Il protocollo di Bianchi: 4 ore e 30′ tra recupero, rulli, balzi, riso…

24.01.2024
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«Non è voluto tornare in hotel e ha messo in atto il protocollo di defaticamento e recupero che abbiamo studiato. E’ stato anche dall’osteopata, poi ha atteso sul pullman». Così Ivan Quaranta, tecnico della pista responsabile del settore velocità, parlava di Matteo Bianchi in occasione della conquista del Chilometro da fermo in quel di Apeldoorn.

Un protocollo del quale ci parla in modo più approfondito il responsabile della performance della Fci, Diego Bragato. Oggi ogni aspetto ha il suo peso e il dettaglio è talmente ricercato che quasi non è più un dettaglio. Specie come nel caso della velocità dove si ragiona sui centesimi, neanche decimi di secondo.

Prove di partenza in allenamento per Bianchi. Bragato al cronometro, Quaranta lo sorregge
Prove di partenza in allenamento per Bianchi. Bragato al cronometro, Quaranta lo sorregge
Diego, parlaci dunque di questo protocollo?

Direi che sono i protocolli, plurale, visto che ormai tutti i ragazzi specie quelli della velocità (e non solo) ne hanno uno personalizzato in base alle loro caratteristiche, agli orari delle gare… E la cosa è importantissima.

Perché?

Perché lo sforzo dopo il chilometro è molto elevato e quindi è importante restare attivi. Ricerche scientifiche dimostrano che per smaltire bene, meglio e più in fretta l’acido lattico che si è accumulato serve un minimo di attività fisica. La componente lattacida da smaltire è davvero elevata in questo caso.

Cosa s’intende per attivazione? E che tempistiche ci sono?

Dipende soprattutto dagli orari tra una prova e l’altra. Ma una cosa è certa: l’attivazione per la seconda prova è un po’ più rapida rispetto alla prima. L’organismo infatti si è già attivato e si è espresso al massimo. Quindi se il riscaldamento per la prima prova dura complessivamente un’ora e 15′-30′, quello per la seconda dura 45′-50′.

Quindi, Diego, nello specifico cosa ha fatto Bianchi tra le due prove?

Immediatamente dopo la prova si è proprio accasciato a terra. Ha recuperato un po’ ed è saltato sui rulli. Ha fatto una decina scarsa di minuti, ma non del tutto blandi, diciamo ad un’intensità che lo stradista individuerebbe come Z2. Successivamente è passato nelle mani dell’osteopata-massaggiatore. Ha eseguito un tipo di massaggio volto a scaricare meglio le tossine e quindi si è riposato veramente. In questa fase ha anche mangiato.

Un po’ di riso in bianco nel bus della nazionale. Questo è stato il pasto principale di Bianchi secondo il suo protocollo
Un po’ di riso in bianco nel bus della nazionale. Questo è stato il pasto principale di Bianchi secondo il suo protocollo
Come si è alimentato?

Principalmente con dei carboidrati. Per la durata del suo sforzo (circa 45”, ndr) serve solo del glucosio. Quindi lo zucchero, la benzina più pregiata. Ha corso le qualifiche alle 15 e la finale alle 19,30. In questo buco centrale di quattro ore e mezza ha anche mangiato del riso. Ancora un piccolo trattamento e poi è tornato in pista per il riscaldamento in vista della seconda prova.

E la riattivazione come è avvenuta?

Ha iniziato con il riscaldamento per la parte neuromuscolare, a secco: esercizi per la mobilità articolare, balzi, stretching… Poi è salito sui rulli, chiaramente, e ha effettuato delle partenze da fermo. Si tratta di volate di 10”, sia da fermo che da una cadenza più alta. Seguite poi anche da volate più lunghe: 30”-40” per attivare la componente lattacida. A quel punto ha iniziato il riscaldamento per la parte metabolica. Il riscaldamento deve essere completato mezz’ora prima della gara. Per la seconda prova ha ridotto un po’ la parte della mobilità articolare.

Credevamo il contrario…

Fosse stato un corridore di endurance, sì. Non esiste il protocollo perfetto. Ma i velocisti tendono a fare così. Un po’ perché lo dice la letteratura scientifica, un po’ perché un riscaldamento è efficace se il corpo lo riconosca come tale. E Matteo, così come altri velocisti, è abituato a riscaldare prima la parte neuromuscolare e poi quella metabolica. Anche in allenamento.

Ogni centesimo conta. Dal protocollo seguito alla perfezione, alle scelte tecniche, al serraggio dei pedali
Ogni centesimo conta. Dal protocollo seguito alla perfezione, alle scelte tecniche, al serraggio dei pedali
Si può dire che il chilometro da fermo del ciclismo su pista corrisponda ai 400 metri piani dell’atletica leggera?

Direi di sì, soprattutto crono alla mano. Fisiologicamente parlando è lo sforzo peggiore che ci sia. Quello che lascia più strascichi, più scorie nei muscoli. In quei secondi l’organismo sfrutta al massimo tutte le sue qualità. E’ una sforzo davvero violento.

Ultima domanda, Quaranta aveva parlato anche dei rapporti da scegliere e del fatto che per la prima prova si poteva optare per un dente più duro e magari Bianchi avrebbe fatto il record italiano. Cosa ci dici in merito?

Che è vero. Ma è anche vero che era la prima volta che nel chilometro da fermo ci trovavamo in una situazione così, vale a dire con un atleta molto valido. Ci siamo quindi ritrovati a fare una scelta tattica. Sapevamo che Bianchi sarebbe entrano tra i primi otto e quindi si sarebbe giocato la finale, pertanto abbiamo deciso di preservarlo per la finale. In altre occasioni avremmo dato tutto per entrarci.

Incide così tanto un dente in termini di dispendio energetico?

Come ho detto, il chilometro da fermo è lo sforzo peggiore: quindi sì, incide. Pensate che in finale hanno peggiorato tutti, “noi” siamo quelli che hanno peggiorato di meno.

Per la Corratec niente Giro. Frassi «Non ci piangiamo addosso»

23.01.2024
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Rcs ha oggi diramato le sue WildCard e chiaramente le più attese erano quelle per il Giro d’Italia, la corsa che può fare la differenza per alcune squadre. Specie quelle italiane: Corratec-Vini Fantini, Polti-Kometa e VF Group-Bardiani. Poi magari non è così per altre squadre, vedasi la Lotto-Dstny per esempio.

Il suo direttore sportivo Kurt Van de Wouwer ci ha detto: «La squadra è ancora piuttosto giovane, quindi abbiamo deciso di fare nuovamente due grandi Giri invece di tre. In quel periodo, maggio, possiamo programmare un ritiro in quota per preparare la seconda parte della stagione, dopo un periodo di riposo. Per il 2025 siamo fiduciosi che la squadra avrà acquisito maturità, il che ci fa guardare al futuro con ottimismo per correre di nuovo tutti e tre i giri».

Francesco Frassi (classe 1979) è uno dei diesse della Corratec
Francesco Frassi (classe 1979) è uno dei diesse della Corratec

La rosa migliore

Senza polemiche con il team belga, chiaramente. Che ha intrapreso tutt’altra linea e che tutto sommato se doveva venire in Italia per portare “a spasso” la bici bene ha fatto a rinunciare. Per la Corratec, diretta tra gli altri dal diesse Francesco Frassi, le cose sono ben diverse. La corsa rosa ha un valore senza pari. E la Corratec è stata la squadra italiana scartata. 

