L’ansia nei giovani atleti esiste e può fare tanto male

06.02.2024
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Il ragionamento fatto ieri nell’editoriale sulla fragilità dei corridori più giovani è da un paio di anni uno dei temi più dibattuti nel mondo dell’educazione. Il punto è proprio capire che gli atleti in quanto tali non sono immuni da ciò che accade attorno a loro e che i loro pochi anni, sia pure con la maturità superiore prodotta dall’attività agonistica, li rendono comunque fragili. Non tutti allo stesso modo, ma sarebbe sbagliato pensare che i migliori valori fisici possano coprire l’ansia e tutto quanto è accaduto nei ragazzi dopo il lockdown. Anche se nel mondo dello sport vigono regole spesso miopi per cui simili problemi si nascondono, quasi sia peccato parlarne.

Crini 2022
La psicologa piemontese Manuella Crini affronta con noi uno dei fenomeni più diffusi fra gli adolescenti
Crini 2022
La psicologa piemontese Manuella Crini affronta con noi uno dei fenomeni più diffusi fra gli adolescenti

Le scorie del Covid

Ne abbiamo parlato con Manuella Crini, psicologa con cui già in passato abbiamo affrontato tematiche importanti come i disturbi alimentari negli atleti. Che cosa succede nella testa di un ragazzo che non sia perfettamente a posto, davanti alle pressioni sempre crescenti dell’attività sportiva?

«Le restrizioni dopo il Covid – dice – hanno fatto sì che la vicinanza con i coetanei sia stata molto limitata, mentre la nell’adolescenza il confronto con i pari età è importantissimo. Tanti si sono trovati chiusi in situazioni familiari di ogni genere, anche le meno prevedibili, e nella maggior parte dei casi questi ragazzini non hanno potuto confrontarsi coi loro coetanei e hanno sviluppato molta più ansia. Questa ha preso forme diverse, come l’aumento dei disturbi alimentari, l’aumento delle dichiarazioni di transgenderismo di fronte alle quali il mondo dello sport è bloccato e quasi rifiuta di prenderne atto, l’autolesionismo, difficoltà scolastiche e l’abbandono scolastico.

«Siamo animali sociali, perciò se mi tieni chiuso in una gabbia, cambi la mia natura. Quanto durano questi effetti? Se faccio crescere una pianta dentro una scatola chiusa, le sue radici prendono una forma diversa. E l’adolescenza è un momento chiave per la formazione della personalità dell’individuo. Certi eventi traumatici rischiano di lasciare segni indelebili».

Gabriele Benedetti si è ritirato a inizio 2023, ad appena 23 anni, svuotato di motivazioni (foto Instagram)
Gabriele Benedetti si è ritirato a inizio 2023, ad appena 23 anni, svuotato di motivazioni (foto Instagram)
Parliamo di corridori, che vengono spesso ritenuti invincibili. E’ possibile che questa ansia magari sottovalutata venga fuori quando il livello si alza tantissimo?

Puoi essere ansioso in ogni fase, però nel momento in cui vai verso una prova che ti crea stress, il problema può venir fuori più amplificato. E’ un disagio, chiamiamolo così, che trovi prima della gara o alla vigilia del primo esame universitario. Solo che magari di colpo ha conseguenze peggiori perché, non avendo mai gestito prima l’ansia, è una cosa che ti spaventa. Non controlli più il tuo corpo e quindi ti agiti e l’ansia diventa paralizzante. Prima a livello di pensiero e poi anche di movimento. Due elementi che poi, all’interno di una competizione, vanno indubbiamente ad inficiare la prestazione.

Come si fa a capire che ne soffri?

Prima di tutto l’atleta deve riconoscere che c’è qualcosa che lo blocca al livello della prestazione. Si va poi a capire se quel blocco è preceduto o meno da una paura oggettiva. Vanno esplosi i pensieri paurosi, perché dietro ce ne sono altri che possono essere la paura di vincere e non solo la paura di perdere. Come tutte le cose, se la intercetti subito, l’ansia non cresce. Se sa riconoscerla, puoi imparare ad utilizzare dei meccanismi per far sì che non degeneri. Se resta a un livello fisiologico, allora l’atleta riesce persino a servirsene, perché attiva l’organismo. Però il lavoro va fatto sul pensiero, che poi genera stati emotivi. E dietro non c’è sempre la gara, perché parliamo di adolescenti.

Cioè?

Il pensiero da cui tutto parte può essere banalmente la paura di perdere la fidanzata appena conosciuta, perché se vado avanti con le gare, presto mi troverò a non aver più tempo per lei o per gli amici. Oppure ci può essere il desiderio di gratificare i genitori e non deluderli. E’ una fase talmente delicata della vita, in cui si fa anche fatica a trovare è l’evento scatenante dell’ansia.

Il ciclismo è uno sport talmente impegnativo, che diventa insormontabile se non si è convinti al 100 per cento (foto Tornanti_cc)
Il ciclismo è uno sport talmente impegnativo, che diventa insormontabile se non si è convinti al 100 per cento (foto Tornanti_cc)
Quanto la motivazione di arrivare in una squadra importante può far passare inosservata l’ansia?

La grande motivazione ti aiuta molto a trovare le risorse per dare un senso all’ansia. La preoccupazione, più che altro, è che parto con queste grandi aspettative che non so tenere nelle mani, perché sono un ragazzino. Quindi mi faccio grandi sogni, grandi progetti incoraggiati dal mondo in cui vivo e non ne costruisco altri perché ho solo lo sport. E se poi a 18-19 anni, vengo buttato fuori da quel mondo, che cosa resta di me?

E cosa succede?

Se non ho lavorato prima sull’ansia, rischio veramente di cadere in depressione. La stiamo banalizzando per renderla comprensibile, però perdendo un obiettivo di vita, il rischio è di sentirsi falliti. E il senso di fallimento è qualche cosa che ti priva del tutto della motivazione e non ti dà altri obiettivi di vita. Quindi mi domando se ci sia effettivamente un piano B per questi ragazzini, che sia sempre nell’ambito sportivo o in parallelo con la scuola.

Il piano B difficilmente esiste, perché le pressioni ci sono e richiedono la massima dedizione. Bisognerebbe capire se le attese siano troppo grandi in rapporto alla loro età…

Penso che ci siano sempre pretese troppo alte, perché si pretende che dimentichino di essere ragazzini. Considerando che l’adolescenza psicologica termina intorno ai 25 anni, questi ragazzini vengono adultizzati in maniera troppo prematura. E a quel punto fanno fatica anche a capire se veramente quella è la loro strada. Perché è una strada veramente costellata di sacrifici e devi essere disposto a farli perché li vuoi fare e non perché ti ci hanno messo con lo specchietto per le allodole.

