La Petrolike e l’ultima creatura di Savio, affidata a Bellini

19.01.2025
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Gianni Savio se n’è andato lasciando in eredità il suo ennesimo tributo al ciclismo italiano. Il dirigente scomparso a 76 anni era stato infatti “costruttore” della Petrolike, il team di licenza messicana fortemente voluto per dare uno spazio di crescita ai corridori locali, ma aveva fatto subito presente come fosse necessario, per conseguire i suoi ambiziosi traguardi, infarcire il roster di corridori svezzati, pronti al ciclismo europeo e quindi italiani.

Tra i tanti campioni scoperti dal dirigente piemontese anche Egan Bernal, rimastogli sempre affezionato
Tra i tanti campioni scoperti dal dirigente piemontese anche Egan Bernal, rimastogli sempre affezionato

L’ultima avventura, che Savio non ha potuto vivere, vedere concretizzarsi e questo è uno dei più forti rammarichi che ha lasciato in Marco Bellini, il suo braccio destro da 25 anni (con lui nella foto di apertura alla presentazione del Giro 2012: con loro Rujano). Per lui parlarne, a qualche settimana di distanza dalla scomparsa di quello che innanzitutto era un amico, non è semplice: «Per 25 anni sono stato più con Gianni che con mia moglie. Ho iniziato nel 2001 come diesse, poi dal 2010 sono entrato nella società e ci eravamo divisi i compiti in maniera chiara: io mi occupavo della parte gestionale, del rapporto con gli sponsor, lui della stampa, delle pubbliche relazioni».

Gianni era uomo di un ciclismo antico, come faceva a rimanere al passo con uno sport che è cambiato così tanto?

Era un personaggio con un carattere diverso, non aveva bisogno di adattarsi, anzi a questo ciclismo metteva un freno. Per due volte ha avuto la possibilità di fare il vero salto di qualità, nel 2011 e nel 2017 ma in entrambi i casi ha scelto di non venire meno allo spirito del team, al “suo” ciclismo per conformarsi. Sicuramente aveva una concezione che mancherà in questo mondo.

Savio insieme a Ponomar, l’ucraino ultimo acquisto della Petrolike
Savio insieme a Ponomar, l’ucraino ultimo acquisto della Petrolike
E’ sempre rimasto legato all’altra parte dell’Oceano, perché?

Perché la sua natura era davvero vicina alla cultura, alla società, al modo di vivere in quelle terre. Lì si sentiva a casa sua e lo accoglievano come fosse di lì. Sempre. Trovava un ambiente ospitale che fosse in Colombia, in Venezuela, in Messico. Era sempre in contatto con i media locali. Attraverso di lui il ciclismo sudamericano si è evoluto, partendo da Cacaito Rodriguez, Leonardo Sierra, José Rujano. Ne ha tirati fuori tanti avvalendosi anche dei suoi infiniti contatti con appassionati del posto. Lo stesso Bernal è una sua scoperta.

Perché dici che la Petrolike resta un rammarico?

Non ha potuto viverla appieno. Era ormai un anno e mezzo che per le sue condizioni di salute non poteva uscire di casa e per lui il ciclismo andava vissuto sul posto. Dopo l’operazione all’anca gli mancavano le corse. La squadra è stata la sua ultima creatura, per certi versi il suo lascito, infatti era stato chiaro nella volontà di partire sì con un progetto locale ma poi, se volevano davvero farlo crescere, renderlo multinazionale e con un’anima italiana, come sta avvenendo.

Secondo anno di vita per la formazione messicana, ultima scommessa di Gianni Savio
Secondo anno di vita per la formazione messicana, ultima scommessa di Gianni Savio
La squadra cambia un po’ pelle rispetto alla stagione precedente…

Seguiamo i programmi che ci siamo dati sin dalla sua fondazione. Il primo anno è stato molto positivo, ora dobbiamo crescere come qualità per poi, se tutto andrà bene, provare a fare il salto fra le professional nel 2026. Il cambiamento si vedrà subito, infatti saremo a Mallorca e nelle corse spagnole d’inizio stagione, affrontando subito le squadre WorldTour e consentendo ai ragazzi di fare una grande esperienza.

E’ un team che diventa molto italiano.

Lo era già, non solo attraverso la mia presenza, ma abbiamo Fabrizio Tacchino come preparatore, Andrea Peschi fra i diesse, il nutrizionista Cristiano Caporali che viene dalla nazionale di triathlon. Poi chiaramente ci saranno i corridori e qui abbiamo cercato gente d’esperienza, che potesse essere utile per insegnare e dare l’esempio ai più giovani certamente non senza inseguire le proprie ambizioni personali, che sono anche quelle del team.

Lorenzo Galimberti è uno dei tre italiani scelti per dare esperienza al team messicano (foto Facebook)
Lorenzo Galimberti è uno dei tre italiani scelti per dare esperienza al team messicano (foto Facebook)
Su chi avete puntato?

Noi abbiamo scelto tre corridori, tutti con caratteristiche diverse. Per Filippo D’Aiuto mi sono affidato molto all’esperienza di Peschi che conosce bene il mondo degli under 23. Filippo racchiude quelle caratteristiche che cerchiamo, un corridore giovane ma con un grande equilibrio personale e una spiccata personalità. C’è poi Lorenzo Galimberti che sarà importante nelle corse impegnative, vista la sua propensione per le salite e infine Lorenzo Peschi, il figlio di Andrea che aiuterà gli sprinter.

Italiani a parte, la punta del team resta Caicedo?

Certamente, è il nostro diamante e nella prima stagione lo ha dimostrato portando a casa molti risultati, ma abbiamo alle sue spalle molti corridori che possono crescere proprio cibandosi della sua esperienza, come i fratelli Prieto o anche Macias. Inoltre arriva nel team anche l’ucraino Andrii Ponomar, che ha una gran voglia di rivalsa. E’ ancora giovane e con grandi potenzialità inespresse. E’ una squadra con un grande potenziale, ma aveva bisogno dell’iniezione di esperienza soprattutto perché buona parte del suo calendario sarà in Europa, in gare di elevato prestigio. Correre nel Vecchio Continente è la scuola migliore, ma bisogna farlo con approccio umile, cercando d’imparare il più possibile.

Caicedo resta la punta della squadra, ma quest’anno non sarà l’unica
Caicedo resta la punta della squadra, ma quest’anno non sarà l’unica
Partite subito forte…

Sia chiaro che non andiamo in Spagna con l’intento di fare chissà cosa, i ragazzi devono essere consci che saranno di fronte al meglio del movimento. Io voglio che acquisiscano esperienza, che capiscano com’è il ciclismo a certi livelli, ben diverso da quello che hanno affrontato finora. E’ un grande sacrificio che facciamo, ma sono sicuro che è per una buona causa. Questo anche grazie ai nostri dirigenti, che non chiedono risultati immediati, che capiscono qual è la nostra realtà e affrontano tutto con pazienza e concretezza.

Per la professional che altri passi serviranno?

Dovremo arrivare a un roster di 20 corridori, equamente divisi fra sudamericani ed europei e soprattutto dovremo prendere corridori che siano in grado di raccogliere risultati. Sarà un altro passo importante, imponente direi e potremo farlo solo con l’appoggio delle aziende che ci supportano, come Sidermec e Androni Giocattoli che sono sempre rimaste al nostro fianco come anche Salice Occhiali e Pella Sportswear. Ma intanto pensiamo alla stagione alle porte, per dare continuità al nostro discorso.

