Il ritiro “fai da te” della SD Worx nei giorni della Strade Bianche

07.03.2024
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MONTALCINO – Entrando nella saletta c’erano cereali, uova sode e dei mirtilli su un tavolinetto sulla destra. Al centro, c’era invece la cucina dove una moka iniziava a sbuffare. E sulla sinistra accanto ad una colonna in mattoncini, era posizionata una grande cassetta da idraulico. Solo che al suo interno non c’erano guarnizioni o rubinetti, ma marmellate, gallette, fiocchi di avena, barrette… Era la “dispensa della colazione” della SD Worx.

SD Worx, la squadra femminile più forte del mondo. Le sue ragazze hanno vinto e continuano a vincere, tutto. E così hanno fatto anche alla Strade Bianche, lo scorso fine settimana. Prima Lotte Kopecky, terza Demi Vollering. Le ragazze della SD Worx appaiono inarrestabili.

Come gli U23

Eppure questo squadrone nei giorni toscani ha vissuto una lunga vigilia un po’ diversa. Erano lì sin dal mercoledì prima della gara.

Ci si immagina che atlete di tale livello siano servite e riverite in un grande hotel, cosa che succede spesso, ma non sempre. Lotte e compagne infatti erano in ritiro in un agriturismo-borgo, sulle creste senesi. E facevano tutto da sole: dalla cucina al bucato.

In pratica Lars Boom, uno dei direttori sportivi, le ha portate presso il Podere San Giuseppe, lungo uno degli sterrati della Strade Bianche: quello di Pieve a Salti, che però la corsa femminile non affrontava. E qui le ragazze hanno vissuto in un vero e proprio ritiro. Solo che anziché avere una cuoca esterna, come accade spesso per gli under 23, le ragazze della SD Worx si alternavano loro stesse in cucina. Loro e la nutrizionista Shara Marche.

Per il bucato c’era un moderna lavatrice presso cui portavano i sacchetti e ognuna si prendeva cura del proprio.

Vita da campagna

Con loro c’erano anche il meccanico e i massaggiatori… Insomma, a guardarli da fuori, potevano essere un grande gruppo di amici venuto a passare le vacanze in Toscana, visto che tra l’altro non mancavano la piscina e una vista panoramica pazzesca sulle colline senesi, su Montalcino e persino sul Monte Amiata. Un paradiso.

Per arrivare sin qui si salivano e scendevano colline. Si oltrepassavano dei pascoli e qualche casolare… ma ne valeva la pena.

Non è la prima volta che le atlete della SD Worx venivano qui. Gian Paolo Sandrinelli le ospita già da qualche anno. Ma in precedenza andavano in un’altra struttura di Pieve a Salti. Ormai Gian Paolo ne conosce persino i gusti!

Le ragazze erano due per ogni “stanza-appartamento”. Lì dormivano e passavano il tempo in privato.

Al centro di questo piccolo antico caseggiato c’era un cortile, potremmo definirlo così, al cui centro c’erano dei tavolini che d’estate devono essere un incanto. Nei giorni della Strade Bianche, erano invece un appoggio di materiali e ruote per il meccanico, Tim Haverals, che lì vicino aveva posteggiato il suo motorhome.

Una delle porte che si affacciavano su questo cortile era quella della cucina e sala da pranzo. Era questo il fulcro del ritiro della SD Worx. E’ lì che ragazze e staff si ritrovavano per la colazione, il pranzo, la cena e le riunioni.

Tra relax e gara

Un posto ideale per riposare bene, rilassarsi, fare gruppo e anche per allenarsi sugli sterrati. Per raggiungere il Podere San Giuseppe infatti, oltre al tratto sterrato della corsa, c’era da fare un ulteriore tratto, tra l’altro bellissimo, fuori strada.

Quando siamo andati a trovarle era la mattina della vigilia della corsa. Erano in tuta da riposo e ciabatte a fare colazione. Tazze fumanti e cereali accompagnavano la scena. C’era chi, come Elena Cecchini, parlava un po’ di più, forse anche per la sua innata gentilezza nel fare gli onori di casa da italiana… con noi italiani. E chi se ne stava più sulle sue, ancora un po’ assonata.

Alcune, vedi Barbara Guarischi, già avevano finito. Poco dopo si cambiavano anche le altre. E si radunavano sotto al pergolato, mettevano gli scarpini e si preparavano a partire. 

Ore 10, in sella

Il meccanico intanto continuava a cambiare copertoncini e camere d’aria. La partenza della sgambata pre-gara era prevista per le 10. Il cielo plumbeo non fermava i programmi: 35 chilometri con la prova di un settore sterrato. Boom era pronto. Le Specialized erano già schierate sotto al pergolato di legno nel cortile.

Ma ecco le 10. Si parte. Alla spicciolata, con Kopecky già in testa, le ragazze si buttavano a capofitto giù nella valle… con Montalcino all’orizzonte.

Milan battuto da Bauhaus con gambe e malizia

06.03.2024
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GUALDO TADINO – La montagna sopra all’arrivo è bianca e gelida. La verde Umbria ha cambiato faccia bruscamente nell’ultima ora di corsa, mostrandosi a tratti nera e fredda, con mura di pietra in cima alle colline e corridori in fila come briganti in marcia verso l’approdo. Il rettilineo di arrivo tira quel tanto che basta per far capire ai velocisti che non si toccheranno alte punte di velocità, ma ugualmente nel rimescolarsi delle posizioni si capisce quale treno abbia le idee più chiare. Bauhaus e la Bahrain Victorious hanno già la vittoria cucita addosso.

Philipsen vorrebbe subito il bis. Sull’arrivo si fa un gran parlare della prospettiva che il belga cambi squadra. Racconta un collega di lassù che la sua compagna sia molto amica della compagna di Van der Poel e, avendo visto quanto guadagna Mathieu, in casa abbiano discusso a lungo. Philipsen non aveva ancora un agente e si è rivolto ad Alex Carera perché tratti per lui il rinnovo del contratto o trovi una sistemazione migliore. I suoi uomini con il completo jeans hanno presidiato la testa del gruppo negli ultimi chilometri, ma sul più bello peccano di troppa foga.  Quando si tratta di approcciare l’ultima curva, Philipsen esce troppo largo e cade e il finale passa fra le mani di Caruso e Arndt.

Bauhaus aveva già vinto una tappa alla Tirreno: l’ultima del 2022
Bauhaus aveva già vinto una tappa alla Tirreno: l’ultima del 2022

Rimonta impossibile

Il blocco della Bahrain Victorious prende il centro della strada, mentre Milan cerca di rimontare e si vede che gli manca un dente. Bauhaus spinge e fa velocità, Jonathan ha una frequenza ben superiore, ma non lo passa. E forse quel grammo di forza di troppo che ha speso nel finale per rilanciarsi fra le altrui ruote, non se la ritrova al momento di cambiare ritmo.

