Stili di guida sul pavé: la differenza la fanno i campioni

17.04.2025
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La caduta di Pogacar ha messo fine al duello testa a testa tra il campione del mondo in carica e quello uscente, Mathieu Van der Poel. Ancor prima che la corsa potesse metterci davanti l’ennesimo duello tra due campioni una curva sbagliata ha messo fine allo spettacolo. L’errore dello sloveno ha aperto una curiosità e qualche dubbio sulla sua posizione in sella. Non che la sua pedalata manchi di efficacia, ma il pavé della Roubaix non sono le salite del Tour de France. 

Tadej Pogacar è stato messo in sella con tutte le accortezze del caso, ma la sua posizione estremamente avanzata lo porta ad usare spesso il manubrio in presa alta. Un fattore che si è notato in maniera particolare durante la Parigi-Roubaix. Nei vari settori di pavé il corridore del UAE Team Emirates-XRG era l’unico dei favoriti a non usare il manubrio in presa bassa. Al contrario Van der Poel con una posizione più compatta in sella ha avuto una guida più fluida

Van der Poel, alla terza Roubaix consecutiva in bacheca, sa sfruttare ogni spazio e questo è un vantaggio enorme
Van der Poel, alla terza Roubaix consecutiva in bacheca, sa sfruttare ogni spazio e questo è un vantaggio enorme

Funamboli

Ci siamo rivolti così a un ex-corridore che di pavé ne ha masticato parecchio: Filippo Pozzato

«Sono due stili di guida e di pedalata – spiega – che evidenziano la differenza di come i due sono stati messi in sella. Pogacar sa guidare molto bene la bicicletta e lo ha dimostrato, ma Van der Poel è di un’altra pasta. Penso che sia il migliore in gruppo. Sia l’anno scorso che quest’anno ha affrontato le curve del Carrefour de l’Arbre con un’agilità incredibile. Faceva il pelo agli spettatori, alle transenne e a tutto ciò che delimitava il percorso. Sicuramente il fatto che arrivi dal ciclocross gli dà quel qualcosa in più a livello di confidenza nell’usare tutta la strada a disposizione e anche qualcosa in più».

La differenza di fuori sella tra Pogacar e Van der Poel è evidente, così come i modi di stare in bici
La differenza di fuori sella tra Pogacar e Van der Poel è evidente, così come i modi di stare in bici
Pensi che la differenza tra gli stili di guida possa aver fatto la differenza sul pavé?

Ne parlavo con i ragazzi con cui ho visto la gara. Io ero uno che guidava allo stesso modo di Pogacar, con le mani alte. Tom Boonen, ad esempio, era molto vicino a Van der Poel, sempre in presa bassa. Fabian Cancellara aveva un altro stile ancora, con le mani appoggiate spesso sulla parte centrale del manubrio. 

Cosa hai notato ancora?

Che Van der Poel è molto basso e compatto sulla bicicletta, ha un’escursione di sella molto limitata e per questo è più facile per lui usare il manubrio in presa bassa. Pogacar invece è più alto e spostato in avanti. 

Un fattore che può aver influenzato la caduta?

Non direi. Può succedere di cadere alla Parigi-Roubaix. Poi in realtà Pogacar non è caduto, ha sbagliato una curva e poi è finito a terra. Quell’errore lo attribuisco più alla traiettoria sbagliata a causa della moto davanti.

L’olandese sul pavè utilizza spesso la presa bassa, al contrario lo sloveno usa le manopole dei freni
L’olandese sul pavè utilizza spesso la presa bassa, al contrario lo sloveno usa le manopole dei freni
Dici?

In quei momenti di gara sei a tutta, inoltre Pogacar stava spingendo per tentare un allungo. La bicicletta sbatte da tutte le parti, la gente ti urla nelle orecchie, hai l’adrenalina a mille, è facile sbagliare. Penso che lui stesse seguendo la moto, a un certo punto ha abbassato lo sguardo sulla strada e quando lo ha alzato ha visto l’altra moto del fotografo parcheggiata in quel punto strano. Non un disturbo concreto, però inganna la prospettiva della curva. 

Quindi la posizione in sella non ha influito?

No. Ogni corridore ha la sua e se pedala in quel modo è perché si trova bene. Io stesso avevo le mie misure e le mie geometrie. Van der Poel e Pogacar ci hanno mostrato due stili tanto diversi, ma l’efficacia della loro azione sul pavé è evidente. Erano comunque loro due davanti a tutti. 

Pogacar è l’unico tra i primi dieci della Roubaix a pesare meno di settanta chili
Pogacar è l’unico tra i primi dieci della Roubaix a pesare meno di settanta chili
Nell’intervista prima del Fiandre ci avevi detto che Pogacar non avrebbe fatto bene alla Roubaix, ora che lo hai visto in azione cosa pensi?

Era l’unico corridore che fisicamente non c’entrava nulla con quelli davanti, tra i primi dieci è l’unico che pesa meno di settanta chili. Mi chiedevo come potesse andare forte e lui ha risposto arrivando secondo. Al Fiandre te lo puoi aspettare, ci sono delle salite e lì può certamente fare la differenza. 

L’evoluzione tecnica dei mezzi può averlo avvantaggiato?

Sicuramente questa cosa di utilizzare copertoni sempre più larghi, si è arrivati a montare il 32 millimetri alla Roubaix, lo aiuta. Le pressioni si abbassano e la maggior larghezza del battistrada crea più comfort in sella. Però poi bisogna pedalare e Pogacar lo fa alla grande. Per il resto credo che l’evoluzione tecnica c’è ma anni fa era la bici ad adattarsi al corridore. Ora è il contrario, le aziende fanno dei telai standard gli atleti vengono messi su giocando con i vari componenti. Pogacar ha fatto vedere di cosa è capace, ed era solo alla sua prima partecipazione alla Roubaix. 

Ridley Noah Fast, provata al Fiandre la bici della Uno-X Mobility

17.04.2025
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MAARKEDAL (Belgio) – Ridley ha presentato ufficialmente alla stampa internazionale la terza generazione della Noah Fast e noi l’abbiamo provata (anche) sul pavé delle Fiandre. Una bici può rappresentare le fondamenta di una partnership? Sì e la Noah Fast è l’esempio lampante. La nuova bici è stata svelata nel corso dell’inverno, quando in modo altrettanto ufficiale il Team Uno-X Mobility di Hushovd ha dichiarato un accordo di collaborazione decennale proprio con Ridley.

