Dalla matita alla strada, come nasce (e cresce) un casco MET

17.01.2024
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TALAMONA – Il casco di Pogacar nasce dietro quel cancello. Fuori non ci sono insegne, ma basta varcarlo per riconoscere il marchio MET sulla porta di cristallo. La Valtellina delle grandi montagne comincia più in alto, ma l’aria frizzante e le vette imbiancate danno il senso di un altro mondo rispetto alle pianure milanesi. La sigla che dà il nome al prodotto è composta dalle ultime tre lettere della parola helmet: casco.

L’azienda fu fondata nel 1987 dalla famiglia Gaiatto che ancora adesso la conduce. All’interno, da quando undici anni fa la produzione si trasferì in Cina, si trovano i reparti di progettazione, sviluppo e test. Ed è attraverso questi uffici che ci muoviamo con Ulysse Daessle che per MET Helmets segue i media e le pubbliche relazioni. Lui è francese e si è arrampicato quassù dal sud della Francia perché aveva bisogno di montagne: guardandosi intorno, c’è da capirlo.

Nostra guida in questa immersione del mondo di MET è Ulysse Daessle, francese, da 7 anni in Valtellina
Nostra guida in questa immersione del mondo di MET è Ulysse Daessle, francese, da 7 anni in Valtellina

Disegno a mano libera

Come nasce il casco? Non c’è distinzione fra il tipo di modello, ci dicono mentre ci muoviamo fra prototipi da non fotografare, il punto di partenza è per tutti il briefing fra ingegneri e disegnatori, che lavorano in simbiosi, perché il casco deve essere sicuro, ma anche bello.

«Ogni progetto è completamente nuovo – spiega Stefano Galbiati, disegnatore – non si fa mai il… copia e incolla da uno precedente. Si definisce l’obiettivo, poi abbiamo carta bianca».

Sulla parete si riconoscono bozzetti e schizzi di ogni genere (foto di apertura), che dopo la fase creativa passano al CAD (il software che consente il disegno tecnico in 2D e 3D) che permette di fare anche i primi calcoli su peso, aerodinamica e risposta agli impatti.

Disegno al CAD

«La simulazione 3D – spiega Matteo Tenni, ingegnere e Project Manager – simula gli impatti per avere dati molto precisi che poi confrontiamo con quelli di laboratorio. Prima di queste tecnologie, si faceva uno stampo pilota su cui eseguire i test, ma era una verifica a posteriori e se non andava bene, bisognava costruirne un altro. Ora con il calcolo strutturale e la simulazione virtuale, si fa un lavoro di ottimizzazione.

«Il casco non è un capo di abbigliamento, ma un dispositivo individuale di protezione. Quelli ad alte prestazioni devono unire sicurezza, leggerezza e aerodinamica e non si possono fare certi calcoli su un oggetto già finito. L’ultima verifica è quella della galleria del vento. Per il casco da crono, abbiamo previsto un cablaggio in cui dei sensori di pressione rilevano l’azione del vento. Abbiamo aperto al virtuale nel 2001 e dal 2004 abbiamo la stampa interna».

La stampa in 3D

Definite le forme, si passa alla stampa in 3D. La prima è quella a gesso: dura una notte e al mattino si ha in mano un oggetto piuttosto pesante che tuttavia riproduce fedelmente l’aspetto del casco. Verificato che la forma sia quella voluta oppure apportate le necessarie modifiche, si passa alla seconda stampa: ugualmente in 3D però a filo. Essa produce un casco certamente più leggero, diviso in due gusci da assemblare, all’interno del quale è possibile montare le imbottiture e i vari accessori.

La stanza delle stampanti dispone anche di un forno per la verniciatura e di una stampante 3D più piccola, per realizzare le rotelline di regolazione del casco. Anche questi accessori si progettano internamente.

Il primo casco

In un angolo, si riconoscono le macchine di quando la produzione si svolgeva qui. Ci sono sacchetti che contengono i granelli del polimero di varia densità e ci sono gli stampi con i compressori. In una griglia accanto, ecco il primo casco prodotto nel 1992.

Dal 2012 si fa tutto in Cina: la conseguenza di continuare a produrre qui sarebbe stata probabilmente la chiusura dell’azienda. Inizialmente, i tecnici MET viaggiavano periodicamente verso Oriente. Ora il processo è più agile, con figure di riferimento sul posto in grado di verificare che le lavorazioni siano eseguite secondo gli standard e i protocolli inviati dall’Italia. Lo stabilimento non lavora in esclusiva, ma è palese che l’esclusiva riguardi i prodotti.

Un immenso database

Ricevuto dalla fabbrica il necessario numero di campioni, si passa ai test. Il laboratorio MET fa parte di un pool di realtà impegnate nella definizione degli standard internazionali e nello sviluppo dei test di impatto. I test non sono obbligatori, potrebbero bastare quelli del laboratorio deputato alla certificazione. MET li esegue per immagazzinare dati e garantire i propri caschi a un livello superiore.

«Abbiamo un database – spiega Cesare Della Mariana, deputato ai test – nel quale si tiene conto di tutte le valutazioni fatte sul primo round di campioni. La prima fase, che si svolge al computer, serve per definire i punti di impatto. A ciascuno di essi sono associati dei valori che permetteranno di costruire le curve di distribuzione dell’urto. In questo modo possiamo verificare che il risultato del test corrisponda a quello che avevamo approvato in fase di progettazione».

Il casco e l’incudine

Prima di arrivare ai test d’impatto, il casco deve sostenere una serie di stress ambientali che lo indeboliscono al pari di quanto accade pedalando al caldo oppure al freddo.

Il protocollo europeo CE prevede prima un passaggio al caldo e poi al freddo, perché a -20°C le plastiche diventano dure e fragili. Quindi viene la fase dell’invecchiamento, in un forno girevole in cui i caschi sono sottoposti per 72 ore ai raggi UV, che indeboliscono i legami chimici degli atomi degli strati superficiali (il riferimento di temperatura è quello del sole del deserto dell’Arizona). Infine il casco viene esposto all’azione dell’acqua a temperatura ambiente. Gli standard USA e australiani (CPSC e AU/NZ) prevedono che dopo il caldo e il freddo, il casco vada immerso in acqua.

A questo punto si procede al test di caduta libera che porta a un impatto a velocità di 6,5 metri al secondo (23,4 chilometri orari). Il laboratorio è pieno di caschi da testare altri già… provati. Laddove si intravedano microfratture nella calotta interna, si ha la conferma che il casco ha retto l’impatto e ha ceduto, salvaguardando la vita del ciclista.

«Per questo – riprende Cesare Della Marianna – dopo l’impatto violento il casco va cambiato, anche se non si vedono segni. Se ha assorbito un urto violento, da qualche parte ha ceduto. Altrimenti significa che il colpo è arrivato diretto alla testa del ciclista».

Ogni mese dalla UAE arriva a MET una scatola di caschi caduti, utili per analisi e osservazioni approfondite
Ogni mese dalla UAE arriva a MET una scatola di caschi caduti, utili per analisi e osservazioni approfondite

I caschi della UAE

Per lo stesso motivo, MET ritira tutti i caschi di ritorno dai due team UAE Emirates (ne arriva una scatola ogni mese), per verificare e studiarli dopo eventuali cadute.

