Guazzini sbircia nel 2025. Super Fdj e classiche nel mirino

01.01.2025
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Il Buon Anno Nuovo ce lo dà Vittoria Guazzini. L’oro olimpico della madison di Parigi apre il 2025 guardandoci dentro per vedere cosa le riserverà. Molto passerà da lei e dai suoi colpi, altrettanto dalla sua FDJ-Suez che si presenta rinnovata e decisamente rinforzata per raggiungere gli obiettivi cerchiati in rosso.

Gli ultimi giorni del 2024 Guazzini li ha passati nel velodromo di Montichiari proprio dopo aver festeggiato il ventiquattresimo compleanno a Santo Stefano e prima di fare altrettanto con l’affiatato e vincente gruppo azzurro della pista. Un viaggio dalla Toscana alla bassa bresciana che profuma di inizio carriera e che adesso è uno degli aspetti da incastrare al meglio nel fitto programma su strada che la attende. Lo scambio degli auguri di queste festività è stato più di un pretesto per fare due chiacchiere con Vittoria.

La tua presenza a Montichiari è in ottica europei di Zolder?

I giorni in pista erano già fissati da tempo. Ora come ora non penso che li correrò. Sono in programma dal 12 al 16 febbraio, quindi un mese dopo rispetto all’anno scorso, ma pochi giorni prima dovrei esordire su strada al UAE Tour (dal 6 al 9 febbraio, ndr). Vedremo come fare, di sicuro ne devo parlare bene con Marco (Villa, il cittì della pista, ndr).

Con la tua squadra hai già stilato una bozza del calendario che farai?

In linea di massima sì, però fino alla fine della primavera. L’ultima gara di quel segmento di stagione potrebbe essere l’Amstel Gold Race. Prima però farò tutto il blocco delle classiche delle pietre in Belgio. Tra la Gand e la Roubaix mi piacerebbe fare bene, raccogliere qualcosa di buono sia in quei giorni, ma anche prima se ci fosse l’occasione.

Al Giro d’Onore hai detto che ti piacerebbe vedere il velodromo di Roubaix…

Sì, per forza, perché vorrebbe dire che non sono caduta (ride, ndr). Nel 2021 mi ero rotta una caviglia in gara, nel 2023 addirittura il bacino durante la ricognizione, quindi potete capire che mi accontenterei di arrivare al traguardo. Battute a parte, spero di avere e mantenere la giusta condizione in quel periodo per poter provare ad essere competitiva anche in quella corsa.

A proposito di obiettivi, ne hai già in mente qualcuno in particolare?

Adesso non ci sto pensando troppo. Tuttavia qualcosa c’è già. Vorrei riconfermarmi campionessa italiana a crono. Avrei puntato anche al mondiale a crono in Rwanda, ma ho guardato il percorso su VeloViewer e ho capito che se ne parla nel 2026. Onestamente non capisco perché continuino a disegnare tracciati così duri e poco adatti a specialisti. Il percorso della prova contro il tempo dei mondiali di Zurigo era assurdo, con una discesa molto pericolosa, soprattutto su una bici da crono. Meglio lasciar perdere…

Meglio pensare ai Grandi Giri? Il Tour Femmes è il grande obiettivo della tua FDJ-Suez.

Come dicevo prima non so ancora quali correrò. Dipenderà molto da come uscirò dal periodo delle classiche e quindi dal relativo programma. Certamente possiamo dire che non è un segreto che la nostra squadra voglia vincere il Tour, a maggior ragione visto che è un team francese. Non pensiamo però solo a quei dieci giorni di luglio, c’è tanto altro a cui puntare. Per ora sono solo parole. Dovremo vedere quando la stagione si aprirà ed entrerà nel vivo come saremo messe.

La campagna acquisti è stata fatta proprio per la Grande Boucle. Cosa ne pensi?

Prima di tutto lasciatemi dire che mi dispiace molto non avere più compagne come Marta, Cille e Grace (rispettivamente Cavalli, Ludwig e Brown, ndr). La nostra era una formazione forte e attrezzata già prima. Penso a Evita Muzic che ha fatto un grande salto di qualità, cogliendo ottimi risultati l’anno scorso. E’ indubbio comunque che il nostro organico abbia fatto ulteriori passi in avanti. Credo che siamo competitive in tutti i reparti. Ad esempio è arrivata Wollaston, che io conosco bene perché ci siamo spesso trovate in pista. Non era con noi in questi ritiri perché è a casa sua in Nuova Zelanda, ma sono certa che Ally darà tanto alla squadra. Così come Chabbey e le giovani Rayer e Gery.

Gli arrivi più importanti sono stati Labous e Vollering. Com’è stato il primo impatto con loro?

Molto buono. Ho conosciuto Juliette e Demi durante il primo ritiro in California (con tappa da Specialized, nuovo fornitore di bici e caschi, ndr) e poi ancora meglio in quello in Spagna per i primi allenamenti. Si vede subito che sono atlete vere, che si interessano a piccole cose e curano il dettaglio. Giù dalla bici sono ragazze estremamente di compagnia, molto tranquille. Diciamo che ero più preparata su Demi perché me l’aveva descritta molto bene Elena (Cecchini, ndr) duranti le gare e i ritiri con la nazionale.

Quest’anno ti scade il contratto. Stai pensando anche a questo?

E’ ancora molto presto per discuterne, però posso dirvi che sto molto bene nella FDJ-Suez. Prima di ogni cosa dovrò far parlare la strada, poi valuteremo anche questo punto.

Vittoria Guazzini vuole riconfermarsi tricolore a crono e al 2025 chiede un bell’exploit su strada, magari in una classica del Nord (foto FDJ-Suez)
Vittoria Guazzini vuole riconfermarsi tricolore a crono e al 2025 chiede un bell’exploit su strada, magari in una classica del Nord (foto FDJ-Suez)
Sei la prima intervistata del 2025 e puoi esprimere un desiderio. Cosa chiede Vittoria Guazzini al nuovo anno?

Bella domanda, devo dire che mi trovate un po’ impreparata. Non saprei, ma resto in ambito agonistico così non sbaglio. Al 2025 chiedo un bell’exploit su strada, uno di quelli da far sobbalzare e far dire “che brava la Guazz”. Ecco, questo. Non so dove, non so quando, ma l’importante che arrivi (e ci saluta sorridendo alla sua maniera mentre ci scambiamo nuovamente gli auguri di Buon Anno, ndr).

Si riparla di Spresiano. Velodromo pronto nel 2027?

31.12.2024
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Si torna a parlare del velodromo di Spresiano e se ne parla in maniera molto promettente, considerando la necessità sempre più impellente di un nuovo impianto per il ciclismo su pista che possa affiancare Montichiari e che possa soprattutto ospitare grandi eventi. Ma nei piani, l’impianto sarà molto di più e soprattutto sarà molto più utilizzabile rispetto alle iniziali prospettive.

Il nuovo progetto legato all’impianto prevede il suo utilizzo per molti sport, in primis ciclismo e atletica
Il nuovo progetto legato all’impianto prevede il suo utilizzo per molti sport, in primis ciclismo e atletica

Una storia iniziata negli anni Ottanta

Facciamo un passo indietro. Del velodromo trevigiano si parla da molti anni, addirittura dall’inizio degli anni Ottanta, ma in concreto si deve attendere il 1999 quando viene ufficializzato il progetto. Nel 2007 la costruzione dell’impianto entra nella Finanziaria di allora con 27 milioni di euro. Si dovrebbe costruire nell’area della Dogana, ma nel frattempo una cordata con a capo Remo Mosole inizia a proporre Spresiano in alternativa a un’altra proposta relativa a San Vendemiano.