La vittoria di Macias nella tappa del Giro del Friuli, una delle perle del 2024 (foto Bolgan)
La vittoria di Macias nella tappa del Giro del Friuli, una delle perle del 2024 (foto Bolgan)
E per salutare Gianni nella maniera migliore…

La cosa che mi manca di più è quel telefono che squilla alle 11 del mattino. Era come una sveglia: Gianni era solito alzarsi tardi, infatti soffriva quando era al Giro e doveva svegliarsi presto. Durante la giornata ci sentivamo spesso, anche alla sera la sua ultima chiamata era per me. Ma cascasse il mondo, alle 11 del mattino il telefono squillava. E oggi a quell’ora mi capita di guardare lo smartphone e pensarlo…

Ballerini come Bartoli, un muro per amico

19.01.2025
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A volte i social prendono l’idea e te la tirano in faccia. Ed è così che scrollando Instagram senza una precisa destinazione, siamo finiti accanto a Davide Ballerini lungo le rampe di un muro in pavè. Lo inquadrano davanti, di lato e da dietro: l’ha postato il 3 gennaio. C’è del lavoro in quel video – nel pedalare in salita e nel montaggio di chi l’ha realizzato – che alla fine vede il corridore di Como poggiarsi a una cancellata col fiato molto grosso.

Bartoli e San Gennaro

Avendo qualche anno nelle tasche, la memoria è andata a quando certe cose le faceva anche un ragazzino di belle speranze, conosciuto quando era ancora dilettante: un certo Michele Bartoli. Il toscano che poi al Nord ne vinse tante da togliersi la voglia (mai del tutto) aveva un muro del genere vicino casa, dove andava per mettersi alla prova.

«Il mio muro si chiama San Gennaro – ricorda sorridendo – il tratto in pavé è lungo 700-800 metri, poi prosegue, si scollina, fai il giro della collina e puoi riprenderlo quasi subito. Quando mi allenavo per quelle corse, facevo 4-5 giri di fila e riuscivo anche a capire la mia condizione. Un’altra cosa mi lega a Ballerini: ho lavorato con lui l’ultimo anno che era all’Androni, ne vinse parecchie. Lui è uno che potenzialmente potrebbe vincere molto di più».

Michele Bartoli Giro delle Fiandre 99
Michele Bartoli e il Giro delle Fiandre, un grande amore. Qui nel 1999, tre anni dopo la vittoria del 1996
Michele Bartoli Giro delle Fiandre 99
Michele Bartoli e il Giro delle Fiandre, un grande amore. Qui nel 1999, tre anni dopo la vittoria del 1996

Il muro di Ballerini

Ballerini in questi giorni è in Spagna e vi rimarrà fino al 25 gennaio, quando inizierà la stagione alla Ruta de la Ceramica-Gran Premio Castellon. Poi proseguirà con la Valenciana e da lì andrà ad assaggiare il vero pavé del Nord, quello della Omloop Het Nieuwsblad che nel 2021 lo vide vincere in maglia Deceuninck-Quick Step.

«Uso spesso quel muro – sorride Ballerini – e un altro ce l’ho nella zona di Mendrisio. Non è come un muro del Fiandre, il Nord è un altro mondo, ma registro i tempi su Strava e lo uso di solito per fare lavori specifici. E’ lungo 150 metri più o meno. Di solito ci faccio ripetute da un minuto e mezzo a bassa frequenza di pedalata, esprimendo la massima potenza».

Il pavé è amico di Ballerini. Qui agli europei di Hasselt lo scorso anno
Il pavé è amico di Ballerini. Qui agli europei di Hasselt lo scorso anno

Il Teide a febbraio

Fra la Valenciana e il debutto del Nord, come abbiamo già raccontato all’inizio dell’anno, Ballerini salirà sul Teide proprio per preparare al meglio le prime sfide sul pavé.

«Lo scorso anno – spiega non ci andai – perché avevo ancora il problema al ginocchio. La recon sui percorsi di lassù l’abbiamo già fatta a dicembre, soprattutto per capire le pressioni delle gomme per Roubaix, mentre il resto lo vedremo quando saremo su. La nuova bici per ora posso dire che è molto rigida, ma finché non saremo in gara, sarà difficile fare una vera valutazione».

Quelle immagini continuano a scorrere in loop. E’ bello immaginare la stessa azione sul Paterberg all’ultimo giro del Fiandre, avendo grande stima nelle valutazioni di Bartoli e grande fiducia nei mezzi del Ballero. Mostrano la forza e la grinta di un’atleta forte e molto generoso, forse troppo? Un grande leadout per gli uomini veloci, uno che ci piacerà veder correre anche per se stesso.

Il parere di Borgato: «Un Giro Women duro e ancora incerto»

19.01.2025
6 min
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Come normale che fosse, appena svelato il percorso del Giro d’Italia Women 2025 si sono rincorse immediatamente le prime impressioni. Quelle della maglia rosa uscente Longo Borghini le abbiamo registrate subito, ma ce ne sono altre da sentire. Giada Borgato ha seguito la presentazione della corsa e un’idea se l’è fatta, così come ci ha fornito qualche spunto supplementare.

Fino a cinquecento metri dalla fine del Giro Women dell’anno scorso, c’era solo un secondo a dividere le prime due della generale e poteva succedere di tutto. Poi sul viale in salita che portava al traguardo de L’Aquila, Longo Borghini ha distanziato definitivamente Kopecky per il trionfo inseguito da sempre. A luglio vedremo qualcosa di simile? E chi saranno le contendenti al via? Ecco cosa ci ha detto la commentatrice tecnica di Rai Sport, ormai prontissima come sempre a ricominciare la stagione.

Giada Borgato (qui con Stefano Rizzato) è commentatrice per Rai Sport. E’ stata campionessa italiana nel 2013
Giada Borgato (qui con Stefano Rizzato) è commentatrice per Rai Sport. E’ stata campionessa italiana nel 2013
Giada qual è stato il tuo primo parere sul disegno della gara?

E’ un Giro Women completo, che va verso il duro e per donne di classifica. Poche possibilità per le velociste come l’anno scorso. Penso che ci vorranno grandi gambe anche per le tappe considerate intermedie. Personalmente penso che si potrebbero vedere poco le cosiddette seconde linee. Oltre alla generale, chi punta alle tappe saranno atlete forti. E poi attenzione, sono 8 giorni e passano in un lampo. Si fa presto ad arrivare alla fine del Giro.

Apriamo allora una parentesi. Secondo te le grandi corse a tappe femminili dovrebbero durare di più?

Sono del parere che, per come è messo adesso il ciclismo femminile, sarebbe ora di aumentare il numero delle tappe, così come hanno aumentato il chilometraggio, mentre i dislivelli importanti c’erano già in passato. Lo faranno facendo un passo alla volta, ma per me una dozzina di giorni, se non addirittura due settimane, sarebbe un format perfetto. Ovvio però che ci sono sempre equilibri sottili e manovre difficili da far incastrare.

Longo Borghini con l’auto vinta al Giro Women 2024. Per Borgato parte favorita (foto facebook)
Longo Borghini con l’auto vinta al Giro Women 2024. Per Borgato parte favorita (foto facebook)
Intendi per gli organizzatori?

Quello senza dubbio. Per me vanno di pari passo gli eventuali sforzi economici per allestire una gara di quindici giorni con il lustro che tuttavia ne assumerebbe. Ma c’è altro. Penso alla distanza fra Giro e Tour perché a quel punto non ci sarebbe spazio per recuperare le energie e contestualmente le atlete sarebbero obbligate a scegliere una delle due corse, molto più di quanto non facciano già adesso. Non vorrei che in Italia rischiassimo di vedere la stessa situazione degli uomini, dove tutti i big vogliono andare al Tour. Per il momento vanno bene otto tappe per i tre Grandi Giri, ma speriamo che in futuro si possa trovare una soluzione che accontenti tutti, specie tra Giro e Tour.

Tornando al percorso, sembra molto simile a quello del 2024. Proviamo ad entrare di più nel dettaglio?