Non avere più un obiettivo, ancorché da giovani, può portare alla depressione (immagine depositphoto.com)
Non avere più un obiettivo, ancorché da giovani, può portare alla depressione (immagine depositphoto.com)
Il fatto che fisicamente siano già adulti può allontanare il senso di fragilità?

Questa apparente maturità può trarre in inganno l’ambiente circostante e anche loro stessi, dandogli un senso di libertà nell’esprimersi che può trarre in inganno chi non ha competenze specifiche. Ma se la guardiamo dal lato della pedagogia dello sviluppo, sappiamo quanto in realtà l’adolescenza sia un momento tremendamente drammatico e fondamentale, per lo sviluppo di una psiche sana. Quando sei adulto, riesci a reggere di più, mentre se tratti i ragazzini da adulti, rischi di fargli molto male. Si picchia sull’autostima, altro concetto sottovalutato, e finisci che il ragazzo non crede più in se stesso.

Daniel Oss di nuovo in gruppo, da ambassador del TOTA

06.02.2024
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Qualche giorno fa il Tour of the Alps ha annunciato la collaborazione con Daniel Oss. «Sarà il nostro ambassador», tanto per sintetizzare il tutto. E ci sta. Oss è un ragazzo brillante, è un freschissimo ex pro’, è trentino… Insomma c’erano, e ci sono, tutti i presupposti per una storia che è già interessante (in apertura Daniel Oss, foto di Giacomo Podetti).

Quest’anno il TOTA, abbreviazione Tour of the Alps, andrà in scena dal 15 al 19 aprile. Cinque tappe nell’Euroregio, vale a dire quella zona a cavallo fra Austria e Italia, puntinata dalle cime forse più belle del mondo e solcata dalle valli più affascinanti. E in questo contesto, fra squadre WorldTour, professional e continental, e tappe stuzzicanti, ci sarà anche Daniel Oss appunto.

Dal Sud Africa, dove si trova ora con il team Specialized per provare i modelli gravel in vista del nuovo scorcio di carriera, Oss ci spiega meglio questa avventura.

Daniel Oss (classe 1987) fra il general manager del Tour of the Alps, Maurizio Evangelista, e il presidente del GS Alto Garda, Giacomo Santini (foto Giacomo Podetti)
Daniel Oss fra il general manager Evangelista, e il presidente del GS Alto Garda, Santini (foto Giacomo Podetti)
Daniel, come nasce dunque questa collaborazione con il GS Alto Garda, società organizzatrice del TOTA?

Mi ha contattato il GS Alto Garda, la società organizzatrice del TOTA, tramite Maurizio e David Evangelista (che con la loro Vitesse curano il coordinamento organizzativo e la comunicazione della corsa, ndr). Siamo vicini di casa e mi hanno fatto questa proposta che io sposato subito con naturalezza per diverse ragioni. Innanzitutto perché è il nostro territorio e in generale perché c’è una certa empatia per questa gara. Io ho dedicato del tempo al mio territorio. Ho sempre vissuto in Italia. Durante le uscite valorizzavo “casa mia” facendone la palestra di allenamento e mostrandolo sui social… e tutto ciò rispecchia anche i valori del TOTA. Senza contare gli aspetti legati al turismo e all’organizzazione stessa della gara.

Insomma c’era una certa affinità…

Esatto, io poi continuo a pedalare ma lo faccio da un punto di vista diverso, un punto che tuttavia può essere comunque affine al TOTA. Anche perché io tecnicamente non lo ero, visto che è una corsa per scalatori. Anche se ai tempi della BMC aiutai Cadel Evans a conquistare la maglia ciclamino.

Quale sarà il tuo ruolo? Cosa ti vedremo fare?

Quello di far parlare della corsa e di raccontarla. Stare con gli ospiti, i giornalisti e i corridori. E tutto ciò mi entusiasma e mi lusinga. Raccontare il pre e post tappa. In più sono previste delle social ride. Credo sia importante essere presente sul posto.

Nel 2014 grazie alla cronosquadre di apertura, Oss indossò il simbolo del primato dell’allora Giro del Trentino poi divenuto TOTA
Nel 2014 grazie alla cronosquadre di apertura, Oss indossò il simbolo del primato dell’allora Giro del Trentino poi divenuto TOTA
Prima si è detto da un punto di vista diverso. Anche Nibali al Giro ha assaporato questa situazione…

Stare vicino a David e Maurizio mi consentirà di vedere tante cose che da atleta ti sfuggono e mi piace imparare questi dettagli, scoprire queste cose. Potrebbe essere anche l’inizio di qualcosa di nuovo.

Seguirai i social ufficiali?

Vediamo, di sicuro sarò presente sui social. Miei o della corsa, sono un canale molto importante.

Daniel, hai parlato di valori. Spiegaci meglio…

Il TOTA è una corsa che offre spettacolo. Ha percorsi belli, scenografici e la corsa stessa è dinamica grazie ai suoi tracciati mai troppo lunghi. Io stesso ho fatto delle ricognizioni e posso dire che sono percorsi perfetti per lo show.

Sei un corridore, conosci quelle strade, che Tour of the Alps ci possiamo aspettare da un punto di vista tecnico?

Come sempre sarà duro. E su questo non ci sono dubbi. Sarà un banco di prova per coloro che puntano a fare bene al Giro d’Italia, ma c’è anche chi viene per vincere la corsa. E il valore dell’evento lo si nota anche perché c’è proprio chi non viene, perché sa che non può fare bene, non può vincere o non è in condizione. Segno dunque che è una gara importante.

Ci saranno da fare un totale di 709 chilometri in 5 tappe, con 13.250 metri di dislivello: c’è un passaggio o un momento chiave?

Credo che tutto sia collegato allo show. Mi spiego: non ci sono salite super lunghe di 10-15 chilometri che potrebbero ammazzare la corsa e che poi in quel periodo si rischierebbe di non affrontare per questioni meteo. E poi ci sono i circuiti finali, nei paesi, dove c’è la gente. Il tutto per rendere la corsa interessante e spettacolare appunto. 

Quindi gara aperta fino alla fine?

Salvo azioni particolari, non ci sarà un vincitore con minuti di vantaggio. Le prime frazioni sono più da studio, mentre le ultime due, in Valsugana e nella Valle dei Mocheni, saranno decisive. Sono tappe in cui la squadra è molto importante per quei tratti di transizione. Tratti in cui se un uomo di classifica resta solo rischia di pagare molto.

Matteo Milan: la Lidl-Trek e il confronto (positivo) con i grandi

05.02.2024
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Abbiamo parlato tanto, in questi giorni, del confronto positivo di cui beneficiano i ragazzi dei devo team o direttamente delle formazioni WorldTour. Pedalare accanto a gente che va forte, e che rappresenta l’elite di questo sport accende qualcosa. Ce lo aveva detto inizialmente Giulio Pellizzari, analizzando la vittoria di Del Toro al Tour Down Under. Sono seguite, alle parole del giovane marchigiano, le frasi di Markel Irizar, responsabile della Lidl-Trek Future Racing.