«E’ stata una giornata dura – ammette il friulano – e anche un po’ bagnata, ma ho dato il massimo. Penso che la mia squadra abbia fatto un lavoro fantastico, portandomi fino all’ultimo chilometro nella posizione migliore. Il finale però è stato un po’ complicato e anche un po’ pericoloso, per cui alla fine sono contento del secondo posto. Naturalmente cerchiamo sempre qualcosa in più, ma intanto ho dimostrato di avere una buona condizione. Ho scollinato davanti nella salita perché sapevo che fosse importante per fare bene la discesa. Per cui vediamo cosa si potrà fare nelle prossime tappe».

In fuga con Stockli, Zoccarato è stato ripreso sulla salita di Casacastalda
In fuga con Stockli, Zoccarato è stato ripreso sulla salita di Casacastalda

L’ironia di Zoccarato

L’ordine di arrivo parla italiano, ma purtroppo ancora come un rumore di fondo. Oltre a Milan secondo, nelle prime sette posizioni brillano anche Bettiol, Vendrame, Velasco e Caruso. E poi c’è Samuele Zoccarato, che è stato in fuga per tutto il giorno ed è arrivato a 8 minuti. Per cui quando la racconta non sa se essere afflitto o cercare di cogliere il buono di una giornata allo scoperto con sensazioni niente male.

«Si può scrivere che ho fatto un allenamento per la Sanremo – dice con malcelata ironia – ma anche che andare avanti in due in una tappa di 200 chilometri è stato un’avventura, diciamo così. Nella riunione ci eravamo detti che sarebbe stato meglio andare in un gruppetto più numeroso, per cui quando ci siamo ritrovati solo in due, il pensiero di rialzarsi l’abbiamo avuto. Ma per noi serve anche farsi vedere, per cui ho tenuto duro.

«Diciamo che il bello di questa giornata è stato che fino agli ultimi 10-15 chilometri ho avuto tutto sotto controllo, segno che la nuova preparazione sta dando buoni frutti. Mi sarebbe piaciuto cambiare ritmo quando è cominciata la salita, ma mi sono girato, ho visto che il gruppo era lì e mi sono reso conto che tanto in cima non ci sarei arrivato da solo. Vediamo cosa succede domani, giornate come questa nelle corse a tappe le paghi».

Pasqualon è rimasto attardato dietro la caduta: arriva comunque nel primo gruppo
Pasqualon è rimasto attardato dietro la caduta: arriva comunque nel primo gruppo

Pasqualon, piano riuscito

Ben altro morale nel clan del vincitore, con i corridori che si affrettano a scendere dall’arrivo per rintanarsi nel pullman, scaldarsi e poi partire prima che si può verso l’hotel. Racconta Pasqualon che di mattina sono partiti alle 6,30 per andare al via e stasera ne avranno per un’ora e mezza.

«Eravamo partiti per fare la corsa con Bauhaus – racconta Andrea – sapevamo che stava bene. E siccome avevamo l’intenzione di tenere davanti anche Caruso e Tiberi per un discorso di classifica, abbiamo usato anche loro per fare il finale. Io invece ho dovuto fare una bella frenata per evitare la caduta di Philipsen e mi è andata bene. E c’è anche un retroscena per il finale. Quando abbiamo visto che ce la giocavamo con Milan, Nikias (Arndt, ndr) nell’impostare la volata lo ha fatto rallentare e quella mezza pedalata che ha perso gli ha impedito di rimontare. E’ andata bene – ride – siamo rimasti tutti in piedi e abbiamo anche vinto».

A fare eco alla vittoria di Bauhaus arriva dalla Francia la notizia del successo di Buitrago a Mont Brouilly. Anche la Bahrain Victorious ha iniziato con il piede giusto. Le salite vere qui alla Tirreno inizieranno domani e per i due giorni a seguire. La lotta per la classifica deve ancora accendersi, ma già da domattina Ayuso dovrà iniziare a guardarsi intorno.

Lo sguardo di Cataldo sulla nuova Lidl-Trek, tra presente e futuro

06.03.2024
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Dario Cataldo si trova in Spagna, a Denia, per un ritiro di squadra. I corridori della Lidl-Trek che non sono impegnati in gara sono stati radunati al caldo: si lavora e ci si allena in vista delle prossime corse. Dopo il grave infortunio subito a inizio 2023 l’abruzzese è rientrato alle corse a fine stagione. La condizione non era delle migliori e si era dato appuntamento dopo l’inverno, per capire a che punto si trovasse sulla strada del recupero. 

Il debutto nel 2024 per Cataldo è stato in Australia, la condizione cresce
Il debutto nel 2024 per Cataldo è stato in Australia, la condizione cresce

Passi lenti, ma decisi

«Sono contento dei passi in avanti – racconta Cataldo mentre lascia la bici dal meccanico per un check sulle misure – continuo a migliorare. Ero stato ottimista, pensavo ad una ripresa più veloce, soprattutto dopo il rientro in gara a fine 2023. Ripartire da zero dopo la pausa invernale era un modo, nella mia testa, di tornare competitivo. Invece qualche problemino c’è ancora, non sono al 100 per cento. Al Tour Down Under stavo meglio e al UAE Tour stavo ancora meglio. Ci sta volendo più tempo ma tornerò ai miei livelli.

«Il gruppo è competitivo – continua – e anche la mia squadra lo è. Devo dimostrare di stare bene, perché ci sono corridori molto forti ed è giusto che corra chi è pronto. All’interno del team c’è una concorrenza mica da ridere, ma non ho paura. Sono felice che la squadra vada bene, sono a fine carriera e da tempo guardo più al bene del gruppo. Probabilmente non farò il Giro, mi sarebbe piaciuto, ma ne ho fatti 13, uno in più non mi cambia la vita».

Evoluzione

La Lidl-Trek ha cambiato tanto, ma non si è snaturata, la chiacchierata con Cataldo è volta anche a questo: capire come si è vissuto questo cambiamento dall’interno. 

«Non è stata una rivoluzione, ma un’evoluzione – spiega Cataldo – c’erano tanti capisaldi nel team, tra staff e corridori e tutti sono migliorati. In più abbiamo preso tanti profili interessanti, anche per i ruoli di leader: Milan e Geoghegan Hart, per esempio. La cosa che non è cambiata è l’ideologia internazionale del team, che è importante mantenere. Si cerca di non avere un gruppo unico ma di essere eterogenei, in modo tale che ogni parte riesca a compensare l’altra. Ci sono tanti modi diversi di vedere il ciclismo e ognuno trae vantaggio da questo aspetto. E’ un aspetto che ha sempre funzionato e che ha portato tanti risultati.

«I nuovi arrivi – analizza – si sono integrati perfettamente, quasi come se fosse una cosa super naturale. Si è visto qualche volta che corridori usciti dal team Ineos abbiano fatto fatica a integrarsi, Tao (Geoghegan Hart, ndr) invece no. Questo è un bel segnale che fa capire la mentalità del team».

