BRESCIA – A strappare la prima maglia rosa di questa edizione del Giro d’Italia Women è Elisa Longo Borghini. Le aspettative sono state rispettate, non senza qualche brivido visto il solo secondo di ritardo di Grace Brown. La Lidl-Trek piazza due atlete sul podio, dietro alle due già citate arriva l’australiana Brodie Chapman. Elisa Longo Borghini ha aspettato silenziosamente che tutte le atlete finissero la loro prova, visto che è stata una delle prime a prendere il via questa mattina. Un’attesa lunga che si scioglie in qualche lacrima di commozione a coronamento di un bel sogno che è solo all’inizio probabilmente.
«In una cronometro – ha detto la neo maglia rosa in conferenza stampa – è abbastanza difficile capire come andranno le altre. Al primo intertempo dall’ammiraglia mi avevano detto di avere undici secondi su Kopecky, che sono diventati venticinque sul traguardo. Devo dire che quando Grace Brown ha tagliato il traguardo con quel colpo di reni, ma dietro di un solo secondo, ho detto: “ok ce la posso fare”. Poi è stata una lunga attesa fino alla fine».
Elisa Longo Borghini, ha impegnato 20 minuti e 37 secondi per coprire i 15,7 chilometri odierniAl termine della prova una pedalata defaticante e poi la lunga attesaElisa Longo Borghini, ha impegnato 20 minuti e 37 secondi per coprire i 15,7 chilometri odierniAl termine della prova una pedalata defaticante e poi la lunga attesa
Finalmente la maglia rosa
Il via del Giro d’Italia Women, il primo targato RCS Sport & Events, avviene da Piazza della Loggia. Nel centro della città, a cavallo tra la storia lontana e recente di Brescia, la più grande paura per le atlete arriva dal cielo. Le nuvole grigie scaricano qualche goccia nella mattinata, durante la ricognizione, ma danno tregua nel momento in cui la corsa prende ufficialmente il via.
«Non ci si abitua mai – racconta – soprattutto se è una vittoria di questo calibro. Mai niente è scontato, devi sempre faticare per vincere. Dopo lo scorso anno questa maglia rosa sicuramente significa tanto e voglio ringraziare la mia squadra per il supporto. Ora andiamo avanti, la corsa è lunga ma abbiamo un piano per i prossimi giorni».
Alla domanda se dopo un secondo e un terzo posto questo possa essere l’anno giusto per portare la maglia rosa fino alla fine si concede un gesto di scaramanzia. «E’ un Giro lungo – analizza – che finisce a L’Aquila. Penso che sarà una bella settimana, ora non voglio pensare alla fine ma vivere giorno per giorno e fare del mio meglio ogni tappa. E’ anche bello approcciarsi ad una corsa in questa maniera perché mi permette di godermi questa benedetta maglia rosa».
Dopo due podi è finalmente l’anno giusto per Longo Borghini?Dopo la conferenza stampa l’abbraccio con la nipote che l’ha seguita oggiRiuscirà la Longo Borghini a conquistare il Giro d’Italia Women indossando la maglia tricolore?Dopo la conferenza stampa l’abbraccio con la nipote che l’ha seguita oggi
Di nuovo a cronometro
Longo Borghini si mette alle spalle la delusione di aver perso il titolo nazionale per una squalifica arrivata poco più di due settimane fa. Quella di Brescia è una cronometro che ha un sapore diverso, visto anche il solco scavato con le rivali per la classifica generale. La sconfitta di giornata è Lotte Kopecky, quinta sul traguardo, che paga 25 secondi nei 15,7 chilometri della prova odierna. Più di un secondo a chilometro.
«Da qui alla fine il cammino sarà sicuramente lungo e in salita – spiega con una risata – è vero le avversarie sono lontane. Però non bisogna mai abbassare la guardia, è un Giro d’Italia Women con tante frazioni che possono essere un tranello. Come detto la squadra qui è molto forte, per la Lidl-Trek non ci sono solamente io, ma c’è anche Gaia Realini.
Le avversarie sono lontane, prima su tutte proprio Lotte Kpecky, ma il Giro è appena iniziatoLe avversarie sono lontane, prima su tutte proprio Lotte Kpecky, ma il Giro è appena iniziato
Sguardo a Parigi
Il percorso di questa seconda metà di stagione per Longo Borghini è iniziato con il Tour de Suisse, poi i campionati nazionali a cronometro e su strada. Da lì Elisa è andata in ritiro sul San Pellegrino sotto la guida del cittì Sangalli per preparare l’appuntamento olimpico.
«Da dopo il Giro, fino a Parigi – conclude – starò a casa tranquilla ad allenarmi. E’ stata una bellissima emozione essere convocata per la terza volta alle Olimpiadi. Oggi ci tenevo a fare bene, per dimostrare che a cronometro vado forte. E che a Parigi non partirò giusto per il gusto di farlo. La convocazione è anche un segnale del buon lavoro che abbiamo fatto insieme alla squadra. Siamo partiti da lontano, con tanto tempo passato nel velodromo e su strada ad allenarsi».
FORLI’ – «Se fosse arrivato secondo – dice Maggioni – Fabio non avrebbe alzato le mani. Era un grande corridore, lui voleva vincere, era un campione. Ne ho visti pochi in corsa avere la sua lucidità e puntare dritto all’obiettivo. Lui voleva vincere e questo secondo me fa la differenza tra chi partecipa e chi punta al massimo risultato possibile. Fabio avrebbe fatto una carriera da campione, l’ho sempre detto. Era un atleta di classe, aveva questo spunto e aveva soprattutto la caparbietà nel voler arrivare all’obiettivo. E poi sarebbe stato un buon padre e un buon marito. E noi continuiamo a ricordarlo, divertendoci e provando a far divertire anche gli altri, con lo spirito che lui ci ha lasciato».
La sala si è riempita, i racconti hanno coinvolto il pubblico (foto Valentina Guardigli)La sala si è riempita, i racconti hanno coinvolto il pubblico (foto Valentina Guardigli)
Il tempo non guarisce
Forlì, sera d’estate al Grand Hotel. Annalisa Rosetti, moglie di Fabio Casartelli, ha radunato gli amici di un tempo alla vigilia della gran fondo che porta il suo nome: La Casartelli. Suona strano raccontare questa storia all’indomani della morte di André Drege al Tour of Austria, con quel senso di quasi colpa perché il tempo ha sanato queste ferite. In realtà il tempo non ha sanato un bel niente, ci ha costretto semmai alla rassegnazione.
A 29 anni di distanza il dolore resta e per questo Annalisa ha chiesto che la serata serva soprattutto a ricordare il campione olimpico di Barcellona 92 e non le immagini del Tour 1995. Invito raccolto, a costo di lasciare il Tour de France per qualche giorno. E quando in testa alla sala si ritrovano i compagni di una volta, sembra di tornare indietro nel tempo. Storie di dilettanti, di uomini che sognavano di diventare grandi, senza tutta la scienza che oggi a 18 anni li trasforma in macchine da guerra.
La medaglia d’oro di Barcellona 1992, arrivata a Forlì con i genitori di Fabio (foto Valentina Guardigli)L’album dei ricordi e dei ritagli di Annalisa: giorni felici del 1992 (foto Valentina Guardigli)La medaglia d’oro di Barcellona 1992, arrivata a Forlì con i genitori di Fabio (foto Valentina Guardigli)L’album dei ricordi e dei ritagli di Annalisa: giorni felici del 1992 (foto Valentina Guardigli)
Bulli e gentiluomini
«Non si può raccontare tutto», scherza Roberto Maggioni, campione del mondo della cronosquadre juniores nel 1986 e atleta olimpico a Seoul 1988. Ha corso con Casartelli alla Domus 87, la squadra di quel Locatelli cui a un certo punto voltò le spalle, non riconoscendosi nel suo ciclismo. Maggioni aveva circa due anni più di Casartelli.
«Se Fabio fosse stato qua questa sera – prosegue – avrebbe fatto casino come sempre, perché in vita sua ha sempre fatto casino. Ci siamo divertiti tanto, abbiamo riso tanto, abbiamo fatto un po’ di stupidate. Eravamo bulli – dice gonfiando il petto – era bello, avevamo vent’anni ed eravamo bulli e ci comportavamo da bulli. Lui è stato quello che mi ha iniziato al rito del festino al Ventolosa…».
Mamma Rosa e papà Sergio Casartelli (foto Valentina Guardigli)Mamma Rosa e papà Sergio Casartelli (foto Valentina Guardigli)
I festini del Ventolosa
Il Ventolosa era un vecchio albergo, sede del ritiro della squadra bergamasca. Locatelli lo gestiva come fosse un monastero o una casa delle penitenze, con il vecchio Jair che doveva fare la spia, ma spesso era dalla parte dei corridori o fingeva di non vedere.