La scelta arriva nel 2014 e Spresiano è la prescelta. Si scatena una battaglia amministrativa, ma la decisione del Consiglio della Fci non cambia. Appalto alla milanese Pessina Costruzioni, i lavori iniziano nel luglio 2018, a settembre la posa della prima pietra alla presenza di Malagò e dell’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti. Lavori preventivati in 18 mesi, ma poi arriva la crisi finanziaria dell’azienda e il congelamento dell’opera. Siamo nell’agosto 2019, tutto si ferma e col tempo non se ne parla più.

Marco Della Pietra, sindaco di Spresiano dal 31 maggio 2015, ha preso in mano la vicenda velodromo
Marco Della Pietra, sindaco di Spresiano dal 31 maggio 2015, ha preso in mano la vicenda velodromo

Prorpetari dell’impianto fra 70 anni

Qual è allora la novità? In realtà sono tante. A smuovere le acque è direttamente il Comune di Spresiano che s’intesta la realizzazione dell’impianto e va a caccia di fondi. Partendo dai buoni uffici del Sindaco Marco Della Pietra con il Governo, ottenendo 28 milioni di euro dal Ministero dello Sport. La Regione ha poi stilato un contratto di mutuo con l’Istituto per il Credito Sportivo e Culturale (ICSC) per un ulteriore investimento che si aggiunge all’altro mutuo chiesto dal Comune. Nel frattempo Mosole ha concesso a titolo gratuito la proprietà del terreno al Comune che diventerà proprietario diretto dell’impianto fra 70 anni.

Da una parte si dovrà rimettere mano a quanto è stato fatto, considerando che sono passati anni, ma dall’altro si tratta di lavorare su un progetto completamente nuovo, che entusiasma lo stesso Della Pietra.

«Inizialmente -spiega – l’impianto doveva essere solo per il ciclismo, invece l’idea è farne un impianto multisportivo, che ad esempio potrà ospitare rassegne internazionali di pattinaggio artistico ma soprattutto l’atletica indoor, un’altra disciplina che ha necessità di un nuovo impianto di grande richiamo. L’impianto potrà ospitare anche sport di squadra come basket, volley, hockey a rotelle, dove però nel territorio ci sono già altri impianti disponibili».

Remo Mosole, storico dirigente trevigiano ha ceduto il terreno a titolo gratuito
Remo Mosole, storico dirigente trevigiano ha ceduto il terreno a titolo gratuito

Un beneficio per il territorio

Il rilancio dell’idea ha trovato terreno fertile nel territorio: «La cittadinanza è decisamente contenta, apprezzando il fatto che il Comune si sia esposto in prima persona e anzi ne abbia fatto un proprio cavallo di battaglia e questo a prescindere dagli schieramenti politici. Noi però non dobbiamo pensare solamente all’impianto di per sé: bisogna costruire anche tutte le infrastrutture, ad esempio la strada   che costerà 1,5 milioni di euro per collegare l’impianto, poi abbiamo pensato anche a una palestra da 400 metri quadrati. Si tratta di un grosso investimento, che però abbiamo calcolato sarà ammortizzato in breve tempo dal punto di vista dell’economia locale».

Su questo argomento le idee del Sindaco sono molto chiare: «Spresiano diverrà il centro per grandi eventi, non solo sportivi e quindi poterà tanta gente in città ma anche in tutto il territorio circostante. Ne beneficeranno strutture logistiche, ristoranti, luoghi culturali… Chi vive nel mondo della bici sa che le distanze sono un fattore relativo e quando hai un luogo accentrante come può essere un velodromo ben utilizzato, è tutta la zona, in questo caso la Marca, a poterne godere».

I lavori per la costruzione si sono fermati nel 2019. La ripresa è prevista nella seconda parte del nuovo anno
I lavori per la costruzione si sono fermati nel 2019. La ripresa è prevista nella seconda parte del nuovo anno

Ora la palla passa alla Fci

Della Pietra ha già nella testa un calendario fino alla realizzazione del progetto: «Intanto dobbiamo attendere la nomina del presidente della Fci, ma so che un impianto è un bene per il ciclismo italiano e quindi chiunque sarà eletto penso sarà più che favorevole ad appoggiarci. Toccherà alla Federazione indire il bando per l’appalto dei lavori, ma considerato quel che già c’è, io penso che se si parte a settembre, nel 2027 potrebbe esserci la consegna definitiva dell’impianto. L’importante è che la Fci faccia la gara d’appalto nella maniera più corretta, in modo da non avere poi ricorsi. Tra l’altro, ci tengo a sottolinearlo, a questo progetto concorrono Governo e Regione con grande attenzione e la sua realizzazione è completamente al di fuori dei fondi appartenenti al PNRR. I soldi ci sono, ora non resta che spenderli presto e bene».

Sanremo, Roubaix e Tour: il 2025 di Ganna prende forma

31.12.2024
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Dopo i mondiali di Zurigo, le ultime corse, le vacanze e il primo ritiro, ci sarà il tempo di festeggiare degnamente il capodanno, poi Filippo Ganna partirà per le Canarie. Dalle sue parti è troppo freddo per proseguire la preparazione. Per lo stesso motivo, nei giorni scorsi è andato in pista a Montichiari, ma per trovare la giusta intensità su strada, il piemontese ha organizzato un ritiro assieme a Dario Cioni, che lo raggiungerà di lì a pochi giorni. E proprio con il suo allenatore abbiamo fatto l’ultima chiacchierata del 2024 per capire in che direzione stia andando la preparazione del Pippo nazionale.

Il 2025 non dovrebbe vedere impegni agonistici in pista o quantomeno, se anche ci saranno, non saranno preminenti rispetto all’attività su strada, come invece è stato nel 2024. E’ il destino di tutti i pistard. Le squadre reclamano il diritto di averli a tempo pieno e anche per loro si aprono le porte su sfide di diversa forma e rinnovate ambizioni. Fra le novità della nuova stagione c’è già stata la nuova sede del primo ritiro. Dopo anni a Palma de Mallorca, infatti, la Ineos Grenadiers si è spostata su Oliva, in Costa del Sol, dividendo l’hotel con la Visma-Lease a Bike.

«Era già un pochino che se ne discuteva – spiega Cioni – e alla fine i corridori che sono in squadra da più tempo avevano fatto presente che si facevano sempre i soliti giri. Era nell’aria che avremmo cambiato per provare qualcosa di diverso».

Mondiali 2023, Cioni al lavoro sulla bici di Ganna con Matteo Cornacchione
Mondiali 2023, Cioni al lavoro sulla bici di Ganna con Matteo Cornacchione
E allora, visto che si parla di qualcosa di diverso, come è stata tracciata la stagione di Filippo?

Un po’ di cose erano già state dette a metà dell’anno scorso. Ad esempio, il discorso delle classiche. Per via delle Olimpiadi, nel 2024 non abbiamo fatto la Roubaix, perché Filippo voleva fare bene il Giro. Si disse subito che fosse solo rimandata e così l’abbiamo inserita come grande appuntamento per il prossimo anno. Come la Sanremo e anche il Tour, che l’anno scorso non era entrato nei suoi piani perché non coincideva con la programmazione olimpica. Filippo ha voglia di tornare in Francia dopo la prima esperienza. Nel 2022 non era andata come ci si aspettava, quindi penso che voglia cimentarsi in un Tour preparato bene. Stessa cosa per la Roubaix. L’aveva preparata un po’ meglio due anni fa, ora l’idea è di tornare perché delle classiche del Nord è quella che secondo noi gli si addice di più. E prima però c’è la Sanremo: vuole tornarci per vincere.