Uno dei nuovi arrivi è Consonni (al centro) che lavorerà nel treno di Milan
Uno dei nuovi arrivi è Consonni (a destra) che lavorerà nel treno di Milan

Tecnologia

In cosa consiste questa evoluzione? Ma soprattutto qual è la mentalità della Lidl-Trek che consente di avere costanza di rendimento anche dopo tanti cambiamenti?

«Evoluzione è la parola che descrive al meglio la squadra – racconta ancora Cataldo – perché si cerca di rimanere sempre al passo con i tempi. Tante squadre sono state al top per diverso tempo per poi ridimensionarsi. In Lidl-Trek l’obiettivo è rimanere al passo con i tempi, studiare ogni aspetto tecnico: dall’aerodinamica alla bici, passando per i materiali. Si tratta di un’evoluzione fatta con i passi giusti, che rende il percorso morbido ma comunque progressivo».

A dicembre la Lidl-Trek ha fatto un ritiro comune dove ha radunato tutti i suoi team: uomini e donne pro’ e U23 (foto Instagram)
A dicembre la Lidl-Trek ha fatto un ritiro comune dove ha radunato tutti i suoi team (foto Instagram)

I giovani

Nel percorso di crescita e di programmazione per il futuro entra anche la Lidl-Trek Future Racing, ovvero il devo team della squadra americana. E’ nato nel 2024 e ha già radunato tanti talenti sotto lo stesso tetto. 

«Anche questo è un esempio di crescita e sviluppo – dice Cataldo – per trovare i nuovi talenti serve tempo e bisogna prenderli da giovani. Markel Irizar sta facendo un ottimo lavoro e sono diversi anni che la squadra cura questo aspetto. Hanno un occhio anche sul mondo junior e si cerca di dare a questi ragazzi un indirizzo e farli crescere al meglio. La squadra ha radunato tutti al ritiro di dicembre e per i giovani fare un’esperienza del genere è importante. Vedono l’ambiente e se ne sentono parte. In futuro credo che faremo delle gare con squadre “miste” dove i giovani verranno fatti correre con noi del team WT. Non nascondo che mi piacerebbe stare vicino a loro e trasmettere qualcosa».  

Perché recuperare da un infortunio oggi è più difficile?

06.03.2024
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La bella notizia di Bernal che torna a pedalare (quasi) come un tempo e che in questo inizio di stagione sale sul primo podio dopo quello del Giro 2021. Marta Cavalli che ha impiegato più di un anno per ritrovarsi dopo l’infortunio del Tour 2022. Froome che al contrario chiuse la carriera nella caduta al Delfinato del 2019. Evenepoel che bruciò le tappe per rientrare dopo il volo del Lombardia e al Giro dell’anno successivo pagò un conto molto salato. Alaphilippe che non trova ancora la bussola dopo la caduta alla Liegi del 2022 e Bramati che in una delle prime interviste di inizio 2023 disse che il francese avrebbe avuto bisogno di un anno di recupero prima di tornare se stesso. Tanti piccoli indizi che fanno sorgere un grosso dubbio: come mai da un paio di anni a questa parte rientrare in gara dopo questi infortuni, pur molto gravi, è diventato così complicato?

Egan Bernal torna a camminare dopo l’incidente del 2022: il recupero dell’efficienza è stato più lungo
Egan Bernal torna a camminare dopo l’incidente del 2022: il recupero dell’efficienza è stato più lungo

Il politrauma

Quando Bernal si rialzò dall’incidente che poteva costargli la vita, Fabrizio Borra che di atleti rotti ne ha visti e rimessi in piedi parecchi, disse che il tempo di guarigione dalle fratture fosse nei tempi. Il difficile sarebbe stato semmai il ritorno all’efficienza. E il ritorno all’efficienza, questa la sensazione, è rallentato e in certi casi compromesso dal ciclismo super veloce nato dopo il Covid.

«Se parliamo di atleti che si sono rotti vertebre, costole, la clavicola, una parte del bacino e la tibia, abbiamo a che fare con un politrauma. E questo amplifica tantissimo i tempi di recupero, di riassetto anche osteomuscolare, di bilanciamento muscolare. Ci sono un sacco di variabili che entrano in gioco e rallentano tutto».

Liegi 2022, Alaphilippe cade in una scarpata: per la sua carriera uno stop da cui ancora non si è ripreso
Liegi 2022, Alaphilippe cade in una scarpata: per la sua carriera uno stop da cui ancora non si è ripreso

Le corse di allenamento

Chi parla è Carlo Guardascione dello staff medico del Team Jayco-AlUla. Lo abbiamo chiamato per avere la sua opinione di medico sulla fatica di certi recuperi e le sue parole sono risultate illuminanti.

«Recuperare da un infortunio – dice – è più difficile di prima, perché adesso il livello nelle gare è più alto. Una volta chi rientrava poteva partecipare alle prime corse per allenarsi e quel tipo di sollecitazione gli consentiva di riprendere gradualmente il passo. Ma negli ultimi anni, quante volte siete riusciti a vedere corridori che vanno alle corse per fare un certo tipo di lavoro? Ormai se non vai in corsa al 100 per cento, sei morto. Non tieni le ruote. Bernal ha impiegato due anni per riprendere il filo e forse ancora non l’ha fatto del tutto, ma lui era praticamente morto. Froome, che ha 10 anni di più, con quella caduta ha chiuso la carriera».

Il rientro di Pantani dopo l’infortunio avvenne in corse in cui Marco riuscì a ritrovare il ritmo
Il rientro di Pantani dopo l’incidente avvenne in corse in cui Marco riuscì a ritrovare il ritmo

I tempi biologici

Il ritmo di gara è alto, ma la fisiologia non si riscrive con il progresso. E se un atleta ha bisogno di recuperare da un infortunio serio e per farlo non può sfruttare il lavoro in gara, tutto si complica e i tempi si allungano.

«L’organismo – spiega ancora Guardascione – ha sicuramente bisogno di tempi biologici, su cui ci si può inventare poco. Si può giostrare con terapie più moderne, con dei supporti fisioterapici più moderni. Facciamo un esempio banale: da qualche anno c’è la Tecar, che 15 anni fa neppure si sapeva cosa fosse. Da qualche anno ci sono le onde d’urto, che qualche anno fa non sapevamo cosa fossero. Però la natura vuole che i tempi biologici vengano rispettati. Si può anticipare di quel 10-15-20 per cento, ma secondo me non si può fare il paragone tra 15 anni fa e quello che succedeva una volta a livello di performance. Prima i corridori si potevano permettere le corse di preparazione, mentre oggi se si va in corsa senza essere in forma, si finisce fra le ammiraglie».