«Io ero appena arrivato – prosegue Maggioni – e lì non si mangiava, avevo fame. Avevamo tutti fame, quindi quando ci trovavamo facevamo dei festini segreti in cui prendevamo dolci e quant’altro e ce li mangiavamo. Avevamo fame, quindi la prima sera che io ero in ritiro, vado nella camera che Fabio divideva con Fagnini. Erano una coppia indissolubile e gli chiedo quando si sarebbe fatto il festino. E lui mi risponde: “Stai calmo Maggio, stai calmo. Siediti lì. Ogni cosa ha il suo tempo”.
«Mi siedo, lui chiama gli altri e lo vedo prendere il cacciavite e una sedia. Si avvicina alla finestra, sale sulla sedia. Io non capisco: cosa sta facendo? E lo vedo che smonta il cassone della tapparella, lo apre e dentro è pieno di roba da mangiare. Il tempo che arrivassero tutti e finalmente ho capito cosa fosse il festino».
Maggioni, Peron, Gualdi e Consonni, quattro campioni del mondo (foto Valentina Guardigli)Maggioni, Peron, Gualdi e Consonni, quattro campioni del mondo (foto Valentina Guardigli)
Trenta paste per la vittoria
La magrezza a tutti i costi, che negli anni successivi produsse persino qualche caso di anoressia, ma che fra quei ragazzi del 68-70 si combatteva con la sfrontatezza della trasgressione.
«Quell’anno – prosegue Maggioni – Fabio vince la corsa di Diano Marina. Io attacco, ma mi prendono all’ultimo chilometro. Lancio una volata lunghissima, parte lui, imperiale, e vince. Si va al bar di nascosto, per festeggiare. Sopra al bancone c’era un vassoio con delle mattonelle così, che se ne mangio una adesso, ci vogliono 4 giorni per digerirla. Chiede al barista di darcele tutte e 30. “No no – dice il tipo del bar – quelle sono pesanti per voi che siete atleti”.
«Lo stesso ci dà questo vassoio, noi eravamo in 7-8 e le abbiamo spianate in due secondi. Il tipo ci guardava allibito, ma noi eravamo bulli (ride, ndr) e allora per esagerare, Fabio chiese altre quattro brioche. Erano le nostre scorribande quando eravamo insieme. Questa serata ricorda molto la bellezza di Fabio e il suo stile».
Conti, Fontanelli, Simoni e Perona (foto Valentina Guardigli)Conti, Fontanelli, Simoni e Perona (foto Valentina Guardigli)
Arrivo alla Motorola
I racconti si susseguono. Ci sono Mauro Consonni, campione del mondo. C’è Andrea Peron, campione del mondo e argento olimpico. C’è Mirko Gualdi, campione del mondo e azzurro alle Olimpiadi di Barcellona, mentre Casartelli e Rebellin non ci sono più.
«A parte Fondriest che era andato per primo alla Panasonic nel 1988 – racconta Peron – con Fabio fummo i primi ad andare alla Motorola, una squadra americana. Io a differenza sua parlavo un po’ di inglese, lui prometteva che avrebbe studiato, ma intanto non cominciava mai. Jim Ochowitz, il manager, faceva leva su di me perché lo spingessi. Al primo ritiro gli parlava chiedendogli delle cose e Fabio non andava oltre rispondergli sì o no, qualunque fosse la domanda. Poi qualcosa imparò, ma ricordo che se in squadra volevamo sapere qualcosa sugli avversari e sulla corsa, dovevamo parlare con lui. Dopo pochi chilometri di gara, sapeva tutto di tutte le squadre». Si faceva capire in inglese, francese, spagnolo e sospetto anche in tedesco…».
Per Annalisa e Marco, un’immersione nell’affetto per il loro Fabio (foto Valentina Guardigli)Per Annalisa e Marco, un’immersione nell’affetto per il loro Fabio (foto Valentina Guardigli)
La dieta dissociata
«Eravamo insieme per un mese prima delle Olimpiadi – racconta Gualdi – c’era Fabio e c’era Rebellin. Loro due erano in una doppia e io ero da solo. Al pomeriggio andavo in camera loro e stavo lì. Davide era sempre in palestra, faceva gli addominali e lo stretching. Io mai e Fabio nemmeno. Così facevamo scherzi. Un giorno il massaggiatore viene tutto preoccupato che sua figlia va per la prima volta in vacanza col moroso. E noi per prenderlo in giro iniziamo a dirgli che diventerà nonno. Finisce lì, con lui che fa gli scongiuri. Facciamo le Olimpiadi, Fabio le vince e a settembre ci ritroviamo con quel massaggiatore. Che ci punta il dito e dice che siamo due poco di buono. E quando gli chiediamo perché, risponde che presto diventerà nonno. Noi scherzavamo, era quello lo spirito che c’era.
«Come ricordo che a quel tempo si faceva la dieta dissociata. E quando tre giorni prima della gara completavi lo svuotamento dei carboidrati, non andavi avanti. Ricordo che tre giorni prima di vincere i mondiali in Giappone nel 1990, il mercoledì non riuscivo a tornare in hotel, anche se mancavano solo tre chilometri. E Fabio, che non l’aveva mai fatta, tre giorni prima delle Olimpiadi era in crisi nera. Non aveva forze e passai delle ore a rassicurarlo, dicendo che avrebbe funzionato. E alla fine andò bene…».
Questo sorriso resterà per sempre nei cuori di chi ha amato Fabio (foto Valentina Guardigli)Questo sorriso resterà per sempre nei cuori di chi ha amato Fabio (foto Valentina Guardigli)
La medaglia d’oro
I momenti si succedono. Mauro Consonni racconta di quando in inverno andavano insieme in baita per mangiare… sano. Ci sono il racconto di Marcello Siboni e poi quello di Roberto Conti, che accolse Casartelli neoprofessionista all’Ariostea, apprezzandone l’umiltà. Le parole di Fabiano Fontanelli e Davide Perona, che corsero con lui alla ZG Mobili.
Le immagini della vittoria di Barcellona toccano dentro, con Fabio, Dekker e Ozols che alzano le braccia all’unisono. Quelle condivise da Marco Casartelli in cui suo papà lo tiene in braccio – 3 mesi lui, 25 anni Fabio – fanno male per quanto sono dolci. Si potrebbe andare avanti per ore, con quel senso di amarcord cui Fabio non si sarebbe sottratto. Nella hall dell’hotel ci sono i cimeli delle Olimpiadi. La Colnago rossa, con quei pignoncini dietro da chiedersi come facessero. La medaglia d’oro. La maglia celeste, in quella prima variazione rispetto al solito azzurro, per il grande caldo. Ci sono le foto giù dalla bici. C’è quello che Annalisa ha avuto il coraggio di cercare dentro cassetti che non apriva da anni e che là dentro non dovranno tornare mai più. Forse serviva questo choc per ripartire, con il senso di colpa di essere fortunati che tanto tempo sia passato e Marco ricordi il suo babbo come una goccia d’acqua. Fabio in qualche modo sarà con noi per sempre. In altre case, in questo momento, tanta leggerezza non è possibile. Questa serata, a pensarci bene, è anche per loro.
“Quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita”. E’ un verso di Paolo Conte dedicato a Bartali, ma potrebbe benissimo adattarsi anche a Raphael Geminiani, che ci ha lasciato alle soglie del secolo di vita. In lui convivevano due anime: quella delle origini romagnole derivate dal padre Giovanni, emigrato in Francia, a Clermont Ferrand nel 1924 lasciando il suo negozio di biciclette a Lugo di Romagna per non sottostare al giogo fascista (Raphael parlava perfettamente il dialetto romagnolo, mentre faceva più fatica con l’italiano). L’altra era quella fieramente francese, quasi pugnace, fumantina, come un eroe dei romanzi di Rostand.
Raphael Geminiani era nato il 12 giugno 1925. Ha vinto 19 corse, laureandosi campione di Francia nel 1953Raphael Geminiani era nato il 12 giugno 1925. Ha vinto 19 corse, laureandosi campione di Francia nel 1953
La litigata con Robic
Ne sapeva qualcosa Robic, uno dei grandi rivali che hanno attraversato la sua epopea. Al Tour del 1952 Geminiani era suo compagno di squadra. Verso Namur l’ordine era proteggere la maglia gialla di Nello Lauredi, ma lui tirava e tirava, Robic faticava e diceva di essere in crisi. Solo che quando è scattato Coppi, proprio Robic gli è andato dietro.
