EDITORIALE / Fra Mads e VdP, la differenza è stata la squadra

25.03.2024
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Non sempre le ciambelle riescono col buco, ma è più facile che accada quando si lavora come squadra, mettendo insieme atleti di grande valore e studiando sin dalla vigilia una tattica. E’ questo il senso che resta addosso dopo gli ultimi giorni di gara al Nord e forse anche prima, dal weekend precedente fra la Sanremo e Cittiglio.

Quando ieri dopo l’arrivo della Gand-Wevelgem, vinta da Pedersen con il contributo di Milan, abbiamo mandato un messaggio di congratulazioni a Luca Guercilena, la sua risposta è stata emblematica: «Bel numero del team!». E proprio la squadra è stata la chiave della vittoria su Van der Poel, come lo era stata a Cittiglio nella vittoria di Balsamo su Kopecky e a Sanremo nella vittoria di Philipsen. A ben guardare anche la vittoria di Lorena Wiebes nella Gand delle donne è stata propiziata dal grande lavoro della SD Worx-Protime contro il grande lavoro della Lidl-Trek. Al punto che nessuno ha schiacciato gli altri e la vittoria è derivata dalla maggior punta di velocità dell’olandese sull’azzurra, che comunque ha potuto giocarsi la corsa ad armi pari. Sembra il segreto di Pulcinella, ma non lo è e potrebbe segnalare un cambiamento di mentalità.

La squadra e la testa

Ieri si è visto che Van der Poel è fortissimo, ma non è imbattibile, soprattutto se davanti ha rivali che non perdono la testa. Si è vista una squadra mettere in atto una tattica per anticiparlo e costringerlo a inseguire, allo stesso modo in cui fu lui alla Sanremo a incastrare tutti gli altri, correndo per Philipsen. Alla Gand, il campione del mondo ha provato a fare il suo solito, uscendo allo scoperto a 85 chilometri dall’arrivo. Le gambe non sono sempre le stesse e i percorsi non si somigliano tutti. Le strade impegnative che ad Harelbeke gli hanno permesso di fare la differenza ieri non c’erano, ma lui non se ne è reso conto. Si poteva pensare che ancora una volta avrebbe corso per Philipsen, ma il richiamo del Kemmelberg e delle raffiche di vento è stato più forte di ogni ragionamento. Probabilmente domenica al Fiandre, il corpo a corpo sarà ancora la soluzione migliore, ma la prova di ieri aggiunge un elemento di curiosità.

La sensazione infatti è che la Lidl-Trek sia andata in gara avendo già chiaro come fare per contenere il potentissimo campione del mondo: dal primo dei muri fino agli ultimi 350 metri, quando Pedersen ha lanciato la lunghissima volata con cui ha sfiancato il rivale. Rileggendo la corsa, la squadra guidata da Gregory Rast ha lanciato allo scoperto i suoi uomini, uno dietro l’altro, ricordando il modo di correre che un tempo fu della Quick Step che poi finalizzava il lavoro con Tom Boonen.

Sull’ultimo Kemmel, Van der Poel ha dovuto stringere i denti ed ha accettato la sfida di Pedersen
Sull’ultimo Kemmel, Van der Poel ha dovuto stringere i denti ed ha accettato la sfida di Pedersen

Messo in mezzo

Vista la superiorità del campione del mondo, non avevano altra scelta. Il fatto di averlo circondato con il numero più alto di uomini ha fatto sì che Van der Poel, privo di una squadra alla sua altezza, abbia dovuto cavare da sé le castagne dal fuoco e abbia cominciato a pensare di doversi guardare non solo da Pedersen. Quando Mathieu ha attaccato sul Kemmelberg, si è ritrovato circondato da maglie della squadra americana.

Difficile dire se a quel punto avesse in animo di tentare la giocata individuale a qualsiasi costo. Quel che è certo è che quando all’ultimo passaggio sul celebre muro ha dovuto rispondere all’attacco di Pedersen, non aveva più il brio delle tornate precedenti. Dopo l’arrivo ha ammesso di aver pagato la fatica della gara di Harelbeke, ma ha fatto presto a ricordare che in gruppo c’era anche Pedersen. In realtà venerdì il danese ha chiuso a quasi 3 minuti dal vincitore iridato, quindi sicuramente il suo dispendio energetico è stato inferiore, ma il vero succo della questione è che Mathieu ha letto male la corsa oppure ha creduto di poter giocare ancora una volta da solo.

«La nostra forza in Lidl-Trek – ha invece spiegato Pedersen – è correre come una squadra e non per un unico leader. Non designiamo nessuno come numero uno. Se mi avessero detto di non puntare alla mia vittoria, ma di lavorare per lo sprint di Milan, lo avrei fatto. Abbiamo capito che ciò disturba i nostri avversari, che non sempre capiscono molto bene la nostra strategia».

Conoscendo il finale di gara, l’attacco di Kopecky aveva coinvolto anche Lorena Wiebes
Conoscendo il finale di gara, l’attacco di Kopecky aveva coinvolto anche Lorena Wiebes

Solista senza squadra

Nella gara delle donne, l’altrettanto ambiziosa e iridata Lotte Kopecky ha attaccato sul Kemmelberg e ha portato con sé Lorena Wiebes. Non ha tentato l’azione individuale. E quando sono state riprese, anziché intestardirsi nel cercare la soluzione personale, si è messa al servizio della compagna che alla fine ha portato a casa la vittoria. Dall’altra parte, Elisa Longo Borghini avrebbe potuto correre per sé, ma assieme a Van Dijk e Van Anrooij ha capito che la carta migliore fosse Balsamo e per Elisa hanno lavorato.

Van der Poel si è ritrovato a corto di gambe in fuga con Pedersen a 30 chilometri dall’arrivo. E questa volta, al contrario di quanto fatto a Sanremo, non ha ragionato da leader di una squadra. Avrebbe potuto rialzarsi, non collaborare e favorire il rientro del gruppo, in cui Philipsen avrebbe potuto giocarsi la volata contro Milan e i velocisti rimasti. Ma non lo ha fatto e ha preferito puntare su se stesso, pur consapevole che in certi arrivi Pedersen è più forte di lui. Allo stesso modo aveva perso il Fiandre del 2021 contro Kasper Asgreen e la Roubaix contro Colbrelli: impossibile che non lo ricordasse.

«In realtà neanche io ero sicuro al 100 per cento del mio sprint – ha detto Pedersen – ma sono partito più lungo che potevo per mettergli pressione».

Al Fiandre del 2021, Van der Poel perse la volata lunga contro Asgreen, come accadde anche alla Roubaix contro Colbrelli
Al Fiandre del 2021, Van der Poel perse la volata lunga contro Asgreen

Fiandre in arrivo

A una settimana dal Giro delle Fiandre, la Gand ha mostrato che i solisti della Soudal-Quick Step non sono ancora entrati in gara. La Visma-Lease a Bike porta ancora le cicatrici della sconfitta di Van Aert ad Harelbeke, ma soprattutto ha mostrato che Laporte, Van Baarle e Benoot non sono ancora al livello dei tempi migliori. La Alpecin-Deceuninck ha l’immenso Van der Poel, ma alle sue spalle c’è poco. Pogacar non ci sarà per scelta. E di colpo sulla scena sono piombati i corridori della Lidl-Trek, capaci di mettere le briglie a Van der Poel. Certamente su quel percorso che non concede sconti, Mathieu avrà tutte le carte in regola per puntare alla tripletta. Il gioco sarà capire se la resa di ieri abbia instillato in lui il dubbio che non sempre sia possibile fare tutto da soli.

Aru torna in Sardegna con un’Academy e porta le bici nelle scuole

25.03.2024
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«Voglio restituire quello che la mia terra mi ha dato»: una frase carica di emozione e piena di significato quella che Fabio Aru ha pronunciato quando gli abbiamo chiesto il perchè di questa suo progetto. Stiamo parlando della Fabio Aru Academy, una squadra nata dalla volontà del sardo di dare la possibilità a ciclisti dai 6 anni in su di pedalare e praticare ciclismo in Sardegna. 