L’infortunio di Froome avvenne a giugno 2019, Chris rientrò al UAE Tour 2020 prima del Covid
L’infortunio di Froome avvenne a giugno 2019, Chris rientrò al UAE Tour 2020 prima del Covid

Attesa e contratti

E qui il discorso andrebbe esteso ai team manager, soprattutto a quelli che dopo un po’ sono stufi di aspettare e reclamano risultati nel nome del lauto ingaggio che versano all’atleta infortunato.

«Non ci si può aspettare che si facciano miracoli – dice Guardascione – e se ci sono manager che mettono fretta senza sapere che da certi infortuni ci si riprende dopo parecchio tempo, vuol dire che sono sciocchi, oppure fanno finta di niente oppure ancora vogliono lucrare sul contratto».

Il tema è delicato. Gli atleti sono macchine pressoché perfette, combinazione miracolosa di equilibri delicatissimi. Un evento traumatico, un infortunio importante cancella anni di costruzione e costringe a ripartire da zero, dal ricostruire un’efficienza fisica che non si può dare per scontata. Ecco il motivo per cui in questo 2024 sarà interessante vedere all’opera Bernal e Alahilippe, aspettando con fede che anche Marta Cavalli si riprenda dall’ultima caduta e torni a prendersi ciò che è veramente suo.

La prima di Sara Fiorin, sprinter sempre più convinta

06.03.2024
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Certe vittorie hanno un sapore più dolce di altre e non dipende neanche tanto dalla loro importanza. Per Sara Fiorin il trionfo della scorsa settimana all’Umag Trophy Ladies è stata come una pioggia di miele, necessaria per proseguire la stagione e per dimostrare che le cose, dopo il primo anno al devo team della Uae, stanno cambiando.

E’ ormai già da un po’ che la sua vita somiglia a quella di una pallina da tennis, rimbalzando da una parte all’altra del Vecchio Continente. La vittoria in terra croata è già messa alle spalle, ora c’è da pensare anche alla pista e infatti quando la rintracciamo la Fiorin è in un momento di riposo durante i canonici due giorni di lavoro con il gruppo azzurro a Montichiari.

«Settimana prossima si parte e si va dall’altra parte del mondo, a Hong Kong per la tappa di Nations Cup. Per la seconda volta sarò chiamata a gareggiare anche nel quartetto, la prima è stata agli europei quando abbiamo ottenuto il bronzo U23 e sinceramente non vedo l’ora. Poi ci sarà la mia specialità preferita, l’eliminazione che mi dà scariche di adrenalina. E’ davvero la più divertente e adatta alle mie caratteristiche».

Le ragazze del bronzo europeo U23. Da sinistra, Quaranta, Basilico, la riserva Crestanello, Fiorin, Bragato, Collinelli e Vitillo
Le ragazze del bronzo europeo U23. Da sinistra, Basilico, Crestanello, Fiorin, Bragato, Collinelli e Vitillo
Quanto ritieni che sia utile la pista per la strada e quanto viceversa l’attività su strada per quella nei velodromi?

Io credo che siano complementari, soprattutto per una ciclista con le mie caratteristiche. La pista non può assolutamente mancare, ci sono lavori che non servono solo per l’attività specifica, ma danno un enorme aiuto anche per le gare su strada. Non è un caso se nel nostro team siamo in tante a fare la doppia attività: io, Venturelli, Pellegrini ma anche la tedesca Kunz e l’irlandese Gillespie. Il team vede molto di buon occhio questo nostro impegno e non ci sentiamo forzate. Poi saranno le nostre carriere a indirizzarci verso la miglior scelta, se unica o continuando sul doppio binario.

Veniamo allora alla vittoria di fine febbraio, quanto è stata importante per te?

Moltissimo, anche perché tutta la squadra ha lavorato al meglio e io ho dovuto solo finalizzare. Era una corsa anche un po’ frastagliata, collinare, ma si sapeva che si sarebbe arrivati alla volata. Perlomeno era quello il nostro obiettivo e le compagne hanno lavorato sodo per tenere unita la corsa. Io sono arrivata alla volata nelle condizioni migliori e il risultato è finalmente stato portato a casa.

Il suo sprint vincente ha messo in fila le altre italiane De Grandis, Bernardi e Crestanello (foto Bonaita)
Il suo sprint vincente ha messo in fila le altre italiane De Grandis, Bernardi e Crestanello (foto Bonaita)
Lo scorso anno, salvo la vittoria di tappa al Giro Rosa Mediterraneo, ti si era vista poco nei quartieri alti delle classifiche. Hai sofferto il tuo primo anno in un team così importante?

Non è stato un anno semplice, questo è sicuro. Era tutto nuovo e ci ho messo un po’ ad adattarmi, mi accorgevo soprattutto nelle gare estere, quelle in Belgio in particolare, che il livello era molto alto e io facevo fatica. E’ stato un anno di adattamento, che però alla fine ha portato frutti perché mi sento molto migliorata e più a mio agio. Ora quel livello è anche il mio.

Eri arrivata alla Uae senza una precisa identità tecnica, ora con un po’ di esperienza in più ti ritieni una sprinter pura?

Sì, è quella la mia specializzazione, non si discute. Sto però lavorando molto anche per migliorare in salita. Non sarò mai una specialista, ma tenere su alcuni strappi mi consentirebbe di allargare il numero di gare con possibile conclusione allo sprint dove essere competitiva. Ormai non basta più essere veloci, bisogna anche saper tenere in certi percorsi.

La lombarda sul podio di Umago. Nella successiva prova a Porec ha chiuso invece 22esima (foto Bonaita)
La lombarda sul podio di Umago. Nella successiva prova a Porec ha chiuso invece 22esima (foto Bonaita)
Chi ha iniziato prima fra te e Matteo?

Lui e la cosa strana è che è anche più piccolo di due anni. Solo che a 3 anni andava già in giro senza rotelle e io ero gelosa, così l’ho seguito e ci siamo ritrovati entrambi a fare quest’attività. Devo però dire che condividere la nostra passione ci ha legati ancora di più.

Considerando però le vostre attività, soprattutto ora che fai parte di un team straniero, avrete poche occasioni per vedervi…

E’ vero, lui poi ha ancora la scuola, quest’anno avrà la maturità, ma anche lui viaggia molto fra gare e ritiri con la nazionale. Ci sentiamo telefonicamente e ci supportiamo sempre. Matteo è sempre molto prodigo di consigli. Ad esempio nell’affrontare l’eliminazione mi ha dato molti spunti per andare sempre meglio, conoscendo quanto mi piaccia quella specialità.

Sara Fiorin è all’Uae Development Team dal 2023. Il primo anno è stato un po’ complicato
Sara Fiorin è all’Uae Development Team dal 2023. Il primo anno è stato un po’ complicato
Come ha reagito alla tua vittoria?