«I ragazzi – ha detto – crescono tantissimo nel confronto. Soprattutto quando ci alleniamo tipo gara e ne escono con tanta fiducia in più. Un giorno in ritiro, Mads Pedersen ha voluto radunarli e parlarci. Non so cosa abbia detto, ma alla fine del ritiro li abbiamo trovati cresciuti nelle performance e nella consapevolezza».

Matteo Milan (a destra) ha esordito con la maglia della Lidl-Trek alle gare di Maiorca (foto Lidl-Trek)
Matteo Milan (a destra) ha esordito con la maglia della Lidl-Trek alle gare di Maiorca (foto Lidl-Trek)

Pedersen il faro

Quando un corridore come Mads Pedersen prende un’iniziativa del genere, va seguita e approfondita. Allora abbiamo deciso di chiedere a uno di questi giovani cosa vuol dire vivere certe situazioni, e Matteo Milan ha risposto alle nostre domande. 

«In squadra non c’è distinzione – racconta Matteo – vogliono farci sentire parte dello stesso gruppo. Questo vale per tutti team: uomini, donne e under 23. Pedersen è stato uno di quelli che, dal lato dei corridori, ha voluto spingere molto su questo concetto. Ci ha detto che non dobbiamo intimidirci, ma parlare, chiedere e confrontarci. Soprattutto in ritiro, dopo 15 giorni insieme si abbattono un po’ tutte le barriere. Ci ha detto che crede in un gruppo amalgamato, perché in futuro noi potremmo trovarci a tirare per lui. Ma non ha escluso, con grande umiltà, che se un giorno verrà fuori un campione dalla nostra squadra, anche lui potrebbe tirare per noi. E allora è giusto conoscersi e pedalare insieme».

Correre con i pro’ alza il livello e dà una marcia in più quando torni tra gli U23 (foto Lidl-Trek)
Correre con i pro’ alza il livello e dà una marcia in più quando torni tra gli U23 (foto Lidl-Trek)
Come siete usciti dopo questo colloquio?

Motivati, cresciuti, insomma migliorati. Sia nelle performance che nella consapevolezza che il percorso è quello giusto. 

Vi siete confrontati anche su strada con loro?

Sì, io ho sfidato Tao (Geoghegan Hart, ndr) e Skjelmose in salita. Ci siamo sfidati, durante il ritiro, anche se la salita non è esattamente il mio campo. Una simulazione di gara, controllata, ma pur sempre a tutta. E’ uscita una sfida dura, anche perché fatta con gente di un certo calibro. Quando loro aprono il gas si va. Da Tao e Skjelmose mi sono staccato, però mi sono divertito, mi sono gasato, sono anche sensazioni belle da provare a inizio stagione. Provi a starci dietro, vedi che ce la fai…

E loro che ti dicevano?

A tavola Geoghegan Hart mi prendeva un po’ in giro, dicendo che mi aveva visto staccarmi. Però aspetterò il confronto in volata, quello è più il mio campo e posso difendermi meglio (dice con una risata, ndr). Ma mi trovo anche a scherzare e parlare con Consonni o con mio fratello Jonathan. 

Che rapporti hai con lui ora che siete praticamente sotto lo stesso tetto?

Ogni tanto gli chiedevo dei pareri. In ritiro qualche volta bussavo alla sua camera per parlare e fare delle domande. A casa ci vediamo di più, anche se capita di incrociarci per pochi minuti. Jonathan ha guardato le mie gare a Mallorca e mi ha dato dei consigli: posizione, dove spingere o cosa avrei potuto fare. Al di là che sia mio fratello, è sempre bello imparare da chi ne sa. Spesso ci troviamo anche a confrontare i dati delle nostre corse. 

E com’è andato l’esordio in Spagna?

Duro, con tanti corridori di alto livello e in buona condizione. E’ difficile essere competitivi, ma sono soddisfatto di quanto dimostrato, in particolar modo a livello di valori e performance. Era anche giusto che non fossi al top, i miei obiettivi stagionali saranno più avanti.

I ragazzi del devo team devono sentirsi pienamente parte del progetto (foto Lidl-Trek)
I ragazzi del devo team devono sentirsi pienamente parte del progetto (foto Lidl-Trek)
Cosa porti a casa?

Consapevolezza e fiducia. So che se ti confronti con i professionisti quando torni a gareggiare con gli under 23 hai una marcia in più. Non è il risultato che conta ma la crescita. 

E l’ambiente Lidl-Trek come lo trovi?

Bello, stimolante e stancante. Gli allenamenti sono tosti, e si fanno sentire. Però l’ambiente è fantastico, mi sembra tutto nuovo, di vivere una struttura di squadra diversa. Siamo trattati come i pro’, come avrete capito da quello che ho detto prima, facciamo quasi le stesse cose. Mi piace, e sono contento di queste prime esperienze.

La Valenciana promuove McNulty, che ora vuole di più

05.02.2024
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Alla fine la Volta a la Comunitat Valenciana l’ha vinta lui, Brandon McNulty, l’americano della Uae. E non è un caso, perché ci teneva a iniziare la stagione riannodandosi subito a quella passata, forse quella della svolta nella sua carriera. A 25 anni, dopo 4 stagioni alla Uae e con la tranquillità che deriva da un contratto fino al 2027, l’uomo di Phoenix si conferma adattissimo alle corse brevi a tappe, ma vuole di più.

Per capire chi sia Brandon McNulty bisogna andare un po’ indietro nel tempo e rivivere la gara olimpica di Tokyo 2021. Erano rimasti in pochi a giocarsi la medaglia d’oro, Pogacar aveva già tentato la sua carta sull’onda del trionfo al Tour, ma a un certo punto fu proprio McNulty a prendere l’iniziativa, ad agganciare lo scatenato Carapaz. L’ecuadoregno volò verso l’oro, a Brandon invece finirono le energie, ma con il carattere riuscì a conquistare un 6° posto di prestigio. Esaurendo tutte le energie, infatti alla successiva cronometro fu un comprimario.

McNulty sul podio tra Buitrago, 2° a 14″ e Vlasov, 3° a 17″. 4° l’italiano Tonelli a 20″
Il podio finale della Volta, con Vlasov suo grande rivale già nelle 3 corse in linea iberiche precedenti

L’importanza dei Giochi

«Quando tornai a casa – racconta McNulty – tutti mi fermavano, ma nessuno mi chiedeva del Tour. Tutti dicevano che avevano visto i Giochi e avevano trepidato per me. E’ lì che ho capito quanto sono importanti e per questo mi sono messo in testa di puntare alla crono di Parigi. Soprattutto dopo la prestazione dei mondiali di Glasgow, dove sono finito ai piedi del podio battendo gente molto più qualificata di me».