Tornati in hotel, Raphael sentì il compagno esprimersi in maniera non proprio lusinghiera nei suoi confronti: «Non volevo fare come quel coglione di Gem che lavorava per uno che era alla frutta…». Salito in camera, Robic trovò davanti a sé un Gem furibondo, che gli ficcò la testa nella tazza del water…
Al Tour Geminiani fu 2° nel ’51 e 3° nel ’58, perdendo per la rivalità dei suoi connazionali (foto Flickr)Al Tour Geminiani fu 2° nel ’51 e 3° nel ’58, perdendo per la rivalità dei suoi connazionali (foto Flickr)
Il lusso “assaggiato” alla Bianchi
Geminiani, soprannominato “Le Grand Fucil” per il suo fisico alto e allampanato proprio come la canna di un fucile era uno che in salita andava forte nonostante si portasse addosso non poco peso, ma questo limitava il suo raggio d’azione e Raphael fu lesto a comprenderlo. Non era un capitano, poteva essere un vincente, sicuramente era un luogotenente di lusso e infatti i big se lo contendevano. Coppi lo volle con sé alla Bianchi, con cui condivise il trionfale Giro del 1952.
«Alla Bianchi si viveva nel lusso – raccontò qualche anno fa su L’Equipe – ti massaggiavano le gambe con acqua di colonia, io ero abituato a passarci l’alcol quando andava bene… Fausto era mio grande amico, ma anche con Bartali andavo d’accordo. Un giorno mi disse che avevo sbagliato: se fossi passato con lui alla Legnano, lui avrebbe “distratto” Coppi e mi avrebbe fatto vincere quello stesso Giro. Chissà se aveva ragione…».
Alla Bianchi il transalpino accompagnò Coppi alla conquista del Giro 1952, vincendo la classifica degli scalatoriAlla Bianchi il transalpino accompagnò Coppi alla conquista del Giro 1952, vincendo la classifica degli scalatori
La ricerca degli sponsor
Naso grosso e cervello fino, si dice. Geminiani era molto moderno. Intuì ad esempio che l’epopea del ciclismo meritava di essere sfruttata anche dal punto di vista economico, ma si poteva fare solo coinvolgendo realtà diverse, elevando la sua popolarità: «Non potrò mai dimenticare il Tour del 1947, la folla di gente a Parigi. Capii in quel mentre che davvero la guerra era qualcosa che ci eravamo messi alle spalle». Questa popolarità, Geminiani la spese andando a cercare sponsor al di fuori del territorio prettamente ciclistico: la Saint Raphael Geminiani Dunlop del 1954 fu uno dei primissimi esempi di team con uno sponsor non appartenente al mondo delle due ruote.
Questa sua saggezza seppe spenderla anche quando chiuse la sua carriera: per molti anni è stato apprezzato direttore sportivo, con scelte mai casuali. Ebbe a che fare da dirigente con Anquetil avversario dei suoi ultimi anni da corridore ma negli anni Settanta portò alla Fiat France anche un Merckx pronto a sparare le sue ultime cartucce. Investì su Stephen Roche incantato dal suo clamoroso anno della tripletta Giro-Tour-mondiale. Infine capì prima di altri il grande patrimonio dato dal ciclismo colombiano, dirigendo Herrera e Parra, primi campioni di una lunga serie.
Con Anquetil e Gaul. Dopo il 1960 Geminiani fu il diesse dello stesso Anquetil in molti suoi trionfi (foto L’Equipe)Con Anquetil e Gaul. Dopo il 1960 Geminiani fu il diesse dello stesso Anquetil in molti suoi trionfi (foto L’Equipe)
Testimone del dramma di Coppi
Con Geminiani se ne va anche il testimone diretto della scomparsa di Fausto Coppi e in fin dei conti, quel dramma è legato anche a questa sua lungimiranza. Il francese infatti aveva capito che c’era possibilità di monetizzare la grande popolarità ottenuta andando alla ricerca di nuovi contesti (una politica che l’Uci ha sposato negli ultimi anni, lui l’aveva capito molto prima). Raccoglieva lauti ingaggi per criterium da correre in Africa, dove a fronte di assegni cospicui e un impegno sportivo molto relativo c’era anche la possibilità di farsi una bella vacanza tutta spesata.
Nel 1959 coinvolse anche il suo amico Fausto Coppi: «Bobet non può venire, ti va di venire con me in Alto Volta?”. Una delle ultime notti, le zanzare invasero la loro stanzae li punsero a ripetizione. Tornati a casa, Geminiani chiamò Fausto col quale era in trattativa per portare corridori da affiancare a Bahamontes: «Sai, Gem, da quando sono tornato non sto molto bene». «Neanch’io». Stessa camera, stesse zanzare, stessa malaria, cure diverse: la sua fortuna fu che le sue analisi, portate all’istituto Pasteur di Parigi evidenziarono la malattia, la cura di chinino lo salvò a un passo dalla morte, quel passo che l’Airone non riuscì a compiere, curato con antibiotici assolutamente inutili.
Al passaggio del Tour da Lugo di Romagna gli era stato dedicato uno speciale striscione Al passaggio del Tour da Lugo di Romagna gli era stato dedicato uno speciale striscione
Il ciclismo che non c’è più
Geminiani era il più anziano detentore della maglia rosa, indossata per 3 giorni nel 1955, ma soprattutto era uno degli ultimi testimoni di un ciclismo che sapeva d’avventura, di passaparola, di imprese epiche. Delle quali, se eri fortunato, restava qualche foto sbiadita dallo scorrere del tempo. Qualcosa che, nell’era del ciclismo tecnologico fatto di radioline e rigide tabelle d’allenamento, di informazioni che ti arrivano nello spazio di microsecondi, è anche difficile da immaginare per chi non c’era…
Conquistata Torino, Biniam Girmay alza per la seconda volta le braccia al cielo e questa volta anche la bici. Il traguardo di Colombey les Deux Eglises è fradicio di pioggia e sul rettilineo in leggera salita il corridore eritreo è stato più freddo e potente di Jasper Philipsen, partito prima e poi rimontato. Alle loro spalle, Arnaud De Lie avrebbe avuto forse le gambe per passarli, ma ha dovuto smettere di pedalare.
Un giorno bastardo
E’ un giorno bastardo, con la notizia della morte di André Drege arrivata dal Tour of Austria a raggelare la voglia di raccontare. Come lo scorso anno con Mader al Tour de Suisse, come ogni volta che succede e uno di questi ragazzi paga con la vita il suo sogno di corridore. Non conoscevamo Drege, della caduta si sa che è avvenuta in una discesa e poco altro. Ripensando alla picchiata di Tadej Pogacar martedì giù dal Galibier, ci rendiamo conto che una mano invisibile li protegge dal male, ma può capitare che a volte non basti. Giusto ieri a Forlì un gruppo di amici si è radunato per ricordare Fabio Casartelli, che in quel maledetto Tour del 1995 aveva l’età di Drege oggi, in questo ripetersi doloroso e sfiancante delle stesse parole.
André Drege, 25 anni, è scomparso al Tour of Austria. Qui vince il Tour of Rhodes a inizio stagioneAndré Drege, 25 anni, è scomparso al Tour of Austria. Qui vince il Tour of Rhodes a inizio stagione
In fuga con Drege
Biniam Girmay alza per la seconda volta le braccia al cielo, ma la tappa di oggi si è svolta nel segno di un altro norvegese, Jonas Abrahamsen, 28 anni, rimasto in fuga per 170 chilometri, prima che il gruppo si ricordasse che c’era da celebrare un’altra volata. Per cui, quando il corridore del Team Uno X Mobility è passato sul traguardo a 1’55” dal vincitore, la sua maglia pois aveva poco da raccontare, se non la stanchezza e un mesto sorriso.
Sono così pochi i corridori norvegesi, che forse la sera della fuga più lunga si trasformerà in un lento mal di testa. Al campionato nazionale, i due hanno pedalato insieme nel finale, arrivando in coppia al traguardo, con 1’04” di distacco dal vincitore.
Girmay ha aspettato che partisse Philipsen e poi lo ha rimontatoPer la Intermarché-Wanty una doppietta che dà tanto moraleGirmay ha aspettato che partisse Philipsen e poi lo ha rimontatoPer la Intermarché-Wanty una doppietta che dà tanto morale
Uno scalatore di 78 chili
Eppure la sua storia merita un racconto, per portare via la mente dalla tragedia, di cui si sa ancora troppo poco e avvenuta a quasi 900 chilometri da questo scorcio così verde di Francia. Quando è salito sul palco per essere premiato con la maglia degli scalatori, come gli succede dall’inizio del Tour, è parso ancora una volta insolito che quel primato sia stato consegnato a un corridore alto 1,83 per 78 chili.
