Pedersen, terza Gand: 56 chilometri da solo come i giganti

30.03.2025
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Che faccia ha un corridore che progetta l’impresa sin dalla partenza? Nel mattino di Gand, Mads Pedersen è parso di poche parole ben più del solito. Il gioco di luci e ombre sul volto ne scolpiva l’espressione che il fotografo è stato bravo a cogliere prima che il gruppo variopinto prendesse la via della campagna. Mancavano 250 chilometri a Wevelgem e quando infine l’ha raggiunta, vincendo la corsa per tre volte come pochi giganti prima di lui, il danese della Lidl-Trek è entrato nella storia.

Dopo l’arrivo è senza parole, neppure lui pensava che gli venisse così bene. Una vittoria come Van der Poel o Pogacar, una vittoria da campione che ne ha più di tutti gli altri.

«Non mi sarei mai aspettato di farlo in questo modo – dice appena ha avuto il tempo di riprendere fiato e rendersi conto – volevo mettere alla prova le mie gambe sul pavé. Quando ho attaccato da solo sul Kemmelberg con più di 50 chilometri da percorrere, ho pensato di aver scoperto le carte troppo presto, ma fortunatamente sono riuscito a resistere. Alla fine (ride, ndr) si è rivelata la decisione giusta».

Il ferro finché è caldo

Nessuno ha dimenticato com’era finita lo scorso anno, quando Mads giocò da furbo nella volata a due e fece cadere nella trappola nientemeno che Van der Poel. L’olandese venerdì ha fatto la sua recita ad Harelbeke e poi si è ritirato… nelle sue stanze, aspettando il Fiandre e la Roubaix. Imitarlo non avrebbe avuto senso, deve aver pensato Pedersen. Se corri solo quando ci sono lui e Pogacar, non vinci. Allora è meglio battere il ferro finché è caldo e dare soddisfazione a una gamba così buona, come quella con cui Mads è uscito dalla Parigi-Nizza.

«Un monumento come il Fiandre – spiega – è una gara completamente diversa e ci sono altri due top rider al via (ridendo, ndr). Uno di loro due giorni fa mi ha staccato sull’Oude Kwaremont, ma questa vittoria sicuramente mi dà la carica. Non andrò al Fiandre rassegnato. Aver vinto di nuovo qui significa molto. Stamattina mi avevano detto che potevo diventare un detentore del record. E’ un onore essere nella lista accanto a Merckx e Boonen».

La paura del gruppo

Oltre a Pedersen, altri sei corridori hanno vinto tre volte la Gand-Wevelgem. Prima di lui (che l’aveva già vinta nel 2020 e 2024), ci sono stati Boonen, Sagan, Cipollini, Merckx, Van Looy e Van Eenaeme, con la sensazione che Pedersen potrebbe anche lasciarseli alle spalle, dati i suoi 29 anni e la consapevolezza che cresce stagione dopo stagione. Eppure per qualche istante, anche il gelido Mads ha avuto paura di non farcela.

«Sapevo dalle edizioni precedenti – spiega – che negli ultimi dieci chilometri il gruppo può essere più veloce dell’attaccante, quindi non ero molto sicuro di avercela fatta. Solo negli ultimi 5 chilometri ho creduto che avrei portato a termine il compito. Forse sono nella mia migliore forma di sempre».

In realtà il suo vantaggio non è mai sceso in modo per lui rischioso. Pedersen è parso in controllo e spinta sempre efficaci. Del resto se ad Harelbeke il solo cui si è inchinato è stato il prodigioso Van der Poel del Qwaremont, senza Mathieu tra i piedi chi avrebbe potuto fermarlo?

Van Aert fa le prove

Il terzo posto di Jonathan Milan mette ancora una volta un italiano sul podio, con Ballerini sesto a fargli compagnia fra i primi 10. Il friulano ha raccontato che la Lidl-Trek è partita con l’idea di vivere un bel giorno, consapevole di avere più carte da giocare. Ha ammesso di essere uscito troppo presto nella volata e che il Fiandre potrebbe essere una sfida proibitiva, mentre la Roubaix per lui è la corsa più speciale, nonostante non l’abbia mai conclusa.

Il Fiandre è per tutti o quasi un argomento tabù. Contro i giganti servirà un miracolo per guadagnarsi un posto al sole, al punto che sui media belgi si è dato grande risalto al lavoro svolto proprio oggi da Wout Van Aert. Mentre Pedersen vinceva la Gand-Wevelgem e nonostante gli avessero suggerito di parteciparvi a sua volta, il belga della Visma-Lease a Bike ha completato una simulazione di gara, con un allenamento di oltre 140 chilometri a 42,800 di media.

Pedersen lo incontrerà mercoledì alla Dwars door Vlaanderen di Waregem, la gara che lo scorso anno vide la caduta disastrosa e il ritiro di Van Aert. Pogacar, Van der Poel e Ganna non ci saranno. Per rivederli ci sarà da attendere un’altra domenica. La prossima.

Due secoli di Stelvio, Cima Coppi per storia e per diritto

30.03.2025
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Lo Stelvio compie 200 anni. La montagna resa famosa per la prima volta nel 1953 da Fausto Coppi (foto di apertura Publifoto/LaPresse) sarà al centro di un calendario di iniziative dalle quali si coglie immediatamente la sua importanza. Se infatti la strada fu scavata a tempo di record per la sua utilità commerciale, oggi il passo più alto d’Italia è un polo sportivo e turistico di primissimo piano fra la Valtellina, l’Alto Adige e l’Engadina, in Svizzera.

Per i 200 anni dello Stelvio, si stanno organizzando eventi e manifestazioni
Per i 200 anni dello Stelvio, si stanno organizzando eventi e manifestazioni

Tutto fatto in 63 mesi

All’inizio dell’Ottocento il collegamento fra la Val Venosta e la Valtellina, fra l’Austria e Milano, era assicurato da un sentiero, che non poteva più bastare. Il progetto per una strada larga tre metri fu commissionato nel 1812, ma con le Guerre Napoleoniche che infuriavano, non si trovarono tempo né risorse. Fu Federico II d’Asburgo a riprenderlo in mano nel 1818, affidando l’incarico a Carlo Donegani, l’ingegnere di Sondrio che aveva già progettato lo Spluga. I lavori furono terminati in 63 mesi. La strada venne inaugurata infatti nel 1825. Fu così che nacque il Passo dello Stelvio, a 2.758 metri sul livello del mare, lunghezza complessiva di 46,5 chilometri, 88 tornanti e 7 gallerie.

La strada fu teatro degli scontri tra italiani e austriaci nella Prima Guerra Mondiale, mentre la prima volta che lo Stelvio comparve nel Giro d’Italia fu, come si diceva, nel 1953. Coppi se ne servì come trampolino per ribaltare la classifica generale e strappare la maglia rosa dalle spalle dello svizzero Koblet.

E’ il 1975, testa a testa fra Bertoglio e Galdos sullo Stelvio: il Giro finisce in cima, maglia rosa all’italiano
E’ il 1975, testa a testa fra Bertoglio e Galdos sullo Stelvio: il Giro finisce in cima, maglia rosa all’italiano

Il Giro per 13 volte

Il Giro d’Italia dei professionisti ha affrontato lo Stelvio per 13 volte: 8 dal versante valtellinese, 5 da quello altoatesino. Il valico è stato per quattro volte arrivo di tappa, con vittorie di Battistini, Fuente, Galdos e per ultimo De Gendt nel 2012. La vittoria di Galdos fu particolare perché quell’anno, nel 1975, il Giro d’Italia si concluse proprio lassù. Lo spagnolo fece di tutto per staccare Bertoglio, ma non ci riuscì. A lui andò la tappa, il bresciano si portò a casa la maglia rosa che quest’anno festeggia i suoi 50 anni.