«Sinceramente – racconta Frassi in procinto di partire per il Tour of Sharjah, negli Emirati Arabi Uniti – un po’ di delusione c’è. Abbiamo lavorato tutto l’inverno con una squadra che sulla carta è senza dubbio la migliore delle tre italiane. Avendo dunque allestito una squadra di livello, di merito, pensavamo di essere dentro».

Il ranking UCI per squadre dice la Corratec è il 35ª team. Il terzo italiano dietro VF Group-Bardiani e Polti Kometa. Veniva da un 2022 durissimo, passato come continental ed è risalita di 71 posizioni al termine del 2023.

«Ma il Giro d’Italia per noi è ad invito e non possiamo che rispettare le scelte di Rcs. Ci toccherà dimostrare sul campo, sin da queste prime gare, il nostro valore e il buon lavoro svolto in questi mesi. Si guardano i punteggi? Bene, noi nel 2023 non ne abbiamo fatti molti, abbiamo cinque corridori che hanno vinto nel WorldTour: sono certo che abbiamo la migliore squadra tra le italiane. E non posso che essere orgoglioso dei miei ragazzi».

La Corratec-Vini Fantini in allenamento questo inverno. Una rosa ben più forte rispetto a quella del 2023 (foto Instagram)
La Corratec-Vini Fantini in allenamento questo inverno. Una rosa ben più forte rispetto a quella del 2023 (foto Instagram)

Morale così, così

La botta morale c’è stata ed è innegabile. Però non è stato un colpo di grazia. Le occasioni, tra Sanremo, Tirreno e molte altre corse ci sono. I palcoscenici importanti non mancano. Maggio è lontano, ma già si fanno i piani. Anzi, si lavora proprio…

«Il morale non è alto – continua Frassi – ma non è neanche la fine. Fare il Giro piace a tutti. Tutti i ragazzi vorrebbero farlo. Mentre per i team è importante per i budget e per gli sponsor: questo ci avrebbe dato più possibilità per il futuro. Guarderemo il Giro d’Italia degli altri, ma non staremo a casa».

E a casa non ci staranno sin da adesso. Anzi, gireranno per mezzo mondo. Emirati Arabi, poi Colombia e le corse francesi tra Marsigliese, Besseges. E ancora in Turchia… Tra l’altro proprio a Sharjah potremmo vedere una prima prova di forza nelle volate con il treno composto da Niccolò Bonifazio, Jakub Mareczko e Attilio Viviani. Una formazione molto, molto interessante.

Conti impegnato lo scorso anno al Giro. Valerio e compagni punteranno forte sulla Tirreno-Adriatico
Conti impegnato lo scorso anno al Giro. Valerio e compagni punteranno forte sulla Tirreno-Adriatico

Piano B, ricco

Si diceva che l’attività è molto elevata. Per la Corratec si parla anche di tripla attività. Lo stesso Frassi ci confessa che: «Da domani, quando atterrerò, so già che passerò due giorni davanti al computer per rifare tutte le squadre, rispondere agli inviti e insomma ridistribuire le varie formazioni nelle varie gare. Ma ce la farò e sarà un nuovo stimolo. La cosa più importante è che i ragazzi non sono abbattuti. Sanno che avranno molte possibilità e che alla fine lo scarto dalla corsa rosa non è dipeso da loro».

In effetti quando Frassi dice di non essere a casa a quanto pare non scherza proprio. Il maggio della Corratec-Vini Fantini sarà composto da Hellas Tour, Giro di Ungheria, Gp New York City e forse anche Quattro Giorni di Dunkerque.

«Davvero abbiamo tante corse in ballo – conclude Frassi – e una squadra molto buona. Quindi non ci piangiamo addosso».

Ferri, giovane regina dei tricolori e speranza del cross

23.01.2024
5 min
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Lo scorso ottobre ha compiuto sedici anni e sta continuando a crescere in fretta, ma non sembra accusare troppo il salto di categoria da allieva a junior. Tra ciclocross, Mtb e strada, Elisa Ferri è uno dei simboli moderni della multidisciplinarietà.

Andando in ordine cronologico, domenica nella prova di Coppa del Mondo di ciclocross a Benidorm ha chiuso al settimo posto, risultando la prima tra le atlete nate nel 2007. Un dato ininfluente per la classifica, ma importante per il proprio morale, già alto da un paio di settimane. A Cremona infatti Ferri aveva conquistato agevolmente il campionato italiano di cross (suo ottavo tricolore complessivo nel fuori strada), rispettando il pronostico che ci aveva anticipato il suo team manager Alessandro Guerciotti. All’orizzonte per la giovane di San Giovanni Valdarno – che frequenta il liceo scientifico-sportivo a Montevarchi – ci sono gli ultimi impegni prima di concentrarsi su strada e Mtb. Ne abbiamo parlato con lei durante il ritiro proseguito in Spagna con la nazionale.

Tricolore pronosticato. Ferri festeggiata sul podio da Paolo Guerciotti sotto lo sguardo del cittì Pontoni (foto De Negri)
Tricolore pronosticato. Ferri festeggiata sul podio da Paolo Guerciotti sotto lo sguardo del cittì Pontoni (foto De Negri)
Elisa, ti aspettavi il risultato di due giorni fa?

Onestamente no. Al mattino durante il riscaldamento sui rulli non sentivo di avere una gran gamba e infatti mi ero già immaginata che tipo di gara fare. Invece appena sono partita ho avvertito subito ottime sensazioni. Ho cercato di restare davanti più che potevo e tenere duro nei tratti più difficili. Alla fine sono molto contenta del mio risultato.

Una bella iniezione di fiducia per l’ultima prova di Coppa e per il mondiale, giusto?

Sì certo. Adesso con la nazionale rimaniamo nella zona di Benidorm per rifinire la condizione sfruttando il clima, poi andremo direttamente in Olanda. A Hoogerheide non so che gara uscirà, però vado su con l’idea di ripetere la prova di Benidorm con qualche consapevolezza in più. Per quanto riguarda il mondiale invece non so ancora nulla. Dovrei partecipare, ma non ho ancora ricevuto la convocazione, quindi non posso sbilanciarmi.

Facendo cross in pratica non hai avuto il tempo di assorbire il passaggio di categoria. Come ti stai trovando?

Alle prime gare ho sentito tanto il salto da allieva a junior, però credo che fosse solo una questione mentale. Sono stati mesi che mi sono serviti per imparare tanto. Ho visto che se mi alleno come devo, posso stare più a lungo con le ragazze più grandi, visto che spesso corro con le elite nelle gare internazionali. Adesso sto sfruttando le mie doti tecniche.

Cioè?

Sono abbastanza brava nel guidare la bici e altrettanto veloce nei passaggi più complicati, però devo allenare di più la gamba, per avere più potenza e spingere maggiormente.

La disciplina preferita di Ferri è la Mtb. L’obiettivo è entrare nel giro azzurro (foto instagram)
La disciplina preferita di Ferri è la Mtb. L’obiettivo è entrare nel giro azzurro (foto instagram)
Ti aspettavi una stagione del genere?