Non è scritto da nessuna parte che il re degli scalatori debba essere sottile come Froome, ma di certo ha raramente questa fisicità. E’ vero che le grandi salite siano ancora lontane da venire e che le tante fughe gli permettono di raggranellare punti, ma la sua storia merita ugualmente un racconto.
Abrahamsen ha 28 anni, pesa 78 chili ed è alto 1,83. oggi è stato in fuga per 170 chilometriAbrahamsen ha 28 anni, pesa 78 chili ed è alto 1,83. oggi è stato in fuga per 170 chilometri
I disturbi alimentari
Quando era under 23 infatti, Jonas Abrahamsen era ossessionato dall’essere il più leggero possibile. Non era una fissazione troppo rara, anche se negli ultimi anni le teorie sulla nutrizione hanno riscritto la storia. Ci si attaccava al rapporto fra potenza e peso e si pensava che il modo migliore per essere performanti fosse essere il più magri possibile. Abbiamo parlato a lungo dei disordini alimentari generati da questa convinzione e così è accaduto per il norvegese. A un certo punto il suo peso è sceso a 60 chili ed è stata l’inizio del problema.
«Quando ho iniziato a correre – ha raccontato – essere magri era molto popolare. Tutti i corridori che ammiravo lo erano. Ho sempre sperato di arrivare a 60 chili, ma era difficile tenere quel peso, soprattutto perché avevo sempre fame e poi soprattutto non riuscivo a spingere. Mi sentivo come se non avessi fatto i progressi in cui avevo sempre sperato. Essere leggero non significava andare forte in salita e così ho cominciato a riprendere peso. Ho scoperto che i muscoli funzionano meglio se ricevono carburante. Così ho preso 20 chili, poi lentamente mi sono messo in equilibrio e adesso ne ho 18 in più».
La maglia gialla e i castelli, la Francia è una serie ininterrotta di cartolineLa maglia gialla e i castelli, la Francia è una serie ininterrotta di cartoline
L’intervento del nutrizionista
Ha raccontato in una trasmissione televisiva norvegese, che mostrò alcune sue foto nudo sulla bicicletta, che l’eccesso di magrezza aveva portato via il desiderio sessuale. Al contrario, una volta tornato a mangiare, il suo corpo ha iniziato a convivere una una pubertà tardiva, che lo ha portato a crescere di 5-6 centimetri e all’iniziare a farsi la barba. Ovviamente non si è trattato soltanto di mangiare di più, quei 18 chili non sono fatti di fritti e birra, ma sono stati riguadagnati grazie alla collaborazione con James Moran, il nutrizionista della squadra.
«E’ pazzesco – ammette il corridore – la mia plicometria è fondamentalmente la stessa, ma i miei muscoli sono aumentati di 20 chili. Ora mangio in modo normale e il mio corpo reagisce molto bene».
Abrahamsen indossa la maglia a pois sin dal primo giorno del TourAbrahamsen indossa la maglia a pois sin dal primo giorno del Tour
Bilancia addio
Le sue ammissioni in Norvegia hanno provocato una serie di reazioni e fatto capire che dietro la difficoltà di sconfiggere i disturbi alimentari c’è soprattutto la vergogna di affrontarli.
«Penso che sia molto importante – ha detto Abrahnsen a The Cycling Podcast – che i giovani ciclisti mangino abbastanza. Ho pesato a lungo ogni cosa che mangiavo, ma ora mangio ciò di cui il mio corpo ha bisogno. E in modo davvero sorprendente vado più forte in salita ora di quando pesavo 60 chili».
La maglia a pois è ancora sua e magari rimarrà tale fino ai giorni sui Pirenei. A quel punto gli scalatori di 60 chili prenderanno il sopravvento e lui si farà una risata. Quel peso per lui non era naturale, averlo capito in tempo gli ha salvato la carriera.
Vinto il Giro dei pro' e quello degli U23, la Jumbo-Visma è al Tour. Come si lavora con il team olandese? Lo abbiamo chiesto a Nimbl che fa le loro scarpe
Da qui sono passati fior fior di campioni e da qui tanti altri ne vedremo, a cominciare dal prossimo 17 luglio. In Valle d’Aosta (e non solo) assisteremo a corse combattute dalla creme delle creme del dilettantismo mondiale. Anche se forse parlare di dilettantismo al giorno d’oggi non è neanche più troppo corretto.
Tra i nomi più in voga quello di Golliker, che lo scorso anno vinse la seconda frazione. Si parte dalla sua FranciaTra i nomi più in voga quello di Golliker, che lo scorso anno vinse la seconda frazione. Si parte dalla sua Francia
Due “sconfinamenti”
Con patron Riccardo Moret, entriamo dunque nel cuore del Giro Ciclistico Internazionale della Valle d’Aosta – Mont Blanc. S’inizia il 17 luglio, come detto, e si termina il 21. Ad organizzare il tutto è la storica Società Ciclistica Valdostana.
«Edizione 60: direi che è un traguardo importante – inizia Moret – e ne siamo orgogliosi. Quest’anno, anche per rinforzare il tocco d’internazionalità, torniamo in Francia. Nel 2023 in quegli stessi giorni dall’altra parte del Monte Bianco c’era il Tour de France e non era il caso di gravare ulteriormente su quel territorio. Stavolta invece ci partiremo e lo faremo con la Saint Gervais Mont Blanc – Passy Plaine. E’ una tappa particolare, molto breve, ma che lascerà subito il segno, grazie ai suoi 12 chilometri di salita finale che porta a 1.300 metri di quota. E sono proprio le strade del Tour. Pensate che siamo stati là a fare un sopralluogo e ci sono ancora le scritte sulle strade dedicate ai campioni».
Un altro must del Valle d’Aosta che ritorna è lo sconfinamento in Piemonte. «Con la seconda tappa si andrà prima nella zona del Biellese e poi in quella del Canavese, dall’altra parte della Dora. Sarà un grande saliscendi. Queste sono le strade che ha toccato il Giro d’Italia e anche il Gran Piemonte qualche settimana prima del Giro, dove si era imposto Bettiol».
1ª tappa: 40 km e 1.150 metri di dislivello2ª tappa: 127 km e 1700 metri di dislivello3ª tappa: 129 km e 3.000 metri di dislivello4ª tappa: 163 km e 3.800 metri di dislivello5 tappa: 95 km e 2.950 metri di dislivello1ª tappa: 40 km e 1.150 metri di dislivello2ª tappa: 127 km e 1700 metri di dislivello3ª tappa: 129 km e 3.000 metri di dislivello4ª tappa: 163 km e 3.800 metri di dislivello5 tappa: 95 km e 2.950 metri di dislivello
In Valle d’Aosta
Ecco dunque che torna protagonista la Valle d’Aosta con le ultime tre frazioni: le più dure e le più caratteristiche.
Davvero interessante è la frazione che porta a Prè Saint Didier. Un arrivo in discesa preceduto dalle scalate di Verrogne, prime, e del San Carlo poi. «Salite che – ricorda Moret – videro protagonista Carapaz nel 2019. in pratica gli ultimi 60 chilometri sono identici. Ci tengo a far notare che con questo arrivo in qualche modo circondiamo il Monte Bianco. Alla prima tappa siamo arrivati in un versante, adesso in un altro.
«La quarta tappa è il tappone per me. Se non altro per la distanza, oltre 160 chilometri e tante salite dure: Tsecore, Col de Joux e poi l’arrivo in quota a Champoluc, a 1.600 metri. Gli ultimi 40 chilometri sono infernali».
C’è poi la quinta frazione che potrebbe rimettere tutto in discussione e cioè quella, classica ormai, che porta la carovana a Cervinia con la scalata del Saint Pantaleon in precedenza.
Come sempre si toccheranno luoghi di grande pregio storico-naturalistico. Ecco, il Castello di SarreCome sempre si toccheranno luoghi di grande pregio storico-naturalistico. Ecco, il Castello di Sarre
Le ultime…
Rispetto alla scorso anno si battono località più note. Moret spiega che è stata una scelta legata anche alla richiesta dei territori. Nel 2023 si toccarono punti della Valle davvero selvaggi, ricordiamo per esempio Clavalitè: poco noto, ma di una bellezza strabiliante. La bellezza comunque non mancherà neanche stavolta.
Anche i recenti eventi meteorologici hanno creato non pochi problemi ai valdostani. Basta ricordare quel che è successo a Cogne. «Per fortuna – assicura Moret – le strade che interessano il prossimo Giro della Valle d’Aosta non sono state toccate. Ci sono stati problemi solo a Cervinia, ma ho visto che sono sulla buona strada per rimettere in sesto la zona d’arrivo, coinvolta dall’inondazione del torrente Marmora».
