Ciclismo in El Salvador? Il racconto di due italiane in corsa

20.03.2024
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Una settimana e mezzo di ambientamento, poi cinque gare, di cui una a tappe, per un totale di nove giorni di corse su dieci. Questa, in estrema sintesi, la trasferta in El Salvador che hanno affrontato alcune formazioni europee tra fine febbraio e metà marzo. Una destinazione non nuova per il ciclismo.

C’è stato un tempo infatti – a cavallo del Duemila – che si iniziavano a vedere… corse dell’altro mondo. La globalizzazione del pedale, attualmente sempre più completa, ha riportato il ciclismo femminile sulle coste pacifiche del Centro America a distanza di dieci anni. Di queste nuove gare in calendario ci aveva raccontato qualcosa Giorgia Vettorello, instillandoci una discreta dose di curiosità. D’altronde sulle strade di El Salvador (in apertura foto Secretarìa de Prensa de la Presidencia), per citare l’esempio più lampante, aveva vinto una ventunenne e già affermata Marianne Vos, così come in altre annate avevano sempre fatto bella figura diverse italiane. Così noi, spulciando la starting list, ci siamo affidati a due ragazze del Trentino-Alto Adige per avere un reportage: Elena Pirrone e Andrea Casagranda.

In El Salvador il livello non era altissimo, ma molte atlete hanno potuto mettersi in gioco, anche con un clima torrido (foto BePink-Bongioanni)
In El Salvador il livello non era altissimo, ma molte atlete hanno potuto mettersi in gioco, anche con un clima torrido (foto BePink-Bongioanni)

A casa di Contreras

Il viaggio intercontinentale per Elena Pirrone e la sua Roland era quasi un dovere istituzionale. Il general manager Ruben Contreras è salvadoregno ed è una sorta di filantropo del ciclismo del suo Paese.

«Le stesse gare di dieci-quindici anni fa – spiega la venticinquenne altoatesina di Laives – le organizzava sempre Ruben, che poi ha dovuto interromperle per motivi di sicurezza. Lui stesso ci ha raccontato che El Salvador aveva già vissuto una guerra civile negli anni ’80 poi dal 2010 in avanti era finito in mano a gang criminali che condizionava tantissimo anche l’aspetto politico. Ora da un po’ di anni è tornato nuovamente ad essere sicuro per gli stessi abitanti ed anche per i turisti. Noi atlete in effetti non abbiamo solo corso laggiù, ma abbiamo visitato la zona in cui eravamo.

«Abbiamo soggiornato a San Salvador per cinque giorni – continua Pirrone – poi ne abbiamo trascorsi altrettanti sulle alture dove c’era una delle tante piantagioni di caffè. Entrambe le volte eravamo in case di proprietà di Ruben, mentre dal 3 marzo in poi, giorno in cui iniziavano le gare, siamo state assieme a tutte le altre squadre in un campus universitario della Capitale, in un edificio completamente nuovo».

Organizzazione e tradizione

Una gara ciclistica a quelle latitudini in questa fase dell’anno solitamente deve convivere con un’organizzazione non dettagliata come quella europea. Questa era un’incognita per le atlete.

«Noi della BePink-Bongioanni – racconta Casagranda – sapevamo di venire in un Paese che aveva già ospitato il ciclismo. La nostra diesse Sigrid Corneo, che ci ha guidate in ammiraglia, c’era stata a correre, vincendo anche un paio di gare. Lo stesso roadbook riportava gli albi d’oro e abbiamo letto il nome di Marianne Vos e altre atlete importanti. Correre in El Salvador tuttavia è molto diverso che farlo in Europa, anche per il cibo. Essendo tutte assieme in questa università, ci siamo dovute adattare a sapori nuovi. Ogni giorno veniva un catering con i pasti. I piatti erano spesso a base di riso e pollo che siamo già abituate a mangiare, ma con spezie e condimenti forti.

Andrea Casagranda (seconda da sx) in El Salvador ha sofferto il caldo, ma ha saputo adattarsi (foto BePink-Bongioanni)
Andrea Casagranda in El Salvador ha sofferto il caldo, ma ha saputo adattarsi (foto BePink-Bongioanni)

Alla fine la realtà ha superato le aspettative. «Devo dire la verità – confida la diciannovenne di Borgo Valsugana – siamo rimaste sorprese in positivo. Certo, si sono notate alcune differenze. Le strade alternavano tratti perfetti ad altri non in ordine con buche o senza tombini. Spesso e volentieri ci siamo imbattute in cani randagi che si buttavano in mezzo alla corsa. Oppure alcuni diesse centroamericani non sapevano come si facevano certe operazioni o manovre in corsa. Tutto sommato però non ci possiamo lamentare perché alla fine siamo riuscite a fare tutto senza grandi problemi».

Nonostante il ciclismo non sia uno sport troppo seguito, il calore del pubblico non è mancato. «Ogni giorno che passava – va avanti Pirrone – l’organizzazione migliorava. Il tifo si faceva sentire a bordo strada e nel complesso c’era molta curiosità da parte della gente. Il prologo del Tour El Salvador lo abbiamo fatto attorno ad una grande piazza dove c’era una biblioteca di sette piani. Abbiamo sempre incontrato persone disponibili, che vivono senza stress. E poi siamo rimaste colpite in positivo perché nessuno trasgrediva o si lamentava nel traffico per il passaggio della gara. A livello organizzativo hanno margini di miglioramento e in futuro non è da escludere che potrebbero partecipare altre formazioni europee, alzando chiaramente il livello dell’evento».

Clima e gare

L’altra grande incognita per le squadre al via delle gare era il clima particolarmente torrido, mentre il fuso orario è stato ben assorbito da tutti.

«Abbiamo fatto scalo a New York – riprende Casagranda – e durante il volo per San Salvador, in cui siamo atterrate alla sera, ci siamo imposte di non dormire per non scompensare poi il sonno della notte. Ho patito invece, e tanto, il caldo. Io non mi sono adeguata tanto al clima, ma è un discorso soggettivo. Quattro giorni prima di partire ero in Belgio a correre con 4 gradi, mentre laggiù ne ho trovati 40. Inizialmente in allenamento mi piaceva finalmente pedalare al caldo, poi in gara, sotto sforzo, l’ho sofferto molto.

«Le gare partivano al mattino abbastanza presto – aggiunge Pirrone – proprio per evitare temperature troppo alte, anche se era un caldo piuttosto secco. Mi ha stupito perché quando siamo state in montagna, attorno ai mille metri, c’erano ugualmente più di 30 gradi. In allenamento abbiamo fatto la salita del vulcano sopra San Salvador (nel Paese ce ne sono più di 170, ndr), una strada di una dozzina di chilometri quasi sempre in doppia cifra di pendenza. Ruben ci raccontava che in gara Vos saliva a zig-zag. Fortunatamente noi abbiamo invece corso su salite lunghe uguali, ma ombreggiate e con curve ampie oppure su stradoni larghi e vallonati».

La maggior parte dei percorsi erano su strade larghe e vallonate, abbastanza curate (foto BePink-Bongioanni)
La maggior parte dei percorsi erano su strade larghe e vallonate, abbastanza curate (foto BePink-Bongioanni)

Un’esperienza per Elena e Andrea

Uno degli obiettivi nemmeno tanto velato di Roland e BePink era quello di fare incetta di punti UCI in questo lotto di gare classe .1, così come fare un’esperienza di vita per tutte le loro atlete.