Cosa fa oggi Fabio Aru?

Per scelta appena terminata la carriera, non ho voluto seguire la strada di entrare in un team. Ci sono tanti ex atleti professionisti che magari intraprendono la carriera del direttore sportivo piuttosto che altri ruoli nei team professionistici. Sono ruoli che danno anche tante soddisfazioni, perché mi capita di parlare spesso con dei miei ex colleghi. Io ho preferito avere dei ruoli in alcune aziende che rappresento e faccio una serie di attività, dalla prova dei materiali agli eventi che facciamo. Questo mi permette di essere più presente a casa rispetto all’essere via 200 giorni all’anno. Mi dà anche la possibilità di conoscere anche un altro ambiente. Sono ambassador di Specialized Italy, Assos per quanto riguarda l’abbigliamento, Ekoi per quanto riguarda gli occhiali. Sono ambassador di Forte Village che è un resort in Sardegna per cui faccio anche delle academy da maggio fino a ottobre. Infine l’anno scorso è nata ufficialmente la Fabio Aru Academy.

L’Academy va dai più piccoli fino ad arrivare agli juniores
L’Academy va dai più piccoli fino ad arrivare agli juniores
Parlaci di questa Academy…

Già nel 2017, assieme ad alcuni amici del mio paese, era nata l’idea di dedicarsi al settore giovanile, sulle basi della mia prima storica società ciclistica, la Mountain bike Piscina Irgas. Inizialmente c’era un team satellite e si chiamava Accademia Fabio Aru. Da quando ho smesso c’è stata comunque l’idea e l’ambizione di creare la Fabio Aru Academy. Abbiamo così dato vita a questo progetto con tanto impegno e ci sta portando delle belle soddisfazioni.

Cosa ti ha spinto a creare questa realtà?

L’idea che ha dato il via a tutto è stata quella di restituire qualcosa alla mia terra, al mio paese, alla mia gente. Infatti la Fabio Aru Accademy ha base a Villacidro, che è il mio paese natale, proprio perché so quanti sacrifici ho dovuto fare per andare a prendermi il sogno di diventare ciclista. Logicamente la Sardegna è una terra bellissima, però ricordiamo che essendo un’isola, dal punto di vista dei viaggi è tutto più complicato rispetto a un giovane che nasce in Lombardia o in Piemonte, nel senso che magari con due ore di macchina riesci a fare una certa attività. So quanto è stato difficile per me anche dal punto di vista economico, per cui ho voluto cercare di aiutare il più possibile dei ragazzi che coltivano la mia stessa passione, supportandoli in questo percorso.

Tra le specialità non può mancare la MTB
Tra le specialità non può mancare la MTB
Che età hanno i ragazzi della Academy?

Partiamo dai G1, quindi praticamente dai 6 anni fino agli juniores. Abbiamo un paio di ragazzi U23, che fanno qualche gara anche fuori. Quindi abbiamo una parte di giovanissimi, G1 e G6, che è quella più importante e poi una parte tra esordienti e allievi e juniores, anch’essa molto importante.

Che specialità fate fare ai giovani atleti?

Più o meno il percorso che ho fatto anche io quando ero giovane. Ho iniziato con la mountain bike e con il ciclocross prima di trovare la disciplina a cui ero più adatto, cioè la strada. Secondo me, non smetterò mai di dirlo, è importante soprattutto nelle categorie dai giovanissimi ma anche dagli esordienti e allievi, fare un po’ di multidisciplina. Fare soprattutto le discipline dell’offroad, quindi MTB e ciclocross. Lo stanno dimostrando i tempi moderni con Van der Poel, Van Aert, Pidcock e potrei fare almeno una decina di nomi di atleti che venendo dalla MTB, hanno acquisito delle capacità di guida superiori alla media degli stradisti. Mi capita certe volte anche usando la bici da strada di trovare delle curve con un po’ di brecciolino e di intuire in anticipo come si comporterà la bicicletta.

Il tuo è un esempio che oggi ha acquisito sempre più conferme…

Dieci anni fa, uno stradista che si cimentava in una gara di ciclocross non era visto benissimo. Però oggi dai dati che abbiamo tutto questo funziona ed è diventato un aspetto prezioso su cui lavorare. Lo stesso Pogacar ha fatto delle gare di ciclocross e ne ha anche vinte, quindi possiamo dire che la multidisciplina porta dei grandi risultati.

E la strada, invece, questi giovani la praticano?

Sì, fanno anche strada. Logicamente si alternano tra strada e mountain bike durante il periodo primaverile-estivo e poi ciclocross durante la stagione invernale. Concentriamo gli allenamenti e ci sono due tecnici che seguono i ragazzi: gli esordienti, gli allievi e gli junior. In più abbiamo 3-4 tecnici che seguono i giovanissimi. I ragazzi sono sempre seguiti, facciamo due allenamenti a settimana per i piccolini mentre i grandi fanno ovviamente qualcosa in più

Per quanto riguarda il calendario, dicevi che logisticamente non è così facile gestire le trasferte…

Tra le gare in Sardegna e quelle fuori riusciamo a farne una trentina all’anno. Partecipiamo a tutte le competizioni organizzate dalla Federazione. A livello nazionale abbiamo partecipato per esempio al Meeting dei Giovanissimi con i più piccoli, abbiamo fatto una tappa del Giro d’Italia Ciclocross, abbiamo partecipato ai vari campionati italiani su strada, in mountain bike e nel ciclocross. C’è anche una rappresentativa regionale che talvolta convoca alcuni dei nostri atleti per gare di livello nazionale e questo fa sì che il calendario sia fitto. Supportiamo i nostri giovani anche nelle trasferte, che siano via mare o in aereo.

Un bell’impegno…

Non è semplice, ma cerchiamo di non fargli mancare niente. Il ciclismo è uno sport dispendioso, anche quando si tratta di categorie giovanili. Abbiamo una serie di bici per tutti, logicamente con un piccolissimo contributo. Ovviamente quello delle famiglie è un supporto molto importante trattandosi di categorie giovanili. Non siamo una squadra professionistica dove tutto è dovuto, però sono contento perché stiamo riuscendo sempre di più a dare un grande supporto ai ragazzi.

Fabio ci tiene ad essere presente il più possibile agli incontri con i più piccoli
Fabio ci tiene ad essere presente il più possibile agli incontri con i più piccoli
Com’è vista la Fabio Aru Academy in Sardegna?

Devo dire che pian piano stiamo raggiungendo tutti gli obiettivi che ci siamo posti. Abbiamo appena inaugurato la nuova sede a Villacidro: 200 metri quadri che utilizziamo anche per alcuni allenamenti indoor durante le giornate più brutte. Anche se siamo in Sardegna, ogni tanto capita che piova (ride, ndr). Stiamo ricevendo supporto anche dalle istituzioni, anche se non è proprio così semplice. Logicamente l’aiuto dei nostri sponsor è il motore di tutto con Assos, Specialized, Ekoi, Crai. In più sin dall’anno scorso abbiamo lanciato un progetto nelle scuole. Cinque giornate, in cui abbiamo organizzato una mattinata incentrata sul ciclismo e sullo spiegare come funziona. Siamo riusciti a coinvolgere 1.600 ragazzi e questo non ha prezzo. Loro sono il futuro e noi dobbiamo dargli la possibilità di innamorarsi di questo sport. 

Scelta fra strada e pista, Villa alza la voce

25.03.2024
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Marco Villa non è uno che la manda a dire. Tornato dalla trasferta di Hong Kong per la seconda tappa della Nations Cup, si è ritrovato con equilibri in nazionale cambiati in maniera profonda in base agli ultimi risultati. Il nocciolo della questione, come sottolineato nell’intervista con Bragato che Villa ammette di aver letto subito e con grande attenzione, è il calendario olimpico che rende estremamente complicata la coesistenza fra strada e pista.