Il fatto di non avere gare su pista è importante?

Non cambia tanto, perché comunque la pista fa parte del suo modo di allenarsi, tanto è vero che anche l’altro giorno era a Montichiari. Sul discorso delle gare, è chiaro che le Olimpiadi, specialmente il quartetto, richiedono del tempo per lavorare insieme e quella forse è stata la difficoltà maggiore. Far coincidere i programmi di 4-5 corridori per fare le sessioni specifiche in cui trovare l’affiatamento e gli automatismi. Quello richiede del tempo in più, che quest’anno invece sarà a nostra disposizione.

In cosa sarà diverso il suo avvicinamento alle corse?

Nel 2024, che era un anno olimpico, era stata fatta una partenza un pochino più rilassata. Invece in qualsiasi altra stagione che ha fatto con il Team Sky e poi Ineos, Filippo era partito sempre bene e ha sempre anche vinto se non nella prima gara a tappe, almeno nella seconda. Quindi sarà importante partire bene e per farlo devi passare un buon inverno. Fra l’altro l’anno scorso non era andato proprio benissimo, perché si era ammalato. Ora è più avanti, anche per il fatto che si è allenato di più e ha ripreso anche prima. A fine 2023 aveva preso l’influenza e a dicembre era andato peggio di quest’anno e poi era partito per l’Australia.

Il fatto di non partire con l’Australia vi permetterà di lavorare meglio in ritiro?

Se non fai l’Australia, la prima corsa che puoi fare in Europa è la Valenciana o Besseges e la squadra le fa entrambe. Non conta tanto la data di quando cominci, ma come arrivi alla prima gara. Da tutti gli anni si impara qualcosa e così, visto com’era andata l’anno scorso, abbiamo affrontato l’inverno in modo diverso. Per questo si andrà alle Canarie, per non essere rallentati dal meteo delle sue zone. Sai che là è bello tutti i giorni, non perdi un giorno per l’acqua, non perdi un giorno per la neve, non perdi un solo giorno di allenamento. Sai che per due settimane non ti devi preoccupare del meteo e puoi andare avanti con il programma. Se devi fare un po’ di intensità, un inverno freddo come quello che sta facendo in Europa rischia di complicare parecchio le cose. Sarà un ritiro di qualità dove verrà fatto anche un po’ di lavoro dietro moto.

Il fatto di avere questi obiettivi importanti significa che si andranno a fare anche delle recon sui percorsi?

Penso che un salto alla Sanremo si farà, anche se non è stata ancora fissata una data, perché il calendario è piuttosto fitto. Quindi potrebbe decidere di non andarci perché si sente a posto o si fa una puntata come l’anno scorso, quando partimmo parecchio da lontano e ci fermammo sul Poggio. Invece andrà a vedere la Roubaix, probabilmente alla fine del primo blocco di classiche al Nord, che spezzerà in due parti.

Esisterà un gruppo Ganna per la Sanremo?

Proprio per Ganna non penso. Il gruppo classiche della nostra squadra non è amplissimo, quindi i ragazzi che fanno le classiche, magari sapendo che Filippo ha due obiettivi importanti a Sanremo e Roubaix, correranno in suo appoggio.

Sanremo 2024, Ganna resiste alla selezione su Cipressa e Poggio, ma viene fermato da un problema meccanico
Sanremo 2024, Ganna resiste alla selezione su Cipressa e Poggio, ma viene fermato da un problema meccanico
In tutto questo le cronometro restano un motivo d’attenzione?

Sì, nel senso che al Tour comunque l’obiettivo della crono c’è. E’ anche vero che quest’anno con quel tipo di mondiale in Rwanda avremo un obiettivo in meno. Quindi ci saranno tante occasioni di vincere a cronometro, ma non ci sono in giro percorsi troppo congeniali a uno specialista come lui, come appunto il mondiale.

Non lo correrà?

Non è ancora stata presa una decisione, però vedo difficile che Filippo ne farà un appuntamento. Il percorso è duro, ci sono costi non indifferenti e mille aspetti da considerare. Quello di Zurigo non era un percorso proibitivo, ma certo non era velocissimo. Le crono invece saranno da specialisti al Giro, quelle sì.

Secondo te avere davanti sfide così diverse in cui dare tutto, non a crono e non in pista, è una motivazione per Ganna?

E’ molto motivato. La Sanremo non è una novità, perché sono due anni che arriva davanti. Due anni fa fece secondo e quest’anno se non ci fossero stati la foratura e il problema meccanico nella discesa, aveva comunque retto bene alla selezione sul Poggio. Era nel gruppo che si andava a giocare la vittoria. Alla Sanremo sa già quello che deve fare, penso abbia le idee molto più chiare. La Roubaix sarà più da scoprire. Due anni fa era nel gruppo dei migliori, ma subì un po’ la corsa. Quest’anno spera di essere davanti per giocarsela. 

Perché fare la Roubaix e non il Fiandre?

E’ stata fatta la scelta di puntare tutto su una. Visto il Filippo di oggi, si pensa che la Roubaix sia più adatta. E provare a farle entrambe poteva andare a scapito della Roubaix. Le gare che farà al Nord prima della Roubaix vanno definite: potrebbe esserci la Gand, ma è da vedere. Quel che si può dire è che prima della Roubaix, farà due o tre gare al Nord.

Dopo le Canarie tornerete in ritiro in Spagna col resto della squadra?

Esatto. Filippo passerà per qualche giorno da casa e poi raggiungerà i compagni a Denia. Andremo dal 22 gennaio e da lì si partirà direttamente per le prime gare. Cos’altro dire? Buon anno e speriamo che tutto vada come speriamo.

Scuola dei Campioni: una didattica a prova di sportivo

31.12.2024
4 min
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Lo studio e l’attività sportiva agonistica dovrebbero sempre andare di pari passo, per i ragazzi in età scolastica è nato un progetto interessante che vuole unire e far convivere sport e istruzione. In un periodo in cui l’agonismo entra nella vita di ragazzi sempre più giovani non bisogna dimenticarsi dell’importanza dello studio. Apprendere non è solo il fine ultimo per superare un esame, ma anche un modo di crescere, sviluppare un pensiero critico e infine maturare. Si chiama Scuola dei Campioni, è nata grazie all’intuizione di Edoardo Procacci che è CEO e fondatore. 

«Si tratta di una scuola on demand – ci racconta – che parte dalla prima media e arriva fino alla maturità. Il progetto nasce dalla necessità di dare il giusto supporto ai ragazzi che svolgono un’attività sportiva a livello agonistico, e che quindi devono far combaciare studio e allenamenti. Un esempio in questi termini è il pattinaggio sul ghiaccio, una disciplina che prevede una grande dedizione in termini di tempo. Riuscire a far combaciare gli allenamenti con il canonico orario scolastico è difficile. Anche perché la scuola statale prevede un minimo di ore di frequenza: il 70 per cento del totale».