L’impatto della testa sull’incudine provoca ogni volta un brivido. Il rumore è secco, fa pensare parecchio. Qui si lavora per salvare vite, comprendiamo lo scrupolo di ogni passaggio: che si tratti di Tadej Pogacar o di un bambino sul seggiolino della bici di sua madre.

Intanto Thomas, zitto, zitto, lavora all’operazione rosa

17.01.2024
4 min
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Sarebbe fuorviante ridurre l’inverno di Geraint Thomas a quella sua frase ad effetto detta in autunno. «In questo periodo sono ubriaco 12 sere su 14». L’inglese è molto più sostanzioso. E quella frase è solo un titolo sensazionalistico. Nascondeva ben altri contenuti.

Thomas diceva che non si riconosce in molti giovani che vivono il ciclismo 12 mesi l’anno, 24 ore su 24. Che non staccano mai. Lui, per sua stessa ammissione, non ci riuscirebbe e di quello stacco, anche mentale, ha assolutamente bisogno. «Adesso per esempio devo rimettermi sotto – aveva dichiarato a GCN – devo passare da 75 a 68 chili. E’ la parte più difficile della stagione». Ma è così facendo che è arrivato competitivo a 37 anni e ha chiuso il Giro d’Italia al secondo posto e indossato la maglia rosa.

Al Black Theatre di Monmouth, cittadina inglese poco a Nord-Est di Cardiff, Thomas ha parlato di ciclismo e del suo libro, “Great Ride. According to G”
Al Black Theatre di Monmouth, città gallese, Thomas ha parlato di ciclismo e del suo libro, “Great Ride. According to G”

In rotta sul Giro

Di quello stacco, il “Signor G” aveva bisogno per continuare a perseguire i suoi obiettivi. E nel 2024 il grande focus del campione della Ineos-Grenadiers sarà con ogni probabilità ancora il Giro d’Italia.

«Sarebbe bello – ha detto Thomas in tempi non sospetti – tornare al Giro il prossimo maggio. Il Giro d’Italia è un grande classico del ciclismo. Sarà molto dura dopo quest’anno, ma potrebbe essere anche molto attraente. Guardo il percorso e vedo che sono state previste due lunghe cronometro. C’è anche una tappa su strade sterrate e una terza settimana molto dura. Partecipare al Giro è certamente un’opzione».

E poi ha aggiunto: «Anche il Tour però è piuttosto bello e manco da un po’».

E allora procediamo per esclusione. In Francia la Ineos-Grenadiers andrà con Pidcock e, sembra, anche Bernal. Il colombiano ha detto di volerci essere, mentre per il giovane folletto inglese è stata la squadra a dirlo chiaramente. Assieme a loro ci sarà, e questo è sicuro, anche Carlos Rodriguez. Lo spagnolo ha detto che farà all-in sul Tour, per migliorare il suo quinto posto 2023. 

A Thomas resta dunque il Giro, da capitano ovviamente. E a quanto pare non gli dispiace affatto. Così come non dispiace al pubblico italiano, che lo ha molto apprezzato lo scorso anno vedendolo lottare sulle strade di casa. Alla fine dopo cinque partecipazioni, Thomas sembra aver trovato il feeling con la corsa rosa e le sue strade.

Tanto tifo per lui. Gli auguri di compleanno a bordo strada che lo hanno colpito. Una squadra forte. Avevano creato delle sinergie che Thomas vuol rivivere.

Thomas è stato due volte campione olimpico nell’inseguimento a squadre, Pechino 2008 (in foto tra gli altri con Wiggins) e Londra 2012
Thomas è stato due volte campione olimpico nell’inseguimento a squadre, Pechino 2008 (in foto tra gli altri con Wiggins) e Londra 2012

Tra Roma e Parigi

E forse quest’anno l’occasione potrebbe essere ancora più ghiotta per Geraint. Due crono e nessuna salita monster, stile Lussari o i chilometri finali delle Tre Cime di Lavaredo, guarda caso proprio i chilometri che lo hanno respinto. Un Thomas in forma come quello dello scorso maggio a crono potrebbe dare filo torcere persino a Pogacar. Poi è chiaro, nel giorno del Grappa alla vigilia della tappa finale di Roma compirà 38 anni. E questi peseranno. O almeno potrebbero pesare.

C’è anche l’ipotesi del doppio impegno, Giro e Tour. In Italia da capitano, in Francia da gregario, con l’occhio alle Olimpiadi. Olimpiadi che hanno catturato l’attenzione di Thomas, il quale però è consapevole che il percorso di Parigi non gli è super favorevole. Ma c’è pur sempre la cronometro.

«Sarebbe un grande obiettivo – ha detto Thomas – questo è sicuro. Sono andato ai Giochi già quattro volte e una quinta partecipazione sarebbe davvero fantastica, un record. Una medaglia? Perché no? Alla fine per esserci dovrei comunque avere un’ottima condizione».

Thomas (classe 1986) durante la preparazione invernale (foto Twitter)
Thomas (classe 1986) durante la preparazione invernale (foto Twitter)

Inverno dinamico

Una cosa è certa, Thomas non sta fermo un attimo. Tra Inghilterra, casa sua, California dov’è andato a trovare l’amico e compagno Cameron Wurf, i camp in Spagna, la casa di Monaco… si è sempre allenato. Questo non è l’atteggiamento di chi è appagato.

Anche per questo Geraint ha prolungato il contratto con la Ineos-Grenadiers per due stagioni. E’ consapevole che in questo ciclismo ogni cosa può cambiare da un momento all’altro e confrontarsi con la nuova generazione non è facile. Ma con il talento e la capacità di focalizzarsi su un obiettivo si possono ancora fare grandi cose. E lui non è nuovo a certi approcci.

A Parigi per assurdo il suo compagno nella crono potrebbe essere Joshua Tarling. L’astro nascente di Sua Maestà ha praticamente la metà degli anni di Thomas. Potrebbe essere suo figlio. E’ un’ipotesi okay, ma nemmeno così remota.

Thomas vorrebbe partecipare al Tour, consapevole che l’anno prossimo potrebbe essere troppo tardi. Ma ha dichiarato anche che vorrebbe finire la sua carriera correndo le classiche nel 2025. E le vorrebbe fare bene. Ma il 2025 è lontano, noi intanto lo aspettiamo al Giro.

Un incontro per caso e Caruso torna bambino

16.01.2024
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Una foto per caso, come per caso è stato l’incontro da cui è nata. Caruso al pranzo del Cycling Team Nial Nizzoli Almo, la squadra di Salvatore D’Aquila e Auro Nizzoli di cui vi abbiamo già raccontato. I social raccontano, ma non approfondiscono. Si svolge a Ragusa, si potrebbe pensare che sia tutto organizzato, invece no.

Damiano racconta dal ritiro di Denia, che ha raggiunto domenica dopo aver partecipato a Dubai a un evento con altri quattro compagni di squadra. Tre giorni nel deserto per Al Salam Championship e poi il ritorno in Europa per cominciare la stagione. Il ricordo va al 5 gennaio, mentre pedalava sulla salita di Chiaramonte Gulfi, 18 chilometri fuori Ragusa.