«Quel giorno rimarrà indelebile – ci raccontò quando nel 2005 andammo a trovarlo per i 30 anni dalla vittoria – me ne rendo conto sempre di più. Sono nella storia e ci rimarrò per sempre. Non tutti erano convinti che ce l’avrei fatta a difendermi da Galdos, ma io ci credevo. E ho anche il rammarico di non aver fatto la volata per vincere. Avevo la gamba giusta, ma ho voluto rispettarlo lasciandogli il successo».

Nel 1994, Pantani supera lo Stelvio e sul Mortirolo si scatena staccando Indurain e Berzin
Nel 1994, Pantani supera lo Stelvio e sul Mortirolo si scatena staccando Indurain e Berzin

Coppi, Vona e Pantani

Proprio in onore di Fausto Coppi che lo tenne a battesimo, il passo è la Cima Coppi del Giro ogni volta che vi viene inserito: essendo un titolo che spetta alla cima più alta della corsa, non potrebbe essere altrimenti dato che in Italia non si trovano valichi più alti. Lo Stelvio è stato a lungo anche il passo più alto d’Europa, finché i francesi non fecero un giochino. Si inventarono un anello stradale attorno alla piramide rocciosa de La Bonette che da 2.715 passò a 2.802 strappando allo Stelvio il suo primato. Fra gli atleti che hanno conquistato la Cima Coppi, ricordiamo Gaul, Bernaudeau, Cataldo, Nibali e nel 1994 anche il ciociaro Franco Vona. 

«Io non sono che un piccolo granello al confronto dello Stelvio – dichiarò Vona – e per me fu una gioia immensa, quasi come vincere una tappa. Il ciclismo è legato a episodi romantici come quel mio passaggio, tanto che mi capita più spesso di essere ricordato per quel passaggio che per le due tappe che avevo vinto a Corvara e prima ancora a Innsbruck (rispettivamente nei Giri del 1992 e del 1988, ndr). Quel giorno fu indimenticabile, anche per l’esplosione di Pantani. Mi riprese sul Mortirolo e quando mi passò pensai che fosse davvero forte. Io ero sfinito, lui sembrava fosse appena partito. Avevo fatto tante fughe nella mia carriera, ma nessuno mi aveva mai ripreso e staccato a quel modo».

Il 5 giugno del 1994, lo Stelvio diede l’ispirazione al giovanissimo Marco Pantani, che infatti planò su Bormio e iniziò la fantastica cavalcata sul Mortirolo e il Santa Cristina

Giro del 2005, Passo dello Stelvio. Basso sta male, si copre e riparte
Giro del 2005, Passo dello Stelvio. Basso sta male, si copre e riparte

Il dramma di Basso

Al ricordo esaltante e pieno di malinconia di quel 1994, corrisponde quello di Ivan Basso che nel 2005 sullo Stelvio avrebbe potuto costruire la prima vittoria al Giro, invece ne fu respinto. Lui che in Valtellina aveva trascorso tutte le estati nella casa di origine di sua madre.

«Uno dei miei primi ricordi da ciclista – racconta infatti Basso – è la scalata dello Stelvio con mio padre quando avevo otto anni. Era una giornata luminosa e pedalavo sulla mia Moser blu e argento. Lo Stelvio è duro per qualsiasi ciclista, ma per un bambino è un’impresa speciale, mi sentivo come se stessi scalando la montagna più alta del mondo. Mi ha sempre ispirato grande rispetto. Su una salita così c’è una sola regola: non andare mai fuori giri, soprattutto in gara. Negli ultimi 5 chilometri sei oltre 2.000 metri e c’è così poco ossigeno che ti manca il fiato.

«Salire può essere un’esperienza intensa ed emozionante. Ho scalato lo Stelvio lottando per la maglia rosa, ma stavo male e persi 42 minuti, vidi svanire il Giro. Ogni pedalata contro quella pendenza feroce fu una vera tortura».

L’ultima volta che il Giro èa rrivato allo Stelvio, vinse De Gendt: era il 2012
L’ultima volta che il Giro èa rrivato allo Stelvio, vinse De Gendt: era il 2012

Il Giro del 2025

Lo Stelvio è da sempre il metro di paragone per ciclisti da tutto il mondo. Nel surreale e splendido Giro del 2020, corso a ottobre per il Covid, per primo sulla cima transitò l’australiano Dennis, nella tappa che si sarebbe poi conclusa ai lagni di Cancano. Si sarebbe dovuti salire lassù anche nel 2024, ma la famosa nevicata che bloccò la carovana a Livigno sconsigliò l’idea.

Ai piedi di quella strada che nell’estate compirà 200 anni, il Giro farà tappa anche quest’anno. La corsa non andrà lassù: il rischio neve resta un deterrente troppo grande. Si arriverà a Bormio, con la 17ª tappa che scalerà il Tonale e il Mortirolo. Lo Stelvio ci guarderà dall’alto. E quella sera, cenando nella sua vasta ombra, brinderemo a lui con un calice di buon rosso valtellinese, prima di ripartire l’indomani da Morbegno alla volta di Cesano Maderno.

Dopo il podio di via Roma, la Ruegg ambisce al tetto del mondo

30.03.2025
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Vollering, Wiebes, Longo Borghini? Sì, sono le protagoniste di questo inizio di stagione, ma non sono le più costanti, ossia quelle che a livello di WorldTour hanno ottenuto più punti. Il primato spetta infatti a Noemi Ruegg, svizzera ventiquattrenne che paradossalmente non appartiene a un team della massima serie, correndo per l’EF Education-Oatly.

L’elvetica ha iniziato in Australia conquistando di forza il successo al Santos Tour Down Under, ma poi ha colto anche il terzo posto alla Cadel Evans Great Ocean Race, per poi collezionare Top 10 nelle classiche di casa nostra, tra Strade Bianche, Trofeo Binda fino al podio a sorpresa nella Milano-Sanremo. Ce n’è abbastanza per andare alla sua scoperta e capire come sia spuntata fuori tra le grandi del panorama internazionale.

Willunga Hill: la Ruegg mette le mani sul Santos Tour e da lì parte la sua entusiasmante stagione
Willunga Hill: la Ruegg mette le mani sul Santos Tour e da lì parte la sua entusiasmante stagione
Qual è la tua storia ciclistica, come hai iniziato e sei arrivata a questo punto?

Ho iniziato attraverso la mia famiglia. Ho un fratello maggiore di 5 anni, Timon, ora è un professionista di mountain bike ma a ispirarci è stato nostro padre. Con lui che era un ciclista per diletto andavamo a vedere le gare di ciclocross di mio fratello maggiore e a un certo punto ho voluto provarci anch’io. Soprattutto quando dovevo andare a scuola in bici, me ne sono davvero innamorata. Ho voluto provare anche io una gara di ciclocross, e mi è piaciuta molto. Lì ho cominciato davvero.

Dall’inizio dell’anno sei la ciclista che ha ottenuto più risultati: che cosa è cambiato per farti fare questo progresso?

Mi alleno in modo molto costante e ho sempre saputo che questi risultati erano dentro di me. Mi sentivo abbastanza forte per farlo, ma avevo solo bisogno di acquisire molta esperienza. Penso che ora il lavoro stia semplicemente dando i suoi frutti come tutto quello che ho fatto negli ultimi anni. Acquisire esperienza nelle gare significa saperle leggere in anticipo, cogliere tutte le tattiche e reggere anche fisicamente. Sono migliorata molto e penso che potrei fare un altro passo avanti. Ma non c’è niente che abbia fatto di diverso in modo specifico. Penso che sia solo che ho lavorato sodo e costantemente.

