Zoccarato, bis tricolore gravel e su strada gambe ottime

04.07.2024
4 min
Salva

Ma perché non pensare anche ad una Parigi-Roubaix per Samuele Zoccarato? Grinta da vendere, fisico potente e due titoli nazionali gravel. «Perché bisogna anche essere realistici – replica il diretto interessato – una Roubaix sì, sarebbe bella e di certo non avrei paura di buttarmici, ma forse una Strade Bianche sarebbe più indicata. E’ una corsa più adatta alle mie caratteristiche, c’è anche qualche strappo. Come dicevo bisogna essere realistici: non sono un super vincente e per certe corse serve anche una squadra importante. Credo però di poter essere un buon gregario».

Con il nuovo campione italiano gravel della VF Group-Bardiani dunque facciamo il punto sulla sua insolita stagione. Il Giro d’Italia non fatto, le corse al Nord, appunto l’esperienza offroad… Samuele non è mai banale e i discorsi filano via carichi.

Samuele Zoccarato (classe 1998) allo ZLM Tour in Olanda dove si è ben comportato tra pavè e ventagli
Samuele Zoccarato (classe 1998) allo ZLM Tour in Olanda dove si è ben comportato tra pavè e ventagli
Samuele, partiamo con un piccolo passo indietro e dal buon campionato italiano su strada che hai disputato… 

Era già da un bel po’ che andavo forte, almeno rispetto ai miei standard ovviamente. Mi sentivo bene. Quindi in verità non è stata una sorpresa andare così bene all’italiano su strada. Già dal Giro della Grecia avevo visto che era cambiato qualcosa: riuscivo a rimanere davanti molto più facilmente. Poi sono andato in Olanda e di nuovo mi sentivo molto bene. Lassù, nei miei quattro anni di professionismo non ero mai riuscito a stare davanti in un ventaglio. Stavolta in ogni ventaglio appunto ero in testa, sempre protagonista. Vuol dire che stavo lavorando nel modo giusto.

Hai raccolto i frutti della preparazione che hai fatto per il Giro e forse c’è anche un po’ di grinta in più, quella di voglia di dimostrare che Zoccarato c’era…

Sì, un po’ sì. Volevo fare vedere che qualcosa da dimostrare ancora ce l’ho. E poi credo che i giorni di gara in Olanda mi abbiano dato un ritmo che quest’anno non avevo mai avuto.

È diverso correre con la gamba buona lassù?

Assolutamente sì, perché invece di subire la corsa e fare solo fatica, la fai e ti gestisci. Lassù se molli un attimo, anche mentalmente, sei morto. Invece con una buona condizione e un po’ di grinta è tutta un’altra cosa. Mi sono divertito per la prima volta al Nord.

Il veneto in azione all’italiano gravel, che alternava tratti sterrati ad altri più filanti
Il veneto in azione all’italiano gravel, che alternava tratti sterrati ad altri più filanti
Veniamo all’italiano gravel. Hai fatto doppietta. Lo avevi già vinto nel 2022. Questa specialità in qualche modo di attrae. Com’è andata?

All’inizio non avevo tutta questa voglia di andare. Poi ho chiesto alla squadra di montarmi una bici, come dicevo io, con i materiali specifici. Ci sono riusciti e alla fine questa scelta ha portato i suoi frutti.

Quali sono state le tue richieste specifiche?

Prima di tutto dei rapporti adatti al percorso, quindi ad esempio montavo il 44 davanti e il 9-44, dietro. Poi delle gomme molto scorrevoli. Coperture ideali secondo me per quel tipo di percorso.

Beh, te l’eri ristudiata allora…

Sì, altrimenti non sarei andato. Non avrei fatto l’italiano gravel allo sbaraglio. Del percorso mi ero informato sulla locandina e i file Gpx che ho trovato. In più gli ho dato un’occhiata il giorno prima. Volevo fare una ricognizione la settimana prima, ma un po’ perché la bici non era ancora pronta e un po’ perché non s’incastrava bene con i miei allenamenti non ci sono andato.

Come è andata la corsa?

Siamo partiti abbastanza forti come succede anche su strada. All’inizio ho avuto alcuni problemi, sono caduto dopo 15 chilometri in un tratto in discesa che già il giorno prima mi era accorto poteva essere pericoloso. Sono entrato in una curva a kamikaze… e sono finito a terra. Poi mi è scesa due volte la catena. Ho visto che c’era Agostinacchio che andava molto forte in salita e un po’ lo temevo (anche per le doti di guida, Agostinacchio è biker e crossista, ndr). Al secondo giro ho provato a fare una “fagianata”, ma non è andata bene. Così dopo qualche chilometro ho dato una botta secca e infine sono riuscito a rimanere da solo. E così sono rimasto fino all’arrivo.

Zoccarato bissa il successo del 2022. Potrà andare al mondiale a Leuven in Belgio ad inizio ottobre
Zoccarato bissa il successo del 2022. Potrà andare al mondiale a Leuven in Belgio ad inizio ottobre
E quanto mancava?

Circa 60 chilometri. Ma da quel momento è stato tutto più facile perché facevo il mio ritmo. Non avevo problemi di visibilità nei tratti tecnici nello stare dietro a qualcuno e rischiare di sbagliare qualcosa. Si trattava solo di spingere. Guida con sicurezza sul tecnico e spingere forte nei tratti più pedalabili.

E ora guardiamo avanti. Sei al Giro d’Austria. Poi quale sarà il tuo programma?

Adesso c’è un po’ di tempo per staccare, dovrei andare anche in ritiro in quota ma ancora non so dove. Dovrei riprendere ad inizio agosto con l’Arctic Race of Norway e a seguire con il Giro di Danimarca. Dentro di me non vorrei staccare, mi sento molto bene.

Possiamo immaginare…

Poi comunque dovrei fare le corse del calendario italiano, più avanti. Spazio per provare a cogliere qualche risultato non manca.

Silo, la nuova tricolore che ama fare fatica

04.07.2024
5 min
Salva

Paolo Sangalli aveva visto lungo, a proposito di Giada Silo. Di ritorno dal Tour du Gevaudan aveva sottolineato come da lei avesse avuto quelle risposte che si attendeva su un percorso adatto alle sue caratteristiche. La forza della veneta è proprio questa: è conscia delle sue possibilità, ha bisogno di percorsi impegnativi dove non tradisce. Per questo aveva cerchiato di rosso la data del campionato italiano di Casella. E non ha tradito.

Atleta al primo anno junior, la Silo è approdata al ciclismo da perfetta innamorata: «Il mio è stato un colpo di fulmine – racconta la ragazza della Breganze Millenium – una decina di anni fa i miei genitori mi portarono a fare una prova al velodromo di Sossano. Alla sera avevo già il borsone con tutto il necessario, bici compresa…».

Il podio della gara tricolore con Silo davanti a Milesi (a 37″) e Pegolo (a 1’19”, foto organizzatori)
Il podio della gara tricolore con Silo davanti a Milesi (a 37″) e Pegolo (a 1’19”, foto organizzatori)
Sei arrivata a Casella tra le grandi favorite, protagonista lungo tutta la stagione anche se la vittoria era arrivata solamente sei giorni prima…

L’avevo cercata tanto e qualche piazzamento alla lunga mi era risultato un po’ amaro. Poi la vittoria della settimana precedente alla Coppa Giudicarie Centrali mi ha sbloccato, mi ha permesso di arrivare alla gara tricolore più tranquilla e concentrata su quel che potevo fare.

Che gara è stata quella tricolore?