La cronometro iniziale di Bergamo sarà importante, come le sono tutte le prove contro il tempo ovunque vengano messe. L’arrivo dell’Aprica è una salita pedalabile. Le più forti si daranno già battaglia, ma potrebbero arrivare in un gruppo piuttosto nutrito. La terza tappa che arriva a Trento sarà quasi certamente per velociste, anche se il Tonale in avvio potrebbe scombinare qualche piano e strizzare l’occhio a qualche tentativo da lontano. Il traguardo in salita di Pianezze sarà il primo vero spartiacque. A differenza del primo arrivo in salita dell’anno scorso a Toano dove si era affrontata tanta pianura, stavolta ci saranno continui saliscendi ed un chilometraggio importante. Quel giorno potrebbe esserci il primo scossone in classifica.

Kopecky, seconda nel 2024, per Borgato potrebbe essere ancora la rivale principale di Longo Borghini (foto instagram)
Kopecky, seconda nel 2024, per Borgato potrebbe essere ancora la rivale principale di Longo Borghini (foto instagram)
E potrebbe iniziare un’altra corsa?

Credo proprio di sì e non solo sulla carta. La quinta frazione arriva a Monselice e sarà la seconda ed ultima possibilità per le sprinter perché gli ultimi tre giorni saranno davvero impegnativi, come l’anno scorso e forse anche di più. La tappa di Terre Roveresche ricalca quella di Urbino di un anno fa. Potrebbe prestarsi a fughe di atlete forti e le leader dovranno stare attente. Il giorno successivo c’è il tappone di Monte Nerone, senza un metro di pianura e 160 chilometri. Ci saranno tre “gpm” e l’arrivo in quota è davvero duro, con gli ultimi 8 km all’8% medio. Bisognerà fare attenzione anche eventualmente al caldo. Ad esempio quella è una tappa perfetta, come quella di Pianezze, per le caratteristiche di Longo Borghini.

Il gran finale di Imola non sarà la classica passerella.

Assolutamente no, sarà una tappa vera, da classica. L’altimetria piace ad Elisa, ma occhio ad una come Kopecky che su un percorso del genere va molto forte e potrebbe diventare pericolosa qualora in classifica fosse ancora vicina come l’anno scorso. Ha ragione Elisa (Longo Borghini, ndr) a dire che non bisogna attendere l’ultima tappa. Per me potrebbe uscire ancora una gara tirata ed incerta.

Longo Borghini ha già detto che parteciperà. Kopecky sarà ancora la prima avversaria oppure vedremo altri grandi nomi?

Se intendiamo Vollering, penso che lei farà il Tour Femmes. E’ stata presa dalla FDJ-Suez che punta dichiaratamente alla corsa di casa, quindi credo che al Giro Women verrà Labous, che poi a sua volta in Francia lavorerà per Vollering. E Labous comunque è una grande atleta, che può vincere. Ludwig va recuperata e potrebbe venire al Giro per fare classifica per la Canyon, anche se potrebbe tornare Bradbury per migliorare il suo terzo posto. Mentre credo che Kopecky sarà la capitana della SD-Worx.

Quindi non vedremo nemmeno Van der Breggen?

Secondo me Van der Breggen potrebbe essere leader al Tour. Lei torna consapevole dei suoi mezzi e sapendo di poter andare molto forte. Bisognerà capire se si vorrà scontrare con Vollering alla Vuelta prima di farlo in Francia. Anna e Kopecky non aspetteranno le classiche per decidere un eventuale cambio di programma. Comunque fra poco li dichiareranno e vedremo cosa faranno. Magari vengo smentita.

Realini si è appena fratturata il gomito, ma può recuperare bene ed essere la leader della Lidl-Trek (foto Hardyccphotos)
Realini si è appena fratturata il gomito, ma può recuperare bene ed essere la leader della Lidl-Trek (foto Hardyccphotos)
Chiudiamo con un cenno a Realini e Cavalli?

Gaia purtroppo ha subito una frattura al gomito, che è sempre critico da rimettere a posto. Tuttavia credo che abbia abbastanza tempo per recuperare. Secondo me in Lidl-Trek capiranno strada facendo chi correrà il Giro Women da leader. Essendo italiana potrebbero avere un occhio di riguardo e a parità di forze con Fisher-Black e Markus, correranno per Gaia. Per lei comunque dirà tanto la crono iniziale. Marta invece bisogna vedere cosa sceglierà. Se lei dice di fare il Giro Women, la Picnic-PostNL la schiera subito e volentieri. E’ un’ottima vetrina per potersi rilanciare senza troppe pressioni.

Il progetto World Tour di Miche, ben oltre la sponsorizzazione

18.01.2025
7 min
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Miche è diventata ufficialmente partner e fornitore tecnico del Team Groupama-Fdj, di fatto sostituendo una parte della sponsorizzazione (e collaborazione tecnica) Shimano che durava da oltre un ventennio (dal 1997). Un aspetto quest’ultimo tutt’altro che banale.

Se è vero che Miche e Wilier fanno parte della stessa famiglia, è altrettanto vero che le due aziende hanno due anime distinte, separate, indipendenti. Anche per questi motivi entriamo nel dettaglio dell’intervista fatta a Gregory Girard, Amministratore Delegato di Miche e madrelingua francese, che ci spiega i dettagli principali del progetto World Tour. Vogliamo toccare anche alcuni aspetti tecnici della fornitura dei materiali, grazie al contributo di Paolo Bisceglia, Product Manager di Miche.

Una crescita del team, non solo tecnica

«Passano i giorni e le settimane – racconta Girard – e ci rendiamo conto che siamo entrati in un team che ha, oltre al resto, anche l’obiettivo di internazionalizzarsi. Groupama-Fdj Cycling Team vuole scrollarsi di dosso quell’etichetta di team marcatamente francese. Pur essendo di madrelingua, il francese tra me ed i referenti della squadra è stato utilizzato in rare occasioni. La maggior parte degli incontri e le discussioni sono state fatte in inglese. Anche se sono francese l’accordo tra Miche ed il team avrebbe preso forma in ogni caso. Diciamo che più che la mia persona ha avuto un valore importante il rapporto che è stato instaurato con Wilier».

La squadra è all’opera con i nuovi materiali (foto Groupama-FDJ)
La squadra è all’opera con i nuovi materiali (foto Groupama-FDJ)

Alzare l’asticella e mantenere l’identità

«Il progetto World Tour di Miche – prosegue Girard – era una cosa che andava fatta. Il motivo principale è quello che voler alzare ulteriormente la qualità e la resa tecnica di tutti i prodotti Miche ed essere al fianco di un team World Tour è il massimo. E’ molto dispendioso, ma è anche una risorsa alla quale attingere, per conoscenze e sviluppo. Inoltre è fondamentale per aiutare il grande pubblico a cambiare la percezione che ha del marchio.

«Essere parte del gruppo Wilier significa condividere informazioni, creare sinergie – argomenta Girard – Miche è una cosa e Wilier è un’altra, le identità dell’una e dell’altra parte non sono in discussione».

Fornitura enorme, questo è il World Tour

La sponsorizzazione e la fornitura tecnica per una compagine World Tour sono un impegno enorme. Sono inclusi anche il devo team e quello juniores

«In più – prosegue Girard – c’è lo sviluppo dei prodotti del futuro e abbiamo dato la massima disponibilità anche per eventuali personalizzazioni e richieste nel corso della stagione. Il contratto è di tre anni e come fornitura per il 2025 si contano 350 coppie di ruote da strada, alle quali si aggiungono 50 coppie da crono. E’ molto, ma non sono numeri estremi, ci sono squadre che chiedono molto di più. Le ruote occupano il ruolo principale, poi ci sono alcuni componenti che stiamo sviluppando con loro, senza dimenticare le corone Miche da crono».