«Il giorno prima di quella foto – dice – mi stavo allenando. Stavo facendo la mia solita salita, quella che faccio sempre, perché di base vicino casa ne ho due. E mentre salivo, ho cominciato a vedere dei ragazzi che scendevano. Vedo il primo, vedo il secondo, vedo il terzo e mi sono detto: strana questa cosa. Erano tutti ragazzi giovani. Poi a un certo punto ho visto la maglia e mi sono chiesto chi fossero, finché ho notato l’ammiraglia».

Damiano Caruso è professionista dal 2009. Da junior lasciò la Sicilia e si trasferì in Toscana (foto Charli Lopez)
Damiano Caruso è professionista dal 2009. Da junior lasciò la Sicilia e si trasferì in Toscana (foto Charli Lopez)

Facce note

L’incontro è casuale, ma risveglia qualcosa nella memoria. Caruso si rivede alla loro età e lo sgambettare di quei ragazzi lo riporta a quando la bici era ancora un gioco, ma presto si sarebbe trasformata in una scelta di vita. Lasciare casa per diventare grande, ma nel suo caso facendovi ritorno ogni volta.

«Mi sono fermato un attimo a parlare con loro – sorride – c’era Salvatore D’Aquila e c’era Giorgio Scribano, il direttore sportivo che conosco perché è anche un collega di mio papà. E dopo averci parlato un po’, gli ho detto: “Ragazzi, mi ha fatto veramente piacere vedere che c’è una squadra come una volta”. Vederli infatti mi ha ricordato quando ero giovane e su quelle strade davo le prime pedalate. Mi ha fatto davvero piacere, così quando mi hanno chiesto se fossi libero il giorno dopo per stare con loro a pranzo, mi sono liberato. Ho trovato fosse giusto partecipare. Mi è sembrato davvero straordinario vedere una squadra dalle mie parti, non mi capitava da tanto».

La squadra siculo/emiliana si è ritrovata all’hotel Villa Orchidea di Comiso (foto Team Nizzoli Almo)
La squadra siculo/emiliana si è ritrovata all’hotel Villa Orchidea di Comiso (foto Team Nizzoli Almo)

L’effetto sorpresa

Guarda, c’è Caruso! Immaginate l’effetto sorpresa di veder entrare la bandiera ciclistica della Sicilia nella sala in cui si erano riuniti corridori e famiglie per brindare al nuovo anno e dare il via alla stagione. Nessuno se lo aspettava, è stato davvero tutto per caso: quello è Caruso, lui ce l’ha fatta.

«Mi ricordo le facce dei ragazzetti quando sono entrato – sorride – ma anche quelle dello staff e tutti gli altri. Non avrebbero mai pensato che ci andassi, invece ho accettato e questo gli ha fatto molto piacere. Ma se devo dirvi la verità, ha fatto ancora più piacere a me. Poi gli ho fatto i complimenti, perché non è cosa semplice avere il coraggio di allestire una squadra nel punto più a sud d’Italia. E gli ho fatto i complimenti soprattutto perché questo denota la passione che hanno per questo sport e questo mi è piaciuto molto».

Poche parole prima dell’allenamento. Si riconoscono Nizzoli e Scribano (foto Team Nial Nizzoli Almo)
Poche parole prima dell’allenamento. Si riconoscono Nizzoli e Scribano (foto Team Nial Nizzoli Almo)

Tra svago e rinunce

Il campione ispira. Non c’eravamo, ma immaginiamo gli sguardi dei ragazzi che lo osservavano, come è capitato a chiunque, animato dalla stessa passione, si sia ritrovato nella stessa stanza con un grande campione.

«Non sono riuscito a parlare con tanti – ricorda Caruso – ma quando mi hanno dato la parola, prima gli ho fatto i complimenti. E’ risaputo che il ciclismo sia uno sport di sacrificio e di dedizione e farlo a quell’età, al giorno d’oggi, è ancora più difficile. E’ uno sport che ti porta a fare tante rinunce e i ragazzi sono sempre meno propensi a farne. Quindi gli ho consigliato di coltivare la loro passione e di metterci il massimo impegno. Ma gli ho anche detto che alla loro età sarebbe sbagliato tralasciare il divertimento con gli amici.

«Mi sono raccomandato che il ciclismo non lo facciano diventare troppo presto un’ossessione o un lavoro. Devono riuscire a trovare il giusto bilanciamento tra le due cose. Stavo lì in mezzo e mi rivedevo. Forse li avrò motivati, ma sono stati loro che hanno dato nuova motivazione a me. Mi hanno permesso di rivedere il mio percorso: è stato veramente bello, quasi emozionante».

Non poteva mancare la foto davanti alla casa di Montalbano a Puntasecca (foto Team Nial Nizzoli Almo)
Non poteva mancare la foto davanti alla casa di Montalbano a Puntasecca (foto Team Nial Nizzoli Almo)

Corridori con la valigia

Dovranno partire anche loro, lasciare casa e cercare fortuna al Nord? Un siciliano lo sa che prima o poi dovrà partire, è la storia di milioni di persone: in quasi ogni casa si raccontano i viaggi di generazioni lontane. E poi ormai partono anche i ragazzini del Nord, con la valigia piena di sogni verso le squadre d’Europa. Forse oggi è più facile spiccare il volo, oppure no?

«Non è mai stato facile partire – riflette Caruso – io non lo so se adesso sia più facile o più difficile. Come base devi essere dotato delle qualità che ti vengono date da madre natura. Poi serve una buona propensione al sacrificio, perché non è semplice per nessuno essere costretto a emigrare a 16-17 anni per inseguire il proprio sogno. Non è una cosa banale e quindi in un certo senso ti forza a crescere un po’ prima. Oggi il distacco da casa avviene in età sempre più avanzata, essere ciclista ti fa svegliare prima rispetto alla media. E poi, guardando il livello medio che c’è anche nel ciclismo giovanile, credo forse oggi sia ancora più difficile che in passato».

Dice che non si vede da grande a impiantare una scuola di ciclismo col suo nome, ma che si lascerebbe coinvolgere in un progetto serio e ben strutturato. E poi, fatte due chiacchiere sulla stagione che incombe, è il momento di lasciarlo andare. Domenica il ritiro sarà concluso, quindi andrà in Slovenia a fare un test in velodromo sulla posizione della crono, infine tornerà a casa. Un paio di settimane e si comincerà a correre alla Vuelta Andalucia. E poi sarà tutto una lunga ma rapidissima rincorsa fino al Giro d’Italia.

Berti dopo 7 anni chiude il capitolo Work e riparte dalla Vangi

16.01.2024
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Sette anni non si racchiudono in un momento o in un ricordo, ma sono una carrellata di emozioni che colpiscono e lasciano un segno. Matteo Berti, diesse toscano, che fino al 31 dicembre ha lavorato in Work Service Speedy Bike, ha chiuso il suo cerchio ed ora è pronto a ripartire. La nuova avventura ha il nome del team Vangi Pirata, è più vicina a casa, e gli permette di rifiatare un attimo. 

«Dopo sette anni – racconta Berti – era arrivato il momento di cambiare. Sono toscano e Padova non è esattamente dietro l’angolo. Non è facile gestire le dinamiche di un gruppo juniores quando si abita così lontano dalla sede operativa. I ragazzi hanno bisogno di essere seguiti e nel corso del tempo il continuo viaggiare era diventato dispendioso. Ho una famiglia e due bimbi, il trasferimento al team Vangi Pirata è arrivato anche per loro, per restare più vicino».