La gioia della ventitreenne di Schlofflisdorf per la sua vittoria al Santos Tour Down Under
La gioia della ventitreenne di Schlofflisdorf per la sua vittoria al Santos Tour Down Under
Quanto ha inciso vincere il Tour Down Under nella tua consapevolezza?

Di sicuro mi ha dato molta sicurezza perché era la prima gara della stagione e non sai mai dove ti trovi dopo l’inverno. Per me è stato un sollievo perché sono rimasta per lo più a casa in Svizzera a causa del vento. Quindi ho passato un sacco di ore anche sui rulli e pensavo «Oh, forse avrei dovuto andare in Spagna come tutti gli altri per fare un buon ritiro di allenamento». Ma ho deciso di restare a casa. Quindi ero un po’ dubbiosa su quel che avrei ottenuto. Sì, ho fatto la cosa giusta e questo mi ha dato molta sicurezza.

Tu emergi sia nelle corse a tappe che nelle classiche: quali sono le corse che preferisci?

E’ difficile dirlo. Mi piacciono molto entrambe. Penso che le corse a tappe siano qualcosa di veramente speciale perché hai la possibilità ogni giorno di migliorare immediatamente. Gli errori che hai fatto come squadra, li puoi annullare. Le classiche di un giorno mi piacciono molto perché sono sempre piene di incognite. Non riesco davvero a decidere cosa mi piace di più.

L’elvetica, campionessa nazionale lo scorso anno, ha trovato nel team la realtà giusta per emergere
L’elvetica, campionessa nazionale lo scorso anno, ha trovato nel team la realtà giusta per emergere
Hai cambiato team lo scorso anno lasciando il WorldTour: che differenze hai trovato?

In realtà la EF è strutturata come un team del WorldTour. Tutto è perfettamente organizzato e lavoriamo anche abbastanza in contatto il team maschile. A me sinceramente sembra di essere sempre in un team della massima serie. Ovviamente le due squadre sono un po’ diverse. In questo mese ho avuto davvero il mio ruolo di leader, che mi è anche piaciuto molto. E penso che potrei imparare molto anche da questi due anni, diventare una leader a tempo pieno e ho avuto davvero la possibilità di farlo nel team EF. Prima mi sentivo un po’ bloccata in questo ruolo di aiutante, gareggiando soprattutto nel calendario nazionale. Avevo bisogno di cambiare qualcosa.

Hai chiuso sul podio la Milano-Sanremo: che corsa è stata per te?

E’ stato fantastico. Io ancora non riesco a pensarci. Sono salita sul podio in una delle gare monumento. La gara è stata abbastanza frenetica fin dall’inizio, penso che tutti fossero super nervosi perché quella era la prima edizione e non sapevamo a che cosa andavamo incontro.  Ci sono anche state un paio di cadute che mi hanno costretto a fermarmi e ripartire. Quindi la mia squadra ha dovuto riportarmi nel gruppo. Non è stata una gara perfetta dall’inizio alla fine ho fatto qualche errore, ma alla fine ero lì quando dovevo essere nei punti chiave e mi sentivo forte su entrambe le salite decisive. E potevo fidarmi del mio sprint.

Una Ruegg raggiante sul podio della Sanremo. Eppure a ripensarci poteva anche far saltare il banco…
Una Ruegg raggiante sul podio della Sanremo. Eppure a ripensarci poteva anche far saltare il banco…
Ma l’hai trovata molto diversa dalle altre classiche e così particolare per quanto riguarda la strategia come la gara maschile?

Non possiamo davvero paragonare la gara maschile a quella femminile. C’è un chilometraggio molto diverso, ma abbiamo dimostrato che possiamo davvero fare una gara emozionante anche noi. Come nella gara maschile. Non è un caso se all’arrivo sia arrivato un gruppo ristretto e il finale sia stato così emozionante.

Tre volte in top 10 nelle classiche italiane del WorldTour: pensi che avresti potuto fare meglio e dove?

Bella domanda, in effetti c’è una cosa in cui avrei potuto fare un po’ meglio. Lo sprint mi sarebbe andato molto bene con il leggero arrivo in salita, ma ero troppo indietro all’ultima curva. Così non sono riuscita a fare il mio sprint perfetto. Chissà, in una posizione migliore poteva anche andare diversamente. Comunque tre volte nella top ten e il podio a Sanremo è già incredibile.

Per l’elvetica i risultati ottenuti stanno portando grande popolarità anche in patria
Per l’elvetica i risultati ottenuti stanno portando grande popolarità anche in patria
In corsa ti piace avere l’iniziativa o studi le avversarie per scegliere la tattica migliore?

Mi piace molto avere la mia strategia e un mio piano che mi dia risultati. All’avvicinamento di una gara mi dedico sempre a molto riposo. Poi vado in gara e mi domando «Cosa devo fare? Qual è il piano?». Nel ciclismo devi sempre essere flessibile. Devi adattarti, ma anche fidarti del tuo istinto, e penso di stare migliorando anche in quello.

Per una ragazza svizzera la mountain bike è ancora la prima scelta o i risultati della Reusser e tuoi stanno cambiando la situazione?

Ho anche fatto un po’ di mountain bike in passato ma non mi sono mai impegnata davvero. Non mi è mai piaciuta molto, ma è ancora la disciplina più praticata da noi. Però il cambiamento è in atto. Possiamo avere più ragazze anche sulla strada, ma non solo grazie a me, penso a Marleen Reusser, Elise Chabbey, Linda Zanetti, siamo tutte dei buoni modelli e penso che ora possiamo ispirare le giovani.

La svizzera ora punta con decisione ai Grandi Giri, a cominciare dalla Vuelta
La svizzera ora punta con decisione ai Grandi Giri, a cominciare dalla Vuelta
Che cosa desideri ora dalle prossime gare?

Voglio solo restare me stessa e concentrarmi solo sul mio processo. Se continuo a crescere credo che i risultati arriveranno automaticamente. Non voglio mettermi troppa pressione. Non c’è un obiettivo specifico. Sono curiosa di vedere come andrò in un grande giro. Cominciando intanto alla Vuelta e sarebbe incredibile andare sul podio anche lì, ma di sicuro è quella la mia ambizione. Proverò a vincere qualche tappa e poi aiuterò la squadra per la classifica generale.

Ganna e la prestazione monstre a Sanremo: frutto della mente

30.03.2025
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La Milano-Sanremo continua a tenere banco, lo spettacolo che ci ha regalato ha tenuto tutti con il fiato sospeso e con gli occhi incollati alla strada. Da una parte c’era il campione del mondo, Tadej Pogacar, mattatore della passata stagione e che ha iniziato il 2025 con lo stesso piglio. Dall’altra parte gli sfidanti: Mathieu Van der Poel e Filippo Ganna. Quello che più ha colpito è stata la prestazione di “Top Ganna”, un continuo ghigno di fatica era scolpito sul suo volto. Ha messo tutto quello che aveva e anche qualcosa in più per rientrare tutte le volte sulle ruote dei primi due. Ecco, proprio qui sta la chiave di lettura di questo articolo, in quel qualcosa in più che Ganna ha messo in gioco. 