Edoardo Procacci, fondatore della Scuola dei Campioni al Giro d’Onore 2024
Edoardo Procacci, fondatore della Scuola dei Campioni al Giro d’Onore 2024

Un’esperienza personale 

Il progetto della Scuola dei Campioni garantisce una personalizzazione dello studio ma non una facilitazione, ci tiene a precisare Procacci. L’obiettivo non è alleggerire i ragazzi, ma offrire un metodo di apprendimento diverso. 

«La soluzione che portiamo – spiega ancora Edoardo Procacci – consente di studiare in maniera libera. Il progetto è nato da un’esperienza personale. Mia sorella alle superiori giocava a tennis a livello agonistico. Faceva tornei in Europa, Asia e Africa. Durante il secondo anno di liceo le arrivò una lettera che comunicava la bocciatura a causa del superamento delle ore massime di assenza. Va fatto notare che mia sorella a livello scolastico non aveva insufficienze. L’unica soluzione possibile, ai tempi, era una scuola privata. Di quelle che offrono anche il recupero degli anni scolastici. La cosa che notammo subito in lei fu la perdita di autostima a livello di studio, cosa che invece poi recuperò all’università. Ho così fondato la Scuola dei Campioni, che da dopo la pandemia è diventata interamente a distanza».

Il programma per ogni studente-atleta è personalizzato in base agli interessi e al metodo di studio
Il programma per ogni studente-atleta è personalizzato in base agli interessi e al metodo di studio

Personalizzabile

Una piattaforma sulla quale trovare il miglior piano di studio a seconda dei propri impegni e del metodo di apprendimento preferito. L’offerta è ampia, senza vincoli particolari.

«Le lezioni sono disponibili 24 ore su 24 – dice ancora Procacci – e l’offerta è interamente personalizzabile. Abbiamo diversi servizi, tra i quali c’è un mental coach. I supporti sono tutti funzionali all’atleta e alla sua famiglia. Il primo passo da fare è un quiz per capire lo stile di apprendimento e scegliere la migliore fonte di studio: che sia un articolo di giornale, un video oppure una dispensa. Cerchiamo di alternare la fase attiva dello studio con quella passiva a seconda delle ore e dei picchi di concentrazione. Il programma di ogni anno scolastico va in base alle direttive del Ministero dell’Istruzione. L’obiettivo ultimo è fornire una strada per rendere più efficace la logistica e dare il giusto peso a chi si allena e allo stesso tempo vuole studiare al meglio».

Sono sempre anche di più gli atleti che continuano a studiare nonostante l’attività agonistica
Sono sempre anche di più gli atleti che continuano a studiare nonostante l’attività agonistica

L’allenatore scolastico

Non ci si allena solamente quando si pratica uno sport, ma anche nello studio. Le ore di apprendimento e di pratica servono per migliorare le competenze, un punto fondamentale per ogni ragazzo. 

«Il nostro progetto – spiega il fondatore della Scuola dei Campioni – ha una visione più grande e vuole seguire le direttive dell’Unione Europea. La figura dell’allenatore scolastico è quella che viene individuata, proprio dall’Unione Europea, come quella fondamentale per chi vuole sviluppare una duplice carriera: scolastica e sportiva. Questo soggetto comunica con lo studente-atleta, con i genitori, la scuola e l’allenatore. Per noi diventa poi ancora più importante la didattica legata alle competenze. L’Italia in questa speciale classifica OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, ndr) risulta penultima in Europa. Noi vogliamo che i ragazzi riescano ad applicare le proprie conoscenze e pensare autonomamente».

«I nostri docenti – conclude Procacci – sono selezionati non solo in base alle conoscenze, ma anche secondo una passione extrascolastica. Devono essere loro i primi a capire le esigenze dei ragazzi, e quale miglior modo di aver condiviso un’esperienza simile? Non si tratta per forza di ex sportivi, ma anche di soggetti che avevano determinate passioni che hanno voluto coltivare durante il periodo scolastico».

In Venezuela con Savio, sulle tracce di Rujano

31.12.2024
8 min
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Quando il piccolo aereo iniziò a salire verso Merida con il motore che dava inquietanti colpi di tosse, Gianni Savio reagì con un sorriso bonario allo sguardo preoccupato. Era la terza tappa di un viaggio che allora sembrava ancora più avventuroso. Da Roma ad Atlanta, poi Caracas, infine l’ultimo tratto verso Santa Cruz de Mora a casa di Josè Humberto Rujano. Il piccolo venezuelano era arrivato terzo al Giro d’Italia e andare a scoprire quel suo mondo così lontano era parsa un’idea grandiosa. La coincidenza saltata negli Stati Uniti ci aveva permesso di trascorrere una giornata ad Atlanta a dieci anni dalle Olimpiadi, scoprendone una faccia molto meno sfavillante della prima volta. La notte a Caracas, con la raccomandazione di Gianni di non uscire per nessun motivo dall’hotel, era passata rapidamente, l’adrenalina era davvero tanta. E ora il volo verso la principale località delle Ande Venezuelane era il modo più semplice per avvicinarsi e colmare il resto della distanza in auto su strade alte e piene di curve. Le montagne erano là davanti come dei contrafforti.

Gianni se ne è andato ieri. Ha lottato, ma alla fine ha poggiato la bici in un luogo sicuro e ha chiuso gli occhi. Si potrebbe raccontarlo attraverso i talenti che ha scoperto, siamo certi che avrebbero pagine da raccontare. Ma adesso quel che ci assale è l’onda dei ricordi personali attraverso cui imparammo a conoscere e capire quell’uomo che da solo lottava in mezzo ai giganti con la dignità del grande condottiero. Sempre con la giacca e la camicia. Sempre con un sorriso. E sempre con grandi storie in fondo agli occhi, fatte di lunghi viaggi in terre sconosciute da cui, cercatore d’oro, tornava ogni volta con un nuovo nome da proporti.

Giro del 2005, Rujano vince a Sestriere e ipoteca il podio dietro Savoldelli e Simoni
Giro del 2005, Rujano vince a Sestriere e ipoteca il podio dietro Savoldelli e Simoni

Caffè e Rolex

L’abitazione della famiglia Rujano era piccola e allegra, tirata a lucido come quando aspetti una persona importante. Si vedeva che «el señor Giani» fosse di casa. Lo capivi dalla festa dei bambini e dalle facce sorridenti e beate di chiunque venisse fuori dalla porticina con la tenda di fili che toccandosi facevano un rumore allegro. Il padre del corridore era un ometto piccolo e ricurvo, con molti meno anni di quelli che dimostrava. Il tempo che Gianni facesse le presentazioni e per me iniziò la fase delle domande, delle foto e della curiosità. Lui invece si mise in un angolo a raccogliere gli umori e i racconti di quella famiglia cui aveva offerto una chance importante.

Quel giorno Rujano ci portò a fare un giro nei luoghi della sua infanzia. Quelli in cui avrebbe trascorso la sua esistenza di raccoglitore di caffè se non avesse incontrato la bicicletta. Per fare la foto nella piantagione indossò un Rolex nuovo di zecca, preso dalla banca per l’occasione. Non si fidava a tenerlo in casa, perché le rapine erano all’ordine del giorno. Quando quelle foto girarono in Europa, i corridori di qui ironizzarono su quell’orologio che probabilmente per Josè significava avercela fatta, il simbolo dell’emancipazione. Loro cosa ne sapevano di cosa significasse avere fame?

