nelle discipline veloci mi sono sempre ben difesa o adattata ma so di non essere abbastanza veloce per le competizioni internazionali da U23 o elite. Di base su pista sono sempre stata nel gruppo endurance e qui dovrei restare perché al contrario il mio spunto veloce mi favorisce. Poi sappiamo che l’endurance in pista è molto più compatibile con l’attività su strada. Mi concentrerò in quella direzione.
Che anni sono stati quelli di Vittoria Grassi alla Bft Burzoni?
Sono stata con loro per quattro stagioni, due da allieva e due da junior. Per me sono stati una seconda famiglia e devo ringraziarli per quello che hanno fatto per me. Tutto lo staff mi ha permesso di crescere tantissimo sia come atleta che come persona. Sono arrivata da loro che ero timida ed introversa, vado via consapevole di essere diventata una ragazza caratterialmente più aperta e matura.
Grassi con la BFT Burzoni ha disputato due anni da allieva e due da junior, crescendo molto come atleta e persona (foto Ossola)Grassi con la BFT Burzoni ha disputato due anni da allieva e due da junior, crescendo molto come atleta e persona (foto Ossola)
Obiettivi della prossima stagione?
Ce ne sono diversi. Avrò la maturità e cercherò di uscire con buoni voti, anche perché non mi dispiacerebbe continuare gli studi all’università. Non c’è solo il ciclismo e Fisioterapia o Scienze della Nutrizione mi affascinano. Prima però voglio continuare a coltivare il mio sogno di fare la ciclista di professione. Nel 2024 voglio imparare dalle compagne più grandi e fare tanta esperienza, correndo ancora tanto all’estero. Ogni risultato che verrà andrà bene. Sono una velocista ma ho capito che se voglio ritagliarmi qualche spazio dovrò lavorare sodo e migliorare in salita o sugli strappi. I miei idoli sono Wiebes e Balsamo. Al momento sono lontanissime e non mi ci rivedo in loro ma un giorno vorrei diventare un’atleta con quelle caratteristiche.
NANNING – Della Bora-Hansgrohe che in origine si chiamò NettApp sono rimasti ormai soltanto in due: Ralph Denk che nel 2010 la creò e Cesare Benedetti che vi approdò quello stesso anno quando era ancora una continental. Ora in questa squadra tedesca, che lo scorso anno ha vinto il Giro e sogna il Tour, arriverà Primoz Roglic.
L’ingaggio è importante, pur se inferiore a quello che fu di Sagan. E allora la curiosità è proprio capire in che modo la squadra sia cambiata negli anni e come si sia adattata ai vari campioni che l’hanno scelta. O se siano stati loro a doversi piegare. Benedetti è l’uomo giusto per raccontarlo, con quel pizzico di orgoglio di chi c’è sempre stato e ne va giustamente fiero. Fuori il caldo è duro da assorbire, l’umidità qui in Cina è elevata. La città ha 7 milioni di abitanti, siamo abbastanza vicini al confine con il Vietnam. E nessuno intorno parla inglese.
E’ il 2011 e la NettApp, in cui Benedetti è passato l’anno prima, diventa una professionalE’ il 2011 e la NettApp, in cui Benedetti è passato l’anno prima, diventa una professional
Tu sei in questa squadra praticamente dall’inizio. L’hai vista cambiare. Che effetto fa essere in una squadra da così tanto tempo?
Ho visto passare tutti, fra corridori e personale. Ho seguito questo percorso quasi naturalmente. Non sono mai stato un uomo mercato, avendo quasi sempre fatto le trattative da solo. Ho trovato un bell’ambiente, anche guardando indietro, non vedrei la necessità di cambiare. Ho preso questa routine, conosco i posti dove andiamo. In più è una squadra internazionale e mi dà soddisfazione poter parlare tedesco oppure inglese. Ho conosciuto tante persone anche fra gli sponsor, per cui spero che, vista l’età (sorride, ndr), quando smetterò potrò avere qualche opportunità.
C’è un filo che in qualche modo unisce le tante stagioni di questa squadra?
Penso sia il team manager: Ralph Denk. Preferisce che le cose siano fatte in casa. I nostri sponsor e le persone con cui lavoriamo vengono tutti dalla Baviera. Per questo in passato abbiamo avuto anche sponsor più piccoli e tutti locali. E’ un team manager giovane, che però ragiona alla vecchia maniera. Per lui una stretta di mano conta più di tutto il resto.