Ci sarà tempo per discuterne a vari livelli, in attesa che vengano prese le opportune decisioni (Villa non la cita mai, ma è chiaro che il problema è legato direttamente alla presenza della Balsamo alla gara in linea su strada e/o al torneo del quartetto su pista). Importantissima sarà la partecipazione alla terza tappa di Milton, in Canada, dove la nazionale femminile, a differenza di quella maschile, sarà al completo.

Villa con le ragazze del quartetto, che ritroverà a Milton dal 12 al 14 aprile
Villa con le ragazze del quartetto, che ritroverà a Milton dal 12 al 14 aprile

«Siamo andati a Hong Kong – spiega – con una squadra di ragazzine. Devo dire grazie ai team che ce le hanno messe a disposizione permettendo loro di fare un’esperienza positiva. La partecipazione era obbligata, in quanto il sistema olimpico prevede la presenza in almeno due prove su tre e con le ragazze ad Adelaide non eravamo presenti. Alla fine è uscito fuori un sesto posto valido per il ranking Uci (settime al traguardo, ma la Cina aveva due squadre, ndr) che è stato anche oltre le mie aspettative. Mi attendevo qualcosa di più dagli uomini. La trasferta mi ha comunque permesso di avere buone risposte da Sierra in un contesto per lui nuovo e verificare anche i progressi di Giaimi (nella foto di apertura con il cittì, ndr), che comunque deve lavorare molto sulla parte tecnica».

Le vittorie della Balsamo su strada paradossalmente hanno complicato i piani della nazionale
Le vittorie della Balsamo su strada paradossalmente hanno complicato i piani della nazionale
Tornato in Italia ti sei ritrovato nel pieno delle discussioni per le prossime convocazioni olimpiche. Come combinare le due discipline?

Mi attendevo la domanda e non posso negare che in questo momento mi senta molto turbato. Chiariamo subito un punto: le scelte le faremo tutti noi cittì in piena coabitazione, confrontandoci con il team manager Amadio. Si valuterà che cosa è meglio fare, ma non posso negare che vedo riemergere una certa disparità fra strada e pista.

A che cosa ti riferisci?

Nelle ultime due edizioni olimpiche, noi abbiamo portato il nostro contributo. A Rio 2016 con Viviani, a Tokyo 2020 con il quartetto maschile. Eppure nelle discussioni, anche e soprattutto sugli organi d’informazione specializzati, tutti sono affascinati dalla strada, parlano solo della strada, valutano le possibilità su strada. Ci si dimentica che il cittì della strada deve fare le sue valutazioni e convocare. Io lavoro su un progetto che dura un quadriennio, con contatti costanti, allenamenti, la costruzione di un progetto dal nulla fino alle ultimissime rifiniture. Togliere un elemento va a danneggiare tutto il sistema, a inficiare anche il lavoro degli altri.

Pur in formazione rimaneggiata, la Danimarca ha vinto anche a Hong Kong (foto Uci)
Pur in formazione rimaneggiata, la Danimarca ha vinto anche a Hong Kong (foto Uci)
Le proiezioni d’altro canto dicono da una parte che nell’inseguimento a squadre, in quello femminile più ancora che in quello maschile per il valore degli avversari, le possibilità di podio sono alte…

Io certe volte sono portato a sbilanciarmi e so bene che a pieno regime, abbiamo due possibilità di medaglia molto qualificate. Certo, c’è anche il rischio di finire quarti o peggio, l’incertezza delle Olimpiadi è lì, ma è anche la loro bellezza. Quel che però mi dispiace di più è che non possiamo arrivare all’inizio della primavera, dopo aver lavorato anni, ancora con delle incertezze. Cambiare? Certo, si può fare, ma è già molto, molto tardi. Chi sceglie una strada diversa deve farlo subito e prendersi le proprie responsabilità.

Che cos’è che ti ha fatto arrabbiare?

Se devo essere sincero è la cultura generale, l’ambiente ciclistico, quelle voci insistite che vuoi o non vuoi vanno anche a influenzare il singolo elemento chiamato a scegliere. E’ come se spingessero verso una direzione piuttosto che l’altra e chiaramente la tradizione della strada, contro i pur eccezionali risultati della pista prevale, nella mente di molti. Dimenticando che alla fine, in un contesto olimpico conta la medaglia, da qualsiasi parte essa venga: è per questo che ci si trova a fare il tifo anche per altri sport che poi uno non è abituato a seguire. Per me è sempre stato così, io i Giochi li vivo da dentro, ma li seguo anche con interesse enorme. Mi sono ritrovato a fare un tifo sfrenato per i ragazzi della scherma o del nuoto, tanto per fare due esempi.

Proviamo a trovare anche un lato positivo dalle ultime giornate. Miriam Vece ha staccato la qualificazione in due specialità…

Lei è stata bravissima e secondo un’interpretazione del regolamento, questo dovrebbe consentirci di convocare un’altra atleta. L’Uci però non ha dato l’ufficialità al sistema delle riallocazioni, so che se ne parlerà in una riunione il 28 marzo dove ogni federazione porterà all’esame le proprie domande e interpretazioni, vedremo poi il massimo ente che cosa deciderà. E’ chiaro che avere un’altra atleta a disposizione sarebbe un corposo aiuto.

Restano aperte altre possibilità di qualificazione?

A livello strettamente matematico potremmo ancora qualificarci con il team sprint maschile, ma è estremamente difficile. Servirebbe un podio e al momento è utopistico pensarlo. Mi dispiace perché per i ragazzi sarebbe stata un’esperienza utilissima a prescindere dal risultato finale. Non dobbiamo dimenticare che Predomo è passato direttamente da junior alla massima serie quando la qualificazione olimpica era già iniziata, qualificarsi per lui era estremamente complicato. Comunque ci si proverà, questo è certo.

La Gand delle volate al limite, con tanto sapore d’Italia

24.03.2024
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C’è tanta Italia oggi sul traguardo della Gand-Wevelgem, anche se purtroppo non abbiamo vinto. A fare festa sono Mads Pedersen da una parte e Lorena Wiebes dall’altra, ma gli azzurri della Lidl-Trek, con l’aggiunta di Matteo Trentin, Chiara Consonni e Maria Giulia Confalonieri, hanno fatto vedere di essere pronti per sedersi a tavola nelle prossime corse del Nord.

Mads Pedersen batte Van der Poel con una volata a sfinimento, piegando il campione del mondo quando erano tutti pronti a darlo per morto, scaricando nei pedali anche la frustrazione per la Sanremo persa malamente. Eppure se Mathieu è arrivato stanco al terzo Kemmelberg è stato perché gli è toccato inseguire a lungo Jonathan Milan, andato in fuga molto presto, ma non per questo da lasciare andare.

E’ la Gand, non più corsa per velocisti, che si è decisa sul solito Kemmelberg e poi in quel tratto infinito fino a Wevelgem in cui tutto rischia ogni volta di rimescolarsi. Non è successo con gli uomini, perché Pedersen e Van der Poel hanno scelto di non giocare. E’ andata così invece per le donne. E’ la Gand di Van Aert, che ha scelto di non esserci e non si capisce il perché. Sarebbe potuta essere anche un bel banco di prova per Ganna, che ha già imboccato la via di Parigi e al Nord quest’anno purtroppo non lo vedremo. E’ la Gand in cui si è capito che in giro c’è tanta Italia che vale.

Strategia Lidl-Trek

Van del Poel ha voglia di menare le mani e lo fa capire subito. E’ suo il primo attacco ai meno 85, doppiato da quello di Milan due chilometri dopo. E’ ancora il forcing dell’iridato sul secondo passaggio del Kemmel a portare vie Pedersen, Milan e Pithie, ma quando il danese al giro successivo capisce di poter affondare il colpo, Van der Poel sente che le gambe non sono quelle spaziali di Harelbeke e si dispone a seguire. Sa che Pedersen non è uno qualunque e forse si preoccupa quando l’altro impedisce che l’andatura cali e lancia la volata lunghissima.