Complicata, non tanto per le questioni climatiche visto che la pioggia annunciata alla vigilia non c’è stata, ma è stata di difficile interpretazione tattica. C’è stata bagarre sin dall’inizio con Biesse Carrera e BFT Burzoni che hanno fatto subito selezione. A un certo punto, ripresa la prima fuga, davanti eravamo in una trentina con solo io e la Bulegato del team e a quel punto eravamo un po’ spaesate perché la gara non si era messa come volevamo. Per fortuna da dietro sono rientrate altre e il nostro team si è rinfoltito.

Il momento decisivo della corsa, la fuga con Milesi e La Bella sulla salita di Crocefieschi
Il momento decisivo della corsa, la fuga con Milesi e La Bella sulla salita di Crocefieschi
A un certo punto, sulla salita di Crocefieschi, è andata via una fuga di 6 atlete con anche una tua compagna, Eleonora Deotto. A quel punto hai pensato che fosse finita?

Quando hanno superato il vantaggio di 1’20” sì, ma ero tranquilla perché comunque una compagna c’era. Erano però sei velociste, quindi in salita hanno pagato dazio e la battaglia è riesplosa. Eleonora La Bella ha provato a  fare selezione, dietro siamo andate Milesi e io, poi a un chilometro dallo scollinamento ho forzato e ho avuto partita vinta.

Sono questi percorsi quelli che preferisci?

Sicuramente, a me piace far fatica, i tracciati impegnativi dove bisogna salire mi piacciono molto. Forse è anche per questo che nelle gare all’estero, almeno per quelle che ho fatto, mi trovo bene.

La Silo si era già messa in evidenza al Tour du Gevaudan, prova di Nations Cup chiusa al 6° posto
La Silo si era già messa in evidenza al Tour du Gevaudan, prova di Nations Cup chiusa al 6° posto
Hai trovato differenze?

Molte. Intanto per il fatto che a inizio stagione le squadre straniere sono molto più avanti di noi nella preparazione, poi perché non aspettano particolari tratti del percorso, è una battaglia continua. Noi siamo abituate ad aspettare la salita, a correre in maniera più passiva nella prima parte di gara.

Che cosa cambia con la maglia tricolore indosso?

Devo ancora realizzare quanto ho fatto anche se è passato qualche giorno. Io ho intenzione di onorarla al meglio, il che significa che queste due vittorie a distanza di soli sei giorni non devono restare da sole, ma essere un viatico verso nuovi successi su quelle gare che si prestano alle mie caratteristiche. Domenica ad esempio c’è l’appuntamento di Massa Finalese che ha un tracciato molto più facile, in questo tipo di gare mi metterò a disposizione delle compagne.

Finora la Silo ha colto 2 vittorie e 11 piazzamenti nelle prime 10. Ora punta ai mondiali in azzurro
Finora la Silo ha colto 2 vittorie e 11 piazzamenti nelle prime 10. Ora punta ai mondiali in azzurro
Il percorso dei mondiali però sembra davvero pane per i tuoi denti…

Ne parlerò con Sangalli per poterlo preparare bene, avvicinarci nella maniera migliore alla gara svizzera. Anch’io penso che possa essere un percorso adatto a me, ma bisognerà arrivarci al massimo della forma.

Tu hai iniziato su pista, è ancora una tua alternativa?

Ci tengo molto, anzi mi è spiaciuto non aver potuto preparare gli europei della prossima settimana ma volevo concentrarmi sull’attività su strada e l’appuntamento tricolore, quindi ho preferito chiamarmi fuori, ma spero che per i mondiali ci sia possibilità di far parte del gruppo. Le mie specialità preferite sono l’inseguimento individuale e l’omnium, dove rendo di più.

La veneta è al suo primo anno alla Breganze Millenium, ma conta di rimanere
La veneta è al suo primo anno alla Breganze Millenium, ma conta di rimanere
Sai che dopo questa vittoria tricolore le grandi squadre ti guarderanno con maggiore interesse?

E’ probabile, ma anche se non ho un procuratore, non voglio anticipare troppo i tempi. Parlerò con la società per continuare la mia permanenza il prossimo anno e intanto verificare quali saranno le migliori possibilità future. So che d’ora in poi mi guarderanno tutte come un riferimento, ci sarà più tensione in gara, ma questo non mi fa paura, io voglio continuare sulla strada della vittoria.

La querelle del Galibier. Martinelli, tu come la vedi?

04.07.2024
6 min
Salva

Prima che il Tour esplodesse di gioia per il record di Mark Cavendish, in Francia a tenere banco gli argomenti era due: l’impresa di Pogacar e la “querelle del Galibier”, che ha visto protagonisti Joao Almeida e Juan Ayuso.

Ai 2.642 metri del celebre valico, cuore della quarta tappa, sembra che il talento spagnolo abbia fatto un po’ melina, diciamo così. Non ha rispettato del tutto le consegne che erano state date. Tadej Pogacar ha detto che non ha attaccato prima per colpa del vento, invece sembra che questo suo tardivo attacco sia figlio anche di un gestione imprevista del finale della UAE Emirates.

Il fatto

Ma andiamo con ordine. La UAE Emirates affronta il Lautaret e il Galibier davvero forte. Ogni volta che passa un altro uomo in testa il ritmo aumenta e il gruppo si sgretola. Quando svoltano per gli 8,3 chilometri finali del Galibier, i più duri, nell’ordine entrano in scena: Sivakov, Adam Yates, quindi Almeida e Ayuso. Questi ultimi due, visto il vento devono alternarsi fino ai -3 chilometri (o poco meno) dalla vetta. Peccato che a tirare sia solo Joao Almeida, mentre Ayuso è addirittura a ruota del capitano Pogacar.

Da qui il gesto plateale di Almeida che invita Ayuso a venire in testa. Morale: il ritmo cala, prova né è il fatto che Roglic, il quale si stava staccando, si salva. Non solo, ma Pogacar che si aspettava una determinata tattica ritarda l’affondo, scatta a un chilometro dal Galibier e alla fine in cima guadagna “solo” 10 secondi. Lui stesso ha detto che avrebbe voluto attaccare prima, attribuendo però la colpa al vento.

Martinelli (classe 1955) è stato anche diesse di Pantani, il quale richiamava all’ordine i suoi se qualcuno disattendeva gli ordini
Martinelli (classe 1955) è stato anche diesse di Pantani, il quale richiamava all’ordine i suoi se qualcuno disattendeva gli ordini

Il parere di Martinelli

Cosa sarebbe potuto succedere se lo sloveno fosse scattato prima? Avrebbe guadagnato di più? Vingegaard sarebbe andato di più in acido lattico senza quel “rallentamento”? E come si amministrano certe situazioni in squadra?

E’ noto che Ayuso non sia un carattere facile. E’ campione nel Dna e il ruolo di gregario forse non riesce neanche a concepirlo del tutto. E per questo il suo atteggiamento magari non è neanche del tutto voluto .

Di tutto ciò abbiamo parlato con Giuseppe Martinelli, uno dei direttori sportivi più esperti. Se non il più esperto in assoluto.

Come dice Martinelli, la UAE Emirates in questo momento è fortissima: eccola in azione sul Galibier
Come dice Martinelli, la UAE Emirates in questo momento è fortissima: eccola in azione sul Galibier
Giuseppe, cosa ne pensi della situazione di martedì?

Quando hai una squadra forte come adesso la UAE Emirates, una situazione simile può succedere. Erano a tutta e ad Almeida è scappato quel gesto di scatto. Può capitare. E poi non dimentichiamo che neanche lui è un gregario vero e proprio. E’ un ottimo corridore che sta facendo il gregario. Pertanto ci sta che voltandosi e vedendo il “ragazzino” tranquillo a ruota si sia arrabbiato. Non è bello, ma può succedere.