Berti (con gli occhiali da sole) e Camerin (a sinistra) con i ragazzi dopo la vittoria ai campionati italiani cronosquadre
Berti (con gli occhiali da sole) e Camerin (a sinistra) con i ragazzi dopo la vittoria ai campionati italiani cronosquadre

Nuovo capitolo

Nella vita di Matteo Berti, quindi, si apre un nuovo capitolo. Stimoli diversi che lo hanno spinto a cambiare, ma non per ragioni materiali, piuttosto per una scelta di pancia, come l’ha definita lui stesso. 

«Il team – spiega il diesse – ha affiliazione toscana, in 40 minuti di macchina arrivo alla sede della società. Ne ho parlato con Fabrizio Vangi e il suo progetto è quello di creare un vivaio che comprenda anche la categoria allievi. La voglia è quella di creare un progetto ambizioso in regione (Toscana, ndr). La sua idea mi ha stimolato molto, sia per il progetto legato ai giovani sia per creare qualcosa di significativo nella mia terra».

Un viaggio lungo, fatto di tanti momenti che rimangono impressi nella memoria
Un viaggio lungo, fatto di tanti momenti che rimangono impressi nella memoria
Un lavoro che vede un “passo indietro” lavorerai anche con gli allievi…

Mi sono accorto in Work che per lavorare con gli juniores è necessario pensare anche al “sotto” ovvero agli allievi. Con Massimo (Levorato, ndr) abbiamo spesso investito sulla categoria, ma qui alla Vangi avrò modo di lavorarci direttamente. Se si ha modo di avere un filo diretto è meglio, altrimenti ti ritrovi ogni anno a costruire praticamente da zero. 

Che lavoro farete?

Abbiamo strutturato un percorso con due gruppi allievi con i quali useremo i nostri metodi. L’idea, come detto, è di fare una piccola accademia e si inizia a lavorare in maniera migliore, più strutturata. Pensare ad un percorso di quattro anni è interessante. Fabrizio (Vangi, ndr) aveva questa visione e ha investito per farla partire e questo mi ha incuriosito parecchio. Il suo entusiasmo e la sua passione per il ciclismo mi hanno coinvolto. 

Ora però Berti (con la felpa rossa a destra) è diventato diesse del team Vangi Pirata: una nuova avventura
Ora però Berti (con la felpa rossa a destra) è diventato diesse del team Vangi Pirata: una nuova avventura
Lavori da tanti anni nella categoria juniores, sentivi questo passo necessario?

Il ciclismo juniores è cambiato tanto, è arrivato a sostituire la categoria under 23. Bisogna cambiare mentalità agli allievi, per non avere il gap che c’è ora. Serve un cambio di mentalità, questo non vuol dire strapazzarli, ma insegnare loro un metodo di lavoro. Vi faccio un esempio…

Dicci.

Molti allievi non sono abituati al concetto di allenamento: alcuni lavorano troppo e altri troppo poco. Alla categoria juniores bisogna arrivare pronti, questo non vuol dire farli pedalare per 150 chilometri.

E cosa vuol dire?

Se guardate il profilo Instagram di Albert Withen Philipsen (campione del mondo juniores strada e mtb, ndr) ci sono foto dove fa squat con carichi da 100 chili. I nostri ragazzi non devono per forza fare carichi così elevati, ma mi sono trovato più volte juniores che non erano in grado di fare degli squat. Serve insegnare la tecnica, dare un metodo di lavoro. E questo lo si fa fin dagli allievi ora. 

Alla Vangi ti ha seguito anche Fabio Camerin, preparatore in Work con te.

Mi sono portato dietro gran parte dello staff che lavorava con me in Work. Sono tutte persone toscane che avevo coinvolto io nel progetto. Camerin ha studiato e si è specializzato, vuole fare il preparatore e lavora con me dal 2019. Ho pensato subito di portarlo con me in questa nuova avventura. Con lui mi sono sempre trovato bene e questo progetto stimola anche lui.

Matteo Berti insieme a Edoardo Cipollini uno dei suoi ragazzi che nel 2024 è passato U23 con la Colpack Ballan
Matteo Berti insieme a Edoardo Cipollini uno dei suoi ragazzi che nel 2024 è passato U23 con la Colpack Ballan
Come sono rimasti i rapporti in Work Service?

Ottimi. Sono stati sette anni davvero intensi. Fare il diesse con loro per così tanto tempo è motivo di orgoglio per me. L’ho detto anche ai ragazzi alla mia ultima gara: “questa maglia va onorata”. L’ho detto perché ci credo fermamente.  Riconsegnare l’ammiraglia è stata un’emozione…

Racconta…

Mi sono quasi commosso. La società per me era diventata una famiglia, un organismo che agisce con le stesse dinamiche. I cambiamenti li accetti, fanno parte della vita. Alla Work sarò sempre grato, ma ora è iniziata una nuova avventura e serve guardare avanti.

Casa Ineos, il casco non è più un marginal gain

16.01.2024
5 min
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Il casco da bici non fa più parte della categoria marginal gains, ma è uno strumento alla base del pacchetto performance dell’atleta. Fa parte di un puzzle in cui vanno inclusi tutta la bici, l’abbigliamento, la posizione in sella e in cui la variabile più grande resta il corridore. Nell’economia della performance complessiva quanto conta l’efficienza di un casco?

Lo spunto tecnico nasce dalla curiosità legata al nuovo Kask, non ancora ufficiale e già vittorioso in Australia con Narvaez. Approfondiamo l’argomento con Luca Oggiano, amministratore delegato di NablaFlow, genio della ricerca aerodinamica, uomo chiave per il Team Ineos-Grenadiers nell’ambito della ricerca e della performance.

Narvaez vittorioso in Australia con il nuovo casco
Narvaez vittorioso in Australia con il nuovo casco
E’ corretto il suffisso aerodinamico riferito ad un casco da bici?

Non esiste una risposta corretta. Forse usare il termine aerodinamico è eccessivo. E’ altrettanto vero che la ricerca, la tecnologia (e in questo sono da includere gli studi dell’aerodinamica applicata al ciclismo) portano ad usare termini che non appartenevano a questo sport anni addietro. I caschi di oggi non hanno nulla a che vedere con quelli di un’epoca passata. Si lavora sulla riduzione dell’impatto frontale e sul peso che ha l’aerodinamica sull’efficienza. Sopra tutto c’è il caposaldo della sicurezza.

Filippo Ganna e Luca Oggiano (foto Luca Oggiano)
Filippo Ganna e Luca Oggiano (foto Luca Oggiano)
La linea di studio per lo sviluppo di un casco da bici è una oppure ci sono diversi indirizzi?

Dipende sempre da cosa si vuole ottenere dal prodotto e le linee guida vengono dettate dalle aziende. Uno dei segreti è quello di far collimare al meglio i diversi fattori e le tante variabili. A noi vengono chiesti i dati ed i numeri, dalle aziende, dai team e anche dagli staff delle nazionali. Anche le nuove generazioni di corridori sono preparati e cuoriosi, vogliono sapere che cosa indossano.

Una simulazione dell’impatto dello spazio su bici e ciclista (grafico NablaFlow)
Filippo Ganna e Luca Oggiano (foto Luca Oggiano)
Atleta, bici ed equipaggiamenti in generale, quanto conta il casco nel pacchetto totale?