Galleria del vento protagonista per Miche e per il team francese (foto Miche)
Galleria del vento protagonista per Miche e per il team francese (foto Miche)

L’ufficio tecnico Miche sotto pressione

Miche conta 42 dipendenti e l’ufficio tecnico ne ha 3, che si occupano dei progetti e si interfacciano con i tecnici del team e ultimamente è parecchio sotto pressione.

«I pensieri maggiori, quelli da mal di testa in fase di trattativa – conclude Girard – non arrivano dal contratto di sponsorizzazione, non sono legati agli aspetti finanziari, ma proprio alle richieste tecniche e dalla fornitura dei materiali da prevedere in tempi brevissimi. Groupama-Fdj adesso è la punta della piramide e poi c’è il resto, la mtb ed il gravel, la pista, non in ultimo il mercato dei normali utilizzatori».

Livrea nera con i dettagli argento per le ruote del team (foto Miche)
Livrea nera con i dettagli argento per le ruote del team (foto Miche)

La valutazione dei prodotti

La prima fornitura risale a fine 2023. Miche ha fornito le ruote da 50 e 62 millimetri, mentre il team continuava la sua attività con la fornitura completa da parte di Shimano.

«Prima di passare a prodotti Miche – spiega Paolo Bisceglia, product manager di Miche – lo staff tecnico francese ha voluto analizzare i dati nella galleria del vento e poi dare a soli due corridori le ruote da usare, da testare a fondo. Sono stati eseguite anche diverse prove comparative con i materiali che già utilizzavano. L’obiettivo era quello di misurare le performance, un lavoro estremamente utile anche per noi».

Gli stessi materiali in commercio

Non ci sono segreti. Le ruote da 36, 50 e 62, ovvero le Kleos RD in dotazione alla squadra, sono le medesime che può acquistare un normalissimo utente, come prevede il regolamento tecnico UCI.

«Oltre alle ruote da strada – prosegue Bisceglia – Miche fornisce i perni passanti alleggeriti, le corone da crono, compreso il sistema monocorona X1RD. Ovviamente le ruote da crono, la lenticolare e la nuovissima tre razze. Quest’ultima è il primo strumento super performante e super tecnologico che prende forma grazie alla collaborazione tra Miche, Groupama-Fdj e la galleria del vento di Silverstone e la GST usata per analizzare le forme degli Airbus. E’ stata creata in circa sei mesi, un lasso temporale ridottissimo. Ci sono poi una serie di componenti che stiamo facendo testare e analizzare, tra questi un movimento centrale che annovera dei materiali mai utilizzati in precedenza in questo segmento».

Puntigliosi e precisi: un grande stimolo

«L’impegno è enorme – chiosa Bisceglia – non si può nascondere, quando si entra in contatto con il World Tour tutto si amplifica. Le giornate dovrebbero essere di 30 ore e forse non basterebbero. E devo dire che per ora non sono arrivate richieste particolari, ma arriveranno quando ci saranno da sviluppare altri componenti e quando i materiali saranno portati sul pavé. D’altronde il loro ed il nostro obiettivo è migliorare e non dimentichiamo che tutti i prodotti Miche di ultima generazione sono per la prima volta al servizio del World Tour.

«Come staff tecnico – conclude Bisceglia – abbiamo una persona totalmente dedicata a loro e più in generale faremo una serie di affiancamenti durante i training camp e le prime corse in Europa. Gli stessi affiancamenti prevedono sessioni di lavoro con lo staff tecnico della squadra, i meccanici e gli stessi corridori».

Paolo Rosola, Paola Pezzo e due figli in cerca di futuro

18.01.2025
6 min
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Nella loro casa, il ciclismo è un affare di famiglia. Per questo quando domenica scorsa Patrick ha conquistato il titolo italiano di ciclocross fra gli juniores, al dodicesimo giorno nella categoria, Paolo Rosola e la sua compagna Paola Pezzo erano al settimo cielo. Dopo un mese di gare in Belgio, il tricolore ha confermato quanto di buono hanno sempre pensato del figlio più piccolo.

La stagione sta cominciando. Kevin si accinge a correre per il secondo anno con la General Store di cui Paolo è il diesse. Il piccolo sta per debuttare fra gli juniores anche su strada con la veronese Assali Stefen. Parlarne con loro padre è il modo per vivere da un lato le sensazioni della famiglia, dall’altro rendersi conto di alcune dinamiche del ciclismo di adesso.

Sul podio tricolore juniores di Faè d’Oderzo, Patrick Pezzo Rosola ha preceduto Fabbro e Grigolini (foto Bicitv)
Sul podio tricolore juniores di Faè d’Oderzo, Patrick Pezzo Rosola ha preceduto Fabbro e Grigolini (foto Bicitv)
E’ arrivata la maglia tricolore, ve la aspettavate?

Patrick sta venendo su piano piano, avendo avuto anche l’esperienza di Kevin. Lui è stato un po’ sfortunato. Sta uscendo adesso, ma ha tempi molto stretti, dato che ha 22 anni. Non ha un procuratore, se vai forte a cosa serve? E poi nemmeno lo guarderebbero più, visto che cercano corridori sempre più giovani.

Come se 22 anni fossero troppi per crederci ancora…

Si trova nella situazione di tanti altri. Parlo anche per loro e purtroppo noto che di tanti preparatori e direttori sportivi italiani che abbiamo nel mondo, non c’è stato mai nessuno che abbia dato una mano a inserire i ragazzi di 22 anni. Vanno forte, magari hanno avuto qualche intoppo eppure sono ancora qui.

Qualche intoppo?

I ragazzi del 2022 hanno uno sviluppo diverso rispetto a quelli di adesso. Tanti non hanno tenuto in considerazione che hanno perso almeno il secondo anno da juniores per il Covid. Oggi le squadre sono alla ricerca dei fenomeni, quelli con la cilindrata potente. Quello che forse abbiamo sbagliato con Kevin è avergli lasciato fare troppo fuoristrada da ragazzino, ma non si pensava mai che si andasse a finire così.

Chiusa la stagione del cross, dal 2 febbraio Patrick Pezzo Rosola si dedicherà alla strada
Chiusa la stagione del cross, dal 2 febbraio Patrick Pezzo Rosola si dedicherà alla strada
Così come?

E’ arrivato su strada dal fuoristrada, senza il secondo anno da junior, in un ciclismo velocissimo. Ha avuto un adattamento più che faticoso. Invece Patrick è partito diversamente. Ha fatto ugualmente il fuoristrada da giovane, però da esordiente ha cominciato a correre anche su strada, ha fatto la multidisciplina.

Senza sbilanciarsi da una parte o l’altra?

Esatto, non si è precluso alcuna possibilità e alla fine ha scelto la strada. Non si limita al ciclocross, però abbiamo dovuto lasciare andare la mountain bike. E’ stata una sua scelta. Anche in famiglia, pur avendo la mamma campionessa olimpica e il sottoscritto che dopo la carriera su strada è passato al fuoristrada, ci siamo resi conto che la mountain bike non ti dà un futuro. Ci sarebbe toccato girare il mondo per ottenere poco. Invece così è a casa, su strada ha fatto i suoi numeri ed è tanto competitivo.

Era nell’aria che potesse vincere il campionato italiano juniores?

Siamo stati un mese in Belgio col camper: Paola, lui ed io. Lassù nel giro di due ore hai tutte le gare che vuoi. Avremmo potuto anche continuare, ci invitavano, ma a un certo punto abbiamo detto basta. Ha corso senza pressione, per capire gli sbagli, leggere i percorsi e imparare come corrono lassù. Abbiamo fatto Namur, ha corso anche la Coppa del mondo con la nazionale, poi ci siamo fermati e siamo rientrati il 31 dicembre.

A Loenhout per Patrick il secondo posto a 5″ dal ceko Krystof Bazant (foto Exact Cross)
A Loenhout per Patrick il secondo posto a 5″ dal ceko Krystof Bazant (foto Exact Cross)
E una volta a casa?