Il secondo posto di Ganna alla Sanremo è figlio di tante gambe e di altrettanta determinazione
Il secondo posto di Ganna alla Sanremo è figlio di tante gambe e di altrettanta determinazione

La forza di soffrire 

Un post su Instagram di Adriano Malori ha riassunto perfettamente la corsa e lo spirito dell’azzurro: “Ultimamente dopo ogni gara c’è la sfida sui social media a chi pubblica per primo la potenza di un ciclista o quanto tempo è passato a tot watt per chilo, ma c’è una componente molto importante che mai nessuno tiene in conto:  Le palle”. 

«Io sono una signora e una mental coach e quindi dico la testa». Risponde sorridendo Paola Pagani, alla quale ci siamo affidati per capire quale sia questo “qualcosa in più” messo in corsa da Ganna. «Perché è quella la componente che spesso fa la differenza. In atleti di primo livello non è quasi mai un problema di gambe, ma è la mente che ti fa resistere quel qualcosa in più. Alla Sanremo Ganna aveva le gambe che bruciavano ma la sua testa gli ha fatto dire: “Ok, sei qua, resisti, puoi starci, non mollare”». 

Ganna ha dovuto fare sforzi incredibili per resistere alle bordate di Pogacar su Cipressa e Poggio
Ganna ha dovuto fare sforzi incredibili per resistere alle bordate di Pogacar su Cipressa e Poggio

Motore o freno

Gran parte della prestazione di Filippo Ganna è data dagli allenamenti e dalle sue qualità atletiche, questo non lo dobbiamo dimenticare. Tuttavia per resistere a certi attacchi serve una grande forza mentale, che non è sempre facile trovare. 

«La testa può essere un grande acceleratore o un grande nemico – continua Paola Pagani – perché tanti atleti si fermano appena sentono di fare fatica. Il tutto cambia quando cominciamo a ragionare sul fatto che anche gli altri faticano. Diciamo che la testa diventa un acceleratore quando metabolizzano questo concetto. Però grande parte dello sforzo passa da noi, allenarsi serve anche a sapere quali sensazioni proverai in gara. Ai miei ragazzi dico sempre che anche Pogacar fa fatica, nel ciclismo questa componente non manca mai. Bisogna agganciarsi al fatto che questo sforzo lo posso sopportare e allora si riesce a fare una prestazione come quella di Ganna».

Per alcuni chilometri il corridore della Ineos è stato un puntino sfocato sullo sfondo dello schermo
Per alcuni chilometri il corridore della Ineos è stato un puntino sfocato sullo sfondo dello schermo

Oltre i numeri

In un ciclismo che si basa sempre più sui numeri e i valori che gli atleti riescono a esprimere sta sparendo la componente umana. Invece Ganna ci ha ricordato che in bici ci salgono delle persone e che la differenza spesso è nella voglia di vincere e primeggiare, di dimostrare che qualcosa è possibile. 

«A proposito – spiega Paola Pagani – porto l’esempio del primo uomo che è riuscito a correre il miglio sotto i 4 minuti. Fino al 1956 si credeva che fosse impossibile, i medici dicevano che per l’essere umano fosse nocivo. Finché è arrivato Roger Bannister, un inglese, che è riuscito a correre il miglio in 3 minuti e 59 secondi e 56 centesimi. Ganna a suo modo ha fatto la stessa cosa, ha visto quei watt e ha capito di poter stare lì insieme a due mostri sacri. Sapete cosa è successo dopo che Bannister ha corso il miglio sotto i 4 minuti? Quell’anno, nel 1956, altri 16 atleti sono riusciti a fare la stessa cosa».

La forza di “Top Ganna” è stata quella di non mollare mai e di tenere ben focalizzato il suo obiettivo
La forza di “Top Ganna” è stata quella di non mollare mai e di tenere ben focalizzato il suo obiettivo

Dimostrare l’impossibile

Le ultime parole della mental coach aprono uno spiraglio interessante nel discorso. Dopo quasi un anno di dominio indiscusso Ganna e Van der Poel hanno battuto Pogacar. Lo sloveno nel 2024 e in questi primi mesi del 2025 non ha vinto solamente tre gare alle quali ha partecipato: la Sanremo dello scorso anno, il GP Quebec e di nuovo la Classicissima. 

«Hanno dimostrato che è battibile – dice Pagani – perché lo hanno battuto. Quando è scattato sulla Cipressa tutti hanno pensato potesse scavare un solco tra sé e gli altri, facendo quello cui ci ha abituato ultimamente. E invece gli sono stati dietro. La storia dell’essere umano è ricca di eventi che si pensava fossero impossibili e sono stati resi possibili da persone che con impegno e dedizione si sono messe e le hanno fatte. Quindi tu vai con la consapevolezza di aver fatto tutto il necessario riesci a superare i tuoi limiti. Ognuno ha il suo limite, non può essercene uno uguale per tutti. Ganna ha visto qual è il suo. Lui e Van der Poel hanno dimostrato che Pogacar è battibile, ora sta agli altri provarci». 

«La convinzione di possibilità – conclude – è una delle più forti, io devo essere convinto di quello che posso fare. Se lo sono metto in gioco tutte le mie capacità, il mio potenziale e il lavoro per arrivare dove voglio. Ma se parto già con il tarlo che tanto non è possibile magari metterò in gioco tutto quello ho ma ad un certo punto tenderò a autosabotarmi».

Dopo lo sfogo di Vollering, il punto sui premi per le donne

29.03.2025
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«Trovo molto deludente – ha detto Demi Vollering a Eurosport circa la Milano-Sanremo – che riceviamo solo l’11 per cento di ciò che spetta agli uomini. E’ una differenza enorme. Ora, nessuna di noi è qui per i premi in denaro, ma se la gente parla di pari opportunità, allora vogliamo davvero che accada. Ciò include le piccole cose, come questa. Dimostra solo che non ci siamo ancora arrivati. C’è ancora molto lavoro da fare».

Il Ministro Roccella ha garantito alla Lega Ciclismo la copertura dei premi per le gare femminili (foto Roberto Pittore)
Il Ministro Roccella ha garantito alla Lega Ciclismo la copertura dei premi per le gare femminili (foto Roberto Pittore)

La promessa del Ministro

L’importo dei premi è indicato sul libro di corsa della Sanremo, stampato su un lato per gli uomini e sull’altro per le donne. Entrambe le gare sono inserite nel calendario del WorldTour.

Il montepremi per gli uomini ammonta a 50 mila euro: il primo che ne vince 20 mila, il secondo 10 mila e il terzo 5 mila. Quello per le donne ammonta complessivamente a 10.260 euro: la prima ne ha presi 2.256, la seconda 1.692, la terza 1.128.

Al netto del fatto che la parità non passa soltanto per i premi, ma anche per la sicurezza in corsa, il divario è obiettivamente notevole. Per questo abbiamo provato a fare una piccola ricostruzione del discorso dei premi. Alla presentazione della Coppa Italia delle Regioni a Roma, il Ministro della Famiglia e delle Pari Opportunità Roccella assicurò infatti alla Lega Ciclismo i fondi per pareggiare la differenza dei premi.

E’ l’Accpi, presieduta da Cristian Salvato, a ricevere e ridistribuire i premi delle corse
E’ l’Accpi, presieduta da Cristian Salvato, a ricevere e ridistribuire i premi delle corse

Una casa sicura

Cristian Salvato, presidente dell’Accpi, fa un riassunto sulla situazione dei premi. Spiega che non esiste una regola che imponga agli organizzatori di prevedere premi uguali per uomini e donne. Lo hanno fatto quelli di Flanders Classics che organizzano il Giro delle Fiandre, ma in giro per il mondo non è un’abitudine condivisa da tutti.