Dipende dalla disciplina. In una cronometro tantissimo, in una prova su strada influisce meno, mediamente il 3/5%, perché in questo secondo caso l’atleta è più esposto all’impatto frontale. Un casco può arrivare ad influire complessivamente fino al 10%. Tantissimo, se contiamo che oggi si vincono le gare con una margine scarso di qualche watt.

Si parla sempre di guadagni di watt, ma la sensazione è quella che man mano la ricerca va ad esplorare nuovi modi per esprimere il potenziale. E’ così?

E’ difficile immaginare quanta ricerca c’è dietro ad un semplice casco, dico semplice proprio perché è complicato pensare a tutte le simulazioni e interazioni. Centinaia, migliaia. Anni addietro i guadagni della performance erano facili, perché il plateau tecnologico non esisteva. Oggi è più complicato. Il livello dei prodotti è davvero elevato e quel plateau tecnologico che ho menzionato si è evoluto. E alla portata di molti, ma dipende anche dagli investimenti. I costi sono elevati e anche questo fattore ha un peso da non sottovalutare. Siamo molti vicini, con le dovute proporzioni, alla F1.

Anche per Ganna orecchie coperte nella sezione superiore (foto Cauldphoto, Cyclingimages, Ineos Grenadiers)
Anche per Ganna orecchie coperte nella sezione superiore (foto Cauldphoto, Cyclingimages, Ineos Grenadiers)
Se dovessimo pensare alla porzione più complicata da sviluppare e disegnare?

L’interno del casco. I parametri da considerare sono tanti, ad esempio i capelli. Studiare la porzione interna di un casco non è semplicemente capire come far passare l’aria o come far indossare il casco. I flussi che passano all’interno del casco si riuniscono a quelli esterni. Se studiati male, mandano alle ortiche tutto il lavoro fatto anche per l’esterno.

Prendiamo come soggetto il Kask che abbiamo visto in alcune immagini. Che guadagno può portare la calottatura delle orecchie?

Partiamo dal presupposto che è un casco che nasce per le classiche, dove la velocità media di gara è elevata. Più che sulla calottature delle orecchie, c’è da considerare quanto è il peso che ha la resistenza aerodinamica di un casco, rispetto alla leggerezza.

Spiegaci meglio!

Un casco più pesante, ma con un’efficienza aerodinamica migliore, anche solo dell’1%, mostra dei vantaggi non trascurabili, risultando più efficiente rispetto ad un casco più leggero e con tante aperture. Stiamo argomentando la ricerca della performance migliore. Il nuovo Kask inoltre considera anche l’eliminazione dei cosiddetti rumori aerodinamici, un fattore percepito in modo negativo da diversi atleti.

Una soluzione che vedremo anche in futuro, magari adottata su larga scala sui caschi da strada?

Nel ciclismo come in quasi tutte le altre categorie ci sono i conservatori ed i progressisti. E’ probabile. Di sicuro noi abbiamo smosso le acque con una sorta di trasposizione del casco da crono verso la strada. Il mercato ha come sempre l’ultima parola.

Sci di fondo e bici col Giro nel mirino: è l’inverno di Marco Frigo

16.01.2024
5 min
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Da una sciata di fondo sulle piste di Asiago, alle più miti temperature di Marbella, Marco Frigo si appresta così ad affrontare la sua seconda stagione tra i grandi. Il corridore della Israel-Premier Tech, sta lavorando sodo, ma con calma. Anche perché il suo debutto in gara non sarà a brevissimo e ancora più in là sono i suoi obiettivi.

Una convinzione che nasce principalmente dal suo buon 2023. Un anno di risposte, di conferme, ma anche consapevolezze che le carte sono in regola, ma la strada per arrivare in alto è ancora lunga. 

Frigo appartiene alla nazionale d’oro di Amadori. Quella di Zana, Colnaghi e Baroncini. Di Gazzoli e Verre. Ragazzi che piano piano si stanno facendo largo, ognuno tra le proprie storie, le proprie difficoltà, i propri tempi… ma avanzano.

Marco Frigo (classe 2000) sta lavorando molto anche a crono, specialità che non disdegna affatto
Marco Frigo (classe 2000) sta lavorando molto anche a crono, specialità che non disdegna affatto
Marco, partiamo dalla più classica delle domande: come stai?

Bene, dai. Sin qui è stato un buon inverno. Dopo una stagione positiva c’è più consapevolezza e quello che ora faccio, lo faccio con più tranquillità e più sicurezza, perché so che il cammino che intraprendo mi porta dove voglio. Lo scorso anno invece avevo molti più dubbi, molti punti interrogativi. Starò facendo abbastanza? Andrà bene questo allenamento? Sarò al livello richiesto dal WorldTour? Riuscirò a portare a termine la stagione?

Dopo un anno in prima squadra, tante corse WorldTour e un grande Giro, il motore si dice sia diverso. Vale anche per te?

Diciamo che ho buone sensazioni e anche i numeri dei test lo dicono. Sono circa tre settimane più indietro rispetto allo scorso, quando venivo dal finale di stagione in cui mi ero rotto lo scafoide e, avendo ripreso prima, di questi tempi avevo più chilometri e più lavori nelle gambe. E anche per questo sono fiducioso.

Quale sarà il canovaccio della tua stagione agonistica?

Più o meno quello dell’anno scorso. Partirò dal Tour de Provence (8-11 febbraio, ndr). Farò soprattutto delle gare a tappe con l’obiettivo primario del Giro d’Italia. Successivamente, dopo lo stacco post Giro, preparerò il finale di stagione, stavolta con la speranza di fare meglio dello scorso anno nella seconda metà.

Frigo vuol fare bene le classiche di fine stagione. Eccolo, qui al Giro dell’Emilia
Frigo vuol fare bene le classiche di fine stagione. Eccolo, qui al Giro dell’Emilia
Come stai lavorando nel complesso in questo inverno?

In generale sono aumentati, ma di poco, i volumi. Qualche chilometro in più, ma anche qualcosa in più nei lavori. Se lo scorso anno, per esempio, facevo 3×15” adesso magari faccio 3×20”. Lo abbiamo stabilito con il mio allenatore, Ruben Plaza. Comunque sin qui ho fatto pochi lavori. Insisteremo di più sull’intensità a partire dalla prossima settimana.

Nel tuo gruppo di allenamento c’è anche Froome?

Dipende. Magari un giorno capito nel gruppo con Chris e un altro sono con Jakub (Fuglsang, ndr). Dico che in ogni caso mi piace questa cosa, perché sono corridori che guardavo da bambino e adesso mi ritrovo quotidianamente con loro. Questo mi rende orgoglioso, felice.

A proposito di Fuglsang, proprio lui alla Veneto Classic ad ottobre ci aveva parlato benissimo di te. Ci aveva detto anche che ti stava dando una mano per migliorare in discesa. Ci lavorate ancora?

Ho un buonissimo rapporto con lui. E siamo spesso compagni di stanza. E’ un corridore di esperienza, di classe. Siamo entrambi molto diretti e il confronto è costante. Spero di fare molte gare con lui. Da un atleta così c’è solo che da imparare.