«Sono situazioni che ho visto tante volte – disse Savio la sera mentre tornavamo verso l’alberghetto al Tovar – soldi che gli cambiano la vita e che devono essere bravi a gestire, ma so già che non sarà facile. Una volta forse era più facile, oggi ci sono tante persone che gli girano attorno, sia qui sia in Europa. Gente che chiede e, se il corridore è buono come Rujano, il rischio è che i soldi finiscano presto. Domani ti porto a casa di Leonardo Sierra, quello del Mortirolo al Giro del 1990. Non lo riconoscerai».

Gli occhi di Sierra

Leonardo Sierra, una porta sui ricordi. La prima volta del Mortirolo al Giro d’Italia e il venezuelano in fuga che cadeva in discesa quasi ad ogni curva. Vinse la tappa nel suo secondo anno da professionista e diede l’avvio a una carriera di otto anni, quasi tutta con Savio. Prima alla Selle Italia, poi alla ZG Mobili, quindi nel 1994 il grande salto nella Carrera al fianco di Chiappucci e Pantani. Il tempo di ricordare la sua immagine da indio e il faccione che si affacciò alla finestra della casetta nel prato fu davvero un colpo. Era lui, tanti chili di più. La voce che sapeva di birra anche di buon mattino e gli abbracci al «señor Giani» con quell’affetto sudamericano che supera la barriera del tempo. Lo sguardo era sempre lo stesso, un po’ languido ma con un fondo di fuoco.

«E’ tornato qua – raccontò Gianni – ha speso parecchio, ma alla fine è stato furbo a tenersi qualcosa da parte. Non vive da signore, ma non ha nemmeno l’esigenza di lavorare. E vedrete che farà anche pace col bere».

La conferma venne qualche tempo dopo attraverso la foto di un Sierra più magro spulciata su qualche social e tramite lo stesso Rujano, incontrato nuovamente in Argentina al Tour de San Luis, quando si era rimesso a correre per guadagnare ancora qualcosa e aiutare suo figlio. Gianni aveva visto giusto. Nel 2006 infatti, Josè fu convinto dal suo agente a mollare la squadra durante il Giro e fu portato alla Quick Step di Boonen campione del mondo. Ci rimase per pochi mesi, poi cambiò altre due squadre per tornare infine alla Androni del «señor Giani». Ci rimase in tempo per vincere ancora una tappa al Giro, ma alla fine anche lui appese al chiodo la bici che era diventata di colpo troppo pesante.

A 4.200 metri

Gianni parlava e intanto la strada si arrampicava. Parecchi ciclisti, il clacson che suonava per salutarne alcuni e chiamarli per nome. L’ultimo passaggio di quei pochi giorni in Venezuela, dopo aver rilasciato delle interviste a una radio locale, prevedeva di salire fino a Pico el Aguila, il Teide di laggiù, ma duemila metri più in alto. Rujano all’ultimo momento scelse di non venire, perché disse che avrebbe iniziato ad allenarsi e salire lassù non era adatto al momento. Per cui facevano strada Gianni e un allenatore di cui oggi è impossibile ricordare il nome.

La pendenza sembrava dolce, poca roba e ti accorgevi che qualcosa stesse cambiando quando ti fermavi per guardare il panorama e sentivi la testa pesante. Arrivammo dopo 80 chilometri di salita da Merida. Un rifugio. Delle antenne. E la strada che proseguiva pianeggiante con un anello di una decina di chilometri. Salire di slancio i quattro gradini per entrare nel bar ci fece capire la differenza fra una quota europea e l’assenza di ossigeno in questo avamposto andino.

«A volte quando sento parlare dell’altura in Europa – disse Savio – mi viene da sorridere. Qui siamo quasi a 4.200 metri. Rujano e i corridori di qui ci vengono spesso nei momenti in cui si allenano sul serio. Arrivano quassù e poi hanno questa strada di pianura in cui fanno i loro giri. Credo che qualche volta si fermi a dormire qui. Capito perché quando devono salire sullo Stelvio o sulla Marmolada, per loro non è questa grande preoccupazione?! Anche le corse qui sono tutte abbastanza simili. Prima i chilometri piatti in basso in questi stradoni tutti uguali, poi puntano una salita interminabile e inizia la selezione».

I meriti di Gianni

Il resto è un collage di ricordi che passano per le fughe del Giro e le polemiche per le esclusioni davanti alle quali «el señor Giani» usciva dai gangheri, ma sempre con quel suo stile da signore d’altri tempi. La squadra mista al Tour del 1995, in cui i suoi corridori corsero assieme a quelli della Deutsche Telekom che l’anno dopo il Tour lo avrebbero vinto con Riis e poi con Ullrich. La nuova vita regalata a Scarponi, Rebellin e Bertolini, come pure a Masnada e Cattaneo. La scoperta di Egan Bernal. Nessuno gli ha mai riconosciuto sino in fondo i meriti che aveva.

Questo nuovo ciclismo non sembrava più la casa di Gianni Savio e forse per questo – e per i problemi di salute – tenersene lontano non gli era parso poi così difficile. Invece, dopo la delusione della Drone Hopper, era ripartito con il progetto della Petrolike che gli aveva fatto brillare nuovamente gli occhi. C’era tutto il suo mondo. Il Sudamerica. Il senso di aver scoperto qualcosa di nuovo. E anche il gusto per la sfida contro i più grandi, con l’eleganza e l’ironia di sempre. In questo pedalare veloci verso l’assenza di limiti, sentiremo la mancanza del «señor Giani». Ci piace pensare che sia da qualche parte laggiù, in mezzo alle sue Ande, in cerca di un nuovo nome da proporci.

Ma quale pressione! Gaia Realini è pronta per essere leader

31.12.2024
4 min
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Basta il tono della voce per capire che Gaia Realini è diventata grande: sciolta, sicura, chiara… le sue parole sono schiette e non lasciano spazio ad interpretazione. La scalatrice classe 2001 di Pescara, si appresta a vivere una stagione cruciale con la Lidl-Trek dopo la partenza di Elisa Longo Borghini. Si appresta infatti a ricoprire il ruolo di leader, una responsabilità che accoglie con entusiasmo e determinazione. Il discorso fatto a suo tempo con Teutenberg, circa la pressione, sembra quasi superfluo.

Dopo aver trascorso qualche settimana ad allenarsi nella sua terra natale, dove la neve ha imbiancato le colline dell’entroterra, Realini riprenderà presto il ritiro in Spagna per perfezionare la preparazione. Quello che sta per arrivare sarà il suo quinto anno tra le professioniste e il bagaglio di esperienze inizia a diventare grande, ma troppo deve ancora ingrandirsi. Ma quando si ha una chiara consapevolezza del percorso che c’è da affrontare tutto può diventare più facile.

Una foto scherzosa di Gaia Realini tra i giganti della Lidl-Trek
Una foto scherzosa di Gaia Realini tra i giganti della Lidl-Trek
Insomma Gaia, iniziamo a diventare grandi…

Di altezza, no di sicuro! Scherzi a parte diciamo di sì. Durante questo primo ritiro che abbiamo fatto a dicembre con la squadra si respirava un’aria di cambiamento. Mi hanno detto chiaramente: «Gaia, adesso tocca a te prendere le redini». «Ora devi prendere il posto di Elisa». Per me è ancora abbastanza irreale che lei non ci sia più in squadra.

Possiamo immaginare dopo tre anni fianco a fianco…

Lei mi ha cresciuta, ho seguito le sue orme, ma prima o poi la mamma deve lasciare la figlia, no? Mi sento pronta a rimboccarmi le maniche e a mettere in atto ciò che ho appreso da lei e anche dalle mie compagne di squadra, che mi stanno insegnando tanto. Sono pronta a spiccare il volo.