Anche quest’anno non mancheranno la diretta streaming e le spettacolari immagini con il droneAnche quest’anno non mancheranno la diretta streaming e le spettacolari immagini con il drone
Parterre super
E poi ci sono loro, i protagonisti. Quest’anno l’elenco degli iscritti “scotta”! Vedremo tappe davvero tirate e con grandi corridori. Tanto per rendere l’idea: ci sono sei atleti della top 10 del Giro Next. E questa qualità è figlia di una valanga di richieste: 59 a pronte di 28 team partecipanti.
«La selezione – racconta Alberto Vigonesi, che segue la parte mediatica e quest’anno anche tecnica del Giro della Valle d’Aosta – l’abbiamo già fatta verso gennaio, in modo da dare alle squadre tempo e modo di organizzarsi. Sono arrivate quasi sessanta di richieste. Capite bene che abbiamo dovuto… andarci giù con l’accetta.
«Ci sono tutte le migliori squadre under 23 o continental, tranne la Visma – Lease a Bike, la Decathlon e la Trek, che in effetti ha un team estremamente giovane. Pertanto possiamo annunciare che ci sarà Jarno Widar, il re del Giro Next Gen che vuole fare la doppietta. Quella doppietta che in tempi recenti è riuscita solo a Pavel Sivakov nel 2018».
Tra i big stranieri la Alpecin-Deceuninck dovrebbe portare sia Del Grosso che Verstrynge per la classifica. La Groupama-Fdj Continental, orfana dell’infortunato Brieuc Rolland, punterà forte su Golliker. UAE Emirates Gen Z con Torres e Glivar.
Sarà presente con la maglia della nazionale, anche il campione italiano Edoardo ZamperiniSarà presente con la maglia della nazionale, anche il campione italiano Edoardo Zamperini
Tanta Italia
«Abbiamo aumentato un po’ lo spazio per i team italiani, visto che quest’anno compiamo 60 edizioni ci sembrava giusto così», ha detto Vigonesi.
Al via ci sarà anche la nazionale azzurra di Marino Amadori che in Valle farà le prove in vista dell’Avenir. Avenir che non vedrà la presenza di Pellizzari.
«La lista di Amadori è arrivata proprio pochi giorno fa – va avanti Vigonesi – ci sarà il campione italiano, Zamperini, e con lui anche Roganti e Agostinacchio. Mentre passando ai tema, la Polti-Kometa si presenta Bagnara leader e la MBH Bank-Colpack conKajamini e Novak. E infine c’è la VF Bardiani che tra i nomi più in vista schiererà Pinarello e Scalco».
Con i 15,7 chilometri contro il tempo, scatta domani da Brescia il Giro d’Italia Women targato Rcs Sport. Dalla Lombardia all’Abruzzo, si snoderà un percorso, a detta di atleti e tecnici, dalla durezza crescente dalla prima all’ottava ed ultima tappa. A parte la crono iniziale ed un paio di occasioni per velociste, il terreno per attaccare o cercare gloria personale non mancherà.
Ma dove si deciderà il Giro Women? Chi punta alla maglia rosa finale de L’Aquila dovrà fare i conti con tanti metri di dislivello e noi abbiamo fatto un rapido sondaggio tra diversi diesse per capire il loro pensiero. Le risposte sembrano univoche indicando nel Blockhaus il giudice supremo della corsa, però per qualcuno ci possono essere dei punti di svolta alternativi da non sottovalutare. Ecco cosa ci hanno detto.
Il Giro Women avrà un totale di 876,7 chilometri per un dislivello complessivo di 11.950 metri. Si parte con una crono individuale molto tecnicaTappa 2, occasione per le velociste. Il finale ondulato in circuito non dovrebbe creare troppo scompiglioTappa 3, primo arrivo in salita. L’ascesa verso Toano misura 12,5 km al 5% medio, ma potrebbe restare indigesto a qualche atletaTappa 4, terreno per attaccanti. I 1500 metri di dislivello sono concentrati negli ultimi 50 chilometri di gara, serviranno attenzione e condizioneTappa 5, rivincita per le sprinter o spazio alla fuga? Potrebbe essere una giornata di relativa calma Tappa 6, altimetria da classica. La frazione più lunga nasconde insidie e può stimolare la fantasia di tante atleteTappa 7, indicata come quella decisiva. Davanti al doppio Blockhaus (Cima Alfonsina Strada) le big che puntano alla vittoria finale non possono più nascondersiTappa 8, ultime fatiche da gestire. Il gran finale che porta a L’Aquila può servire per rimediare, stravolgere o confermare la generaleIl Giro Women avrà un totale di 876,7 chilometri per un dislivello complessivo di 11.950 metri. Si parte con una crono individuale molto tecnicaTappa 2, occasione per le velociste. Il finale ondulato in circuito non dovrebbe creare troppo scompiglioTappa 3, primo arrivo in salita. L’ascesa verso Toano misura 12,5 km al 5% medio, ma potrebbe restare indigesto a qualche atletaTappa 4, terreno per attaccanti. I 1500 metri di dislivello sono concentrati negli ultimi 50 chilometri di gara, serviranno attenzione e condizioneTappa 5, rivincita per le sprinter o spazio alla fuga? Potrebbe essere una giornata di relativa calma Tappa 6, altimetria da classica. La frazione più lunga nasconde insidie e può stimolare la fantasia di tante atleteTappa 7, indicata come quella decisiva. Davanti al doppio Blockhaus (Cima Alfonsina Strada) le big che puntano alla vittoria finale non possono più nascondersiTappa 8, ultime fatiche da gestire. Il gran finale che porta a L’Aquila può servire per rimediare, stravolgere o confermare la generale
L’istantanea di Zini
Il primo a dare il proprio parere è Walter Zini, team manager della Bepink-Bongioanni, formazione sempre pronta ad animare le tappe e che cercherà di mettere in mostra i migliori talenti. Per il tecnico milanese non sarà solo la settima frazione l’ago della bilancia.
«Sicuramente la tappa del Blockhaus – analizza – sarà importante perché ha 3.600 metri di dislivello, ma credo che, un pezzetto oggi e un pezzetto domani, è facile che si possano già vedere delle differenze tra le donne di classifica nei giorni precedenti. Da lì si capirà chi non vincerà il Giro, così come penso che l’ultimo giorno potrebbero esserci delle “cotte”. In ogni caso bisognerà vedere chi sarà al via e di conseguenza capire che tattiche adotteranno le squadre più attrezzate.»
Per Zini le differenze dei valori in campo si vedranno anche nelle tappe intermedie prima delle ultime due tappe di alta montagnaPer Zini le differenze dei valori in campo si vedranno anche nelle tappe intermedie prima delle ultime due tappe di alta montagna
Visto da Lacquaniti
Anche Fortunato Lacquaniti, diesse della Ceratizit-WNT che quest’anno è sbarcata nel WorldTour, è dello stesso avviso, seppur con un spunto di discussione ulteriore. Per stessa ammissione del tecnico veneto, il team tedesco, che finora ha conquistato undici vittorie (le ultime tre al Thuringen Tour con Martina Fidanza e Alonso), al Giro vorrà incrementare il bottino puntando più ai successi parziali che alla generale.
«La doppia scalata Passo Lanciano-Blockhaus – spiega – sarà l’ultimo scontro qualora ci fossero ancora i giochi in sospeso, però per me ci arriveranno con posizioni già ben delineate. Le tappe intermedie, come ad esempio il primo arrivo in salita a Toano alla terza tappa e il giorno successivo a Urbino con un finale intenso, potrebbero già creare distacchi importanti. Dalla crono di Brescia avremo subito una indicazione dei valori in gara. E’ un Giro Women ben disegnato, che tuttavia potrebbe essere difficile da interpretare per diversi motivi. Oltre a vedere gli organici delle formazioni più forti, bisognerà vedere quali saranno gli obiettivi reali. Ci saranno atlete che correranno in funzione delle Olimpiadi e quindi queste strategie di preparazione potrebbero condizionare l’andamento della corsa.»
Per Lacquaniti il Giro Women è ben disegnato, ma difficile da interpretare per diversi motivi ed alcune strategiePer Lacquaniti il Giro Women è ben disegnato, ma difficile da interpretare per diversi motivi ed alcune strategie
L’opinione di Fidanza
Sulla rilevanza del totem abruzzese nell’economia della gara si sbilanciaGiovanni Fidanza. Per il team manager della Isolmant-Premac-Vittoria – che ha lanciato verso il WorldTour proprio l’abruzzese Gaia Realini, una delle favorite alla vittoria finale – tutto si giocherà alla penultima giornata.
