Nuovo inizio alla Biesse-Carrera: i gemelli Bessega raccontano

30.01.2025
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I gemelli Bessega sono tornati a correre con un team italiano: Gabriele e Tommaso saranno due atleti della Biesse Carrera Premac. Alla fine della stagione 2022 erano passati under 23 con la Eolo-Kometa U23 (poi diventata Team Polti Kometa U23). La decisione da parte di Ivan Basso e Fran Contador di chiudere la squadra a favore di una formazione juniores ha costretto i due gemelli lombardi a cercare una nuova sistemazione. E’ stato facile allora riprendere la strada di casa, tornando a gareggiare vicino a dove tutto era iniziato. 

Il periodo a cavallo tra gennaio e febbraio i corridori della Biesse-Carrera-Premac lo stanno passando in ritiro in Spagna. Andiamo a fare un bilancio con loro di questi due anni vissuti nel team under 23 di Ivan Basso e cosa rappresenta per loro il ritorno in Italia. 

Gabriele Bessega nei due anni passati nel team U23 di Basso e Contador ha detto di aver imparato un metodo di lavoro
Gabriele Bessega nei due anni passati nel team U23 di Basso e Contador ha detto di aver imparato un metodo di lavoro

La versione di Gabriele

Il primo dei fratelli con il quale parliamo è Gabriele, dei due è quello che ha ottenuto dei buoni piazzamenti ma qualche vittoria in meno. Lui parla al plurale, anche se poi andremo ad ascoltare anche la voce di Tommaso, che al momento della chiamata si trova nella stanza accanto. 

«Per noi – dice Gabriele Bessega – e per me, sono stati due anni di crescita sia personale che formativa. Sono migliorato anche dal punto di vista prestazionale, ma il più grande passo in avanti sento di averlo fatto nell’imparare un metodo di lavoro. Non siamo riusciti a passare nella professional (la Polti VisitMalta, ndr) ma siamo arrivati alla Biesse per meritarcelo. Grazie al periodo con la Eolo-Kometa sento di aver imparato a essere professionale: nello strutturare gli allenamenti, nel correre e come comportarmi con i compagni in gara. Il passo in avanti rispetto agli anni da juniores è stato netto».

Il calendario spagnolo ha permesso ai fratelli Bessega di correre molte gare a tappe
Il calendario spagnolo ha permesso ai fratelli Bessega di correre molte gare a tappe

Calendario

Gabriele e Tommaso Bessega hanno corso molto in Spagna, disputando diverse gare a tappe di livello nazionale. Sono venuti poco in Italia, e anche in quel caso le gare a cui hanno preso parte erano nazionali. 

«Sicuramente ci è mancato fare delle esperienze di calibro internazionale – continua Gabriele Bessega – anche se la squadra è andata all’estero, noi non siamo stati selezionati. Però il livello dei corridori nelle corse spagnole è alto, basta vedere cosa ha fatto Pablo Torres. Di certo i percorsi non erano i più adatti alle mie caratteristiche, ma i risultati sono arrivati. Sicuramente nei due anni in Spagna ho imparato a correre e disputare gare a tappe, cosa che in Italia si fa più fatica a fare».

Tommaso Bessega è riuscito a raccogliere più risultati rispetto al fratello, per lui tre vittorie nei due anni in Spagna
Tommaso Bessega è riuscito a raccogliere più risultati rispetto al fratello, per lui tre vittorie nei due anni in Spagna

La voce di Tommaso

Chiusa la prima chiamata il telefono passa nella stanza vicina, dove ci attende Tommaso Bessega al quale chiediamo subito cosa prova ad allenarsi in Spagna con una maglia diversa da quella che era abituato a indossare a queste latitudini.

«Pedalare intorno a Denia, dove ci troviamo – racconta – è sempre bello. Poi con che maglia cambia poco, questa stagione la vedo come una nella quale devo crescere e maturare. Sono felice di essere alla Biesse-Carrera perché la ritengo una delle realtà italiane più attrezzate, forse la migliore. In Polti ho scoperto i miei punti forti, sono un passista con un buono spunto veloce. Ora mi piacerebbe migliorare a 360 gradi.

«Se dovessi fare un bilancio di queste due stagioni da under 23 – continua Tommaso Bessega – direi che sono felice dei risultati ottenuti. Sono riuscito a vincere sia da primo che da secondo anno. L’obiettivo grande era di passare professionista, c’è un po’ di delusione per non esserci riuscito, ma ci riproverò quest’anno. Il fatto che la squadra abbia chiuso da un lato la vedo come un’interruzione del nostro percorso, d’altra parte siamo pronti a continuare qui alla Biesse-Carrera. A giudicare dai risultati ottenuti in queste due stagioni in Spagna mi considero pronto per fare bene nel calendario italiano, staremo a vedere come andranno le prime uscite». 

La chiusura della squadra ha interrotto un cammino ma i Gabriele e Tommaso sono pronti a ripartire (foto Madrid Cycling)
La chiusura della squadra ha interrotto un cammino ma i Gabriele e Tommaso sono pronti a ripartire (foto Madrid Cycling)

Provarci subito

Dalle parole di Tommaso Bessega si intuisce, per sua stessa ammissione, che una delle ambizioni del corridore lombardo fosse quella di passare professionista già al termine del 2024. L’appuntamento è rimandato e la stagione che si apre, a suo avviso, sarà fondamentale

«La speranza – conclude – è quella di passare professionista il prima possibile. Sarebbe un buon segnale sia per la mia crescita che per una maggiore sicurezza. Arrivare al quarto anno under 23 porta una serie di pressioni maggiori e si vivono le gare con un po’ più di aspettative. Poi al terzo anno si ha già esperienza nella categoria, quindi chi deve andare forte già lo fa. Ci sono delle eccezioni ma meglio pedalare bene fin da subito».

Papà Basso e Santiago alla Bahrain. Una scelta autonoma

30.01.2025
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Ora Santiago Basso inizia a farsi grande e arrivano le responsabilità. Il giovane rampollo dal cognome ciclisticamente nobile approda al devo team della Bahrain e questa è l’occasione migliore per scrollarsi di dosso tutte le perplessità che, giocoforza, circondano sempre chi è figlio di qualcuno che ha scritto pagine di storia di quello sport, come Ivan ha fatto.

Oggi papà, impegnato com’è nella crescita della Polti-VisitMalta, lascia fare, ma segue sempre con interesse costante le gesta del figlio. Da lontano.

Per Santiago Basso è iniziato già il lavoro con il devo team della Bahrain
Per Santiago Basso è iniziato già il lavoro con il devo team della Bahrain

«Sia io che mia moglie Micaela abbiamo lasciato fare a lui – spiega – doveva fare le sue scelte perché ora è maggiorenne ed è entrato in quell’età che, ciclisticamente parlando, ti definisce. Ha un suo procuratore, ha valutato le possibilità e ha scelto, noi abbiamo fatto un passo indietro. Soprattutto io, in questo caso non più ex corridore e ora manager di un team di livello, ma solamente papà».