Ridley Noah Fast 3.0, la bici più rappresentativa dell’azienda belga
Ridley Noah Fast 3.0, la bici più rappresentativa dell’azienda belga

Non è solo questione di soldi

«I soldi che arrivano da un contratto sono importanti – ci racconta Thor Hushovd, general manager del team scandinavo – ma non sono tutto. Oggi è importante creare delle connessioni ed allacciare un rapporto che va ben oltre la sponsorizzazione, creare una partnership tecnica su un lungo periodo era il nostro obiettivo.

«Con Ridley – prosegue – abbiamo firmato un contratto di collaborazione di 10 anni, credo che sia il più lungo in essere nel panorama ciclistico mondiale. L’accordo è strategico per entrambi, per noi che ci possiamo affidare ad un player che punta sull’innovazione e tecnologie di altissimo livello, per l’azienda che ha una base solida sulla quale sviluppare le bici del futuro».

Hushovd ha pedalato con noi sul percorso del Fiandre
Hushovd ha pedalato con noi sul percorso del Fiandre

Provata sul pavé

Rispetto a qualche anno addietro tutto è cambiato. In poche parole le bici specifiche per le pietre non esistono più ed i mezzi usati per la Sanremo, per le tappe al Giro e al Tour sono i medesimi che troviamo durante la campagna delle corse del Nord. Le variabili sono legate principalmente alla sezione delle gomme e loro pressioni, talvolta alle ruote e poco altro.

«L’aerodinamica e l’efficienza sono determinanti – ci ha detto Bert Kenens, Product Manager di Ridley – anche a confronto con il risparmio di peso di fronte a dislivelli importanti».

Ad esempio il Fiandre 2025, verrà ricordato come l’edizione con la media oraria più alta di sempre. 45 orari e meno di 6 ore per i primi 4 dell’ordine di arrivo: un record che, come altri, è destinato ad essere frantumato in un futuro non troppo lontano. In bici contano le gambe? Sicuramente, ma chiedete a questi corridori di fare un passo indietro in fatto di dotazione tecnica…

Durante la (nostra) trasferta belga abbiamo usato la Ridley Noah Fast per tre giorni: oltre 220 chilometri, circa 3.000 metri di dislivello e tutti i muri della De Ronde. Bici taglia small, equipaggiata con il nuovo manubrio Nimbus, trasmissione Shimano Ultegra (52-36 e 11-30), ruote DT Swiss ARC1400 da 62 millimetri, tubeless Vittoria Corsa Pro con sezioni differenziate, 28 anteriore e 30 posteriore. Reggisella full carbon Ridley specifico sviluppato in collaborazione con Deda. Peso della bici di poco inferiore ai 7,5 chilogrammi (senza pedali). Prezzo di listino della versione appena descritta: 8.799 euro.

Stabilissima sulle pietre

La Noah Fast è la bici più rappresentativa di Ridley e di fatto è la prima vera bici aerodinamica che dal 2012 ad oggi ha cambiato le carte in tavola. Quindi, la Noah Fast è super veloce? Sì lo è, una considerazione quasi scontata. Quello che lascia di stucco è la stabilità sul pavé (anche quello parecchio scassato) e con il vento laterale, con le ruotone da 62. Tutto facile?

Ridley Noah Fast 3.0 è una bici impegnativa, offre tantissimo, ma chiede molto. E’ una bici aero in tutto e per tutto, che per essere sfruttata al pieno delle potenzialità vuole potenza e watt, pretende concentrazione e una certa propensione a far collimare finezza nella guida e spinta costante. E’ la classica bici che, come si dice, se hai gamba ti aiuta, altrimenti ti picchia in testa.

Geometria super caricata in avanti

Nella taglia small (quella usata nella tre giorni fiamminga) ha un piantone a 75,5° ed un angolo sterzo a 73°. Significa avere un corpo centrantissimo sul verticale e uno sguardo che è perpendicolare al mozzo della ruota davanti. Traducendo: non solo si sfrutta un gesto pieno e potente, ma portando tutto il peso in avanti e sul manubrio, si tende ad avere un avantreno ultra reattivo nei cambi di direzione, davvero sostenuto quando ci si alza in piedi sui pedali.

Altra nota che ci lascia un ricordo positivo è il manubrio. Il Nimbus Aero si sviluppa con tre configurazioni diverse che considerano l’inclinazione dello stem come valore primario da considerare (insieme a reach e stack dell’integrato). Difficoltà di feeling e presa di confidenza? Nessuna. Per essere precisi abbiamo utilizzato quello con il reach intermedio da 75 millimetri (stem leggermente all’insù), larghezza di 360 millimetri ai limiti dei manettini e 400 sotto.

Gratificante da usare sui continui saliscendi del Belgio
Gratificante da usare sui continui saliscendi del Belgio

In conclusione

Ridley Noah Fast 3.0 è una super bicicletta ed è perfettamente contestualizzata all’interno delle richieste attuali degli agonisti che hanno gamba, spingono forte, vogliono andare veloce e si “preoccupano” fino ad un certo punto della planimetria del tracciato. Testa bassa e menare. Rispetto alla Noah Fast della precedente versione, quella provata in Belgio è ancora più cattiva, ma più stabile, più rigida nella sezione frontale e porta a sfruttare maggiormente la posizione tutta caricata in avanti.

Nonostante una geometria compatta e parecchio aggressiva è capace di regalare un buon feeling sin dalle prime pedalate. Le ruote da 62 non fanno altro che amplificare il suo carattere aero e con tutta onestà ci piacerebbe provarla con un setting più versatile. Magari con ruote da 45 oppure 50 millimetri, combinazione che, a nostro parere, non farebbe altro che “migliorare” le fasi di rilancio per gente che esprime wattaggi “normali”, come noi.

Ridley

Kern Pharma, niente Vuelta? Si risponde vincendo…

17.04.2025
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La decisione degli organizzatori della Vuelta di Spagna di estromettere dalle 4 wild card due storiche formazioni di casa come Euskaltel e Kern Pharma ha destato scalpore al di là dei Pirenei. Parliamo di due colonne portanti del ciclismo iberico, con profondi significati anche sociali, soprattutto nel primo caso. Se consideriamo l’attesa quasi frenetica che c’era in Italia per le scelte di Rcs a proposito del Giro, con le due formazioni professional rientrate grazie all’allargamento delle maglie deciso dall’Uci, si può ben capire come la scelta degli organizzatori spagnoli non sia stata digerita con facilità.