L’americano non è propriamente uno scalatore, anche se in salita si difende più che bene, ma nella tappa decisiva della corsa iberica, quella di sabato che portava a Alto del Miserat, ha sfruttato le sue caratteristiche principali.

«Ho visto che potevo giocarmi le mie carte – spiega – e la squadra è stata perfetta nel portarmi alle pendici della salita nella posizione migliore. Ho sfruttato la parte pianeggiante per lanciarmi verso la più dura con un buon vantaggio che poi ho gestito dal ritorno di Buitrago e Vlasov. Sapevo di avere buone gambe e volevo sfruttarle per iniziare bene l’anno».

L’americano con Van Eetveld, poi vincitore del Trofeo Serra Tramuntana su Vlasov e lo stesso McNulty
L’americano con Van Eetveld, poi vincitore del Trofeo Serra Tramuntana su Vlasov e lo stesso McNulty

Mirino sulle classiche

McNulty si conferma quindi un ottimo elemento per le brevi corse a tappe. Vincitore del Giro di Sicilia nel 2019, quand’era ancora alla Rally UCH Cycling, secondo lo scorso anno al Giro del Lussemburgo, lo statunitense alza però il suo mirino: «Io voglio fare meglio anche nelle corse più lunghe – dice – intanto fino a una settimana di durata per poi vedere se, oltre che aiutare gli altri e puntare alle tappe, posso fare uno step in più anche nei grandi Giri. Ma soprattutto voglio di più da me stesso nelle classiche, in quelle Monumento.

«Liegi e Lombardia ad esempio sono percorsi che si adattano alle mie caratteristiche, dove posso affrontare chiunque. Tuttavia per un verso o per l’altro non sono mai riuscito ad affrontarle al meglio della mia condizione e sono curioso di sapere che cosa potrei fare. Gare d’un giorno le ho vinte, ma quelle sono speciali».

A Glasgow, McNulty ha chiuso 4° a 1’27” da Evenepoel. Lì è nato il progetto della medaglia olimpica
A Glasgow, McNulty ha chiuso 4° a 1’27” da Evenepoel. Lì è nato il progetto della medaglia olimpica

Alla scoperta di se stesso

La vittoria alla Valenciana può servire all’americano per darsi quelle risposte che, come testimoniato anche a inizio stagione in una lunga intervista a Velo, deve ancora trovare.

«Mi sento ancora – dice – come se dovessi capire che tipo di ciclista sono. Ok le corse a tappe brevi, ma vedo che vado forte anche nelle cronometro e certe volte emergo nelle corse in linea. Sento però che posso fare un ulteriore salto.

«Mi accorgo che ogni anno che passa miglioro sempre meno, ma miglioro. Questa sarà la mia quinta stagione nel WorldTour, ho ancora da imparare e quindi posso fare ancora di più. L’anno scorso però è stato importante, è come se avessi fatto “clic”. Ho avuto buoni numeri e buone opportunità, poi per vincere serve anche fortuna, che tante cose combacino».

Lo sprint vittorioso dello statunitense a Bergamo, battendo Healy e Frigo. In classifica ha chiuso 29°
Lo sprint vittorioso dello statunitense a Bergamo, battendo Healy e Frigo. In classifica ha chiuso 29°

La vittoria più importante

McNulty abbiamo imparato a conoscerlo anche qua in Italia, per la vittoria a Bergamo all’ultimo Giro d’Italia: «Per me è stata la più importante della mia carriera – ricorda – la più esaltante, seguita subito dopo dalla prestazione nella cronometro di Glasgow. Quel giorno ho capito che posso giocarmela in una specialità che è davvero particolare. Certe volte penso che sia come una corsa agli armamenti. Per andar forte non basta allenarsi, esercitarsi, molto influisce il mezzo, un po’ come nella Formula 1. Serve che la bici sia al top e così le ruote, i pneumatici e così via. Per questo d’inverno si è lavorato un po’ su tutto, perché se vorrò giocarmi le mie carte a Parigi dovrà essere tutto perfetto. Soprattutto dovrò uscire dal Tour a bomba perché il Tour sarà fondamentale».

Intanto però la stagione è appena iniziata e la vittoria alla Valenciana non ha placato la sua fame: «Mi aspetta l’Uae Tour e poi la Parigi-Nizza. Vediamo di fare qualche altro passo in avanti…».

EDITORIALE / Vent’anni senza Pantani e la lezione dimenticata

05.02.2024
5 min
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Fra dieci giorni, sarà un mercoledì, ricorreranno vent’anni dalla morte di Pantani. Il tempo vola, ma dalla fine di Marco i giorni sono stati lenti e feroci come l’aratro che spacca le zolle e lascia dietro solchi profondi. Chi l’ha conosciuto ci fa i conti ogni giorno, altri ci salgono sopra all’occorrenza.

Pogacar e Pantani

Sembra che se ne vergognino. Quando senti che Pogacar non sa troppo bene chi fosse, da una parte ti viene di dargli ragione: non è italiano ed è nato due mesi dopo il trionfo di Pantani a Parigi. Se però sei il numero uno al mondo e ti accingi a tentare la doppia impresa che per l’ultima volta riuscì all’italiano di cui ignori la storia, allora forse qualcuno della tua squadra te la potrebbe raccontare. Non sarebbe un danno, anzi. E coglieresti tutti alla sprovvista dimostrando di averne studiato il calendario e le tattiche.

Vent’anni fa a Cesenatico i funerali di Marco Pantani : un pugno nello stomaco e un dolore che non passa
Vent’anni fa a Cesenatico i funerali di Marco Pantani : un pugno nello stomaco e un dolore che non passa

Invece in questo tenerlo volutamente ai margini, c’è qualcosa di anomalo, quasi che il passato in cui sono stati coinvolti tutti o quasi i dirigenti delle attuali squadre WorldTour sia un imbarazzo che è meglio non rievocare. Freud disse che i figli per diventare grandi devono uccidere (metaforicamente) i padri, questo però il ciclismo non l’ha fatto. Ha preferito dimenticare o tentare di farlo, mantenendo i padri al loro posto e lasciando che i figli facessero i conti con il loro passato.

Percentuali da leggere

La storia di Pantani potrebbe offrirci tanti spunti. Il suo sacrificio avvenne quando era così in alto, che la caduta fu terrificante. Ma chi c’era e lo conobbe quando era ancora Marco, ricorda le sue perplessità su un ambiente che, ieri come oggi, guardava all’atleta e non all’uomo. In quegli anni le criticità erano di un tipo, oggi sono diverse ma non per questo meno urgenti. Ieri la selezione fra i giovani si faceva con la predisposizione al compromesso, oggi si basa sulla loro resistenza nervosa.