E’ stato contentissimo, anzi credo di avergli restituito un sorriso dopo la caduta a Misano che gli è costata la frattura della clavicola e tanto lavoro perso. Anche lui era in predicato di partire per Hong Kong, davvero non ci voleva. Correrò anche per lui.

Ora che cosa ti aspetta?

Prima della partenza per l’Asia andrò in Olanda per la Drentse Acht van Westerveld dove correrò con il team maggiore. Sarà la seconda volta nella prima squadra e la cosa mi fa un certo effetto, sento il carico di responsabilità. In questo caso non saranno certo le altre a correre per me, sarò io a lavorare per colei che sarà reputata la prima punta del team.

Per Fiorin ora arriva la trasferta in Olanda, dove sosterrà le compagne del WT (foto Instagram)
Per Fiorin ora arriva la trasferta in Olanda, dove sosterrà le compagne del WT (foto Instagram)
Per una velocista pura quanto cambia in questo caso il lavoro, ad esempio nell’essere il “pesce pilota”?

Non mi è mai capitato in gara, ma credo sia sempre questione di coordinazione fra gli elementi del team. Io sono pronta in quel caso a fare la mia parte, a lanciare la volata molto più da lontano, tipo ai 300 metri per poi lasciare spazio ai 150. L’importante è che a vincere sia la nostra maglia…

Si chiama Paul Magnier e non è solo un velocista

06.03.2024
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SIENA – Alla Strade Bianche, un po’ a sorpresa, la Soudal-Quick Step ha schierato Paul Magnier. Il francese era il più giovane al via assieme al danese Jan Christen: gli unici under 20 del gruppo. Entrambi sono classe 2004.

Bramati e gli altri tecnici lo hanno schierato in Toscana quasi fosse un premio, grazie ai buoni risultati e allo stato di forma eccellente mostrato sin qui. Magnier infatti al debutto nel team WorldTour, ma proprio alla primissima corsa, ha subito vinto. Ha vinto e si è ripetuto qualche giorno dopo. 

Paul Magnier (classe 2004) è stato bronzo ai mondiali di mtb 2022. Da lì il passaggio alla Trinity su strada
Paul Magnier (classe 2004) è stato bronzo ai mondiali di mtb 2022. Da lì il passaggio alla Trinity su strada

Ex biker

A Calpe il “Brama” ci aveva detto: «Abbiamo un nuovo gioiello. Guardate le gambe e capite chi è». Era Paul Magnier.

E chi è dunque questo “francesino” che nella ricognizione della Strade Bianche aveva un occhiale da sole rotondo da passeggio e il ciuffo ribelle fuori dal casco? E’ un ragazzo che viene dalla Mtb, tra i suoi successi c’è anche la tappa di Capoliveri all’Elba agli Internazionali d’Italia Series. Lo scorso anno correva nelle file della Trinity Racing, la squadra con cui Pidcock vinse il Giro U23. 

Da juniores, nelle prime apparizioni su strada, si mise in mostra a crono. Al secondo anno, quando alternava ancora strada e mtb fu secondo al Lunigiana, dove vinse due tappe. Lo scorso, il primo tra gli under 23, è stato terzo agli europei. E nel mezzo tanti altri buoni piazzamenti.

La caduta sugli sterrati di Siena. Sin lì Paul si era ben comportato
La caduta sugli sterrati di Siena. Sin lì Paul si era ben comportato

In camera con Loulou

A Siena era quasi incredulo del grande evento, ma non era affatto intimorito o spaesato. «Sono contento di essere qui – ci ha detto Paul prima del via della Strade Bianche – è una grande gara. E noi siamo una grande squadra. Cercherò di fare più esperienza possibile e di divertirmi».

Magari si è anche divertito, almeno prima di cadere nel tratto di Lucignano d’Asso. Sin lì comunque aveva tenuto bene le ruote. E di certo la Strade Bianche non è una corsa semplice. Tra l’altro era anche la sua prima gara WorldTour. Magari le sue doti da biker hanno convinto i tecnici a schierarlo.

Nei giorni toscani abbiamo avuto modo di osservarlo da vicino visto che abbiamo fatto la ricognizione assieme al team belga e, guarda caso, condividevamo lo stesso albergo. Sembrava un veterano. Grande scioltezza e affiatamento con i compagni, con lo staff… Nessuno direbbe che sia un ragazzo di 19 anni.

«Julian Alaphilippe, è il francese della squadra, e anche per questo gli sono stato molto vicino. Alla Strade Bianche ero in camera con lui! Ne ho approfittato per fargli quante più domande possibili e sfruttare così questa esperienza. E poi ascoltare i suoi racconti di questa o quella corsa… Ah è stato super fantastico! Per me è stato davvero importante».

Come De Lie?

Le due corse che ha vinto Magnier sono state allo sprint, ma con delle differenze: la prima è stata di gruppo pieno, si può dire. La seconda sempre di gruppo, ma un po’ più ristretto. Entrambe, il Trofeo Ses Salines e la tappa in Oman, non erano piatte. Anzi. Quella in Oman nel finale tirava parecchio.

«Non mi aspettavo affatto di vincere subito – ci racconta Magnier – e neanche che ne sarebbero arrivate addirittura due. E’ vero, ho fatto ottimi allenamenti allo sprint questo inverno. Ed è anche vero che in quelle corse la squadra ha fatto un ottimo lavoro. Ho vinto io, ma sono state vittorie collettive. Ora sta a me aiutare Julian Alaphilippe e Kasper Asgreen. Sono super contento, davvero…».

Dicevamo di due vittorie su percorsi non del tutto piatti. Forse, è lecito ipotizzare, Magnier è più di un velocista? L’accostamento con Arnaud De Lie non è poi così peregrino.

«Per il momento – dice Paul – ho vinto quelle gare allo sprint, ma in futuro vorrei essere in grado di essere un velocista un po’ diverso, che sa colpire anche in fuga. Sì, qualche somiglianza con De Lie potrebbe esserci. E’ un grande atleta, mi piace e adoro il suo modo di correre».

Magnier con i suoi occhiali da passeggio durante la ricognizione della Strade Bianche
Magnier con i suoi occhiali da passeggio durante la ricognizione della Strade Bianche

Più forza che chilometri

Quest’inverno Magnier ha lavorato molto sulla forza, contrariamente a quello che si poteva pensare. Visto che doveva correre tra i pro’, accumulare chilometri era la cosa più scontata. Chiaramente ne ha fatti di più, ma ha insistito molto anche sulla forza.

«In realtà ho guadagnato peso (è alto 188 centimetri per 76 chili, ndr) – spiega Magnier – sono andato davvero tanto in palestra e ho messo su “tante gambe”. Certo, è più difficile portarle in salita, ma in pianura e negli sprint mi sento molto più a mio agio».

Probabilmente la struttura da biker era ancora evidente e in Soudal-Quick Step ci hanno voluto lavorare, per quello che è un progetto a lungo termine. Il che è plausibile visto che Magnier ha un contratto fino al 2026. 