«La crono di Brescia – commenta l’ex pro’ della Chateau d’Ax con cui vinse una tappa al Tour e al Giro – è molto tecnica e lo strappo del Castello può essere indigesto a qualche atleta. Così come la salita di Toano al terzo giorno potrebbe creare distacchi. Tuttavia le cosiddette tappe intermedie, come quella mossa di Chieti, secondo me saranno molto controllate. E’ per questo che penso che si deciderà tutto sul Blockhaus. Per tutte sarà lo sforzo massimo, tant’è che per me l’ultima tappa de L’Aquila, che è comunque molto dura, servirà solo per limare secondi o posizioni di rincalzo nella generale. Comunque tutte dovranno correre con molta attenzione sul piano tattico.»
Giovanni Fidanza prevede molto controllo nelle tappe intermedie, Blockhaus decisivo e nessun stravolgimento nell’ultima tappaGiovanni Fidanza prevede molto controllo nelle tappe intermedie, Blockhaus decisivo e nessun stravolgimento nell’ultima tappa
La previsione di Bronzini
Ancora più sicura appare Giorgia Bronzini, diesse di una Human Powered Health che si presenta al Giro Women col morale alto per merito della vittoria nella generale di Edwards al Thuringen Tour e con l’obiettivo di curare la classifica con Malcotti.
«Vi rispondo velocemente – dice la piacentina col suo solito spirito intriso di grande conoscenza tattica – e senza troppe esitazioni. Il Blockhaus deciderà tutto. La salita è molto dura e le atlete avranno le visioni già al primo passaggio. Gli ultimi tre giorni sono impegnativi, ma tutto ruota attorno a quella tappa. Il Blockhaus penso che possa essere determinante per chi vorrà riscattare una brutta prova il giorno precedente. O viceversa possa essere la salita nella quale puoi prendere una sonora crisi che non puoi più rimediare il giorno dopo. Di certo le ragazze che puntano alla generale dovranno essere molto brave a gestire le energie, tenendo conto anche delle temperature alte che potrebbero esserci.»
Per Bronzini sarà fondamentale la gestione delle energie, ma il Giro Women sarà deciso dal BlockhausPer Bronzini sarà fondamentale la gestione delle energie, ma il Giro Women sarà deciso dal Blockhaus
Le impressioni di Busato
Sull’ammiraglia della Top Girls Fassa Bortolo restringono le contendenti ad un numero ridotto di corridori che si giocheranno tutto alla settima tappa. Se lo storico team manager Lucio Rigato è onorato di partecipare al suo ennesimo Giro femminile in trentadue anni di attività, sperando che la vincitrice sia la sua ex atleta Longo Borghini, il diesse Matteo Busato entra più nello specifico.
«Penso che la crono iniziale – afferma l’ex pro’ di Castelfranco Veneto – potrà dire chi sta bene e chi meno, ma non farà grandi distacchi. Il livello delle atlete più forti è molto alto e sanno preparare molto bene gare del genere. Il Giro è comunque duro anche nelle tappe che non tutti considerano. Ad esempio, la quarta che arriva ad Urbino ha un dislivello alto concentrato negli ultimi cinquanta chilometri. Queste tappe serviranno per fare selezione e per me alla tappa del Blockhaus ci si arriverà con la generale già definita o racchiusa a tre atlete, non di più.»
Secondo Busato la generale sarà già ristretta a tre atlete nei giorni precedenti all’arrivo del Blockhaus (foto Top Girls)Secondo Busato la generale sarà già ristretta a tre atlete nei giorni precedenti all’arrivo del Blockhaus (foto Top Girls)
Il parere in casa UAE
La nostra rapida inchiesta termina bussando alla porta della UAE Team ADQ, dove ci risponde la general manager Cherie Pridham. La squadra degli Emirati Arabi Uniti si dividerà tra la generale con Magnaldi e i successi di tappa con Persico e Consonni, ma anche per la dirigente britannica esiste solo un punto chiave.
«Credo – sintetizza – che tutto si deciderà nella Lanciano-Blockhaus, la tappa regina della corsa con le salite più impegnative e con le quote più alte. Sarà una sfida fondamentale per i corridori dal punto di vista fisico, ma anche strategico poiché la salita avrà un impatto significativo sulla classifica generale. Arrivando al penultimo giorno di gara, ci sono poche possibilità di recupero o errori tattici. I distacchi che si apriranno su queste cime saranno decisivi.»
Fra una settimana conosceremo il verdetto emesso dal Blockhaus, però anche le altre tappe di questo Giro d’Italia Women promettono battaglia e spettacolo.
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Nei giorni che hanno preceduto la partenza del Tour de France da Firenze, c’è stato un susseguirsi di conferenze e di incontri tra varie figure tecniche. Dei veri e propri confronti tra professionisti del settore a riguardo di diversi temi. Uno di quelli affrontati nel caldo di Firenze è stato sull’utilizzo delle pedivelle corte. Conferenza tenuta da Borut Fonda, consulente biomeccanico esterno di Tadej Pogacar (il UAE Team Emirates ha confermato). A questa lezione ha partecipato Alessandro Colò, biomeccanico e uno degli organizzatori del Giro della Lunigiana.
«Si è tratta di una vera e propria masterclass – racconta – sulla biomeccanica, con docente Boret Fonda, uno dei grandi fautori delle pedivelle corte. La cosa bella dell’incontro era la possibilità di intervenire e di confrontarsi. Uno dei temi sui quali ci siamo dilungati maggiormente è stato proprio quello legato all’utilizzo delle pedivelle corte».
A sinistra Alessandro Colò. A destra Borut Fonda consulente biomeccanico di Pogacar esterno al teamA sinistra Alessandro Colò. A destra Borut Fonda consulente biomeccanico di Pogacar esterno al team
Qualche novità
Tadej Pogacar nel corso delle ultime tre stagioni ha deciso di accorciare la misura delle pedivelle utilizzate. E’ passato dalle 172,5 millimetri alle 170, fino ad arrivare ora alle 165 millimetri. L’accorciamento delle pedivelle rappresenta, nel mondo del professionismo, una novità. Un’altra soluzione che è arrivata da poco è quella dell’avanzamento della sella.
«Chiaramente – replica Colò – dipende da atleta ad atleta, ma è vero. Queste sono le due novità tecniche di maggior spicco. Tra l’altro, proprio legato all’avanzamento della sella, c’è stato un bel dibattito. Negli anni passati si pensava che un avanzamento della sella potesse portare dolori e problemi alle ginocchia. E’ stato però testato che non è vero, lo stesso Fonda ci ha scherzato su dicendo che siamo stati noi italiani ad inculcare questa paura infondata. Prima di partire però vorrei fare una precisazione a proposito di Pogacar».
Questa la Colnago utilizzata da Pogacar al Tour de France, spiccano le pedivelle da 165 millimetriQuesta la Colnago utilizzata da Pogacar al Tour de France, spiccano le pedivelle da 165 millimetri
Prego, dicci pure.
Stiamo parlando di un campione e di un atleta di massimo livello. Prima di effettuare delle modifiche alla sua posizione in bici vanno fatti tanti ragionamenti. Lui, come tutti i professionisti, pedala per un totale di 35.000 chilometri all’anno. Anche la più piccola modifica può portare dei problemi o ad altri aggiustamenti.
Quindi serve tempo?
Noi abbiamo scoperto che Pogacar stesse utilizzando delle pedivelle da 165 millimetri alla Strade Bianche, suo esordio stagionale. Ma lui ha pedalato con quella misura di pedivelle per tutta la preparazione e tutto l’inverno. Come detto anche da Borda nella masterclass a Firenze, Tadej ha fatto dei test e si è trovata la quadra a 165 millimetri, complici anche dei problemi fisici che non è dato però sapere.
Questo è lo strumento che permette di misurare la potenza di coppia Questo è lo strumento che permette di misurare la potenza di coppia
Scendiamo nel dettaglio, come cambia la pedalata con delle pedivelle più corte?
Il movimento migliora, diventa più rotondo e controllato. Ma non tutti possono adoperare questa scelta, per farlo ci sono dei parametri da rispettare: predisposizione ad andare agile e una volontà di migliorare la performance. Come detto cambiare posizione in bici ad un corridore professionista è delicato, per farlo devono esserci delle esigenze chiare.
A livello di movimento cosa cambia?
Le pedivelle corte portano ad avere una minore escursione della gamba, quindi si apre meno l’anca. Di conseguenza si ha uno stess articolare inferiore.
La lunghezza delle pedivelle è regolabile, così da poter fare diversi testLa lunghezza delle pedivelle è regolabile, così da poter fare diversi test
Come si capisce se si sono avuti dei miglioramenti?