In casa Kern Pharma è stata inizialmente una mazzata, ma poi si è deciso di guardare avanti nonostante tutto. Nessuna ritrosia nell’affrontare l’argomento. Parliamo di una squadra che è attiva dal 2020 e che già l’anno dopo aveva assunto la licenza professional e che nel 2024 alla Vuelta ha vinto due tappe con Pablo Castrillo. Il suo general manager è Juan José Oroz, 44 anni con una lunga carriera professionistica passata attraverso formazioni storiche come Caja Rural, Orbea e Euskaltel-Euskadi e chiusa nel 2014.

Juan José Oroz, 44 anni, dal 2021 general manager della Kern Pharma, nata l’anno prima
Juan José Oroz, 44 anni, dal 2021 general manager della Kern Pharma, nata l’anno prima
Come giudichi l’inizio di stagione della tua squadra?

Molto bene, abbiamo iniziato subito con la vittoria di Urko Berrade a Morvedre e poi la tappa conquistata alla Vuelta a Andalucia con Diego Uriarte, che è cresciuto nella nostra “cantera”. Noi continuiamo a lavorare con i giovani talenti e continuiamo a ottenere risultati positivi, e questo è fantastico.

Quanto pesa sul vostro team l’esclusione dalla Vuelta e che cosa ne pensate?

All’inizio, quando abbiamo sentito la notizia, era chiaro che avremmo dovuto incassare il colpo, la delusione. Era il grande obiettivo della nostra stagione e di colpo era sfumato. Ma da lì in poi abbiamo deciso di sfruttare l’accaduto per tirare fuori nuovo orgoglio. Essere ancora migliori. Questa è la direzione verso cui sta andando il ciclismo e ciò che possiamo fare è solamente adattarci. Possiamo uscirne più forti.

Per Oroz e tutto il team, l’esclusione dalla Vuelta è stata un duro colpo da assorbire
Per Oroz e tutto il team, l’esclusione dalla Vuelta è stata un duro colpo da assorbire
La decisione della Vuelta di Spagna ha avuto ripercussioni sulle altre gare iberiche, sono diminuiti gli inviti?

No, credo di no. Penso che sia l’unica cosa che è stata mantenuta e che ci ha dato forza. La situazione nel ciclismo è difficile e in continua evoluzione, e ciò che ci è diventato chiaro è che vogliamo puntare più in alto. Il ragionamento è semplice: se diventiamo più forti non dovremo star lì ad aspettare che ci arrivi l’invito. E la strategia che dobbiamo adottare è quella di migliorare come squadra. Stare a piangerci addosso non rientra nella nostra strategia. Siamo orgogliosi dell’affetto che abbiamo ricevuto dopo aver appreso la notizia e penso che questo sia il modo per rendere il nostro impegno ancora più interessante, salire nel ranking e continuare a sfornare ciclisti molto bravi. Ma soprattutto continuare a essere vicini al pubblico, a ispirare.

Urko Berrade ha dato alla squadra la prima vittoria del 2025, alla Classica Camp de Morvedre (foto FB)
Urko Berrade ha dato alla squadra la prima vittoria del 2025, alla Classica Camp de Morvedre (foto FB)
Sembra di capire che il colpo è stato assorbito, anche a livello societario…

Sì, anzi penso che una cosa molto importante da dire è che Kern Pharma vuole che miglioriamo noi stessi affinché le gare dimostrino quanto siamo forti. Il nostro è un team molto interessante che vuole incoraggiare il pubblico ad apprezzare sempre di più il ciclismo e ispirare la società.

Secondo te le squadre professional come la vostra sono abbastanza tutelate dall’Uci e dalla federazione spagnola?

Credo che noi siamo la parte pulsante del ciclismo. Penso che questa debba essere una missione per tutte le squadre, cercare di migliorare il ciclismo nel suo complesso, non solo se stessi. Io credo che meritiamo considerazione per quel che facciamo, per l’apporto che diamo alla crescita del ciclismo iberico, per l’impegno con i giovani. Ho quindi ben chiaro che qualunque cosa realizzeremo, la realizzeremo perché ce la meritiamo. Non perché qualcuno ci concede qualcosa.

Il successo solitario di Diego Uriarte nella quarta tappa della Vuelta a Andalucia (foto FB)
Il successo solitario di Diego Uriarte nella quarta tappa della Vuelta a Andalucia (foto FB)
La vostra squadra ha pochi stranieri rispetto alle altre formazioni professional. E’ una vostra scelta?

E’ sempre stata un po’ la nostra filosofia. Siamo la squadra che vanta il maggior numero di corridori formati nel suo settore giovanile al mondo. E’ qualcosa di cui siamo molto orgogliosi. Devo anche dire che non siamo chiusi verso gli stranieri, tutt’altro. Il fatto è che qui ai ciclisti viene data più di una possibilità e questo significa che passano molti ciclisti provenienti dai settori giovanili.

Più di una possibilità?

Magari il primo anno non vanno tanto forte, il secondo anno nemmeno, ma noi insistiamo e così finiscono per essere degli ottimi ciclisti. Siamo pazienti. Certamente dobbiamo sostenere la bicicletta anche nel nostro Paese, ma non siamo affatto chiusi agli stranieri. Infatti quest’anno abbiamo detto a Sosa di venire da noi e c’è Mats Wenzel, un lussemburghese e ne siamo molto contenti.

Pablo Castrillo lo scorso anno ha colto due vittorie alla Vuelta. Oggi corre per la Movistar
Pablo Castrillo lo scorso anno ha colto due vittorie alla Vuelta. Oggi corre per la Movistar
A tal proposito quest’anno è arrivato il colombiano Juan Ramiro Sosa che ha un solido pedigrée. E’ il leader della vostra squadra?

Qui il leader “è” la squadra. Voglio dire, guarda, lo scorso anno avevamo Pablo Castrillo, che è stato un grande corridore alla Vuelta dove ha vinto due tappe, ma lo ha fatto grazie alla squadra. Uriarte in Andalucia ha fatto lo stesso, in una gara WorldTour. Io sono fiducioso nel team, perché ciò che è meglio per la squadra è meglio per il singolo individuo.

Quali sono ora i vostri obiettivi per quest’anno?

Vorremmo rimanere tra i primi 30 del ranking. Non è assolutamente facile, soprattutto senza poter partecipare a un grande giro, lo sappiamo. E poi continuare a crescere come struttura, per essere preparati per il futuro. Sappiamo che con questo stato di cose dobbiamo lavorare sodo per crescere ancora di più.