Sci e bici: il connubio perfetto per Marco Frigo
Sci e bici: il connubio perfetto per Marco Frigo
Marco, sei anche un appassionato di sci di fondo. E ti sei allenato anche con un azzurro di Coppa del mondo come Simone Mocellini: cosa ti dà questo sport per il ciclismo?

Sì è vero, il fondo mi piace molto. Avrei voluto molta più neve per sciare di più. Spero che quando tornerò da Marbella ce ne sarà un bel po’, così mi allenerò ancora sugli sci stretti. Questa è una passione nata da bambino. In particolare me l’ha trasmessa mio nonno Carlo. Lo sci di fondo per me è un buon metodo di allenamento, fa bene sia per la componente aerobica che per quella muscolare e del core. Si compensa alla grande con il ciclismo. Ho anche idea di acquistare degli skiroll per il futuro, nel caso non dovesse esserci neve per farne di più tra novembre e dicembre.

Capitolo Giro d’Italia. In passato ci hai detto che sei uomo da corse a tappe e ora che vuoi arrivarci in forma…

Ho detto che lavoro in quella direzione. Forse per la classifica generale è ancora un po’ presto, ma di due cose sono certo. Una: cercare di vincere una tappa. Due: nelle prime due tappe non si mollerà di un centimetro. Voglio tenere duro il più possibile perché in qualche modo potrebbe esserci in palio la maglia rosa, come fu a Lago Laceno lo scorso anno (quando la prese Leknessund, ndr). 

Al Giro c’è anche un bel po’ di crono…

E’ un aspetto che mi piace curare. Credo possa essere una specialità a me favorevole, viste le mie caratteristiche fisiche, specie poi per le brevi corse a tappe. Oltre alle uscite in programma, quando faccio i rulli, sia scarico che i lavori, li faccio sempre con la bici da crono. Proprio ieri qui a Marbella abbiamo fatto quasi 4 ore sulla bici da crono. Poi la mezz’ora finale ci siamo sciolti su quella strada. Abbiamo fatto anche qualche lavoro di gruppo, tipo cronosquadre… anche a ritmo gara.

Maestri capitano di strada nella nuova Polti-Kometa

16.01.2024
4 min
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MILANO – Quando nel bel mezzo della presentazione del Team Polti-Kometa, Ivan Basso ha detto che il capitano sarà Maestri, Mirco ha quasi fatto un salto sulla sedia. Non perché non lo sapesse, ma perché sentirlo dire davanti a tutti in un’occasione così importante per la squadra fa un certo effetto. Il corridore di Guastalla (in apertura sulla sinistra, con Lonardi, foto Maurizio Borserini) è arrivato nel team che si chiamava Eolo-Kometa nel 2022, dopo sei stagioni alla Bardiani e forse neppure lui si aspettava una simile investitura. Anche se, soprattutto dopo il ritiro di Gavazzi, sarebbe ingiusto dire che non abbia lavorato per diventare una figura centrale del team.

Maestri, primo da sinistra, è stato individuato dai dirigenti del team come road captain (foto Maurizio Borserini)
Maestri, primo da sinistra, è stato individuato dai dirigenti del team come road captain (foto Maurizio Borserini)
Che effetto fa sentirselo dire davanti a tutti?

Detto da Ivan Basso, Alberto Contador e suo fratello “Fran”, fa venire la pelle d’oca, anche adesso che ne stiamo parlando insieme. E’ un orgoglio. Questo è il mio terzo anno in squadra dopo sei con i Reverberi e quando sono arrivato ho capito che questa è una famiglia che a me ci teneva e ci tiene. Piano piano credo di avergli dimostrato di poter avere un impatto utile anche nei confronti dei più giovani. Cioè che io penso al bene della squadra, più che al mio personale. Alla fine se c’è un compagno che va forte, è giusto che abbia tutte le possibilità per rendere al meglio. Forse questo ha fatto sì che Ivan, Alberto e “Fran” abbiano visto in me la sincerità e la trasparenza.

Che cosa significa capitano?

Il capitano, soprattutto in questa squadra, è il road captain, non quello che vince le corse. In termini di risultati, abbiamo corridori molto più vincenti, a partire da Fabbro, come anche Lonardi che ha dimostrato nel fine di stagione di andare molto forte, Restrepo che è arrivato da poco, il nostro Bais e tanti nuovi giovani. Quanto a me, nelle corse in cui sarò presente farò da filtro con i direttori sportivi affinché la squadra renda al meglio.

Fabbro riscuote la fiducia di Maestri. Qui il friulano con Davide Bais, entrambi della scuola Ct Friuli (foto Maurizio Borserini)
Fabbro riscuote la fiducia di Maestri. Qui il friulano con Davide Bais, entrambi della scuola Ct Friuli (foto Maurizio Borserini)
E’ giusto dire che Gavazzi sia stato il tuo maestro?

Giustissimo, infatti ci sentiamo spesso e continueremo a vederci, perché è rimasto in squadra con un ruolo diverso. Quando già nel 2022 cominciò a parlare di ritiro, gli chiesi di fare un altro anno perché avevo ancora bisogno di lui. Perdere il “Gava” per me è stato come perdere una stampella, un appoggio importante. Però credo che a 32 anni, questo è il nono da professionista, un po’ di esperienza comincio ad averla e in ogni caso con Francesco mi terrò in contatto.

Qual è l’insegnamento più importante che ti ha lasciato prima di andare in pensione?

Di essere serio nei momenti giusti, di essere scherzoso e comunque di fare gruppo. Di essere trasparente e di pensare comunque al bene della squadra. Gavazzi ha sempre dimostrato di mettere da parte le sue ambizioni, per coprire un compagno e fargli prendere meno aria. Era a disposizione di tutti. Anche nel 2023, nell’arrivo del Giro a Viareggio, eravamo insieme nel primo gruppo e lui non ci ha pensato due volte a tirarmi la volata e io sono arrivato nono. Essendo il suo ultimo Giro d’Italia, poteva tranquillamente fare la sua volata. E io gli ho chiesto più volte se avrebbe voluto farla, ma anche quel giorno si è sacrificato, con la solita serietà. E io, quando ho capito di avere questo ruolo, ho detto chiaramente che spero di valere la metà di quel che ha fatto vedere lui. Siamo entrambi interisti e come riferimento abbiamo Javer Zanetti, che per l’Inter è stato il capitano.

Secondo Maestri non sarà facile sostituire Albanese (alla sua sinistra), ma il gruppo Polti è molto forte
Secondo Maestri non sarà facile sostituire Albanese (alla sua sinistra), ma il gruppo Polti è molto forte
Che inverno è stato finora?

Tranquillo, anche per il resto della squadra, ci siamo allenati bene. Quest’anno è arrivato un team di nutrizionisti, che non solo ci seguirà dalla parte di nutrizione, ma anche di integrazione in corsa. E’ un argomento di grande attualità e quindi siamo contenti. I ragazzi stanno bene, ci sono tutte le carte per partire come si deve.

Sono partiti Fortunato e Albanese, finora i nomi di spicco della squadra, eppure Basso ha detto che secondo lui quest’anno siete più forti.

Penso che Fabbro sia un ottimo corridore. Se le cose vanno come devono, al Giro d’Italia sarà fondamentale. E’ un corridore con dei numeri davvero buoni, una testa, una preparazione e un’esperienza da poter far bene già da subito. Restrepo viene con dei buoni propositi. Difficile paragonarlo ad “Alba”, con cui tengo ancora i contatti, perché corridori come Albanese in Italia ce ne sono veramente pochi. Che arrivano in volata e tengono in salita. Però Lonardi e Restrepo possono sopperire alla sua assenza. Insomma, abbiamo perso due individualità forti, ma credo anche io che nel complesso la forza media della squadra sia cresciuta.