No sinceramente. Sin da piccola ho sempre cercato di arrivare a questi livelli perché ci credevo tanto. Come dicevo prima, la differenza è stata la testa. Avere un sogno davanti ti stimola a volerlo realizzare in fretta e nel miglior modo possibile. Ne avevo vinte altre in passato tra cross e Mtb, ma devo dire che la maglia tricolore di Cremona mi ha dato una grande soddisfazione in questo finale di stagione.

Elisa Ferri come è arrivata a correre in bici?

Il ciclismo è una questione di famiglia. Mio padre faceva downhill e fu lui ad introdurmi nel mondo delle bici. Inizialmente non mi piaceva, poi poco per volta mi sono appassionata. Avevo come riferimento mio fratello Tommaso, che ha tre anni in più di me e che corre anche lui. Quando ero più giovane uscivamo assieme in bici e quando lo vedevo scappare in salita, cercavo in tutti i modi di andarlo a riprendere o di non farmi staccare di troppo. E’ stato uno stimolo per me. Se penso agli inizi, ora amo andare in bici (dice sorridendo, ndr).

Sul traguardo di Cremona, Ferri indica otto con le mani, come i titoli italiani: cinque nel cross e tre nella Mtb (foto De Negri)
Sul traguardo di Cremona, Ferri indica otto con le mani, come i titoli italiani: cinque nel cross e tre nella Mtb (foto De Negri)
In effetti sei impegnata su più fronti. Cosa preferisci?

Nel ciclocross mi diverto ed è una attività ottima per mantenere sempre una buona condizione. I risultati poi aiutano e ti stimolano a migliorare Su strada corro con la Zhiraf-Guerciotti e almeno per quest’anno da primo anno junior non penso che correrò tanto. Le gare che farò saranno come allenamento e preparazione per la Mtb. E’ quella la mia disciplina preferita, dove corro con la Vallerbike. L’obiettivo a breve termine è il campionato italiano, quello a lungo invece è cercare di entrare nel giro della nazionale. Di sicuro cercherò di fare tutte e tre le disciplina finché potrò, poi vedremo quando e se dovrò prendere una decisione.

Guarischi-SD Worx, secondo anno nella squadra dei sogni

23.01.2024
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Barbara Guarischi è di buon umore. Il ritiro in Spagna ha lasciato buone sensazioni. La presentazione del Team SD Worx appena andata in scena nella sede di Protime a Mechelen, in Belgio, è stata il varo della nave. Una bottiglia di champagne e poi via con le corse: debutto l’8 febbraio con il UAE Tour. L’ultima gara per l’atleta di Ponte San Pietro era stato il mondiale gravel del 7 ottobre, sono passati tre mesi e mezzo. E anche se non c’è stato il tempo per annoiarsi, la voglia di gareggiare inizia a farsi sentire.

«Dipende da come arrivi a fine stagione – ammette sorridendo – ma quando sei lì, vorresti non fermarti per essere subito pronta. Ho staccato due settimane, ma siccome sono matta per lo sport, dopo i primi sette giorni di vero riposo, ho ricominciato a camminare in montagna, una cosa che adoro, e ad affacciarmi in palestra. C’è stato poco da aspettare. Se pianifichi la preparazione, metti dentro due ritiri e cominci con il lavoro, le settimane volano via…».

Il ciclismo al top

Dal UAE Tour, la sua stagione non avrà soste fino alla Roubaix. Poi uno stacco, la Vuelta e le corse intorno. Un altro stacco e via al Tour de France. Sulla possibilità di essere convocata alle Olimpiadi ha messo una croce. Il mondiale di Zurigo sarà certamente troppo duro. Invece gli europei di settembre nel Limburgo potrebbero essere una buona occasione anche per giocare un ruolo da outsider e per questo dovrà arrivarci al 100 per cento. Il programma è potente e ambizioso. La squadra in cui corre da un anno ha chiuso il 2023 in testa al ranking UCI, con il doppio dei punti della Lidl-Trek: farne parte è motivo di orgoglio che cresce di mese in mese.

«Fino allo scorso anno – dice – non ci avevo mai pensato. Poi ho visto come si allenano e ho capito che cosa significa far parte di una delle più forti squadre al mondo. Entrarci per certi versi è stato facile, per altri ringrazio la presenza di Elena Cecchini che mi ha aiutato a capire anche alcune differenze anche culturali. Sono molto ligi al dovere, come piace a me. Ma a volte mi sono trovata davanti a cose nuove che non sapevo come affrontare. Ora abbiamo trovato una grande sintonia e partiamo con una bella intesa. Con Elena le stiamo un po’… italianizzando, nel senso che va bene essere rigorosi, ma quando si va fuori bisogna anche sapersi divertire.

«Da parte loro – prosegue la bergamasca, vincitrice nel 2022 dei Giochi del Mediterraneomi hanno mostrato il ciclismo in un’altra dimensione. La voglia di vincere non deve mai svanire, quando dovesse succedere, sarebbe il momento di riflettere sulla possibilità di ritirarsi. Però bisogna anche essere realisti e conoscere il proprio ruolo. Nelle grandi squadre nessuno è messo a caso e non sempre puoi arrivare alla fine e fare la tua corsa. E’ una scelta, non mi lamento. Potrei anche smettere adesso ed essere orgogliosa della carriera che ho fatto».

A ottobre, Guarischi ha partecipato alla Bellagio Sky Race: quasi 28 chilometri: metà a salire, il resto a scendere
A ottobre, Guarischi ha partecipato alla Bellagio Sky Race: quasi 28 chilometri: metà a salire, il resto a scendere

Il sogno di bambina

Una risata. Magari qualche altro anno si può continuare, ma il senso del discorso arriva forte e chiaro. Si parla di lavoro, ma anche della realizzazione di un sogno: quello di una ragazzina che con caparbietà decise di dedicarsi al ciclismo, pur senza un briciolo di garanzia che l’avrebbe portata da qualche parte.

«La mia è stata una scelta – dice facendosi seria – sapevo che non potevo viverci. Forse fu una scelta azzardata e per questo la mia famiglia non dico che fu contro, ma continuò a raccomandarmi di andarci con i piedi di piombo. E in fondo avevano ragione. Come era cominciata, così poteva finire da un giorno all’altro. Invece è andata bene, ho avuto fortuna. Ma penso anche che alla fortuna certe volte devi dargli una spinta affinché giri a tuo favore. E ha funzionato.

«Ho fatto tante scelte che mi hanno portato dove sono. Ho imparato tanto su me stessa e sulla vita in generale. Ogni giorno sulla bici è una scuola da cui prendere quel che serve per costruire la propria strada. Stando in questa squadra sono migliorata tantissimo. Spesso esco sfinita dagli allenamenti, ma quando il fisico li metabolizza, i miglioramenti sono evidenti. Il fatto che le distanze di gara aumentino viene a nostro favore. Le leader sono contente, perché lavoravano già tanto. E anche io nell’ultimo anno ho aumentato di parecchio qualità e quantità».