Pogacar alla Roubaix. Guida, tattica, posizione… L’analisi di Moser

17.04.2025
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Tadej Pogacar ha affrontato per la prima volta la Parigi-Roubaix, concludendo al secondo posto dietro Mathieu Van der Poel. Lo sloveno ha (in parte) stupito per la naturalezza con la quale ha affrontato questa sfida tanto particolare. E di questa naturalezza ne parliamo con Moreno Moser, ex professionista e oggi commentatore tecnico per Eurosport.

Insieme al trentino abbiamo analizzato la prestazione del leader della UAE Emirates, evidenziando aspetti gli tecnici. Presa del manubrio, tattica, posizione in gruppo, guida… Quanti dettagli sono emersi attorno l’Inferno del Nord del campione del mondo. E se si deve fare in anticipo un sunto, possiamo dire che la parola “guardingo” (a 360°) gli casca a pennello.

Moreno Moser (classe 1990) ha corso fino al 2019
Moreno Moser (classe 1990) ha corso fino al 2019
Moreno, partiamo dalla tattica: come hai valutato l’approccio di Pogacar alla Roubaix?

Ha corso sempre in controllo, preferendo spendere un po’ di più per stare davanti e avere una visuale pulita. Questo approccio è simile a quello di Van der Poel, che preferisce prendere aria e rischiare meno. Quante volte li abbiamo visti a centro strada o muoversi in prima persona? Ha mostrato atteggiamenti giusti, ma anche quelli di chi è all’inizio in questa corsa. Per esempio, spesso lasciava qualche centimetro in più per vedere dove era la strada e dove fossero le buche, un comportamento che aiuta a evitare rischi.

Quali dettagli tecnici hai notato nella sua guida sul pavé? A nostro avviso per esempio saltava bene anche dalla “banchina” al pavé e viceversa, cosa che di solito fa un habitué della Roubaix…

Spesso sporgeva la testa per cercare di vedere meglio davanti quando era a ruota. Segno di massima attenzione, di controllo come dicevo. L’ho visto andare davanti in prima persona per cercare di prendere la testa della corsa e pedalare sulla schiena dell’asino. Ma questo può farlo perché Tadej ha tanta, tanta gamba.

Lo sloveno si trovava a suo agio nel salire e scendere dalla banchina, come i veterani
Lo sloveno si trovava a suo agio nel salire e scendere dalla banchina, come i veterani
Noi abbiamo notato che in pratica aveva sempre le mani sulle leve. Non paga qualcosa in termini di aerodinamica?

Vero, questa cosa ce l’hanno fatta notare anche in diretta, mentre Van der Poel prendeva il manubrio con le mani sotto. Sembrava anche un filo più basso di sella, ma potrebbe essere un’impressione dovuta alla posizione avanzata: se ha cambiato quei 2 millimetri fai fatica a vederlo. Magari l’ha semplicemente spostata un filo più avanti. Però io non credo sia tanto una questione di aerodinamica. Oggi spesso sono più aero quando hanno le mani sulle leve, perché riescono a piegare meglio i gomiti.

Chiaro…

Quando ancora correvo e si facevano i vari test – e da allora ne sono cambiate di cose – ci spiegavano come fosse importante incassare la testa nelle spalle perché si riduce la sezione frontale. Pensiamo alle protesi da crono: un tempo erano “sulla ruota anteriore”, oggi hanno spessori di 20 centimetri e sono più aerodinamici. La posizione delle mani è anche una questione di abitudine e comfort nella guida. Mentre ho notato che Tadej faceva spesso stretching proprio per distendere la schiena... Le pietre della Roubaix sono state dure anche per lui! Hanno un altro impatto rispetto a quelle del Fiandre.

Quante volte ha cercato la schiena d’asino… nei tratti più sconnessi
Quante volte ha cercato la schiena d’asino… nei tratti più sconnessi
E della proverbiale agilità di Pogacar cosa ci dici? Van der Poel era più agile di lui stavolta?

Credo perché fosse stanco e alla fine si è “attaccato al rapporto“. Nei primi settori di pavè era agile anche Pogacar, ma nel finale sembrava più stanco rispetto al solito. La pedalata era appesantita e non riusciva a mantenere il ritmo abituale. Che poi non andava piano. Eppure sembrava così proprio perché non mulinava come suo solito.

Secondo te può migliorare ancora nella guida sul pavé? Ed eventualmente in cosa?

In generale l’ho visto bene, ma non credo che facendo altre cinque Roubaix possa migliorare tanto, specie rispetto a Van der Poel. Quest’ultimo ha una sensibilità sviluppata fin da bambino nel ciclocross, che lo porta ad avere una guida superiore. Mathieu ha un livello di consapevolezza in bici che lo porta a non spaventarsi. Quando sente la ruota che va, lascia scorrere la bici senza frenare, salvando spesso situazioni critiche. Come magari non fanno gli altri che d’istinto frenano.

Ad Arenberg, ma non solo, Pogacar ha cercato di fare il ritmo per rendere la corsa dura. Lui che è il più forte alla fine paga meno gli sforzi
Ad Arenberg, ma non solo, Pogacar ha cercato di fare il ritmo per rendere la corsa dura. Lui che è il più forte alla fine paga meno gli sforzi
Qual è il bilancio complessivo della sua prestazione? Insomma ce la potrà fare Pogacar a conquistare una Roubaix?

Ha corso bene, mostrando intelligenza tattica e capacità di adattamento. Pur non avendo l’esperienza di Van der Poel sul pavé, ha dimostrato di poter competere ad alti livelli anche in una corsa così impegnativa. Alla fine erano quasi alla pari. Probabilmente avrebbe vinto lo stesso VdP, ma magari non lo avrebbe staccato. Se ci pensiamo poi non ha perso molto. Il problema è che qui si parla di potenza assoluta e Van der Poel ne ha un po’ di più. Tadej non aveva i muri del Fiandre, che anche se sono corti, ogni volta facendoli forte mettevano più stanchezza nelle gambe degli avversari, che non nelle sue.

Esattamente quello che ci diceva Pino Toni qualche giorno fa…

E ha fatto bene a rendere la corsa dura. Alla fine più ci si stanca e più lui è avvantaggiato. Anche se scattano, lui o VdP, poi gli altri devono chiudere. E chiudere fa spendere energie, non gli vai dietro gratis. Essendo i più forti, avendone di più, corrono in questo modo e portano la corsa dalla loro parte. Cosa aggiungere in prospettiva: Tadej dalla sua rispetto a Van der Poel ha l’età...