Non sei però un papà qualsiasi, ma hai una sensibilità specifica particolare. Come lo hai visto nell’approccio con il ciclismo di vertice?

E’ molto maturato, in un anno dai due volti, difficile nella prima parte dove noi abbiamo cercato di ascoltarlo e supportarlo. Molto meglio nella seconda, dove sono anche arrivati i risultati tanto che per costanza di prestazioni è stato forse il migliore della categoria. Sugli juniores il mio pensiero è noto…

Il piccolo Basso nel team di papà Ivan, era il 2023. Lo scorso anno ha corso con la Bustese Olonia
Il piccolo Basso nel team di papà Ivan, era il 2023. Lo scorso anno ha corso con la Bustese Olonia
Spiegaci meglio, ti va?

Non è certo più la categoria di quando correvo io, ora ci si gioca tanto già a quell’età, ma non bisogna guardare solo i risultati. Io – e qui parlo da manager – non valuto solo quelli, ma l’evoluzione intera dell’uomo prima ancora che del corridore perché dovrà essere parte di un insieme, quello della squadra. Spero che per Santiago ci siano le stesse valutazioni. Tutti guardano le vittorie da junior, ma ricordiamoci che vincere nella categoria è completamente diverso che vincere da pro’…

Lo trovi quindi cresciuto non solo ciclisticamente…

Infatti, per me ha fatto un salto di qualità. Sono contento di come ha affrontato questa delicata fase, contemplando anche la scuola, la difficoltà di doversi allenare dopo le ore di studio. Infatti è stato d’estate, con la mente più libera che si sono visti i miglioramenti. E’ salito il suo livello, soprattutto in salita e nelle corse a tappe e questo me lo dicono i numeri. In totale Santiago ha fatto 18 mila chilometri, seguendo una preparazione basata sull’età e la crescita, ha dato in corsa quel che poteva nel momento, ma si vede che ci sono margini.

La volata del GP dell’Arno, con il lombardo battuto da Elia Andreaus, oggi suo compagno (foto Rodella)
La volata del GP dell’Arno, con il lombardo battuto da Elia Andreaus, oggi suo compagno (foto Rodella)
Ti sei fatto anche un’idea più precisa di che corridore è e di che cosa in lui c’è dell’Ivan Basso che conosciamo?

Un po’ mi assomiglia, forte in salita e con una buona capacità di spunto veloce. Quel che mi impressiona di più è la sua condotta nelle prove a tappe, che ritengo anche il suo aspetto più promettente: mostra di avere grandi capacità di recupero. Alla Vuelta al Besaja, ad esempio, è andato migliorando giorno dopo giorno fino a chiudere quinto assoluto, in una prova dove c’era gente che correva nei devo team. Ha poi fatto molte corse di livello, sfiorando la vittoria come all’Arno e al Sestriere, finendo bene anche al Piccolo Lombardia.

Un elemento che nell’ambiente ciclistico circola è il paragone fra lui ed Enrico Simoni, d’altronde tu e Gilberto avete scritto pagine indelebili sulle strade italiane. Loro sono molto amici, pensi che risentano del passato riguardante voi?

Difficile dirlo. E’ vero che il peso dei nostri cognomi c’è, ma sta a me e Gibo non farglielo sentire troppo. Loro si stanno costruendo la loro identità, la loro personalità. So che sono in contatto e mi fa piacere. D’altronde c’è un bel legame tra tutta quella generazione, so che hanno anche fatto un gruppo su WhatsApp, si sentono spesso. E’ importante, perché poi capiterà che si ritroveranno in fuga, in gruppo, avere già un legame conta.

Santiago fra papà Ivan e Lello Ferrara. Oltre alla Bahrain altri team internazionali si erano fatti avanti (photors.it)
Santiago fra papà Ivan e Lello Ferrara. Oltre alla Bahrain altri team internazionali si erano fatti avanti (photors.it)
Hai approvato la scelta della Bahrain?

E’ uno dei team di maggior livello, con una struttura collaudata. Io sono contento, ma il mio parere conta relativamente. Quel che è importante è che è una decisione sua, autonoma. Ha interagito lui con i dirigenti del team, io vedo la sua crescita anche in questo. Relativamente al team, non dimentichiamo che è nato sulle basi del CTF, che è un serbatoio storico del ciclismo italiano, dal quale anche io ho preso corridori come Bais e Pierobon. Lo avevano cercato anche altri devo team, ma la loro proposta lo ha convinto.

Gran colpo di Ursus, al fianco del Team PicNic-PostNL

30.01.2025
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Ursus, un’altra azienda italiana che entra nel World Tour con il chiaro intento di innovare e sviluppare. Sarà al fianco del Team PicNic-PostNL per almeno due anni.

Enrico Stragliotto, del dipartimento sales di Ursus, ci racconta qualche dettaglio di questa partnership che ha tutte le carte in regola di essere il primo tassello di un percorso più lungo, con uno sguardo ad ampio spettro rivolto al futuro.

Quando nasce e quando ha preso realmente forma la partnership con il team?

L’interesse nasce all’inizio del 2024. Volevamo fare un salto di livello e dopo molti anni nelle squadre professional, come Total Direct Energies, Bardiani, Corratec ed in passato al fianco della CCC, ci sentivamo pronti a fare il grande passo nel WorldTour. A metà 2024 siamo entrati ufficialmente in contatto con il team. Oggi siamo pronti a partire.

E’ possibile conoscere qualche dettaglio che vi lega al team?

Siamo reduci anche noi dai primi ritiri, dove in modo effettivo siamo entrati in contatto con l’intero staff. Nei prossimi mesi potremo fornire maggiori dettagli. Posso dire che la collaborazione vuole essere a lungo termine. Ad oggi abbiamo firmato per 2 anni, ma…

Dopo le prime giornate di test e utilizzo il team ha già avanzato delle richieste?

Mi spingo a dire che i primi feedback sono positivi, ovviamente c’è da lavorare. Credo che per quantificare al meglio i dati ed i riscontri maggiori dovremo aspettare dopo gennaio. Siamo in contatto con i tecnici del team ai quali chiediamo aggiornamenti continui. Il team non ha solo le ruote Ursus come materiale nuovo, ma anche le bici Lapierre (rientra nel WorldTour con la nuova Xelius DRS e la Aerostorm per le crono-NDR). Quindi tutto è in divenire.

Charlotte Kool sarà uno dei riferimenti della compagine femminile (foto Pic Nic-PostNL)
Charlotte Kool sarà uno dei riferimenti della compagine femminile (foto Pic Nic-PostNL)
Utilizzerete la compagine World Tour per test e sviluppo dei prodotti futuri?

