Un salto di catena e la Coppa si allontana, ma Viezzi non molla

21.01.2024
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BENIDORM (Spagna) – Quando sembra tutto fatto, gli salta la catena nel tratto di discesa che porta di nuovo verso l’arrivo e Viezzi si ritrova a pedalare come sul monopattino verso il box. Prova spagnola di Coppa del mondo, sono partiti alle 9,30. Era tutto perfetto, con la corsa dell’azzurro a ruota del francese Sparfel in maglia di campione europeo. C’era da difendere il primato in classifica generale, invece adesso i punti che li dividono sono 15. I francesi che avevano mandato in fuga Simon Jules l’hanno fatta alla perfezione. Quando si sono accorti che Viezzi era attardato, Sparfel ha attaccato e il fuggitivo ha frenato. Tappa e maglia, però manca ancora la prova di Hoogerheide: l’ultima.

«L’avrei fatto anch’io – commenta il cittì Pontoni poco dopo l’arrivo – loro hanno sei corridori forti e possono permettersi di giocarsela così. Noi abbiamo avuto Agostinacchio che purtroppo non è mai riuscito a agganciarsi al gruppo dei migliori, però anche lui ha fatto una buonissima prova. Come penso tutti gli altri ragazzi. Sparfel è più forte di noi e nella sfortuna Viezzi è stato anche fortunato, perché ha avuto quel problema vicino ai box. Ci giocavamo tutto sul limite dei punti e oggi ne ha persi parecchi. Però non è finita ancora, conoscendolo so che ha voglia di riscattarsi. Se a Hoogerheide Stefano vince e l’altro fa terzo, la Coppa la vince ancora lui. Siamo ancora in gioco e accettiamo il risultato del campo, perché questo bisogna fare. Il ragazzo dice che aveva buone sensazioni, poi analizzeremo tutto con più calma. Non eravamo tanto euforici prima, non dobbiamo essere abbattuti adesso».

Sparfel è rimasto tranquillo fino all’ultimo giro, seguito dal belga Van den Boer
Sparfel è rimasto tranquillo fino all’ultimo giro, seguito dal belga Van den Boer

La trappola francese

Subito dopo il traguardo, Viezzi si è fermato accanto ai due massaggiatori della nazionale fermi dopo le transenne. Nel cross sul rettilineo non li lasciano andare: il ciclismo ha specialità diverse e regole diverse, inutile farsi troppe domande.

«Stavo bene – dice commentando il finale – sapevo che potevo dare tutto all’ultimo giro, ne avevo ancora. Però peccato, mi è caduta la catena. Il treno dei primi è andato via e lì mi sono giocato la maglia. Però le sensazioni sono buone, penso alla prossima settimana. Sapevo che i francesi potevano fare gioco di squadra, erano tre o quattro molto forti, però non mi preoccupavo troppo. Io dovevo pensare solo al campione europeo che era secondo in classifica, dovevo marcare lui».

Si va verso la montagnetta al penultimo giro: Viezzi in scia al francese: la sfortuna sta per abbattersi
Si va verso la montagnetta al penultimo giro: Viezzi in scia al francese: la sfortuna sta per abbattersi

Il salto di catena

Quando sembra tutto fatto, gli salta la catena nel tratto di discesa che porta di nuovo verso l’arrivo e Viezzi si ritrova a pedalare come sul monopattino verso il box.

«Tanta sfiga – dice con altrettanta amarezza – non ero riuscito a partire bene e qua la partenza era fondamentale. Poi però con calma ho recuperato e sono riuscito a tornare sotto. Ero lì, me la sarei potuta giocare. Però la prossima settimana ci si riprova. A Hoogerheide, sullo stesso percorso dei mondiali 2023, provo a dare tutto quello che ho e speriamo di riuscire a portarla a casa. Qui sapevo che il percorso poteva fare per me, però oggi ho avuto un po’ di sfortuna. Vabbè, pensiamo alla prossima…».

Un atleta da scopire

Pontoni se lo mangia con gli occhi, mentre gli altri ragazzi sciolgono le gambe sui rulli. Viezzi ha abbassato la parte alta del body UCI, che a dirla tutta è davvero brutto e fa rimpiangere i colori della vecchia maglia di Coppa del mondo. I due sono della stessa zona. E mentre si ragiona sul suo futuro, partendo da quello di Toneatti che è sparito dal cross e ha avuto sfortuna su strada, il tecnico azzurro è chiarissimo.

«Credo che avrà l’imbarazzo della scelta – dice – ma lui sa già dove vuole andare. Gli manca di imparare bene l’inglese, ma ha già detto che fino al mondiale di cross di certe cose non parla. Farà la stagione su strada con Levorato alla Work Service e poi deciderà. Ha iniziato ad allenarsi sul serio da un anno e poco più. Va ancora a funghi e a camminare in montagna, è completamente integro. Guardatelo, se ne è già fatto una ragione. Ma ci scommetto che già pensa a come riprendersi quella maglia».

A Brema con Donegà: un furgone, due bici e qualche soldo in tasca

21.01.2024
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Il furgone con le scritte del VC Mendrisio e 15 ore di autostrada, che all’andata sono parse cariche di promesse e al ritorno pesanti come certe processioni che non finiscono mai. Così Matteo Donegà e lo svizzero Nicolò De Lisi hanno partecipato alla Sei Giorni di Brema (immagine Frontalvision Photo Agency in apertura). La prima edizione si svolse nel 1910, questa era la prima dopo il Covid e gli atleti non si sono tirati indietro. Addirittura la UEC è stata costretta a rimodulare il calendario degli europei per dare loro modo di raggiungere la città tedesca.

Così, dopo i reportage di Filippo Lorenzon da Gand, ci siamo affidati a Donegà per sapere come è andata in Germania. Nelle sue gambe c’erano già la Sei Giorni di Rotterdam e la Quattro Giorni di Ginevra, a breve invece partirà per la Due Giorni di Berlino. Matteo si è prestato al gioco ed è diventato nostro inviato in pista

Dopo 15 ore di viaggio, hotel raggiunto per Donegà e De Lisi
Un viaggio parecchio impegnativo?

De Lisi abita in Svizzera, a San Gallo, per cui sono arrivato da lui in auto e il giorno dopo siamo ripartiti verso Brema. Uguale al ritorno. Ne ho fatti di viaggi lunghi, ma questo si è sentito. Facevamo turni di guida di 2-3 ore. Abbiamo speso 450 euro di carburante e alla fine siamo arrivati a Brema. Dovendo portare due bici e almeno 4-5 paia di ruote, il furgone conviene. A Berlino vado in aereo, ma porto una bici sola e mi costa 120 euro in più. Per Rotterdam ho noleggiato un furgone mio e ho speso 800 euro. Averlo in prestito è stato positivo.

Che ambiente avete trovato a Brema?

Bellissimo, a me è piaciuto molto. C’ero già stato nel 2019 e avevo corso con Ferronato la gara U23, arrivando secondi. Sono passati cinque anni e mi è piaciuto tanto tornare in quell’ambiente che è stato più una festa che una gara.

Tutte le sere in bici fino alle due?

Abbiamo fatto degli orari strani, in realtà. Quando cominciavamo alle 20, finivamo intorno all’una e mezza. Un giorno abbiamo corso il pomeriggio, poi abbiamo fatto una pausa e abbiamo corso nuovamente la sera. Un’altra volta invece solo pomeriggio, dalle 16 alle 20. Cinque anni fa correvamo tutti i giorni fino alle due di notte.