«In Italia ci siamo avvicinati – spiega – dopo che la Lega Ciclismo del presidente Pella ha stanziato una somma per questo scopo con il contributo del Ministro Roccella. Gli organizzatori mettono una somma e loro integrano, ma non arrivano al vero pareggio. Quanto alla distribuzione dei premi, come altre associazioni dei corridori in Francia e Spagna, li raccogliamo noi in Italia e poi li giriamo al CPA Cycling che è il referente unico.

«Io penso però che la parità di cui parla Vollering non sia da circoscrivere ai premi. La strada per costruire una casa solida è ancora lunga, bisogna tirare su dei muri fatti bene, poi si può pensare all’arredamento. Non basta dare i premi e siamo a posto, secondo me sono l’ultima cosa. Prima c’è da parlare soprattutto di sicurezza che non passa per i cartellini gialli e quelle cose. Passa da uno standard omogeneo per le barriere, ad esempio, che non c’è a livello professionistico e non oso immaginare a livello giovanile…».

L’UCI del presidente Lappartient ha parificato gli stipendi WorldTour femminili a quelli professional maschili
L’UCI del presidente Lappartient ha parificato gli stipendi WorldTour femminili a quelli professional maschili

Pareggio al livello Pro Series

I premi saranno l’ultima cosa, resta però la curiosità di capire in che modo la Lega Ciclismo si stia muovendo per pareggiare i conti e dare dunque seguito al suo annuncio.

Il pareggio effettivamente avviene, ma per tutte le gare femminile che fanno parte della Coppa Italia delle Regioni, il riferimento è ai premi alla categoria Pro Series maschile, che prevedono un montepremi di 18.800 per ogni gara.

Per cui la Sanremo con i suoi 50 mila euro resta lontana, ma ad esempio al Trofeo Matteotti gli uomini avranno un montepremi di 14 mila euro che sarà inferiore rispetto a quello delle donne. E d’altra parte la disparità regna sovrana anche a livello degli stipendi. Nonostante i proclami dell’UCI, gli stipendi delle donne WorldTour sono pari a quelli delle professional maschili, ma non risulta che Demi Vollering si sia lamentata per questo.

Quello che manca, volendo raggiungere il livello delle gare Monumento, sarebbe un’integrazione di 30 mila euro che però forse costituisce un esborso superiore a quello che la Sanremo delle donne rende a RCS in termini di ritorno economico. Si organizzano le gare per produrre utile ed è raro che l’organizzatore si esponga per importi superiori a quelli che incassa.

Il montepremi della Sanremo Donne è stato aumentato da RCS Sport (qui Vegni Bellino) rispetto al minimo stabilito dall’UCI
Il montepremi della Sanremo Donne è stato aumentato da RCS Sport (qui Vegni e Bellino) rispetto al minimo stabilito dall’UCI

La Coppa Italia delle Regioni

Dal punto di vista economico, nei prossimi 4-5 anni il ciclismo femminile difficilmente raggiungerà gli investimenti di quello maschile, per cui i ragionamenti degli organizzatori saranno per forza piuttosto cauti.

Nonostante ciò, dato che il montepremi minimo per le gare WorldTour è di 8.000 euro, i 10.260 di RCS costituiscono un passo in avanti. E se nel libro di corsa viene indicato un importo così basso è perché vi viene inserito il premio che l’organizzazione è in grado di riconoscere con le sue forze: l’integrazione da parte della Lega arriva da altre casse.

E’ pari invece fra uomini e donne il montepremi finale della Coppa Italia delle Regioni: 150 mila euro per gli uomini e la stessa cifra per le donne.

Sanremo Donne, il presidente della Lega Pella consegna a Balsamo la maglia di leader della Coppa Italia delle Regioni
Sanremo Donne, il presidente della Lega Pella consegna a Balsamo la maglia di leader della Coppa Italia delle Regioni

Un difetto di comunicazione?

Ma allora perché la protesta della Vollering? Forse per un difetto di comunicazione. Se infatti le atlete italiane sono state avvisate dell’intervento della Lega Ciclismo e sono consapevoli del contributo ai loro premi, forse è saltato il passaggio con le straniere, che la Lega non ha potuto contattare.

A quanto ci risulta, la Lega del Ciclismo Professionistico verserà la sua parte all’Accpi, con delle modalità attualmente allo studio. Dato che l’Associazione processa il pagamento dei premi 3-4 volte all’anno, la Lega approfitterà di una di queste finestre per il suo montepremi? Non resta che attendere la prova dei fatti, ma almeno ora il quadro ci sembra un po’ più chiaro.

Giaimi: una vittoria per scacciare i brutti pensieri

29.03.2025
5 min
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Luca Giaimi ha iniziato la sua seconda stagione nel devo team della UAE Team Emirates-XRG con un piglio diverso. Dopo le fatiche del primo anno nella formazione di sviluppo della squadra emiratina, il ligure ha trovato la vittoria in Portogallo. Un successo importante non tanto per il parterre presente al Troféu Internacional da Arrábida, ma per il significato che racchiude. Giaimi era arrivato al UAE Team Emirates Gen Z con gli occhi puntati addosso, per quanto fatto vedere fra gli juniores, ma anche per l’investimento fatto su di lui da parte della squadra numero uno al mondo: un contratto di sei anni, con scadenza quindi nel 2029

Lo stesso Giaimi, quando lo abbiamo incontrato la prima volta al ritiro del team nel gennaio del 2024 ci aveva detto: «Un contratto così lungo comporta meno stress legato alla scadenza, ma sento un po’ la pressione di dimostrare che me lo sono meritato».

Al Troféu Internacional da Arrábida è arrivato il primo successo con il devo team della UAE (foto Instgram Luca Giaimi)
Al Troféu Internacional da Arrábida è arrivato il primo successo con il devo team della UAE (foto Instgram Luca Giaimi)

Le pressioni

Da qui ripartiamo con Giacomo Notari, preparatore del UAE Team Emirates Gen Z e dello stesso Giaimi. Una sua storia su Instagram dopo la vittoria del suo atleta in Portogallo aveva acceso la nostra curiosità, questa diceva: “Un traguardo meritato dopo i sacrifici dell’inverno”. Ma quali sono questi sacrifici fatti?

«Giaimi arrivava da noi forte delle prestazioni fatte nella categoria juniores – racconta Notari – e non credo pensasse che tutto potesse risultare semplice. Sicuramente si immaginava di ottenere qualche risultato in più. Invece ha faticato, nonostante negli allenamenti non ci fosse niente da dire e lo scorso anno abbia messo insieme tante esperienze importanti, migliorando piano piano e finendo la stagione bene. Alla Crono delle Nazioni ha colto un ottimo secondo posto, è stata una bella iniezione di fiducia in vista del 2025. Però aveva capito che se voleva fare un salto di qualità ed essere più competitivo doveva cercare di perdere un po’ di chili. Quando ho scritto “sacrificio” mi riferivo a ciò che ha fatto da questo punto di vista».

Giaimi ha iniziato il 2025 dopo un inverno di grandi cambiamenti. Il primo? Il peso
Giaimi ha iniziato il 2025 dopo un inverno di grandi cambiamenti. Il primo? Il peso
Un “nuovo” Giaimi…

I chili persi gli hanno portato anche un miglioramento negli allenamenti: recupera meglio e si affatica meno. Tutto questo ha fatto sì che iniziasse la stagione con grosse motivazioni. Non nego che lui stesso si fosse messo delle pressioni, magari inconsciamente, e i primi appuntamenti lo hanno messo alla prova dal punto di vista mentale. Quello che gli mancava era collocare il tassello che gli potesse dare la giusta fiducia nei suoi mezzi. Quando vinci, poi ti sblocchi a livello mentale, sei più tranquillo e dopo puoi osare ancora. Tutti in squadra hanno visto un altro corridore.