Per noi questa collaborazione è sicuramente importante. Lo è per la visibilità, ma l’aspetto che più ci interessa è la capacità del team di processare dati e capire insieme come sviluppare i prodotti del futuro. Siamo certi che con le nostre competenze unite a quelle del team, avremo l’opportunità di sviluppare ruote ancora più performanti.

E poi il progetto Enigma. Un’evoluzione Ursus che si spinge in modo deciso verso il WorldTour?

Esatto. Enigma rappresenta un primo passo verso quello che per Ursus è da sempre un punto fisso. Innovazione e qualità. In questa fase dobbiamo tenere ancora la bocca cucita, ma posso anticipare che nei prossimi mesi ci saranno delle sorprese molto interessanti.

Rispetto alle sponsorizzazioni fatte ad oggi, cosa comporta l’impegno World Tour?

Il WorldTour è la F1 della bici. L’impegno è notevole sotto ogni aspetto e all’interno di un’azienda tutti sono coinvolti, direttamente e indirettamente. Ursus è una realtà solida da sempre orientata alla crescita e l’ingresso in questa categoria è parte integrante di un processo di crescita che non è solo di oggi. Di fatto, il legame con una squadra World Tour è la ciliegina sulla torta di un percorso che dura da più stagioni. Ora ci siamo e si ricomincia con altri step dell’evoluzione.

Quartetto, Lamon è la certezza. Gli europei per ripartire

30.01.2025
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Nell’anno in cui, conquistato a Parigi il bronzo del quartetto, Ganna, Milan e Consonni daranno la precedenza alla strada, Francesco Lamon rimarrà il custode di quel fantastico trenino che in precedenza si era portato a casa l’oro di Tokyo e il mondiale di Roubaix.

La sua stagione è iniziata su strada nell’Al Salam Championship di Dubai e con lui c’erano anche Viviani e Scartezzini, ma adesso tornerà in velodromo con i campionati europei che dal 12 al 16 febbraio raduneranno a Zolder il circus della pista. Francesco è un ragazzo solido, riservato, capace di una grinta sconfinata. Ama ragionare e lo fa sempre con grande concretezza.

«Di sicuro farò il quartetto – dice il veneziano delle Fiamme Azzurre – altre specialità non so ancora, dipenderà anche da quali giovani ci saranno e come vorrà lavorare Marco (Villa, ndr). La mia disponibilità è come sempre al massimo. Sto vivendo questo periodo in maniera super tranquilla. Penso che anche io, se fossi stato Ganna o Milan e non avendo più niente da dimostrare, avrei ragionato allo stesso modo. E penso anche che sia il momento migliore. Quale migliore occasione dei due anni post olimpici, che sono relativamente tranquilli?».

La bravura di Lamon è sempre stata farsi trovare al livello di Ganna e gli altri che corrono su strada nel WorldTour
La bravura di Lamon è sempre stata farsi trovare al livello di Ganna e gli altri che corrono su strada nel WorldTour
E così adesso sta a te essere il riferimento per i giovani che di volta in volta si affacceranno in pista. Ti senti uno che può dare consigli, come ti vedono secondo te?

Lo vedo come un modo di trasmettere quello che a mia volta ho imparato nel corso degli anni. I giovani che vengono su adesso e che entrano nel nostro gruppo sono molto più avvantaggiati rispetto a quando ero giovane io anni fa. In quel periodo, l’attività su pista non era così sviluppata, ma soprattutto non aveva un seguito così grande. Quindi ovviamente anche grazie al lavoro che ha fatto Elia, mi sono trovato a vivere sia il periodo più difficile degli inizi, sia quello splendente che stiamo vivendo oggi.

In cosa sono avvantaggiati quindi i giovani che arrivano ora in nazionale?

Non dico che abbiano già la strada spianata, però partono da un livello più alto, anche solo per i materiali. Poi ci sono i metodi di preparazione sviluppati al 100 per cento dal settore performance. Quindi se un atleta ha le doti, emergerà più facilmente rispetto a quando debuttammo noi.

Possiamo dire che Milan sia stato l’esempio di questo?

Esatto, l’esempio più recente e più chiaro. Quando Jonathan è arrivato quattro anni fa, era un giovane super emergente. E abbiamo visto che, con tutti i materiali a disposizione e la giusta preparazione, ha fatto subito la differenza. Detto questo, penso che Johnny sarebbe emerso anche se fosse stato nell’ultima delle nazioni del mondo, però comunque un giovane che oggi voglia intraprendere l’attività su pista in Italia, è molto avvantaggiato.

Parigi 2024, parte la finale per il bronzo: occhi negli occhi fra Villa e Lamon
Parigi 2024, parte la finale per il bronzo: occhi negli occhi fra Villa e Lamon
Parliamo allora di Francesco Lamon, l’unico di quel quartetto a non essere professionista su strada. Quanto è stato faticoso, dal punto di vista fisico e mentale, tenere quel livello altissimo e non mollare un metro?

Ovviamente nel quadriennio scorso, ho passato anche io i miei momenti di alti e bassi e sono contento di come sono arrivato a Parigi. Sinceramente, come ho sempre detto, non vivo un gap mentale o in termini di pressione, correndo con altri ragazzi che sono professionisti su strada. Quando siamo lì insieme, nessuno chiede o va a guardare cosa abbia vinto o fatto su strada uno o l’altro. Siamo quattro, tutti per uno in quei quattro chilometri, quindi il resto si azzera. Ovviamente in termini di preparazione ho dovuto forzare un po’ di più e fare i salti mortali per colmare le differenze o avvicinarmi alle prestazioni che non posso raggiungere con la mia attività su strada.

E come hai fatto?

Ho iniziato a lavorare molto prima, facendo più ritiri su strada. E quando loro erano al Giro d’Italia, io chiedevo alla Arvedi e alle Fiamme Azzurre che mi schierassero nel maggior numero di corse possibili. In più ho aumentato i blocchi di volume in quota, per cui quando loro hanno staccato dal Giro, io ero in altura già da un mese. Ho fatto tutto il possibile per avvicinarmi al loro livello, affinché fossimo il più omogenei possibile in pista.

E’ comunque un impegno che richiede studio e applicazione…

Se dovessi dire quale sia il gap più evidente, dovrei parlare della loro maggiore resistenza dovuta all’attività su strada. Il lavoro specifico invece è uguale per tutti e la nostra fortuna è che riusciamo ad arrivare agli appuntamenti importanti allo stesso livello. Quello del quartetto è uno sforzo breve ma intenso, quindi è abbastanza nelle mie corde, mentre sarei stato più in difficoltà se avessi dovuto preparare una madison, per esempio, non correndo tanto su strada.

Lamon, classe 1994, è un atleta delle Fiamme Azzurre che fa attività su strada con la Arvedi Cycling
Lamon, classe 1994, è un atleta delle Fiamme Azzurre che fa attività su strada con la Arvedi Cycling
Ovviamente ciascuno di questi passaggi viene studiato con Bragato e Villa?