Prima è andato in ritiro con la squadra della strada. Si è fatto un po’ di chilometri senza pensare al campionato italiano e poi siamo andati a correre. Forse non eravamo certi che avrebbe vinto, ma al podio si puntava. E adesso dopo il mondiale si chiude col cross e si cambiano gli scenari.

E’ davvero così determinato?

Non sta subendo la pressione dei genitori. Va a scuola, è un ragazzo normale, non pensa solo alla bici, ma quando serve è concentrato. Ha il carattere di sua mamma, sto rivedendo Paola.

E’ stato allievo con l’Ausonia Pescantina e ora correrà con la Assali?

Esatto, sono di Verona e ci viene comodo perché è vicino casa. Ha avuto richieste da altre squadre, ma abbiamo preferito così per conciliare meglio tutti i nostri impegni. Però lo seguono il suo preparatore e il fratello che lo consiglia su tutto. Ci ha chiesto Patrick di avere un preparatore e adesso lavora con Riccardo Bernabè che è con noi alla General Store. Prima non sapeva nemmeno cosa fosse un cardio, oggi invece devi saper usare gli strumenti, perché fanno parte del lavoro.

Kevin Pezzo Rosola ha vinto la Coppa della Pace, una delle internazionali più severe dell’estate
Kevin Pezzo Rosola ha vinto la Coppa della Pace, una delle internazionali più severe dell’estate
Cosa si può dire di Kevin?

Penso che abbia i numeri, negli ultimi tempi è cresciuto molto tanto da aver fatto bei piazzamenti e vinto la Coppa della Pace. Ha perso il secondo anno da junior e ha faticato per trovare la sua dimensione. Il preparatore dice che i test sono buoni, ma l’ho offerto a tante squadre e nessuno me l’ha preso.

Per quali motivazioni?

Mi sono sentito dire cose di cui avrei fatto a meno. Il sistema è cambiato. Se vuoi un lavoro, devi passare attraverso le agenzie e difficilmente arrivi a chi il lavoro deve dartelo davvero. Questo è il mondo. Una volta c’era il padrone e parlavi direttamente con lui, adesso ci sono dei filtri. Per le grandi squadre è diventato più facile, non devono neanche andarli a cercare, perché glieli portano. Non è un sistema perfetto, però bisogna dire che funziona. 

E’ difficile fare il direttore sportivo di tuo figlio?

Molto, perché devi mandare giù certe cose e anche certe scelte della società. Quando parli con i ragazzi, lui è sempre quello che viene messo in discussione. E questa è una cosa che non succederà se dovessi ritrovarmi anche con Patrick. O smetto di fare il direttore sportivo, oppure vado in un’altra squadra. Patrick sarà molto più libero, voglio che faccia le sue scelte.

Kevin Pezzo Rosola ha chiuso la stagione al Giro del Veneto e alla Veneto Classic
Kevin Pezzo Rosola ha chiuso la stagione al Giro del Veneto e alla Veneto Classic
In tutto questo mamma Paola cosa fa?

E’ una che ha vinto due Olimpiadi, il carattere non le manca. Fa la mamma, li consiglia, li aiuta, magari non nella preparazione della gara, ma in tutto il resto. Più Patrick che Kevin, perché lui ormai convive con la sua compagna.

Dicevi di Patrick che è un ragazzo normale che va a scuola.

Fa una scuola alternativa al lavoro che dura tre anni, così se dall’anno prossimo diventerà un corridore, sarà libero di farlo a tempo pieno. Se poi vorrà continuare a studiare, potrà comunque farlo. Nell’ultimo periodo del ciclocross, andava a lavorare. Faceva le otto ore da elettricista, veniva a casa, andava in bici e via. A volte la scuola gli ha lasciato un giorno o due per potersi allenare, ma fra ottobre e novembre ha sempre lavorato eppure in gara andava bene. Questo significa che il ragazzo c’è e ha passione. Il mio sogno sarebbe vederli correre nella stessa squadra, chissà che non ci si possa riuscire…

Tra ciclocross e nuovo coach, l’inverno tribolato di Merlier

18.01.2025
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E’ proprio vero che in tanti casi il dolce viene alla fine. Analizzando l’inverno di Tim Merlier è proprio così. Settimane tribolate, con un magone nello stomaco che non poteva togliersi. Viso accigliato e quella sensazione di disagio che accompagnava le sue due uniche uscite nel ciclocross (che meritano un approfondimento, ma ci torneremo più avanti): «Sapevo da tempo che Erwin Borgonjon stava per lasciarmi e non potevo neanche dirlo. Un problema per il mio futuro che diventava più incerto, ma poi c’era anche l’aspetto umano, un rapporto di lavoro e d’amicizia che durava da 11 anni».

Una delle vittorie del belga al Tour, a Pontivy nel 2021. Ci tornerà quest’anno, come pure alla Vuelta
Una delle vittorie del belga al Tour, a Pontivy nel 2021. Ci tornerà quest’anno, come pure alla Vuelta

Il doloroso addio a Borgonjon

Borgonjon è stato per questo lasso di tempo il suo allenatore e Tim gli deve molti dei suoi successi, della sua crescita veemente fino a diventare uno degli sprinter di riferimento. Il tecnico ha scelto di dirigersi verso la Tudor, inquadrandosi nel grandioso progetto messo in piedi da Cancellara e per Merlier tutto è stato messo in discussione: «Non sapevo con chi sostituirlo – ha raccontato, a cose fatte, a Wielerflitscon Erwin avevamo una fiducia reciproca al 100 per cento. Mi conosceva più di quanto mi conosco io».

Poi, mentre Tim era ancora alla ricerca di un nuovo coach, la Soudal ha deciso per lui affiancandogli l’ex direttore tecnico della federazione belga Frederik Broché. Cambiare in corsa non è mai semplice, c’è stata da impostare tutta la stagione e soprattutto la preparazione in tempi ultrarapidi: «Con Frederik cambia molto, in termini di approccio e strategie ma potrebbe essere una scelta molto fruttuosa».

Per Merlier due sole gare di ciclocross quest’anno, ma il corridore di Wortegem ne avrebbe fatte altre (foto Corvos)
Per Merlier due sole gare di ciclocross quest’anno, ma il corridore di Wortegem ne avrebbe fatte altre (foto Corvos)

Che fatica con Iserbyt e Vanthourenhout

Qui entra in scena il discorso ciclocross. Cambiando con così poco tempo, c’è stato da decidere e Broché, che pure è favorevole all’attività invernale, ha dovuto optare per una presenza sporadica, ridotta a due sole gare nel periodo delle feste: «Il ciclocross dà un’intensità più profonda che il puro allenamento su strada e Broché è della mia stessa opinione – ha spiegato a Sporza il campione europeo su strada – la preparazione per l’attività invernale è utile anche per il miglioramento della tecnica di volata perché permette di affinare la guida e mantenere un alto livello di competitività. Avrei fatto altre gare, ma coincidevano con il periodo di preparazione in Spagna e non era il caso di saltarlo o interromperlo».

Eppure Merlier aveva sorpreso a Loenhout, soprattutto in quell’avvio dov’era l’unico a tenere il passo di Van der Poel, anche più di Van Aert andando poi in calando ma chiudendo comunque nono. Molto meglio di quanto aveva preventivato: «Nel ciclocross non t’inventi niente. Le gare belghe sono spesso altalenanti – diceva prima della partenza – e se parti molto indietro non puoi ambire al risultato, vedi quel che è successo a Toon Aerts nelle prime gare. Io non le ho preparate in modo specifico, anzi per dirla tutta ho fatto una sessione di allenamento con Iserbyt e Vanthourenhout, ma è stata troppo dolorosa…».