Purtroppo Pirrone è stata a mezzo servizio come spiega lei tra rammarico ed ironia: «Probabilmente sono delicata come un principessa e non so se sia stato il latte di cocco che ho bevuto nei primi giorni a mettermi fuori gioco (sorride, ndr). Battute a parte, come altre ragazze ho preso a fine febbraio un virus gastrointestinale che non sono riuscita a smaltire. Alla prima gara ho fatto seconda dietro la mia compagna Christoforou, però ho iniziato a sentirmi svuotata e disidratata col passare del tempo, tanto che le altre gare non le ho finite oppure arrivavo molto dietro. Visto che non passava, con lo staff della squadra abbiamo organizzato il mio rientro anticipato perché non aveva più senso restare giù. Peccato, ma mi riprenderò in fretta.

Al Tour a El Salvador, la BePink ha conquistato la maglia bianca dei giovani con Angela Oro
Al Tour a El Salvador, la BePink ha conquistato la maglia bianca dei giovani con Angela Oro

«Durante questa trasferta – conclude Casagranda – abbiamo imparato ad adattarci ad un posto nuovo, soprattutto convivendo con un forte sbalzo termico e con uno stile di vita che ci ha provocato qualche noia intestinale. Sul lato agonistico il livello non era altissimo, quindi abbiamo potuto metterci in gioco. Sicuramente potevamo raccogliere di più, però siamo contente perché nella gara a tappe Angela Oro ha conquistato la maglia bianca di miglior giovane».

S-Works SL8: veloce e precisa, la stabilità è il valore aggiunto

20.03.2024
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Rispetto alla S-Works SL7 cambia molto, quasi tutto. Il design, anche se al primo impatto le somiglianze ci sono, cambiano soprattutto le performances, perché nella SL8 collimano aerodinamica e leggerezza. L'ultima versione della Tarmac è anche molto, molto leggera, un peso ridotto che però non influisce in modo negativo sulla stabilità, su un avantreno che non risulta nervoso e troppo impegnativo. L'abbiamo provata a fondo.

La Tarmac S-Works SL8 di Specialized è una delle protagoniste del mercato. Rispetto alla versione precedente è cambiata radicalmente nelle performance, pur tenendo fede ad una design che è una sorta di “all in one”.

E’ leggera come una bici specifica per gli scalatori, ma porta in dote anche dei concetti aero non banali che la rendono veloce come una aerodinamica vera e propria. Non adotta delle geometrie estremizzate ed è molto agile. E poi le ruote Roval Rapide CLX II con il profilo differente (51/60 millimetri) che sono un tappeto di velluto. Entriamo nel dettaglio del test.

La SL8 è molto diversa dalla precedente 7
La SL8 è molto diversa dalla precedente 7

Tarmac SL8 Dura-Ace

E’ la stessa bicicletta utilizzata dai corridori del Team Soudal-Quick Step ed il frame-kit (incluso anche il cockpit integrato) è il medesimo in dotazione a Primoz Roglic e compagni. Come sottolineato al momento del suo lancio ufficiale, la S-Works SL8 è l’erede della SL7, anche se le differenze esistono e sono importanti. L’avantreno è stato completamente cambiato, così come la forma ed i volumi di alcune tubazioni. Rispetto al passato anche la nuova metodologia di posa del carbonio ha permesso di abbassare drasticamente il valore alla bilancia, aumentando al tempo stesso il rapporto rigidità/peso.

La bici del test, una taglia 54, ha un peso rilevato di 6,35 chilogrammi (senza pedali). Ha il nuovo cockpit integrato Roval tutto in carbonio, il reggisella specifico e la sella S-Works Power. La trasmissione è Shimano Dura-Ace 52/36 e 11/30, con il power meter 4iiii. Le ruote sono le Roval Rapide CLXII 51/60 tubeless ready, gommate S-Works Turbo Rapidair 2BR da 26 millimetri. L’abbiamo utilizzata nella configurazione tubeless.

Meglio della SL7

Non è solo questione di meglio o peggio, ma sono l’equilibrio e la precisione, insieme alla stabilità, che mettono la SL8 sul gradino superiore. La Tarmac precedente faceva emergere un po’ di nervosismo in alcuni frangenti, che si traducevano in consumo di energie. Paradossalmente la S-Works SL8 è più docile, armoniosa ed è una lama quando si tratta di cambiare traiettoria continuamente ed in modo repentino, fattori che nell’insieme permettono al corridore di fidarsi al 110% del mezzo meccanico.

Al tempo stesso possiamo scrivere che in salita paga poco o nulla nei confronti della Aethos, soprattutto quando le pendenze sono al di sotto della doppia cifra e si riesce a fare una buona velocità. Nei tratti vallonati, in pianura ed ovviamente in discesa, è decisamente più veloce.

Non è una bici comoda per concetto
Non è una bici comoda per concetto

Il comfort? Da spiegare

Il comfort di marcia non è legato ad una bicicletta comoda per concetto, ma ad un progetto che rende funzionale la sua prestazione complessiva. Il comfort è il risultato di più fattori che collimano tra loro e che abbiamo menzionato in precedenza: stabilità e agilità, leggerezza e una rigidità percepita non eccessiva, capacità di bloccare le vibrazioni e di non portarle verso la sella.

A questi si unisce la versatilità del mezzo che è facile da rilanciare e aiuta a mantenere alta la velocità senza troppi sacrifici, ma anche una grande capacità di adattarsi a differenti tipologie di allestimento (ad esempio le altezze delle ruote), senza mai cambiare il carattere vero e proprio del frame-kit.

Ruote e manubrio integrato

Le ruote Roval, che da sempre fanno parte del portfolio Specialized sono quel plus tecnico che non guasta, perché se la ruota è in grado di cambiare la resa tecnica del mezzo, qui siamo ad un livello molto alto. Hanno il profilo differenziato tra anteriore e posteriore (anche la spanciatura del cerchio è differente), oltre ad un meccanismo interno del mozzo che si basa sul progetto DT Swiss. Scorrevolissime prima di tutto e nonostante i due profili già elevati non impiccano il corridore nelle curve in discesa alle alte andature. Usate con la configurazione tubeless sono un punto di riferimento anche quando la qualità dell’asfalto tende al pessimo.

La ruota posteriore da 60 è impegnativa quando la strada sale, la velocità si abbassa e per rilanciare in modo perentorio bisogna avere tanti watt nelle gambe. In frangenti come questo entra in gioco la sua briosità e la prontezza in fase di cambio di ritmo che viene fuori quando si usano ruote dal profilo più basso. Forse meno veloci, ma che paradossalmente fanno diventare la S-Works SL8 ancora più brillante.

Il nuovo manubrio integrato Roval, vantaggioso quando si arpionano gli shifters ed è fondamentale scaricare le pressioni che si generano sui polsi. Ergonomico e con una curvatura mediamente compatta che non obbliga a sprofondare verso il basso e verso l’avantreno, quindi utilizzabile e sfruttabile da diverse tipologie di utenza.