Nei lavori in bici è cambiato qualcosa?

Non ha perso praticamente niente in termini di potenza, va un po’ meglio in salita, ma alla fine a livello di allenamento ha cambiato poco.

Quindi era un lavoro psicologico?

Sì, gli dicevo di stare tranquillo perché sapevamo che aveva lavorato bene e più che altro era un suo blocco mentale. Quando uno vuole una cosa e vede che non arriva, inizia ad autosabotarsi o a mettersi in dubbio. E’ una cosa che succede a tutti. Per questo sono felice che sia riuscito a vincere. Nei giorni prima di andare in Portogallo ha corso in Belgio con il team WorldTour. Insieme a Baldato avevamo studiato un piano per farlo recuperare ed essere pronto per le corse portoghesi

In Portogallo il suo coraggio è stato premiato, entrato nella fuga si è poi giocato la vittoria allo sprint (foto Instagram Luca Giaimi)
In Portogallo il suo coraggio è stato premiato, entrato nella fuga si è poi giocato la vittoria allo sprint (foto Instagram Luca Giaimi)
Lo hai sentito?

Il venerdì sera prima della gara, abbiamo parlato di un po’ di cose tra le quali la pista che ora tornerà a curare di più insieme a Salvoldi. Poi gli ho detto: «Domenica prova ad andare in fuga perché alla fine è l’unico modo che hai per vincere. Visto che ora stai bene bisogna provare». 

E poi ha vinto.

Dopo la gara gli ho scritto per sapere come fosse andata, sapevo già della vittoria, ma volevo sentirlo dire da lui. Mi ha risposto dicendo: «Ho fatto come mi hai detto, sono andato in fuga». A volte con i giovani c’è bisogno di spronarli, di osare.  

Dopo un anno con voi e il cambiamento fatto in inverno che corridore può essere Giaimi?

E’ ancora relativamente presto perché è abbastanza versatile. Secondo me, in maniera buona, non l’ha capito neanche lui che corridore è, sicuramente non uno scalatore. E’ un ottimo cronoman e inoltre è abbastanza veloce, ma non un velocista puro, anche se per le volate entrano in gioco altri meccanismi tecnici e tattici. Visti i suoi trascorsi in pista con l’inseguimento a squadre e individuale può essere un finisseur. Se trova il momento giusto di fare la sua sparata ha buone doti negli sforzi medi e medio lunghi

Giaimi ha corso già con il team WT sul pavé, il passo successivo sarà la Roubaix U23
Giaimi ha corso già con il team WT sul pavé, il passo successivo sarà la Roubaix U23
Nel tuo lavoro c’è tanto anche questo aspetto psicologico e di scambio?

Quando si è alle gare, spesso si va nelle camere a parlare faccia a faccia. Il lavoro da fare richiede di trovare un certo equilibrio, l’obiettivo è crescere, ma anche qualche risultato non fa male. Vincere aiuta a mantenere la concentrazione alta, a credere nel progetto e in se stessi. Se un corridore arriva a mettersi in dubbio è pericoloso. Poi, come dicevo, tornerà ad allenarsi con maggiore frequenza in pista, abbiamo già iniziato a parlare per capire qual è il miglior approccio da avere.

Van Aert “a vuoto” e ora la tensione cresce

29.03.2025
4 min
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Se Van der Poel non si ferma più, Wout Van Aert sembra aver smesso di volare. Tutti lo aspettano, tutti si chiedevano come stesse e tutti volevano che si facesse vedere. Che grande attesa che lo circondava al via del GP E3 di Harelbeke. E questi quesiti, che non si erano posti solo in Belgio, ieri hanno trovato una prima risposta… negativa purtroppo. Il campione della Visma-Lease a Bike ha chiuso 15° a 2’43” dall’eterno rivale Van der Poel, cosa che ha messo un carico pesante sulla sua prestazione non troppo brillante.

L’assenza di Van Aert alla Milano-Sanremo (e che Milano-Sanremo!) alla fine è stata rumorosa. E in questo momento il divario fra lu, Pogacar e Van der Poel appare enorme.

Su questa base tumultuosa si è quindi aperta la vera campagna del Nord di Van Aert. Wout Aveva preso parte al weekend di apertura con Omloop Het Nieuwsblad e Kuurne-Bruxelles-Kuurne, ma anche lì non era andata benissimo. Tra l’altro, un appunto che in Belgio in quei giorni era stato mosso a Van Aert riguardava anche il suo peso: leggermente più alto rispetto a chi era già in forma.

Van Aert e Benoot sul Teide nei giorni della Sanremo. Per il secondo anno, la stessa scelta (foto Instagram)
Van Aert e Benoot sul Teide nei giorni della Sanremo. Per il secondo anno, la stessa scelta (foto Instagram)

Sul Teide

Prima di parlare di ieri però facciamo un piccolo passo indietro per inquadrare meglio la situazione di Wout.

Dopo quelle due corse, parliamo dei primissimi di marzo, sono trascorse quattro settimane. Tre di queste hanno visto Van Aert andare in ritiro in altura. Un ritiro che, a quanto pare, è andato molto bene. Wout ha svolto i lavori programmati, ha lavorato sul fondo, ha utilizzato la bici da crono e si è concesso persino delle uscite in gravel.
Si è parlato di 60 ore di allenamento a settimana. Prima di scendere dal Teide, ha svolto nuovamente i test e tutto sembrava essere in ordine.

«Abbiamo avuto un buono e piacevole ritiro di allenamento a Tenerife – aveva detto Van Aert – ma ovviamente, come corridore, ciò che desideri di più è gareggiare. Non vedo l’ora di rimettere il numero. Magari non siamo i favoriti, ma abbiamo una squadra forte e Jorgenson ha mostrato grandi cose alla Parigi-Nizza».

Van Aert a fine corsa è parso abbastanza contrariato per la sua prestazione. Eccolo lottare nelle retrovie
Van Aert a fine corsa è parso abbastanza contrariato per la sua prestazione. Eccolo lottare nelle retrovie

Ora si corre

Di solito, quando Van Aert scende dall’altura, va sempre molto forte. Ma non è bastato contro chi ha gareggiato a ritmi e pressioni siderali. Quanto tempo servirà perché torni a muoversi con scioltezza e padronanza in gruppo? Va detto che ultimamente Van Aert è caduto spesso e non sempre è riuscito a posizionarsi al meglio nei momenti cruciali. Magari un piccolo rodaggio serve anche a lui…

Sono supposizioni, ma certo quando si manca da un po’ la pressione, specie per una nazione che lo ama alla follia, si fa sentire. E’ innegabile. Anche perché l’altro che poteva togliergliela, Remco Evenepoel, è fermo ai box. Ma questi dubbi sono stati più che legittimi.

Sentite cosa ha detto lo stesso Wout ieri dopo la gara: «Ho seguito la gara “dall’esterno” – ha detto – ho perso il ritmo su Taaienberg, ero un po’ troppo avanti lì. Ero intorno alla ventesima posizione, non male, ma non abbastanza per stare con loro (riferendosi principalmente a Mads Pedersen e Van der Poel, ndr) da lì è stata una gara all’indietro».