Il mondiale juniores è ormai una vetrina per gli acquisti, oggetto di attenzione di team e agenti
Il mondiale juniores è ormai una vetrina per gli acquisti, oggetto di attenzione di team e agenti

Li allevano perché siano potenti e scaltri. Li selezionano in base ai watt del motore. Fanno leva sull’esuberanza e la superficialità dei 18 anni. Li prelevano dalla culla e li inseriscono nella catena di montaggio. Li trasferiscono in case in affitto, cercando la convenienza fiscale. E se alla fine alcuni riescono, la loro sagoma sarà abbastanza grande da fare ombra a quelli che nel frattempo non ce l’hanno fatta e sono tornati indietro sconfitti e svuotati. Quando saranno passati abbastanza anni da poter elaborare una statistica, capiremo a cosa abbia portato questa rincorsa ai giovani migliori.

Il peso delle attese

Chissà cosa pensano gli psicologi quando hanno a che fare con i ragazzini dell’ondata più recente. Quale preparazione hanno i direttori sportivi e gli allenatori di adolescenti che, a scapito di strutture fisiche già formate, hanno una maturità ancora in divenire? E in che modo vengono gestite le loro fragilità, che immancabilmente salteranno fuori di fronte all’insuccesso o al periodo difficile? Se ne parla o si nascondono sotto il tappeto?

Pellizzari potrebbe saltare nel WorldTour dal 2025, quando avrà tre anni da pro’ nelle gambe e ne avrà compiuti 21(photors.it)
Pellizzari potrebbe saltare nel WorldTour dal 2025, quando avrà tre anni da pro’ nelle gambe e ne avrà compiuti 21(photors.it)

La Gazzetta dello Sport ha scritto che Pellizzari sarebbe indirizzato verso la nuova Bora-Hansgrohe. Un cammino coerente, dopo tre anni nei professionisti, ma non è così per tutti. Ieri Viezzi ha vinto il mondiale di ciclocross: una disciplina ormai sotto la lente per la capacità di lanciare ottimi atleti. Quanta gente avrà addosso il friulano già durante questa seconda stagione da junior? Oppure c’è Federica Venturelli, chiamata a dare il massimo su strada, nel cross, all’Università e su pista, al punto che malgrado i 19 anni il suo nome circoli anche in proiezione olimpica. E’ davvero facile come sembra rendere conto a tutti gli impegni?

Felicità e stress

Rastelli ha smesso di correre, parlando di stress. Prima di lui lo aveva fatto Gabriele Benedetti e un anno fa è stata la volta di Mattia Petrucci, neoprofessionista, che parlò di felicità perduta. Si è fermato Raccani, promesso sposo alla Soudal-Quick Step e poi passato alla Eolo-Kometa. Altri, diventati professionisti troppo presto o non ancora pronti, sono stati respinti e sono tornati nelle continental. Si potrà obiettare che a fronte dei più deboli che mollano, ce ne sono tanti altri che resistono: gli esponenti di una razza selezionata. Può darsi che sia così, siamo tutti convinti che sia giusto?

Simone Raccani si è ritirato dopo appena otto mesi tra i professionisti
Simone Raccani si è ritirato dopo appena otto mesi tra i professionisti

Bandane e libri

Fra dieci giorni, sarà un mercoledì, ricorreranno vent’anni dalla morte di Pantani. Abbiamo scelto di parlarne ora per approfondire un tema e non finire nell’onda di quelli che per l’occasione tireranno fuori la bandana e la foto ricordo. Chi scrive sa bene chi fosse Marco. Nelle vetrine sono già spuntati scritti e copertine che lo vendono una volta di più. Ma quale parte del suo messaggio è stata colta, capita e messa a frutto? In che modo i corridori di quegli anni, oggi direttori sportivi, si oppongono al commercio dei ragazzini?

Alla fine, in attesa che Pogacar tenti la doppietta di Pantani e allontani ancora di più (qualora ci riesca) la memoria dell’italiano di Cesenatico, poco è davvero cambiato. Sono diverse le bici, sono cambiati calendari, preparazione e alimentazione. Si fanno ritiri in altura e si descrive ogni cosa attraverso numeri e parametri. Ma alla base ci sono sempre giovani uomini e giovani donne, ciascuno con la sua storia da raccontare, schiacciati dai budget faraonici degli squadroni. Queste strutture così potenti e corazzate sono avvitate sulla loro carne ancora tenera. Basta averlo ben presente e poi scegliere di andare avanti.

Sella e manubrio: piccoli interventi in base allo stato di forma

05.02.2024
4 min
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«Dopo il Giro d’Italia ero talmente stanco che la mia muscolatura si era accorciata e così in accordo con i tecnici, ho abbassato un po’ la sella. Poi, una volta recuperato, l’ho rimessa nella sua posizione alla ripresa delle preparazione». Parole di Marco Frigo, giovane corridore della Israel-Premier Tech, che nel parlare della sua preparazione in vista della stagione ci ha raccontato questo aneddoto tecnico della scorsa estate.

Ma Frigo non è e non è stato il solo ad aver apportato dei piccoli interventi di posizione e quindi biomeccanici al variare della condizione fisica. E di questo tema parliamo con Alessandro Colò.

Colò è un ex corridore che si è laureato in Ingegneria e da qualche anno dirige un importante centro dedicato al ciclismo a 360 grandi, Body Frame. «Ho un centro a La Spezia – dice – dove mi avvalgo della collaborazione di un osteopata, un tecnico fisioterapista, un nutrizionista e un preparatore. In più ci sono io che curo la biomeccanica».

Alessandro Colò nel suo centro a La Spezia
Colò nel suo centro a La Spezia
Alessandro, partiamo dalla storia di Frigo. Si fanno spesso interventi simili?

Spesso no, in quanto parliamo comunque di livelli molto alti, estremi. Interventi che hanno senso appunto per i pro’, per i corridori che hanno una certa sensibilità, ma non avrebbero senso per gli amatori. Parliamo di millimetri: 2-5 millimetri al massimo. Quindi non sono cambiamenti che ti stravolgono la posizione.

Cosa sarebbe successo ai muscoli di Frigo se avesse continuato a pedalare con la sella “pre-Giro” e i muscoli “corti”?

Nulla di particolarmente importante. E’ come se avesse pedalato con la sella leggermente più alta e quindi il suo bacino avrebbe oscillato un po’ di più sulla sella stessa. Ma sono soprattutto sensazioni. E bisognerebbe chiederle a lui. Il difetto maggiore in cui poteva incorrere sarebbe stato quello di perdere un po’ della rotondità della pedalata.

Come fai tu per capire se un atleta ha bisogno di variare la sua altezza di sella?