In conclusione

Il nostro test parte da lontano, perché prima di metterci in sella abbiamo affrontato anche il bikefitting Retul. Scrivere che la SL8 è la migliore Tarmac di sempre non è un azzardo, ma non è neppure scontato. Lo riteniamo un vero progetto “tutto in uno”, frutto del percorso intrapreso dalla SL7 (che in fatto di aerodinamica ha strizzato l’occhio alla Venge) e dalla lavorazione del carbonio utilizzata per la Aethos.

La S-Works SL8 non è una di quelle biciclette che buttano giù di sella dopo tante ore e dopo parecchi metri di dislivello positivo. Non è una di quelle bici che funzionano bene solo quando la corda è costantemente tesa. E’ una di quelle bici gratificanti e piacevoli quando l’andatura è bassa ed anche il “giro di scarico” diventa anche un piacere che va ben oltre l’agonismo.

Specialized

Le varie anime di Bosio, oggi biker ma presto stradista

20.03.2024
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Dalla strada alla mountain bike e viceversa, senza soluzione di continuità, senza paura. Magari anche nello stesso weekend. Se c’è un esempio in Italia di multidisciplina, questo è Tommaso Bosio, in questo periodo protagonista assoluto della scena sulle ruote grasse, capace dopo il 2° posto ad Albenga (SV) nella seconda tappa dell’Italia Bike Cup di sbaragliare la concorrenza a San Zeno (VR) nell’apertura degli Internazionali d’Italia dando scacco matto all’iridato Viezzi con un ultimo giro indiavolato.

Un biker? Non del tutto, anzi. Il suo futuro lo vede più su strada, come si vedrà nel corso della chiacchierata. Il presente però è sulle ruote grasse.

«Questo periodo – dice – porta la parte più corposa della stagione di mtb in Italia, per ora devo concentrarmi sulle gare di cross country. Il giorno dopo Albenga avrei anche corso su strada, il Memorial Italo Ragnoli a Prevalle, ma il percorso non era adatto a me e visto il cattivo tempo ho preferito lasciar perdere».

Bosio in trionfo a San Zeno. Finora è stato il più costante nella mtb (foto Alessandro Di Donato)
Bosio in trionfo a San Zeno. Finora è stato il più costante nella mtb (foto Alessandro Di Donato)
Ti senti più biker o stradista?

Io nasco sulla mountain bike, è il primo amore. Con gli anni però ho incrementato la mia attività su strada e ormai sono diviso a metà, senza poi dimenticare che d’inverno mi dedico al ciclocross. Molti dicono che un’attività è antagonista dell’altra e per certi versi è vero, ma bisogna sempre guardare la medaglia dai due lati. Ci sono tanti aspetti positivi anche differenziando la preparazione in base alla disciplina. Io sinceramente oggi non saprei scegliere.

Hai seguito la moda guardando a campioni come Van Der Poel e Pidcock?

Sono stati e sono un esempio, ma io ho iniziato subito a differenziare la mia attività, quando ancora non erano famosi per quello. Adesso casi come il loro e anche il mio sono all’ordine del giorno, ormai moltissimi ragazzi italiani fanno così e questo è positivo.

In Mtb il diciassettenne è stato nel 2023 17° agli europei e 18° ai mondiali (foto Alessandro Di Donato)
In Mtb il diciassettenne è stato nel 2023 17° agli europei e 18° ai mondiali (foto Alessandro Di Donato)
Si dice però che passare da una bici all’altra comporti disagi e problemi, ci vuole un po’ di tempo per ritrovare feeling. E’ così anche per te?

Con la pratica si diventa sempre più veloci. Io poi sono maniacale nella posizione in sella, cerco subito quella migliore per non soffrire, quindi mi riadatto subito al mezzo e alla pedalata. E’ chiaro che se non usi una bici per un po’, hai più difficoltà, ma non è il mio caso.

In questo periodo la bici da strada la metti da parte?

No, anzi, almeno il 90 per cento della mia preparazione è su strada, per questo avrei anche fatto la gara bresciana, ma non ne valeva la pena visto che era completamente piatta e io vado bene in salita. Il mio calendario è sì intenso, ma anche ragionato in funzione degli obiettivi veri, che sono più avanti nella stagione.

Lo scorso anno Bosio ha colto 4 top 10 su strada, ma è atteso a un deciso salto di qualità
Lo scorso anno Bosio ha colto 4 top 10 su strada, ma è atteso a un deciso salto di qualità
Due gare di due discipline diverse nello stesso weekend. Come riesci a farlo?

Lo scorso anno è già avvenuto: non spessissimo, ma il calendario può portare a queste sovrapposizioni. L’importante è come detto riabituarsi subito al diverso mezzo e stare molto attenti all’alimentazione pre e post gara, considerando i diversi tipi di sforzo che le due discipline richiedono.

Focalizziamo il Bosio stradista: che corridore sei?

Uno scalatore che sfrutta la dote della leggerezza. Me la cavo bene sui percorsi mossi. Lo scorso anno ho infilato 4 top 10 consecutive fra il Liberazione di Massa e il Trofeo Dorigo, chiusa al 7° posto in un consesso internazionale con la doppietta degli A2R francesi Pauls Seixas e Aubin Sparfel, che poi ho ritrovato nel ciclocross. La mia gara migliore però è stata la prima, l’Eroica Juniores di Montalcino anche se sono finito solo 30° per colpa di miei errori di alimentazione, perché avevo una gamba che volava…

Bosio impegnato all’Eroica Juniores. Stava andando molto bene, ma ha avuto una crisi di fame
Bosio impegnato all’Eroica Juniores. Stava andando molto bene, ma ha avuto una crisi di fame
Sappiamo che i cittì ti si contendono…

Io spero di farmi trovare pronto per le gare titolate. Devo dire grazie al mio team, la Ciclistica Trevigliese perché mi lascia libero di scegliere i miei obiettivi, senza alcuna costrizione. Non ho ancora idea di dove puntare l’obiettivo per la stagione: ci sono le gare con titolo in palio nella mtb e con Celestino sono in stretto contatto. Su strada lo scorso anno ho fatto un paio di corse a tappe della Nations Cup, con Salvoldi non ho ancora avuto modo di rapportarmi, spero che avvenga presto.

Come riesci a conciliare tutto ciò con la scuola?

Non è facile, anche perché gli esami li avrò l’anno prossimo. Frequento il Liceo Scientifico di Novi Ligure, fino allo scorso anno era più facile, ora vedo che le difficoltà sono aumentate, anche se comunque il mio rendimento è ancora buono.

Con la Ciclistica Trevigliese il lombardo ha massima libertà nella scelta della disciplina da praticare
Con la Ciclistica Trevigliese il lombardo ha massima libertà nella scelta della disciplina da praticare
Andrai avanti con la doppia attività?

La mia intenzione è farlo quest’anno e poi tirare le somme. Credo che nella prossima stagione dovrò concentrarmi di più sulla strada, anche perché cambierò categoria e non so ancora dove andrò. Ma se voglio fare un vero salto di qualità devo concentrare il mio impegno sulla strada: la mountain bike richiede una metodologia di lavoro che come detto non si confà perfettamente. Poi vedremo che proposte mi arriveranno, da un mondo e dall’altro.

Ma allora come fanno Van Der Poel e Pidcock a continuare per tutta la loro carriera saltando da una parte all’altra?