Però quando poi è passato Ayuso, il ritmo è un po’ calato. Almeno così è parso…

Quello sì. Si è visto che tirava con mezza gamba e non con due. Ma io voglio spezzare non dico una lancia a suo favore, ma almeno dargli un’attenuante. Juan Ayuso è un talento vero e anche per lui non è facile mettersi a disposizione. Lo hanno portato al Tour per imparare… ma imparare bene. Secondo me dalla prossima giornata in salita lo vedremo al suo posto. Tra l’altro, ma sono solo voci sia chiaro, si sente dire che vorrebbe cambiare squadra. I credo che se c’è qualcosa, il modo di mettere a posto tutto lo trova o lo ha già trovato, colui che porta la maglia gialla.

Dopo l’arrivo Matxin, mago nel tessere buoni rapporti, ha elogiati Almeida e Ayuso
Dopo l’arrivo Matxin, mago nel tessere buoni rapporti, ha elogiati Almeida e Ayuso
Dici che Pogacar gli ha detto qualcosa dopo la tappa del Galibier?

Per me sì. Gli fa capire che tutti devono lavorare allo stesso modo. Che sono una squadra. Le sue parole contano tantissimo. Però ripeto, queste sono cose che succedono. Magari hanno già rimesso le cose in ordine. Quando si fanno le strategie, poi magari le cose possono variare. Io per esempio ho notato che Adam Yates prima di passare a tirare ha parlato due volte alla radio. Per me ha detto ai compagni: «Fatemi tirare adesso, perché non sono super». Quindi qualcosa nelle tattiche varia sempre. Così si è invertito con Almeida che è entrato in azione dopo. Solo che poi quando il portoghese si è voltato e ha visto che l’altro non c’era, si è risentito.

Magari Ayuso non ne aveva…

Però è arrivato con i primi. Se hai fatto davvero il tuo lavoro non ci arrivi così avanti. Neanche il miglior Kwiatkowski, neanche Van Aert dopo aver fatto quello che dovevano fare restavano con i migliori. E non credo che lui sia ancora più forte di questi nomi giganteschi.

Come abbiamo detto, sembra, il condizionale è d’obbligo, che Pogacar dovesse partire ai 3 chilometri dalla vetta, dove c’è un tratto molto duro…

E ci sta. Io conosco molto bene quella salita e in effetti c’è un tratto di 500 metri molto duro. Non so… forse col senno del poi gli è andata meglio così.

A Valloire Pogacar in mix zone aveva parlato dell’armonia del bus e del team a cena (foto @fizzaazzif)
A Valloire Pogacar in mix zone aveva parlato dell’armonia del bus e del team a cena (foto @fizzaazzif)
Cioè, cosa vuoi dire?

Se Pogacar fosse partito prima lo avrebbe fatto con meno violenza forse e magari Vingegaard gli si sarebbe messo a ruota e non lo avrebbe staccato più. Invece ha capito che gli deve dare una botta secca e non farlo attaccare alla sua ruota. In quelle due tappe, tra Galibier e San Luca, lo ha capito e ci ha provato. Anche perché così lo manda fuorigiri, gli fa fare fatica… Perché attenzione: Vingegaard ha un recupero impressionante e se va in crescendo nella terza settimana magari diventa il più forte. Così invece lo ha un po’ rimesso al suo posto.

Chiaro…

Non so che numeri abbia fatto Tadej, sicuramente saranno stati incredibili, ma quella del Galibier è un’impresa pazzesca. Io forte così Pogacar non l’ho mai visto. E secondo me anche a crono i distacchi dell’anno scorso tra i due non saranno così ampi. Anzi, per me Pogacar può anche vincerla la crono. Magari lo farà Remco, altro fenomeno, ma saranno tutti vicini.

Ultima domanda, “Martino”: se tu fossi il direttore sportivo della UAE cosa avresti detto ai tuoi ragazzi?

Li avrei riuniti al tavolo e avrei detto ad Ayuso: «Ragazzo, fai quello che ti abbiamo detto di fare. Hai un compito. Se tutti hanno un chilometro da fare, quel chilometro tocca anche a te».

I numeri sul Grappa e il futuro di Pellizzari: gli appunti di Piepoli

04.07.2024
5 min
Salva

Dal Tour of the Alps al Giro d’Italia. Poi il Giro di Slovenia, i campionati italiani e proprio in questi giorni Giulio Pellizzari è impegnato al Tour of Austria. Non sarà troppo? E’ una curiosità che proveremo a toglierci con il supporto di Leonardo Piepoli, chiamato al suo fianco da Massimiliano Gentili, il vero mentore di Giulio. Come lo ha visto al Giro? E cosa pensa del programma successivo?

«Credo che al Giro fosse difficile – spiega il pugliese – fare meglio di così. Immaginavo che potesse essere già a quel livello, perché al Tour of the Alps aveva dimostrato di essere cresciuto. Giulio ha sempre continuato a migliorare e arrivando al Giro ha fatto un ulteriore salto di qualità. Non mi ha stupito. Se si guarda la prima tappa in Piemonte, quella di Torino, era già andato davvero forte».

Dopo il Giro, al Criterium Cycling Stars un altro bagno di pubblico per Pellizzari (photors.it)
Dopo il Giro, al Criterium Cycling Stars un altro bagno di pubblico per Pellizzari (photors.it)
Diciamo che il suo avvicinamento al Giro è stato singolare, con il Belvedere e il Palio del Recioto prima di andare al Tour of the Alps.

Secondo me il progetto che stanno facendo i Reverberi funziona. Magari subito può sembrare strano, perché fare quelle corse potrebbe sembrare un passo indietro per uno che ha già fatto bene tra i professionisti. Invece, secondo me, è utile anche portarlo in corse più piccole e mi piace che lui lo abbia preso bene, secondo me è stato propedeutico. Non si è tirato indietro, ha detto che sono corse belle e che gli piacciono e proprio con questi atteggiamenti lui fa la differenza. Quanto a testa è migliore di tanti altri e questa ne è la dimostrazione.

Perché dici che è stato propedeutico?

Li mandi sotto e fanno risultato, poi li mandi sopra e faticano. Come adesso con Pinarello. Negli under 23 cresce forte, mentre fra i pro’ non ci riesce ancora. Perciò lo rimandano sotto, fa risultato, prende fiato e poi torna tra i grandi. E’ una cosa che ti aiuta a crescere.

Dove vedi i margini più ampi di Pellizzari?

Credo che ne abbia in tutti i campi, perché è molto acerbo in tutto. Sicuramente il primo fronte da attaccare potrebbe essere la cronometro, per un fatto fisico e di attitudine. Ci ha lavorato davvero poco finora, anche perché facevamo un certo tipo di attività per cui la cronometro era relativa. Ora dovrà cominciare a lavorarci, a conoscere i materiali. C’è di buono che è giovanissimo, quindi ha l’elasticità che serve per adattarsi alla bici. E quando si tratta di spingere, non ha problemi.

La crono è il prossimo… osso da attaccare: i margini sono enormi
La crono è il prossimo… osso da attaccare: i margini sono enormi
Non averci lavorato prima è un limite o davvero non serviva?