A Loenhout nella prima parte ha lottato ad armi pari con Van Aert e Van der Poel
A Loenhout nella prima parte ha lottato ad armi pari con Van Aert e Van der Poel

La protesta degli altri big

Intorno al campione della Soudal si era anche creato un vespaio. Merlier aveva paventato infatti l’idea di competere nella prova di Besançon della Coppa del mondo, ma poi aveva deciso di soprassedere per non mettere in difficoltà il cittì De Clercq. Questi avrebbe dovuto fargli avere una wild card, ma dagli altri capisquadra c’era stata un’autentica levata di scudi che aveva minato i già tenui equilibri in seno alla nazionale.

Dicevamo però all’inizio che il dolce viene alla fine. In occasione del media day del team è stato infatti reso noto che Merlier ha prolungato il suo contratto per altri 4 anni: «Fin da quando ero giovanissimo sognavo questo team, quello del Wolfpack e prolungare il contratto per altri due anni significa molto. Ho già vinto molto con questa maglia, potrò farlo anche di più insieme a Bert».

Merlier con Bert Van Lerberghe, amico d’infanzia e suo uomo fidato per le volate
Merlier con Bert Van Lerberghe, amico d’infanzia e suo uomo fidato per le volate

Un uomo solo per il Tour

Bert è Bert Van Lerberghe, che era arrivato con lui e con il quale condivide un’amicizia sin da quando erano bambini: «La nostra intesa si traduce in un forte legame anche in corsa e il fatto che abbiano rinnovato il contratto anche a lui mi dà ancora più fiducia. E’ l’uomo ideale per guidare le mie volate, anzi ho già detto che per il Tour avrò bisogno solo di lui per giocarmi le mie chance di conquistare una tappa».

Già, perché nel programma di Merlier c’è anche la Grande Boucle, insieme alla Vuelta. La sua presenza al Tour era sfumata lo scorso anno perché i tecnici giudicavano impossibile impostare una squadra su due obiettivi, la classifica di Evenepoel e le sue volate. La soluzione proposta dallo stesso Merlier ha dissolto le nubi e quindi alla prossima edizione si lavorerà per fare il meglio in entrambe le direzioni. Prima ci sarà da pensare però alle classiche.

Merlier vanta un ottimo passato nel ciclocross, con ripetuti podi tra il 2013 e il 2018 (foto Corvos)
Merlier vanta un ottimo passato nel ciclocross, con ripetuti podi tra il 2013 e il 2018 (foto Corvos)

Appuntamento a Kuurne

Merlier farà il suo esordio all’AlUla Tour e poi si concentrerà sulle classiche: «Ci riproverò alla Gand-Wevelgem, ma bisogna che i pezzi del puzzle vadano a combinarsi nel dovuto modo, mentre la Roubaix si sa che è legata molto alla fortuna. Per il resto, senza Asgreen e Alaphilippe, il nostro modo di correre le classiche cambierà e saremo di più a poter emergere. Attenzione ad esempio a Lampaert, Vangheluwe e Van Gestel, sono tutti in grado di fare molto bene. E poi c’è Magnier, che per me è come Van Aert, anzi è anche più veloce».

Il belga ha già scelto comunque la gara su cui puntare e la scelta stupisce: «Se devo dirne una, penso alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne perché ha il percorso ideale per me». Poi fa una promessa: «Un giorno farò tutta la stagione del ciclocross, preparandola come si deve. Perché sarà la stagione del mio addio».

MBH Bank-Ballan e un calendario ancora più internazionale

18.01.2025
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Riuscire a inquadrare il mondo delle continental italiane non è affatto semplice. Nel nostro Paese ne risultano iscritte undici, dopo la chiusura della Zalf Euromobil e del CTF Victorious, che però continuerà la sua attività come devo team della Bahrain Victorious: ruolo che la squadra guidata da Renzo Boscolo copriva indirettamente già da qualche stagione. Una delle formazioni di punta tra le continental italiane è la MBH Bank-Ballan-Csb-Colpack (in apertura foto NB Srl). La squadra guidata da Bevilacqua e Valoti è una delle poche che propone un calendario di alto livello ai propri corridori, nonostante la grande varietà di profili presenti all’interno del suo organico.

Cesare Chesini, scalatore classe 2004, arriva dalla Zalf (photors.it)
Cesare Chesini, scalatore classe 2004, arriva dalla Zalf (photors.it)

Nuovo anno

Che stagione sarà la prossima? Questa domanda la giriamo a Davide Martinelli. Il quale dopo aver smesso di correre è passato al ruolo di diesse proprio con la MBH Bank, formazione che dieci anni fa lo ha lanciato nel professionismo. 

«Per ora – spiega Davide Martinelli – siamo in una fase di programmazione. Manca ancora qualche settimana prima dell’inizio dei vari impegni, il ritrovo sarà con i ragazzi in Spagna per un ritiro. Quest’anno saremo a Gandia, più vicino a Valencia. Partiremo i primi di febbraio. Abbiamo ultimato la rosa per il 2025 e sono contento dei ragazzi che sono arrivati».

Oioli è un profilo interessante, pronto a crescere ancora e affermarsi tra gli under 23 (foto Pettinari)
Oioli è un profilo interessante, pronto a crescere ancora e affermarsi tra gli under 23 (foto Pettinari)
Quali sono i nomi più interessanti?

Di quelli che si uniscono a noi quest’anno direi Chesini, che arriva dalla Zalf, e Oioli. Entrambi arrivano da formazioni che hanno chiuso (rispettivamente Zalf Euromobil e Q36.5 Continental, ndr). Al contrario di quanto si possa pensare, dispiace sempre vedere che delle realtà smettono di esistere. Noi come amanti del ciclismo e del movimento giovanile vorremmo vedere nascere nuove squadre ogni anno. 

Cosa ne pensi di questi due ragazzi?

Mi auguro, e un po’ lo credo, che Chesini possa essere il sostituto di Kajamini. E’ uno scalatore che va bene in pianura e ha anche uno spunto veloce. Si trova in quell’età in cui ogni anno riesce ancora a migliorare molto. Oioli è un profilo interessante per le corse miste, credo che il nostro possa essere un ambiente ideale per lui.

Pavel Novak sarà uno dei volti della MBH Bank-Ballan-Csb-Colpack nel 2025 (foto NB Srl)
Pavel Novak sarà uno dei volti della MBH Bank-Ballan-Csb-Colpack nel 2025 (foto NB Srl)
Da coloro che sono rimasti cosa ci dici?

Ci sono i soliti Bracalente (in questi giorni in ritiro con la Cofidis in Spagna, ndr) e Bagatin. Ma anche Novak, che l’anno scorso ha fatto una bella annata. Poi abbiamo dei giovani pronti a fare un passo ulteriore, tra questi mi viene in mente Edoardo Cipollini. Lui già l’anno scorso ha fatto vedere degli sprazzi di talento, lo aspettiamo a un livello superiore. 

Avete preso un solo junior: Enrico Simoni.

Credo che si debba andare a fasi alterne. In una squadra ci devono essere dei corridori di maggiore esperienza che trascinano gli altri. I giovani hanno solo da imparare da questi ragazzi. Se ogni anno si carica la squadra di giovani si rischia di non avere continuità. Ora siamo in un momento in cui abbiamo puntato qualcosa in più sugli elite, infatti ne abbiamo quattro. E comunque oltre a Simoni abbiamo preso tre juniores ungheresi a mio avviso interessanti. 

Meris è stato il riferimento per le corse tra i pro’ nella passata stagione, chi prenderà il suo posto? (foto NB Srl)
Meris è stato il riferimento per le corse tra i pro’ nella passata stagione, chi prenderà il suo posto? (foto NB Srl)
Come gestirete il calendario delle gare quest’anno, vista anche la rosa più esperta?