Certo e anche quando sono andato per tutto quel tempo in altura, si è trovato il compromesso per non mollare l’attività su pista. Per cui una volta a settimana/dieci giorni, scendevo da Livigno e andavo a Montichiari. L’altura mi dà molti benefici, quindi nell’anno olimpico ho cercato di sfruttarla il più possibile.

Europei in vista, con quale motivazione si va, sapendo che non ci sarà il dream team azzurro?

Quando si va a correre, la testa è la stessa, che si vada a fare un campionato regionale oppure le Olimpiadi. Se vedessi che non ho la grinta o la giusta motivazione, sarei il primo a tirarmi indietro. Uno stimolo in più potrebbe essere quello di riuscire a portare sul podio altri tre giovani, in modo che anche per loro il quadriennio possa partire nel migliore dei modi. Ovviamente quattro anni sono lunghi e di certo, che vada bene o male, non sarà questo europeo a decidere le cose. Però può essere un buon punto di partenza da sfruttare.

Fantini, Magagnotti, Stella, Sporzon, Costa: c’è grande attesa il quartetto iridato juniores (foto FCI)
Fantini, Magagnotti, Stella, Sporzon, Costa: c’è grande attesa il quartetto iridato juniores (foto FCI)
A livello tuo di sensazioni, vedi questi ragazzi intimiditi nell’avvicinarsi ad atleti più esperti e vittoriosi come te?

Oddio, dipende dal carattere che hanno. Ne abbiamo visti anche alcuni un po’ più sfrontati, anche se poi la cosa gli si è ritorta anche contro, ovviamente in senso buono. Altri invece sono un po’ più timidi, hanno più bisogno di crescere. Ma ripeto: lo faccio molto volentieri, perché hanno bisogno della mia esperienza.

Per cosa, ad esempio?

Allo scorso mondiale, ho notato il loro modo di avvicinarsi alla gara. Non sanno bene come gestire la tensione e questo è un tipo di esperienza che inevitabilmente manca. Essendo così giovani, non hanno avuto tante occasioni di rompere il ghiaccio. Sono molto forti, ma se non acquisisci la freddezza che serve, sono più gli errori che rischi di commettere dei risultati che porti a casa, quindi bisogna trovare un giusto compromesso tra le cose.

Sei nato nel 1994, quindi a febbraio compirai 31 anni, che saranno 34 a Los Angeles. Ci stai già pensando oppure si vive di mese in mese?

Non so dire dove sarò nel 2028, la domanda è sul tavolo. Però io non sono uno che vive un mese alla volta. Se vedo che la voglia c’è ancora, come c’è adesso, allora vivrò la rincorsa come se avessi vent’anni. Ma sarei anche il primo, vedendo che mi intestardisco e che il livello non è all’altezza, a tirarmi indietro. Prima o poi il ciclo si chiuderà, ma non mi sento di dire sin da adesso che ci sarò oppure no. Per ora sono ancora qui che mi sto impegnando con la grinta e la volontà al 100 per cento, di questo sono sicuro.

Milan, Lamon, Ganna, Consonni: il quartetto d’oro di Tokyo che a Parigi ha preso il bronzo
Milan, Lamon, Ganna, Consonni: il quartetto d’oro di Tokyo che a Parigi ha preso il bronzo
A Tokyo arrivò l’oro senza pubblico a causa del Covid, a Parigi c’era una baraonda…

Ma io preferisco aver vinto un oro senza pubblico (ride, ndr), che un bronzo davanti a 50.000 persone. La differenza di ambiente però si è sentita, ma sinceramente non è una cosa che mi influenza più di tanto. Poteva esserci anche un miliardo di persone, ma la prestazione non sarebbe cambiata.

Qual è il programma della tua primavera?

Correrò a Grenchen nei prossimi giorni perché vorrei fare lo sforzo di una gara prima degli europei. Poi faremo un ritiro pre-europeo e partiremo per il Belgio. Poi non so ancora quale sarà il programma delle Coppe del mondo. Per cui adesso vediamo di passare bene gli europei e poi con Marco faremo il punto per quello che si potrà ancora fare.

Al servizio di Wiebes e anche per sé. Guarischi prova a sdoppiarsi

29.01.2025
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Il giorno della presentazione per la SD Worx-Protime è sempre un’occasione speciale, talvolta con tocchi di originalità. Il team olandese quest’anno si è svelato al FOMU – Fotomuseum di Anversa e prima di salire sul palco a blocchi come di consueto, per le atlete c’è stato l’appuntamento del media day. Abbiamo colto l’occasione per tastare il polso di Barbara Guarischi, una parte della quota italiana della squadra (in apertura foto Getty Sport).

Al via della sua terza stagione (e con già in tasca il contratto per il 2026), la velocista lecchese ha completato il totale inserimento in SD Worx, trovando una dimensione più alla sua portata. Non che non si fosse integrata bene prima, anzi tutt’altro, ma non è così scontato entrare nella formazione più forte del panorama femminile e diventarne subito un perfetto ingranaggio. Guarischi si è costruita in corsa un ruolo di fiducia principalmente per Wiebes e in seconda battuta per Kopecky. Ora, con quella bella dose di esperienza che l’accompagna, è pronta per un’annata in cui vuole fissare nuovi obiettivi sia di squadra che personali.

Guarischi, classe 1990, si appresta ad iniziare la sua diciassettesima stagione da elite/pro’, la terza in SD Worx (foto instagram)
Guarischi, classe 1990, si appresta ad iniziare la sua diciassettesima stagione da elite/pro’, la terza in SD Worx (foto instagram)
Barbara come sono andati i ritiri?

Molto bene, sono rimasta sorpresa in entrambi. Quest’anno avevo cominciato ad allenarmi dopo rispetto al solito, facendo due settimane di stop totale. A dicembre ho finito in crescendo, però poi attorno a Capodanno avevo preso l’influenza e mi ero dovuta fermare. Onestamente ero un po’ preoccupata di andare al ritiro di inizio gennaio avendo perso la giusta condizione. Invece ho chiuso in modo molto positivo. Giorno dopo giorno ho avvertito sensazioni sempre migliori.

Avete anche stilato il programma gare?

Abbiamo fatto un primo prospetto di calendario con diverse “long list”, ovvero le gare in cui potremmo correre. Personalmente inizierò il 6 febbraio al UAE Tour Women e dopo qualche settimana a casa, rientrerò il 2 marzo con la Hageland, anche se sono riserva per la Nieuwsblad del giorno prima. In linea di massima dovrei fare buona parte del blocco delle gare del Nord. Al momento sono riserva per la Vuelta, dovrei correre quasi certamente il Giro Women, mentre non farò il Tour Femmes. Il resto lo vedremo naturalmente strada facendo e come andrà la stagione.