La coppia Donegà-De Lisi aveva come sponsor FAHRRADja!24, e-commerce tedesca (Frontalvision Photo Agency)
La coppia Donegà-De Lisi aveva come sponsor FAHRRADja!24, e-commerce tedesca (Frontalvision Photo Agency)
Che livello c’era?

Abbastanza buono. Il giorno prima c’era stata la madison all’europeo e tanti sono venuti diretti a Brema, perché da Apeldoorn sono due ore di strada. Magari non era al livello di Gand, perché lì ci sono proprio i top, però si andava forte. 

Com’era strutturata la tua giornata tipo?

Avevamo l’hotel a 100 metri dalla pista, quindi si andava a piedi. Mi alzavo la mattina alle 9-9,30. Alle 10 colazione. Se correvamo di pomeriggio, andavo subito in pista per fare i massaggi. Il mio massaggiatore aveva sei corridori, quindi avevamo dei turni e io l’ho sempre fatto per primo. Poi aspettavo in pista, nella cabina. Facevo pranzo lì e poi correvo.

Se invece correvi la sera?

Allora la giornata era più tranquilla. Facevo colazione con più calma, andavo in pista verso le tre per fare il massaggio e alle cinque mangiavo. Se invece si correva alle due del pomeriggio, bastava fare colazione al mattino. E poi si mangiava nuovamente a cena, anche a orari impossibili.

La cabina è la casa del seigiornista fra una prova e l’altra (Frontalvision Photo Agency)
La cabina è la casa del seigiornista fra una prova e l’altra (Frontalvision Photo Agency)
Il pranzo delle cinque era come la colazione prima di una gara su strada?

All’incirca è così, perché correvamo per almeno 4-5 ore. Ogni sera si fanno dagli 80 ai 130 chilometri e sempre a ritmi belli allegri. Di solito preferisco non mangiare tantissimo per non ritrovarmi pieno nelle prime gare. E poi all’estero hanno un’alimentazione abbastanza strana.

Vale a dire?

A Brema ho mangiato soltanto pasta in bianco, mentre loro avevano una serie di condimenti che ho evitato per paura che mi tornassero su durante la gara. Quindi pasta in bianco senza esagerare e poi barrette e gel.

E durante la gara?

I massaggiatori ti fanno il riso tra una gara e l’altra, quindi di fatto mangiavo ogni mezz’ora. Ed è il regime alimentari tipico delle Sei Giorni. Rotterdam è stata più regolare perché correvamo sempre alla stessa ora, a Brema abbiamo dovuto variare di più.

Fra una prova e l’altra, musica, concerti e fiumi di birra (Frontalvision Photo Agency)
Fra una prova e l’altra, musica, concerti e fiumi di birra (Frontalvision Photo Agency)
Tanto pubblico?

Tanta gente nel mezzo della pista. Fra una gara e l’altra c’erano dei concerti, tanto che a volte facevamo pause di mezz’ora. E lì in mezzo c’era davvero una marea di gente, più che in tribuna. Non è facile riempire seimila posti se al centro della pista ci si diverte di più.

Sei soddisfatto del risultato?

Abbastanza, visto il livello che c’era. L’unico rammarico è il fatto che non avevo mai corso con De Lisi, per cui abbiamo passato la prima madison a prenderci le misure. Fare un’americana senza conoscersi non è così scontato, basta avere due tecniche diverse di cambio e perdi tempo…

Non potevate fare qualche prova?

Avevamo fatto in modo di arrivare il giorno prima per allenarci, ma quando siamo entrati in pista stavano ancora montando, quindi il rodaggio l’abbiamo fatto 10 minuti prima della gara. Comunque il podio era già deciso e anche il quarto e quinto posto. Per cui arrivare sesti su dodici coppie non è stato tanto male. Abbiamo vinto un’eliminazione e un derny e per noi l’importante era farci conoscere.

Anche meccanici e massaggiatori erano agli europei: ecco Donegà con Sven ed Etienne Ilegems, con la tuta azzurra
Anche meccanici e massaggiatori erano agli europei: ecco Donegà con Sven ed Etienne Ilegems, con la tuta azzurra
Massaggiatori e meccanici li avete trovati in Germania?

Anche quello non è stato facile, perché tanti erano a fare gli europei. Per fortuna abbiamo trovato un meccanico tedesco che ci ha aiutato per tre giorni, mentre al quarto ci siamo arrangiati. Sono capace di montarmi la bici, ma il meccanico serve. Quando fra una prova e l’altra hai 10 minuti, non riesci a cambiare il rapporto o riparare una gomma bucata.

Dieci minuti sono pochi…

Sei lì, il massaggiatore ti cambia la maglia, ti asciuga, ti lava. Magari vai in bagno e alla fine non hai tempo per pensare alla bici. E comunque averne due permette di avere i rapporti giusti. Una più dura per il derny e una meno per le prove di gruppo.

Quanto hai guadagnato a Brema?

L’ingaggio non era come immaginavo. Mi hanno dato 1.500 euro lordi per quattro giorni di gara, mentre a Rotterdam ne ho presi 4.000 per sei giorni. A Berlino, per soli due giorni mi daranno 1.000 euro. Però era la prima dopo il Covid, meglio non chiedere nulla adesso e magari spuntare un ingaggio migliore per il prossimo anno.

La Sei Giorni di Brema è stata vinta da Reinhardt e Kluge, oro pochi giorni prima nella madison di Apeldoorn
La Sei Giorni di Brema è stata vinta da Reinhardt e Kluge, oro pochi giorni prima nella madison di Apeldoorn

Fra strada e Coppa

La Sei Giorni di Brema l’hanno vinta Reinhardt e Kluge, freschi vincitori dell’europeo nella madison. In attesa di sapere se l’ex seigiornista Villa vorrà convocarlo per qualche Coppa del mondo (magari quella di Hong Kong che si corre durante le classiche), Donegà si accinge a preparare le valigie per Berlino e poi a schierarsi su strada in maglia CT Friuli. Il sogno resta quello di trovare posto come specialista in un corpo militare, ma ad ora le porte sono chiuse.

«Magari quest’anno spero di correre di più – ammette – l’anno scorso non ho fatto tantissimo su strada. Tranne la Vuelta a San Juan con la nazionale, non ho partecipato a corse a tappe. Il guaio è che essendo elite in una squadra di U23, prima fanno correre i giovani e poi se c’è posto tocca a me. Abbiamo questo tipo di accordo e a me sta bene. Ora faccio Berlino e poi vediamo. C’è chi preferisce andare ad allenarsi in Spagna, io faccio le mie Sei Giorni. Mi alleno e porto a casa anche qualche soldino in più».

Velocisti da 2.000 watt e uomini veloci: l’analisi di Pasqualon

21.01.2024
6 min
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Velocisti da 2.000 watt e uomini veloci: quali differenze ci sono? Tempo fa a parlarci dei super velocisti, quelli davvero potenti, fu Andrea Pasqualon. Poi Scaroni, uomo veloce ma non sprinter, ci ha detto che durante una volata con il compagno di squadra Lutsenko, dopo 100 metri lo vedeva andar via.

E allora proprio al corridore della Bahrain-Victorious abbiamo chiesto di più. Pasqualon è forse il profilo ideale per questo articolo: velocista, ma non da 2.000 watt, corridore molto tecnico, apripista esperto.

Het Nieuwsblad: Pasqualon al centro con la maglia della Bahrain. Una volata per uomini veloci e non velocisti puri
Andrea ci avevi detto che gli sprinter puri sprigionano ormai 2.0000 watt, poi c’è una schiera piuttosto larga di gente molto veloce. Qual è l’identikit del velocista non puro?