Posso spiegare il mio metodo per individuare l’altezza di sella. Un metodo che ha tre step principali. Il primo: misuro l’altezza del cavallo con la classica formula dell’altezza moltiplicata per 0,885. Già così ottengo una buona approssimazione, con una tolleranza di 1-2 centimetri. Il secondo step: è l’utilizzo del simulatore. Prima però, per affinare il tutto, analizzo le scarpe e i pedali che usa e la sua flessibilità. Chiedo che tipo di attività svolge e a che livello: è un pro’, un cronoman, un triathleta… A quel punto lo faccio pedalare sul simulatore e misuro gli angoli, il più importante dei quali è quello tra tibia e femore, che deve stare entro certi parametri, e a cascata quello della caviglia. In particolare quando poi analizzo il piede con dei sensori vedo due parametri: la rotondità della pedalata e la curva di coppia della spinta. Il terzo step: è quello del sensore pressorio della sella. Questo mi permette di misurare i punti di pressione delle ossa ischiatiche sulla sella. Più il ciclista oscilla e più è alto.

Quando Pozzato entrava in forma e raggiungeva il peso ideale, sentiva l’esigenza di alzare la sella di qualche millimetro
Quando Pozzato entrava in forma e raggiungeva il peso ideale, sentiva l’esigenza di alzare la sella di qualche millimetro
Un’analisi approfondita…

In questo modo riduciamo o annulliamo la quel margine d’errore che emerge dalla formula inziale. 

Anche Pozzato era solito intervenire sulla posizione nel corso della stagione. Quando dimagriva abbassava la sella…

Anche qui ha senso, ma sempre per un pro’. E anche in questo caso parliamo di millimetri. Perdendo peso, diminuisce lo spessore dermatologico, tra cute, liquidi, adipe. Questo spessore si riduce e per mantenere gli stessi angoli deve alzare quel po’ la sella. In questo caso lo strumento della misura della pressione è molto utile.

Ci sono delle formule per quantificare la resa effettiva di questi cambiamenti? Quanti watt rende di più l’atleta?

Direi di no, sono interventi che puntano soprattutto sulle sensazioni di comfort. Ripeto: siamo nell’ordine di pochi millimetri.

Nel corso della stagione non è raro vedere manubri più bassi. Si tolgono gli spessori più piccoli tra attacco e tubo di sterzo
Nel corso della stagione non è raro vedere manubri più bassi. Si tolgono gli spessori più piccoli tra attacco e tubo di sterzo
Capitano mai casi simili nel tuo centro?

Più che altro io consiglio sempre di fare un controllo nel corso dell’anno. La prima visita biomeccanica si fa ad inizio stagione, quando arrivano le bici nuove e i nuovi materiali. Poi un controllo andrebbe fatto adesso, a febbraio, prima dell’inizio delle corse. E un altro a maggio-giugno, nel pieno dell’anno, quando in teoria si è al massimo. Con il peso giusto, la muscolatura pronta, un certa flessibilità… Io consiglio questi controlli sin dalla categoria juniores. Chiaramente parliamo di controlli a parità di materiale e componenti. Altrimenti va rivisto il tutto.

Qual è un intervento che fai frequentemente?

Quello di abbassare il manubrio, nel corso dell’anno si può ridurre anche di 5 millimetri. E non è sbagliato neanche il caso di Frigo, ma come ripeto è molto legato alle sensazioni dell’atleta. Altra cosa: se si alza o abbassa la sella bisognerebbe intervenire anche sull’inclinazione della sella stessa. Se si abbassa, bisognerebbe anche abbassarla appena in punta. Mentre sono contrario a ritoccare l’arretramento nel corso della stagione.

Tesfatsion, il lavoro aumenta: il 2024 serve per crescere

05.02.2024
5 min
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La seconda stagione nelle fila della Lidl-Trek, per Natnael Tesfatsion, è iniziata dall’Australia. L’eritreo ha corso tutte le gare nella terra dei canguri, cogliendo due secondi posti. Il primo alla Down Under Classic, mentre il secondo alla Cadel Evans Great Ocean Road Race. Due squilli, niente di clamoroso, ma abbastanza per indagare su come Tesfatsion si affacci alla seconda stagione nel WorldTour. Il suo preparatore è il basco Aritz Arberas, proprio con lui parliamo della crescita del giovane Tesfatsion. 

«Natnael – ci racconta Arberas – è tornato in Eritrea dopo la fine delle corse in Australia. Io sono sul Teide con i leader e gli scalatori, ma di comune accordo lui è andato a casa. Può allenarsi tranquillamente in quota e farlo in un posto comodo è sicuramente meglio. Mi occupo della sua preparazione da questo inverno e abbiamo iniziato a lavorare subito forte (prima Tesfatsion lavorava con Josu Larrazabal, ndr)».

La stagione di Tesfatsion è partita dall’Australia qui al Down Under Classic
La stagione di Tesfatsion è partita dall’Australia qui al Down Under Classic
Che tipo di corridore hai trovato?

Sappiamo che ha talento, è quel tipo di atleta che ogni sforzo che deve fare gli riesce bene. Si tratta di un ragazzo giovane (Tesfatsion ha 24 anni, ndr), per noi è un investimento a lungo termine. L’idea è di migliorare piano piano, non solo nel fisico, ma in tutto. 

Cioè?

Dobbiamo dargli un po’ di organizzazione, c’è un programma da seguire, ma si devono prendere le misure con le sue abitudini, in modo tale da rendere gli allenamenti sempre più efficienti. 

E’ difficile coordinare gli allenamenti quando è così lontano dall’Europa?

Leggermente, ma questo non ci impedisce di lavorare al meglio. Vive un Paese diverso, con una cultura differente, ma non ci sono grandi problemi. A volte non ha la connessione, ma sono “ostacoli” che si aggirano facilmente. Magari, invece di sentirci giornalmente, gli mando il programma dei prossimi due o tre giorni. Gli ho anche detto che voglio organizzare un training camp in Eritrea (dice con una risata, ndr).

Il primo anno alla Lidl-Trek è servito per ambientarsi nel WorldTour
Il primo anno alla Lidl-Trek è servito per ambientarsi nel WorldTour
E lui che cosa ti risponde?

Mi dice: «Parce non è possibile, le strade non sono buone, manca internet. Non è semplice». Mi chiama Parce, che è un modo dei colombiani di chiamarsi in maniera amichevole, la prima volta che mi ha chiamato così mi ha fatto ridere (un termine ereditato quando ancora correva in Drone-Hopper, ndr).

Pensi che in Eritrea riesca ad allenarsi al meglio?

Sì, non ho dubbi. Poi quando viene in Europa vive in Italia, a Lucca. Stare a casa sua gli fa bene al morale, si allena meglio e con più spirito. Per tutti i ciclisti che vivono lontano è così. 