Però che determinazione! Quindi questa parola “leader” non pesa troppo?

No, non mi pesa più di tanto, perché la squadra crede tanto in me e nella mia crescita. Questo vale sia per le ragazze sia per lo staff. Quando mi dicono: «Ok, adesso sarai leader», mi sento pronta e sono pronta a tutto quello che questo significa.

Lo scorso anno l’abruzzese è cresciuta tantissimo con una grande costanza di rendimento. Eccola con Kopecky al Romandia
Lo scorso anno l’abruzzese è cresciuta tantissimo con una grande costanza di rendimento. Eccola con Kopecky al Romandia
In tal senso, quanto è stato utile il Tour Femmes corso appunto da capitana?

Il Tour Femmes è stato un bel trampolino di lancio per me, un vero biglietto da visita. Doveva esserci Elisa, ma per problemi fisici non ha potuto partire. All’ultimo momento mi hanno detto: «Gaia, farai la leader». È stato un salto improvviso, da un giorno all’altro mi sono ritrovata capitana. Adesso però è diverso, perché se dovrò affrontare un Grande Giro come capitano lo saprò molto prima. Quello è stato come un grande svezzamento.

Non c’è più Longo Borghini, chi è oggi il tuo punto di riferimento in squadra?

Lizzie Deignan – ribatte Realini senza indugio – lei per me è una spalla destra in tutto e per tutto. Ormai abbiamo un feeling speciale, non ci serve nemmeno parlarci in gara: con uno sguardo capisce come sto, cosa devo fare, dove portarmi. Con lei sono sempre al posto giusto al momento giusto. Approfitterò di quest’ultimo anno in cui lei correrà per catturare tutto ciò che mi può insegnare e portarlo con me nelle prossime stagioni.

Realini tira per Longo Borghini. Dal prossimo anno saranno rivali
Realini tira per Longo Borghini. Dal prossimo anno saranno rivali
Per essere una donna di riferimento in squadra, su cosa pensi di dover lavorare?

Devo fare un salto di qualità a livello psicologico, rafforzare ancora di più la mia mentalità. E mi riferisco anche alle corse. Ma questo arriva col tempo e con l’esperienza. Non sono una capitana che rompe troppo le scatole o che pretende.

Dovresti parlare un po’ di più, esporti: giusto?

Esatto. Non parlando abbastanza, le altre ragazze a volte si trovano spaesate e sono loro a chiedermi: «Gaia, cosa dobbiamo fare?». «Di cosa hai bisogno?». Insomma, devo spiegarmi meglio, farmi capire, dire al momento giusto: «Ragazze, ho bisogno di questo, stiamo unite». Lizzie per esempio mi capisce con uno sguardo, ma non per tutte è così. Devo imparare ad aprirmi di più.

Quando inizierai la stagione? E in vista dei grandi Giri farai solo corse a tappe?

Inizierò con la Valenciana. Al momento non abbiamo ancora definito il calendario al 100 per cento, ma credo che farò anche qualche gara di un giorno oltre alle corse a tappe. Servono anche quelle.

Giro in Albania, questa volta ne parliamo con Zhupa

30.12.2024
5 min
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Le storie e le vite a volte seguono percorsi impensabili e così accade che un giorno Eugert Zhupa si ritrovi a parlare del Giro d’Italia e della sua Albania. Forse qualcuno ricorderà questo cognome per averlo sentito proprio sulle strade della corsa rosa. Erano gli anni dal 2015 al 2019 e Zhupa vestiva i colori della Neri Sottoli: tante volte in aiuto ai compagni, qualche altra in fuga… un buon corridore.

Arrivato in Italia sin da ragazzo, Eugert viene da Rrogozhine, una cittadina nel distretto di Tirana, situata proprio a metà strada tra la capitale albanese e Valona, proprio nel mezzo delle strade che vedranno passare il giro nei tre giorni della grande partenza. Rrogozhine una zona, come molte in Albania, in cui non si sapeva molto di ciclismo. Come ci aveva raccontato ieri Frassi, il ciclismo in Albania è stato per lungo tempo un fenomeno poco conosciuto. Anche per questo Zhupa è stato un pioniere del ciclismo albanese sul piano internazionale. Ha disputato quattro Giri d’Italia, vinto sette titoli nazionali, di cui tre a cronometro, e si è sempre dimostrato un lottatore.

Sei stagioni da pro’ di cui tre nella Neri Sottoli per Zhupa. Oggi Eugert vive con la sua famiglia in Emilia
Sei stagioni da pro’ di cui tre nella Neri Sottoli per Zhupa. Oggi Eugert vive con la sua famiglia in Emilia
Eugert, partiamo da te, dal tuo ciclismo. Quando ci siamo presentati ci hai detto: «Volevo essere un esempio per il ciclismo albanese», raccontaci.

Negli anni ‘90, quando i primi albanesi sbarcarono in Italia, noi eravamo visti male. I giornali parlavano sempre male degli albanesi e a scuola ero un po’ preso di mira. Allora dissi a me stesso: «Io sarò l’unico albanese di cui i giornali parleranno bene». Con tanti sacrifici sono riuscito a realizzare un sogno che avevo da bambino: arrivare al professionismo e partecipare al Giro d’Italia. E ci sono riuscito.

Come è nata questa passione per la bici?

Nel ’93 mio padre, che era già in Italia, tornò a casa e mi portò una bici. Noi avevamo pochi giochi, c’era tanta povertà a quell’epoca nel nostro Paese. Divenni l’unico del mio villaggio ad avere una bici. Da lì è iniziata quella passione che mi ha portato a sognare di diventare ciclista.

In Albania si dice sempre che si guarda molta televisione italiana. Anche tu vedevi le gare?

Sì, vedevo tutte le gare di bici e sicuramente Marco Pantani è stato quello che mi ha trascinato di più. Crescendo, però, ho capito che le mie caratteristiche erano altre. Guardare il ciclismo in televisione era molto entusiasmante, soprattutto per un bambino come me.

Bellissima questa storia. E adesso, sapere che il Giro parte dall’Albania che effetto ti fa?

Quando correvo, mi sarebbe sempre piaciuto fare una partenza dall’Albania. Ora sono sincero la vedo come una cosa mediatica, legata al turismo, ma comunque positiva. Già nel 2014-2015 dicevo che l’Albania ha dei bei posti per fare delle gare, ma il ciclismo non era, e forse non è ancora radicato. Se lo Stato voleva investire nello sport, avrebbe dovuto farlo prima nella Federazione, sui bambini, sui ragazzi, sulle piste ciclabili e sulla sicurezza e poi con un grande evento. In Albania non c’è ancora una mentalità ciclistica. I primi tempi che andavo ad allenarmi a casa prendevo sassate, la gente non capiva cosa stessi facendo. Mi prendevano in giro con quella tutina…

Però potrebbe essere un inizio avere il Giro d’Italia. Magari qualche bambino si ispirerà e seguirà il tuo esempio.

Lo spero. Ma la Federazione non spinge molto per incentivare i ragazzi a pedalare. Poi sono contento che sia realizzato questo progetto. Spero che il Giro d’Italia possa essere un esempio e spingere più persone a fare sport. In Albania tanti si mettono al bar al mattino e lo sport, soprattutto il calcio, è seguito solo in televisione.

Parliamo un po’ di queste tappe. La tua zona è proprio tra Tirana e Durazzo, giusto?