La strumentazione c’è ed è estremamente precisa. Si utilizzano degli analizzatori di coppia che calcolano come il ciclista eroga la forza sui pedali. Ne esce un grafico che dimostra come una data misura risponde rispetto ad un’altra.
Le pedivelle corte non sono quindi una soluzione adatta a tutti, e chi ne può giovare?
Sono ideali, o meglio possono portare vantaggi importanti, agli scalatori. Questi pedalano molto a lungo con potenze elevate. Pensate a Pogacar sul Galibier: 50 minuti di salita. Con le pedivelle corte puoi cercare di coordinare meglio la pedalata, garantendo uniformità e un perdita minore di potenza.
Il tutto si traduce in un grafico che riporta la coppia e l’angolo della pedivellaIl tutto si traduce in un grafico che riporta la coppia e l’angolo della pedivella
I velocisti non ne traggono vantaggio.
No. Loro hanno picchi di potenza assurdi e per tempi brevi, una volata dura 15 secondi e la forza impressa sui pedali è troppa per essere controllata. La pedalata di un velocista lanciato nello sprint non può essere gestita, è forza pura.
Anche la conformazione fisica gioca un ruolo importante?
Certo. Se un atleta ha delle gambe estremamente lunghe non potrà usare pedivelle da 165 millimetri. Immaginate Froome con delle pedivelle corte, farebbe una fatica immane. Alla base di tutto c’è una proporzione fisica. Pogacar è alto 176 centimetri, ed è passato da pedivelle lunghe 172,5 millimetri a quelle da 165 millimetri. Froome, per fare un esempio, è alto 186 centimetri, in proporzione per fare lo stesso salto dovrebbe passare da pedivelle da 175 millimetri a quelle da 170.
Il fisico gioca una parte importante, un corridore con leve lunghe non riesce a sfruttare al meglio le pedivelle troppo corteIl fisico gioca una parte importante, un corridore con leve lunghe non riesce a sfruttare al meglio le pedivelle troppo corte
Cosa vuol dire controllare meglio la pedalata?
Avere una maggiore rotondità di pedalata, questo comporta meno punti morti e una miglior distribuzione della potenza. Nella fase di risalita la forza è sempre zero, ma riducendo questa parte si pedala attivamente per maggior tempo. Il beneficio finale è anche legato ad una maggior facilità di coordinazione dello sforzo
Con due vittorie al Lotto Thuringen Ladies Tour, Martina Fidanza si è già lanciata verso il grande appuntamento olimpico di Parigi e verbo non potrebbe essere più appropriato, visto che stiamo parlando della ragazza chiamata ad avviare il trenino dell’inseguimento verso il grande sogno. La ragazza di Ponte San Pietro ha chiuso come meglio non si poteva la prima porzione di gare su strada, conquistando due sprint di seguito in un contesto molto qualificato.
Le feste del team per le sue due vittorie, che hanno restituito il sorriso dopo l’incidente di ArchibaldLe feste del team per le sue due vittorie, che hanno restituito il sorriso dopo l’incidente di Archibald
La portacolori della Ceratizit WNT ha ricevuto dalla prova tedesca una grande iniezione di fiducia non solo per i successi, ma per la gara in se stessa: «Era una corsa a tappe di sei giorni, quindi una di quelle lunghe, inferiore solo a Giro e Tour in quanto a durata. Oltretutto si è rivelata molto impegnativa perché c’era pochissima pianura. Una gara che in questo periodo della stagione è stata ideale per me che avevo già deciso a inizio anno di non prendere parte al Giro Donne per concentrarmi per un mese sul lavoro per la pista».
Al di là delle due vittorie che indicazioni hai avuto per la tua prova?
Ottime, anche perché se guardo a come sono arrivata alla corsa tedesca c’era poco di che essere allegri. Arrivavo da tre settimane di allenamento molto impegnative e sentivo le gambe molto pesanti, non avevo buone sensazioni. Non gareggiando da un mese, con il solo anticipo del campionato italiano peraltro neanche concluso, quindi sapevo che mi sarebbe mancato il ritmo gara. Non ero preoccupata, piuttosto consapevole della difficoltà che faceva parte di un cammino.
Prima della corsa tedesca, la Fidanza aveva preso parte alla prova tricolore correndo per le FF.OO.Prima della corsa tedesca, la Fidanza aveva preso parte alla prova tricolore correndo per le FF.OO.
E poi?
La prima tappa diciamo che è servita per sbloccarmi, anche mentalmente, successivamente c’erano due frazioni, quelle di Gera e di Erfurt, destinate a una volata generale e lì mi sono trovata bene, la squadra ha lavorato per me e queste due vittorie sono state un’ottima attestazione del lavoro svolto. Poi sono arrivate le frazioni più dure e alla fine ero stanca. Appena tornata ho subito iniziato con 3 giorni di lavoro su pista e ora si va avanti su quella direzione.
Tu sei parte integrante del quartetto, a meno di un mese dal vostro torneo qual è la situazione generale?
Noi abbiamo iniziato a concentrarci su Parigi sin dal rientro dalla tappa di Nations Cup in Canada, sull’onda della grande performance sostenuta lì. Con Villa abbiamo lavorato bene, compatibilmente con gli impegni che aveva ognuna di noi con il suo team siamo sempre riuscite a essere almeno in 4 in ogni sessione, svolgendo tutti i lavori previsti nonostante le difficoltà. Ora nell’ultimo mese sarà molto importante riuscire a ritrovare le sensazioni giuste, quelle da mettere in campo in gara anche se fino al turno qualificativo non avremo naturalmente test agonistici.
Il quartetto azzurro gareggerà il 6 e 7 agosto. A Martina Fidanza il compito di lanciarloIl quartetto azzurro gareggerà il 6 e 7 agosto. A Martina Fidanza il compito di lanciarlo
Il vostro cammino è stato comunque non semplice, considerando il grave infortunio di Elisa Balsamo rientrata nel gruppo proprio in extremis…
Io ho condiviso con lei le tre settimane di lavoro a Livigno e ho potuto vedere davanti ai miei occhi la sua crescita, non solo dal punto di vista fisico e della condizione di forma, ma soprattutto della consapevolezza. Ha lavorato molto duramente, con un obiettivo chiaro. Io l’ho vista molto bene e posso scommettere che a Parigi sarà la vera Elisa Balsamo.
Tu sei compagna di squadra di Katie Archibald, messa fuori gioco da un incidente domestico. Quanto perde la Gran Bretagna secondo te?
Intanto sono particolarmente addolorata per quanto è successo a Katie perché so quanto ci teneva. E’ chiaro che la squadra perde qualcosa, ma questo secondo me non cambia granché nelle gerarchie della vigilia. Conosciamo il quartetto britannico, lo abbiamo già affrontato senza di lei e resta sempre uno dei favoriti per l’oro a Parigi. Noi non dobbiamo commettere l’errore di guardare gli avversari, entrare nel gioco di chi perde e chi guadagna con un ingresso o l’altro. Dobbiamo pensare solo a noi stesse, completare il percorso soprattutto a livello tecnico per riuscire a tirare fuori il meglio. Per intenderci, dobbiamo pensare che l’assenza di Katie non cambi nulla.
Katie Archibald, messa fuori gioco da un grave incidente domestico. Doveva gareggiare in 3 specialitàKatie Archibald, messa fuori gioco da un grave incidente domestico. Doveva gareggiare in 3 specialità
Un aspetto importante del torneo olimpico sarà anche la gestione dei tempi prima e dopo ogni impegno.
Il nostro torneo, a differenza di quello maschile, sarà articolato come le altre gare, il primo giorno per qualificazioni, il secondo per primo turno e finali. Noi di solito arriviamo al velodromo molto prima, almeno due ore e iniziamo a lavorare sui rulli per fare quel lavoro necessario per sbloccare il fisico ed entrare nel ritmo gara. Poi una breve sosta e si riprende con la seconda parte, sempre sui rulli, questa tesa al vero e proprio riscaldamento. Importantissimo sarà gestire il tempo fra una gara e l’altra: ci saranno tra le 4 e le 5 ore, questo dovrebbe consentirci, seppur in tempi stretti, di tornare in albergo, mangiare e rilassarci un po’ prima di ricominciare ed è un buon vantaggio.
Martina sta dedicando tutto l’ultimo mese alla pista, con un intervallo in alturaMartina sta dedicando tutto l’ultimo mese alla pista, con un intervallo in altura
Tu sarai chiamata a un ruolo importantissimo, il lancio…
Sì, infatti stiamo lavorando molto su questo aspetto e anche sulla seconda tirata, per capire quanto potrò dare alla squadra prima di staccarmi.
Tu non sarai al Giro come le tue compagne: che cosa farai?