Gambe, testa e squadra: indagine su Van Aert

17.04.2025
6 min
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Un campione, uno psicologo e un direttore sportivo al capezzale di Van Aert. Negare che ci sia un problema sarebbe miope, quello che possiamo fare è cercare di capirlo con il contributo di Maurizio Fondriest, Marina Romoli e Giuseppe Martinelli: ciascuno per il suo ambito.

Quarto al Fiandre e alla Roubaix, secondo nello sciagurato giorno di Waregem, il bottino è magro se sei partito per vincere. Van Aert ha lavorato tutto l’inverno per recuperare dalla caduta della Vuelta. C’è riuscito. E’ tornato nel cross. Ha partecipato a due corse a febbraio per dire di esserci. E poi è sparito in altura preparando le classiche del pavé che lentamente si sono trasformate per lui in ossessione. E gli esiti sono sotto gli occhi di tutti.

Vincere: necessità o condanna?

FONDRIEST: «Ha bisogno di vincere, anche una corsa minore. E’ entrato in un loop niente affatto bello. E’ capitato anche a me nel 1995. Secondo alla Tirreno, secondo alla Sanremo, secondo alla Gand-Wevelgem, secondo alla Freccia Vallone. Tutti mi chiedevano di fare come gli anni prima e io invece andavo alle corse e speravo che andasse via la fuga, in modo che non ci fosse più in ballo la vittoria. Van Aert ha bisogno di vincere per sbloccarsi, perché al Fiandre e alla Roubaix non è saltato e non ha perso il talento, solo non ha più lo smalto potente di prima».

ROMOLI: «Qualcuno dice che lo ha visto bloccarsi in gara. Potrebbe avere semplicemente dei pensieri intrusivi in testa. Sei in overthinking, continui a pensare e a ripensare e le tue energie mentali ti distruggono. “Devo vincere a tutti i costi, voglio zittire tutti”: questo ti mette ancora più in difficoltà. Sicuramente ha bisogno di vincere e speriamo per lui che ci riesca il prima possibile, perché più il tempo passa e più i pensieri negativi e svalutativi che ha nei confronti di se stesso si rafforzano. Sicuramente alimentati dalle critiche dei giornali e dei giornalisti che sono molto più pesanti se sei un corridore in Belgio e Olanda».

MARTINELLI: «Deve ritrovare la serenità e correre libero. Alla UAE Emirates hanno capito che lasciando fare a Pogacar quello che gli piace, va tutto meglio. Con questi campioni bisogna avere la forza di lasciarli liberi di fare e lui è uno così. Il giorno che hanno perso a Waregem, anche il più tonto dei direttori avrebbe saputo come mettere in mezzo Powless. Invece Van Aert si è imposto e a quel punto, a meno che il direttore non volesse fare la voce grossa perché la squadra doveva vincere a tutti i costi, hanno fatto bene ad assecondarlo. Voleva vincere, ne ha bisogno. Solo che si sono portati per 10 chilometri a ruota uno forte, non un pinco pallino qualunque. Poteva starci che perdessero e così è stato».

Van Aert non è tanto lontano da Van der Poel, ma si capisce che manchi ancora qualcosa
Van Aert non è tanto lontano da Van der Poel, ma si capisce che manchi ancora qualcosa

L’incubo Van der Poel

FONDRIEST: «Credo che per Wout la rivalità con Van der Poel sia un problema psicologico e non lo ha aiutato il fatto che mentre lui era in altura ad allenarsi, l’altro abbia vinto la Sanremo. Van der Poel ha vinto tre Roubaix, due Fiandre, due Sanremo e 7 campionati del mondo di ciclocross: chiaro che il confronto pesi. In più la stampa la pompa, lo mettono in mezzo e di certo sulla mente di un atleta questo ha un peso. Senza accorgerti, entri in un circolo vizioso. Lui ha bisogno di tornare a fare tante corse come prima, quelle giuste e prima o poi torna, perché Van Aert di certo non è finito. Per questo secondo me hanno fatto bene a dargli fiducia a Waregem, anche se poi è arrivato secondo. Volevano che vincesse, purtroppo gli è andata male».

ROMOLI: «Temo che possa avere l’autostima in pezzi. L’atto di egoismo che ha fatto a Waregem era dato dal fatto che Wout ha la grande paura di non tornare più quello che era prima. Specialmente perché negli ultimi anni è stato deludente per via dei tanti infortuni. Forse tutto questo ha radici profonde e anche i crampi per cui avrebbe perso quella volata potrebbero essergli venuti perché è andato in panico, quindi a livello nervoso. Voleva vincere a tutti i costi e magari non sopportava più tutte le aspettative, nel momento in cui il suo avversario di sempre vive un periodo di grazia. Se poi pensiamo che ora accanto a Van der Poel è arrivato anche Pogacar, è facile capire che la pressione sia aumentata ulteriormente».

MARTINELLI: «Partiamo dicendo che è un campione: non dico come Van der Poel e Pogacar, ma in questo momento non è molto lontano da loro. Però deve ritrovarsi e prendere un po’ di morale. Sarebbe facile dire che deve vincere una corsa, ma spesso le sbaglia con delle tattiche troppo esuberanti. Probabilmente la caduta della Vuelta l’ha condizionato anche nell’inverno. Forse quei due o tre cross che ha fatto hanno accelerato qualcosa? Perché se sbagli d’inverno, poi te lo porti dietro. E secondo me lui lì si è fatto prendere la mano dal vedere Van der Poel vincere tutti i cross. Avrà pensato di andare a vedere di persona se fosse così forte, ma a cosa gli è servito?».

L’inverno nel cross ha tolto a Van Aert il tempo per ricostruire la condizione su strada?
L’inverno nel cross ha tolto a Van Aert il tempo per ricostruire la condizione su strada?

Il ruolo della squadra

FONDRIEST: «Credo che la sua squadra, a differenza di quanto sta facendo Van der Poel, non abbia puntato sul miglioramento graduale. Lui ha fiducia nel progetto, ma se sei Van Aert non puoi andare al Tour a fare il gregario per Vingegaard, tirando quando rimanevano 15 corridori in salita. Aiutare un po’ va bene, ma il troppo è un errore. Tanto che poi arriva agli appuntamenti importanti e li fallisce. Ai mondiali del Belgio era il corridore più forte in circolazione, eppure quel giorno non andava avanti ed era arrivato secondo nella crono. Qualcosa hanno sbagliato nella gestione di gare e allenamenti? E quest’anno può essere accaduto lo stesso?».