La risposta è facile: sono fenomeni, di quelli che ne nasce uno ogni tanto. Guardate Koretzky: ci ha provato per due anni, ma poi si è reso conto che il suo rendimento era calato ed è tornato indietro, riprendendo a vincere nella mtb. A un certo punto devi scegliere, se non sei stato baciato in particolar modo da madre natura…

Parigi, perché non bastano quei due giorni fra strada e pista?

20.03.2024
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Milan e Ganna non parteciperanno alla prova su strada alle Olimpiadi di Parigi, perché il CIO ha composto un calendario surreale e per l’impossibilità di recuperare lo sforzo nel breve tempo a disposizione prima delle prove di inseguimento a squadre (in apertura il trenino azzurro ai mondiali vinti nel 2021). Lo stesso dilemma potrebbe riguardare anche Elisa Balsamo.

Le scelte sono di competenza dei tecnici e un cittì può anche scegliere di correre un rischio, risparmiando a un atleta il primo turno di qualificazioni su pista permettendogli di correre su strada (potrebbe essere il caso di Balsamo), ma non è questo il momento di parlarne. Il punto di vista che ci interessa affrontare è quello del preparatore, per capire le ragioni scientifiche alla base di certe scelte. Per questo ci siamo rivolti a Diego Bragato, responsabile del gruppo performance della FCI.

Bragato non ha partecipato alla Coppa del mondo di Hong Kong, ma partirà per quella di Milton a fine aprile
Bragato non ha partecipato alla Coppa del mondo di Hong Kong, ma partirà per quella di Milton a fine aprile
Perché chi corre la prova su strada dopo due giorni non può essere pronto per il quartetto?

Perché non riuscirebbe a recuperare da tutto lo stress, metabolico e di forza, che una gara così dura ti impone. Quando agli europei di Monaco, Viviani fece al mattino la strada e il pomeriggio vinse l’eliminazione su pista, sapevamo che la prova su strada permetteva di stare per tutto il giorno a ruota e alla fine c’era da fare soltanto la volata. Ma la gara delle Olimpiadi, che si corre in tre e su un percorso lungo e impegnativo, lascia l’atleta distrutto dal punto di vista metabolico e muscolare.

Quindi le 48 ore a disposizione non bastano per reintegrare e ritrovare l’equilibrio?

Ci sono passaggi da fare, anche perché l’inseguimento non si limita a una gara secca, ma si tratta di affrontare altri tre giorni di stress fisico e mentale altissimo. Non è come in un grande Giro, che oggi corrono la crono e domani arrivano in volata. Intanto perché la pista amplifica tutto e ti costringe ad esprimere il meglio che puoi in poco tempo. E poi perché nel grande Giro, tutti affrontano le stesse tappe, qui invece rischieremmo di avere il quartetto con atleti in debito, contro altri che non hanno fatto la strada. E visto che si vince e si perde per dei millesimi, non possiamo permetterci il lusso di correre rischi.

Pista o strada per Balsamo a Parigi? Elisa è decisiva su entrambi i fronti
Pista o strada per Balsamo a Parigi? Elisa è decisiva su entrambi i fronti
Nei giorni che precedono la qualificazione del quartetto, c’è un avvicinamento anche alimentare che si perderebbe correndo su strada?

Lo perderesti assolutamente, come pure non potresti fare richiami di lavoro specifico. Questo chiaramente vale sia per gli uomini sia per le donne: stessa musica, non cambia niente.

E’ stato mai valutato che uno di questi ragazzi provi il doppio impegno oppure è da escludersi a priori?

Le scelte competono ai tecnici. Dal mio punto di vista, è una cosa che non ho mai preso in considerazione, anche vedendo il percorso di Parigi e il fatto ad esempio che gli uomini corrano in tre nella prova su strada. Non avevo mai pensato che potessimo trovarci in questa situazione. Si spera sempre che i nostri ragazzi facciano un salto di qualità, ma quando lo scorso agosto cominciammo a ragionare sul programma di avvicinamento, non si pensava che Milan potesse rientrare in queste considerazioni. Almeno non adesso, per il futuro di sicuro.

La rapida crescita di Jonathan Milan ha messo in difficoltà i tecnici azzurri
La rapida crescita di Jonathan Milan ha messo in difficoltà i tecnici azzurri
Il lavoro muscolare che l’atleta svolgerebbe nella prova su strada si integra in qualche modo con le sue necessità per l’inseguimento?

In questo caso diventa decisivo il breve intervallo fra le prove. Mi spiego: abbiamo sempre usato le corse a tappe per preparare il quartetto, però non così ravvicinate, sempre qualche settimana prima. Se il CIO avesse lasciato una settimana, come ad esempio fra pista e crono, allora si sarebbero potute preparare due specialità.

Si parlava di stress metabolico, quanto la pedalata di una corsa su strada va a incidere su quella ad altissima frequenza di una prova di inseguimento?

Sicuramente il lavoro di una gara su strada due giorni prima ti toglie quel tipo di velocità dalle gambe, come pure la la brillantezza di poter fare una partenza da fermo nel modo migliore. Torno al caso di Viviani nel 2022, alle 5 ore fra la strada e la pista. Quando si decise che potesse correre su strada, ci dicemmo anche che se la corsa avesse preso la piega di ventagli o dinamiche troppo estreme, si sarebbe fermato prima. In più, l’inseguimento è diverso dall’eliminazione, dove non parti da fermo, puoi montare un rapporto che assomigli di più a quello di una gara su strada e anche lo sforzo è simile alla fase intensa della gara su strada. Mentre nel quartetto devi partire da fermo e tenere una frequenza piuttosto diversa.

Bennati e Villa hanno ragionato sull’impiego degli inseguitori su strada a Parigi e lo hanno escluso
Bennati e Villa hanno ragionato sull’impiego degli inseguitori su strada a Parigi e lo hanno escluso
Quanti giorni prima inizia la fase di preparazione a un quartetto olimpico?

Almeno tre-quattro giorni. Negli anni ognuno si è costruito la sua routine, però si parte dal concetto di svuotamento e ricarica delle scorte di glicogeno e di carboidrati fino a ripristinarli. E di richiamare tutti i meccanismi di timing di pedalata, di distribuzione dello sforzo e di assimilazione del gesto della partenza che sono necessari. La partenza e il timing degli sforzi delle pedalate successive. A quel punto, nell’imminenza della gara, devono creare l’automatismo di partire ed essere subito sulla tabella giusta. Trovare la sensazione su quella pista, su quella bici. Devo partire ed essere preciso al decimo già dal primo giro: quel feeling va costruito un po’ alla volta. Per questo sottrarsi a certi meccanismi, oltre a tutto l’affaticamento fisico, può toglierti qualcosa di prezioso.

Cosa farà Plapp al Giro? «Punto alle crono e aiuto Dunbar»

19.03.2024
4 min
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PAVIA – Il bianco delle maniche della maglia di campione australiano risaltano la pelle scura, “quasi Maori”, di Luke Plapp. Occhiali da sole da passeggio e un sorriso stampato sul volto: è così che si presenta il corridore della Jayco-AlUla. .