Nei ritiri della SD Worx le atlete diventano chef. Guarischi ha cucinato un risotto all’italiana per tutta la squadra (foto instagram)
Nei ritiri della SD Worx le atlete diventano chef. Guarischi ha cucinato un risotto all’italiana per tutta la squadra (foto instagram)
Restando su una notizia di qualche giorno fa, l’UCI ha vietato le esultanze per i compagni di squadra. Ripensando alla volata al Giro Women vinta da Kopecky lanciata da te, qual è il tuo pensiero in merito?

Adesso dovrò stare molto attenta, ancora di più visto che al Tour ero stata la prima “ammonita” della storia. (dice sorridendo con sana ironia, ndr). Battute a parte, credo che con questi regolamenti si rischi di ammazzare le emozioni che vengono d’istinto. A Foligno lo avevo detto dopo la tappa che mi ero voluta godere la vittoria di Lotte esultando, ma sapendo al tempo stesso anche di non ostacolare nessuna avversaria nello sprint visto che ero a distanza di sicurezza. Quella non era stata la classica volata generale, dove invece sappiamo bene tutte che non dobbiamo distrarci o festeggiare in anticipo. Tuttavia capisco il nuovo regolamento e credo che io, come tutte le altre atlete, non avremo problemi ad adeguarci.

Altro flash. Voi ragazze vi alternate spesso in cucina durante i ritiri. E’ più semplice preparare la cena alla squadra o tirare una volata perfetta a Wiebes?

Bella domanda (sorride nuovamente, ndr). Considerando che quest’anno siamo in diciotto atlete e contando tutto lo staff, direi che è stato più difficile fare quattro chili di risotto all’italiana per tutti. Però vi dico che è venuto molto bene, seguendo alla lettera la ricetta ed usando il brodo di pollo anziché quello vegetale. Con i nostri cuochi abbiamo poi voluto dare un tocco extra. Abbiamo aggiunto un po’ di pere caramellate che si sposavano benissimo con il mix di parmigiano e un altro formaggio più stagionato. E’ piaciuto a tutti!

Sintonia. In due anni assieme, Guarischi è stata presente in 20 delle 34 vittorie conquistate da Wiebes
Sintonia. In due anni assieme, Guarischi è stata presente in 20 delle 34 vittorie conquistate da Wiebes
All’alba del terzo anno assieme, come sono gli automatismi tra Guarischi e Wiebes?

Fin da subito Lorena ed io ci siamo trovate bene senza alcuna sbavatura. E diventava tutto ancora più semplice quando nel treno c’era anche Kopecky, non dovevamo nemmeno parlare. Ovvio che ogni tanto qualcosa non è andata per il verso giusto e quest’anno, visto che loro due dovrebbero avere calendari separati, con Lorena stiamo pensando anche ad altri meccanismi. Per non perdere il suo punto di forza, potrei provare ad essere anche la penultima ruota e lasciare il lead out ad un’altra compagna. Lo capiremo gara dopo gara.

Quindi tu sarai sempre dove correrà Wiebes?

In linea di massima sì, perché con lei abbiamo ancora obiettivi importanti da raggiungere in tante gare. Però quest’anno con i tecnici per me abbiamo scelto un programma diverso. Dove non avremo Lorena, Lotte o Anna (Van der Breggen, ndr) come capitane, avrò più libertà. L’intenzione è quella di provare a fare risultato con una maggiore continuità nelle tante gare alternative. Non sarà facile perché ormai nel ciclismo femminile nessuna ti regala nulla, ma ci proviamo.

Questa “promozione” nasce come premio al tuo lavoro di questi due anni?

Non saprei perché in questa squadra ognuna di noi sa qual è il proprio ruolo. I sacrifici sono tanti e ogni giorno va fatto alla perfezione per ottenere il miglior risultato possibile o per poter restare bene ad un certo livello. Posso dire invece che la vittoria al Simac Tour di metà ottobre mi ha ridato quella confidenza che mi era mancata in larga parte negli anni precedenti per giocarmi le mie carte. E’ scoccata nuovamente quella scintilla e per me è diventato uno stimolo ulteriore, tenendo conto, appunto, che non sono più una ragazzina (sorride, ndr).

La vittoria al Simac Tour ha dato nuova confidenza a Guarischi per giocarsi le proprie carte (foto Peter Donderwinkel)
La vittoria al Simac Tour ha dato nuova confidenza a Guarischi per giocarsi le proprie carte (foto Peter Donderwinkel)
Sono diciassette le annate da elite/pro’, ma non le dimostri. Hai notato un cambiamento in te da quando sei arrivata alla SD Worx?

Pensate che ne parlavo proprio con i miei diesse durante i ritiri. Dal mio primo giorno qui dentro ad oggi sono completamente un’altra atleta. Sono cresciuta tantissimo. Se arrivi in una grande squadra devi dimostrare di saperci stare e se lavori bene per grandissime campionesse inevitabilmente migliori tanto anche tu. Non è facile nè scontato farlo. E’ per questo che sono molto contenta di dare il mio contributo alla squadra e della mia crescita.

Ora che Van der Breggen è tornata a correre, continuerà ad essere la tua allenatrice?

Sì, sarà sempre lei a seguire la preparazione mia e di altre 2-3 ragazze. Ridevo con Anna durante i ritiri perché in palestra si è accorta del grosso carico che le avevano dato. Eravamo a fianco, mi sono girata verso di lei e le ho detto: «Quando te lo dicevo io non mi credevi, invece hai visto che si fa fatica?». Questo spirito è una delle nostre risorse migliori. Quest’anno non so se saremo le più forti, ma saremo forti perché i nuovi innesti sono stati ben ponderati.

Ruote Elitewheels: tutti i dettagli dello sbarco tra i pro’

29.01.2025
6 min
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Biciclette Pardus e ruote Elitewheels (i due marchi cinesi legati da un filo direttissimo, ma sono due aziende separate): il rinnovamento dell’attuale Team Solution Tech-Vini Fantini passa anche dai materiali, come peraltro ci aveva già raccontato Kristian Sbaragli.

Elitewheels è un’azienda fondata nel 2013 e altamente specializzata nella lavorazione del carbonio (gli studi interni di ingegneria legati al ciclismo risalgono al 2009). L’intento è chiaro, ovvero produrre ruote in carbonio di altissima qualità, cerchi e componenti. Elitewheels sbarca in modo ufficiale e per la prima volta nel ciclismo occidentale al fianco di un team professionistico. Cerchiamo di scoprire qualche dietro le quinte dei prodotti in dotazione al team diretto da Serge Parsani.