Sì, l’Albania è piccola e sono strade che conosco bene. E sono belle strade, spesso ampie, dritte. Però se piove sono scivolose, un po’ come le strade del Sud Italia. C’è polvere, sabbia, smog. Speriamo non piova, così si potranno apprezzare i paesaggi in televisione. E saranno paesaggi bellissimi. Immagino gli faranno fare le strade principali, se non addirittura l’autostrada.

Partiamo dalla prima tappa. Dicono che sia impegnativa. È così?

E’ impegnativa, non è affatto impossibile. Immagino che i velocisti puri non faranno la volata, ma arriverà un bel gruppone compatto. Le salitelle nel finale sono veloci. Poi si sa, sono i corridori che fanno la corsa!

E la cronometro a Tirana? Come te la immagini?

Sarà una crono breve, di potenza. Tirana è pianeggiante e ho visto che per gran parte del percorso il tracciato costeggia il fiume. Penso che potrebbe vincerla un Jonathan Milan: è una crono relativamente breve, tutta di potenza. C’è un dislivello, ma è davvero poca cosa. Sì, dico Milan.

Il Trofeo Senza Fine in piazza Skenderbej nel centro della capitale Tirana. Il Giro scatterà il 9 maggio (foto Rcs)
Il Trofeo Senza Fine in piazza Skenderbej nel centro della capitale Tirana. Il Giro scatterà il 9 maggio (foto Rcs)
Parliamo dell’ultima tappa, quella di Valona…

Questa sì che è tosta: 2.800 metri di dislivello in 160 chilometri. Dipenderà molto da come la affronteranno, ma sarà dura. La scalata principale è dura, spesso si va oltre il 10 per cento, e di certo ci sarà una selezione maggiore rispetto alla prima frazione. Anche la discesa è tecnica, ci sono parecchi tornanti…

Tu andrai in Albania a vedere il Giro d’Italia?

Lo spero, magari con un invito dagli organizzatori. Essendo l’unico albanese ad aver partecipato al Giro, sarebbe bello essere coinvolto. Nel 2017-2018 avevo già aiutato RCS e la Federazione albanese per altre iniziative, una crociera cicloturistica che aprisse la strada a questo progetto. Vedremo…

Tornando alla tua carriera, hai disputato quattro Giri d’Italia e diversi Mondiali. Che ricordi hai?

Quando avevo il via libera, mi piaceva andare all’attacco. In generale, potevo fare di più, ma spesso dovevo lavorare per Jakub Mareczko. Era faticoso: tiravi tutto il giorno e il giorno dopo, quando avevi libertà, eri già stanco. Però mi sono tolto qualche soddisfazione.

Follonica capitale del ciclocross. L’anno comincia alla grande

30.12.2024
5 min
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Neanche il tempo di stappare lo spumante che per Fausto Scotti e il suo staff sarà già tempo di tornare in azione. Per tre giorni, da venerdì 3 a domenica 5 gennaio Follonica sarà la capitale del ciclocross italiano per l’assegnazione dei titoli nazionali giovanili, con la prima giornata dedicata alle operazioni di segreteria e all’approccio con il percorso, la seconda alla sfida del Team Relay, la domenica alle 8 gare per le categorie esordienti e allievi. Teatro delle operazioni Follonica e per Scotti è quasi un tornare a casa.

Fausto Scotti, ex cittì azzurro oggi organizzatore di alcuni dei principali eventi di ciclocross
Fausto Scotti, ex cittì azzurro oggi organizzatore di alcuni dei principali eventi di ciclocross

«Nella località maremmana sono ormai 7 anni che torniamo pressoché ogni stagione – spiega l’organizzatore romano – era una tappa quasi irrinunciabile del Giro d’Italia, quest’anno abbiamo pensato proprio in virtù della conoscenza del luogo e dello stretto vincolo che abbiamo con due società locali (Free Bike Pedale Follonichese e Asd Impero, ndr) ma anche con gli enti e le associazioni del luogo. A Follonica hanno capito qual è l’importanza dell’evento e soprattutto la sua portata turistica in un periodo di bassa stagione».

Qual è il vantaggio di allestire un evento articolato su più giorni?

E’ un vantaggio reciproco. Possiamo innanzitutto sfruttare il Villaggio Mare Sì che può ospitare tutti i servizi ed essere il vero punto nevralgico dell’evento, poi abbiamo una serie di hotel a prezzi convenzionati. Per la località diventa quindi un richiamo importante con un forte ritorno economico. E’ diverso rispetto agli scorsi anni, quando si trattava di allestire una tappa della challenge, qui sono più giorni e noi interpretiamo l’evento come fosse una vera e propria tappa di Coppa del mondo, con un impegno organizzativo importante e strutturato considerando che siamo sul posto già da una settimana prima.

Il tracciato maremmano misura 2.700 metri per un dislivello di 58 metri a giro
Il tracciato maremmano misura 2.700 metri per un dislivello di 58 metri a giro
Il percorso com’è?

Non abbiamo cambiato molto rispetto alle ultime volte, il tracciato di Follonica è collaudato, con i suoi 2.700 metri e il suo dislivello di una sessantina di metri a giro. E’ un percorso diviso in due parti: la prima è pedalabile e piatta, dove un fattore importante può essere il vento, perché il dislivello è tutto nella seconda parte, più impegnativa anche nella sua guida, nella parte dell’ex ippodromo più tecnica. Stiamo anche valutando se reinserire la scala che da qualche stagione non utilizzavamo più, divisa in due parti nel senso che dopo la prima parte spiana ma poi propone altri scalini da affrontare.

Qual è la forza particolare di questo tracciato?

Ha una caratteristica precipua, che lo rende più appetibile per un evento di più giorni: è a 100 metri dalla parte più commerciale della città, con tutte le sue attrattive e questo lo rende appetibile per far arrivare tanta gente. Noi contiamo di avere al via almeno 600 atleti sparsi fra le 8 categorie di gara, maschili e femminili.

Un weekend tutto dedicato alle categorie giovanili, con la sfida a squadre e poi quelle individuali
Un weekend tutto dedicato alle categorie giovanili, con la sfida a squadre e poi quelle individuali
Il Giro delle Regioni è finito appena prima di Natale e vi siete subito rituffati nell’allestimento di un evento importante. In questi giorni avete riscontrato grande attesa?

Enorme, a dispetto delle feste perché è davvero un evento nazionale, al quale parteciperanno società di ogni angolo d’Italia. Noi abbiamo speso tante energie per la challenge e ci aiuta il fatto che Follonica abbia ormai una dimestichezza come poche altre sedi italiane. E’ vero che siamo un po’ di rincorsa, ma i giorni d’intervallo sono stati sufficienti e ci faremo trovare pronti per un evento così rilevante, l’appuntamento principale della stagione per molti sodalizi.

Smetti ora i panni dell’organizzatore e indossa quelli di tecnico: a Follonica ci saranno i migliori esponenti del ciclocross italiano giovanile e anche la posizione geografica della sede consente uno scontro a cielo aperto tra i migliori del nord e del sud. Secondo te a che gare assisteremo?

Una volta, qualche anno fa avrei detto che la preponderanza numerica del nord si sarebbe tradotta anche in un dominio tecnico. Oggi, anche alla luce di quello che ho visto a Gallipoli, non è più così: io penso che a Follonica ci sarà intanto un certo equilibrio quantitativo fra le varie zone d’Italia e anche dal punto di vista agonistico mi aspetto qualche sorpresa. Ci sono quei due-tre ragazzi meridionali che possono anche fare il colpo. Il problema però è dopo, per chiunque vinca.