Quello come me! Gli uomini veloci, ma non velocisti puri, sono corridori che vanno dai 68 ai 73 chili. Non hanno quel picco di potenza massima assurdo, ma riescono comunque ad esprimere i 1.300-1.400 watt per più secondi. Si difendono bene in volata e digeriscono un pelo meglio le salite. Il velocista puro invece è in grado di dare una mega botta anche da fermo e in volata tocca i 1.800 anche i 2.000 watt. Ma ci lavora molto per sviluppare questi wattaggi e fa fatica su altri terreni.

Cioè?

Lavora parecchio a secco e per tutto l’anno, per mantenere certi wattaggi. Di conseguenza oltre a pesare un po’ di più ha una muscolatura diversa e in salita fa più fatica. Molti di questi super velocisti neanche fanno l’altura. Un corridore veloce come me invece prima dei grandi Giri in quota ci va e per quanto poco, il suo picco di potenza cala un po’. I velocisti puri magari preferiscono restare a casa e fare lavori focalizzati sugli sprint. E’ loro interesse avere un chilo o anche due in più, che uno di meno.

Parlando della volata da un punto di vista tecnico che differenze ci sono tra i due identikit? Facciamo un esempio. Siamo nell’ultimo chilometro: come fanno la volata Lutsenko e come la fa Philipsen? Com’è la curva della velocità?

L’unico modo che un Lutsenko ha per battere un velocista puro è quello di anticipare, quindi partire lungo. Tutto sta se gli riesce di guadagnare quel metro (posto che poi lo deve mantenere), perché se avviene il contrario poi non lo recupera più. Per farlo dovrebbe andare più forte di uno che sta sui 1.800 watt. Difficile… Poi è chiaro che non basta solo anticipare.

Cos’altro serve?

Avere una buona posizione, essere dei “gatti”, scegliere i giusti tempi. Per esempio, il nostro Bauhaus non ha questo grande picco di potenza, però è un gatto in gruppo, in bici ci sa stare, lima tantissimo, non frena mai e cerca di fregare gli altri proprio perché parte dalla posizione migliore. Per questo a volte riesce a battere tanti velocisti più potenti di lui. Al Tour faceva secondo, quarto, terzo perché ci sapeva fare. Arrivava dietro Philipsen, ma lui oltre ad essere potente aveva anche Van der Poel come ultimo uomo. E se VdP partiva da posizione perfetta, poi Philipsen era difficile anche solo affiancarlo.

Pesi massimi. Pedersen precede Philipsen, Van Aert, Groenenwegen al termine di una volata velocissima che non ha lasciato spazio all’altra tipologia di sprinter
Pesi massimi. Pedersen precede Philipsen, Van Aert, Groenenwegen al termine di una volata velocissima che non ha lasciato spazio all’altra tipologia di sprinter
Chiaro…

Philipsen ha una grandissima potenza, un’accelerazione fortissima, in più è portato fuori a velocità altissima: così è praticamente imbattibile. Anche quando per lui sembrava persa, perché magari era messo male, VdP si spostava e lo portava fuori ad un velocità pazzesca. A quel punto Philipsen ci metteva del suo e vinceva. Uno come Mathieu nel finale ti mette il gruppo in fila indiana da solo e questo fa sì che alla peggio gli altri velocisti debbano partire dalla stessa posizione o dalla ruota dello sprinter. Poi vallo a rimontare un Philipsen che ti è davanti, che deve iniziare ad accelerare e mentre si viaggia già a 70 all’ora. 

Prima hai fatto una distinzione: l’uomo veloce va dai 68 ai 73 chili. Prendiamo quelli più leggeri di questa fascia, in questo caso i “piccoletti” possono sfruttare la loro buona aerodinamica per sopperire alla mancanza di watt?

Se è per questo in teoria hanno anche una bici più piccola e scattante. E’ chiaro che un Milan della situazione deve esprimere più watt rispetto ai suoi avversari, tanto più lui che davanti non è bassissimo e prende più aria. Anche questi sono aspetti da tenere in considerazione. Nelle volate controvento il velocista grosso è svantaggiato. Un Cavendish, che ha la testa praticamente sotto il manubrio, invece è avvantaggiato. In queste situazioni aiuta un po’ essere piccoli. Pensiamo ad Ewan.

Un uomo veloce alla Pasqualon ha meno picco, ma ha una durata maggiore?

Corridori come me, se vogliono vincere una volata è necessario che la strada tenda a salire. Più del vento contro. Questo perché il fattore potenza/peso si sposta a nostro vantaggio. In una volata al 3-4 per cento di pendenza i velocisti più leggeri riescono a salvarsi. Il loro picco di velocità cala di meno.

Come varia l’espressione di potenza e quindi di velocità negli ultimi 200-300 metri tra le due tipologie di sprinter?

Un velocista super potente cerca di aspettare, perché sa di poter disporre di un picco molto alto e violento, specie se gli altri non sono ancora partiti. Nel momento in cui parte lo sprint, a parità di tempistiche, loro guadagnano subito 20-30 centimetri. L’altra tipologia di velocista è più lineare: magari uno come me o Scaroni hanno un buon picco sui 20” o 30”, ma non sui 10” o sui 5”.

Lutsenko, uomo veloce ma non velocista, batte Hirschi allo sprint. Volata lunga, buono spunto veloce e un gran bel colpo di reni per il kazako
Lutsenko, veloce ma non velocista, batte Hirschi allo sprint. Volata lunga, buono spunto veloce e un gran bel colpo di reni
Uscendo per un attimo fuori da questi due identikit: chi sono gli scalatori, o comunque gli uomini da grandi Giri, più veloci?

Pogacar di sicuro. Lui è uno scattista vero. Un Vingegaard non ha quell’esplosività. Poi penso a Pello Bilbao. Lui in una volata di 4-5 corridori è molto pericoloso. E non dobbiamo dimenticare Evenepoel, che nell’ultimo anno è migliorato moltissimo sotto questo aspetto.

Come è recepito lo sprint tra il velocista puro e l’uomo veloce?

Quando fa la volata lo scattista che non è un velocista puro, per lui è come se fosse uno scatto normale. Per il velocista è lo sprint. Ma conta ogni minimo dettaglio nel ciclismo attuale. Conta tenere la testa bassa, avere il casco aerodinamico, il calzino alto, le ruote giuste, il body perfetto che non faccia una piega… sono dettagli che fanno una grandissima differenza e il velocista puro lo sa. Ad esempio, molti velocisti sotto al body da sprint stanno usando un corpetto tipo quello dei cronoman, per fa sì che l’aria scorra via in modo migliore sulle spalle. Lo scorso anno al Giro, per esempio, Jonathan Milan ha perso una volata perché aveva la giacca sbagliata. Ad una ventina di chilometri dall’arrivo, l’ho affiancato e gli ho detto: «Devi assolutamente togliere la mantellina». Ma lui era congelato e non l’ha tolta. Pedersen, che ha vinto, se l’era tolta. Io sono sicuro che quella volata se non avesse avuto il giacchino inzuppato l’avrebbe vinta Jonathan.

Tra le due tipologie di uomini veloci c’è una differenza di cadenza durante lo sprint?

Più che di cadenza c’è differenza di rapporti. I velocisti puri cercano sempre di avere un rapporto molto lungo. Proprio Milan per esempio voleva il 56 e a volte gli era piccolo. Infatti chiedeva il 58. Questo perché solitamente questi sprinter puri hanno una leva lunga e una potenza stratosferica. Davvero un Milan sprigiona 2.000 watt, quindi è normale che cerchi il rapportone. Il problema è che oggi le corse sono sempre più dure. C’è sempre almeno una salita e diventa complicato portarsi dietro quei rapporti e arrivare a fine corsa con le gambe a posto per esprimere la massima potenza.