Io credo che Max Gentili meglio di così non potesse gestirlo. Un giorno mi disse una cosa, quella che mi è rimasta più impressa. Mi disse che da junior, se avesse voluto, con Giulio avrebbe potuto vincere dieci corse. Invece per tutto il tempo che l’ha avuto, ha cercato quelle meno adatte a lui e lo mandava all’attacco perché provasse ugualmente a vincere. E questo ha fatto sì che adesso abbiamo quel ragazzo che prende e attacca. Sfrontato, senza la paura di crollare. E se rimbalza, il giorno dopo è nuovamente lì. Max era molto convinto che sarebbe diventato un corridore e ha fatto tutto il necessario per farlo crescere e non per portare a casa vittorie. Cosa che non è troppo comune e secondo me è una mossa giustissima.

Come vedi la scelta di andare al Tour of Austria?

Un giorno Giulio mi ha chiamato e mi ha chiesto che cosa ne pensassi, dato che gli avevano proposto di andare. Anziché rispondergli, ho chiesto la sua opinione. E lui ha detto che negli stessi giorni la sua ragazza era al Giro Donne, mentre i genitori sarebbero andati in vacanza. Allora ha detto che quasi quasi avrebbe fatto meglio a correre, così magari avrebbe provato a vincere una corsa, dato che finora tanti attacchi, ma zero vittorie. E questo è un altro dei casi in cui dico che Giulio Pellizzari ha la testa due spanne sugli altri.

Per cosa?

Altri avrebbero tirato fuori delle menate. Sulla squadra che li spreme, sul fatto che erano stanchi, sul fatto che si sarebbero finiti. Giulio sa che potrebbe essere stanco, è ovvio. E quando si renderà conto che non ce la dovesse fare, prenderà le sue decisioni. Ma secondo me, dato che di qui a fine anno non parteciperà più a corse a tappe, l’Austria ci può stare. Il suo calendario, dall’estate in avanti, prevede solo corse di un giorno, che gli vanno bene anche a livello di crescita. Lavorerà sul cambio di ritmo, farà a tutta salite di due o tre minuti, dovrà limare per arrivare a prenderle davanti. Perciò l’Austria adesso non gli farà male. Gli under 23 olandesi o belgi fanno 8 corse a tappe per anno. Va bene che Giulio ha fatto il Giro d’Italia, ma la sua non è stata un’attività eccessiva rispetto a quella dei coetanei europei.

Il podio del Tour de l’Avenir 2023: dietro Del Toro, Piganzoli e Pellizzari (foto Tour de l’Avenir)
Il podio del Tour de l’Avenir 2023: dietro Del Toro, Piganzoli e Pellizzari (foto Tour de l’Avenir)
Visto che fare dei passaggi fra gli U23 è propedeutico, perché escludere di partecipare al Tour de l’Avenir? L’anno scorso è stato sul podio, lavorare per vincere non sarebbe utile?

Non so in realtà se abbiano scelto qualcosa, però io personalmente sono sempre stato contrario, per il fatto che hai solo da perdere. Non riesci a crescere. Nel suo caso, preferisco che faccia il Giro d’Austria. Qualunque sia il risultato, chiunque ci lavorerà il prossimo anno, vedrà che è andato forte al Tour of the Alps, al Giro d’Italia, allo Slovenia e magari anche in Austria. Vuol dire qualcosa. Per andare al Tour de l’Avenir devi fare una preparazione su misura, mentre adesso conviene che Giulio finisca l’Austria, poi stacchi e inizi a preparare le corse italiane.

Avrai sicuramente visto i suoi dati del Giro: ci colpì nel giorno del Grappa, quando provò a stare dietro a Pogacar che saliva a 600 watt. Quel giorno Giulio ha fatto qualche record personale?

Ha tirato fuori anche quello che non aveva. Il Grappa è un’ora di salita e lui alla prima scalata ha fatto la sua ora migliore di sempre. E nella seconda passata, circa mezz’ora dopo, ha migliorato la sua migliore ora di sempre. Ha fatto il suo “best all time” in entrambi i casi, più di così non poteva andare. Ma anche lì dimostra la consistenza del ragazzo di fare una salita così forte e poi di farla ancora poco dopo. Vuol dire che ha tanta testa, ma anche tanto motore. Fare certi numeri a fine Giro vuol dire avere qualcosa di più rispetto alla media.

Cavendish fa 35 e si prende il trono di Merckx

03.07.2024
5 min
Salva

Aveva un sogno e ci ha creduto fino in fondo. Mark Cavendish batte Eddy Merckx. L’inglese vince la 35ª tappa al Tour de France, mai nessuno come lui. A 39 anni, ha colto la sua vittoria numero 165, forse la più dolce.

Contro pareri contrastanti. Contro scetticisimi, per un certo aspetto anche contro le squadre che non lo volevano, Mark ce l’ha fatta. E anche per questo motivo questo è un successo a pieno titolo anche dell’Astana-Qazaqstan.

Quanti abbracci forti… Qui eccolo con Cees Bol, altro fedelissimo che lo ha seguito in questa sfida
Quanti abbracci forti… Qui eccolo con Cees Bol, altro fedelissimo che lo ha seguito in questa sfida

Fiducia Astana

“Progetto 35”, così era stato ribattezzato questo record, nasce l’anno scorso al Tour, ma finisce presto e nel peggiore dei modi: “Cav” cade e va a casa. Aveva già annunciato il ritiro dopo il Tour. Ma come detto, aveva un sogno. Sentiva che aveva ancora qualcosa da dare. Torna sui suoi passi e convince Vinokourov, manager dei turchesi, a tenerlo. 

Vino accetta e rilancia. Gli porta anche Morkov, il suo storico apripista, e il preparatore di sempre: il greco Vasilis Anastopoulos e un diesse specifico, Mark Renshaw

«In questo Tour la squadra era tutta per lui. Vinokourov gli ha messo a disposizione tutto quello che poteva per questa sfida», ci aveva detto Giuseppe Martinelli, uno dei diesse dell’Astana, pochi minuti prima del successo di Saint Vulbas.

Astana-Qazaqstan compatta e tutta per l’inglese: così sono arrivati al successo
Astana-Qazaqstan compatta e tutta per l’inglese: così sono arrivati al successo

Nella corsa

Prime montagne alle spalle. Anche la sorte tra le altre cose gli si era messa contro. Ricorderete il calvario di Cavendish nella prima tappa. Mal di stomaco e rincorsa al tempo massimo sin dalla prima salita.

Ma stava bene e ci stava con la testa. Ieri a Valloire quando ha tagliato il traguardo aveva le guance rosse, ma non era più stremato dei velocisti che aveva vicino o di quelli che erano arrivati prima di lui.

Oggi verso Saint Vulbas a rendere tutto più difficile, ma anche mitico, c’era anche la pioggia. Ma Cav, nonostante tutto, stava bene. Ha messo la squadra a tirare. Un lungo treno tutto per lui, come ai vecchi tempi.

Nello sprint è stato un funambolo a saltare da una ruota all’altra e quando gli si è presentato il varco a 250 metri ha aperto il gas definitivamente. La sua velocità era altissima. Lo stile quello di sempre. Fluido, potente, agile: si è schiacciato sulla sua Wilier e non ce n’è stato per nessuno. Neanche per lo sprinter numero uno del momento, Jasper Philipsen. Il belga gli ha preso forse un metro mentre era in scia, ma poi è rimasto lì. La storia è stata fatta.

Di lato si nota meglio il margine con cui Cavendish ha vinto
Di lato si nota meglio il margine con cui Cavendish ha vinto

Zanini ride

Intanto in casa Astana-Qazaqstan impazza la festa. Abbracci e pacche sulle spalle si susseguono senza sosta. Quasi non si vorrebbe lasciare l’arrivo.