Bici Pardus e ruote Elitewheels, il rinnovamento del team passa anche dai materiali (foto Niccolò Lucarini)
Bici Pardus e ruote Elitewheels, il rinnovamento del team passa anche dai materiali (foto Niccolò Lucarini)

Una visione ad alte prestazione

Le ruote fornite al team sono le medesime disponibili per il normale acquirente, tra profili differenti, raggi in carbonio oppure in acciaio, mozzi con sfere ceramiche, oppure in acciaio. Insomma, si tratta di prodotti che non lasciano nulla al caso, in termini di materiali, tecnologie e sviluppo, valore alla bilancia ridotto.

«Produciamo, progettiamo – ci racconta Patrick Clark, Brand Manager di Elitewheels – e testiamo tutti i nostri prepreg (materiale composito preimpregnato, ndr) in resina, fibra di carbonio, cerchi, mozzi e ruote complete. Quando è stata avviata la produzione ci siamo concentrati prima di tutto sulla produzione per conto terzi, ma poco dopo abbiamo creato un marchio nostro, Elitewheels per l’appunto.

«La produzione e tutte le fasi di testing sono interne – prosegue Clark – fattore che ci aiuta a ridurre i costi e a controllare meglio ogni processo. Ecco perché offriamo ruote di altissimo livello a prezzi contenuti. Oltre ai processi di costruzione e assemblaggio, anche le resine sono prodotte in azienda, mentre per la fibra di carbonio ci appoggiamo alla giapponese Toray. Entriamo ufficialmente nel ciclismo professionistico occidentale con il Team Solution Tech-Vini Fantini – conclude Clark – anche se in passato abbiamo collaborato con diversi team per lo sviluppo delle ruote».

Raggi in carbonio e sfere ceramiche

«I raggi in carbonio che montiamo – prosegue Clark – aumentano del 7% la rigidità laterale, rispetto ai normali raggi in acciaio e a parità di tensione. Ovviamente sono più leggeri, più efficienti in fatto di aerodinamica e sono più facili da sostituire in caso di necessità. Anche in termini di reperibilità, i raggi in carbonio sono disponibili tanto quanto quelli in acciaio.

«Per i cuscinetti usiamo anche le sfere ceramiche. Abbinate ai nostri mozzi, che sono disegnati e costruiti internamente con macchine ad altissima precisione, hanno mostrato una longevità altissima in ogni fase dei test condotti».

Le Elitewheels in dotazione al team

Le ruote in dotazione al team toscano sono di tre categorie diverse: due dedicate all’impiego per le corse in linea, allenamenti ed ognuna di loro presenta 3 altezze differenti per i cerchi (per un totale di sei profili), mentre la terza categoria è specifica per le cronometro.

Drive rappresenta il top di Elitewheels. 40D, 50D e 65D, i numeri identificano i profili dei cerchi, con pesi dichiarati rispettivamente di 1.260, 1.300 e 1.460 grammi. Sono tubeless ready ed il cerchio è completamente in fibra. Il canale interno è largo 21 millimetri, mentre la larghezza totale del cerchio è di 28 con disegno wide (piuttosto panciuto). I raggi in carbonio hanno uno spessore di 3,2 millimetri, con dei nipples esterni. I mozzi in alluminio hanno delle flange scavate ed alleggerite, le sfere dei cuscinetti sono ceramiche.

«Le ruote Drive hanno già vinto e fatto diversi podi in corse UCI – racconta Clark – una prima scelta per gli scalatori ed in generale per chi vuole ruote veloci, rigide ed eventualmente per chi vuole usare profili differenziati tra anteriore e posteriore, mantenendo di base le stesse caratteristiche tecniche».

Le Drive Helix SS hanno i raggi in acciaio Sapim CX. Sono caratterizzate dai profili ondulati dei cerchi (volendo fare un accostamento, assomigliano alle Princeton) e sono particolarmente efficaci quando il vento laterale è teso ed anche per un impiego intenso in allenamento. Le versione SS del Team Solution Tech-Vini Fantini ha i mozzi con sfere in acciaio. Hanno un canale interno (tubeless) da 21 millimetri di larghezza, mentre il cerchio presenta delle larghezze differenziate tra anteriore e posteriore. Rispettivamente 31,8 e 30,8 millimetri, il che le rende interfacciabili con pneumatici che passano i 30/32 millimetri di sezione (fino a 38). Tre i profili: 46, 57 e 68.

Quelle da crono, sempre tubeless

Velo TT sono le ruote per le crono. Tecnicamente vengono definite “bundle”, perché sono un binomio tra la lenticolare posteriore e la 82 millimetri anteriore. Sono in carbonio, compatibili tubeless e per i freni a disco. La ruota davanti hai i raggi in acciaio, mentre la posteriore ha due dischi asimmetrici applicati al cerchio vero e proprio.

Elitewheels

Grandi Giri donne da due settimane: parla Slongo

29.01.2025
4 min
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L’idea di riportare i grandi Giri femminili a due settimane è un tema di grande attualità e sicuramente stuzzicante. Una proposta che trova sostenitrici tra le atlete di punta, come Elisa Longo Borghini, ma pone una serie di interrogativi sul piano organizzativo e sulla crescita del movimento femminile. Paolo Slongo, preparatore di lunga esperienza e guarda caso anche della stessa Longo, ci aiuta a sviscerare meglio questo argomento da un punto di vista tecnico.

Secondo Slongo, il ciclismo femminile è in continua evoluzione, ma l’eventuale passaggio da una a due settimane di competizione deve avvenire gradualmente, per non creare squilibri tra le diverse fasce di atlete presenti nel gruppo. Un grande Giro più lungo richiederebbe una diversa pianificazione del calendario. Tuttavia, le opportunità non mancherebbero: una corsa di maggior durata potrebbe accrescere l’interesse del pubblico. Pensateci, anche solo geograficamente abbraccerebbe un territorio molto più vasto. Sarebbe più coinvolgente.

La mente torna alle sfide tra Luperini, Somarriba, Pucinskaite, Jakson, Brandle: una dozzina di tappe. Tra le prime e le ultime in 22-23 ore di gara complessive c’erano anche due ore di differenza. Emergeva stanchezza. Ma c’erano anche ben altre preparazioni. Le problematiche erano diverse, più strettamente fisiologiche.

Paolo Slongo è un preparatore esperto. Da anni segue Elisa Longo Borghini. Da quest’anno anche lui è alla UAE Adq
Paolo Slongo è un preparatore esperto. Da anni segue Elisa Longo Borghini. Da quest’anno anche lui è alla UAE Adq
Paolo, grandi Giri femminili a due settimane. Partiamo dalla questione del calendario e della programmazione? Ma prima ancora: è possibile per te?

Il ciclismo femminile si sta evolvendo rapidamente. Sì, per me si potrà fare, ma bisogna procedere per gradi. Il movimento è cresciuto molto in fretta e bisogna evitare di accelerare troppo. Oggi nel ciclismo femminile ci sono tre fasce: le top rider, un gruppo intermedio sempre più numeroso e una terza fascia ancora distante in termini di prestazioni. Per salvaguardare tutto il movimento, bisogna arrivare gradualmente alle due settimane. Non sarebbe giusto farlo immediatamente, anche se dal punto di vista individuale potrebbe essere vantaggioso per alcune atlete.