Plapp sarà uno dei protagonisti del prossimo Giro d’Italia. Dopo la sua ottima prestazione alla Parigi-Nizza volevamo conoscerlo meglio, per capire soprattutto con quali velleità, quali obiettivi, lo vedremo sulle nostre strade a maggio.

Luke Plapp (classe 2000) al via della Sanremo. E’ campione australiano in carica sia a crono che su strada
Luke Plapp (classe 2000) al via della Sanremo. E’ campione australiano in carica sia a crono che su strada

Intelligenza tattica

Nella Parigi-Nizza Luke è arrivato sesto assoluto. Ha persino indossato la maglia gialla di leader per due giorni. E la cosa un po’ ci ha stupito. L’australiano infatti non è certo uno scalatore. E la maglia l’ha presa proprio in salita.

E’ andato in fuga e si è trovato davanti con Buitrago. Poi lungo la scalata finale, sapendo come va il grimpeur colombiano, ha deciso subito di staccarsi, di lasciarlo andare e di salire col suo passo. «Se avessi provato ad inseguirlo avrei impiegato più tempo nel fare la salita», disse quel giorno Plapp dopo l’arrivo, già vestito di giallo.

Però poi ha lottato. Anche contro la pioggia che, dice: «Non vedevo da quattro mesi». Doveva dunque ritrovare un certo feeling con l’acqua.

Plapp è nativo di Melbourne. E’ un classe 2000. E’ un ottimo cronoman e un super pistard. A Tokyo faceva parte del quartetto che è riuscito a conquistare la medaglia di bronzo. E la sua presenza al Giro d’Italia va letta soprattutto in quest’ottica a quanto pare, anche se non lo vedremo sul parquet.

Ha vinto diversi titoli nazionali a crono sin dalle categorie giovanili e poi anche quelli tra gli elite. Per esempio questo gennaio ha fatto doppietta, strada e crono. La Jayco-AlUla, la squadra australiana, lo ha sfilato alla Ineos Grenadiers. E lo ha blindato con un contratto quadriennale.

Parigi-Nizza: verso il Mont Brouilly gli scappa Buitrago, ma Luke limita i danni e va in giallo (foto Aso)
Parigi-Nizza: verso il Mont Brouilly gli scappa Buitrago, ma Luke limita i danni e va in giallo (foto Aso)

Crono rosa nel mirino

Il sesto posto alla Parigi-Nizza poteva indurre a pensare che Luke stesse mutandosi in un uomo da corse a tappe, che mirasse alla generale. Qualche dubbio ci era venuto. A gennaio ci aveva detto altro.

«Io alla generale? Impossibile, impossibile… – ripete due volte – il Giro è troppo duro. Se devo essere sincero il risultato alla Parigi-Nizza ha stupito anche me. E ancora ne sono sorpreso! E’ la prima volta che verrò al Giro e non conoscevo nulla. Prima della Sanremo ho fatto delle ricognizioni delle tappe 6, 7 e 14 (quella di Rapolano sullo sterrato e le due crono, ndr). Penso che la sesta frazione sia fantastica. La ghiaia sarà durissima. Molte persone pensano forse ad uno sprint, ma non credo sarà così».

«Mentre credo che un giorno importante per la classifica generale, sarà la settima tappa. Il traguardo di Perugia è davvero difficile. La salita di Casaglia a cinque chilometri dall’arrivo è molto ripida. E poi è bellissima la tappa 14 (l’altra crono, ndr). Lì si andrà a 55 all’ora: sarà una crono super veloce. Quindi ecco, le tappe 7 e 14 sono quelle a cui miro».

Plapp ha chiuso la Parigi-Nizza al sesto posto nella generale. Ha un contratto con il team di Copeland fino al 2027
Plapp ha chiuso la Parigi-Nizza al sesto posto nella generale. Ha un contratto con il team di Copeland fino al 2027

Per Dunbar ed Ewan

Come dicevamo, Plapp ha iniziato a correre a gennaio. Dopo la Sanremo starà lontano dalle corse per un po’ e inizierà la vera preparazione per il Giro. Prima della corsa rosa prenderà parte al Giro di Romandia.

«Al Giro cercherò di dare il massimo. Al tempo il Giro stesso mi consentirà di costruire al meglio le Olimpiadi. Queste sono il mio obiettivo principale della stagione». Plapp spiega come il Giro s’incastri perfettamente con i suoi programmi in vista di Parigi. In questi programmi non mancherà l’altura.

«E poi al Giro il nostro leader sarà Eddie Dunbar (già settimo lo scorso anno, ndr). Lui adesso è in quota e so che si sta allenando molto bene. Quindi sarò lì per supportare lui e anche Caleb Ewan, il nostro velocista. Vogliamo davvero vincere una tappa con Caleb. Ha avuto un inizio d’anno difficile, ma voglio solo il meglio per lui e per il team. Faremo di tutto per vincere una tappa».

Kopecky a Cittiglio, un boccone andato di traverso

19.03.2024
4 min
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Lotte Kopecky non se l’è presa troppo o forse sì? Il Trofeo Binda non rientrava nei suoi piani, resta però il fatto che quando indossi la maglia iridata, fare seconda non è mai una gran cosa. Soprattutto se chi ti batte è stata a sua volta campionessa del mondo e rischi di ritrovartela fra i piedi già domenica prossima alla Gand-Wevelgem.

A Cittiglio domenica c’era anche Guy Van Langenbergh, giornalista del belga Het Nieuwsblad, che ha lasciato casa per l’Italia con la sua auto alla vigilia della Tirreno-Adriatico e, passando per la Sanremo, è ripartito dopo la corsa vinta da Elisa Balsamo. Alla piemontese, il giornalista ha rivolto una sola domanda: che cosa significa aver battuto la campionessa del mondo?

«Il fatto di poter battere Lotte qui oggi – ha risposto Balsamo – dà ulteriore lustro alla mia vittoria. Essere sul palco con la campionessa del mondo è sempre qualcosa di speciale».

Kopecky è stata inserita in extremis nella squadra per il Trofeo Binda
Kopecky è stata inserita in extremis nella squadra per il Trofeo Binda

Volata troppo lunga

In realtà, se alla Sanremo del giorno prima poteva sussistere qualche dubbio sull’esito dello sprint tra Philipsen e Matthews, a Cittiglio non c’è stato bisogno neppure di rivederlo, dato che Kopecky è partita lunga e Balsamo l’ha saltata. Come ha spiegato ottimamente la stessa Elisa, sul rettilineo del Trofeo Binda bisogna scegliere il giusto tempo, altrimenti ci si pianta.

«Eppure io – ha spiegato a caldo Kopecky proprio al giornalista belga – non avevo altra scelta che prendere l’iniziativa. Forse sono partita un po’ troppo presto, ma Balsamo è velocissima. Forse avrei dovuto fare come lei e partire in rimonta, ma probabilmente in quel caso non sarei riuscita a superarla. Uno sprint in salita del genere è perfetto per lei. Ho dato il massimo, non c’è niente di sbagliato in questo secondo posto. Non ho perso contro l’ultima arrivata».