«In realtà avevo poca fiducia – dice Pedersen che ha già vinto la Gand, che nel 2020 si corse in ottobre – e non avevo altra scelta che arrivare al traguardo con Van der Poel. Se ci fossimo attaccati a vicenda, il gruppo ci avrebbe ripreso. Quindi è stata sicuramente una scommessa, per vincere la quale ho dovuto credere nel mio sprint. E’ stato decisivo salvarsi sul Kemmelberg e poi gestire il finale. Ho mantenuto il ritmo alto e mi sono assicurato di non superare il limite. Anche Milan mi ha aiutato molto, attaccando presto. Peccato per Stuyven, che ha bucato in un tratto sterrato».

Van der Poel senza gambe

Il campione del mondo è onesto e non cerca scuse, raramente gli capita di farlo. Ma chissà se stasera, alla luce di quello che dice e rivedendo la sua condotta di gara, si mangerà le mani per le energie buttate sul Kemmel.

«Ho sofferto molto – dice – nell’ultimo passaggio del Kemmelberg stavo quasi per staccarmi, ma per fortuna sono riuscito a tenere. Semplicemente, ha vinto il più forte. Probabilmente avevo nelle gambe la gara di venerdì ad Harelbeke, ma c’era anche Pedersen, quindi questa non è una scusa. Mi sarebbe piaciuto vincere, semplicemente non ho avuto le gambe».

L’attacco di Milan ha costretto Van der Poel a inseguire: una fase che si rivelerà decisiva
L’attacco di Milan ha costretto Van der Poel a inseguire: una fase che si rivelerà decisiva

Milan, volata “cecchinata”

Milan ha attaccato e poi ha sbagliato la volata, con una delle sue partenze troppo lunghe. Il quinto posto gli sta stretto. Si è sempre detto che queste siano le sue corse e oggi è la prima volta che ne abbiamo la conferma. Molto più convincente che a Sanremo. Quando lo raggiungiamo è sul pullman della Lidl-Trek, aspettando Pedersen e seguendo il finale delle ragazze.

«E’ andata bene – dice sorridendo – sono contento. Di più, sono molto contento. Dopo la Sanremo ho avuto veramente dei giorni in cui ero tanto stanco. Ho dovuto prendermene un paio per recuperare bene a livello di gambe e solo ieri, dopo l’oretta e mezza che abbiamo fatto con un po’ di lavori, ho sentito che la gamba era buona e mi sono detto: dai proviamo a divertirci! L’attacco è stato improvvisato. Avevamo pianificato di giocarci le nostre carte, però ero tanto lontano dall’arrivo. Insomma, la corsa era ancora in stand by.

«Però penso che alla fine sia andata benissimo. Sono molto contento a livello personale per quello che ho fatto. Però ho “cecchinato” un po’ la volata, sono partito un po’ lungo, che mi capita spesso. Santo cielo, troppo indietro, troppo lungo… Sicuramente dovevo aspettare più tempo, però così è andata. Siamo contenti del risultato e adesso si recupera per le prossime corse e vediamo cosa siamo capaci di fare».

Primo Pedersen, secondo Van der Poel, terzo Meeus: è mancato un soffio che lassù ci fosse anche Milan
Primo Pedersen, secondo Van der Poel, terzo Meeus: è mancato un soffio che lassù ci fosse anche Milan

Il podio sfuggito

Gli diciamo che alla fine Van der Poel ci ha lasciato le penne perché in qualche modo lo hanno messo in mezzo, ma Johnny quando c’è stato l’attacco di Pedersen era dietro e non ha visto il campione del mondo ingobbirsi e rispondere senza rilanciare.

«Ah sì? Devo rivedermi il finale – dice – so che quando ha attaccato al secondo passaggio ero lì ed è stato faticoso. Mal di gambe ragazzi, questo è poco ma sicuro, mal di gambe. Diverso dal mal di gambe di Sanremo, perché penso di essermi sentito molto meglio anche a livello di alimentazione e per come mi posizionavo. Sono molto soddisfatto anche per quanto riguarda questo, perché oggi è stato il primo piazzamento che faccio quassù. Mi sarebbe piaciuto portare a casa quel terzo posto: rode un po’, devo dire. Però bisogna vedere l’insieme, la giornata, il risultato finale anche da parte della squadra, da parte di Mads. Però rode un filo, un filo tanto…».

Balsamo, è mancato un soffio

L’attesa del verdetto fra le ragazze è durata un’eternità. Dopo che Lotte Kopecky ha provato a fare la differenza sul Kemmelberg, il gruppo si è nuovamente ricomposto e la volata è diventata un affare fra grossi motori. Ha vinto Lorena Wiebes al sesto assalto, ma non ha dominato come nelle ultime volate, perché Elisa Balsamo ha provato a guastarle la festa ed è arrivata a un soffio dal riuscirci.

«Sicuramente è stata una corsa veramente molto dura – dice Elisa Balsamo – caratterizzata dal vento tutto il giorno, quindi anche da tanto stress. Purtroppo ci è mancato poco. La mia squadra ancora una volta ha fatto un grande lavoro, quindi è sempre difficile accontentarsi di un secondo posto, soprattutto quando davvero è così vicino al primo posto. Però devo dire che comunque sono soddisfatta e si guarda avanti…».

Mai come questa volta Wiebes non ha avuto fino all’ultimo la certezza di aver vinto
Mai come qusta volta Wiebes non ha avuto fino all’ultimo la certezza di aver vinto

Al sesto assalto

«Questa vittoria – dice Wiebes – è in cima alla mia lista. Ci sono voluti sei anni, ma finalmente è arrivato il mio momento. Ho sentito qualcuno rimontare nello sprint e ho provato a rilanciarmi fino al traguardo. In qualche modo avevo la sensazione di aver vinto, ma non ne ero sicura e così ho preferito non esultare. Sono contenta del lavoro della squadra, ci siamo giocate molto bene la partita».

Kopecky un po’ c’è rimasta male. Voleva rifarsi dopo la sconfitta di Cittiglio e con l’attacco del Kemmel era riuscita a scrollarsi di dosso le velociste, portando con sé la stessa Wiebes.

«Balsamo e Kool non c’erano – dice la campionessa del mondo – sarebbe stato bello arrivare fino al traguardo con quel gruppetto. E’ diverso rispetto a vincere te stesso, ma è comunque una bella sensazione aver potuto aiutare Lorena. Mi sono trovata bene, questa gara si presta anche ad attaccare sui muri. Ho acquisito fiducia qui per il Giro delle Fiandre della prossima settimana».

Gli italiani a Taiwan, team diversi e diverse sensazioni

24.03.2024
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Taiwan, dall’altra parte del mondo. La locale corsa a tappe conclusasi da qualche giorno, dal punto di vista tecnico ha confermato come l’Israel Premier Tech abbia trovato nelle sue file un nuovo talento per le corse a tappe, il britannico Joseph Blackmore vincitore come lo era stato in Rwanda, ma l’aspetto che vogliamo sottolineare è un altro. Sulle strade asiatiche erano presenti molti corridori italiani, divisi fra varie squadre e ognuno l’ha vissuta in maniera diversa.

Attilio Viviani aveva iniziato bene con un 5° posto, poi non ha più trovato lo spunto (foto Facebook)
Attilio Viviani aveva iniziato bene con un 5° posto, poi non ha più trovato lo spunto (foto Facebook)

Viviani e una corsa senza controllo

L’edizione di quest’anno è arrivata in un momento politicamente delicato per il Paese, considerando l’alta tensione internazionale e la pressione sempre più forte da parte della Cina che non fa mistero di volersi riannettere l’Isola. Attilio Viviani, presente con i suoi compagni della Corratec-Vini Fantini, ha una certa esperienza di corse in Asia, anche in Cina e quanto ha visto aveva un sapore personale.

«Non è proprio come correre in Cina – dice – la noti una certa differenza intanto nell’atmosfera che si respira. E’ tutto un po’ più vicino a noi, più “occidentale”. La cosa che mi ha colpito molto rispetto alle gare cinesi è che trovi percorsi sempre molto agevoli, poco impegnativi, tanto è vero che c’è poca selezione e gli abbuoni sono ciò che fa più la differenza».