Van der Breggen come direttore e allenatore: per Guarischi un confronto al top (foto Getty Immages)
Van der Breggen come direttore e allenatore: per Guarischi un confronto al top (foto Getty Immages)

Un coach speciale

La regia delle sue fatiche è Anna Van der Breggen, direttore sportivo, ma anche preparatore. Barbara racconta che ancora adesso quando esce con loro in bici, continua a staccarle. E che la sua tendenza ad alzare l’asticella a un certo punto le ha portate a guardarsi negli occhi, per costruire una relazione ancora più produttiva.

«Fa un certo effetto pensare di averla come allenatore – spiega Guarischi e sorride per la battuta in arrivo – anche se a volte mi piacerebbe cambiarla… Stiamo lavorando tanto, a volte faccio fatica ad assimilare i lavori. Così a inizio anno sono andata a parlarle, perché mi dava allenamenti davvero tanto duri. Anna ha la mentalità di spingerti sempre in avanti e a quel punto dipende da come la prendi. Perché di base è giusto andare a cercare il limite, per capire dove crescere. Quando poi passa sull’ammiraglia, ha esperienza e carisma incredibile. Quando non ce la fai più o quando senti che sei vicina a mollare, quando non capisci il senso di tanta fatica, avere in macchina una persona che capisce cosa pensi fa la differenza fra mollare e tenere duro.

«Siamo davvero una grande squadra, sotto tutti i punti di vista. Le nuove bici, le SL8, sono davvero un materiale top di gamma. Ogni anno cerchiamo di lavorare sulla posizione, per essere più performanti, ma anche comode viste le distanze superiori. Cerchiamo di diventare sempre più professionali in tutto, anche nell’alimentazione. Sto facendo il lavoro dei miei sogni nella miglior squadra del mondo, sono davvero contenta».

Niente europei, ma Sierra vuole tutto: pista e strada

23.01.2024
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Per David Sierra sono giorni importanti. Villa lo voleva nel gruppo azzurro agli europei di Apeldoorn e aveva anche detto che gli avrebbe affidato la corsa a punti, ma la sua nuova squadra, la Tudor Under 23 ha preferito portarlo nel primo ritiro prestagionale, per la necessaria presa di contatto con tutto quello che sarà il suo gruppo, fra tecnici e corridori. I rimpianti sono svaniti ben presto: troppo importante porre le basi per quello che sarà il suo primo anno nella categoria con sguardo molto più in là.

Di Sierra qualche giorno fa ha parlato anche Salvoldi, sottolineando il profondo cambio non solo fisico, ma soprattutto prestativo che il corridore lombardo con radici colombiane ha mostrato nel corso dell’anno, risultando tutt’altro atleta rispetto a quello che aveva conosciuto al suo primo anno da junior.

«E’ stato un cambiamento soprattutto mentale – riconosce Sierra – devo ammettere che nel primo anno non ero concentrato sul ciclismo al 100 per cento, i miei allenamenti erano ancora a livello di un allievo. A un certo punto della stagione però ho cominciato a ragionare, a capire che se volevo davvero ottenere qualcosa, dovevo fare tutto per bene. Così d’inverno mi sono messo sotto con l’allenamento, ho curato l’alimentazione senza sgarrare, ho implementato il potenziometro e i risultati si sono subito visti».

Il gruppo U23 della Tudor, composto da 13 elementi. Fra loro anche l’altro italiano Alari (foto Tudor Pro Cycling)
Il gruppo U23 della Tudor, composto da 13 elementi. Fra loro anche l’italiano Alari (foto Tudor Pro Cycling)
Solo su pista?

No, anzi direi che su strada i progressi sono stati evidenti sin da subito. Sono andato alla Gand-Wevelgem in una giornata dura, eppure per pochissimo ho mancato di arrivare con il primissimo gruppo, di giocarmi qualcosa d’importante. Poi la pista è venuta di conseguenza, ho iniziato a competere con Fiorin nella madison e i risultati sono arrivati.

La scelta del team dà da pensare: che cosa dicono del tuo doppio impegno con la pista?

C’è massima apertura, questo lo posso assicurare, perché era una delle condizioni che avevo posto per accettare la loro proposta. Tanto è vero che mi permettono di partecipare a tutte le sessioni di Montichiari e sono stato anche al ritiro invernale della nazionale a Noto. E mi lasceranno libero anche per le prove successive.

Sierra con la nuova divisa Tudor. Il lombardo ha avuto assicurazioni per effettuare la doppia attività
Sierra con la nuova divisa Tudor. Il lombardo ha avuto assicurazioni per effettuare la doppia attività
Quali saranno?

Io punto agli europei under 23 e poi fare qualche gara di classe 1 e 2, anche per guadagnare punti per poter essere selezionato per la Nations Cup. Per ora non ho avuto notizie da Villa sulla possibilità di partecipare a qualche tappa, ma è anche giusto così considerando che è ancora in ballo la qualificazione olimpica e quindi cerca l’esperienza. Intanto però conto di avere qualche chance per gareggiare e acquisire punti e sempre maggiore conoscenza.

Hai visto Fiorin in gara ad Apeldoorn?

Non me lo sono perso, ho anche tifato per lui e mi è dispiaciuto che ha perso l’attimo giusto per rimanere nel vivo della lotta dello scratch. Sono stato contento che abbia avuto questa possibilità, mi sarebbe piaciuto condividerla.

Con Fiorin, Giaimi e Favero, Sierra ha vinto l’oro europeo con il record mondiale
Con Fiorin, Giaimi e Favero, Sierra ha vinto l’oro europeo con il record mondiale
Tra l’altro con Matteo formate ormai una coppia affiatata nella madison, un’accoppiata quasi inscindibile e Villa ripete spesso che l’affiatamento è la prima condizione perché in quella gara così difficile da interpretare si possano ottenere risultati…

Diciamo che siamo a buon punto. Ci siamo integrati bene subito. Io dico sempre che la nostra forza è che siamo due persone completamente diverse, non solo in pista. Lui è un tipo molto tranquillo, io sono più estroverso. In pista lui è molto più veloce di me, ma io sono un attaccante per natura, quindi ci compendiamo in maniera perfetta.

Veniamo al nuovo team. Come ti trovi?

Davvero benissimo. Abbiamo già fatto un primo ritiro di 5 giorni in Spagna, c’era anche Cancellara con cui abbiamo parlato, ci ha spiegato il progetto che è alla base di tutto il team. Il nostro primo giorno coincideva con l’ultimo della squadra maggiore, ma quel che ho notato è che non cambia nulla fra l’uno e l’altro, la professionalità e l’attenzione verso di noi è la stessa. Ora non vedo l’ora d’iniziare a correre.

Nel 2023 Sierra ha sfiorato il podio ai mondiali su strada ed è stato 6° agli europei (foto Tudor Pro Cycling)
Nel 2023 Sierra ha sfiorato il podio ai mondiali su strada ed è stato 6° agli europei (foto Tudor Pro Cycling)
Sai già che calendario farai?

Non è stato ancora deciso, ma sappiamo già che alcuni di noi avranno occasioni per gareggiare con il team più grande, quindi con i professionisti e la cosa mi solletica alquanto. E’ un cambiamento profondo che sto affrontando, so anche che ci saranno lunghi periodi lontano da casa: in certi momenti dell’anno, fra una gara e l’altra rimarremo nel quartier generale vicino Lucerna. Poi ci saranno i periodi in altura.

Ti aspetti qualcosa in particolare dalla tua stagione su strada?