E l’uomo veloce è quindi avvantaggiato rispetto allo “sprinterone”…

Mi ricordo certe volate al Tour in cui facevo quarto, quinto, settimo, pur non essendo un velocista puro, ma perché? Perché gli ultimi 30 chilometri si andava talmente a tutta che per la maggior parte dei corridori il picco di potenza quasi si annullava. Erano volate “da morti” e quindi un corridore come me, che ha fondo e magari sa anche limare, riusciva ad arrivare meno affaticato nel finale. E solamente rimanendo sulle ruote riusciva a fare il piazzamento. In quei momenti facevi 3 chilometri a 70 all’ora, veri. Cosa ti poteva restare per lo sprint?

Brambilla lancia la seconda (ambiziosa) stagione della Q36.5

20.01.2024
5 min
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La Q36.5 Pro Cycling Team si affaccia al suo secondo anno di vita. Il team svizzero, nato dalle ceneri della Qhubeka ha messo alle spalle la sua prima stagione da professional. Un anno zero, condito da qualche successo e da una crescita continua. In questa squadra c’è una buona rappresentanza italiana, guidata da Gianluca Brambilla (in apertura foto SprintCycling).

Il corridore vicentino inizierà, a 36 anni, la sua quindicesima stagione da professionista. La sua figura nella Q36.5 Pro Cycling Team è fondamentale e di grande rilievo, un mentore e un consulente, sempre pronto a dare supporto. Senza rinunciare, tuttavia a qualche ambizione personale. 

Brambilla e la Q36.5 stanno preparando l’esordio stagionale allenandosi sulle strade di Calpe (foto Luis Eder)
Brambilla sta preparando l’esordio stagionale pedalando sulle strade di Calpe (foto Luis Eder)

Dalla Spagna al deserto

Brambilla, insieme ai suoi compagni, si trova a Calpe a preparare i primi appuntamenti del 2024. La scorsa stagione ha visto il brutto infortunio alla clavicola, rientrato per tempo e prontamente messo alle spalle.

«Sto bene – ci racconta Brambilla – ho passato un buon inverno. Quest’anno la stagione inizierà dall’AlUla Tour (ex Saudi Tour), mi sento a buon punto. L’inverno per me è un periodo fondamentale, soprattutto a 36 anni. Per il momento non ho avuto intoppi, a differenza dello scorso anno e questo mi fa stare sereno».

Brambilla nel 2023 è passato alla Q36.5 dopo cinque anni alla Trek
Brambilla nel 2023 è passato alla Q36.5 dopo cinque anni alla Trek
La squadra come sta?

Rispetto al 2023 sento che siamo tutti più avanti, test e dati dicono questo. La passata stagione abbiamo iniziato in ritardo e ci siamo trovati a rincorrere. Il primo ritiro lo avevamo fatto a gennaio e come bici e materiale eravamo un po’ in svantaggio. E’ normale sia così, quando nasce una squadra da zero c’è da fare tutto e non è facile. Anche i tecnici si sono trovati a mettere insieme 20 corridori nuovi. 

Che bilancio trai dal 2023?

E’ stato un anno zero, ma che ci ha fatto fare tanta esperienza. I tecnici hanno imparato a conoscerci e anche tra corridori siamo diventati sempre più gruppo. Ora i diesse sanno che tipologia di corridori hanno a disposizione ed è stato importante per costruire bene questo inverno. 

E Brambilla che cosa ha imparato?

A dare più aiuto e un maggior supporto. Mi sono accorto che la mia esperienza può essere fondamentale. Nel 2023 non ero il più vecchio, mentre quest’anno lo sono. Ho cercato di essere di supporto a tecnici e compagni. La cosa che mi ha fatto maggiormente piacere è aver visto come la mia opinione venga presa in considerazione. Scelte, idee, confronto e tanto aiuto ai giovani, soprattutto agli italiani. 

La Q36.5 nel 2024 conterà 27 corridori di 14 nazionalità differenti
La Q36.5 nel 2024 conterà 27 corridori di 14 nazionalità differenti
Che cosa ti pare dei giovani?

Questa squadra mi piace perché i ragazzi ascoltano maggiormente rispetto ad altri team dove sono stato in passato. L’organico è ampio, ci sono 27 corridori. Sembrano tanti, ma con doppia e a volte tripla attività, ci si trova contati.

La tua è stata una stagione senza grandi Giri come è andata?

Non ho sentito una grande differenza, ho corso tanto e con un calendario di buona qualità. Anche per il 2024 non abbiamo ancora la certezza di fare grandi Giri, ma questo non mi spaventa. Notizia di questi giorni, saremo al Giro del Delfinato e al Giro di Svizzera. Nel mese di giugno avremo tre attività: due WorldTour (Delfinato e Svizzera, ndr) e Giro di Slovenia. E poi c’è da dire una cosa.

Quale?

Che nel 2023 siamo stati al via delle cinque Classiche Monumento, cosa importantissima. E nel 2024 dovremmo aggiungere al programma le corse nelle Ardenne, alle quali dovrei partecipare. Non ci manca un grande Giro per fare una bella figura. 

Siete stati una delle migliori professional del 2023, ed era solo il vostro primo anno di vita…

Eravamo quinti nel ranking, dietro a Lotto Dstny, Israel, Uno-X e Total Energies. Siamo nel pieno della lotta per essere tra le migliori professional e per conquistare la licenza WorldTour. 

Che ci dici dei giovani italiani?

Spero che per Calzoni possa essere l’anno della prima vittoria. So quanto è importante e mi auguro che arrivi subito, sarebbe un bel modo per far scattare la molla e sentirsi più sicuro. Ha imparato dagli errori, come al Tour of Norway dove ha attaccato controvento e si è piantato. Io lì ero a casa ma gliel’ho detto: «Ma dove vai?». Se si fosse fermato a respirare un attimo avrebbe vinto. 

E dei nuovi?

Ho avuto come compagno di stanza Fancellu. Lui deve ritrovarsi, ho visto che una stagione (il 2021, ndr) è stata difficile. Una nuova squadra può dargli una nuova motivazione e chissà che ritrovi la brillantezza dei giorni migliori.

Per Brambilla che 2024 vedi?

L’obiettivo è essere nella mischia e fare da supporto ai compagni di squadra. Non avrò paura di tirare per loro, ma sono sicuro che troverò le mie occasioni. Si parte dall’AlUla Tour, l’ambizione è arrivare alla primavera più pronto rispetto al 2023.

Evenepoel e Castelli a caccia di watt per Tour e Olimpiadi

20.01.2024
7 min
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Siamo tornati dai mondiali di Glasgow con quei 12 secondi di differenza fra Evenepoel e Ganna, cercando di capire come avrebbe fatto l’azzurro per guadagnarli. Non abbiamo pensato minimamente che nel frattempo anche il belga si sarebbe dato da fare per aumentarli. L’ironia della sorte è che per farlo, Evenepoel e la Soudal-Quick Step hanno accanto Castelli, che con Ganna ha conquistato alcune tra le vittorie più belle e ancora lo supporta in nazionale. L’azienda di Fonzaso sa come infilarsi nel vento e scapparne a velocità doppia. E la sfida di rendere più veloce Evenepoel (e anche il nostro Cattaneo) suona davvero straordinaria.

