La grande partenza del Giro d’Italia 2025 dall’Albania rappresenta un evento storico, non solo per il ciclismo ma per l’intero Paese adriatico. Un’opportunità unica per accendere i riflettori su una realtà sportiva ancora agli albori, con numeri piccoli, di nicchia, ma che possiede un buon potenziale.
Francesco Frassi, ex commissario tecnico della nazionale albanese dal 2013 al 2016, ci guida alla scoperta di un movimento ciclistico che ha vissuto esperienze pionieristiche e che ora guarda al futuro con rinnovato entusiasmo.
Movimento agli albori
«Il ciclismo in Albania è ancora una realtà di nicchia – esordisce Frassi – quando ho iniziato come commissario tecnico, la Federazione era composta da appena tre persone e si riuniva nel locale del presidente. Una dimensione che può far sorridere, ma che rifletteva la scarsità di risorse e la mancanza di una tradizione ciclistica».
Durante i suoi anni alla guida della nazionale, Frassi ha dovuto affrontare sfide logistiche e organizzative che hanno richiesto una creatività fuori dal comune. Ma forse anche grazie a queste esperienze oggi è uno dei direttori sportivi della Israel-Premier Tech. Grazie all’appoggio di sponsor privati e al coinvolgimento di giovani albanesi residenti in Italia, riuscì all’epoca a mettere sù una squadra. O forse è meglio dire una compagine: un drappello di ragazzi pieni di sogni e speranze pronti a girare il mondo tra mondiali, europei e persino Olimpiadi, come quelle di Pechino 2008.
E una di quelle speranze si realizzò a Firenze nel 2013. Fu un momento memorabile per l’Albania del pedale: arrivò infatti il bronzo iridato nella categoria juniores con Iltjan Nika.
«Quella medaglia – racconta Frassi – è stata un evento storico per l’Albania. Per giorni se ne parlò in televisione, un risultato straordinario per un Paese senza una tradizione. Tuttavia, nonostante il clamore mediatico, le difficoltà strutturali e la mancanza di investimenti hanno impedito di trasformare quel successo in un trampolino di lancio che durasse nel tempo. Non c’era poi tutta questa volontà. Forse i tempi non erano maturi».
Giro già sognato nel 2014
I tempi non erano maturi, ma qualcosa iniziava a covare. Infatti già nel 2014, durante un incontro con i vertici della Federazione, emerse il sogno di portare il Giro d’Italia in Albania. Da quel giorno sono passati dieci anni, undici tra pochi giorni…
«Sembrava un’utopia. Mancavano le risorse economiche e organizzative – ricorda Frassi – oggi quel sogno si è concretizzato, grazie alla volontà del Governo albanese e alla collaborazione con RCS Sport. Il sindaco di Tirana parlava di piste ciclabili… La grande partenza del Giro rappresenta non solo un evento sportivo, ma anche una straordinaria occasione di promozione turistica. L’Albania ha paesaggi spettacolari e sta facendo passi da gigante. Giusto un anno fa sono tornato a Valona per un weekend con la famiglia e quasi non riconoscevo il lungomare. E’ stato rinnovato, è moderno, pieno di vita. Ci sono spiagge bellissime e anche l’entroterra è affascinante».
Frassi, poi accenna anche ai percorsi albanesi e parla di salite impegnative proprio dell’entroterra. Secondo lui nei giorni del Giro si offrirà uno spettacolo unico: «Sarà una vetrina mondiale per un Paese che ha tanto da offrire, non solo agli appassionati di ciclismo ma anche ai turisti».
L’occasione rosa
Il Giro potrebbe rappresentare la scintilla per avvicinare più persone alla bicicletta e per promuovere uno stile di vita più sostenibile. Si spera possa essere un grande volano. Per ora si che la base è piccola e le sfide non sono poche. Tuttavia esiste dal 1936 il Giro di Albania e l’attività giovanile, seppur a macchia di leopardo, c’è.
«Le basi organizzative – dice Frassi – sono ancora fragili. Io per esempio ricordo i campionati nazionali. Si svolgevano su percorsi incredibili e la partecipazione era limitata: la gara elite vide venti partenti su un percorso di 180 chilometri quasi tutto dritto e pianeggiante. Avevano segnato in terra con la vernice una sorta di rotatoria, il giro di boa: 10 chilometri in un senso e 10 in un altro. Nel mezzo un cavalcavia e all’arrivo o sulle strade pochissima gente.
«Eppure, i giovani talenti non mancano. Durante il mio periodo come cittì, ho incontrato ragazzi determinati, come Kosty o Bezmir, che hanno mostrato il potenziale del movimento. Il problema principale rimane la mancanza di un sistema strutturato per coltivare i talenti. Alla fine grazie ai miei contatti portammo l’Amore&Vita in Albania e di fatto fu la prima squadra UCI del Paese. Vincemmo anche qualche corsa. Ma senza investimenti in infrastrutture e formazione, il ciclismo rischia di rimanere uno sport di nicchia. Speriamo che il Giro d’Italia in tal senso possa fare qualcosa. Quando un bambino vede i campioni passare sotto casa, può nascere in lui il desiderio di salire in sella. Questo è il primo passo per costruire una cultura ciclistica».