Sarei pretenzioso a sottolineare una gara piuttosto che un’altra. Io sono pronto innanzitutto ad aiutare e a mettermi a disposizione della squadra, ad imparare, ma non nascondo che spero in qualche occasione di mettere il naso avanti e, perché no, di vincere. Voglio prendere le misure per il prossimo anno, quando spero di fare il salto di qualità. Intanto però c’è anche la pista e lì le soddisfazioni non le posticipo a un lontano futuro, voglio ottenerle subito…

Bilancio e riflessioni sulla pista con Marco Cannone

23.01.2024
6 min
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Una voce colorata, autorevole, esperta in grado di emozionare i più, in pochi minuti e a volte secondi. Marco Cannone ai microfoni di Eurosport ha impreziosito con il suo commento tecnico le telecronache della pista (e non solo) in alcuni dei momenti più belli che il nostro movimento ha vissuto negli ultimi anni. Ci siamo fatti raccontare dalla cabina di commento il suo punto di vista sullo stato della pista attuale. Siamo partiti da una retrospettiva su quello che era, passando per il passato più vicino a noi fino all’europeo appena concluso, per poi azzardare qualche aspettativa sulle Olimpiadi di Parigi

Cannone ha militato una stagione nel 2000 alla Lampre-Daikin
Cannone ha militato una stagione nel 2000 alla Lampre-Daikin
Permettici una piccola introduzione per chi non ti conosce. Chi è Marco Cannone?

Nel 1980 ho iniziato a correre in bicicletta, quando avevo sei anni. Sono stato probabilmente uno dei primissimi a fare la multi-disciplina, che in realtà si direbbe multi-specialità perché la disciplina è il ciclismo. Ho iniziato a fare il ciclocross, poi mi sono buttato sulla strada e poi pista. Da dilettante ho vinto una trentina di corse, tra cui una decina di internazionali, con due tappe al Giro d’Italia. Sono arrivato fino al professionismo e ci sono rimasto per sei anni. Ho corso per l’Amore & Vita, la Lampre e la CCC . Ho sempre avuto un rapporto stretto con la pista, fin dalle categorie giovanili.

Hai vissuto la pista italiana dai suoi anni migliori passando per momenti difficili e infine i giorni nostri sempre più promettenti…

Ho vissuto il periodo delle Sei Giorni che si correvano in tutta Italia dove eravamo protagonisti in patria e all’estero. Poi siamo arrivati a un periodo dove si ottenevano pochissimi risultati che si può racchiudere in un decennio. Io correvo con Marco Villa e con Silvio Martinello, in un periodo dove secondo me si era un po’ meno specializzati rispetto ad oggi, nel senso che ce n’erano forse 3-4 che erano proprio pistard puri. Da dopo Rio 2016 quello che posso vedere è che c’è stata una rifrequentazione della pista. Questo pur non avendo un velodromo al coperto.

Difficile da credere, ma abbiamo solo Montichiari al chiuso…

Io l’ho detto anche in televisione, l’altro giorno. Abbiamo tante strutture, che però sono un po’ obsolete, ci manca il vero grande impianto al coperto come quelli che vediamo durante le nostre telecronache. Manca proprio la palestra. Oggi Montichiari è accessibile solo alla nazionale. In primavera e in estate abbiamo tanti velodromi che funzionano molto bene: per fortuna ci sono e ci danno tante opportunità. Manca la vera e propria attività invernale, non a caso si è visto anche negli ultimi campionati europei.

Che cosa?

Nelle prove di prestazione dove comunque è tutto fondato sull’allenamento, siamo andati fortissimo. Intendo quartetti velocità eccetera. Nelle specialità di gruppo e nelle gare di situazione, la verità è che c’è una mancanza di abitudine alla competizione. Si nota la differenza con gli altri Paesi che invece hanno un calendario fitto di gare con corsa a punti, madison ed eliminazione.

Viviani Rio 2016
Viviani oro nell’omnium di Rio 2016
Viviani Rio 2016
Viviani oro nell’omnium di Rio 2016
Torniamo al discorso generazionale. Che periodo stiamo vivendo?

Viviani ha fatto scattare la scintilla a Londra 2012. Credo che sia stato il punto di svolta perché alle Olimpiadi ha partecipato soltanto Elia che, insieme a Marco Villa, ha fondato la nuova nazionale su pista. Da loro è partito l’input chiaramente condiviso con la dirigenza federale e quant’altro di investire sulla pista. Infatti da Rio 2016 abbiamo potuto ambire sempre a dei grandissimi risultati. Arrivando poi chiaramente all’apoteosi con l’Olimpiade di Tokyo e il relativo mondiale a un paio di mesi di distanza. 

Dividiamo il discorso per specialità. Partiamo dal settore velocità…

Abbiamo una grandissima storicità dagli anni ’60/’70, siamo sempre stati protagonisti. Roberto Chiappa ha solcato le piste di tutto il mondo raccogliendo risultati ovunque. Purtroppo era da solo in quel momento lì. Quindi non c’è stato uno sviluppo a livello nazionale. Con l’input di Villa e l’arrivo di Ivan Quaranta, si è dato il via alla vera e propria rinascita del movimento velocità in Italia. I risultati iniziano a vedersi. Non a caso, ripeto, siamo riusciti a creare un bellissimo terzetto nella velocità a squadre. In questo momento credo siamo decimi nel ranking. Però ci sono tre prove di Coppa del mondo in cui sono abbastanza fiducioso che entreremo fra i primi 8 e faremo le Olimpiadi. Per quanto riguarda la velocità, abbiamo Stefano Moro che ha fatto terzo all’europeo del Kerin. 

Bianchi ha vinto il primo titolo europeo nel chilometro da fermo. Un risultato che ripaga?

Lui è un po’ l’emblema di questo nuovo movimento italiano e diciamo che un grande risultato è arrivato agli europei. Ora è un riferimento anche per quanto riguarda la velocità olimpica. Miriam Vece è migliorata davvero in maniera pazzesca. Ivan Quaranta è stato determinante in questo settore. L’anno scorso Predomo ha vinto il mondiale della categoria juniores, più di trent’anni dopo che c’era riuscito proprio Ivan. In più, Quaranta ha avuto anche l’idea di andare a prendere un ragazzo di talento della BMX come Matteo Tugnolo. C’è stato davvero un grande lavoro e di questo sicuramente Matteo Bianchi ne è l’esempio

Ivan Quaranta con Matteo Bianchi dopo il successo europeo
Ivan Quaranta con Matteo Bianchi dopo il successo europeo
Per quanto riguarda il settore dell’inseguimento?

A proposito dell’inseguimento siamo campioni olimpici in carica. Siamo detentori del record del mondo, abbiamo fatto terzi all’europeo con una buona prestazione, pur mancando un personaggio forte come Filippo Ganna. Tutto questo al 10 di gennaio, quindi senza una grandissima preparazione specifica. Per l’Olimpiade, sono molto fiducioso e molto ottimista. Chiaramente deve andare tutto bene nel corso della della stagione. A questo europeo abbiamo visto dei buoni risultati da parte di Gran Bretagna e Danimarca, ci manca la Nuova Zelanda e l’Australia che sono sempre un’incognita. 

Il quartetto femminile invece?