L’amore per Van Aert non è mai venuto meno da parte dei belgi
L’amore per Van Aert non è mai venuto meno da parte dei belgi

Fiandre e Roubaix

Ovviamente si è aperto subito il dibattito sulla scelta di non aver gareggiato prima, dell’altura prima di gare così importanti per Van Aert.

«E’ troppo presto per trarre conclusioni in tal senso – ha continuato il belga – ho anche provato a scappare via con Florian Vermeersch sull’Oude Kwaremont. Posso dire che ho avuto un buon finale. Speravo di essere in gara. Speravo di ottenere un risultato e non ha funzionato. Vedremo nelle prossime. Non sono soddisfatto».

In questa stagione l’asso di Herentals si gioca tantissimo. I due grandi obiettivi, mai nascosti e sempre dichiarati da Van Aert e dalla Visma-Lease a Bike, sono il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix. Wout va per i 30 anni e le occasioni all’orizzonte sono sempre meno. Prima però bisogna concentrarsi su quello che c’è da affrontare. Il calendario è fitto e questo dà speranza. Correrà tutte le settimane fino all’Amstel Gold Race. Non farà la Gand domenica, ma prenderà il via alla Dwars door Vlaanderen, quindi sarà in azione al Fiandre, alla Roubaix, al Brabante e, appunto, all’Amstel Gold Race, ultimo passaggio prima del Giro d’Italia.

Hofstetter, il cacciatore di punti, è pronto per vincere

29.03.2025
6 min
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Dall’inizio di stagione, Hugo Hofstetter ha accumulato finora 10 giorni di corsa: dopo un anonimo Tour des Alpes Maritimes, ha messo insieme 5 presenze consecutive nella top 10, con i podi alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne e al GP Criquielion, finendo fra Moschetti e Nizzolo. Per il francese della Israel Premier Tech non è una novità: se si va a guardare il resoconto degli ultimi anni, nessuno fra WorldTour e professional è riuscito a mantenere una costanza di rendimento come la sua. Hofstetter è una garanzia di punti, è forse l’archetipo ideale del professionista odierno, che va contro la tradizione, per il quale vincere conta, ma non è tutto.

Per il trentunenne di Altkirch la caccia al piazzamento è ormai qualcosa di distintivo
Per il trentunenne di Altkirch la caccia al piazzamento è ormai qualcosa di distintivo

In attesa di ricominciare la sua caccia ai piazzamenti, già domani con la Gand-Wevelgem, Hofstetter si è prestato volentieri a un fuoco di fila di domande per conoscere meglio da che cosa nasce questa sua attitudine, che ne fa un elemento preziosissimo per la sua squadra a caccia di un difficile ritorno nel WorldTour.

Quest’anno festeggi i tuoi 10 anni fra i professionisti, com’è cambiato il mondo del ciclismo secondo te in questi anni?

Molto rispetto a quando ho iniziato, ora è più complicato, devi rendere conto ad esempio al nutrizionista pesando il cibo, la tecnologia ha fatto passi avanti. Certe volte penso che siamo un po’ come la Formula Uno o anche le moto GP, dove si investe molto nell’equipaggiamento. Ora la bici è diversa da guidare e stare in gruppo è cambiato perché si va molto più veloci e con molta più facilità.

Alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne Hofstetter coglie la terza piazza, dietro i principi della volata Philipsen e Kooij
Alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne Hofstetter coglie la terza piazza, dietro i principi della volata Philipsen e Kooij
Come giudichi questa tua prima parte di stagione?

Per il momento, ho avuto davvero dei buoni risultati. Ho iniziato aiutando Joseph Blackmore, del mio team. Poi in Belgio sono andato con molta motivazione e molto ben preparato. Ho avuto una prima settimana davvero molto buona, 3° a Kuurne con i migliori velocisti del mondo alla partenza, quindi è stato davvero un podio super bello, poi è stata una settimana molto redditizia, dove mi è spiaciuto solo non aver potuto vincere al Criquielion perché l’occasione era buona. L’occasione persa è stata però mercoledì a De Panne perché sono rimasto coinvolto nella caduta agli 800 metri, quando ero in un’ottima posizione.

Tu sei il corridore con più costanza di risultati e quindi di punti, è un po’ una tua specializzazione quella di cercare sempre il piazzamento?

Sono una persona che ama esserci sempre. Penso che vado in bicicletta per ottenere grandi risultati, dopodiché bisogna essere in ottime condizioni per farlo. Ed è anche abbastanza difficile essere costanti. Diciamo che, sì, mi sono un po’ specializzato in questo, in particolare le gare in Belgio sono qualcosa che conosco davvero molto, molto bene e questo è molto importante. E poi anche essere in buone condizioni per restare davanti, evitare cadute e così via. E’ qualcosa che mi caratterizza, l’essere sempre presente, l’essere sempre lì sul pezzo e penso che sia anche importante per una squadra poter sempre contare su qualcuno che alla fine porta qualcosa a casa. Poi è una cosa che mi piace, essere regolare nelle classifiche ed è questo che mi motiva sempre di più ad allenarmi meglio e a dare il massimo per la prossima gara.

Il podio al GP Criquielion, con Moschetti e Nizzolo. Un secondo posto dal retrogusto amaro
Il podio al GP Criquielion, con Moschetti e Nizzolo. Un secondo posto dal retrogusto amaro
Quali sono le corse dove ti trovi più a tuo agio?

E’ complicato dirlo. Alla fine ce ne sono molte, queste sono gare che conosco molto bene e che ho fatto un sacco di volte. Le Samyn ad esempio, l’ho vinta una volta e ho fatto podio in altre due occasioni. Mi si addice. Ma anche la Gand fa per me. Sono arrivato spesso in finale ma non sono mai riuscito a ottenere un risultato molto molto buono, un anno ho corso per Christophe Laporte e un altro anno sono arrivato davvero tra i primi 10, ma avevo perso un po’ lo sprint. Quindi per domenica sono super motivato.

Tu hai corso molto in Francia e Belgio, eppure sei al quarto anno all’Israel, cambiando quindi anche lingua. Che cos’ha la squadra che ti piace di più?

Quello che mi piace davvero è la mentalità, perché è vero che ci sono tante nazionalità nella squadra e questo ci aiuta a formare un gruppo composito, a metterci a confronto con tutto il nostro background. Rende un gruppo più coeso, non è facile da spiegare come: in Francia avevamo tutti la stessa visione delle cose, ma quando sei in una realtà multinazionale ognuno la vede in modo diverso, ti confronti, cresci. Questo significa essere una buona squadra e c’è sempre una buona mentalità qui. Anche prima ero stato bene, non dimentico i miei primi anni con la Cofidis, ho anche fatto il Tour de France per la prima volta in questa squadra. Quindi nutro anche molto rispetto per loro, per avermi dato delle possibilità.

Tro Bro Leon 2022, il successo in maglia Arkea Samsic. Una delle sue rare vittorie (foto team)
Tro Bro Leon 2022, il successo in maglia Arkea Samsic. Una delle sue rare vittorie (foto team)
Come hai iniziato a correre e come sei arrivato al professionismo?

Un po’ presto, all’età di 3 anni… Era mia sorella ad andare in bici, quindi all’improvviso ho iniziato così, lei andava in bici e ci andavo anche io. L’anno dopo già facevo le prime gare per bambini e non mi sono più fermato, d’altronde non sono mai stufo…

Domenica c’è la Gand-Wevelgem, è una corsa che si adatta a te e chi vedi come favoriti?