«Questa vittoria è merito di tutti – spiega non senza un filo di commozione Stefano Zanini – ci abbiamo creduto ed era giusto farlo. La meritava tutta la squadra. Bravi tutti. Bravi i compagni di, bravo Cav ovviamente, bravo il preparatore, lo staff… In certe situazioni di tensione basta una scintilla e salta tutto e invece siamo rimasti tranquilli e compatti».

Zanini è un diesse ed è stato anche uno sprinter e certe sensazioni ti restano cucite addosso. Sa captare anche le differenze più piccole, interpretare i segnali del suo corridore, specie se questo è un velocista. E in questi giorni racconta di aver visto un Cavendish sempre sul pezzo.

«In particolare – va avanti Zanini – stamattina c’era un’insolita tranquillità al bus. Abbiamo fatto un bel meeting, con i video, le immagini, i vari file… ognuno ha detto la sua. Renshaw ha spiegato la volata e i ragazzi si sono mossi poi alla perfezione. Non abbiamo fatto nulla di diverso dal solito, ma devo ammettere che c’era un atmosfera piacevolmente rilassata, serena: questa sì che era diversa. Tanta lucidità, ecco forse è questo il termine giusto, ed è stato bello».

Stefano Zanini, detto Zazà, con Cavendish… Una grande emozione per tutti (foto Instagram)
Stefano Zanini, detto Zazà, con Cavendish… Una grande emozione per tutti (foto Instagram)

Esultanza “in differita”

Tutto pianificato dunque. Come detto Cavendish e compagni si muovono come devono. A parte per un breve momento in cui si perdono, ma anche lì sono bravi a ritrovarsi. Poi il resto è storia.

«Neanche l’abbiamo vista la volata. Non c’era la tv in quel momento – riprende Zazà – e lo abbiamo saputo qualche secondo dopo. Ad un tratto sono iniziate ad arrivare auto e moto alla nostra macchina. Tutti ci facevano segno col pollice, ci applaudivano… Allora lì abbiamo capito ed è scoppiato il boato.

«Quando è iniziato veramente “Progetto 35”?  L’anno scorso… poi è successo quello che è successo, ma dall’inverno abbiamo ripreso un lavoro ben pianificato in tutto e per tutto. Ognuno sapeva quel che doveva fare. E anche in queste prime tappe, al netto del problema di stomaco avuto in avvio della prima frazione, già nella seconda metà della tappa stava meglio. Abbiamo sempre calcolato ogni chilometro. Ogni watt e ogni tipo di salita per non spendere un briciolo di energia in più. Davvero: questa è stata una vittoria di tutti noi».

Un momento storico: Cav ha portato sul palco i suoi 4 figli
Un momento storico: Cav ha portato sul palco i suoi 4 figli

“Cav” incredulo

E infine c’è lui, Mark Cavendish. Chiudiamo con le sue parole. Dopo aver portato anche l’intera famiglia sul podio, “Cannonball” racconta: «Non posso crederci. È stata una grande scommessa essere qui e provare a vincere. Una grande scommessa per il mio capo Vinokourov. Ciò dimostra che è un ex corridore e che conosce il Tour. Abbiamo fatto quello che volevamo. Ogni dettaglio in termini di materiale e compagni di squadra è stato adattato per lo sprint».

Tutti, ma proprio tutti i corridori vanno a complimentarsi con lui. Anche Pogacar, anche gli altri velocisti. I social in un attimo impazziscono. Per chi segue il ciclismo l’argomento è monotematico: un nome e un numero. Mark Cavendish e il 35.

«Normalmente mi ci vuole un po’ per entrare in certi meccanismi. Ormai so come funziona. Non mi piacciono le brutte giornate, ma devi affrontarle e aspettare la tua occasione. E noi l’abbiamo fatto. Oggi, anche se nel finale non tutto ha girato alla perfezione, i ragazzi hanno saputo improvvisare e mi hanno portato allo sprint in ottima posizione. Ci ho messo 15 Tour per arrivare sin qui».

La strada di Persico per Parigi passa dal Giro d’Italia Women

03.07.2024
5 min
Salva

Silvia Persico sta pedalando sulle strade di San Pellegrino, in altura, da oltre un mese. L’atleta della UAE Team ADQ è salita prima con la squadra, poi è andata al campionato italiano e infine è risalita in cima alla montagna con la nazionale (foto Maurizio Borserini in apertura). 

«Sono qui – racconta dopo il massaggio – dal 29 maggio. In una prima parte del ritiro sono stata con la squadra, il 18 giugno siamo scese per il campionato italiano. Dopo la corsa sono tornata al San Pellegrino il 25 giugno e rimarrò fino a giovedì. In questi giorni le mie compagne di allenamento sono Paladin, Cecchini e Longo Borghini. Diciamo che è un ritiro in vista dell’Olimpiade di Parigi, anche se le convocazioni ufficiali saranno il 5 luglio. Con la squadra ho lavorato tanto sul fondo, mentre con la nazionale abbiamo alzato i ritmi curando la qualità».

Le ragazze del UAE Team ADQ sono salite sul San Pellegrino il 29 maggio
Le ragazze del UAE Team ADQ sono salite sul San Pellegrino il 29 maggio

Ambizioni diverse

Un mese di allenamento è tanto tempo, soprattutto se a breve ci sarà il Giro d’Italia Women. Corsa passata nelle mani di RCS Sport dal 2024 e nella quale la scorsa stagione Persico colse un ottavo posto finale. 

«A dire il vero – continua – io l’altura la soffro un po’ vedremo come scenderò, ma sto lavorando bene. Il Giro sarà un bel trampolino di lancio verso Parigi, non andrò per curare la classifica ma per puntare alle tappe. Ora mi sto allenando da un mese con temperature di 20 gradi, mentre al Giro ci saranno tra i 10 e i 15 gradi centigradi in più. Dal Giro del 2023 ho imparato che è difficile curare la classifica per un’atleta come me.

«In salita mi difendo ma non sono una scalatrice pura come Realini o la Longo Borghini. Penso che la scalata del Blockhaus e la tappa seguente saranno davvero toste. Una frazione che mi intriga è quella di San Marino, anche se dovremo capire che cosa avranno in mente le ragazze di classifica. Noi come UAE Team ADQ saremo più incentrate sulle tappe, per cercare di portare a casa qualche successo singolo».

Lavori in corso

Il ciclismo moderno ha costretto, se così vogliamo dire, Silvia Persico a cercare di concentrare le proprie forze sulle corse che più si addicono alle sue caratteristiche. 

«Fino ad ora ho fatto solo 23 giorni di corsa – afferma Persico – anche se ho cominciato presto, a gennaio con due gare in Spagna. Poi sono andata al UAE Tour e infine diretta verso la campagna del Nord con Fiandre, Amstel e Liegi. Ho chiuso con la Vuelta Burgos, ma non ero al 100 per cento della condizione. Da lì, era il 19 maggio, ho staccato cinque giorni e sono venuta in ritiro. Da quel momento ho corso solamente il campionato italiano, era un percorso adatto a me ma non stavo benissimo. Quindi mi sono messa a disposizione della Gasparrini, è stata la cosa giusta da fare».

«Rispetto al 2023 ho cambiato un po’ i piani – riprende – innanzitutto perché ho un nuovo preparatore: Luca Zenti. Davide Arzeni non poteva più seguirmi così sono passata con lui. Abbiamo messo nel mirino la prima parte di stagione, eliminando il ciclocross in inverno e aumentando le ore in bici. Ho avuto una preparazione meno stressante e questo mi ha permesso di iniziare la stagione presto».