All’europeo hanno fatto una bellissima prestazione conquistando il titolo. Chiaramente ci sono stati degli sconvolgimenti, ma questo lo sapevamo. Quando abbiamo fatto le Olimpiadi nel 2021, le quattro ragazze erano le più giovani in gara, con una media di vent’anni. Poi l’anno dopo a ottobre abbiamo vinto il campionato del mondo. C’è un ricambio generazionale nelle altre nazionali che noi abbiamo già fatto e ci stiamo godendo. Sono molto affiatate tra di loro e abbiamo ritrovato Letizia Paternoster che purtroppo ha avuto due anni di grandissimi problemi. Stesso discorso per Elisa Balsamo e la Guazzini. Da qui alle Olimpiadi bisogna sempre capire quali sono i margini di miglioramento che ci possono essere. Anche per le ragazze vale lo stesso discorso che per i ragazzi, non hanno fatto attività invernale, quindi il bicchiere è veramente per me molto pieno.

Qui Cannone insieme a Federica Venturelli
Qui Cannone insieme a Federica Venturelli
Gli inseguimenti individuali invece?

L’ingresso di Federica Venturelli è stato pazzesco al suo primo anno, anzi, alla sua prima gara tra le elite, lei che ha vinto negli juniores tutto quello che c’era da vincere. Poi vabbè, inseguimento maschile se scende Ganna in pista non ci sono avversari, diciamo la verità. E lo stesso vale per Milan. Bisogna capire quali possono essere i loro programmi. 

Per quanto riguarda omnium e discipline di gruppo, cosa ci dobbiamo aspettare?

Credo che Elia Viviani attualmente sia il nostro faro oggi e per le Olimpiadi di Parigi. A Tokyo è andato a prendersi una medaglia che forse lui si aspettava perché è sempre molto ottimista, però magari qualcun altro no. So che sta lavorando tanto, sta andando forte anche adesso in Australia, quindi è molto indicizzato su questo obiettivo. Bisogna pensare anche alla madison dove Simone Consonni potrà essere fondamentale così come per il quartetto. I posti sono pochi e per Villa non sarà facile. Però ora siamo a gennaio ed è ancora presto per fare questi discorsi. Per quanto riguarda il discorso al femminile c’è più scelta, anche qui Marco sarà chiamato a prendere delle decisioni, che verranno dettate anche da come andrà la stagione e l’avvicinamento. 

Sperotto, piatti e ricette di una cuoca da WorldTour

22.01.2024
7 min
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«Se la nutrizionista è la mente che programma i menù degli atleti, io cuoca sono il braccio che li prepara». Con questa metafora Maria Vittoria Sperotto spiega sorridente il ruolo che ricopre adesso, da quando, scesa dalla bici, è diventata una chef da WorldTour.

Nemmeno farlo apposta, ci risponde al telefono mentre sta rientrando con le borse della spesa da un supermarket spagnolo, perché una cuoca non ha mai troppo tempo libero. La 27enne vicentina di Schio va veloce tra i fornelli come faceva sui pedali, forse anche meglio. Curiosamente il suo ultimo podio da atleta lo ha ottenuto in una tappa al Giro Donne del 2021 battuta in volata da Lorena Wiebes, una ragazza per cui recentemente si è ritrovata a cucinare in diverse occasioni.

Sperotto attualmente è sotto contratto con la Jayco-Alula, ma ha già accumulato una grande esperienza in tante altre squadre maschili e femminili. Con la nostra chiacchierata abbiamo conosciuto meglio la sua nuova carriera.

Panificatrici. Sperotto, cuoca della Jayco Alula, e Share Marche, nutrizionista della SD Worx, si confrontano spesso sui lievitati salati
Panificatrici. Sperotto, cuoca della Jayco Alula, e Share Marche, nutrizionista della SD Worx, si confrontano spesso sui lievitati salati
Maria Vittoria siamo curiosi. Per chi è questo carrello di spesa e cosa c’è dentro?

Ho preso ciò che compro di solito. Latte, farina, burro, verdura, carne bianca, pasta, yogurt greco, frutta. Evito prodotti come funghi o pomodori che non tutte mangiano. Insomma una spesa abbastanza normale. Siamo agli ultimi giorni di ritiro a Javea, nella zona di Valencia, con la SD Worx-Protime. Eccezionalmente è il caso di dire però.

Per quale motivo?

Fino all’anno scorso, essendo io libera professionista, ho cucinato sia per la SD Worx che per la Jayco-Alula, che invece mi ha voluto in esclusiva per quest’anno e l’anno prossimo soprattutto per il team maschile. Ringrazio la mia attuale squadra perché tuttavia mi ha concesso di fare i due ritiri in Spagna con la formazione olandese rispettando alcuni protocolli. Diciamo che sono solo andata in prestito, anche perché non volevo abbandonare le ragazze della SD Worx con cui si è instaurato un bellissimo rapporto.

Raccontaci come funziona una giornata tipo con loro?

Per il ritiro di gennaio la squadra sceglie sempre una villa per fare più gruppo. Da una parte della casa dormono le atlete e nell’altra lo staff, però cucina e sala da pranzo sono in una zona comune. Ed è lì che si svolge una sorta di team building. Infatti ogni giorno, seguendo un programma fatto dai diesse, ci sono due ragazze che preparano la tavola per le compagne e poi mi aiutano a cucinare il menù previsto dalla nutrizionista. In realtà non si limitano solo a quello perché provvedono a sparecchiare, fare pulizie in cucina. E spesso e volentieri, le ragazze che non sono di turno si propongono per dare una mano.

Come si comportano da apprendiste-cuoche?

Premetto che la colazione se la preparano da sole. Solitamente loro mi aiutano per la merenda pomeridiana e la cena, visto che per pranzo sono fuori in allenamento. Per il resto devo dire che nella SD Worx sono tutte appassionate di cucina, veramente tanto. Tutte sanno fare il pane, alcune di loro col proprio lievito madre. Ammetto che lo fanno migliore del mio. Anzi, un giorno ho detto a loro che le assumerei subito nel locale che ho aperto qualche mese fa a Schio assieme a mia madre (dice ridendo, ndr). Adesso che poi hanno scoperto la “latte-art”, si divertono a fare decorazioni sui loro cappuccini come veri professionisti del settore.

Quindi ti alleggeriscono il lavoro…

Sì, assolutamente, specie per i dolci. Ad esempio Shackley è molto portata per le crostate. Markus è bravissima nel preparare torte simili a quelle nuziali. Shara Marche, la nutrizionista, invece fa un tiramisù a regola d’arte come dice la ricetta. Con lei è stato davvero molto bello cucinare. Io le ho spiegato certi segreti per fare una buona pasta, lei mi ha insegnato come usare al meglio il lievito oppure alcuni dettagli su altri cibi. Ad esempio per lei mangiare il pane non è così demonizzato come si potrebbe pensare.

C’è qualche ragazza che ha gusti difficili?

No, per nulla. Devo dire che quasi tutte sono di “bocca buona”, come si dice dalle nostre parti. Mangiano la pasta in qualsiasi modo. A parte Elena e Barbara (rispettivamente Cecchini e Guarischi, ndr) che sono abituate alla cucina italiana, devo dire che Vollering e Kopecky mangiano veramente di tutto. Non hanno mai fatto storie se era un piatto che non avevano mai assaggiato. Sono campionesse anche il questo. In ogni caso sono fortunata perché tutte le ragazze, sia in SD Worx che di altre squadre, mi hanno sempre dato dei feed-back veritieri. Io chiedo sempre come sono i piatti che preparo e ci tengo sempre che mi rispondano in modo sincero, specie se non sono venuti bene. Serve per la mia crescita.