Prima del via, l’organizzatore Mario Minervino le ha consegnato la rana mascotte della corsa
Prima del via, l’organizzatore Mario Minervino le ha consegnato la rana mascotte della corsa

La volpe e l’uva

La sua espressione subito dopo il traguardo e anche nel momento in cui lo tagliava non sembrava esattamente così conciliante e forse per questo la campionessa del mondo poco dopo ha corretto il tiro, raccontandola ai tifosi belgi come fece la volpe con l’uva. La convocazione tardiva di Kopecky è stata dovuta alla cancellazione del suo viaggio per la Coppa del mondo su pista a Hong Kong, dove sarebbe dovuta andare per la qualificazione olimpica. Quando tuttavia ha capito di avere già i punti necessari, la belga ha preferito risparmiarsi lo sballottamento e si è offerta di correre se qualche ragazza fosse stata indisponibile.

«E così venerdì mattina – ha raccontato al collega belga – mi hanno proposto di partire per l’Italia. Certo che volevo vincere, ma sono stata inserita nella selezione solo all’ultimo minuto e non sono venuta qui pensando che avrei vinto facilmente. Sapevo però che con tutte le salite che c’erano lungo il percorso, questa gara sarebbe stata l’ideale come preparazione. Il programma prevedeva un allenamento difficile, il tempo era bello e la sera stessa sono tornata a casa».

Dopo il secondo posto in volata, la doccia di spumante per mano di Elisa Balsamo
Dopo il secondo posto in volata, la doccia di spumante per mano di Elisa Balsamo

Una condizione super

Il racconto rilasciato nell’articolo per il pubblico belga non convince troppo. Il Trofeo Binda è una corsa WorldTour e se hai addosso quella maglia e la condizione che nelle ultime tre settimane ti ha permesso di fare seconda alla Omloop Het Nieuwsblad e poi di vincere Strade Bianche e Nokere Koerse, non attacchi il numero solo per allenarti. Se così fosse stato, sul traguardo Kopecky avrebbe sorriso senza tradire la smorfia contrariata che invece tutti hanno visto. Ma si sa, i campioni corrono sempre per vincere. Il problema è che l’arrivo di Cittiglio l’ha tradita e forse Lotte l’ha sottovalutato. E contro una (altrettanto) campionessa come Elisa Balsamo, se non fai tutto al 100 per cento, rischi di lasciarci le penne.

Patrick Pezzo Rosola, figlio d’arte dal carattere ribelle

19.03.2024
5 min
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E’ interessante analizzare l’evoluzione di uno degli allievi 2° anno più in luce in questo periodo, Patrick Pezzo Rosola, sulla base di quanto hanno fatto i suoi genitori. Lei, Paola Pezzo, la signora della mountain bike con due ori olimpici al collo. Lui, Paolo Rosola, funambolo delle volate negli anni Ottanta e poi sempre nell’ambiente svariando fra mtb e strada. Senza poi dimenticare Kevin, suo fratello, oggi alla General Store-Essegibi-F.lli Curia con il papà a guidarlo.

Che Patrick Pezzo Rosola sia uno dei talenti più in crescita è evidente: lo stesso Pontoni al termine della stagione di ciclocross lo ha sottolineato come uno dei più attesi al passaggio di categoria. D’altronde il veneto è, come tanti ragazzi di oggi, uno che passa indifferentemente da una specialità all’altra, tanto è vero che si dedica sì alla strada, senza però dimenticare il grande amore della mamma, la mountain bike.

Kevin, il fratello fra mamma Paola e papà Paolo. Una famiglia legata al ciclismo a filo doppio
Kevin, il fratello con papà Paolo. L’esperienza del più grande si sta rivelando importante per Patrick

Il tipico adolescente moderno

Tempo fa papà Paolo raccontava mirabilie di suo figlio Patrick, sottolineando però come il ciclismo non fosse uno dei suoi richiami principali, quella sorta di religione senza la quale è difficile emergere. Com’è oggi la situazione?

«Diciamo che si sta avvicinando – risponde Paolo – ma non è ancora pienamente convinto. Se devo dire, Patrick è il perfetto prototipo dell’adolescente di oggi, con il quale non è facile relazionarsi, men che meno nel ciclismo. Io provo a dargli consigli, ma lui è capoccione e fa di testa sua. D’altronde i risultati per ora gli danno ragione…».

Parlando di Patrick viene subito da chiedere un paragone con mamma e papà: «Lui come tipo di corridore è più vicino a Paola. Longilineo, magro, potente e al contempo resistente. Kevin ricorda più me per la sua esplosività. Devo dire che i due sono molto vicini e Kevin gli sta insegnando tanto, in questo senso un po’ supplisce al mio ruolo, visto che riesce a farsi ascoltare di più grazie alla vicinanza d’età».

Il rampollo di casa Pezzo Rosola si divide fra tre discipline, sempre con ottimi risultati (foto Instagram)
Il rampollo di casa Pezzo Rosola si divide fra tre discipline, sempre con ottimi risultati (foto Instagram)

Vittorie legate al talento

La vicinanza con la mamma, Patrick la mostra anche dal punto di vista caratteriale: «Bisogna saperlo prendere. E’ introverso, ha le sue idee e va avanti seguendo quelle senza tentennamenti. Papà e mamma non possono dire niente, si arrabbia perché sa quel che fa, questa è sempre la sua risposta. Si allena ma non troppo e quando gli dico qualcosa mi risponde: “Ma perché devo farlo? Tanto vinco lo stesso…”. Lui vince grazie al suo talento, battendo ragazzi che si allenano molto più di lui, ma questo però pian piano sta cambiando, perché comincia a capire che, essendo al secondo anno, ci si avvicina a quando si faranno le corse davvero sul serio».

Possono sembrare parole negative sul conto del figlio, ma Paolo dall’alto del suo amore paterno sa bene come le cose possano cambiare: «Alla sua età, non avevo quella determinazione in gara, quella voglia di emergere, è tutto successo dopo nel mio caso quindi Patrick parte avvantaggiato. Sa quello che vuole. In corsa non vuole lasciare niente, infatti cerca subito le prime posizioni, in qualsiasi disciplina. Io sono convinto che le cose cambieranno e quella voglia di emergere si tradurrà anche nella voglia di allenarsi, lo stesso Kevin me lo dice».

Patrick è profondamente diverso dal padre anche come caratteristiche: «Io dico che può essere il classico passista-scalatore, che ama i percorsi impegnativi e può davvero andar forte nelle cronoscalate. Le corse in pianura proprio non gli piacciono…».

Per il giovanissimo anche il bronzo europeo esordienti mtb nel 2021 a Pila
Per il giovanissimo anche il bronzo europeo esordienti mtb nel 2021 a Pila

«Passo per primo e mi ritiro…»

«Per far capire che adorabile testone c’è un episodio, relativo a una gara su strada. Gli dico che verrò a vederlo ma lui mi dice di no. “E’ inutile che ti fai 200 chilometri, tanto mi ritiro…”. “Come ti ritiri, lo sai già?”. “Sì, perché mi dedico ai traguardi volanti: vinco quelli, mi metto in tasca qualche euro e mi ritiro”. Più avanti mi richiama e mi dice “Che fai, vieni?”. Io ci vado e il giorno dopo che fa? Vince i traguardi volanti, è in fuga e si ritira davvero…».