Quali potrebbero essere le difficoltà?

Con due settimane di gara inevitabilmente si dovranno fare delle scelte di calendario. Oggi le atlete, anche le big, corrono quasi sempre dappertutto, in tutte le gare più importanti. Se ci fosse una corsa più lunga dovranno focalizzarsi su determinati obiettivi. Non si potrà più affrontare sia il Giro d’Italia Women che il Tour Femmes attaccati senza compromettere la condizione fisica.

Campionesse come Kopecky, Longo- Borghini, Vollering… potrebbero beneficiare di una sfida sulle due settimane
Campionesse come Kopecky, Longo Borghini, Vollering… potrebbero beneficiare di una sfida sulle due settimane
La programmazione diversa poi sarebbe anche per le squadre, immaginiamo…

Esatto, ci sarà bisogno di aumentare il numero delle cicliste in squadra. Attualmente si corre in sette, ma probabilmente servirà almeno un’atleta in più per affrontare due settimane di corsa. Per i grandi team non sarebbe un super problema, hanno potenzialità e personale per farvi fronte, ma questo non farebbe che aumentare il divario con le altre.

La chiave ci sembra tutta qui insomma: il divario tra grandi e piccoli. Questo perché come dicevi il movimento non è ancora del tutto pronto…

Attualmente ci sono 8-10 top rider, poi un gruppo intermedio di 40-50 atlete che reggono il ritmo e infine una terza fascia che fa più fatica. Se si passa a due settimane, il divario tra questi gruppi potrebbe aumentare ulteriormente. Già oggi per alcune atlete una settimana di gara è impegnativa, figuriamoci due. Serve quindi che tutto il movimento cresca in modo uniforme, con le squadre professional che diventino più competitive per sostenere questo cambiamento.

Quindi è la seconda fascia che dovrebbe crescere di più?

No, la terza: che è quella maggiore per numero. Ma serve tempo. Se quella massa non diventa più corposa anche la corsa tecnicamente (e tatticamente) potrebbe risentirne. Sarebbe per poche. Immagino una stanchezza che emerge e ragazze mai in corsa dopo un certo numero di tappe.

Niewiadoma sull’Alpe d’Huez ha resistito bene a Vollering: ma se si fosse corso sulle due settimane?
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Avrebbe più appeal un Giro a due settimane?

Secondo me sì, perché un Giro più lungo metterebbe ancor più in evidenza le doti di resistenza delle atlete. Sarebbe più avvincente da seguire, con più colpi di scena e più cambi di leadership. Una gara più lunga non è mai scontata e questo può attirare più pubblico.

E tu hai una di queste atlete. Anzi forse la più adatta in assoluto alle due settimane…

Per atlete come Elisa Longo Borghini, che hanno una grande capacità di resistenza, sarebbe un vantaggio. Lei è una “diesel”, è costante che non cala mai, mentre altre potrebbero soffrire di più la durata.

In passato il Giro era già su due settimane o quasi, cosa cambierebbe rispetto ad oggi?

Le squadre WorldTour sarebbero già pronte ad affrontare due settimane di gara. Il problema è guardare a tutto l’ambiente, non solo alla punta della piramide. Bisogna far crescere l’intero movimento in maniera omogenea per evitare squilibri esagerati e rendere la corsa davvero avvincente per tutti. Mentre sul piano fisiologico non vedo grossi impedimenti, chiaro c’è da lavorare. Penso che fra un anno o due, ci si potrà arrivare.

NEGLI ARTICOLI PRECEDENTI

Con appena 8 tappe è giusto chiamarli Grandi Giri?

Nutrizione e performance, due mondi da integrare

29.01.2025
5 min
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Il ruolo del nutrizionista è diventato sempre più centrale nelle dinamiche di squadra e della gestione dei corridori. Attraverso questo aspetto entrano in gioco diversi fattori fondamentali per la buona riuscita di una stagione o il raggiungimento di un obiettivo. Qualche settimana fa Leonardo Piepoli ci aveva raccontato come il lavoro del preparatore si coordina con l’attività dell’atleta e l’alimentazione. Ora è venuto il momento di andare a chiedere a una nutrizionista esperta, come Laura Martinelli, come si coordina il suo lavoro all’interno dello staff performance di una squadra. 

La veneta, che è all’interno dello staff del Team Jayco AlUla parte da uno scenario più largo, ma che serve per introdurre l’argomento. 

«C’è bisogno – dice – di un cappello introduttivo nel descrivere lo scenario che si crea tra il nutrizionista e il preparatore. Ci sono due modi di lavorare: internamente alla squadra ed esternamente. Cosa vuol dire? Nel primo caso il nutrizionista e il preparatore sono entrambi del team, mentre nel secondo caso uno dei due è esterno, ovvero è scelto dall’atleta».

Laura Martinelli è la nutrizionista del team WorldTour australiano
Laura Martinelli è la nutrizionista del team WorldTour australiano

Piccole differenze, grandi cambiamenti

Sembra una cosa di poco conto, ma nel momento in cui ci si trova all’interno di staff sempre più grandi e al lavoro con gruppi di atleti sempre più numerosi, conta molto il tipo di rapporto che si crea tra queste due figure

«Molte squadre – prosegue Laura Martinelli – vietano al corridore di lavorare con professionisti esterni al team. Noi in Jayco lasciamo maggiore libertà, anche se va detto che per noi dello staff è meglio avere tutto sotto controllo. Non è facile rapportarsi da esterno con i membri di una squadra, a livello di comunicazione non è semplice inserirsi e farsi dare i dati. C’è una sorta di segretezza anche con chi poi lavora con gli atleti del team».

La stagione per i corridori della Jayco AlUla è iniziata in Australia e sta proseguendo ora tra Spagna e le corse di casa
La stagione per i corridori della Jayco AlUla è iniziata in Australia e sta proseguendo ora tra Spagna e le corse di casa
Da voi come funziona?

In squadra ci sono dei Performance Manager, ogni corridore ha il suo. Questa figura si occupa di fare da tramite tra il preparatore esterno e la squadra. Il fine è fare in modo che lui possa curare la comunicazione e passare a noi i dati necessari per lavorare. 

Tu come ti rapporti quindi con un preparatore esterno?

Di solito a inizio stagione mi presento e si fa una chiacchierata introduttiva. Meglio arriva subito che quando le cose vanno male, il rapporto di fiducia e di scambio di informazioni diventa più facile. Cerco di capire come lavora il preparatore, anche se ora quasi tutti utilizzano Training Peaks. Di solito mi pongo l’obiettivo di chiedere il programma di lavoro almeno con tre o quattro giorni di anticipo

Il nutrizionista stila un macro piano dell’alimentazione a seconda degli obiettivi che l’atleta ha durante la stagione
Il nutrizionista stila un macro piano dell’alimentazione a seconda degli obiettivi che l’atleta ha durante la stagione
Nel caso, invece, in cui l’atleta sia seguito da un vostro preparatore?