Cavalli e le distanze crescenti, una tendenza che piace

15.01.2024
6 min
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Il trending topic femminile dell’inverno è stato senza dubbio il “lungo”. Le tante ore di bici in funzione delle distanze sempre maggiori delle gare hanno quasi monopolizzato le sessioni di allenamento di tante atlete. In questo senso Marta Cavalli sta lavorando sodo, anche se per lei non è stato un cambiamento così grande rispetto a prima.

I tanti chilometri da fare durante la preparazione e in gara non hanno mai spaventato la 25enne cremonese della Fdj-Suez. Anzi, forse per un’atleta con le sue caratteristiche, le distanze crescenti sembrano essere il giusto sfogo. Dopo quelle del cittì Paolo Sangalli, abbiamo sentito le impressioni di Cavalli. Grazie al suo occhio attento abbiamo approfondito l’argomento.

Al Tour Femmes il vento potrebbe condizionare tappe, tattiche di corsa e anche la classifica generale
Al Tour Femmes il vento potrebbe condizionare tappe, tattiche di corsa e anche la classifica generale
Marta in questi mesi anche tu hai ulteriormente intensificato gli allenamenti?

Sì, certo, anche se già in passato io facevo tante ore di bici. Adesso abbiamo dosato i blocchi di lavoro in periodi diversi. Ho sfruttato il ritiro di dicembre per mettere una prima base. Poi visto che pedalare al caldo è davvero una buona cosa e a casa mia è difficile trovare un bel clima, ho fatto una settimana di allenamenti vicino a Sanremo come faccio tutti gli anni. Ora farò questa settimana a casa abbassando l’intensità, facendo magari simulazioni brevi poi torneremo a Calpe dal 20 al 30 gennaio. Per me l’inizio delle gare sarà alla Volta Valenciana a metà febbraio.

Su cosa hai lavorato nella Riviera Ligure?

In pratica ho diviso la settimana in due. Quattro giorni di lavori specifici con uscite al massimo di quattro/quattro ore e mezzo. Negli altri tre giorni ho curato di più l’aspetto endurance ed il dislivello. Una volta sono riuscita a fare sei ore e venti, un’altra volta invece mentre facevo il Poggio in modo regolare, sono stata letteralmente sverniciata a tripla velocità (sorride, ndr) dal gruppo velocisti della Lidl-Trek che stavano provando una situazione di gara.

Sangalli ci ha detto che in queste lunghe uscite bisogna saper allenare anche la mente. Condividi?

Assolutamente sì. A dicembre prendo le ore in bici con tranquillità, spesso togliendo il computerino e quasi sempre andando a scoprire nuove strade su cui poi tornare più avanti per fare dei lavori mirati. Si fa presto quindi a stare fuori tanto. A gennaio invece, con l’avvicinarsi delle gare, tendo di più ad immaginarmi in gara. Tuttavia cerco di dosare le energie senza farmi prendere dall’euforia qualora trovassi il vento a favore.

Quattro vittorie nel 2023 per Cavalli (qui ad Hautacam) che quest’anno vuole riscattarsi nelle gare più importanti (foto Fdj-Suez)
Quattro vittorie nel 2023 per Cavalli (qui ad Hautacam) che quest’anno vuole riscattarsi nelle gare più importanti (foto Fdj-Suez)
Quindi sarai d’accordo col cittì anche sul fatto di fronteggiare certe situazioni con più ore di gara…

Ha ragione Paolo. Non mi dispiace questa nuova tendenza con gare molto più lunghe. Così come per le volate, c’è tanta differenza anche in salita se la affronti con una o due ore in più di gara. Prima accennavo a simulazioni perché mi piace sempre inserire salite nel finale di allenamento per abituarmi a certi ritmi e vedere come le affronto. Talvolta mi capita di fare una sorta di piccolo circuito attorno ad un paio di salite per capire come le faccio la prima e la seconda volta. Sono tutti test necessari per farsi trovare pronte in gare sempre più lunghe.

Con le crescenti distanze si vedranno gare diverse?

Penso proprio di sì. Già al Tour dell’anno scorso abbiamo visto come sia stata approcciata la tappa più lunga. Spazio alla fuga che poi è arrivata fino in fondo, sulla falsariga delle tattiche maschili. In corsa si avverte come un senso di destabilizzazione, però dalle ammiraglie giungono direttive precise. Poi credo che si assisterà a gare diverse perché quest’anno le squadre nei giri a tappe avranno sette atlete anziché sei, quindi vedremo ulteriori stravolgimento. Infine ci sarà un altro aspetto da tenere in considerazione.

Quale?

Concordo con ciò che diceva Sangalli. In gruppo non ci sarà più Van Vleuten, che ha sempre corso con lo spirito della cannibale. Senza di lei cambierà tutto e potrebbe esserci tanto tatticismo. Sicuramente non ci sarà più nulla di scontato, sarà tutto più incerto e quindi anche tutto più bello da vedere. Si rimescoleranno le carte. Magari sulle salite più importanti tutte si guarderanno e poi l’attacco decisivo potrebbe arrivare in altri punti, meno indicati sulla carta.

I percorsi di Giro Women e Tour Femmes prevedono alcune frazioni molto lunghe. Sarà così anche alla Vuelta?
I percorsi di Giro Women e Tour Femmes prevedono alcune frazioni molto lunghe. Sarà così anche alla Vuelta?
Secondo te potremmo assistere ad una gara nella gara nei grandi giri a tappe?

Sì, ma con qualche riserva. Ogni squadra potrebbe presentarsi al via con due capitane, una velocista ed una che va forte a crono. Le altre sarebbero scalatrici, di cui una forte, quasi una mezza punta. Qualcuna di loro potrebbe uscire di classifica quasi subito per poi essere un punto di appoggio nelle frazioni decisive quando verranno mandate in avanscoperta. Queste circostanze potrebbe verificarsi, però…

Cosa?

Nelle nostre gare finora quando c’è bagarre tutte le capitane sono davanti e danno il tutto per tutto. Se inizieremo a gestire come succede nelle gare maschili, allora a quel punto potrebbe esserci la famosa corsa nella corsa. Davanti quella per la tappe e dietro quella per la generale.

Questo cambiamento si vedrà anche nelle classiche?

Secondo me no. Nelle gare di un giorno sai sempre qual è il punto decisivo. Al Fiandre o alla Liegi si sa dove potrebbe esserci la differenza. Così come alla Strade Bianche che si attacca quasi sempre da lontano. Nelle corse a tappe invece ci sono più variabili. Devi fare i conti con i giorni precedenti, col recupero, le sorprese, il meteo variabile e cosi via.

In inverno Cavalli lavora a fondo al caldo, mentre a casa complice temperature più basse cala l’intensità (foto Fdj-Suez)
In inverno Cavalli lavora a fondo al caldo, mentre a casa complice temperature più basse cala l’intensità (foto Fdj-Suez)
Cosa intendi per sorprese?