ROMOLI: «Deve lavorare su se stesso e cercare le radici profonde di questa mancanza di autostima. E poi deve togliersi la pressione di dosso, tornare a essere uno della squadra. Deve lavorare proprio sul fatto di lasciar andare le cose come vanno. Dare il suo meglio e non guardare agli altri. Deve tenersi stretti i compagni. Dopo la volata sbagliata di Waregem ha chiesto scusa, gliene va dato merito, non so quanti altri sportivi di vertice lo avrebbero fatto. Ma ai compagni, che hanno sempre poche occasioni, sarà bastato? E poi deve tornare a divertirsi, come quando faceva i suoi attacchi anche sconsiderati. Al pari di Pogacar, che magari non vince sempre, ma lo vedi che si è divertito».

MARTINELLI: «Credo che in passato abbiano sbagliato a fare di lui un gregario, per me il campione deve correre da campione. E’ sempre stato così con quelli che ho avuto, da Pantani a Nibali, passando per Contador. Ho qualche dubbio invece su come si è preparato per il Nord. A meno che non abbiano quale strategia sul Giro, era meglio che corresse invece che fare 60 mila metri di dislivello sul Teide. Perché lì si fanno quei numeri, se ogni giorno per tre settimane devi risalire dal mare ai 2.200 metri dell’hotel. Quel tipo di lavoro ti condiziona l’allenamento e quando vai alle corse, ti mancano il ritmo e anche lo sprint. Sarà per questo che ha perso malamente quella volata? Solo che adesso non gli cambierei i piani, anche se una corsa a tappe prima del Giro, fosse anche il Turchia, gliela proporrei. Van Aert deve arrivare in Albania e vincere subito, perché sono tappe adatte a lui. Però deve arrivarci al 100 per cento. Non è Roglic che deve uscire alla fine. In più, arrivarci avendo vinto, sarebbe la cosa migliore».

Il sistema Gravaa della Visma sul pavé? Ce lo spiega Affini

16.04.2025
7 min
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Come funziona il sistema Gravaa che permette di gonfiare e sgonfiare gli pneumatici mentre si pedala? Alla Roubaix lo ha usato soltanto la Visma-Lease a Bike. Hanno vinto con Pauline Ferrand-Prevot, sono arrivati quarti con Van Aert. Le donne del team lo avevano usato anche al Fiandre, con la francese seconda alle spalle di Lotte Kopecky.

Avevamo annotato le sue osservazioni nella conferenza stampa post Roubaix. Il fatto che avesse individuato tramite VeloViewer i punti in cui azionarlo, perché la fase di gonfiaggio richiede qualche watt in più. Perciò messe da parte le curiosità, abbiamo atteso di rientrare dalla Roubaix per fare qualche domanda a Edoardo Affini, che ha utilizzato Gravaa in corsa e lo aveva già provato nel 2023. Il mantovano è tornato a casa in Olanda e verrà in Italia per trascorrere Pasqua con i suoi. Ridendo, dice di aver capovolto il detto. Quindi conferma che fino a domani non toccherà la bici e che poi ricomincerà avendo il Giro come prossima corsa.

Affini ha chiuso la Roubaix anzitempo per la rottura di una ruota. Qui si trova nella Foresta di Arenberg
Affini ha chiuso la Roubaix anzitempo per la rottura di una ruota. Qui si trova nella Foresta di Arenberg

Il sistema, in sintesi, si basa su una pompa a bassa tensione comandata da pulsantini sul manubrio e interfacciata con il computer della bici. Si impostano i valori di pressione prima del via, poi con un pulsante si sgonfiano le ruote, con l’altro si rigonfiano. Il funzionamento è assicurato dal movimento della ruota.

Parliamo di Gravaa, che cosa ti sembra?

Il sistema di per sé è interessante sia per noi professionisti, ma probabilmente potrebbe avere il riscontro maggiore con cicloturisti e gente che fa gravel. In quel campo può avere un futuro dai numeri interessanti, perché ti dà la possibilità di cambiare pressione a piacimento.

A piacimento, ma secondo valori preimpostati?

Esatto. In base al tuo peso, in base al copertone, in base a quanto è grande il copertone. Puoi stabilire la pressione che vuoi in base ai fattori che vuoi. La sua azione, tra virgolette, è illimitata, puoi impostare il valore che preferisci. Anche il numero degli utilizzi sostanzialmente è illimitato, perché è basato sul movimento. Non c’è una cartuccia con dell’aria compressa, che dopo un po’ finisci e resti a piedi: se la ruota gira, puoi gonfiare. E più gira velocemente e più sarà rapido il gonfiaggio.

Per questo Ferrand-Prevot ha parlato di consumo di watt?

Ci hanno detto che secondo i calcoli si parla di circa 7 watt mentre si gonfia. Senti appena che aumenta la resistenza alla pedalata. E’ chiaro che se ti metti a gonfiare quando sei al limite, allora te ne accorgi eccome, ma a quel punto sei tu che hai scelto il momento sbagliato.

Lo hai usato anche tu alla Roubaix?

L’abbiamo usato tutti, solo che io ho spaccato la ruota davanti e quindi puoi avere i sistemi che vuoi, ma resti indietro. Mi hanno cambiato la bici, solo che a quel punto mi aveva già passato il gruppo di Pippo (Ganna, ndr) e quello che c’era dopo di lui. Speravo di rimanere con lui, ma quando mi ha passato ero ancora sul pavé con la ruota rotta e ho capito che la mia Roubaix finiva così.

Avevate deciso dei punti precisi oppure lo avete usato in ogni settore di pavé?

Lo abbiamo usato in ogni settore. Potevi gonfiare e sgonfiare in base alla tua sensibilità e a come ti piaceva. Nel computerino c’è un campo dati, in cui visualizzi la ruota davanti e quella dietro, che cambia colore. Quando è rosso vuol dire che sta lavorando, quindi c’è una transizione. Invece quando è verde vuol dire che ha raggiunto la pressione desiderata.

Quanto durano le due fasi di sgonfiaggio e di gonfiaggio?

Lo sgonfiaggio praticamente è istantaneo. Schiacci il pulsantino e lui manda fuori l’aria. In pratica apre la valvola e l’aria esce fino alla pressione desiderata. Il gonfiaggio invece, come dicevo prima, dipende da quanto spingi e dal tipo di settaggio che hai dato alle pressioni. Se la differenza è di un bar, magari impiega di più. Se è di 0,5 hai dimezzato il tempo.

Ferrand-Prevot ha raccontato di essere passata da 2,1 bar sul pavé a 4 sull’asfalto.