Questo però ha influito anche sull’evoluzione della corsa: «Una prova così, con squadre di 5 corridori non la controlli. Infatti la situazione di classifica è rimasta fluida fino alla fine e nell’ultima tappa dopo una trentina di chilometri la corsa è “scoppiata”».

Proprio la tappa finale poteva essere quella buona per lui: «Invece sono rimasto indietro e non ho potuto giocare le mie carte. Ero andato bene nella prima, finendo 5° ma quando abbiamo iniziato ero ancora un po’ fuori fase per il jet lag. La mia occasione era quella. Comunque abbiamo messo Monaco nella Top 10 generale, è stato un buon risultato».

Per Peron una trasferta nel complesso positiva viste le difficoltà precedenti (foto Instagram)
Per Peron una trasferta nel complesso positiva viste le difficoltà precedenti (foto Instagram)

Peron e l’esordio a 35 anni

Andamento diametralmente opposto per Andrea Peron, che a 35 anni ha fatto il suo esordio nella corsa di Taiwan. Il corridore di Borgoricco è infatti emerso proprio nella frazione finale: «Praticamente ho iniziato la stagione lì, dopo una caduta in allenamento che mi ha tolto un mese di preparazione. Non era previsto che andassi in Asia, ma avevo bisogno di correre, mettere chilometri nelle gambe e sinceramente il 6° posto nella tappa conclusiva è stato un piacevole regalo».

Anche il corridore della Novo Nordisk ha notato differenze con la Cina: «Sinceramente a me non piace molto correre le gare asiatiche, troppe differenze con le nostre abitudini, ma è anche vero che il Giro di Taiwan ha tappe un po’ più “europee”. In Cina pedali anche per 100 chilometri su strade diritte e pianeggianti, alla fine soffri soprattutto mentalmente».

La cosa che più lo ha colpito esula però dall’aspetto prettamente tecnico: «Secondo me organizzativamente devono ancora migliorare. Avevamo ogni giorno la sveglia alle 5,30, quando poi la partenza era in tarda mattinata e vicino agli hotel delle squadre. Le lunghe attese sono state la cosa più pesante, soprattutto all’inizio quando ancora non avevamo recuperato il fuso orario…».

Malucelli battuto nell’ultima tappa dall’israeliano Einhorn. Proprio come nella prima (foto organizzatori)
Malucelli battuto nell’ultima tappa dall’israeliano Einhorn. Proprio come nella prima (foto organizzatori)

Malucelli, la maledizione del 2° posto

A Malucelli la trasferta a Taiwan ha sicuramente fatto bene, al di là della doppia piazza d’onore: «Era una gara di livello anche più alto di quel che pensavo – afferma il corridore del JCL Team Ukyo – con 6 squadre professional e la differenza fra loro e le continental asiatiche era abbastanza marcata. Ho apprezzato le strade molto larghe e i percorsi ben disegnati, molto sicuri. Per il resto l’evoluzione della corsa era quella abbastanza abituale in quel tipo di corse, dove l’unico arrivo in salita fa la differenza».

Un aspetto di non poco conto è stata la tanta gente sul percorso: «Io venivo dall’esperienza in Arabia dove non trovi tanta gente neanche all’arrivo. A Taiwan invece c’era sempre una folla, anche lungo il percorso, si vede che tengono particolarmente a questa gara».

Per lui come detto due secondi posti, che alla fine hanno avuto anche un retrogusto amaro: «Per due volte Einhorn dell’Israel mi ha battuto e sinceramente per me che aspetto di vincere da due anni è stata come una beffa del destino. Sto sempre lì, però manca ogni volta l’ultimo tassello per completare il mosaico. Sarebbe ora che la fortuna si ricordasse di me…».

Riccardo Verza in azione a Taiwan. Per il suo team austriaco tre presenze in Top 10 (foto Instagram)
Riccardo Verza in azione a Taiwan. Per il suo team austriaco tre presenze in Top 10 (foto Instagram)

Il ritorno di Verza, a un livello più alto

Presente alla corsa asiatica anche Riccardo Verza (Hrinkow Advarics), una delle poche squadre continental europee presenti. Il corridore di Este aveva già corso a Taiwan, tanto da finire 8° nella classifica dello scorso anno: «Questa volta però il livello era più alto, comunque come squadra non siamo andati male, portando a casa tre piazzamenti e io ho fatto la mia parte finendo 8° nella tappa finale».

Verza ha un’opinione diversa sull’aspetto organizzativo della corsa: «Ci hanno ospitato in hotel molto belli, c’era poi un pullman a disposizione per gli spostamenti. Quando corri senza i tuoi mezzi abituali, rischi di trovarti in difficoltà, invece devo dire che sono stati molto presenti. Per il mangiare non abbiamo avuto problemi, integravamo quel che trovavamo negli alberghi con pasta e riso che lo staff preparava in camera, ci eravamo portati un po’ di scorte per non rischiare, anche memori delle esperienze precedenti».

Anche nel suo caso la corsa è servita per fare qualche passo avanti nella condizione: «Avevo disputato solo le due classiche croate finendo 5° a Umago, so che la forma buona deve ancora arrivare, ma piano piano stiamo progredendo e spero di portare quanto prima questa maglia alla vittoria».

Lo sprint ristretto a Shigang premia l’australiano Niquet-Olden, De Cassan 2°
Lo sprint ristretto a Shigang premia l’australiano Niquet-Olden, De Cassan 2°

Il migliore in classifica? De Cassan

Il migliore nella classifica generale è stato Davide De Cassan, 6°. La Polti Kometa ha corso per lui, che era alla sua prima vera trasferta all’estero in un Paese tanto lontano: «Mi ha molto impressionato la cultura asiatica, vedere posti così diversi dalla nostra normalità. Non escludo di tornarci in vacanza».

Si respirava tensione fra la gente per la situazione politica infuocata? «Io non l’ho notato, ho visto invece persone gentili, attente, molto prese dall’evento. Anch’io mi aspettavo un’atmosfera tesa, invece non è stato così, anche le forze dell’ordine non erano in sovrannumero. In questo, niente di diverso da quanto vediamo da noi».

Alla fine il suo Giro di Taiwan si è chiuso positivamente: «Ma poteva andare anche meglio, mi è davvero spiaciuto perdere lo sprint della fuga nella terza tappa. Io comunque guardavo alla classifica e sono tornato a casa con buoni segnali per le prossime

Coppi e Bartali, sul taccuino i nomi di Ulissi e De Pretto

24.03.2024
5 min
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FORLì – Le curve ripide in cemento del velodromo Glauco Servadei fanno da eco alle urla del giovane Jenno Berckmoes. Sul prato gli atleti iniziano a scrollarsi le fatiche di oggi e di questa Settimana Internazionale Coppi e Bartali. Dopo cinque giorni di corse due nomi ci hanno colpito per costanza e permanenza nelle prime posizioni, Ulissi e De Pretto. Esperienza e gioventù che oggi si sono incrociate ancora una volta sull’ultima salita all’epilogo di questa settimana. Per Diego un’ulteriore conferma di competitività, avendo conquistato la sua 46ª vittoria da pro’. Per Davide una presa di coscienza per nulla scontata da neoprofessionista. Non a caso i due nel retropodio a distanza di pochi secondi si sono scambiati parole di stima reciproca.

De Pretto, 21 anni, è al suo primo anno tra i pro’
De Pretto, 21 anni, è al suo primo anno tra i pro’

Soddisfatto

Per De Pretto è la prima stagione tra i pro’. In Jayco-AlUla sembra aver trovato il giusto contesto per essere competitivo fin da subito. L’ambizione di vittoria è già lì a rendere l’atteggiamento di Davide agguerrito senza timori reverenziali. «Sono soddisfatto – afferma De Pretto – di questa Coppi e Bartali. Non mi aspettavo di essere a livelli così alti. Ho già finito quarto nella generale, quindi per un neoprofessionista penso sia una buona cosa. Ho fatto tutti i piazzamenti nella top 6, quindi sono abbastanza soddisfatto. Sperare in una vittoria è sempre difficile. Oggi ho preso troppo dietro l’entrata del velodromo, che era molto insidiosa. Poi il ragazzo della Lotto è molto forte e veloce, quindi mi sono accontentanto del terzo posto.