Vorremmo allargare i nostri orizzonti, ieri abbiamo guardato quali gare vorremmo fare. Ci piacerebbe inserire corse di buon livello all’estero, come quelle che fa la Vf Group-Bardiani: Sibiu Tour e qualche gara in Francia. Questo per dare più spazio ai nostri atleti elite. Il calendario italiano è valido, ma ci si deve confrontare anche fuori dal nostro Paese. Poi abbiamo in programma le corse dello scorso anno: Laigueglia, Coppi e Bartali, Giro di Ungheria, Giro d’Abruzzo.

Alle quali si deve aggiungere il calendario under 23…

Saremo, come ogni anno, alle gare nazionali e internazionali di categoria. Per i nostri atleti di riferimento partecipare alla Coppi e Bartali o al Giro d’Ungheria prima del Giro Next Gen penso sia un valore aggiunto. Lo abbiamo visto con Novak e Kajamini nel 2024. 

Dopo una prima stagione nella quale ha preso le misure alla categoria Edoardo Cipollini è chiamato al salto di qualità (photors.it)
Dopo una prima stagione nella quale ha preso le misure alla categoria Edoardo Cipollini è chiamato al salto di qualità (photors.it)
Con le gare regionali come vi comporterete?

Come sapete a questi appuntamenti le squadre continental possono portare solamente i ragazzi di primo e secondo anno. Sono corse che servono ai giovani per fare esperienza e testarsi, anche se poi molti organizzatori stanno rendendo queste gare di livello nazionale. Nel 2024 avremo partecipato a sei o sette corse regionali. 

Un esempio è proprio Cipollini, che hai nominato a inizio intervista.

Lui ha corso diverse gare nazionali, dove ha provato a mettersi in mostra, ha sbagliato e imparato. In questo modo ora è pronto per alzare il livello e partecipare ad appuntamenti internazionali.

Van der Poel e l’iride in Mtb. Per Braidot ce la può fare

18.01.2025
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Mathieu van der Poel è un campione poliedrico come pochi altri nella storia del ciclismo. L’asso olandese ha già messo in bacheca sei titoli mondiali di ciclocross, un mondiale gravel, uno su strada e innumerevoli altre vittorie. Tuttavia, manca ancora qualcosa nella sua bacheca: il titolo mondiale di mountain bike. «Se potessi scegliere – ha dichiarato a Sporza – vorrei diventare campione del mondo di mountain bike quest’anno. Non ci sono ancora riuscito e l’idea continua ad essere presente nella mia mente e questo potrebbe essere un anno ideale».

Per approfondire le possibilità del campione olandese in questa disciplina, abbiamo parlato con Luca Braidot, il miglior biker italiano. Con la sua esperienza, Braidot ci ha offerto una prospettiva privilegiata sulle incursioni dei campioni della strada nel mondo della mountain bike e soprattutto sulle chance di Van der Poel di conquistare il titolo iridato a Crans Montana, in Svizzera.

L’ultima apparizione di Van der Poel risale a Nove Mesto, maggio 2021 (foto AP)
L’ultima apparizione di Van der Poel risale a Nove Mesto, maggio 2021 (foto AP)
Luca, prima di tutto come stai? Come inizia questa stagione?

Al netto di questa influenza sto bene. Ho fatto un primo ritiro a dicembre in Spagna e tra poco partirò per il secondo ritiro col team. La preparazione sta andando bene e ci saranno un po’ di novità per l’anno prossimo, sia a livello di team sia di calendario. Direi che sta andando tutto per il meglio.

La scorsa stagione hai puntato sull’Olimpiade. Quest’anno la preparazione è diversa?

Sì, l’anno scorso la stagione è stata impostata sull’Olimpiade, quindi ho sacrificato la prima parte per essere sicuro di esserci nel momento giusto. E spesso puntavo a singoli obiettivi. Quest’anno invece voglio provare a fare classifica in Coppa del Mondo, quindi cercherò di essere il più costante possibile durante tutto l’anno. È qualcosa di nuovo per me, ma mi stimola molto.

Come vedi le incursioni di campioni della strada nel mondo della mountain bike?

Aiutano molto il movimento. Non sono semplici stradisti, sono tra i migliori ciclisti al mondo. Pidcock, ad esempio, è un atleta importantissimo e averlo nelle nostre gare è un grande vantaggio per tutto il movimento. Lo stesso vale per Van der Poel, che è uno dei ciclisti che rimarrà per sempre nella storia.

A Parigi, Luca Braidot ha ottenuto il 4° posto, con una gara di rimonta dopo una foratura
A Parigi, Luca Braidot ha ottenuto il 4° posto, con una gara di rimonta dopo una foratura
Hai avuto modo di gareggiare contro Van der Poel in mountain bike: da biker esperto come lo vedi?

È un po’ di anni che non corro contro di lui. Lui manca dalla mtb da diverso tempo. A Tokyo se non sbaglio ha fatto la sua ultima apparizione e la sua ultima stagione completa in mountain bike risale al 2019. In quell’anno era già fortissimo e oggi è uno dei migliori ciclisti di sempre. Che dire: Van der Poel va forte e anche tecnicamente sa guidare. Gli stradisti di quel calibro sono soprattutto forti fisicamente: hanno a disposizione strutture importanti alle spalle, grazie a team WorldTour che sono molto più strutturati dei nostri. In più possono fare corse importanti e questo li porta ad un livello atletico molto elevato.

Luca, ma vista l’evoluzione che c’è nella mtb e da quanto tempo Van der Poel manca dalla mtb, è davvero possibile per lui vincere il mondiale?

Per me sì. Se uno come lui decide di puntare al mondiale di mountain bike, sicuramente sarà tra gli uomini da battere. Se Mathieu dice che vuole provarci, allora è fattibile. È un talento indiscusso e se si dedica alla disciplina, avrà sicuramente le sue chance. Certo, la mountain bike è in continua evoluzione: materiali, percorsi, tecnica… Ma se si prepara con costanza può farcela. E come dicevo ha strutture importanti alle spalle, sono supportati alla grande. In più immagino che se deciderà di fare il mondiale, farà anche qualche gara di Coppa.

Cosa pensi del percorso del mondiale a Crans-Montana? E’ adatto alle sue caratteristiche. Per dire un tracciato come Andorra, con quella lunga salita, lo sarebbe stato di sicuro…

Abbiamo corso a Crans Montana l’anno scorso per la prima volta, ma con condizioni climatiche estreme: c’era tantissimo fango. È difficile dire come sarebbe con l’asciutto, ma in generale mi sembra un percorso abbastanza semplice a livello tecnico, salvo un paio di sezioni artificiali più complicate. Se fosse asciutto, potrebbe avvantaggiare un atleta polivalente come Van der Poel.

A Tokyo finì così per l’olandese: pochi minuti di gara e un mal di schiena che si protrasse per mesi. Anche per quel motivo si allontanò dalla mtb (foto UCI MTB SwPix)
A Tokyo finì così per l’olandese: pochi minuti di gara e un mal di schiena che si protrasse per mesi. Anche per quel motivo si allontanò dalla mtb (foto UCI MTB SwPix)
Prima Luca hai accennato alle differenze atletiche con grandi atleti della strada, però sul fronte tecnico, magari voi biker puri avete qualcosa in più. E’ così?

Come dicevo la grande differenza è nella preparazione. L’inizio della Coppa del mondo, per dire, coincide col termine delle grandi classiche e loro ci arrivano con una forma fisica impressionante. Nelle prime gare dell’anno, come a Nove Mesto, sono quasi imbattibili. Più avanti nella stagione, diventano più alla portata. Sì sul tecnico magari perdono qualcosa, ma oggi le bici consentono di fare certi passaggi anche ai bambini e consentono di ridurre questo gap.

Chiaro…

E poi un percorso o un passaggio in un weekend magari lo riprovi 50 volte e alla fine, anche piccoli gap tecnici si annullano o quasi. Ammesso poi che Pidcock abbia difficoltà sul tecnico! Lui ad esempio, è fortissimo anche sul tecnico. E Van der Poel non è troppo da meno.