Certe volte gli aneddoti sono come le ciliegie, uno tira l’altro: «All’ultimo Giro d’Italia di ciclocross, ultima tappa, lui è secondo in classifica perché a Osoppo aveva rotto la bici. In viaggio gli dico: “Guarda, lo so che non ami i consigli, ma domani io aspetterei ad attaccare. Non portarti dietro il primo in classifica che poi ti beffa, tieni unito il gruppetto”. “Papà, lasciami fare, lo so io…”. Alla domenica, va via e il leader lo segue, proprio come gli avevo detto di non fare… Solo che poi lo sfianca, finisce che Patrick vince, quello finisce dietro, sono appaiati in classifica ma per le vittorie in più la maglia rosa è di Patrick. E lui mi fa “Hai visto che avevo ragione?”».

Patrick impegnato al Giro d’Italia CX a Tarvisio. 4 le sue vittorie nella challenge (foto Billiani)
Patrick impegnato al Giro d’Italia CX a Tarvisio. 4 le sue vittorie nella challenge (foto Billiani)

Futuro? Ipotesi team estero

Che cosa farà l’anno prossimo? Su questo papà e mamma stanno già ragionando e la sensazione è che stavolta Patrick starà a sentire. «Viste le nuove prospettive, stiamo pensando di indirizzarlo verso una squadra estera. Non abbiamo ambizioni di vittorie, ma che faccia esperienza, ciclisticamente e non solo. Considerando anche la scuola, Patrick ha scelto di fare il triennio invece dei regolari cinque anni. Insomma ci dobbiamo ragionare».

Resta un ultimo tema da affrontare: sulle sue spalle sente il peso di essere un figlio d’arte? «Meno di quanto lo abbia percepito Kevin, che ancora un po’ ne risente. Patrick no: conosce quel che io e Paola abbiamo fatto, ma è figlio di un altro tempo. Guarda i corridori contemporanei, si documenta. Magari se gli chiedete a chi vuol somigliare vi risponde “Van der Poel”. Altro che Rosola o Pezzo…».

Fortunato: l’esordio alla Tirreno e i passi verso il Giro

19.03.2024
5 min
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Il miglior italiano in classifica generale alla Tirreno-Adriatico è stato Lorenzo Fortunato con la sua 14ª posizione finale. Il folletto dello Zoncolan era al suo primo vero impegno di rilievo con la maglia dell’Astana Qazaqstan Team. Doveva esordire alla Vuelta a Andalucia, ma la protesta degli agricoltori ha rallentato il tutto e dei 450 e più chilometri previsti ne ha corsi solamente 5. Così il primo appuntamento è stato il Trofeo Laigueglia, terminato in 25ª posizione

Dopo la cancellazione della Vuelta Andalucia l’esordio di Fortunato è arrivato al Trofeo Laigueglia
Dopo la cancellazione della Vuelta Andalucia l’esordio di Fortunato è arrivato al Trofeo Laigueglia

L’esordio tra i due mari

Quando sentiamo Lorenzo Fortunato è appena partito verso la Spagna, direzione Catalunya per disputare la corsa a tappe spagnola. 

«Ho fatto l’ultimo allenamento venerdì – ci racconta – poi sono andato da un amico a fare dei massaggi e ora mi trovo qui al Catalunya. Quella scorsa è stata una settimana di recupero dopo le fatiche della Tirreno. L’unico allenamento lungo è stato quello di venerdì con 4 ore, insieme al “Ballero” (Davide Ballerini, ndr).

«Ho recuperato bene dalle fatiche – continua – la Tirreno è stata la prima corsa importante della stagione, ma non era in programma. Solo che dopo la cancellazione dell’Andalucia sono stato chiamato in causa: non ero al top della condizione, ma non è andata male. Alla fine in salita ero davanti, più o meno. Nella prima tappa impegnativa, quella di Valle Castellana, ho pagato quasi tre minuti. Nelle altre ho tenuto di più il ritmo dei primi».

La Tirreno-Adriatico non era in programma, ma il risultato è stato positivo
La Tirreno-Adriatico non era in programma, ma il risultato è stato positivo
Di fatto la Tirreno-Adriatico ha stabilito l’esordio in maglia Astana, come lo giudichi?

Positivo tutto sommato. Ci tenevo a fare bene vista la nuova maglia, infatti mi sono fatto trovare discretamente pronto. 

Un esordio tardivo, come hai tenuto il ritmo alto?

In altura sul Teide e poi con tanti allenamenti a casa, l’obiettivo non era essere al 100 per cento fin da subito. Mi sono messo a fare tanto dietro moto e con quello ho tenuto alto il ritmo in vista della Tirreno. I grandi obiettivi saranno più avanti, diciamo con i Grandi Giri e la stagione calda in generale.

Fortunato correrà il Giro con l’obiettivo di vincere una tappa, come nel 2021 sullo Zoncolan
Fortunato correrà il Giro con l’obiettivo di vincere una tappa, come nel 2021 sullo Zoncolan
Il Giro d’Italia sarà un primo obiettivo?

Sì. Finito il Catalunya andrò in altura per preparare la corsa rosa. Correrò meno rispetto al 2023, ma è una scelta presa di comune accordo con la squadra, in particolare con Mazzoleni. Nel ciclismo moderno correre un pochino meno aiuta a essere più brillanti. La scelta di non fare tante gare, ma molta preparazione, è dovuta anche al fatto che al Giro dovrò essere al top nella seconda e terza settimana, quando ci saranno le salite importanti

Quindi niente classifica generale?

Voglio fare come nel 2021, quando ho vinto sullo Zoncolan. Puntare alle tappe, senza stress. La classifica verrà fuori pian piano, ma non è un obiettivo. Alla fine il mio miglior risultato al Giro è un 15° posto finale: meglio una vittoria di tappa. 

Anche perché la squadra ha bisogno di punti e le tappe ne portano di più…

La classifica qualche punto lo porta, vedremo, chiaro che una tappa fa più gola. In Astana però non ho mai sentito questi discorsi. Noi corriamo per vincere, non per raccogliere punti, come fanno anche tanti altri team. In questo ciclismo molte squadre preferiscono piazzamenti sicuri.

Fortunato correrà due Grandi Giri nel 2024, prima il Giro e poi la Vuelta a fine stagione
Fortunato correrà due Grandi Giri nel 2024, prima il Giro e poi la Vuelta a fine stagione
Tu sei stato preso per far bene nei Grandi Giri e provare a vincere, senti questa pressione, in virtù della situazione della squadra nel ranking UCI?

Responsabilità sì, pressione no. In squadra non si respira un’aria diversa. E’ un tema sentito, non siamo messi benissimo, ma non c’è stress a riguardo, soprattutto su noi corridori. Ai piani alti indubbiamente si parlerà di questo, ma noi atleti ne siamo fuori. Dobbiamo fare del nostro meglio, come sempre. 

Alla Tirreno hai detto di non essere arrivato al 100 per cento, pensi di riuscire ad avvicinarti ai migliori? Alla top 5, ad esempio?

Penso che quando io migliorerò, durante la stagione, lo faranno anche loro. Alla Tirreno c’erano corridori che hanno vinto Giro e Tour, insomma il livello era alto. Arrivare nei primi cinque la vedo difficile, avvicinarmi di più assolutamente sì. 

Indossare la maglia di un team WorldTour ha cambiato qualcosa in gara?