Maria Vittoria Sperotto com’è passata dalle volate ai fuochi della cucina?

Sono autodidatta perché mi ero diplomata in un istituto biologico. Credo di aver ereditato inconsciamente e per osmosi la passione per la cucina dalla mia baby-sitter. Ricordo che quando ero bambina, lei continuava a fare da mangiare per me e per i miei genitori che erano al lavoro. Quando poi ho smesso di correre, ho iniziato nel 2022 per caso grazie ad una chiamata del cittì Sangalli. All’epoca avevo fatto un corso da sommelier, in previsione dell’apertura del locale, e da massaggiatrice. Sono andata in trasferta con la nazionale junior e mi sono trovata ogni tanto a fare la pasta nell’hotel in cui dormivamo.

Poi com’è proseguito?

Da lì mi hanno contattato in Ceratizit, con cui ho fatto il Tour Femmes da cuoca. Poi, sempre quell’anno ho fatto la Vuelta con la Cofidis maschile grazie alla segnalazione di Alzini, mia amica. Si partiva dall’Olanda ed avevo un food-truck, quelli da fiera per intenderci. Per fortuna che per raggiungere la Spagna mi ha dato il cambio alla guida un collega, ma per il resto delle tappe ero sempre sola. Esperienza incredibile che rifarei. Infine ad inizio 2023 sono stata chiamata dalla SD Worx per sostituire Shara Marche in maternità, che era anche cuoca oltre che nutrizionista. Ora sono a contatto con Laura Martinelli, bravissima anche lei, e noto i diversi approcci.

Che tipo di cuoca sei?

Sono una ragazza a cui piace confrontarsi con colleghi, staff o ragazze. Mi piace anche proporre piatti nuovi e capire se possono andare bene o meno. Le mie specialità sono i risotti e la carne rossa. L’anno scorso alla fine delle Ardenne con la Jayco, ho fatto una grande grigliata con patatine fritte. Preferisco la cucina industriale di un hotel in cui trovo tutto, ma in quella di una casa sto meglio perché posso fare due chiacchiere con qualcuno dello staff o della squadra.

Quali possono essere gli obiettivi per una cuoca?

Non sono passati tanti anni, ma rispetto a quando correvo io ho notato quanto la nutrizione faccia la differenza nelle prestazioni. Mangiare bene fa bene anche alla mente. Ecco, mi piacerebbe dare un mio contributo attraverso il cibo. E quando i miei atleti vincono, è come se vincessi un po’ anch’io.

Nizzolo fermo ai box, ma già pensa a un grande ritorno

22.01.2024
4 min
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Non sono state feste davvero fortunate per Giacomo Nizzolo. Neanche il tempo di stappare lo spumante che il lombardo si è ritrovato a terra, vittima di una caduta in allenamento a Chur, in Svizzera, che di fatto ha interrotto sul nascere la sua stagione, la prima nella Q36.5.

Passato qualche giorno, l’ex campione europeo sta reagendo innanzitutto nello spirito, primo passo verso la completa ripresa: «Il 12 febbraio – racconta – farò la lastra per vedere se e come si è formato il callo osseo. In base ai risultati si stabiliranno i necessari tempi di ripresa. Intanto vado avanti con la fisioterapia e cerco di affrontare tutto con il sorriso perché sono i rischi del mestiere».

Nizzolo resta tra i più riconosciuti e amati dal pubblico. Alla Q36.5 è come tornare a casa, ha corso in quel gruppo 3 anni
Nizzolo resta tra i più riconosciuti e amati dal pubblico. Alla Q36.5 è come tornare a casa, ha corso in quel gruppo 3 anni
Come è successo?

Non potrei neanche raccontare nulla di speciale. La cosa che più mi dispiace è che è stata una caduta stupida, da solo, di quelle che ne capitano tante nel corso di una carriera. Ma stavolta ha avuto danni davvero pesanti. Proprio non ci voleva.

Il milanese ha chiuso il biennio all’Israel – Premier Tech con due vittorie all’attivo
Il milanese ha chiuso il biennio all’Israel – Premier Tech con due vittorie all’attivo
Oltretutto è arrivata in un periodo delicato, quello del cambio di squadra…

Una caduta simile non è mai piacevole, a maggior ragione quando capita prima del ritiro prestagionale. Avevo avuto occasione di conoscere i miei compagni, lo staff devo dire lo conosco già bene, dai tempi della Ntt e della Qhubeka. Ero contento perché era come se fossi tornato a casa, poi è bastato un attimo di disattenzione per stravolgere tutto.

Cerchiamo di mettere da parte la disavventura e pensare al futuro. Per te approdare alla Q36.5 è, come hai detto giustamente, un po’ ritrovare la strada di casa…

La cosa che più mi ha colpito è che ho rivisto lo stesso entusiasmo di allora, di prima che tutti i problemi portassero alla cancellazione della squadra WorldTour. C’è una gran voglia di crescere e un gruppo affiatato, fra l’altro sin dai primi momenti non mi hanno mai fatto mancare il loro sostegno e il responsabile sanitario Lorenz Emmert segue la mia guarigione con attenzione pressoché costante. L’impressione è stata davvero entusiasmante.

La vittoria più importante in carriera, il titolo europeo conquistato nel 2020 a Plouay
La vittoria più importante in carriera, il titolo europeo conquistato nel 2020 a Plouay
Quando hai chiuso la stagione ti sentivi abbattuto per com’era andato il biennio all’Israel Premier Tech e soprattutto per la tua stagione?

Abbattuto no, perché ho combattuto fino alla fine: non posso rimproverarmi davvero nulla. Certamente però mi aspettavo risultati migliori: ho chiuso la stagione con una sola vittoria in Francia e non è da me. Ma cambiando aria, ho recuperato entusiasmo, sin dalle prime pedalate avevo voglia di ritornare il Nizzolo che tutti conoscono.

Oltretutto tu sei abituato a partire sempre forte, molti tuoi risultati di spessore sono arrivati proprio nella primissima parte dell’annata agonistica…

E’ vero, mi è stato tolto un pezzo importante, ma questo non mi turba. Vorrà dire che troverò la forma un po’ più tardi e per me saranno comunque le prime settimane, dove poter ottenere risultati, solo che saranno altre gare. Il problema è che dovrò ripartire da zero, quanto ho fatto prima è stato pressoché annullato da questo maledetto infortunio. La cosa importante sarà comunque non avere fretta, seguire tutti gli step secondo i tempi giusti. In questo la squadra mi dà sicurezza. Il primo passo sarà recuperare il tono muscolare.

Nonostante il brutto infortunio, Nizzolo guarda con ottimismo al futuro, puntando alla seconda parte dell’anno
Nonostante il brutto infortunio, Nizzolo guarda con ottimismo al futuro, puntando alla seconda parte dell’anno
Entri in una squadra molto composita, con giovani e anziani in egual misura. Dal tuo punto di vista, lavorerai in un team che imposterà le corse in maniera diversa dall’Israel? Quale supporto avrai per le volate?