Paul ha 19 anni e il team ha intenzione di gestirlo per bene. Nessun passo più lungo della gamba e oculatezza per quel che riguarda giorni di gara e qualità delle stesse. La soluzione? Fare alcune gare anche con il devo team della Soudal-Quick Step, insomma le corse U23.

«Questo mi consentirà di puntare a vincere e a fare esperienza, senza bruciare i passi. Tra i pro’ ho visto che le gare sono più lunghe, soprattutto le salite durano di più. E il livello è altissimo. Il mio passaggio dagli under 23, ma direi anche dagli juniores, è stato molto breve. Io però non vedo l’ora di vivere sempre di più di questo mondo», quello dei pro’ chiaramente.

Nuova Giant TCR decima generazione, leggerissima e integrata

06.03.2024
8 min
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TAICHUNG (Taiwan) – Giant TCR è uno dei progetti più longevi della storia delle biciclette da gara. Questa è la decima generazione e dal primo modello in carbonio, che risale a 28 anni fa (era l’epoca del Team Once), molto è cambiato.

«Forse, non tutti conoscono Giant nel profondo – racconta Bonnie Tu, presidente di Giant Group – ma tutti sanno cos’è una TCR. Un prodotto che ha ispirato ciclisti di differenti epoche e categorie, l’apice della ricerca e della tecnologia».

La nuova versione era nell’aria, oggi è in dotazione anche al nostro Filippo Zana. Alcuni dettagli la accostano all’ultima versione della Propel. Entriamo nel dettaglio anche grazie ad alcune considerazioni di Nixon Huang, responsabile della piattaforma TCR che ha risposto ai nostri quesiti.

TCR SL 0 definita come total race bike
TCR SL 0 definita come total race bike
Quanto tempo è necessario per costruire un singolo telaio?

Se consideriamo la versione SL, ci vogliono più di 11 ore di lavoro, dalla posa del carbonio per arrivare alla finitura. Invece per l’assemblaggio siamo molto più veloci, circa 25 minuti ed è un’operazione suddivisa su 18 passaggi differenti, che noi chiamiamo stazioni. Ma tutto avviene qui nella GTM (acronimo di Giant Taiwan Manifactury, ndr)

Avete mantenuto il reggisella integrato anche sulla decima generazione. Quale è il motivo?

Perché un telaio con questa soluzione è più leggero ed ha un nodo sella più stabile. Quest’ultimo è uno dei punti critici da sviluppare.

Nixon Huang è il responsabile della piattaforma TCR
Nixon Huang è il responsabile della piattaforma TCR
Quale è stato il passaggio più complicato nello sviluppo della nuova TCR?

Da sempre è trovare il giusto blend di fibre di carbonio e di resine, che permettono di avere una bici sempre più leggera, con un rapporto rigidità/peso migliore e sempre più rigida se comparata con la versione precedente.

Un geometria storica

Si potrebbe fare un articolo sulle geometrie di quella Giant così diversa dai canoni dell’epoca. Corta e compatta, con una tubazione orizzontale che volgeva verso il basso del carro quasi a comprimere il piantone. Nasceva ufficialmente il design sloping. La storia della bici moderna passa anche dalla TCR.

La nuova TCR è figlia di tecnologie di ricerca e produttive del nuovo corso votate a far risparmiare watt, a far convivere rigidità e comfort, dove anche il wind tunnel gioca un ruolo fondamentale. Le versioni sono tre: Advanced SL, Advanced Pro e Advanced.

1997, la prima versione della TCR fornita al Team Once, era in alluminio
1997, la prima versione della TCR fornita al Team Once, era in alluminio

TCR SL con il reggisella integrato

E’ la versione utilizzata dai pro del Team Jayco-AlULa, riconoscibile prima di tutto grazie al reggisella integrato. Prende forma grazie al carbonio Professional Grade, all’apice della scala dei valori in cui trovano impiego anche le resine CNT (Carbon Nanotube Technology), arricchite con micropolimeri. Sono più resistenti del 14% rispetto alle tradizionali e con un peso specifico inferiore.

Anche la posa delle pezze di carbonio è specifica, con l’obiettivo di ottenere una continuità delle fibre mai raggiunta fino ad ora, quasi fosse un blocco unico di tessuto. Per il taglio e la finitura è stata utilizzata la tecnologia del laser a freddo. Adotta la tecnologia monoscocca per il triangolo principale (che si ottiene con la posa di 270 pezzi di tessuto, in precedenza erano più di 300), mentre il carro posteriore è applicato in un secondo momento.

Design TCR, da vicino è molto diversa

La forcella, completamente in carbonio, ha i foderi sfinati ed esili, con volumi più abbondanti nella parte superiore (è un blocco unico quella in dotazione alla SL e Pro, due parti unite tra loro quella in dotazione alla Advanced). Lo stelo ha un diametro maggiorato (31,6 millimetri, come vuole la tradizione e con forma a D) rispetto ai normali standard del mercato (questo obbliga all’utilizzo di uno step con diametro specifico del collarino di chiusura).

La zona dello sterzo OverDrive ora adotta il suffisso Aero, per via di una integrazione massimizzata. Non c’è cavo e/o guaina che passi all’esterno. La scatola del movimento centrale è larga 86 millimetri ed è press-fit. Rispetto alla versione precedente un’importante cura dimagrante ha coinvolto l’orizzontale, l’inserzione degli obliqui al piantone ed il reggisella integrato.

Advanced Pro e Advanced

Utilizzano il carbonio High Performance Grade, ma le differenze maggiori, rispetto alla versione SL sono nel sistema di costruzione. Il triangolo principale è ottenuto grazie a tre sezioni separate tra loro (zona dello sterzo, orizzontale e obliquo). Vengono unite con una sorta di fasciatura e in un secondo momento si applica il blocco del carro posteriore (che include anche il piantone).

Il reggisella non è integrato, pur essendo parte del progetto e con una forma specifica. Seppur con una componentistica differente, adotta la medesima pulizia del design e di integrazione della sorella top di gamma SL. Particolarmente generoso il passaggio delle gomme, garantito fino a 33 millimetri di sezione.

Utilizzato il wind tunnel GST di Immenstad, come per la Propel (foto Giant)
Utilizzato il wind tunnel GST di Immenstad, come per la Propel (foto Giant)

I numeri della nuova TCR

Il telaio della nuova SL scende ufficialmente sotto i 700 grammi, con un valore dichiarato di 690 (ai quali si aggiungono 56 grammi della verniciatura), nella taglia media (la versione precedente era 765 grammi). La forcella è dichiarata a 330 grammi.

Nel complesso, il kit telaio pronto per il montaggio (inclusa anche la minuteria) ha un peso dichiato di 1.358,6 grammi (molto basso), che diventano 1.610 e 1.627,2 per Advanced Pro e Advanced. Per gli amanti dei watt, l’ultima SL (a parità di configurazione, la 0) è più efficiente di 4,19 watt, un valore elevato se consideriamo che non si tratta di una bici aero concept.