La posizione a cronometro di Evenepoel evidenzia la sua compattezza: questo lo rende unico
La posizione a cronometro di Evenepoel evidenzia la sua compattezza: questo lo rende unico

Compattezza non comune

Lo testimoniano le parole pronunciate qualche giorno fa da Alvin Nordell, l’americano che fa da raccordo tra squadra e azienda, con cui avevamo già raccontato la dotazione per il team belga in vista delle classiche del Nord. L’occasione è stato un comunicato al termine di una sessione nella galleria del vento del Politecnico di Milano.

«Remco rappresenta una sfida unica – dice l’americano – perché la sua posizione è così compatta e aerodinamica che la maggior parte delle soluzioni che funzionano per altri corridori non danno lo stesso risultato con lui. Siamo al livello in cui i migliori ciclisti hanno bisogno di soluzioni personalizzate. Fortunatamente, Remco ha sempre riconosciuto l’importanza di questo lavoro e dedica molto tempo ai test e al miglioramento. Insieme continueremo a renderlo sempre più veloce».

Il tema è ghiotto, queste considerazioni su Evenepoel ricordano quelle di De Rosa su Berzin nel 1994. E così abbiamo voluto vederci più chiaro e siamo tornati da Alvin Nordell, mentre fuori nevicava e per lui che arriva dal Colorado era un po’ come essere tornato a casa.

Evenepoel, che il 25 gennaio compirà 24 anni, ama la ricerca sui materiali per guadagnare margine (foto Castelli)
Evenepoel, che il 25 gennaio compirà 24 anni, ama la ricerca sui materiali per guadagnare margine (foto Castelli)
In cosa consiste il lavoro che state facendo con Remco e la squadra?

Stiamo lavorando in galleria del vento con i vari team. Lo facciamo ormai da dieci anni e ogni volta che andiamo impariamo qualcosa in più. Proviamo cose nuove per vedere se possiamo acquisire conoscenze diverse e ovviamente Remco e la sua posizione compatta sono una sfida molto interessante. Con lui si parte dalle conoscenze che abbiamo e poi cominciamo a… giocare con alcune variabili, come i tessuti e il posizionamento, per cercare di ottenere il miglior risultato possibile.

Da dove siete partiti?

Abbiamo iniziato con il body che avevamo testato nelle ultime due stagioni nella galleria del vento e poi abbiamo apportato alcune modifiche. Alcuni nuovi modelli, alcuni nuovi tessuti e diverse variabili per vedere se potevamo guadagnare un paio di watt a suo vantaggio. Martedì è stata una giornata davvero lunga, ma siamo riusciti a mettere insieme alcune cose che lo hanno reso più veloce. Alla fine posso dire che è bello trascorrere una giornata così lunga se diventa anche produttiva. C’è stato molto duro lavoro sia da parte della squadra sia di Castelli, ma siamo riusciti nel nostro intento. Remco avrà dei body nuovi da provare per la prima cronometro della stagione.

E’ tanto diverso lavorare con un atleta alto come Cattaneo e uno compatto come Remco?

A questo punto della storia, l’aerodinamica è diventata molto specifica per il singolo corridore. Remco è molto compatto, ha pochissima superficie frontale. Quindi le cose che funzionano su di lui non necessariamente funzionano su alcuni dei corridori più grandi, più alti o magri. Al contrario, le soluzioni che abbiamo usato su corridori molto più alti e con maggiore superficie frontale non hanno funzionato su Remco. Questa fu una delle scoperte della prima volta che andammo con lui in galleria del vento. Vedemmo che non era così veloce e che una delle ragioni era la lunghezza delle maniche. Andava con quelle corte, così provammo ad allungarle fino a trovare la misura perfetta che portò il maggior risparmio.

La superficie frontale di Cattaneo, che qui vince la crono al Polonia, è superiore rispetto a quella di Remco
La superficie frontale di Cattaneo, che qui vince la crono al Polonia, è superiore rispetto a quella di Remco
Avere già lavorato con un corridore riduce le variabili anno dopo anno?

Diciamo che ci permette di avere più consapevolezze. Quando siamo andati martedì, abbiamo provato una manciata di prototipi e diverse opzioni. Abbiamo cominciato con un body che sappiamo essere veloce e poi abbiamo iniziato a provarne altri con delle piccole differenze. Specialmente con Remco, non sempre le cose che proponiamo funzionano come speriamo. Per questo abbiamo portato molte opzioni diverse e fortunatamente alla fine siamo arrivati al risparmio di qualche watt.

E’ importante accumulare dati dei vari test per arrivare a soluzioni più efficienti?

Lavoriamo con lui in galleria del vento da quando abbiamo iniziato a lavorare con il team, quindi dal 2022. A gennaio lo portammo per la prima volta e iniziammo a studiarlo. Poi lo abbiamo portato nuovamente nel 2023 e abbiamo provato ancora. Visto che quest’anno è così importante, sia con il Tour che con le Olimpiadi e si spera un altro titolo mondiale, siamo tornati in galleria questa settimana. Probabilmente ce lo porteremo ancora nei prossimi anni, per mettere a punto alcuni dettagli e andare in cerca di qualche altro watt. Un watt qui, un watt là: ormai si deve fare così.

E’ solo un fatto di forme o anche di materiali?

Entrambi, davvero. Abbiamo provato un paio di tessuti diversi solo per lui e abbiamo provato un approccio diverso, mettendo i materiali in modo diverso nella costruzione delle maniche. Poi abbiamo provato un paio di diversi disegni delle maniche con lo stesso materiale, in modo da poter confrontare cosa ha funzionato e cosa no. E’ venuto fuori che la costruzione di una manica sembrava più veloce usando un materiale o l’altro. E dopo aver passato tutta la giornata, siamo riusciti a trovare il meglio di tutto.

Il test nella galleria del vento è stato fatto in assetto da gara. Solo i copriscarpe non erano nuovi (foto Castelli)
Il test nella galleria del vento è stato fatto in assetto da gara. Solo i copriscarpe non erano nuovi (foto Castelli)
Ovviamente ha provato in assetto da gara?

Quando si va in galleria, cerchiamo di eliminare tutte le variabili. Quindi aveva tutto ciò che userà il giorno della gara. I body che dovevamo provare. La bicicletta predisposta con la ruota a disco. Il casco da cronometro. Le scarpe da gara. In realtà non ha provato i nuovi copriscarpe. Ogni volta cerchiamo di renderlo il più vicino possibile all’assetto da gara, perché sai che se cambi qualcosa, l’intero sistema può esserne influenzato.

Perché non ha provato i copriscarpe?

Perché sono abbastanza facili da mettere insieme, basta trovare i tessuti che funzionino. In realtà nel corso degli anni con Remco abbiamo provato cinque o sei diverse varianti e l’altro giorno abbiamo utilizzato i più veloci. Per farli serve comunque tempo, perché a volte i tessuti funzionano bene e altre no. Le scarpe si muovono, l’aria interagisce in modo diverso con le gambe che si muovono rispetto alle braccia che invece stanno ferme. Quindi abbiamo effettivamente trovato un tessuto per i copriscarpe e un altro per il body. 

In passato hai lavorato con Ganna: è importante conoscere le caratteristiche dell’avversario per aiutare il proprio atleta?

Alla fine il nostro obiettivo è rendere Remco il più veloce possibile. Alcune cose che per lui vanno bene non hanno funzionato per Ganna e la nazionale italiana. Quindi a questo punto, proprio perché i guadagni stanno diventando sempre più risicati, si deve essere molto specifici.