Però Luca Braidot vendere cara la pelle…

Tutti i biker lo fanno! A Parigi, ad esempio, sono stato molto sfortunato ma sono riuscito a recuperare un grande gap. Mi ero preparato per una gara che credevo sarebbe stata di gruppo, nella quale ci sarebbe stato da limare, ma è andata diversamente. Sono soddisfatto di come ho reagito, e spero di fare ancora meglio quest’anno.

Da juniores ai devo team: gli otto volti (+ uno) del ciclismo italiano

17.01.2025
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Nel 2025 saranno otto gli azzurri che passeranno under 23 in un devo team: Stefano Viezzi, Lorenzo Mark Finn, Andrea Bessega, Davide Stella, Enea Sambinello, David Zanutta, Ludovico Mellano e Luca Attolini. A questi si aggiunge un nono volto, che è quello di Roberto Capello. Quest’ultimo andrà a correre il suo secondo anno da juniores all’estero: al Team Grenke-Auto Eder. Una migrazione massiccia, segno che i nostri ragazzi attraggono lo sguardo delle grandi squadre che su di loro sono pronte a investire. Affrontiamo il discorso con Dino Salvoldi, cittì della nazionale juniores, il quale è rimasto in contatto con loro fino a pochi mesi fa. 

«Partiamo con il dire – ci aggancia Salvoldi – che non conosco le motivazioni di ognuno di loro. Alcuni parlano, chiedono dei consigli, mentre altri vanno per la loro strada. Quello che differenzia l’andare in un devo team, oppure in una formazione come la Vf Group-Bardiani-CSF Faizanè, è la prospettiva che queste realtà offrono a medio termine. Solitamente i ragazzi firmano contratti di quattro anni con la formula “due più due” ovvero: due stagioni nel devo team e due anni già nel WorldTour (la squadra dei Reverberi non ha una formazione di sviluppo, quindi i ragazzi passano subito professionisti, ndr)».

Davide Stella (a sinista) ed Enea Sambinello (a destra) sono passati U23 con il UAE Team Emirates Gen Z
Davide Stella (a sinista) ed Enea Sambinello (a destra) sono passati U23 con il UAE Team Emirates Gen Z

Programmazione

La grande differenza che le formazioni di sviluppo offrono è un calendario di livello e la sicurezza di avere, nella maggior parte dei casi, già degli accordi per passare professionisti. Non è sempre così, e molti ragazzi scelgono comunque di fare il salto tra gli under 23 in un devo team piuttosto che rimanere in Italia. 

«In queste squadre – prosegue Salvoldi – i corridori affrontano un calendario di grande qualità e per lo più internazionale, cosa che una squadra continental italiana fatica a proporre, alcune eccezioni in positivo ci sono. In una squadra development si affronta la stagione con una programmazione diversa. Si corre un po’ meno ma per obiettivi, i ragazzi apprendono delle caratteristiche funzionali al mondo dei professionisti. Non si guarda alla continuità di rendimento ma a una crescita. Sono discorsi che esulano dal “è troppo presto, è troppo tardi”».

Dopo due stagioni alla Borgo Molino Bessega è approdato alla Lidl-Trek Future Racing (foto Lidl-Trek)
Dopo due stagioni alla Borgo Molino Bessega è approdato alla Lidl-Trek Future Racing (foto Lidl-Trek)
Tutti i ragazzi che passano nel 2025 sono pronti?

Penso di sì, tutti con possibilità e caratteristiche differenti. Sono diverse anche le squadre, quindi generalizzare diventa un rischio. 

Ad esempio Lorenzo Finn continua un percorso iniziato nel 2024, quando era ancora juniores. 

Avete detto un nome non a caso. Lui è l’esempio di un corridore che ha le qualità naturali per diventare un professionista che gareggia per i grandi risultati. E’ tutto un altro modo di correre, improntato a vincere. Finn è l’esempio di uno che è pronto subito ad un certo tipo di attività, la stagione scorsa ne è un esempio (in apertura foto Maximilian Fries).

Poi c’è chi si è guadagnato questa occasione a suon di risultati, come Bessega e Sambinello

Questi due si sono guadagnati lo spazio nei rispettivi devo team grazie ai risultati ottenuti da juniores. Magari per il profilo di carriera che potranno fare non sarà di primo livello, cosa paragonabile a chi non ha avuto la stessa occasione. 

Ad esempio?

Andrea Donati e anche suo fratello Davide. Il secondo, che è più grande di un anno, ha fatto la prima stagione da under 23 alla Biesse Carrera e poi è passato al devo team della Red Bull-BORA-hansgrohe. Lo stesso cammino si prospetta per Andrea, il quale correrà con la Biesse nel 2025. 

Stefano Viezzi è approdato alla Alpecin Deceuninck Development, il suo percorso è legato molto alla doppia attività: ciclocross e strada
Stefano Viezzi è approdato alla Alpecin Deceuninck Development, il suo percorso è legato molto alla doppia attività: ciclocross e strada
Andrea Donati non ha ottenuto grandi risultati da juniores…

Non conta solo questo. Chi fa le selezioni all’interno dei team di sviluppo dovrebbe guardare il risultato legato alla prestazione. Un conto è vincere un campionato del mondo alla Lorenzo Finn, un altro è vincere tante gare restando sempre a ruota. Una figura che ha il compito di cercare il talento dovrebbe concentrarsi maggiormente sulle prestazioni. I risultati contano fino a un certo punto. 

Per chi arriva da squadre juniores italiane un salto del genere rischia di essere troppo grande?

No. Il ciclismo si sta evolvendo e questo processo fa parte di un normale cammino di adattamento che coinvolge anche le squadre juniores. Quello che si faceva fino a un po’ di anni fa ora non basta più. Per i ragazzi approcciarsi a queste realtà nuove e professionali è solamente uno stimolo. Si sentono seguiti, controllati e li domina la curiosità, come giusto che sia nei giovani. Entrano in una routine, è come se fosse un lavoro.

Andrea Donati è rimasto in Italia e correrà alla Biesse Carrera Premac (photors.it)
Andrea Donati è rimasto in Italia e correrà alla Biesse Carrera Premac (photors.it)
Poi ci sono Attolini, Mellano e Zanutta che sono passati con la XDS Astana Development, consideri il loro passaggio più “soft”. 

Se intendete dire che sia meno impattante perché trovano più italiani direi di no. Non so che calendario faranno ma stiamo comunque parlando di una formazione di sviluppo di un team WorldTour.

Cosa pensi di questi tre ragazzi?

A mio avviso Mellano e Sambinello sono equiparabili. Sono i ragazzi che hanno avuto maggiore continuità durante la passata stagione. A livello di piazzamenti non hanno saltato una gara, erano sempre tra i migliori nelle corse più importanti del calendario italiano. Zanutta è un corridore di qualità, lui è un esempio di coloro che sono stati valutati per i numeri e non per i risultati ottenuti, alla pari di quanto fatto dalla UAE Team Gen Z con Davide Stella. 

Roberto Capello sarà il nuovo volto italiano del Team Grenke-Auto Eder, squadra juniores del panorama Red Bull (foto Maximilian Fries)
Roberto Capello sarà il nuovo volto italiano del Team Grenke-Auto Eder, squadra juniores del panorama Red Bull (foto Maximilian Fries)
Rimane Roberto Capello, che prende il posto di Finn alla Grenke-Auto Eder. 

E’ un atleta che in salita ha tantissima qualità, nonostante sia all’inizio del suo secondo anno da juniores. Si tratta di un corridore che è abituato a fare certi volumi di allenamento. Per concretizzare questi numeri in risultati deve migliorare molto tatticamente e nella guida della bici, ma è nel posto giusto. La Grenke-Auto Eder non prende i ragazzi a caso…