Il giovanissimo pugliese Carrer, tricolore lo scorso anno fra gli Esordienti 2° anno e a caccia di un nuovo titolo
Il giovanissimo pugliese Carrer, tricolore lo scorso anno fra gli Esordienti 2° anno e a caccia di un nuovo titolo
Quale?

Torniamo a quello che nel mondo del ciclocross è un po’ un tormentone: perché un talento possa svilupparsi e realizzarsi è necessario che trovi un team che gli consenta di fare tutto, seguendo l’esempio di quanto fa la Fenix Deceuninck, alla quale giustamente è approdato Viezzi. Parliamoci chiaro: il sistema del prestito temporaneo è utile, anzi fondamentale nella situazione attuale per far fare attività ma è un palliativo. Il ragazzo va seguito sempre, su strada come nel ciclocross, deve avere sempre materiale a disposizione, essere preparato da un’unica mano che lo curi d’inverno come d’estate. Come già detto è importante avere i mezzi economici per farlo, ma se hai un team che si mette a disposizione per ogni disciplina, la gestione dei ragazzi sarà più semplice e mirata. Speriamo che anche da noi si arrivi a questi concetti base…

EDITORIALE / Dal cross alla strada, un 2025 di sfide pazzesche

30.12.2024
5 min
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La televisione aiuta, ma non può sostituire l’ebrezza di vederli dal bordo della strada. Lo sanno bene gli appassionati di cross nei Paesi del Nord, che hanno la fortuna di assistere a giorni alterni a sfide esaltanti e rumorose, protagonisti a loro volta dell’esaltazione e del rumore. Lo sanno bene coloro che riescono a raggiungere le tappe dei Giri o il passaggio delle classiche e che magari subito prima li hanno attesi alla partenza, chiedendo una foto e sperimentandone l’umanità. Non lo sa il pubblico da casa, quello selezionato dalle dirette integrali.

La televisione aiuta, ma toglie le voci. Sono come motociclisti privi di battito cardiaco, beniamini o bersagli a seconda dei casi. Il commento dei telecronisti in certi casi è prevaricante, riempie ogni vuoto con osservazioni e battute che rendono la gara uno sfondo variopinto e muto. Potrebbe essere utile a volte abbassarlo e aprire i microfoni delle moto sulla strada per far respirare un po’ di quell’atmosfera che la geografia, i costi, il lavoro o la pigrizia rendono irraggiungibili. Forse il troppo annoia, non le imprese dei più forti. E il protagonismo da valorizzare è quello degli atleti e non di chi li racconta.

Coppa del mondo 2023 a Gavere, sul podio i tre giganti del cross: oggi c’è solo VdP
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Senza Van Aert e Pidcock

Il 2024 va in archivio e lo fa nuovamente nel segno di un dominatore. Van der Poel infatti ha ricominciato a macinare vittorie nel cross e questa volta il predominio è più netto del solito. Cinque vittorie su cinque gare, dal debutto a Zonhoven alla Coppa del mondo di ieri a Besancon. L’assenza di Pidcock e di Van Aert, ciascuno per motivi diversi, rende i suoi assoli meno coinvolgenti? Forse per questo, diversamente da quanto ha fatto nelle prime due esibizioni, il vantaggio con cui Mathieu ha regolato gli inseguitori è sempre rimasto al di sotto dei 30 secondi.

Bart Wellens, che commenta il cross sulle pagine di Het Nieuwsblad, lo spiega con una condizione non ancora eccezionale. L’alternativa è che l’olandese faccia il minimo indispensabile per portare a casa vittorie e ingaggi. A Besancon, classico percorso molto tecnico, Mathieu ha pensato soprattutto a non commettere errori: la battuta che circolava attorno al campo gara è che l’unico che avrebbe potuto seguirlo fosse probabilmente il drone della diretta televisiva.

«Se ci fosse stato al via anche Van Aert – ha commentato il padre Adrie – ci sarebbero stati tremila spettatori in più. La gente in Francia vuole vedere anche nel cross i campioni che hanno vinto tappe al Tour de France. In quel caso sei tenuto in grande considerazione e ti considerano una sorta di divinità del ciclismo».

Per il 2025 Van Aert punta alle grandi classiche: le tappe fanno numero ma pesano meno
Per il 2025 Van Aert punta alle grandi classiche: le tappe fanno numero ma pesano meno

Il duello (per ora) mancato

Ha fatto notizia per motivazioni totalmente differenti anche il ritorno in gara di Wout Van Aert a Loenhout. Per la prima volta da anni, il belga ha corso senza alcun tipo di pressione: ha dato la sensazione di essere tornato in gruppo per divertirsi e provare sensazioni che gli mancavano da tanto. Sarebbe anche arrivato sul podio se il contatto con uno spettatore non lo avesse fatto cadere. Nel cross può succedere anche questo.

Van Aert si è disinteressato del duello con il nemico di sempre (il quale tuttavia non ha lesinato sguardi torvi), consapevole di partire dalla base di un infortunio. A margine di ciò, osservare su Strava la mole di lavoro cui si sta sottoponendo, fa pensare che i suoi obiettivi siano più avanti e che Wout voglia arrivarci nel modo migliore. Forse evitare il confronto nel cross sapendo di essere in inferiorità è il modo migliore per non cominciare la stagione con il solito condizionamento psicologico. Eppure nel suo lottare anche contro l’evidenza abbiamo più volte riconosciuto una nobiltà sportiva fuori dal comune.

Il Tour del 2023, con Vingengaard vincitore, ebbe al via Pogacar reduce da infortunio
Il Tour del 2023, con Vingengaard vincitore, ebbe al via Pogacar reduce da infortunio

La buona stella

Il 2024 va in archivio nel segno dei dominatori e nei commenti sui social pieni della parola “noia”. Perché è noioso assistere alle grandi performance di Van der Poel, come quelle di Pogacar? Perché essere fuoriclasse è improvvisamente una colpa e non una benedizione? Forse la spiegazione di un così marcato predominio deve essere ricercata nell’assenza di rivali credibili. Sono talmente pochi, che se uno o due mancano, lo spettacolo ne risente. Come mandare un peso medio sul ring contro il campione dei massimi.

Quello che bisogna augurarsi per il 2025 è che le grandi sfide abbiano al via tutti i migliori attori. Con Van der Poel, Van Aert, Ganna, Alaphilippe, Milan, Philipsen, Pedersen, Mohoric, Pogacar ed Evenepoel nelle classiche. E poi Pogacar, Vingegaard, Roglic, Evenepoel, O’Connor e Tiberi nelle corse a tappe. A quel punto magari vinceranno sempre gli stessi, però il compito risulterà meno agevole. Il ciclismo si è sempre nutrito di grandi rivalità. Per questo la coppia Van Aert-Van der Poel funziona così bene. E per questo abbiamo tutti sentito la mancanza di Vingegaard nell’ultimo Tour.

Il nostro augurio per la stagione è che una buona stella porti i campioni più forti al via delle gare più belle. Che muova folle di appassionati sulle strade. Che faccia loro riscoprire l’umanità degli atleti. E ispiri a tutti noi che gli lavoriamo accanto un racconto migliore fatto dai campi di gara. I corridori se lo meritano. Sulla strada a fare fatica ci sono soprattutto loro.