Evenepoel è sempre molto attento ai risultati dei test e si presta volentieri ogni volta che serve (foto Castelli)
Evenepoel è sempre molto attento ai risultati dei test e si presta volentieri ogni volta che serve (foto Castelli)
Avete fatto mai test in galleria sulla bici da strada? Dicono che Remco abbia una posizione ugualmente redditizia…

Due anni fa, quando avevamo Fabio Jakobsen, andammo in galleria del vento per renderlo il più veloce possibile allo sprint. Quindi portammo la sua bici, il casco, l’assetto completo. Provammo cose molto diverse, perché la posizione in sella durante lo sprint è molto diversa da quella sulla bici da cronometro. Ugualmente, il modo in cui l’aria ti colpisce quando sei sulla bici da strada rispetto alla bici da cronometro è molto diverso. E posso dire che Remco ha un’ottima posizione su strada, ma è molto più aerodinamico a cronometro. Non c’è proprio paragone.

Camerin, come lavora un preparatore tra gli allievi?

20.01.2024
4 min
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Matteo Berti nel suo passaggio al team Pirata-Vangi-Sama Ricambi si è portato dietro anche Fabio Camerin. I due si sono ritrovati a lavorare insieme alla Work Service Speedy Bike ed ora continuano ad affiancarsi nella nuova avventura. Camerin è entrato nel mondo del ciclismo tramite la Work, nel 2019, quando ancora era all’inizio dei suoi studi (in apertura photors.it). Ora sta finendo la magistrale, è a un passo dal consegnare la tesi e tante cose sono cambiate nel suo mondo. Non però la passione per il ciclismo e per lo studio. 

«Sono entrato nella Work – racconta Camerin – quando ero al secondo anno di triennale. La squadra cercava una figura come diesse, da quel momento ho conosciuto Matteo (Berti, ndr) e ci siamo trovati. La sintonia è stata immediata, condividiamo le stesse idee e questo è stato importante per il nostro percorso».

Dopo 5 anni alla Work per Camerin è il momento di lavorare con i ragazzi del team Vangi
Dopo 5 anni alla Work per Camerin è il momento di lavorare con i ragazzi del team Vangi

Cambio ruolo

Il 2024 non porta solamente nuovi colori ed una nuova maglia per Camerin, ma anche un ruolo diverso. Non più diesse, ma preparatore. Un modo anche per mettere in pratica quanto visto e studiato in questi anni. 

«Quest’anno – racconta – ho una veste diversa, ho sempre fatto il diesse, poi lo studio mi ha portato ad altre esperienze. Berti mi ha proposto questo nuovo ruolo al team Pirata Vangi e ho accettato subito. Ho già avuto modo di entrare in contatto con i ragazzi per i primi test. Abbiamo lavorato insieme in alcuni ambiti e sotto diversi aspetti.

«Sono passato in un progetto che include allievi e juniores. Quello che vogliamo portare avanti è un aspetto di crescita, non fisico, ma tecnico. Ad esempio abbiamo inserito la palestra in inverno, ma non solo macchinari: anche tanti esercizi a corpo libero. Ogni ragazzo ha la sua progressione, ma serve un’idea comune di lavoro».

Camerin ha iniziato la sua esperienza da diesse alla Work in contemporanea al percorso universitario
Camerin ha iniziato la sua esperienza da diesse alla Work in contemporanea al percorso universitario

Teoria e pratica

Il percorso di Camerin ha un qualcosa di diverso rispetto a quello canonico. La sua fortuna, se vogliamo, è stata quella di entrare subito nel mondo del ciclismo, facendo così proseguire in parallelo studio e lavoro.

 «Non è stato banale – spiega – fare il diesse impiega tanto tempo. Sono riuscito a trovare il mio equilibrio portando avanti studio e lavoro. Non ho lasciato indietro nulla e per questo sono contento. Una mia fortuna è che negli anni della magistrale ho trovato tanti spunti tra teoria e pratica. Idee e casi che non vengono dal ciclismo, ma dagli altri sport che ho studiato. Questa contrapposizione mi ha fatto imparare che tecniche di allenamento di sport diversi tornano utili nel ciclismo, e viceversa.

«L’allenamento – prosegue – si basa su quel che devi ottenere, sull’aspetto da migliorare. Ad esempio se voglio fare un allenamento di potenza o di resistenza devo capire che la base di partenza è uguale in ogni disciplina. Cambia solo il mezzo di allenamento, che nel nostro caso è la bici. Lo stimolo da allenare è sempre lo stesso».

Fabio Camerin insieme a Edoardo Cipollini al Giro del Veneto juniores (photors.it)
Fabio Camerin insieme a Edoardo Cipollini al Giro del Veneto juniores (photors.it)

Nel mondo dei giovani

Il progetto del team Pirata Vangi è quello di creare un filo diretto, un ponte tra la categoria allievi e quella juniores. Tutto serve per avere dei ragazzi consapevoli e con i quali instaurare un percorso di crescita. 

«Il progetto è bello e stimolante – ci dice infine Camerin – perché lavorare quattro anni con gli stessi ragazzi ti permette di instaurare basi solide. Riesci ad insegnare loro la cultura dell’allenamento. Questo non vuol dire aumentare i carichi, ma far capire come si lavora. Si deve avere un approccio scolastico, i giovani sono delle spugne. Devi insegnare come si usa un cardiofrequenzimetro, così quando dovranno allenarsi in futuro sapranno come fare. Il ciclismo cresce e si specializza e a questi atleti serve uno spunto per avere un metodo di lavoro efficace. Li alleni allo stesso modo ma racconti loro perché le cose vengono fatte in quella maniera. 

«E’ presto – conclude – per avere i primi riscontri, ma per il momento stiamo entrando in contatto con i ragazzi. Così da capire con quali personalità stiamo lavorando, che è altrettanto importante. C’è già stato un primo ritiro, misto tra allievi e juniores e, secondo me, è stato molto utile. I più piccoli hanno avuto modo di vedere che atteggiamento devono avere una volta passati di categoria. E’ anche questo un modo per introdurli».

Merckx ci presenta la nuova Hagens, con forze italiane

20.01.2024
5 min
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E’ un anno importante per l’Hagens Berman Jayco, dopo aver stretto una importante collaborazione con il Team Jayco+AlUla. Axel Merckx, che della squadra è il mentore, ha sempre detto che il suo non è un devo team, ma è un semplice riferimento per la squadra australiana, il che significa che anche gli altri team possono accedere ai suoi gioielli e provare a convincerli a firmare il contratto.

Per la formazione americana è un passaggio fondamentale anche dal punto di vista prettamente italiano, perché per la prima volta vestiranno la sua casacca due corridori nostrani, Samuele Privitera e Mattia Sambinello, arrivati non senza sorpresa alla corte del dirigente belga che molto crede nelle loro possibilità.

Per Axel Merckx gennaio in Canada dove studia la figlia Athina, ma ora si ricomincia…
Per Axel Merckx gennaio in Canada dove studia la figlia Athina, ma ora si ricomincia…

Ritorno dei ritiri in Toscana

La stagione del team è iniziata con una semplice presa di contatto a dicembre, ma il primo vero raduno, dove si lavorerà insieme e si prenderanno le misure alla nuova stagione avverrà nella prima decade di febbraio, in una sede diventata inconsueta, Castagneto Carducci. Sì, proprio quel territorio che nel secolo scorso era metà di quasi tutti i team professionistici italiani (e non solo…) vedrà i ragazzi dell’Hagens percorrere le sue strade, inizialmente gli europei, poi si aggiungeranno coloro che vengono da oltreoceano.

«Ci sono stati tanti cambi nella nostra squadra – ammette Merckx – ci ritroviamo con il 70 per cento del team rinnovato, è come ripartire da zero. E’ una bella scommessa, vediamo il gruppo come crescerà, ma servirà tempo e pazienza anche se so che la stagione ci regalerà i nostri momenti. Dobbiamo anche considerare che abbiamo in squadra molti ragazzi ancora alle prese con gli impegni scolastici, quindi è tutto un discorso in divenire».