Vi faccio un esempio. Mi posso immaginare un Tour nel quale tante atlete partono forte e poi hanno un calo fisiologico. Magari arrivano da Giro Women e Olimpiade con una buona condizione, ma in calando. Considerate che al Tour Femmes si inizierà con tappe ventose in Olanda, poi arriveranno giorni sulle Alpi da mettersi le mani nei capelli (sorride, ndr).

Marta Cavalli è pronta per la sua stagione?

Innanzitutto spero proprio di riscattare un 2023 un po’ sottotono nonostante non siano mancate alcune vittorie. Il mio calendario è quasi fatto fino alle Ardenne. A maggio poi dovrei fare qualche gara a tappe spagnola come ripresa dal periodo di stacco. I percorsi del Giro e del Tour sono belli e duri. Da italiana il Giro Women ha un valore eccezionale per me, però la mia squadra è francese, quindi è giusto valutare bene cosa fare e come. Nel mezzo dovremo conoscere anche il percorso delle Olimpiadi per capire se potrei essere adatta e focalizzarmi anche su quell’obiettivo. La seconda parte di stagione verrà poi di conseguenza a tutto ciò.

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Per Evenepoel pedivelle super corte: 165 millimetri anche su strada

15.01.2024
5 min
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CALPE (Spagna) – Una nuova Specialized SL8 per Remco Evenepoel e i suoi compagni chiaramente. Ma quella del belga ha una colorazione speciale, con quella bandiera a scacchi che tanto richiama alla velocità di Remco e al suo modo di correre all’attacco. E non mancano i colori del Belgio, di cui è campione in carica.

Remco Evenepoel (classe 2000) in allenamento con la nuova SL8 e le pedivelle corte (foto ©NVE)
Remco Evenepoel (classe 2000) in allenamento con la nuova SL8 e le pedivelle corte (foto ©NVE)

Adattamenti 2024

Non è solo estetica. Ogni inverno c’è sempre qualcosa da ritoccare e migliorare. Ed Evenepoel non è stato da meno, specie se si cambia anche il telaio. Già durante la scorsa estate, Evenepoel era passato dalla Specialized Tarmac SL7 alla SL8, con differenze sostanziali.

Tuttavia ci sono degli adattamenti. Se alcune differenze infatti sono intrinseche del telaio, come il peso (circa 150 grammi in meno tra SL7 e SL8), altre sono legate alle scelte tecniche dell’atleta. E in tal senso la novità, anche piuttosto grossa, è la lunghezza delle pedivelle.

Le pedivelle da 165 millimetri. Cosa davvero insolita per un pro’
Le pedivelle da 165 millimetri. Cosa davvero insolita per un pro’

Pedivelle corte

Il talento della Soudal-Quick Step ha deciso di utilizzare pedivelle cortissime, 165 millimetri: prima aveva le 170 millimetri.

La cosa è andata così: Remco utilizzava questo set già sulla bici da crono e si trovava molto bene quando spingeva a tutta. Quindi ha voluto provare a “trasportare” la soluzione anche sulla bici da strada. Sembra che il “la” definitivo a questa prova sia stato dato dal muro finale nella crono di Glasgow, che Remco ha affrontato con grande piglio e un’ottima cadenza (e un wattaggio elevatissimo). Quindi perché non replicare su strada?

Evenepoel, ci hanno detto dallo staff del team belga, sta girando con queste pedivelle da inizio dicembre. E’ già un mese e mezzo dunque che le sta provando e i feedback cominciano ad essere attendibili. E’ lecito pensare che le terrà per tutta la stagione, visto che ci si trova bene. Ma la scelta non è definitiva.

Alla base di questa prova, oltre alle buone sensazioni, c’è anche il fatto che sulle pendenze estreme Remco non sia il dominatore assoluto come in quasi tutti gli altri settori. Questa soluzione gli consente di difendersi molto meglio, aumentando la frequenza. Insomma, può essere più agile e sfruttare meglio i rapporti come il 34, che Shimano mette a disposizione nella sua scala standard.

Sella 3D Power Pro. L’off-set leggermente avanzato e la taglia piccola, fanno sì che Remco pedali caricato sull’avantreno
Sella 3D Power Pro. L’off-set leggermente avanzato e la taglia piccola, fanno sì che Remco pedali caricato sull’avantreno

Sella su…

Come conseguenza diretta, la soluzione delle pedivelle corte porta con sé altri cambiamenti, il più importante dei quali è l’altezza della sella. Con mezzo centimetro in meno di estensione (e flessione) della gamba, va da sé che qualcosa andasse rivisto. Ebbene lo staff, dopo attente verifiche, ha alzato la sella di 6 millimetri.

Perché? Primo per compensare, come detto, un giro pedale che è più corto. Secondo, perché in questo modo Remco migliora la sua efficienza. E di efficienza ci hanno parlato proprio i tecnici a Calpe.

Con pedivelle più corte e sella più alta, Remco è più stabile sulla sella anche quando è a tutta. Ne guadagna un po’ anche la respirazione, riprendendo il concetto della crono, ma soprattutto Evenepoel riesce a scendere un po’ con il busto. Anche se meno di quel che si possa pensare, come vedremo.

Manubrio largo

A proposito di busto infatti, le soluzioni “a catena” ancora non sono terminate. E riguardano la zona del manubrio.

La SL8, a parità di misura, è più alta di qualche millimetro rispetto alla SL7, utilizzata da Remco e compagni fino a metà stagione. Nella taglia del campione belga, la 52 per esempio, il tubo di sterzo è passato dai 113 millimetri della SL7 ai 120 della SL8. E questa differenza va a compensare, in parte, l’aumento dell’altezza di sella.

Tuttavia le inclinazioni dei nuovi manubri integrati sono leggermente differenti rispetto ai precedenti set e portano ad avere un manubrio un po’ più basso. Ecco dunque che l’aumento di misura del tubo di sterzo è parzialmente compensato.

Fausto Oppici, meccanico del team, ci ha spiegato che il nuovo modello della SL è stato pensato proprio per i manubri integrati, tutti i corridori quindi non solo Evenepoel, sono passati a questa soluzione. 

Altra questione legata ai set integrati riguarda le misure degli stessi manubri. Remco ha bisogno di un attacco da 120 millimetri e la piega con questo attacco è disponibile con larghezza da 40 centimetri e non da 38. Per ora dunque il belga userà un manubrio più largo.

Non solo bandiera a scacchi e colori del Belgio, sulla SL8 di Remco sono impresse anche le sue iniziali
Non solo bandiera a scacchi e colori del Belgio, sulla SL8 di Remco sono impresse anche le sue iniziali

Novità in vista?

Se si considera anche la nuova regola delle leve, che possono essere inclinate verso l’interno al massimo di 5°, per Remco si tratta di un bel cambiamento. Ma visti i recenti tempi fatti segnare sul Coll de Rates, sembra che queste novità funzionino.

E’ anche vero però che in casa Specialized, si sta lavorando ad una piega specifica per Remco con larghezza da 38 e attacco da 120, così che possa avere la possibilità di essere più aereodinamico all’anteriore.

Per il resto, tutto è come lo scorso anno: reggisella, gruppo Shimano Dura Ace Di2 a 12 velocità, con guarnitura 54-40. Gomme da 26 millimetri (copertoncini Turbo Cotton) e sella Specialized 3D, la Power Pro with Mirror.