Magari aveva previsto anche una pressione di mezzo, perché si possono impostare più step. La bassa pressione sul pavé, la intermedia e quella più alta sull’asfalto. Io ad esempio andavo a 2,9-3,1 sul pavé e salivo fino a 4,4-4,6 sulla strada normale.

Si percepisce chiaramente il cambiamento di pressione?

Quando è sgonfio, sul pavé ovviamente senti che sei più ammortizzato. Quando poi sull’asfalto inizia a rigonfiare, senti proprio che si alza la pressione.

Lo avevate già usato anche durante le ricognizioni? 

Io l’avevo già usato nel 2023, quando era ancora in sviluppo e ce n’erano anche pochi: tre, se mi ricordo bene. Invece quest’anno ce l’avevamo tutti, anche sulle bici di scorta. Secondo me hanno fatto bene a darlo a tuti, perché se ce l’hai solo per tre persone e neanche sulle bici di scorta è un problema. Avendocelo tutti, puoi valutarlo bene e i meccanici non hanno problemi.

Rispetto a quello del 2023, il sistema attuale è tanto diverso?

E’ stato affinato e anche migliorato, mentre a livello di software e connessioni è più affidabile. Noi lo abbiamo usato solo alla Roubaix, le ragazze anche al Fiandre. Ma a parte i 400 grammi di peso in più, opinione mia, credo che per noi su quel tipo di pavé non avrebbe dato chissà quali vantaggi.

E’ venuto qualcuno a spiegarvi come funziona oppure avete iniziato a usarlo e basta?

Erano con noi a Roubaix negli ultimi giorni e anche prima durante le recon. Quello che ci ha fatto la presentazione completa è stato Jenco (Jenco Drost, Head of Performance Equipment del team olandese, ndr), ma non è che abbiamo fatto lezioni o cose simili. Lo abbiamo provato un paio di volte, anche nelle ricognizioni fatte a dicembre. E comunque avevamo già avuto l’esperienza di due anni fa, non eravamo proprio nuovi.

Il momento in cui si interviene sui comandi ha bisogno di qualche cautela, oppure si schiacciano e il sistema parte?

Basta che schiacci il pulsante, non servono accortezze: continui a pedalare normalmente. Senti giusto che aumenta un minimo la resistenza quando devi gonfiare. I tastini sono quelli sul manubrio che normalmente usano i velocisti. Li puoi mettere dove vuoi sul manubrio, sopra, sotto, di lato, dove ti è più comodo.

Il sistema lavora contemporaneamente sulle due ruote o puoi differenziare fra anteriore e posteriore?

Su tutte e due insieme. L’unica cosa è che la centralina è nella ruota davanti. Per cui se per caso devi cambiare solo la ruota davanti, non puoi più agire su quella dietro. Va da sola in automatico su una pressione di sicurezza che hai pre-impostato e non si muove più. Se invece rompi quella dietro e devi cambiarla, puoi continuare a giostrare con l’anteriore.

Se ne riparlerà probabilmente il prossimo anno. E sarà curioso capire se altre squadre cercheranno di dotarsi del sistema Gravaa. Quando Mohoric vinse la Sanremo grazie al reggisella telescopico, l’interesse fu immediato, ma non produsse clamorose scelte tecniche. Questa volta sarà diverso?

La vittoria in Calabria di Colnaghi, quando meno se l’aspettava…

16.04.2025
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Una vittoria per scacciare le paure e per aprire un capitolo nuovo della propria carriera. L’esito finale del Giro della Città Metropolitana di Reggio Calabria ha aperto una nuova pagina nella carriera di Luca Colnaghi. Il portacolori della VF Group Bardiani ha conquistato sabato scorso la sua prima vittoria da professionista e, al di là del valore della corsa, ha colto un successo pregno di significati, mettendo la parola fine a un periodo davvero difficile culminato con un brutto fatto di cronaca a inizio marzo.

Lo sprint vincente di Colnaghi a Reggio Calabria, battendo i compagni di fuga Bais e Finn (in maglia azzurra)
Lo sprint vincente di Colnaghi a Reggio Calabria, battendo i compagni di fuga Bais e Finn (in maglia azzurra)

I fatti sono noti: Colnaghi è stato aggredito mentre si stava allenando per futili motivi, da due motociclisti che lo hanno malmenato procurandogli una spalla lussata e una microfrattura alle costole, con una prognosi di 10 giorni e la denuncia ai carabinieri. «La cosa che mi ha fatto più male? Non le botte, quelle passano. Ma l’indifferenza della gente, quasi fossi invisibile».

Colnaghi in questi giorni è al Giro d’Abruzzo. Ieri ha accumulato quasi 10 minuti di ritardo dal vincitore Covi, ma lo aveva messo in preventivo: «Non sono venuto qui per fare chissà cosa. Sono in ritardo sulla preparazione, ho bisogno di accumulare chilometri e fare fatica, per recuperare il tempo perduto».

Il corridore lecchese sul podio reggino. Per lui è la prima vittoria da pro’ (foto team)
Il corridore lecchese sul podio reggino. Per lui è la prima vittoria da pro’ (foto team)
Detto da uno che ha appena vinto suona strano…

Eppure è così. La mia vittoria è arrivata proprio quando meno me l’aspettavo. Non sono in forma in questo momento, il mio inizio stagione è stato costellato di difficoltà: a inizio anno ho avuto il fuoco di S.Antonio e sono stato fermo 3 settimane, poi l’aggressione con tutte le conseguenze. Ho perso molti giorni di allenamento e devo recuperare.

Tra l’altro dopo quel che hai subìto sei voluto tornare subito in bici…

Non solo, un paio di giorni dopo ero già in gara al GP Criquielion e non me l’ero neanche cavata male, chiudendo 16°. Ma sentivo dolore e mi accorgevo che qualcosa non andava, infatti la settimana dopo sono dovuto andare a gareggiare in Croazia in sostituzione di un compagno di squadra ma alla prima tappa mi sono dovuto ritirare. A quel punto abbiamo capito che era il caso di fermarsi.

Dopo l’aggressione, il lombardo ha subito corso in Belgio, ma i dolori poi sono diventati più forti
Dopo l’aggressione, il lombardo ha subito corso in Belgio, ma i dolori poi sono diventati più forti
La tua voglia di allenarti e correre pur con le conseguenze fisiche era anche una sorta di rivincita?

Per certi versi sì, ma poi ho capito che avevo bisogno di staccare, di resettarmi perché quel che avevo subìto aveva lasciato anche degli strascichi psicologici oltre che fisici. Non è stato facile, anche perché quel che è successo è avvenuto dove mi alleno normalmente, a 3 chilometri da casa. Posso dire ora di averla superata e questo è già un successo, ma dal punto di vista fisico ho ancora molto da lavorare.