Primo ritiro del team a dicembre con la consegna delle maglie. Ci si rivede presto in Toscana
Primo ritiro del team a dicembre con la consegna delle maglie. Ci si rivede presto in Toscana
La sensazione però è che, rispetto al passato, manchi il leader, il corridore di riferimento per tutti…

All’interno del gruppo un vero e proprio leader non c’è mai stato, forse qualcuno faceva più risultati di altri ma questo non influiva sui rapporti di forze. D’altronde nel team c’è anche chi ha già ottenuto risultati di un certo peso, ad esempio Hamish McKenzie bronzo ai mondiali U23 nella cronometro o Ben Wiggins sul podio iridato da junior sempre contro il tempo. La base c’è, serve il lavoro. Con il nuovo sponsor poi abbiamo più sicurezza e tranquillità anche perché il contratto ci copre per 3 anni, pur lasciandoci pienamente liberi e soprattutto lasciando liberi i ragazzi di fare le loro scelte.

Come va a proposito la collaborazione con il team australiano del WorldTour?

Molto bene, è parso sin da subito evidente che lavoriamo con la stessa mentalità. Vogliamo costruire qualcosa che invogli i corridori a venire, da qualsiasi angolo del mondo provengano. Come da noi, al Team Jayco-AlUla condividono la ricerca di un ambiente di lavoro tranquillo e all’insegna della concentrazione, di un impegno serio in qualsiasi momento della giornata, in corsa e fuori. Siamo ancora all’inizio, ma c’è molta condivisione d’intenti e un contatto pressoché continuo.

Hamish KcKenzie, bronzo mondiale U23 a cronometro, ha già fatto esperienze con il Team Jayco AlUla
Hamish KcKenzie, bronzo mondiale U23 a cronometro, ha già fatto esperienze con il Team Jayco AlUla
Da quest’anno il vostro team si veste anche di tricolore con due ragazzi italiani. Che impressione ne hai avuto?

Ottima, sono due giovani promettenti che hanno voglia di fare e che si sono approcciati a questa nuova realtà con lo spirito giusto. Non hanno un passato esaltante, non sono l’Herzog della situazione ma questo significa solo che hanno spazio per imparare e maggiori margini di crescita. La prima cosa che ho notato conoscendoli è che avevano voglia di esserci, di condividere quest’esperienza all’estero, fare qualcosa di diverso anche in una realtà non della loro lingua. Privitera era già stato con noi in ritiro nel 2023, Mattia si è mostrato serio e intelligente, sono molto ottimista su di loro.

Hanno avuto difficoltà di adattamento?

Nessuna, hanno mostrato subito voglia di lavorare e fatto gruppo con gli altri. Forse addirittura hanno “troppa” voglia di fare, ma lì sta a noi guidarli nella maniera giusta. Per il resto sono esattamente come gli altri, partono tutti dallo stesso punto, non ci sono capitani e gregari.

Il giovane danese Holm Jorgensen, qui vincitore di tappa all’ultimo Tour de l’Avenir (foto team)
Il giovane danese Holm Jorgensen, qui vincitore di tappa all’ultimo Tour de l’Avenir (foto team)
Il calendario lo avete già studiato?

Per sommi capi, ma ne parleremo in ritiro. Non sarà comunque molto diverso da quello del 2023, speriamo nell’invito al Giro Next Gen e di fare bene in quell’occasione come in passato. Inizieremo a marzo, con parte della squadra all’Istrian Spring Trophy e l’altra parte al Tour of Rhodes in Grecia.

Sei ottimista?

Mi sentirei di dire che sono semplicemente realista. Abbiamo una buona squadra e soprattutto abbiamo un progetto che non si esaurisce in questa stagione ma comprende tre anni, quindi abbiamo tempo per fare un buon lavoro. So che già quest’anno qualche risultato arriverà all’altezza delle stagioni passate, ma il nostro occhio dovrà guardare più lontano. E’ questo il nostro compito.

Lefevere e Alaphilippe: la pace non scoppia

20.01.2024
4 min
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A Calpe, durante la presentazione della Soudal-Quick Step il grande assente era Julian Alaphilippe. Nessuna polemica, almeno non in quella sede, semplicemente l’ex iridato era in Australia per Tour Down Under.

Si è comunque parlato di lui. E lo ha fatto patron Patrick Lefevere. Il francese nelle ultime due stagioni non è stato stellare come ci aveva abituato, ma resta un cardine di questo team. E non va dimenticato che esce da un incidente bruttissimo: la caduta alla Liegi 2022. Davide Bramati stesso ci disse che il 2023 gli sarebbe servito per resettarsi del tutto.

Patrick Lefevere (classe 1955) guida il team Soudal Quick-Step, eccolo durante le interviste a Calpe
Patrick Lefevere (classe 1955) guida il team Soudal Quick-Step, eccolo durante le interviste a Calpe

Julian, Patrick e… Remco

Contestualmente al calo (si spera momentaneo) di Alaphilippe, c’è stata l’esplosione di Evenepoel. Vuelta, mondiali, Liegi… e ora il Tour nel mirino. E al Tour la Soudal-Quick Step ci andrà tutta per il belga. Niente spazio per Julian.

«Non mi piacerebbe vedere un Alapahilippe, che magari sta anche bene, devoto alla causa di Remco al 100 per cento. Credo che il Giro d’Italia sia ideale per lui, per il suo modo di correre».

Poi però sono partite le bordate: «I corridori generosi non vincono e sono poco intelligenti. E Alaphilippe spesso è un corridore troppo generoso. E’ impulsivo e spesso poco intelligente. Deve imparare ad essere più riflessivo». 

Lefevere ha detto che Alaphilippe, già durante questo inverno, ha avuto la possibilità di lasciare il Wolfpack. Diverse squadre hanno cercato di ingaggiarlo: «Un corridore scontento in una squadra è inutile. Ho discusso con lui già in passato. Abbiamo raggiunto un accordo. Mi ha detto: “Patrick, dammi un altro inverno”. Bene, adesso tocca a lui dimostrare di essere ancora forte».

Classe, istinto e grinta non abbandonano Alaphilippe
Classe, istinto e grinta non abbandonano Alaphilippe

Polemiche infinite 

Insomma, come sempre il “vecchio Patrick” non le ha mandate a dire. Ricordiamo che già un anno fa tirò una bordata mica da ridere: «Alaphilippe si mangia gran parte del mio budget. Voglio dei risultati».

Spesso i suoi modi di fare hanno tenuto molti sulle spine, ma alla lunga ha avuto ragione lui. Magari sarà così anche stavolta, certo però che nell’anno olimpico, con i giovani che avanzano in modo prepotente e 31 anni sulle spalle, non sarà così facile per il francese tornare il corridore di un tempo.

E allora guardandola in questa chiave l’idea del Giro potrebbe essere buona per Alaphilippe. Davvero un cambio di programma e di obiettivi potrebbe essere uno stimolo importante. Sia per la testa che anche per il fisico.

In generale Lefereve si è mostrato il solito punzecchiatore. Il grande manager in grado di tenere sotto controllo i suoi ragazzi e di stimolarli. 

A Calpe ha parlato molto di Remco. Delle sue sconfinate possibilità. Del fatto che essere un outsider al Tour e non il favorito come al Giro lo scorso anno può essere un vantaggio. Ha parlato della “non fusione” con la Jumbo-Visma. E su Alaphilippe ha lanciato queste bordate. Ma si sa, il manager belga è così e se conduce da 25 anni una delle squadre più titolate di sempre un motivo ci sarà.