Sfrutterò quella settimana per tornare a Livigno e fare un po’ di altura prima di tornare e affrontare con le compagne la parte finale della preparazione. Quella sì che sarà una volata importante…
La prima tappa della Vuelta Valenciana vinta ieri da Elisa Balsamo è stata la prima corsa in cui Elisa e Arzeni sono stati avversari. Un momento particolare
Centottanta metri: è stato il distacco tra il primo e il secondo, che tradotti in 25,5 chilometri fanno una differenza di appena 0,7 per cento. La crono più che mai è la disciplina dei numeri e i numeri non tradiscono. Tutto secondo pronostico. Nonostante questo, la Nuits-Saint Georges – Gevrey Chambertin, settima tappa di questo Tour de France, è stata da mangiarsi le unghie. Da stare seduti sulla punta del divano. Ha vinto Remco Evenepoel, su Tadej Pogacar,Primoz Roglic e Jonas Vingegaard.
Ed è stata una crono da mangiarsi le unghie perché finalmente tutti i migliori sono venuti allo scontro. Viene da chiedersi se si sia corso in Francia o su Marte. I top a livelli siderali…
I quattro giganti hanno scavato un solco tra loro e il resto del mondo, guarda caso gli stessi che si giocheranno la Grande Boucle.
Remco Evenepoel (classe 2000) conquista il suo primo successo al Tour. In apertura la sua posizione perfettaRemco Evenepoel (classe 2000) conquista il suo primo successo al Tour. In apertura la sua posizione perfetta
Remco marziano
Partiamo dal vincitore. Remco Evenepoel ha ribadito, semmai ce ne fosse stato bisogno, perché è lui il campione del mondo di specialità. Aerodinamico come nessun altro, non solo ha vinto, ma ha fatto la differenza esattamente nei tratti in cui si attendeva potesse andare più forte, vale a dire quelli in pianura. Quelli in cui c’era “solo” da spingere sul filo de 60 all’ora.
Il belga aveva il 62×11. Nonostante un piccolo problema tecnico, nel finale quando Pogacar gli si era avvicinato, è riuscito a scavare ancora qualcosa.
«Oggi – ci ha riferito Giampaolo Mondini, che cura i rapporti di Specialized con i team – Remco di più proprio non poteva fare. Era un percorso molto tecnico, c’erano certe stradine strette incredibili. Magari dalla tv non si percepivano. Già solo per uscire dal paese di partenza in un chilometro c’erano 4-5 svolte tecniche. E anche la discesa era tutta una sequenza di destra-sinistra: se sbagliavi una curva perdevi tutta la ritmica e dovevi frenare. Quindi bene così: su carta Remco avrebbe potuto guadagnare massimo 25”, ne ha presi 12”. Va bene».
Nel finale, Evenepoel credeva di aver forato. «In realtà ha preso un sasso, ma con la ruota lenticolare in queste situazioni il rumore è lo stesso di una foratura. La gomma era sana, ma nel finale per paura che la sua posteriore avesse perso un po’ di pressione è stato un po’ conservativo».
«Mi sono sentito molto bene durante tutta la tappa – ha detto Evenepoel – Come l’abbiamo gestita? Abbiamo pensato più alla vittoria di tappa che ai distacchi per la classifica generale quindi direi missione è compiuta. Penso penso che Tadej è intoccabile, dopodiché c’è la gara e non si sa mai cosa può succedere in grande Giro. Da parte mia più passano le tappe e meglio mi sento. Da oggi inizieremo a pensare al podio. Penso di avere le gambe per questo».
Il “pacchetto crono” di Pogacar ha fatto netti passi in avanti. Tadej ottimo anche nella guidaIl “pacchetto crono” di Pogacar ha fatto netti passi in avanti. Tadej ottimo anche nella guida
Tadej vola anche a crono
Giuseppe Martinellilo aveva detto un paio di giorni fa: «Per me Pogacar può vincere anche la crono e se non lo farà mi aspetto distacchi molto piccoli. Lo sloveno è più forte dell’anno scorso e forse anche più del Giro d’Italia», insomma come si suol dire: passa l’angelo e dice amen.
La maglia gialla la crono non l’ha vinta, ma la cura dimagrante e aerodinamica della sua Colnago si è vista eccome. Si è vista per il risultato, per la compostezza di Tadej e anche per la sua fluidità di guida. Se si guardano gli intermedi, ha recuperato qualcosina a Remco proprio nel tratto più tecnico.
Questa dozzina di secondi persi dal campione del mondo contro il tempo, sono ripagati dalla felicità dei 25” dati a Vingegaard che ora è a 1’15”. Tour chiuso? Neanche per sogno. E Tadej lo sa…
«Sono contento di come sia andata oggi – ha detto il corridore della UAE Emirates – Ho perso contro il campione del mondo e adesso dovrò guardarlo un po’ più da vicino. Ma ho aggiunto un po’ di distacco su Jonas, Primoz e gli atri ragazzi. Davvero oggi non potevo chiedere di più. Forse ho esagerato un po’ in salita e poi ho sofferto alla fine della salita stessa. Ma è andata bene e… mi sono divertito». Mi sono divertito: solo Pogacar può dire una cosa simile dopo una crono tanto delicata!
Esperto e solido, Primoz Roglic è giunto 3° a 34″ da Remco. Ora è 4° nella generale a 1’36” da PogacarEsperto e solido, Primoz Roglic è giunto 3° a 34″ da Remco. Ora è 4° nella generale a 1’36” da Pogacar
Roglic silenzioso
E poi c’è lui, Roglic. Zitto, silenzioso. Non sai mai se scatterà o se si staccherà. Quando Vingegaard e Pogacar sin qui se le sono date, lui ha sempre faticato, al netto del fatto che alla fine dopo il Galibier a Valloire ci è arrivato benone.
Primoz, che aveva il 60×10, ha fatto un’ottima cronometro. Non a caso è il campione olimpico. Nel finale è andato alla pari con Remco. Scelta saggia, la sua, di non strafare all’inizio come gli era successo già altre volte. Ma la crono del Lussari 2023 evidentemente gli ha lasciato un bell’insegnamento e non solo un bel ricordo.
«Ha faticato – ha detto Roglic – ma ho fatto del mio meglio, quindi sono contento della prestazione. Dopo questa crono posso essere ottimista. E’ un bel segnale per me».
Anche Roglic pedala su Specialized e di nuovo Mondini ci ha detto la sua: «E’ ormai chiaro che Roglic dopo il fattaccio del 2020 abbia un approccio meno irruento con le crono: non parte fortissimo. La sua è stata un’ottima gestione. Se andiamo a vedere la stessa del Delfinato dove aveva fatto le prove».
Posizione e materiali ottimi per Vingegaard. D’ora in poi le cose dovrebbero migliorare per luiPosizione e materiali ottimi per Vingegaard. D’ora in poi le cose dovrebbero migliorare per lui
Vingegaard cova
Infine andiamo a casa del corridore della Visma-Lease a Bike. Tra i “fab four” è quello che è andato più piano. Il che fa anche un certo effetto scriverlo, ma tant’è.
Eppure Adriano Malori, che ha seguito la crono ai microfoni di Radio Rai 1, come al solito non è stato banale.
«Non mi aspettavo una difesa tanto brillante di Vingegaard. Oggi per me Jonas ha preso l’ultima “sberletta” da Pogacar poi invertirà la rotta». In effetti ha perso esattamente 1” a chilometro dallo sloveno. Se pensiamo a come è arrivato a questo Tour è strabiliante. L’anno scorso a Combloux fece un mega-numero anche perché si dice avesse provato quel percorso una trentina di volte. Stavolta le cose sono andate diversamente per lui».
«Sinceramente sono contento della mia prestazione – ha detto Vingegaard – ho perso 37” da Remco e 25” da Pogacar. Dite che è un successo per lui? Io non credo sia così. Mi aspettavo di perdere di più».
Sempre il danese, quasi a dare manforte a Malori, ha aggiunto: «L’anno scorso in due tappe gli ho preso 7 minuti e mezzo, quindi vado avanti con il mio piano. E’ già tanto essere qui. Avendo perso un po’ di muscoli a causa dell’incidente il test esplosivo sul San Luca, che temevo di più, sin qui è stata la notizia più bella. Posso dire che la mia forma sta crescendo».
Ancora Van Aert e ancora Pogacar: sono loro i mattatori del Tour. Ma qualche segnale arriva dai nostri. Mattia Cattaneo è il "capo" della fuga e conquista il numero rosso
Prosegue a fatica il recupero di Froome. Con il Tour al centro dei pensieri, le corse sono solo momenti di un piano più vasto: Ma come sta davvero Chris?
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