Mirino su Parigi

Scendere dall’altura appena due giorni prima del via del Giro d’Italia Women è un dato indicativo. Come detto anche da lei Silvia Persico non punta tutto sulla corsa rosa, ma ha nel mirino anche la gara a cinque cerchi. 

«In questo secondo ritiro abbiamo potuto parlare dell’Olimpiade – conclude Persico – della quale siamo andate a vedere il percorso proprio con il cittì Sangalli. Devo ammettere che mi piace molto, la prima parte in linea è abbastanza semplice, poi si entra nel circuito cittadino. Quello è davvero tosto, ci saranno da fare tre giri ed è un continuo salire e scendere e con tanti rilanci. Se il Giro dovesse andare come previsto uscirò con una buona gamba, cosa utile in vista della gara di Parigi. Sarà una giornata difficile da gestire ma è un appuntamento importantissimo».

Un giorno in giallo con Bardet: Emily Brammeier racconta

03.07.2024
7 min
Salva

VALLOIRE (Francia) – «Avevamo già avuto la maglia gialla in squadra – dice Emily Brammaier, responsabile delle comunicazioni nel Team DSM – ma non avevo mai lavorato con la maglia gialla. Quindi sabato è stata una bella giornata. Avevo lavorato con altri leader. C’ero quando Nicholas Roche prese la maglia della Vuelta e anche quando Wilko Kelderman e Jay Hindley presero la rosa nel 2020. L’anno scorso ancora in rosa con Andreas Leknessund. Questa volta c’è stato Bardet, ma l’attenzione che porta la maglia gialla è nulla in confronto delle altre due».

Emily Brammeier è una bella ragazza bionda, per metà inglese e metà irlandese, che da qualche anno lavora per il Team DSM Firmenich. Ci si saluta ogni giorno, si scambiano poche battute, ma questa volta abbiamo deciso di chiederle qualcosa di più per capire che cosa significhi quando in una squadra (che non ci è abituata) arriva la maglia gialla. Che cosa è successo nel team olandese quando Bardet ha vinto la prima tappa del Tour e ha conquistato la maglia gialla? Lo chiediamo a lei, che ha seguito Bardet in ogni passo. E poi le chiederemo qualcosa di sé: chiunque passi tanti giorni lontano lavorando sodo all’ombra dei campioni merita che il proprio lavoro venga riconosciuto.

Vi aspettavate che Bardet potesse vincere tappe e maglia in avvio del Tour?

Mia cugina si è appena sposata a Firenze ed è in luna di miele in Italia. Così le ho procurato dei biglietti per venire all’ospitalità la mattina della prima tappa. E lei mi ha chiesto: «Allora, qual è il tuo programma per la giornata?». E io le ho risposto che sarei andata a Rimini per conquistare la maglia gialla. Le ho detto che sarebbe stato un sogno assoluto, anche se il piano di attaccare e provare c’era davvero. Volevamo essere nel vivo della gara e quando è arrivata la sera, abbiamo scoperto che il sogno si era avverato.

Da quanto tempo sei in questa squadra?

Dal dicembre 2016. Ho iniziato a occuparmi dei social media e poi, dopo circa un anno, sono passata al ruolo di addetto stampa. Ora invece sono responsabile delle comunicazioni. Mi sono avvicinata al ciclismo perché in realtà provengo da una famiglia di ciclisti. Mio fratello era un ciclista professionista così pure sua moglie, Nikki Harris. Mio padre andava sempre in bicicletta quando eravamo bambini. E poi, per fare sì che i miei due fratelli maggiori continuassero a stare bene, evitando che frequentassero le persone sbagliate, li arruolò nel club ciclistico locale.

Cresciuta fra le bici, insomma…

Abbiamo trascorso tutta la nostra infanzia partecipando a gare ciclistiche. Io ero di supporto per i miei fratelli. E alla fine, come si diceva, uno di loro è stato per alcuni anni un ciclista professionista e ora è allenatore nella nazionale britannica: si chiama Matt Brammaier. Per cui, ecco spiegato come mai io lavori nel ciclismo. Invece sono nelle comunicazioni perché ho studiato pubbliche relazioni e media e quindi… eccomi qui.

Emily con il fratello Matt: ex corridore e ora tecnico della Gran Bretagna (foto Instagram)
Emily con il fratello Matt: ex corridore e ora tecnico della Gran Bretagna (foto Instagram)
Come è stato aspettare l’arrivo di Bardet a Rimini?

Piuttosto folle, perché non avevamo una visione d’insieme. Non avevamo schermi televisivi, a dire il vero, perché il nostro pullman si è rotto mentre arrivavamo a Rimini (in sostituzione è stato chiamato Daniele Callegarin con il pullman Vittoria, ndr). Quindi è stata una fortuna che io sia riuscito ad arrivare al traguardo. Ho avuto un passaggio dalla Israel Premier Tech. Hanno caricato me e il mio operatore in una stazione di servizio sull’autostrada. Il pullman aveva tutte le spie accese sul cruscotto, per cui ho inviato un messaggio ai miei colleghi e ho detto se ci fosse qualcuno dietro di me in autostrada che potesse venire a prendermi. E alla fine, grazia alla Israel, sono arrivata al traguardo con il cibo, le bevande e la borsa per l’arrivo.

Che cosa ha significato gestire la maglia gialla del Tour?

Buona domanda. In realtà c’è differenza tra averla per pochi giorni e quando invece si punta davvero alla classifica. In ogni caso devi provare a gestire la quantità di tempo in cui il corridore è impegnato a partire dai protocolli post gara. Quando lo fai per giorni e giorni di seguito, ci vuole molta energia. Sei sempre l’ultimo corridore a lasciare la gara. Hai il podio, molteplici conferenze stampa, controlli antidoping. Può volerci un’ora e mezza, anche due ore prima che torni in hotel. Quindi penso che se lo fai giorno per giorno e il tuo obiettivo è davvero mantenere la maglia, allora devi cercare di gestire davvero il tempo. Ma per noi, ovviamente, in questo caso non era quello l’obiettivo.

Che cosa ha rappresentato quella maglia per Bardet?

E’ stato un momento davvero speciale, per cui abbiamo vissuto le varie fasi insieme e senza stress. Ci siamo goduti tutta la trafila di cosa significhi essere in maglia gialla. La serata è stata impegnativa. Ogni sera il Tour è affollato, ma credo che questa volta sia stata eccezionale. Come ho detto, non avevamo un pullman al traguardo, quindi i corridori sono saliti in macchina e se ne sono andati. Noi invece (ride, ndr) siamo tornati in bicicletta dal traguardo all’hotel.

Bardet in giallo, Van den Broeck in verde: grande inizio di Tour (foto Instagram)
Bardet in giallo, Van den Broeck in verde: grande inizio di Tour (foto Instagram)
In bici?

Bardet e Van den Broeck erano entrambi reduci dal podio, quindi sono saliti in macchina e sono andati via con il medico. Noi rimasti, quindi il nostro allenatore e il capo delle operazioni, abbiamo preso le loro bici di scorta e abbiamo fatto 10 chilometri fino all’hotel. E’ stato molto diverso dal solito viaggio in macchina…

In che modo avete gestito la maglia sul piano della comunicazione?

Abbiamo cercato di realizzare quanti più contenuti possibili. Commercialmente, la maglia gialla è super interessante ed è un momento che abbiamo voluto massimizzare anche dal punto di vista dei social media e delle pubbliche relazioni. Abbiamo fatto venire un paio di giornalisti in hotel e più tardi la sera abbiamo fatto alcune interviste dal vivo sia con Roman che con Frank Van den Broeck. Però abbiamo avuto anche un momento con lo champagne per fare festa tutti insieme. E mentre eravamo nella hall a fare questo brindisi, in televisione riproponevano la tappa. Così ci siamo seduti e abbiamo visto il finale tutti insieme.

