La grande speranza si è concretizzata. Luca Vergallito è il vincitore del concorso indetto dalla Zwift che metteva in palio un contratto da professionista all’Alpecin Deceuninck, così il venticinquenne milanese si ritrova dall’oggi al domani a essere da un semplice granfondista un pro’ a tutti gli effetti, spalla di “tale” Mathieu Van Der Poel, coronando quel sogno che aveva fin da bambino e che aveva messo nel cassetto rassegnato a non vederlo mai realizzato.
Il lungo cammino di rinascita ciclistica di Vergallito lo avevamo già raccontato, ma mancava l’ultimo capitolo, il più atteso. Tutto si è consumato al caldo della Spagna, a Denia nel primo ritiro prestagionale dell’Alpecin Deceuninck, quello al quale ha preso parte anche Van Der Poel lasciando per un po’ il ciclocross. L’azzurro era nella cinquina per un posto da pro’ e lo stesso avveniva per Chiara Doni, pronta a scattare verso un contratto con la Canyon Sram.
«I primi due giorni sono stati dedicati alle interviste, alla presentazione dei personaggi – racconta il lombardo – Non bisogna dimenticare che questo era innanzitutto un reality, con puntate preconfezionate da diffondere sui social. Abbiamo anche preso le misure alle bici Canyon che dovevamo usare. Poi sono iniziate le prove, alcune indoor basate soprattutto sulle prestazioni fisiche e i numeri, altre in compagnia dei corridori, per vedere le proprie capacità tecniche, lo stare in gruppo, la guida. Questa parte è durata 5 giorni».
Il verdetto vi è stato comunicato a fine ritiro?
Sì, ma non ufficialmente, sempre per esigenze televisive. Sapevo però di aver vinto ed è stata una forte emozione, mi sono passate nella mente tantissime immagini di questi anni, dai primi nelle categorie giovanili al mio abbandono, alla ripresa nelle granfondo. E’ stato come rivivere un lungo viaggio. Poi però la mia gioia è stata offuscata dalla delusione per la mancata vittoria di Chiara, avevamo davvero sognato insieme di riuscire nell’impresa.
Nel racconto che si desume dai social, Chiara è caduta due volte nelle sue uscite. Pensi che questo abbia influito?
Chi c’era e ha visto sa benissimo che le sue cadute non sono state colpa sua, c’è stata chi le è andata addosso. Non vorrei che passasse il messaggio che Chiara non sa guidare perché non è così, si vedevano benissimo le sue capacità di performare, anche le pro’ che erano con noi non hanno avuto che apprezzamenti positivi nei suoi confronti. Evidentemente c’era chi è stata ritenuta più adatta, tutto qui.
Com’è stato l’approccio con la squadra?
Ci si allenava insieme, non posso dire né che ci hanno visti come intrusi, né che si sono tutti mostrati particolarmente partecipi, anche se devo dire di aver trovato una valida spalla in Sam Gaze, il neozelandese proveniente dalla mtb con il quale ho interagito di più e che mi ha dato molti consigli, forse proprio perché venendo da un altro mondo si sentiva partecipe della nostra esperienza. Con gli altri finalisti invece abbiamo fatto gruppo.
Che effetto ti fa ora essere fra i professionisti?
E’ bellissimo, rappresenta molto per me. Devo dire che, anche quando tutto sembrava tramontato, sentivo dentro di me una vocina che mi diceva che non tutto era perduto, serviva solo l’occasione giusta. I contatti quand’ero corridore li avevo anche avuti, poi non si erano realizzati e chiaramente col passare degli anni e la ricerca spasmodica di corridori sempre più giovani sembrava impossibile riuscirci. Diciamo che ho riannodato quel filo spezzatosi anni fa.
Tu dicevi che, comunque fosse andata a finire, quest’esperienza ti sarebbe comunque servita per il tuo futuro da tecnico…
Ne sono sempre convinto, ora potrò vivere da vicino la vita di una squadra e dei corridori e imparare tantissimo, ma in questo momento sono concentrato sulla possibilità di correre, dimostrare il mio valore e confermare che la scelta fatta su di me è stata quella giusta.
Pensi che il tuo passato di corridore abbia influito?
Probabile. Non so che ragionamenti siano stati fatti, ma effettivamente gli altri avevano meno esperienza di me da questo punto di vista. I parametrici fisici, i numeri delle varie prove e le capacità mostrate nelle uscite sono stati gli elementi di giudizio principali, credo che alla fine abbiano visto che sono la persona più adatta per entrare nel gruppo.
Sui social la tua promozione ha scatenato un putiferio, con molti commenti positivi ma anche tanti che non hanno perso occasione per criticarti, quasi rubassi il posto a qualche giovane corridore italiano in attività…
Immaginavo che la cosa avrebbe fatto scalpore e non nego che mi abbia toccato, ho molto riflettuto anche se fosse il caso di parlarne. Viviamo un momento complesso, nel quale arrivare a un contratto da pro’ per un giovane è difficile e non so quale possa essere la soluzione per evitare che tanti talenti vadano persi. Quel che so è che la Zwift Academy non è la causa di questi problemi, è invece una strada diversa per arrivare allo stesso traguardo. Chiunque può provarci, è davvero una strada aperta a tutti, si comincia sui rulli ma poi sono tanti altri i fattori che intervengono. Non sono certamente stato preso solo perché vado forte sui rulli, come non era stato così per Jai Vine e lo ha dimostrato.
Quei commenti ti hanno ferito?
Non posso negarlo, ho trovato una cattiveria assurda, ingiustificata e antisportiva. Io riconosco i limiti, è un contest che parte dal lato fisico, ma poi richiede anche altro. E’ una nuova modalità di fare scouting, poi dipende tutto dalle proprie capacità, questo non cambia.
Ora che ti aspetti?
Non voglio fare previsioni, dire che gare farò o dove voglio emergere, io voglio dimostrare che posso far bene, che in questo mondo posso starci anch’io, che posso correre ed essere utile alla squadra per ripagare la fiducia che mi è stata concessa. Le gare un po’ mosse sono quelle che mi piacciono di più, ma non ho elementi per dire quel che potrò fare. Il giudice ora sarà la strada…