Si riesce a correre un pelo più davanti, ma se non hai gambe serve a poco. Rispetto alla Eolo, dove arrivavo comunque con i primi, non sono mai da solo. Questa cosa mi dà una sicurezza maggiore, nel caso di problemi sai che hai qualcuno al tuo fianco. Essere più d’uno nei finali di corsa è utile, al Laigueglia, ad esempio, ero lì in appoggio a Scaroni e Velasco. 

Essere in una WorldTour apre le porte anche ad altri Grandi Giri: farai solo il Giro o ne hai altri in programma?

Dovrei farne due, l’altro dovrebbe essere la Vuelta. Due Grandi Giri in una stagione è un bel cambiamento, il calendario è stato modificato rispetto alle passate stagioni. Anche per questo ho iniziato più tardi del solito. Ora però andiamo verso il Giro, a piccoli passi.

Sabatini e il GS Stabbia, ritorno (e ripartenza) dalle origini

19.03.2024
5 min
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«I miei metodi di allenamento sono moderni, ma per certi approcci sono all’antica. Non puoi fare il corridore, inseguire il sogno – perché di sogno si tratta – se poi fai tardi la sera, esci, mangi male. Certe regole valgono sempre. Specialmente oggi che la categoria juniores è la più importante», parole di Fabio Sabatini, parole da direttore sportivo.

L’ex professionista è infatti un diesse del GS Stabbia – Iperfinish, squadra juniores toscana. Appena smesso di correre, lo avevamo incontrato nello staff della Cofidis. Poi però sono cambiate alcune regole UCI e Fabio non ha potuto proseguire subito la carriera di direttore sportivo nel team professionistico.

«Qui – racconta Sabatini – ho tanti ricordi. Ci sono le persone che mi vogliono bene, mi hanno messo in bici e mi hanno consentito di fare 16 anni da pro’. Se dovessi scegliere un ricordo solo non saprei, ma certo mi vengono in mente i tanti momenti in cui alle corse o in bici c’era anche mio padre, Loretto».

I ragazzi del GS Stabia: Picchianti, Matteoli, Del Fiorentino, Martinelli, Giusti, Simonetti e Simoni
I ragazzi del GS Stabia: Picchianti, Matteoli, Del Fiorentino, Martinelli, Giusti, Simonetti e Simoni
Fabio, raccontaci come è andata?

E’ andata che dallo scorso inverno avevo iniziato a collaborare con il Valdinievole, la squadra dove sono cresciuto. Già gli ero vicino quando avevo appena smesso di correre. Poi alle parole a me piace dare un seguito con i fatti e così ho deciso di fare un passo in più e quindi di dare una mano concretamente. Ci siamo fusi anche con il GS Stabbia. Parlando con il presidente mi sono convinto. Mi diceva: «Dai, Fabio, vieni: ci dai una mano! Non ti impegnerà tanto…». Poi però quando fai una cosa, la fai per bene ed ora eccomi qui a tempo pieno.

Chi è il presidente?

Luciano Benvenuti. Una brava persona davvero. Un super appassionato di ciclismo: oggi è in pensione, ma è sempre molto attivo.

Quando hai iniziato in modo pratico?

Con i ragazzi ho iniziato la preparazione a gennaio. Li seguo io nei programmi, ma come dicevo non si tratta solo di tabelle. Andare in bici lo devi sentire dentro, serve subito la mentalità giusta. La categoria juniores è oggi la più importante per certi aspetti sulla via del professionismo: rapporti liberi, preparazione… 

Un allenamento settimanale in comune, poi tutti con le tabelle e il controllo da remoto a casa
Un allenamento settimanale in comune, poi tutti con le tabelle e il controllo da remoto a casa
Di certo è una categoria delicata…

Certe attitudini e certi sacrifici, se li fai adesso poi te li ritrovi. Tanti ragazzi lo capiscono, altri no. Se hai qualità e le vuoi tirare fuori devi fare così. Sono due anni e ne trarrai beneficio al terzo, sulla via di quel sogno che dicevo.

Com’è dunque la tua settimana dei tuoi ragazzi?

In base alla scuola, cerchiamo di fare un allenamento a settimana tutti insieme. Poi in estate magari ne faremo due o anche dei piccoli ritiri. I ragazzi hanno il power meter e le tabelle e poi verifico quanto hanno fatto.

Si allenano tutti i giorni?

Sì, tutti i giorni con uno di recupero totale. Di solito si corre la domenica. Lunedì scarico. Martedì allenamento e mercoledì la distanza tutti insieme. Il riposo totale di solito è il giovedì. Al sabato fanno la sgambata. Io consiglio il riposo assoluto, ma se un ragazzo vuole proprio uscire, non glielo nego. Però un’ora o 45 minuti nei quali ti fermi sudato al bar a cosa servono? Meglio un riposo totale, che tra l’altro è un giorno di allenamento a tutti gli effetti.

Fabio hai corso tanti anni nel WorldTour e come i ragazzi che alleni sei stato uno juniores: quanto è cambiata questa categoria rispetto ai tuoi tempi?

Moltissimo. E’ tutto diverso, a partire dai rapporti. Io ero figlio del 52×14, da quell’epoca c’è una differenza come il giorno e la notte. In gara, nello sviluppo, nella preparazione… E’ cambiato anche il fatto che all’epoca noi italiani eravamo i primi o comunque sul podio per quel che riguarda l’evoluzione. Oggi invece inseguiamo sempre. Nei rapporti liberi ci siamo arrivati dopo. E anche tra i pro’, basta vedere la camera ipobarica… 

La squadra GS Stabbia vanta 50 anni di attività. Oltre a Sabatini nello staff tecnico ci sono Michele Corradini ed Etelbo Arzilli (foto @asia.photoss_)
La squadra GS Stabbia vanta 50 anni di attività. Oltre a Sabatini nello staff tecnico ci sono Michele Corradini ed Etelbo Arzilli (foto @asia.photoss_)
E i ragazzi, sono diversi?

Sicuramente sono più avanti tecnicamente, ma tra i social e la tv sono anche più ammaliati dalle immagini. Vedono la televisione e vogliono copiare i pro’ in tutto e per tutto. Ma ci sono dei gradini da salire se vogliono realizzare il loro sogno. Ed è quello che gli dico sempre: non basta imitare.

E tu Fabio? Questa categoria è una scuola anche per te?

Ad ottobre farò il corso da direttore sportivo per i pro’, poi vediamo. A me questa categoria piace. Mi diverte, mi stimola. E magari ci sarà anche l’idea di allargarsi con questi colori.

Ultima domanda: da quanti corridori è composto il GS Stabbia di Fabio Sabatini?

Siamo partiti con 10 ragazzi e poi due hanno smesso, quindi siamo in otto. Quello più in vista è Francesco Matteoli, un primo anno. Lui è nel giro della nazionale della pista. Quest’inverno ci ha dato un bel da fare con l’avanti e indietro fra Montecatini e Montichiari. Poi un giorno lo hanno investito. Si è rotto la clavicola ed è fermo. Per fortuna si trattava di una frattura composta e i tempi di recupero sono brevi. E ancora, ne abbiamo un altro con la mononucleosi, uno che è caduto e si è fatto male ad un gomito.

Insomma avete già dato! Siete in credito con la fortuna…

Esatto! E’ quello che gli ripeto. La ruota gira e nei momenti più difficili si risale.