Dai social media si è visto che i ragazzi hanno detto qualcosa.

Hanno fatto un bel discorso e abbiamo bevuto tanto champagne, che alla fine gocciolava dal soffitto. Romain era felice. Penso che indossare la maglia gialla sia stato il sogno di una vita, quindi è stato bello poterlo condividere con lui. Era decisamente emozionato, soprattutto quando è tornato in albergo e ha visto i compagni di squadra e gli altri membri dello staff.

L’intera squadra è stata felicissima per Bardet, in giallo al suo ultimo Tour
L’intera squadra è stata felicissima per Bardet, in giallo al suo ultimo Tour
Il giorno dopo è stato necessario fare qualcosa di particolare, avendo la maglia gialla?

Siamo arrivati un po’ prima alla partenza, in modo da avere abbastanza tempo per fare tutto il necessario. Non abbiamo creato una strategia mediatica, ma di certo è stato un momento di altissima intensità al quale ci eravamo preparati dal mattino. Per ogni Grande Giro prepariamo oggetti su misura, per cui al Tour ne abbiamo gialli, verdi, a pois nel caso arrivi quella maglia. Da un punto di vista commerciale è utile, per cui abbiamo poi passato la mattinata a fotografare quel genere di cose. A scattare foto di gruppo tutti insieme, perché per tutti noi è stato un momento speciale da ricordare.

Quanta attenzione c’è per la maglia gialla?

E’ stato piuttosto folle, considerando che si trattava di un francese dopo una prestazione così spettacolare. Non è stata solo la sua vittoria, ma una vera vittoria di squadra e penso che tutto il mondo del ciclismo sia stato davvero contento vedendoli arrivare al traguardo. Abbiamo ricevuto un quantitativo incredibile di messaggi di complimenti per la strategia e la sua esecuzione. E’ stato davvero speciale farne parte.

Incontri, feste e autografi nel suo unico giorno in giallo: qui con Prudhomme
Incontri, feste e autografi nel suo unico giorno in giallo: qui con Prudhomme
Peccato sia durata per un solo giorno…

Quando abbiamo perso la maglia, ovviamente, c’è stata una certa delusione. Sarebbe stato carino per Romain portarla fino in Francia. Ma se avessi detto a chiunque di noi che avremmo avuto una giornata con la maglia gialla, vinto una tappa e anche un secondo posto, che avremmo preso una maglia verde e una maglia bianca e il premio di corridore più combattivo nel primo giorno di Tour, avrebbe firmato subito. Quindi la delusione iniziale, anche per Romain, di aver perso a Bologna, si è ribaltata nell’aver capito che sia stato probabilmente uno dei giorni più speciali della sua carriera. Ed è fantastico che tutti noi lo abbiamo condiviso con lui.

Un corridore speciale come lui al suo ultimo Tour de France.

E’ stato davvero bello essere con Romain nell’ultimo Tour de France. Lavoriamo molto bene insieme, è un ragazzo fantastico da avere in squadra. Dà tantissima energia. Non siamo una squadra che vince spesso, ma quando vinciamo, è davvero speciale. E quel primo giorno di Tour è stato davvero speciale, uno dei migliori della mia carriera nel ciclismo.

Tra podio tricolore e Avenir: caro Mattio, come va?

03.07.2024
4 min
Salva

Pietro Mattio era tra i più marcati all’ultimo campionato italiano U23. D’altra parte non poteva essere diversamente visto la maglia che indossa, cioè quella della Visma- Lease a Bike Development

Il giovane piemontese, classe 2004, alla fine è giunto terzo quel giorno. Abbiamo appena passato il giro di boa della stagione ed è un buon momento per tracciare un primo bilancio.

Il podio del tricolore U23: Edoardo Zamperini (primo), Nicola Rossi (secondo) e Pietro Mattio (terzo)
Il podio del tricolore U23: Edoardo Zamperini (primo), Nicola Rossi (secondo) e Pietro Mattio (terzo)
Terzo all’italiano, ma super temuto anche da Zamperini, il vincitore…

E’ un podio che mi aspettavo, anche se non sapevo proprio come potesse andare la gara. Ero partito per ottenere il massimo risultato, volevo indossare quella maglia prestigiosa, un simbolo di riconoscimento, un sogno. Non ci sono riuscito, ma ho lottato fino alla fine e poi ero da solo.

Esatto, tu correvi senza squadra…

Diffidavo di Zamperini e degli squadroni come Colpack, Zalf… Temevo mi mettessero in mezzo e così ho provato ad anticipare a portare via un gruppetto per isolarli come forza di squadra. All’inizio non ci sono riuscito, poi un po’ meglio. Eravamo una trentina e ho atteso la salita finale per attaccare. In quel frangente, anche grazie alla squadra, Zamperini è riuscito a risparmiare qualcosa e nel finale ne aveva di più.

Dicevamo all’inizio che con quella maglia non passi inosservato: come ci si sente?

In effetti ci fanno attenzione. Di certo fa piacere indossare una maglia della Visma, grazie anche ai fenomeni come Vingegaard e Van Aert che sono con noi. 

Il cuneese impegnato durante il Giro Next Gen
Il cuneese impegnato durante il Giro Next Gen
Pietro, cosa hai imparato in questi due anni con loro?

Davvero tanto, soprattutto per quel che riguarda la vita del corridore e ho firmato per un altro anno ancora. Ho imparato che le parole d’ordine sono costanza e dedizione. Sapevo che erano super preparati ma non così. Davvero ogni dettaglio, ogni aspetto della meccanica, della preparazione, dell’alimentazione sono curatissimi. Non si lascia nulla al caso.

Anche con voi del Devo team?

Direi di sì, perché alla fine i tecnici sono gli stessi che lavorano con i pro’. Abbiamo gli stessi preparatori, gli stessi massaggiatori, meccanici, direttori sportivi… siamo una squadra unica e sovente corriamo insieme. Io quest’anno ho fatto due corse con loro.

Vuoi ricordarci quali?

Due corse al Nord: una in Olanda a marzo e una a giugno in Belgio.

E invece come sta andando la tua stagione? Come la giudichi sin qui?

Direi che il bilancio è più che positivo. Come squadra abbiamo vinto in Croazia all’inizio dell’anno e lì sono stato decisivo come ultimo uomo per il nostro velocista. E io ho finito quinto nella generale in un’altra gara a tappe. Poi nella fase della primavera ho avuto degli alti e bassi e infatti alla Liegi U23, alla quale tenevo moltissimo, non sono andato come volevo, ma devo dire che sono stato anche un po’ malato in quel periodo. Molto meglio al Tour de Bretagne, dove il livello era alto. Lì ho chiuso undicesimo nella generale e al Gp des Nations ho vinto la maglia dei Gpm.

Al GP des Nations, corso per nazionali, Mattio ha vinto la maglia dei Gpm
Al GP des Nations, corso per nazionali, Mattio ha vinto la maglia dei Gpm
E poi c’è stato il Giro Next Gen

Lì siamo stati un po’ sfortunati. Abbiamo perso il nostro capitano e ci siamo dovuti reinventare il Giro. Fortunatamente all’ultima tappa siamo riusciti a vincere.

Sono già due anni che sei in questo team. Hai parlato di maglie di Gpm e di ultimo uomo per gli sprint: ma che corridore è Pietro Mattio?