Alla presentazione delle squadre al Guangxi Tour, i bambini accompagnavano i corridori alla firmaAlla presentazione delle squadre al Guangxi Tour, i bambini accompagnavano i corridori alla firma
Che tipo è Ralph Denk?
All’apparenza è un po’ chiuso, invece è molto alla mano. Ha diversi figli, quindi una volta che l’hai conosciuto e lui conosce te, arriva anche a capire le esigenze dei singoli. Anche le mie. Ho due bambine e su certe cose ci si capisce. Comunque, nonostante i tanti anni, non ho con lui il grande rapporto di confidenza che semmai può crearsi con un direttore sportivo. In questi 15 anni, ho sempre tenuto la distanza, come penso debba essere. Quando arriva sul bus prima di una corsa importante, mi mette ancora un po’ di soggezione.
E’ la squadra che si è adattata ai vari campioni oppure è toccato a loro inserirsi? Sagan ha cambiato le abitudini?
Penso che Sagan abbia cambiato qualcosa, allo stesso tempo anche lui ha dovuto adattarsi. Avevano un direttore sportivo, dei corridori, un massaggiatore e l’addetto stampa, ma erano in minoranza. La struttura era la nostra. Adesso arriva Roglic e ci sono voci non ancora confermate che porterà con sé il suo allenatore. Per cui magari da quel punto di vista continuerà a lavorare allo stesso modo. Però penso che dovrà adattarsi, in qualche modo ridimensionarsi. Anche se sono certo che la squadra soddisferà anche le sue esigenze, soprattutto a livello di calendario e di preparazione.
Giro d’Italia 2022, a Verona Ralph Denk festeggia con Jai Hindley in maglia rosaGiro 2022, a Verona Ralph Denk festeggia con Hindley in maglia rosa
Perché secondo te Benedetti è prezioso in questa?
Perché è sempre stato fedele. Ho sempre portato rispetto per tutti ed è un rispetto che mi è tornato indietro. E’ importante conoscere le dinamiche in squadra e io mi sono adattato a fare un lavoro che viene apprezzato da diversi compagni.
In squadra c’è una grande componente italiana, avete fatto un gruppo Whatsapp di italiani?
In effetti siamo parecchi. Ci sono Fabbro e Aleotti, poi ci sono io. Gasparotto in ammiraglia. Dal prossimo anno ci sarà Sobrero, dallo scorso abbiamo un meccanico e un massaggiatore e poi c’è Artuso fra i preparatori. Rispetto agli inizi, sicuramente la squadra è molto più molto più internazionale, ma il gruppo Whatsapp non l’abbiamo fatto. Ci sono abbastanza stupidate che girano, manca solo di avere un altro gruppo.
Milan 23 anni, Benedetti 36: in questi giri il trentino ha lavorato per il compagno Wandahl, in testa alla classifica dei GPMMilan 23 anni, Benedetti 36: in questi giri il trentino ha lavorato per il compagno Wandahl, in testa alla classifica dei GPM
La squadra ormai punta forte sui Giri. L’anno scorso è venuto il Giro e ora arriva Roglic per il Tour: cosa te ne sembra?
Negli anni abbiamo vinto la Roubaix, quindi una prova Monumento. Abbiamo vinto il Giro, ma il Tour de France è la corsa che dà più visibilità al mondo, non solo come ciclismo, ma proprio come evento sportivo. Nella confusione che si è creata nel dopo Vuelta, visti i corridori disponibili, penso che Roglic fosse l’unico a dare questa speranza e che almeno abbia dimostrato di potersela giocare. Logicamente gli anni passano anche per lui, però sarà là davanti a lottare. Diciamo che se si doveva prendere un rischio, lui sul mercato era la scelta migliore.
Per dargli un consiglio, qual è un comportamento da evitare con Ralph Denk e uno che invece lui apprezza?
Penso che per tenere buoni rapporti, bisogna essere onesti. Non fare niente o parlare dietro la schiena. Come dire: se ti dà una mano, non prendere il braccio, perché dopo te lo taglia. Così in una risposta sola gli abbiamo detto cosa fare e cosa no…