«Sapevamo che non era una corsa così semplice da gestire, perché c’era la Visma che aveva poco vantaggio, quindi ci sono stati molti attacchi. Sull’ultima salita nessuno attaccava, quindi ho provato ad accelerare io. Poi l’esperienza di Ulissi si è fatta sentire, ha guidato il gruppo e in cima mi ha rispreso. Da solo era difficile andare via, a poco dal GPM mi sono girato e ho visto il gruppo e ho smesso di insistere nell’azione. In volata ho provato a sprintare, sono sempre lì e spero di arrivare a questa vittoria».

Dopo il podio è tempo di sorridere e pensare ai prossimi appuntamenti
Dopo il podio è tempo di sorridere e pensare ai prossimi appuntamenti

Consapevolezza

Al termine di questi cinque giorni di gara il veneto si porta a casa la consapevolezza di aver già un buon ritmo gara e un primo accenno positivo di risposta dal proprio fisico in più giorni di corsa. Come detto da lui le sue top sei nelle cinque tappe ne sono la conferma.  «A Inizio stagione – spiega De Pretto – sono partito forte, non pensavo di tenere la condizione così tanto e adesso avrò un altro blocco di gara in Spagna e poi in Belgio, quindi è ancora lunga prima di riposare, però anche negli scorsi anni ho notato questa capacità di tenere la condizione alta gran parte della stagione, quindi speriamo di continuare così.

«Ritmo gara? Mi sento pronto. Il ritmo è più alto dell’anno scorso, però nel finale sono sempre lì davanti. Esco consapevole di avere un buon recupero tra una gara e l’altra, di tenere le salite, di essere veloce nel sprint».

Per Diego Ulissi la 46ª vittoria è arrivata nella seconda tappa a Sogliano al Rubicone
Per Diego Ulissi la 46ª vittoria è arrivata nella seconda tappa a Sogliano al Rubicone

Contento e vittorioso

L’Ulissi che abbiamo incontrato è sembrato davvero pieno di energie e rilassato. Pienamente cosciente di aver raggiunto egregiamente i suoi obiettivi. E’ stato la guida per una UAE Team Emirates giovane e vogliosa. «Sto bene – dice sorridente Ulissi – sono contentissimo della vittoria di tappa e ho chiuso sul podio. Bisogna essere felici perché per l’ennesima stagione ho trovato la vittoria e ho lottato tutta la settimana. Questi ragazzi stanno venendo fuori veramente bene. Io sono contento di essere lì. La Coppi e Bartali era una gara dove ero libero e di cercare il mio risultato nonostante avessimo comunque una squadra giovanissima. Sono contento che i ragazzi sono andati veramente bene e spero di avergli trasmesso qualcosa di buono

«Ero un po’ anche preoccupato per il fatto che non ero stato bene dopo l’Oman, ero stato quasi una settimana senza bici, però dopo mi sono allenato bene ed era venuto fuori un bel piazzamento alla Milano-Torino. Qua sono riuscito a conquistare un buon podio. Adesso andiamo avanti, faremo il Giro d’Abruzzo che sarà uno step importante perché poi andremo a fare l’Ardenne con Tadej e cercheremo di essere in condizione per far bene».

Una Coppi e Bartali soddisfacente per Ulissi
Una Coppi e Bartali soddisfacente per Ulissi

Tra i giovani

Per Diego è la 14ª stagione tra i pro’. In ognuna di queste ha vinto e quest’anno il primo sigillo è arrivato nella seconda tappa a Sogliano sul Rubicone. Tanta esperienza che si è incontrata con un ricambio generazionale importante qui alla Coppi e Bartali. Così gli abbiamo chiesto cosa ne pensasse di questi giovani promettenti.

«Ci sono ragazzi – spiega Ulissi – molto interessanti come De Pretto, perché è sempre lì, ha costanza e spero per lui che prima o poi arrivi la vittoria per sbloccarsi e per far sì che ne arrivino altre. Non voglio elencare nomi, ma di giovani italiani ce ne sono tanti che vanno forte. L’unica cosa, spero per loro che non gli venga messa pressione e che riescano con calma a tirare fuori tutta quella potenzialità che sono sicuro hanno. 

«Esco da questa Coppi e Bartali felice perché comunque quest’anno compio 35 anni. Io l’unica cosa che cerco ogni stagione è di dare il cento per cento e penso di aver fatto una buonissima carriera, e sono sempre qui a farmi valere anche se ci sono questi ragazzi davvero forti».

Sanremo, altro che facile! Anche le scale dell’hotel facevano male…

24.03.2024
5 min
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Il dibattito che precede e spesso segue la Milano-Sanremo riguarda la presunta facilità della Classicissima. Un placido andare, da Milano (Pavia nel 2024) fino al mare della riviera ligure. Poi dopo 220 chilometri la corsa si accende e dai Capi si arriva a Sanremo in un batter d’occhio. Il 16 marzo, mentre in gruppo si pedalava, sui vari canali televisivi si discuteva proprio della semplicità di questa gara

La voce di Agnoli

Sui social, invece, c’è stato chi è andato apertamente contro corrente come Valerio Agnoli, che la Sanremo l’ha corsa tante volte, tutte in supporto dei suoi capitani. Il corridore laziale ha condiviso sul suo profilo Instagram i video dell’edizione del 2012. Una gara che lo ha visto spesso protagonista, fino al Poggio.

«Chiaro – ammette – che l’interpretazione tattica non è quella del Fiandre o della Roubaix. Tutti sanno che la Cipressa e il Poggio sono i punti fondamentali della Sanremo, ma non è facile prenderli nelle migliori condizioni. Ci sono 190 corridori e dalle 22 ammiraglie al seguito tutti i diesse urlano di andare avanti. Per fare ciò devi avere la squadra migliore, strutturata per quel tipo di lavoro».

Agnoli e Oss lavorarono per gran parte di quell’edizione
Agnoli e Oss lavorarono per gran parte di quell’edizione

Contano i compagni

Lo si è visto sabato scorso con Pogacar e compagni, la squadra risulta importante, forse più che in altre corse. Non si può sbagliare, la Sanremo è la gara che si decide con uno scatto, ma va fatto al momento giusto. 

«Le forze – spiega Agnoli – sono da centellinare per tutti, ma in particolar modo per i capitani. Ogni momento risulta importante, ma dai Capi inizi a fare i conti all’oste. Appena la strada sale con Capo Cervo capisci quanta energia ti rimane nelle gambe. Tatticamente la gara è semplice, ma dopo 250 chilometri devi avere i compagni che ti portano avanti e che sanno prendere il vento in faccia. Uscire dalla Tirreno rendeva tutto più agevole, l’abitudine alla fatica che ti dà quella gara è impareggiabile per me.

«Alla Sanremo – continua – capisci chi sa correre e chi no. Durante la gara devi avere mille occhi, i due davanti per guardare la strada e quattro dietro per vedere se i capitani ti seguono. Io nel 2012 dovevo portare avanti Vincenzo e la fiducia tra di noi era tale che io sapevo che mi avrebbe seguito ovunque. Lui, d’altro canto, sapeva che grazie a me sarebbe risalito in testa al gruppo senza prendere un filo di vento».

Agnoli con Nibali alle spalle: è importante stare davanti, ma senza prendere vento
Agnoli con Nibali alle spalle: è importante stare davanti, ma senza prendere vento

Anticipare

Dal Turchino in poi è tutta una volata verso Cipressa e Poggio, tutti vogliono stare davanti. Lo spazio è quello che è, serve conoscere la strada e anticipare le mosse. 

«L’esperienza conta tanto – dice Agnoli – la strada è sempre quella, vero ma bisogna riconoscere i momenti importanti. La carreggiata sulla costa è larga, sì, ma nei pressi dei centri abitati gli ostacoli non mancano: rotonde, spartitraffico e strettoie.