Non lo so bene neanche io ancora. Penso di essere un corridore che tiene bene in salita e che è anche veloce per vincere gli sprint di un gruppetto. Ma sono tutto da scoprire.

Ora quali sono i tuoi programmi?

Adesso faremo un ritiro di metà stagione a Rogla, in Slovenia. Lì resterò per dieci giorni. Poi con la nazionale under 23 andrò in altura altri 25 giorni, 20 con loro e altri cinque da me,  per preparare bene il Tour de l’Avenir che ancora non so bene come correremo, anche perché bisogna vedere se ci sarà Pellizzari. Altrimenti credo che si correrà in appoggio a Pinarello o Kajamini. Io comunque farò quel che mi dirà Amadori.

Chiudiamo con una curiosità. Prima hai detto che siete una squadra sola. Ma vi è mai capitato di essere tutti insieme?

A volte. Nella festa di fine anno e in qualche altra rara occasione. Con i grandissimi ci siamo presentati, sono davvero tranquilli, semplici. Ho scambiato qualche parola in più con Sepp Kuss, ma devo dire che sono tutti simpatici.

Il Tour di Miguel Soro, l’artista che reinterpreta i campioni

03.07.2024
6 min
Salva

RICCIONE – Spesso scriviamo delle pennellate che i campioni lasciano sulle strade del ciclismo. C’è chi però questa missione l’ha presa sul serio e, dopo aver svestito i panni di corridore professionista, il pennello l’ha impugnato per davvero e ha cominciato a mettere quelle emozioni su tela. Tra i tanti personaggi che la storica Grand Depart italiana ci sta dando l’opportunità di incontrare, oggi vi presentiamo Miguel Soro Garcia. Spagnolo, classe 1976, tre anni da pro’ tra il 2001 e il 2003, anticamera dell’incredibile carriera artistica attuale.

«Ho corso per due anni in una squadra portoghese, la Matesica e poi ho finito nella toscana Miche, per cui a Firenze mi sento a casa», comincia a raccontare in un ottimo italiano, accompagnato dalla moglie Patricia e dalla curiosissima figlia Alejandra. «Ero un velocista, ogni tanto riuscivo a vincere qualche volata e ricordo che sprintavo con rivali come il vostro Traversoni o il portoghese Candido Barbosa».

Poi, scava ancora nel cassetto dei ricordi e aggiunge: «In pratica, ho fatto il corridore dal 1985 al 2003. I momenti più belli, che porto nel cuore, sono quelli nelle categorie giovanili. Nel 1994, ho corso i mondiali in Ecuador con la maglia della Nazionale e quello è stato il primo titolo juniores della storia spagnola grazie al successo del mio compagno Miguel Morras».

Dalle biciclette ai dipinti

Dalle biciclette ai dipinti, il passaggio è stato davvero poetico: «C’è un momento in cui ti accorgi che devi cambiare vita e a me è successo così quando mi sono accorto che stava finendo la carriera ciclistica. La pittura, in realtà, era un qualcosa di innato perché a Xàtiva (piccola località della Comunità Valenciana, ndr) è tradizione. Correre è quasi sempre stato un hobby, perché quando potevo scappavo a dipingere all’aperto. Ho cominciato coi paesaggi poi, subito dopo che ho smesso, sono passato ai ritratti dei ciclisti».

La Grand Depart è stato un bel tour de force per l’artista spagnolo, che giovedì mattina era a Ponte a Ema, al Museo Bartali (dove è possibile vedere 8 opere dedicate al mito toscano fino a fine agosto). Nel pomeriggio invece si è spostato nel cuore di Firenze, in piazza Santa Croce, dipingendo ancora Ginettaccio.

«I primi ritratti sono stati ispirati dal ciclismo classico, quello in bianco e nero, dove fatica ed eroicità erano all’ordine del giorno. Io provo a trasmetterla con le mie opere e, con il tempo, mi sono dedicato anche ai campioni del presente».

Il dipinto raffigurante Tadej Pogacar, completato a Bassano del Grappa durante la penultima tappa
Il dipinto raffigurante Tadej Pogacar, completato a Bassano del Grappa durante la penultima tappa

Il gusto dei dettagli

Come all’ultimo Giro d’Italia quando, durante la penultima tappa, aveva celebrato con un quadro Tadej Pogacar e la sua apoteosi rosa.

«Avevamo allestito una mostra temporanea al Garage Nardini – spiega – una distilleria storica di fine Settecento, che si trovava a pochi metri dal traguardo. Ho fatto uno studio precedente e ho recuperato un po’ di immagini del passato di quando il Giro era passato a Bassano. Compresa la vittoria di Merckx da quelle parti, oppure il ponte in rosa che era stato illuminato 100 giorni prima del via della Corsa Rosa. Oltre a dipingere il protagonista, mi diverto a fare un collage di immagini, come ritagli di giornale. In quel caso ho anche omaggiato il posto in cui ero, ovvero il Garage Nardini. Ad esempio, ho fatto finta che nella sua borraccia ci fosse il Mezzo e Mezzo, un loro liquore. E’ un po’ un gioco, chi vede la mia opera da lontano nota solo il corridore raffigurato ma poi, avvicinandosi, si perde negli svariati dettagli».

I fratelli Fausto e Serse Coppi esposti all’Hotel Gambrinus

L’autografo di Milan

Venerdì sera, l’ufficio itinerante di Soro si è spostato al Trek Store, non lontano dal Parco delle Cascine. In quest’occasione, oltre a omaggiare la Lidl-Trek con opere raffiguranti ad esempio una Elisa Longo Borghini nel velodromo di Roubaix, ha ricevuto un autografo speciale come quello dell’olimpionico Jonathan Milan, che ha firmato l’opera che raffigurava uno dei suoi trionfi al Giro d’Italia in maglia ciclamino.

«E’ stato un incontro davvero emozionante e intenso. Jonathan mi ha stupito perché ha detto che mi conosceva già – racconta Soro – dato che sei anni fa aveva ricevuto una litografia di un mio dipinto come premio durante la Vuelta Valenciana. Mi ha fatto un regalo splendido con la sua firma ed è stato bello riceverlo da uno sprinter molto più vincente di me».

Sorride Miguel, prima di chiedere una foto ricordo anche a un altro ospite speciale della serata: il Pallone d’Oro Fabio Cannavaro, grande amante della bicicletta.

Da Ganna a Pantani

Dalla Toscana alla Romagna, nella serata di sabato Miguel ci ha portato a scoprire la sua collezione permanente, custodita gelosamente nei corridoi dell’Hotel Gambrinus di Riccione. I ritratti di Fausto e Serse Coppi, il Pirata Marco Pantani e Filippo Ganna che sfreccia sul suo Bolide d’iride vestito. Quest’ultima opera non sfugge allo sguardo di alcuni ospiti speciali dell’albergo di Maria Grazia Nicoletti, ovvero i componenti delle famiglie Ganna e Sobrero, venuti a fare il tifo per il giovane talento cuneese della Red Bull-Bora-Hansgrohe: Matteo Sobrero. Una foto di gruppo e poi tutti a riposare in vista della prossima avventura.  

Il Tour d’Italia di Miguel Soro non poteva non concludersi con la partenza da Cesenatico, il paese natale del compianto Pirata. Pantani è uno dei soggetti che il pittore valenciano raffigura più spesso, trasmettendo quelle emozioni che Marco sapeva infonderci nell’animo. Il suo ritratto grintoso e arrembante in giallo resta sempre scolpito nei nostri cuori e, ora, anche su tela.