Gli allestimenti delle SL

Gli allestimenti sono due: SL0 e SL1. La prima si basa sulle trasmissione Shimano Dura Ace e Sram Red AXS, con il nuovo cockpit in carbonio Contact SL (non integrato, stem e piega sono separati). Entrambe portano in dote le nuovissime ruote Cadex 40. I prezzi di listino sono rispettivamente di 12.299 e 12.499 euro.

La SL1 ha il medesimo frame-kit delle precedenti, ma con un allestimento differente. Trasmissione Ultegra Di2 e ruote Giant SLR, per un prezzo di listino di 8.399 euro. Tutti gli allestimenti SL hanno il power meter abbinato alla trasmissione, Shimano oppure Quarq. E’ disponibile anche il frame-kit in tre diverse livree cromatiche a 3.699 euro. Da notare che, tutte le nuove TCR, a prescindere dalla versione, sono disponibili in sei taglie: XS, S e M, M/L, L e XL. E’ importante sottolineare che le quote geometriche (reach e stack) sono le medesime per le versioni con reggisella integrato e non integrato.

I prezzi di Pro e Advanced

Gli allestimenti previsti per le TCR Advanced Pro sono 3: Pro 0, 1 e 2. Pro 0 è disponibile in quattro diverse combinazioni con prezzi di 7.099 euro per l’allestimento AXS e 6.599 per il pacchetto con la trasmissione Shimano Ultegra Di2.

La Giant TCR Pro 1 ha un listino di 4.799, mentre la 2 è di 4.049 euro. Come per la SL, anche la Pro è disponibile come frame-kit a 2.499 euro (due livree cromatiche).

Sono 4 le varianti Advanced (con trasmissioni Shimano 105 meccanico, oppure Sram Rival AXS). Due allestimenti per la configurazione 0 (4.499 e 4.049 euro). Un allestimento per la Advanced 1, che però è disponibile in una doppia colorazione (3.399 euro). Due montaggi e tre livree cromatiche per la TCR Advanced 2, disponibili ad un prezzo di 2.799 euro.

Giant

Raccagni: il 2024 da correre sotto lo sguardo di Lefevere

05.03.2024
5 min
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Il rumore di sottofondo dell’aeroporto di Charleroi fa da cornice alla nostra intervista con Andrea Raccagni Noviero (foto Instagram in apertura). La stagione 2024 si è aperta anche per il devo team della Soudal-Quick Step e il giovane italiano ha raccolto due podi importanti. Il secondo al Tour des 100 Communes, corsa francese di categoria 1.2. 

«Nell’ultimo fine settimana – racconta – ho assaggiato più volte la terra belga, nel vero senso della parola, visto che sono caduto nelle canaline a bordo strada. Ho solo qualche botta, nulla di che, tant’è che ora dal Belgio andrò direttamente in Croazia. Correrò l’Istrian Spring Trophy. Raggiungiamo il resto della squadra a Treviso e poi in pullman arriveremo in Croazia».

Prime gare

Tre corse e due podi, un risultato niente male per un corridore che inizia il suo secondo anno da under 23. Un risultato di prestigio è quello raggiunto al Tour des 100 Communes, dove la concorrenza era alta. 

«In realtà non si scherzava nemmeno alla Brussel-Opwijk – spiega Raccagni – era una corsa nazionale, ma erano presenti tutti i devo team delle formazioni WorldTour. La gara è sempre stata molto tirata e non è stato facile tenere il controllo, ad un certo punto in fuga c’erano sei corridori della Lotto Dstny Development. Siamo riusciti a rientrare io e un mio compagno, ma con fatica e nella volata del gruppetto sono arrivato terzo.

«Al Tour des 100 Communes – prosegue – la corsa era ai limiti per freddo e pioggia. C’erano 5 gradi, ha piovuto tutto il tempo e la distanza era impegnativa, ben 183 chilometri. A 80 chilometri dall’arrivo il gruppo si è selezionato e siamo rimasti in pochi davanti. Anche in quel caso mi sono buttato nella volata, arrivando ancora terzo».

In inverno tante ore in più di allenamento per Raccagni (foto Instagram)
In inverno tante ore in più di allenamento per Raccagni (foto Instagram)

Inverno solido

Durante il periodo di preparazione i profili social di Raccagni Noviero erano pieni di foto e video che lo ritraevano con la divisa estiva. Il corridore ligure ha preferito allenarsi al caldo, inserendo un diverso tipo di preparazione.

«Ho fatto due mesi e mezzo fuori casa – dice – volevo essere pronto al 100 per cento e partire forte. Anche da U23 secondo anno è importante arrivare alle corse preparato e brillante. Stare lontano da casa mi ha aiutato a trovare bel tempo e non avere intoppi con il lavoro. Tra novembre, dicembre e gennaio ho fatto il 20 per cento in più delle ore che ho messo insieme lo scorso anno. Però ho mantenuto molto bassa l’intensità, praticamente fino al ritiro di febbraio con la squadra. Volevo arrivare alle prime gare il più fresco possibile perché questo è un anno molto importante per me e la mia crescita».

L’obiettivo dl 2024 è cercare di fare più risultati possibili, il momento della maturazione è arrivato (foto Instagram)
L’obiettivo dl 2024 è cercare di fare più risultati possibili (foto Instagram)

Uno step in più

Nel sentir parlare Raccagni si ha la sensazione che il cammino di crescita lo abbia fisso in testa. La Soudal-Quick Step Devo Team crede in lui e lo dimostrano i passi in avanti fatti insieme. 

«Nel programma – racconta con lucidità – abbiamo aggiunto molte gare. Nel 2023 ho fatto solo 30 giorni di corsa, davvero pochi. Quest’anno saranno 25 solamente fino a inizio maggio, un bel passo in avanti. La squadra crede in me, alla fine fa strano dirlo ma sono uno dei più “vecchi” perché abbiamo tanti ragazzi di primo anno. Nel 2024 il team vuole testarmi nelle massime gare di livello per la categoria, quindi anche corse 1.2.

«Il salto in avanti c’è stato – prosegue – sia mio che del team. In queste prime corse l’obiettivo è cercare il risultato, nella passata stagione non era così. Quando arrivavo a 30 chilometri dall’arrivo con le gambe finite sapevo di avere un compagno pronto a entrare in gioco. Nel 2024 sono io che devo entrare in azione nei finali e farmi trovare pronto. Ora ho corso molto all’attacco e va bene, è utile anche per costruire il ritmo gara. Ma da qui in avanti servirà centellinare le energie e saper risparmiare, per provare a vincere qualche gara».