«La Cipressa – ricorda – non è diventata importante solamente ora, ma lo è sempre stata. Nel 2012 io avevo il compito di farla davanti, insieme a Oss. Tirai per metà salita, poi ci fu uno scatto e mi staccai, le gambe lì facevano già male. Sono riuscito a rientrare prima della discesa, anche in quel caso ho fatto uno sforzo enorme per tornare avanti e mettermi alle spalle Vincenzo. La strada che scende dalla Cipressa va fatta per forza davanti, in quel momento vedi chi sa guidare la bici e chi no. Le difficoltà non sono solamente tecniche, perché la stanchezza sale e la vista si offusca. Riuscire a mettersi nelle prime tre posizioni è una buona cosa, se sei fortunato prendi le moto come riferimento. Tutte le curve chiudono, quindi prendi la bici e la butti dentro: è tutta una questione di feeling tra bici, atleta e materiali».

La discesa della Cipressa va fatta davanti, oltre la 20ª posizione si rischia la “frustata” una volta in pianura
La discesa della Cipressa va fatta davanti, altrimenti si rischia la “frustata” una volta in pianura

Dominare? Non basta

L’edizione 2024 della Sanremo ha visto la UAE Emirates prendere in mano la corsa, fare il bello e il cattivo tempo, ma non concretizzare. Ciò che unisce il racconto di Agnoli, legato al 2012, e la corsa di quest’anno sta proprio qui.

«In quell’anno – spiega di nuovo – noi della Liquigas abbiamo dominato dalla Cipressa a metà Poggio, eppure non abbiamo concretizzato. Nel 2012 ho fatto una cosa simile a quella che avete visto fare a Milan settimana scorsa, una rincorsa fino al Poggio. Io però ho parlato con Vincenzo, ci siamo guardati e mi fa: “Attacca, rendiamo la corsa dura”. Così allungai, pensate al mal di gambe dopo 270 chilometri costantemente davanti. Appena il gruppo mi riprese mollai e finii la corsa del mio passo, senza naufragare».

Nonostante la corsa da protagonista la Liquigas colse due piazzamenti: 3° Nibali e 4° Sagan
Nonostante la corsa da protagonista la Liquigas colse due piazzamenti: 3° Nibali e 4° Sagan

Cuore in gola

I ricordi di Agnoli poi si fanno più nitidi e riemergono importanti, fin dopo la linea bianca del traguardo.

«Un aneddoto – conclude – su quell’edizione, è che la squadra aveva preso tre stanze all’hotel Napoleon, per fare le docce. Una volta finita la corsa c’era da pedalare per 700 metri così da arrivare in camera, ricordo il mal di gambe, furono infiniti. Per arrivare all’hotel c’era una scalinata di marmo, una volta in stanza mi sedetti e sudai freddo per qualche minuto. Staccai il ciclocomputer dalla bici, guardai i dati, con lo scatto sul Poggio, dopo 280 chilometri, avevo fatto registrare 197 battiti massimi. La Sanremo non è facile, fidatevi…»

Anche i meccanici sono nel pieno della Campagna del Nord

24.03.2024
6 min
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Venerdì la E3 Saxo Classic di Harelbeke, oggi la Gand-Wevelegem: la Campagna del Nord entra nel vivo. Ed entra nel vivo anche per i meccanici. Queste corse  sono una sfida anche per gli staff tecnici. Per Gabriele Tosello (nella foto di apertura), per esempio, capo meccanico dell’Astana-Qazaqstan, il Nord è iniziato prima della Sanremo e si chiuderà il lunedì dopo la Liegi!

Lui e Fausto Oppici, meccanico della Soudal-Quick Step, ci spiegano come si sono organizzati e che scelte hanno fatto i loro atleti.

Gleb Syritsa ad Harelbeke, per lui un setup una volta impensabile per quelle corse tanto tortuose e con fondo sconnesso
Gleb Syritsa ad Harelbeke, per lui un setup una volta impensabile per quelle corse tanto tortuose e con fondo sconnesso
Gabriele, voi di Astana avete il magazzino a Nizza. Siete partiti da lì?

Sì, nei pressi di Nizza e da lì siamo partiti la domenica dopo la Sanremo. In pratica chi come me ha fatto la Tirreno, dopo un breve stop a casa, la mattina di Pavia è andato diretto a Nizza. La mattina dopo, come detto, con le bici dei corridori della Classicissima siamo partiti.

Nizza, Belgio: un viaggione…

Da Nizza a Kortrijk, dove alloggiamo, sono 1.200 chilometri. Li abbiamo fatti in due tappe. Ma eravamo in compagnia e il tempo è passato bene. In più eravamo belli carichi. Con noi infatti avevamo anche il materiale delle Ardenne. Se non tutte le bici, almeno gomme e ruote.

Ecco, parliamo delle vostre scorte. 

Per ora le bici abbiamo quelle di chi fa la prima parte. Con noi ci sono 11-12 atleti. Ognuno ha tre bici, quindi sul camion officina ce ne sono 36. Poi, dopo il Brabante, quando cambieranno i corridori cambieranno anche le bici. Abbiamo previsto un transfer. Via queste e dentro le altre. Più o meno saranno le stesse per numero. Dipenderà da quanti corridori effettivamente ruoteranno.

Coperture più larghe, pressioni più basse e canali maggiori consentono di utilizzare ruote ad alto profilo sempre. Anche al Nord…
Coperture più larghe, pressioni più basse e canali maggiori consentono di utilizzare ruote ad alto profilo sempre. Anche al Nord…
Cosa avete portato?

Sette tipi di coperture con diametri di 28, 30 e 32 millimetri. Già ad Harelbeke, considerato un Piccolo Fiandre, qualcuno ha usato i 30 mm. I 32 semmai, solo per la Roubaix. Poi due tipologie di ruota: 45 e 60 millimetri.

Che poi voi avete cambiato fornitore… Solo due set avete portato?

Vero, siamo passati da Corima ed Hed a Vision. Ma proprio per avere le idee chiare a dicembre siamo venuti su per fare dei test con alcuni corridori, tra cui Ballerini e Bol. Poi sono seguiti altri test in galleria del vento, in allenamento e un altro mini sopralluogo lo abbiamo fatto prima della Kuurne e della Omloop.

Altro materiale “da Nord” che avete con voi?

Abbiamo un nastro manubrio apposito, che è antiscivolo e leggermente più imbottito. Questo ci consente di non mettere il doppio nastro manubrio. E poi direi le “mousse”, quegli inserti che si mettono sotto al tubeless e che abbiamo usato ad Harelbeke e useremo al Fiandre e alla Roubaix.

E’ noto che da quelle parti il tempo cambia repentinamente: avete dei lubrificanti diversi?

Abbiamo cambiato oli. Ora ci affidiamo ad una ditta spagnola che si chiama BLUB, che sta proprio per Barcellona Lubrificanti. Ne abbiamo cinque tipi tra spray e più densi: dal secco al bagnato estremo. E posso dire che si usano parecchio. Tre bombolette spray e tre flaconcini da 100 ml di olio a settimana. I cuscinetti ci danno un bel da fare, specie se piove.

Fausto Oppici, meccanico della Soudal-Quick Step
Fausto Oppici, meccanico della Soudal-Quick Step

In casa Soudal…

Se Tosello ci ha parlato del Nord lato meccanici, Oppici fa più o meno la stessa cosa, ma più dal punto di vista degli atleti. E’ noto che la sua squadra, la Soudal-Quick Step sia una vera armata da quelle parti. E anche se non è più la corazzata di un tempo, vanta sempre atleti di primissimo piano come Asgreen, Alaphilippe e Moscon

Qui l’approccio è più mirato al campione. In più bisogna considerare che la sede della Soudal-Quick Step è nei pressi di Gent, pertanto è sul posto. Per ogni evenienza tutto è a portata di mano. Hanno meno bisogno di fare i “grossi bagagli”.

Le tante bici all’interno del camion meccanici della Soudal-Quick Step (foto Wout Beel)
Le tante bici all’interno del camion meccanici della Soudal-Quick Step (foto Wout Beel)
Fausto, come vi siete organizzati “voi” belgi?