Il francese sulle strade australiane del Down Under, dove sta rifinendo la gamba in vista dei primi impegni europei: Het Nieuwsblad e Strade Bianche
Il francese al Down Under, rifinendo la gamba in vista di Het Nieuwsblad e Strade Bianche

Loulou in Australia

E Alaphilippe cosa dice? Probabilmente fa buon viso a cattivo gioco, ma dallo stato del South Australia ha detto che non è vero che ha chiesto a Lefevere di restare ancora un anno. In ogni caso in un’intervista a l’Equipe, “Loulou” è parso motivato e l’idea del Giro d’Italia in effetti sembra stuzzicarlo parecchio. 

«Non è né una punizione, né una mancata selezione – ha detto Alaphilippe – semplicemente è un altro progetto. Bisognava cambiare e perché non quest’anno? Il Giro mi motiva parecchio. In Italia avrò più libertà e potrò correre di più secondo le mie caratteristiche. E poi ho chiesto io di andare al Giro».

Alaphilippe assicura che sarebbe stato ben disposto ad aiutare Remco e che è un ruolo che aveva già ricoperto durante la Vuelta del 2022. Vede il Giro come un’opportunità, sia per i risultati, che per la preparazione. Tuttavia qualche dubbio ci resta, tanto più che le Olimpiadi arrivano pochi giorni dopo il finale della Grande Boucle e su carta sono perfette per Alaphilippe. Almeno quello “vecchio stile”. Ma chissà, magari avrà ragione lui. E sarà più fresco di molti altri pretendenti.

Viezzi, dopo il tricolore obiettivo su Coppa e mondiale

19.01.2024
4 min
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CREMONA – Tre settimane da raccontare, parafrasando il titolo di una canzone degli anni settanta. Le prossime potrebbero essere così per Stefano Viezzi, chiamato al rush finale negli appuntamenti più importanti della sua grande annata di ciclocross.

Dopo il campionato italiano vinto a Cremona (nono successo stagionale), lo junior udinese di Majano ha nel mirino la generale di Coppa del Mondo e il mondiale di categoria. Viezzi correrà questa domenica a Benidorm, poi quella successiva in Olanda ad Hoogerheide cercando di conservare la leadership e amministrare il vantaggio di sei lunghezze sul campione europeo Aubin Sparfel.

Infine il 4 febbraio chiuderà il suo mini-tour europeo volando a Tabor in Repubblica Ceca per la rassegna iridata. Per l’azzurro della DP66 non sarà una chiusura qualunque visto che il giorno dopo il mondiale compirà diciotto anni.

Andiamo a capire quindi le mire di Viezzi a brevissimo e lungo termine.

Nella gara juniores, prima maglia tricolore per Stefano Viezzi, l’uomo di Coppa del mondo
Nella gara juniores, prima maglia tricolore per Stefano Viezzi, l’uomo di Coppa del mondo
Stefano che effetto ti ha fatto il tricolore vinto a Cremona?

E’ stata una bellissima sensazione, è la mia prima maglia di campione italiano. Finalmente sono riuscito a vincerla, è stato un gran bel risultato. Adesso ho altri tre appuntamenti che mi attendono e che sono un po’ più importanti. Le due prove di Coppa del Mondo e il mondiale.

Restando al campionato italiano, i tuoi avversari sul podio ti hanno definito il migliore al mondo. Cosa ne pensi?

Li ringrazio, anche se ogni gara ha una storia a sé, può andare bene o male. Personalmente avevo una buona gamba, ma ho avuto un po’ di sfortuna all’inizio. Mi è caduta la catena e questo inconveniente poteva buttarmi fuori dai giochi, però ho rimediato subito perché ero a centro metri dal box. Non ho perso tanto tempo. Più sfortunato invece, e mi spiace per lui, il mio compagno Fabbro che ha rotto la bici mentre era primo.

A livello climatico hai fatto le prove generali per Tabor?

Esattamente. So che in Repubblica Ceca c’è la neve. E’ sempre meglio testarsi un po’. A Cremona ho cercato di capire come potrebbe essere lassù. Aver corso alle 9 del mattino col gelo mi ha dato qualche indicazione. Sarà una gara particolare e spero di fare bene.

Risultati alla mano, quanto è alla tua portata una medaglia al mondiale?

Sicuramente so cosa posso fare e l’ho già dimostrato. Adesso sono arrivato lì, a quel livello, e devo capire come stanno gli altri. Lo capirò in queste due settimane, con le due prove di Coppa del Mondo a Benidorm e Hoogerheide. L’obiettivo naturalmente è arrivare in condizione al mondiale, però prima cercherò di portarmi a casa la maglia della generale. Centrare questo primo traguardo sarebbe poi uno grande stimolo per Tabor.

Viezzi oltre a ciclocross e strada, corre anche in Mtb. Quest’anno dovrà capire come gestire gli impegni (foto Biliotti)
Viezzi oltre a ciclocross e strada, corre anche in Mtb. Quest’anno dovrà capire come gestire gli impegni (foto Biliotti)
In futuro cosa prevedi per te?

Vorrei continuare a fare ciclocross, conciliando la strada nella stagione estiva. Spero di non avere troppi impedimenti in generale. Quest’anno correrò nella Work Service, che fa un’ottima attività, quindi mi sento sereno sotto quel punto di vista. Ogni tanto penso a ciò che potrei fare su strada, ma ora voglio coltivare bene il cross.

In relazione ai risultati internazionali che hai ottenuto, ti sono arrivate proposte per quando passerai U23?

Sì, ne è arrivata più di una. Sono arrivate dall’estero per la strada ed anche per il ciclocross, ma preferisco non dire nulla di più. La tendenza adesso è quella di andare fuori per entrambe le discipline. In futuro non mi dispiacerebbe uscire dall’Italia perché è una bella crescita. Nel ciclocross ad esempio sono totalmente diverse le gare al Nord. Lassù sei sempre al top. Quasi tutti i corridori vincenti sono lì e puoi confrontarti continuamente con loro. Questo ti aiuta tanto a migliorare. Mi fanno piacere queste proposte, ma dovrò valutare con calma se ne varranno la pena.

Alzando il livello, la gestione psicofisica delle due attività ti spaventa?

Per il momento no, perché non si sovrastano molto l’una con l’altra. Si possono fare entrambe le stagioni senza problemi. Anche grazie alle squadre che lasciano più libertà, rispetto invece all’attività estiva di Mtb. Sicuramente stare sempre sul pezzo può diventare stancante dal punto di vista mentale col passare del tempo. Adesso si cavalca l’onda sfruttando anche un po’ la freschezza della mia età (sorride, ndr) e perché ci sono i risultati. Tuttavia so già che ci saranno stagioni in cui bisognerà per forza fermarsi per rifiatare e rendere al meglio. Ma questo lo vedrò più avanti.

Dopo la stagione nel Team Tiepolo, nel 2024 Viezzi correrà con la Work Service (foto instagram)
Dopo la stagione nel Team Tiepolo, nel 2024 Viezzi correrà con la Work Service (foto instagram)
Ti ispiri a qualche corridore in particolare?

Il mio idolo è Van der Poel. Fisicamente siamo simili. Sono appena più alto di lui, ma lui è più largo di me (ride, ndr). Naturalmente devo ancora crescere, quindi qualche chilo in più di muscolatura, anche nella parte alta, dovrò metterlo.

Quali sono invece le caratteristiche su strada di Stefano Viezzi?

Mi considero un passista-scalatore. Attorno a casa mia le salite non mancano. Sia lì che in pianura posso svolgere bene i lavori dei programmi di allenamento.