E’ complicato dirlo, sì, è una gara che mi si addice, è lunga, è dura, trovi tanto pavé. Spero davvero di fare una prestazione molto molto buona domenica. Per quanto riguarda i favoriti non si esce da quello schema che contraddistingue le ultime gare, io vedo bene Pedersen che è sempre lì e il suo compagno di squadra Milan che su questo percorso può fare molto bene, hanno una squadra molto forte. Ma penso che sia ancora una gara un po’ più aperta delle altre perché manca gente come Van der Poel che fa la differenza.

Il francese a Parigi. L’emozione di chiudere il Tour de France è sempre qualcosa di unico
Il francese a Parigi. L’emozione di chiudere il Tour de France è sempre qualcosa di unico
Qual è stata la corsa che ti ha lasciato più emozioni nel tuo passato?

Beh, non è facile rispondere. E’ chiaro che quando vinci ha tutto un sapore particolare, quando è accaduto alla Tro Bro Leon ero molto felice, ma poi ci sono le emozioni che solo le grandi classiche possono regalarti, come la Roubaix che per me è una gara speciale. L’ho sempre guardata in TV quando ero piccolo e sono già arrivato tra i primi 20. Quindi penso che anche questo sia qualcosa, al mio primo anno quando sono entrato nel Velodromo. E’ stato molto emozionante anche solo concludere questa gara che vedevo sempre in TV. Poi chiaramente il Tour de France che per uno di casa è qualcosa di unico. Quando sono arrivato sugli Champs-Élysées. Il primo Tour de France sugli Champs-Élysées, è stato uno dei miei momenti più belli in bici, diciamo, tra l’orgoglio di aver potuto fare il grande giro, di essere lì. Di essere uno di quelli che l’aveva finito.

Domani Gand. Confalonieri presenta la gara femminile

29.03.2025
5 min
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Abbiamo ancora negli occhi la volata di De Panne, con Wiebes che ha battuto le nostre Consonni e Balsamo, ed è già tempo di voltare pagina e parlare della Gand-Wevelgem Women. La classica belga introduce a quella che per i belgi è la “Settimana Santa”, che culmina con la Ronde, il Giro delle Fiandre. La Gand è quindi un passaggio cruciale e in tante non si nasconderanno.

A raccontarci meglio questa prova al femminile è Maria Giulia Confalonieri. L’atleta della Uno-X Mobility, stava per arrivare all’hotel della squadra quando l’abbiamo raggiunta al telefono. Lo scorso anno fu quinta, disputando un’ottima corsa (nella foto di apertura si nota in secondo piano col casco giallo nello sprint 2024, ndr). Non è certo la prima volta che, lassù, Confalonieri dimostra di cavarsela alla grande.

Maria Giulia Confalonieri in azione nelle primissime gare del Nord
Maria Giulia Confalonieri in azione nelle primissime gare del Nord
Maria Giulia, prima di tutto come stai?

Sto bene, spero che ci si possa togliere delle soddisfazioni finalmente… In generale la condizione è buona. E perciò sono fiduciosa. Non so ancora che ruolo potrò avere.

L’anno scorso sei arrivata quinta. Ti piace questa Gand?

L’anno scorso sì, sono andata forte, ma la Gand resta una gara di situazione. Se si guarda l’ordine d’arrivo si può dire che è andata bene, sono arrivata davanti. In realtà, poco prima della volata, il copertone anteriore deve aver toccato credo un dente di un’altra bici e mi è scoppiato. Quindi non ho potuto fare la volata in pieno. Sì, la Gand, alla fine, mi piace sempre. Anche se poi non so se sia l’ideale per me.

Perché?

E’ una gara dove spesso arriva un “grande” gruppo. Quello della Gand è un percorso semplice rispetto al Fiandre. Si parte dalla zona di De Panne, si percorre un tratto in linea che, se c’è vento, diventa molto stressante. Poi si arriva nella zona dei muri, dove si fa un circuito, e tra questi c’è il Kemmelberg, il più famoso e duro di quella della Gand-Wevelgem, nonché l’unico in pavé. Generalmente c’è sempre molto vento, specie nel finale, e per tanti chilometri si va nella stessa direzione. Se questo dovesse essere laterale potrebbe fare male e rendere il finale molto duro. Di solito, se c’è vento alla fine, c’è anche all’inizio, visto che è lo stesso tratto. L’anno scorso, dopo pochi chilometri, si crearono i ventagli.

L’altimetria della Gand Women: 168,8 Km e circa 890 m di dislivello. Lo scorso anno la lunghezza era di 171,2 km
L’altimetria della Gand Women: 168,8 Km e circa 890 m di dislivello. Lo scorso anno la lunghezza era di 171,2 km
Quindi col vento cambia tanto…

Esatto. Qui incide molto, cosa che si dice spesso delle corse in Belgio e Olanda, ma è davvero così. In ogni caso, la Gand-Wevelgem resta una corsa veloce. Si potrebbe dire che è per velociste, velociste moderne, quelle che sanno tenere su salite brevi e hanno resistenza. Però il gruppo che arriva non conta mai più di una quarantina di persone al massimo. Almeno così è andata negli ultimi anni. Insomma, arrivare davanti non è scontato.

Allora cosa rende dura questa corsa “facile”? Vento a parte, ovviamente…

Il circuito dei muri non è facile. Chiaro, non è il Fiandre: lì è tutta un’altra storia. I muri sono di più e più lunghi. Ma è importante arrivarci in posizione ottimale. Essere posizionati al meglio nei momenti cruciali è fondamentale, cosa che si dice di tante corse, ma alla Gand, viste le poche occasioni per fare la differenza, questo suggerimento vale ancora di più. Poi incidono anche il meteo e la distanza.

Ecco, la distanza è un altro fattore importante. La Gand, se non è la più lunga in assoluto del calendario, poco ci manca…

A mia memoria, lo scorso anno solo una tappa del Tour de France Femmes fu più lunga (come ha ricordato anche Erica Magnaldi ieri, ndr), perciò anche questo la rende complicata. Però quello che davvero conta non sono i chilometri, ma le ore in sella. Essendo una gara veloce staremo sulle quattro ore. E questo crea già tanta differenza nel finale rispetto a gare che durano mediamente 40-60 minuti in meno.

Le favorite per Confalonieri?

I nomi sono i soliti, ma per me è una gara più aperta rispetto a qualche altra corsa. Immagino che alcune squadre porteranno anche le scalatrici da Fiandre, cosa che a De Panne non c’era. E che potrebbero diversificare un po’ con le leader. Magari chi ha atlete come Elisa Longo Borghini o Demi Vollering (che non ci sarà, ndr) immagino darà più spazio alla velocista, considerando il Fiandre in vista. Certo, se si arriva in gruppo, salvo imprevisti, Lorena Wiebes è imbattibile. Starà a noi, alle altre squadre, cercare d’inventarsi qualcosa.

E come?

Diciamo che le atlete della SD Worx hanno più possibilità, hanno tanta qualità, con Kopecky e Wiebes in pole position. Possono fare sia corsa dura che attendista. Poi ci sono altre velociste, come le italiane Consonni e Balsamo, ma anche Koll o Wollaston.

E inventarsi qualcosa nel finale?

A Wevelgem andare via nell’ultimo chilometro è praticamente impossibile: è uno stradone largo e dritto. Come dicevo, la Gand è una corsa di situazione. Bisogna vedere il vento e magari pensare a un attacco di gruppo. Per esempio, Elisa Longo Borghini qualche tempo fa provò proprio così e poi restò sola: fu ripresa all’ultimissimo. Fare selezione nel finale sarà una conseguenza dell’andamento della gara. Se si sarà fatta corsa dura, allora qualcosa si può fare. E in quel caso l’arrivo per le sprinter diventa meno scontato.