Qual è la cosa di cui ha più bisogno per crescere e migliorare?

Deve fare un maggior numero di ore di allenamento. Ha un buono sprint, è potente e forte, ma la capacità aerobica è da migliorare. La sfida più grande con lui è riuscire a coordinare al meglio la sua carriera tra i periodi in Eritrea e quelli in Italia. Perché a casa vive in quota, anche questo dettaglio va preso in considerazione. 

Siete partiti presto con la stagione, che 2024 deve essere per Tesfatsion?

L’idea di partire dall’Australia c’era fin da subito, quindi in inverno abbiamo lavorato molto, per arrivare pronti al 100 per cento. A novembre abbiamo fatto tanta base aerobica, poi a dicembre abbiamo inserito il ritmo gara, alzando i giri. Per quel che è il livello fisico mostrato in Australia siamo soddisfatti, è mancato il risultato, ma poco importa. Tesfatsion sta bene. 

Il 2023 gli è servito per ambientarsi nel WorldTour, ora serve fare un passo ulteriore…

Conosce il livello delle gare e degli avversari, ha ben chiari i riferimenti per essere competitivo. Deve progredire nella crescita, ma Natnael ha ben chiaro in testa che questo è un anno importante. 

L’eritreo è dotato di un grande sprint e tanta forza, deve migliorare la parte aerobica
L’eritreo è dotato di un grande sprint e tanta forza, deve migliorare la parte aerobica
La sua migliore qualità?

E’ un vincente, un cacciatore, quando può si fa trovare pronto. Lui è uno di quei corridori che, se c’è da provare a vincere o una situazione è aperta, ci si butta. 

E dove deve migliorare?

Deve diventare più solido, più forte. Sono sicuro che ci riuscirà, il tempo e gli allenamenti daranno i loro frutti. Ora è tutto in mano mia (conclude con una risata, ndr).

Van der Poel, lo show di Tabor anticamera dell’addio?

04.02.2024
5 min
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A Tabor come nel 2015, al termine di una cronometro individuale, Mathieu Van der Poel ha conquistato un’altra maglia iridata. Limitatamente al cross, la sua collezione si compone delle 2 da junior (2012-2013) e delle 6 da elite (2015, 2019, 2020, 2021, 2023 e 2024). Per la statistica, il cassetto contiene anche le due su strada: da junior a Firenze 2013 e da pro’ lo scorso anno a Glasgow. Oggi in Repubblica Ceca non c’erano margini perché la vittoria gli sfuggisse, a meno di un colpo della cattiva sorte. Non c’erano rivali alla sua altezza e forse neppure Van Aert e Pidcock avrebbero potuto impensierirlo. Insomma, fortissimo l’olandese, ma il mondiale elite di Tabor che abbiamo appena finito di seguire è stato piuttosto noioso.

Due olandesi (con la barba Nieuwenhuis) e un belga (Vanthourenhout): ecco il podio
Due olandesi (con la barba Nieuwenhuis) e un belga (Vanthourenhout): ecco il podio

Il merito di Stybar

E’ stata la gara di addio di Zdenek Stybar, che aveva già appeso la bici al chiodo dopo il Tour of Guangxi, ma ha voluto salutare la sua gente nella città in cui nel 2010 conquistò il primo dei tre mondiali da elite. Lo ha fatto con grande orgoglio, sapendo di non poter impensierire i primi della classe, ma raccogliendo l’applauso del pubblico che gli ha tributato il giusto onore.

«Mi piacerebbe essere ricordato – ha detto – come un corridore che, soprattutto negli ultimi anni, è caduto molto spesso, ma si è sempre rialzato. Non è stato sempre facile, ma non mi sono mai arreso e ho continuato ad andare avanti, fino all’ultimo giorno. Si deve sempre continuare a lottare per il posto e la carriera: è questo il messaggio che voglio dare ai giovani. E poi, se proprio c’è un merito che voglio attribuirmi, è quello di aver dimostrato a Van Aert e Van der Poel che in fondo non era così difficile passare dal cross alla strada. Forse questa è la mia parte nella loro storia».

Stuybar ha così concluso anche la grande carriera nel cross: in bacheca 3 mondiali elite
Stuybar ha così concluso anche la grande carriera nel cross: in bacheca 3 mondiali elite

L’insidia delle pietre

A Tabor, Van Aert non c’era e Van der Poel ha colto la quattordicesima vittoria stagionale. La sua progressione non ha lasciato scampo e quando nel secondo dei sei giri previsti (e calcolati sul suo tempo) ha dato gas, la selezione è stata subito irrimediabile.

«Era la gara più importante della stagione – ha detto dopo l’arrivo – quindi sono felice di aver saputo vincerla. Sarebbe un peccato perdere il titolo mondiale dopo una stagione del genere. Rimango più calmo rispetto alle prime volte, ma era un percorso su cui era possibile avere sfortuna, per cui sono stato felice quando ho tagliato il traguardo. Avevo buone gambe, ho guidato in modo molto controllato e non ho mai preso rischi. Si trattava di mantenere tutto com’era. In molti punti sotto il fango c’erano delle pietre, per cui ho cercato di passarci nel modo più morbido possibile, cercando di evitarle».

Musica chiara sin dalla partenza: Van der Poel si è messo a fare il forcing dai primi colpi di pedale
Musica chiara sin dalla partenza: Van der Poel si è messo a fare il forcing dai primi colpi di pedale

Pensieri di addio

Adesso il suo tabellino dice che manca una sola vittoria per agganciare il record di De Vlaeminck, che di mondiali ne ha vinti sette. Tuttavia la sorpresa del Van der Poel di oggi riguarda la possibilità che con il 2024 si sia chiusa l’avventura nel cross.

«E’ una decisione che non posso prendere da solo – ha detto – sicuramente ne discuteremo all’interno della squadra. Personalmente, sono riluttante a saltare una stagione intera. Per contro, questa disciplina richiede molta energia e la mia attenzione è sempre più rivolta alla strada. Non ho più molto da guadagnare dal ciclocross, tranne il divertimento. Se riesco a migliorare ancora su strada saltando il cross, allora lo farò».

Quando si è ritrovato solo, Van der Poel ha amministrato bene lo sforzo e gestito le traiettorie
Quando si è ritrovato solo, Van der Poel ha amministrato bene lo sforzo e gestito le traiettorie

Il mondiale di Fontana

Al diciassettesimo posto finale, nello stesso gruppo di Sweek, Van de Putte, Van der Haar e Venturini, Filippo Fontana ha compiuto una bella rimonta e solo nell’ultimo giro ha pagato il conto alla stanchezza.