Sul fronte dei materiali tutto è confermato, sia rispetto all’anno scorso che rispetto alla Sanremo, per dire. Quello che cambia davvero sono le gomme e le pressioni in particolare. Anche per noi, ogni atleta ha tre bici: quella con cui corre, quella di scorta sulla prima ammiraglia e quella sull’ammiraglia che fa i tagli. Un’altra cosa che facciamo è che tutti i nostri massaggiatori, nei rifornimenti in gara, hanno almeno una coppia di ruote, oltre alle borracce e al rifornimento stesso. Qui al Nord capita che spesso la macchina sia troppo dietro, anche 3-4 minuti proprio nei tratti cruciali, e così gli diamo un set di ruote.

Sulle gomme, con Specialized puntate su copertoncino e camera d’aria. Vale anche per queste gare?

Prevalentemente camera e copertoncino anche per il Nord. Abbiamo anche un tubeless ready a disposizione, ma queste sono decisioni che spettano ai corridori e sono legate soprattutto al meteo. Tra le coperture che abbiamo con noi, c’è il modello Roubaix, il più usato da queste parti. E’ più robusto e lo abbiamo sia nella sezione da 28 mm che in quella da 30.

Asgreen normalmente per quale opta?

Quasi sempre per un 28 se è asciutto, ma credo lo mantenga anche per il bagnato. Asgreen è un tipo molto particolare per quel che riguarda le ruote: sceglie set, gomme e pressioni proprio all’ultimo. Soprattutto sulle pressioni ce le fa ricontrollare spesso proprio al ridosso del via. 

Alaphilippe e Asgreen: i due leader della squadra di Lefevere. Loro due intervengono solo sulle gomme
Alaphilippe e Asgreen: i due leader della squadra di Lefevere. Loro due intervengono solo sulle gomme
E viaggia sugli standard indicati per quanto riguarda il gonfiaggio?

Più o meno sì, chi va sotto di 0,2-0,3 bar è Alaphilippe. Per il resto si tocca davvero poco. Non è più come una volta. Dai raggi al cerchio, le ruote le montiamo e le usiamo così come escono dalla fabbrica. Anche le posizioni non vengono toccate per niente.

Perché?

Perché tra metodi costruttivi diversi, ruote che si rompono meno, l’efficienza è sempre buona e l’aerodinamica conta sempre di più. Una volta si parlava di doppio nastro, noi quasi non lo mettiamo più. Non solo, ma se proprio non fa freddo ormai tanti atleti corrono senza guanti anche sul pavé. E il guanto stesso era uno spessore ulteriore. Una volta si cambiavano bici, si usavano quelle con gli inserti ammortizzanti. Si cambiavano forcelle, si usavano quelle ammortizzate… Noi oggi affrontiamo le classiche del Nord con Specialized SL8, la stessa della Sanremo, per dire…

Consonni: la Sanremo mancata e i piazzamenti in Belgio…

23.03.2024
4 min
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Simone Consonni dopo le tre corse in terra belga è già tornato a casa, lo ha fatto la sera stessa della Brugge-De Panne. L’esclusione, già comunicata da tempo, dalla Milano-Sanremo ha condotto il bergamasco della Lidl-Trek verso nord. Nelle tre gare disputate non è mai uscito dalla top 5, dato importante che determina una condizione buona, se non ottima. Lo intercettiamo mentre è indaffarato nelle sue commissioni e ci racconta come sta. 

«Sono appena uscito dall’osteopata – racconta – la caduta di ieri ai meno 35 chilometri si è fatta sentire. Ho qualche dolorino e dei leggeri acciacchi, così sono andato a farmi mettere a posto. Nel provare a stare in equilibrio ho sentito un crampo, solo che in gara non senti male (tanto che ha fatto la volata ed è arrivato quinto, ndr), ma il giorno dopo ti arriva tutto».

Consonni è passato in Lidl-Trek dopo quattro anni alla Cofidis
Consonni è passato in Lidl-Trek dopo quattro anni alla Cofidis

Settimana positiva

Dopo la mancata partecipazione alla Milano-Sanremo, di cui abbiamo parlato con Consonni dopo l’ultima tappa della Tirreno-Adriatico, sono arrivati dei bei piazzamenti. 

«E’ stata una settimana positiva – conferma – come lo è stato tutto l’inizio di stagione. Sia con “Johnny” (Jonathan Milan, ndr) che da solo, ho tirato fuori qualcosa di buono. Questo vuol dire che la condizione c’è, sapevo di stare bene, anche perché durante l’inverno non ho avuto nessuno stop. Devo ammettere che la nuova maglia mi ha dato tante motivazioni, anche dal punto di vista personale».

Nelle tre gare in Belgio il bergamasco non è mai uscito dai primi cinque
Nelle tre gare in Belgio il bergamasco non è mai uscito dai primi cinque
I risultati del Belgio non sono stati una risposta all’esclusione dalla Sanremo?

No. Il mio ruolo alla Classicissima sarebbe stato quello di mettere in posizione il capitano, Pedersen, nel finale. Però non sono quel tipo di corridore, non ho le caratteristiche per portare a termine quel lavoro. La squadra ha scelto in base a idee tecnico-tattiche, non di condizione. 

Dei buoni piazzamenti nelle ultime gare danno morale in più?

Sono contento quando si vince in generale, la Lidl-Trek mi ha preso per aiutare Milan e ne sono consapevole. Mi soddisfa fare bene con Johnny tanto quanto fare bene da solo. Non parlerei di motivazione, quella sarebbe arrivata con una partecipazione alla Sanremo. 

Consonni è stato preso per affiancare Milan e fargli da ultimo uomo, ruolo svolto egregiamente fino ad ora
Consonni è stato preso per affiancare Milan e fargli da ultimo uomo
Questa nuova maglia che cosa ti ha dato in più?

Non dico che è stato come tornare neopro’, ma quasi. E’ come se fosse tutto nuovo, riesco a tirare fuori di più. Vedere che una squadra come la Lidl-Trek ha fiducia nei miei mezzi, sia come ultimo uomo che come corridore, mi rende felice. E’ tornata anche la fame di vittoria che mi è mancata negli ultimi due anni.

In che senso?

Che questa è una squadra dalla mentalità ambiziosa, che va alle gare con l’obiettivo di vincere e non solamente di raccogliere punti. Sono tornato un po’ al Consonni della Colpack, quando correvo per vincere, ma anche per far vincere i miei compagni. E’ una mentalità che ho sempre avuto e che qui ho ritrovato, anche grazie a “Johnny” (Milan, ndr). 

Consonni alla Lidl-Trek ha ritrovato grinta e voglia di vincere
Consonni alla Lidl-Trek ha ritrovato grinta e voglia di vincere
Torniamo alla Sanremo, l’obiettivo è correrla il prossimo anno?

Sì, voglio lavorare per meritarmi di far parte della squadra, mi piacerebbe avere la fiducia del team e andare a gare come questa. 

Hai corso in Belgio, ma il cognome Milan ti ha seguito fin lì, visto che in squadra avevi Matteo il fratello…

I giorni prima ho chiamato Jonathan e gli ho detto che la sua famiglia mi avrebbe dovuto pagare per il baby sitting (ride di gusto, ndr). In aeroporto a Bruxelles dovevo prendere il treno con Matteo, mi ha scritto e ho visto “Milan” sullo schermo, ho pensato: «Questi mi perseguitano!». 

Nelle gare in Belgio, Consonni ha trovato un altro Milan: Matteo, fratello di Jonathan (foto LidlTrek)
Nelle gare in Belgio, Consonni ha trovato un altro Milan: Matteo, fratello di Jonathan (foto LidlTrek)
Come è stato correre con Matteo?

E’ giovane, tanto, quindi ancora acerbo per queste gare sulle pietre, ma ha tanta voglia di fare. Ha grinta e un grande motore. Lui e Jonathan hanno lo stesso fremito di voler correre sempre avanti, il più grande sta imparando a gestirlo, Matteo non ancora. Deve prendere ancora le classiche “botte sui denti”, ma il motore sul quale lavorare c’è.