E’ certamente presto per dirlo, ma io credo che ci siano tanti buoni corridori, ci sia un bellissimo potenziale per costruire un treno di qualità che possa pilotarmi verso il finale nella maniera migliore, possa permettermi di giocare le mie carte al cospetto di chiunque. Poi dipenderà dalla forma che avrò io e quella che avranno gli altri, ma sono ottimista. Ora devo solo aspettare e fare quello che serve, poi verrà il mio momento.

EDITORIALE / L’esempio di Benidorm e la parabola dei talenti

22.01.2024
5 min
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BENIDORM (Spagna) – Sedicimila persone a 18 euro ciascuna (i biglietti andavano da 14 a 20 euro) fanno 288 mila euro: questo è l’incasso stimato ieri per gli organizzatori della Coppa del mondo di ciclocross a Benidorm. In realtà potrebbe essere molto superiore, dato che nei 16.000 andrebbero considerati anche quelli che hanno riempito l’area VIP e Super VIP, i cui ingressi costavano fra i 75 e i 150 euro (ridotti per i bambini). In aggiunta, al conto vanno sommate le consumazioni, che passavano attraverso un braccialetto ricaricabile marcato Pissei. La coda davanti agli stand e le roulotte che vendevano birre e panini era interminabile. Non è difficile valutare che il totale superi abbondantemente i 300 mila euro.

A Benidorm si sono contati circa 16.000 paganti. Biglietti fra 14 e 20 euro, fino a 150 per l’area VIP
A Benidorm si sono contati circa 16.000 paganti. Biglietti fra 14 e 20 euro, fino a 150 per l’area VIP

Il ciclismo che si paga

C’era davvero un sacco di gente a tifare Van Aert e compagni, sfatando il luogo comune del ciclismo sport povero perché non ci sono biglietti da vendere. In realtà i biglietti ci sarebbero, quello che manca è la capacità di immaginare uno sport che oltre ad essere spettacolare, sia anche redditizio. Nei giorni del cross, Benidorm e i suoi hotel si sono riempiti di gente proveniente da ogni angolo di Spagna e d’Europa, soprattutto dal Nord. L’indotto per le strutture ricettive non è quantificabile.

A Gand, per la Sei Giorni che si è svolta lo scorso novembre nel velodromo Kuipke e accoglie ogni sera circa 6.000 persone (3.000 sugli spalti e altrettanti nel parterre ancora più pieno), i biglietti andavano da 27 a 45 euro a serata, fino ai 145 del Vip Cafè Hospitality. A voi il piacere di fare il conto. Ugualmente in Belgio, ma per il Giro delle Fiandre, i Vip paganti sono davvero una folla (dalla colazione all’arrivo passando per il Qwaremont) e pagano prezzi da mille e una notte.

Se un evento richiama migliaia di persone diventa più appetibile anche per gli sponsor, questo è abbastanza chiaro anche per chi di economia mastica ben poco.

Il velodromo di Gand accoglie ogni sera circa 6.000 persone, con biglietti da 27 a 45 euro, più zone VIP
Il velodromo di Gand accoglie ogni sera circa 6.000 persone, con biglietti da 27 a 45 euro, più zone VIP

Il ciclismo nelle città

Si tratta di esempi piuttosto elementari per dimostrare altrettanti aspetti che meriterebbero qualche riflessione aggiuntiva.

La prima è la conferma che il ciclismo, portato nel centro delle città, ha un appeal ancora intatto. Va benissimo la Coppa del mondo a Vermiglio, ma vogliamo mettere la risonanza che avrebbe un cross internazionale a Villa Borghese o al Circo Massimo, in un weekend di ordinario turismo a Roma? Oppure nel centro di Milano o di Verona?

La seconda rende palese quale potrebbe essere il ritorno economico di un movimento fiorente come quello della nostra pista, se solo qualcuno avesse la capacità di guardare oltre la punta del naso. L’Italia è protagonista di mondiali e Olimpiadi, ma non ha un evento per mettere in mostra i suoi gioielli.

Il terzo fa capire che agli organizzatori delle corse su strada basterebbe un pizzico di inventiva per allestire delle zone hospitality nei punti cruciali, smettendo di nascondersi dietro il paravento del “si è sempre fatto così”. Il problema non è pagare. Il problema è pagare senza avere qualcosa di indimenticabile.

Pidcock e i bambini. Quale altro sport consente l’accesso diretto ai campioni? (foto Yago Urrutia)
Pidcock e i bambini. Quale altro sport consente l’accesso diretto ai campioni? (foto Yago Urrutia)

La Sei Giorni di Milano

Anni fa furono quasi 30 mila i tifosi che presero d’assedio la Montagnetta di San Siro per vedere Paola Pezzo e Miguel Martinez gareggiare sulla mountain bike. E furono moltissimi anche i tifosi che nel 1995 si ritrovarono a Villa Ada, nel cuore di Roma, per la prova di Coppa del mondo di mountain bike vinta da Luca Bramati. Mentre il Superprestige di ciclocross faceva tappa fissa nel parco dell’ospedale Spallanzani, meglio noto di recente per aver… ospitato i primi due cinesi presunti portatori del Covid in Italia. Non c’è più nulla.

Tagliamo subito la testa al toro: non si può fare una Sei Giorni a Montichiari. E’ lontana, richiede un viaggio e per questo non attira curiosi. Se invece si prendesse un capannone della vecchia Fiera di Milano o addirittura il Forum di Assago, si affittasse una pista e la si montasse al suo interno, ecco che rinascerebbe la Sei Giorni tante volte promessa e mai mantenuta.

Questa immagine del 1984 ricorda come fosse la Sei Giorni di Milano, con il palazzo sempre pieno
Questa immagine del 1984 ricorda come fosse la Sei Giorni di Milano, con il palazzo sempre pieno

La parabola dei talenti

Chi potrebbe farlo? Se non ci arriva per scelta o intuizione RCS Sport e non ci arrivano per potenza economica le altre società sportive (ovviamente tutto ciò ha un costo), potrebbero farlo gli organizzatori di grandi eventi e concerti. Quelli che campano di biglietti e merchandising. Gli andrebbe proposto e questo potrebbe farlo la Federazione, che ne ricaverebbe un interessante utile.

Sarà forse perché piace la sua concretezza, sarà perché sa muoversi, ma sono tanti quelli che pensano che Cassani la Sei Giorni a Milano l’avrebbe riportata davvero. Lo aveva promesso. Così come a un certo punto si è messo in testa di portare il Tour de France in Italia e ha trovato gli alleati per farlo.

Fare: il verbo è proprio questo. La differenza vera fra lo spettacolo di Benidorm, il gigantismo belga e la nostra dimensione così accorta da sembrare stantia sta proprio nella capacità di immaginare, progettare, rischiare e poi fare. Si segue da decenni un copione identico, si spremono gli sponsor, si va in cerca di contributi pubblici e non si inventa nulla. Un po’ come nella parabola dei talenti, il ciclismo in Italia in tanti casi è gestito da chi ha sotterrato la moneta senza valutare più di tanto la possibilità di guadagnarne altre. Sappiamo tutti come finì con i tre servi del Vangelo di Matteo?