«La gara è andata più o meno secondo i miei standard – ha spiegato il veneto dal furgone che lo riportava verso l’aeroporto – puntavamo a una top 15 che è sfuggita all’ultimo giro. Eravamo tutti insieme, siamo arrivati in volata per il tredicesimo posto e l’ha spuntata Van de Putte. Purtroppo sapevo che la partenza un po’ dietro sarebbe stata penalizzante, infatti così è stato. Ho fatto tutta la gara a inseguire con ottime sensazioni. Per le mie possibilità, oggi era difficile fare meglio di così».

Dopo una bella rimonta, Fontana ha chiuso al 17° posto, penalizzato dalla partenza dalle retrovie
Dopo una bella rimonta, Fontana ha chiuso al 17° posto, penalizzato dalla partenza dalle retrovie

Il giro d’onore

Torna a casa anche Van der Poel, atteso ormai al debutto su strada. Chissà se quell’essersi fermato sul traguardo, ringraziando la sua Canyon e anche il pubblico non sia stato il gesto dell’addio. Sarebbe interessante sapere da Mathieu se si sia realmente divertito a vincere così. Probabilmente dirà di sì, ma se vogliamo puntarla sull’adrenalina e la soddisfazione, crediamo che la volata assassina su Van Aert l’anno scorso a Hoogerheide sia stata un punto di non ritorno. Dopo un finale come quello, la galoppata di oggi a Tabor si può considerare un giro d’onore prima dei saluti.

Tutti in piedi: Viezzi è campione del mondo

04.02.2024
4 min
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Si è voltato per tre volte, cercando di capire se davvero quello alle sue spalle fosse vuoto e vuoto era. Stefano Viezzi ha fatto quello che tutti immaginavano e che per questo rischiava di essere molto più difficile. Si è messo le mani sul casco, si è voltato per l’ultima volta in quell’ultimo giro da brividi ed è diventato campione del mondo juniores di ciclocross. Lo ha fatto a Tabor in una giornata di fango e cielo grigio, con cinque gradi e una sottile pioggerella a imbrattare le bici e la faccia degli atleti.

«Non ci credo ancora – dice nell’intervista flash – mi serve tempo per capire quello che ho fatto. Sono felicissimo, era il mio obiettivo dall’inizio e averlo realizzato non ha prezzo».

Ultimo giro da crepacuore e sul traguardo Viezzi può far esplodere la sua gioia
Ultimo giro da crepacuore e sul traguardo Viezzi può far esplodere la sua gioia

Minaccia francese

I nomi erano quelli che tutti aspettavamo e che si erano messi in luce sin dalla Coppa del mondo a Benidorm. E se già la settimana successiva, a Hoogerheide, Viezzi era riuscito a stroncare la resistenza, era chiaro che l’uomo da guardare fosse il francese Aubin Sparfel, il campione europeo che fino all’ultimo gli ha conteso anche la challenge mondiale.

Infatti il francese ha resistito al forcing di Viezzi facendo a sua volta il diavolo a quattro. Ma come a Benidorm un salto di catena aveva impedito al friulano di difendere la maglia di leader, questa volta è stata una foratura ad appiedare Sparfel. L’immagine è splendida quanto spietata. Il francese sgancia il piede, l’azzurro che è nella scia prende il largo e allunga.

«Sono felicissimo – racconta Viezzi – mi sono giocato le mie carte e ho avuto fortuna, ma ci vuole anche questo. Nell’ultimo giro il francese ha avuto una foratura. Io ne ho subito approfittato e ho dato tutto fino alla fine. Sono veramente felice, il mondiale era il mio obiettivo da inizio stagione e anche il sogno di tutti. Ce l’ho fatta, quasi non ci credo».

Sparfel si accorge di aver bucato, Viezzi lo capisce e attacca: si decide il mondiale
Sparfel si accorge di aver bucato, Viezzi lo capisce e attacca: si decide il mondiale

Lo scudo di Pontoni

Nelle scorse settimane, il cittì Pontoni ha costruito una gabbia di protezione attorno a Viezzi, facendo in modo che le attese e le dichiarazioni fossero misurate e non si cedesse a facili entusiasmi. Agevolata in questo dal carattere apparentemente impermeabile del friulano (i due sono praticamente vicini di casa), la squadra juniores azzurra è arrivata al mondiale nelle condizioni ideali.

«Sono passati quasi vent’anni dall’ultimo mondiale – dice il tecnico azzurro – tanto tempo, ma vorrei dire che abbiamo fatto una stagione esaltante. Abbiamo vinto la Coppa del mondo con tre prove. Abbiamo vinto questo mondiale ed è un lavoro iniziato tre anni fa. Avevo detto che avevamo bisogno di due stagioni per metterci in riga e abbiamo creato un grande team e un bello staff. Grazie a loro ritengo che certi risultati non siano casuali. Abbiamo visto parecchi tifosi italiani, friulani in particolare. Dimostrano che abbiamo lavorato bene e spero che continueremo a farlo negli anni futuri. Stefano Viezzi è ancora un ragazzo giovane, ma sa quello che vuole. Ritengo che abbia bisogno di un paio d’anni per maturare e completare il suo bagaglio tecnico, atletico e psicofisico, per diventare uno dei top rider di questa specialità».

Incredulo sul traguardo, il friulano Viezzi conquista il mondiale dopo la Coppa del mondo
Incredulo sul traguardo, il friulano Viezzi conquista il mondiale dopo la Coppa del mondo

Emozione a fil di pelle

E a Lello Ferrara, inviato a Tabor dalla Federiciclismo come uomo social, che gli chiede se si sia davvero emozionato come sembrava, Pontoni risponde con gli occhi che luccicano.

«Non lo nascondo – dice – io sono un appassionato di questo sport. Quando faccio le cose, mi piace dare sempre il meglio di me stesso. Qualche volta sbaglio o qualche volta non tutti condividono, ma vi assicuro che le scelte sono sempre ponderate e c’è sempre un perché per tutto. In questi tre anni è stato fatto un lavoro importante e abbiamo raccolto l’undicesima medaglia fra europei, Coppa del mondo e mondiali. Quest’anno però è particolare, perché vincere Coppa del mondo e mondiali in una settimana ripaga del lavoro fatto».

Sul podio juniores di Tabor, dietro Viezzi si classificano l’olandese Solen e il ceko Bazant
Sul podio juniores di Tabor, dietro Viezzi si classificano l’olandese Solen e il ceko Bazant

Ritorno a casa

Ora è tempo di rompere le righe. A breve toccherà allo show di Van der Poel, ma c’è ancora Viezzi, che passa e saluta.

«Voglio ringraziare veramente tutti – dice – i meccanici, tutti quelli che lavorano dietro. La Federciclismo, Daniele Pontoni che è un ottimo CT. Il mio preparatore che ha sempre creduto in me e finalmente gli ho dimostrato quanto valgo e ne sono veramente felice. Ringrazio anche chi mi ha sostenuto, veramente è stata un’emozione bellissima».