Nel 2023 solamente 30 giorni di gara per lui, nel 2024 aumenteranno sensibilmente (foto DirectVelo)
Nel 2023 solamente 30 giorni di gara per lui, nel 2024 aumenteranno sensibilmente (foto DirectVelo)

Fiducia e Lefevere

Al primo anno nella Soudal-Quick Step Devo Team tutto era nuovo e da scoprire. Ogni corsa portava una novità e il modo di gareggiare poteva creare qualche difficoltà. Un anno dopo, però, la consapevolezza di come si corre a certe latitudini è maggiore e questo aiuta. 

«Ho avuto la sensazione – ammette Raccagni Noviero – che le corse si decidano ancora prima rispetto al 2023. Nella prima gara la fuga giusta è andata via a 150 chilometri dall’arrivo, mentre sabato scorso a 80. Conosco le strade, il modo di correre, le insidie e questo mi aiuta a non rimanere sorpreso. In Belgio si deve correre sempre davanti, non ci sono scuse, perché l’azione decisiva può arrivare in qualsiasi momento».

«Un’altra novità rispetto al 2023 – conclude – è il maggior coinvolgimento con il team WorldTour. Abbiamo i magazzini vicini e capita spesso che gli staff si mischino. Preparatori e diesse del team WorldTour hanno accesso ai nostri dati su Training Peaks, anche Patrick Lefevere è più coinvolto. Passa a salutarci, a parlare, ci chiama dopo le gare e ci incoraggia molto. Ha una personalità molto forte, quando parla si capisce che è un grande capo. Ha molto interesse in noi, quando corriamo la domenica lui non c’è, ma lunedì ha già tutte le informazioni e ci chiama per farci i complimenti o per incoraggiarci. Domenica (3 marzo, ndr) ci ha chiamati dopo la corsa per dirci che gli era piaciuta la tattica di squadra, questo rapporto è molto importante per noi corridori».

Look Keo Blade Power, il power meter è nel pedale

05.03.2024
5 min
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Dopo il lancio ufficiale del nuovo Keo Blade, Look ufficializza anche la versione con il power meter integrato. Due le versioni, quello classico da strada (che abbiamo testato in anteprima) e quello dedicato all’off-road, che si rivolge anche al mondo gravel da competizione.

La versione Power mutua le caratteristiche tecniche del pedale in fatto di piattaforma di appoggio e forma. Il misuratore è completamente integrato nell’asse e utilizza una batteria ricaricabile. C’è anche la versione singola, con la rilevazione/trasmissione sul pedale sinistro (non drive). Interessanti i prezzi, cosiderando che parliamo di un top brand quale è Look: 999 euro di listino per la versione Dual, 659 euro per la Single.

Perno quadro per la classica chiave da 15
Perno quadro per la classica chiave da 15

Power meter nel pedale

Il misuratore di potenza è sotto molti punti vista uno strumento tanto utile, considerando i canoni attuali di utilizzo della bicicletta, quanto invasivo e che talvolta condiziona l’utilizzatore. Lo è ancor di più nell’ottica di uno strumento che spesso è legato ad alcuni componenti della bicicletta (ad esempio i misuratori integrati nella guarnitura). Un misuratore, che è anche un pedale, è più facile sotto tanti punti di vista.

Si può spostare da una bici all’altra e la tecnologia attuale permette di avere uno strumento affidabile, robusto e non eccessivamente costoso, in grado di fornire una rilevazione/trasmissione stabile, con dati sovrapponibili nel tempo. Look Keo Blade Power è tutto diverso, rispetto ai modelli del passato e utilizza il corpo del nuovo Keo Blade. Stessa superficie di contatto, medesima altezza del pedale e stesso fattore Q (53 millimetri), del tutto paragonabile ai pedali standard.

Come è fatto

Il corpo è tutto in carbonio e come vuole la tecnologia Blade, anche la lama di tensione è in fibra (da 16 Nm). Può essere sostituita e/o cambiata con una lama (che è la medesima della versione standard) più dura, oppure con minore tensione. Anche per quanto concerne le tacchette nulla cambia rispetto alla versione Keo.

Se comparato con la versione standard, è invece differente il perno, in cui sono alloggiati la batteria e tutto il pacchetto di lettura e trasmissione del segnale. E’ in acciaio Inox di grado militare, con una filettatura tradizionale per l’inserimento nella pedivella e un quadro da 15 millimetri per la chiave inglese: non c’è la sede per la brugola. Al suo posto c’è una sorta di cappuccio in policarbonato da dove l’antenna trasmette il segnale. Buona parte dello spazio interno al perno è occupato dalla batteria, che ha una autonomia garantita di oltre 60 ore (l’utilizzo effettivo è di poco superiore, intorno alle 64/66 ore anche in condizioni di freddo e umido).

La misurazione della potenza avviene 100 volte al secondo, vale a dire che ad una frequenza di 90 rpm, un singolo giro di pedale viene valutato su 67 punti differenti. E’ praticamente infinito il range ottimale di analisi dei dati, da 30 a 180 pedalate al minuto, un ulteriore dettaglio (molto importante) che determina la cura e la precisione del nuovo Blade Power.

Durante la fase di test, l’applicazione è stata aggiornata 2 volte
Durante la fase di test, l’applicazione è stata aggiornata 2 volte

Il nostro test

E’ molto diverso dal modello Look Exakt e si parla di un sistema che fa parte di una generazione più avanzata, sviluppato con tecnologie diverse. Se entriamo nella categoria dei misuratori di potenza, oggi come oggi è difficile trovare un power meter che pecchi nella precisione, ma è fondamentale considerare la categoria del prodotto. Un misuratore con gli estensimetri all’interno dell’asse passante ha delle caratteristiche differenti da uno che rileva sullo spider, che a sua volta è diverso da un power meter integrato nel pedale. Il fattore più importante, per un utente che acquista e spende dei soldi per un misuratore è la ripetibilità dei dati. Il nuovo Keo Blade Power offre dei dati ripetibili e se volessimo fare un confronto è perfettamente comparabile con un power meter che adotta degli estensimetri interne alle pedivelle.

Anche nelle fasi di sprint e di cambi di ritmo perentori, pur rilevando il picco immediato (tipico dei power meter a pedale) è difficile rilevare uno scostamento anomalo e, di sicuro non c’è nessuna perdita del segnale. Quest’ultimo aspetto non è banale e porta il misuratore integrato nel pedale ad un livello superiore, del tutto paragonabile ad altre categorie già consolidate. Per l’analisi dei nostri dati abbiamo utilizzato la piattaforma Shimano Connect Lab.

Anche la app Look è tutta nuova, ricca di istruzioni e modalità
Anche la app Look è tutta nuova, ricca di istruzioni e modalità

C’è anche l’app

Oltre alle varie operazioni di gestione del power meter, il pedale fornisce i dati in tempo reale, che possono tornare utili quando si pedala indoor e (se necessario) avere un confronto diretto con la rilevazione dei watt dello smart trainer.

Look Cycle