Come detto tutto è più facile. Il mio lavoro diventa consequenziale. Il preparatore crea un programma di lavoro e di corse, da lì io mi inserisco e realizzo il piano alimentare. Ogni settimana, il martedì mattina, abbiamo una riunione interna dello staff performance nella quale ci scambiamo dati e opinioni. 

Come funziona il piano alimentare?

Si coordina in base ai programmi legati alla performance, all’allenamento e agli obiettivi stagionali. Nelle visite mediche di novembre, che facciamo a Torino, parliamo con i corridori e in base al programma programmo un macro piano. Ad esempio: nei prossimi dodici mesi l’atleta vuole imparare a mangiare di più in bici per arrivare a fine gara con più energie. Oppure si vuole gestire meglio il periodo di riposo, quindi non prendere troppi chili quando ci si ferma.

Iniziare la stagione in Australia, come Plapp neo campione nazionale crono, richiede un piano alimentare differente durante l’inverno
Iniziare in Australia, come Plapp, richiede un piano alimentare differente durante l’inverno
Da questo piano stagionale come si gestisce la nutrizione e quindi il peso dell’atleta?

Se un corridore deve essere pronto per il Tour Down Under o per le Classiche cambia molto. Diciamo che una volta che si ha il Performance Plan si sa che ruolo avrà all’interno delle corse. Quindi se in Belgio deve andare in supporto e poi essere pronto per il Giro si gestirà il peso in modo che sia al punto giusto a maggio. Questa cosa si ha maggiormente con gli scalatori.

In che senso?

Loro hanno una definizione maggiore del trend di peso. Si programma una scala da seguire in modo che non sia troppo magro quando si è lontani dagli obiettivi stagionali. 

Un ruolo di coordinamento comunque complicato.

Serve una grande visione d’insieme. La cosa più importante è ricordare che il piano viene creato ma poi ci si deve saper adattare. Si deve creare il giusto feeling tra coach e nutrizionista perché se non si sa lavorare in simbiosi tutto perde di valore.

Sicurezza: manifestazione a Roma all’indomani del Giro?

29.01.2025
3 min
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«Sicuramente bisogna fare qualcosa – dice Salvato – perché tutti quanti stiamo qua solo a lamentarci per la poca sicurezza o a fare il post con il cuoricino spezzato per Sara che è morta, ma alla fine diventa ridicolo, hai capito?».

Abbiamo chiamato il presidente dell’ACCPI perché l’idea di organizzare una manifestazione di ciclisti sta prendendo forma. Dopo la morte di Sara Piffer era solo nella nostra testa , ma quando ne è uscita attraverso l’Editoriale di ieri, ha incontrato il consenso del popolo del ciclismo. Quantomeno della gente comune, ma i corridori? I professionisti sono disposti a scendere in piazza e metterci la faccia per protestare contro una strage che riguarda loro per primi? Chi può essere sicuro di non essere il prossimo?

In questi ultimi 30 anni li abbiamo visti scioperare per non mettere il casco, contro le scorribande della Polizia al Tour del 1998, contro le rotaie e la poca sicurezza sulle strade del Giro, perché c’era troppo vento, perché c’era troppa pioggia e anche per la neve. 

L’uccisione di Sara Piffer ha fatto traboccare il vaso? E’ immaginabile scendere in piazza? (immagine Instagram)
L’uccisione di Sara Piffer ha fatto traboccare il vaso? E’ immaginabile scendere in piazza? (immagine Instagram)
E adesso, presidente, avrebbero voglia di metterci la faccia?

Riavvolgendo un po’ il nastro, sapete da quanto stiamo battagliando su questa cosa, no? Siamo stati i primi a muoverci sul tema della sicurezza e lungo la strada abbiamo conosciuto tanti amici. Marco Cavorso, ad esempio, che è stato uno dei motori e sempre una forza di tutto questo movimento. Poi c’è stato il tira e molla per la legge del metro e mezzo. Ci siamo arrivati vicini tante volte. Siamo stati a Roma con vari ministri, ne ho conosciuti tanti, però alla fine c’è stata la versione di Salvini: non era come la volevamo, però almeno è stata approvata.

Cristian, non basta…

Per questo abbiamo parlato con varie persone e avevamo pensato di muoverci sul fronte della comunicazione. Si pensava di realizzare degli spot sulla sicurezza stradale, ci erano state date parole di collaborazione che poi sono state rimangiate. Tanto che ne abbiamo riparlato nel nostro Consiglio e ci siamo detti di fare anche da soli.

Di cosa si tratterebbe?

Avevamo in mente di coinvolgere qualche personaggio noto, si pensava a Paolo Kessisoglu, che è un grande appassionato di bici. L’idea era di realizzare delle pillole video in cui far parlare corridori, familiari che hanno perduto qualcuno, ma anche personaggi di spicco come Paolo, appunto, ma anche Cannavaro, oppure Jovanotti e magari Mancini…

Cavorso, con Paola Gianotti e Fondriest: una settimana dopo questa foto al Mugello, la morte di Sara Piffer
Cavorso, con Paola Gianotti e Fondriest: una settimana dopo questa foto al Mugello, la morte di Sara Piffer
Non basta. Finora hai parlato di iniziative cui partecipi tu e nessun corridore. Quello che sarebbe bello sapere è se per questo scenderebbero in strada. Altrimenti si fa un funerale e ci si mette buoni ad aspettare il prossimo…

Ognuno è preso dalle sue mille cose. Se li prendi singolarmente, magari De Marchi che è sempre più sensibile, oppure Trentin… E’ difficile coinvolgerli, devi organizzargli le cose, lo sai come sono fatti…

Ma qui si parla della loro vita e il solo modo perché la gente se ne accorga è invadere le città…

Allora proviamo a organizzare qualcosa che potrebbe essere, non so, il giorno dopo il Giro d’Italia? I ragazzi saranno a Roma, gli si può chiedere di fermarsi un giorno in più, sennò come fai a portarne tanti? La carovana è là e magari invece di tornare a casa la mattina dopo, tornano il pomeriggio. Ma una cosa dobbiamo saperla.

Quale?

Puoi mettere in atto tutte le azioni che vuoi, ma c’è poco da fare se ti ritrovi con quel vecchio che andava troppo forte e in Spagna ha investito la nazionale tedesca, a Calpe che sembra il paradiso dei ciclisti. Però sono d’accordo, qualcosa bisogna fare e bisogna anche coinvolgere più gente possibile. Anche io tante volte quando sono in bici, quando torno più che altro, penso che potrebbe toccare anche a me.