In queste condizioni come sei arrivato alla vittoria?

Ha sorpreso anche me, perché durante la gara è stato tutto un tira e molla. Nella prima salita mi sono staccato, poi sono riuscito a rientrare ma pensavo che, visto che non ero all’altezza degli altri, era meglio se lavoravo per i compagni e così ho fatto sulla seconda salita. Poi la corsa si è messa in un certo modo e sono entrato nella fuga con Bais e Finn. Lì la squadra è stata fondamentale perché i compagni hanno creduto in me e hanno rotto i cambi nel gruppo permettendoci di andare all’arrivo e così è arrivato un successo che proprio non mi attendevo.

La squadra è stata fondamentale per il successo, riportandolo in gruppo dopo la crisi iniziale
La squadra è stata fondamentale per il successo, riportandolo in gruppo dopo la crisi iniziale
Tu sei al quarto anno nel team Professional, uno degli “anziani” a dispetto dei tuoi 26 anni…

Sembra strano dirlo ma è vero e qualche volta ci penso. Il ciclismo va davvero veloce, non dico che mi sento vecchio ma vedo che i più giovani iniziano ad affidarsi anche alla mia esperienza. Io nel team mi trovo davvero bene, anche a Reggio Calabria si è visto che lavoriamo in ottima sintonia. Devo dire che hanno sempre creduto in me e dato il loro supporto, anche se questa benedetta vittoria non arrivava mai…

Ci sei andato tante volte vicino, però…

Sì, anche in gare importanti come al Giro di Danimarca nel 2023 o lo scorso anno in Grecia, ma mancava sempre il pezzo per completare il puzzle. Per questo sono stato io il primo a rimanere sorpreso dal successo di sabato, perché era l’occasione meno propizia fra tutte quelle vissute in questi anni per vincere. Questo significa che nel nostro mestiere non puoi mai sapere come andrà a finire finché non attraverso la linea del traguardo. Certamente prima di partire non avrei mai pensato di ritrovarmi alla fine sul podio…

Colnaghi al Giro d’Abruzzo. Da correre senza particolari ambizioni, aiutando la squadra e incamerando chilometri
Colnaghi al Giro d’Abruzzo. Da correre senza particolari ambizioni, aiutando la squadra e incamerando chilometri
E ora?

Ora si pedala e si fa fatica pensando al futuro. Molti mi chiedono se, proprio per il fatto di essere in ritardo e quindi in crescita di condizione sarò al Giro, ma non credo di essere nella selezione, ci sono altre gare all’orizzonte per me. Qui come detto il percorso non mi è favorevole, diverso è il discorso per il successivo Giro di Turchia, lì vorrei arrivarci in buona forma perché ci sono tappe che possono essere adatte alle mie caratteristiche.

Il fatto di essere così ora ti dà però un vantaggio rispetto a tanti altri?

Penso di sì, soprattutto mentalmente e questa vittoria mi aiuta tantissimo. Si dice sempre che quando rompi il ghiaccio diventa tutto più facile, io lo spero tanto, chissà che arrivata la prima presto non ne segua una seconda…

Mattio: pace fatta (a metà) con la Roubaix U23

16.04.2025
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Dopo la prima partecipazione, al suo secondo anno da under 23, Pietro Mattio si era dato appuntamento con la Parigi-Roubaix Espoirs. La corsa delle pietre dedicata alla categoria che fa da anticamera al ciclismo che conta. Nel 2024 le sfortune sono state tante e hanno messo fuori dai giochi il piemontese molto presto. Un anno dopo Mattio ha imparato a guardare negli occhi il pavé della Roubaix, nonostante la sfortuna lo abbia comunque colpito (in apertura foto Visma Lease a Bike). Anche se c’è da capire se sia corretto parlare di “fortuna” in una corsa dove gli imprevisti sono all’ordine del giorno. Sicuramente il corridore della Visma-Lease a Bike Development si è messo in mostra, giocandosi le sue carte e cogliendo un ottimo quinto posto nel velodromo più celebre del mondo. 

Per Pietro Mattio non è ancora tempo di tornare a casa però, c’è da correre ancora in Francia, questa volta più a sud. Infatti si è fermato nella casa del team olandese per qualche giorno prima di prendere parte alle prossime corse

«Passerò qui un paio di giorni – dice – perché questo fine settimana tocca mettere il numero sulla schiena di nuovo. Tornerò a casa, in Piemonte, domenica sera o lunedì. Correrò a Besancon e al Tour du Jura, con il team WorldTour».

Mattio nonostante la caduta finale è arrivato nel velodromo di Roubaix per giocarsi un piazzamento importante (foto Visma Lease a Bike)
Mattio nonostante la caduta finale è arrivato nel velodromo di Roubaix per giocarsi un piazzamento importante (foto Visma Lease a Bike)
Come sta andando questo inizio di stagione, considerando che la prima gara con il team U23 è stata proprio la Roubaix Espoirs?

Ho corso tanto con i professionisti, in gare dove il mio compito principale era quello di essere da supporto ai miei capitani. La Roubaix è stata la prima occasione per dimostrare che posso andare forte nella mia categoria, quella U23. Direi che è andata molto bene. 

E’ arrivato un quinto posto, forte anche dell’esperienza dello scorso anno…

Esatto, posso dire che è una gara in cui cadere è estremamente semplice. L’ho visto nel 2024 e questo dato è stato confermato anche domenica, bisogna metterlo in conto. Dopo quindici chilometri mi sono trovato a terra e mi sono detto: «Okay, la mia caduta l’ho fatta, ora dovrei essere tranquillo fino all’arrivo». Invece nel finale, quando ero nel gruppetto di testa e mi stavo giocando la vittoria, un corridore davanti a me è caduto e anche io mi sono cappottato. Non c’era molto altro da fare.

Le pietre della Roubaix sono state meno indigeste quest’anno, il piemontese sta imparando a conviverci (foto Visma Lease a Bike)
Le pietre della Roubaix sono state meno indigeste quest’anno, il piemontese sta imparando a conviverci (foto Visma Lease a Bike)
Eri lì per giocartela?

Si, siamo caduti sul Carrefour de l’Arbre. Il danno ormai era fatto, però sono riuscito a montare in bici subito e ripartire. Il treno giusto era andato, ma sono riuscito a restare con un altro gruppetto e giocarmi il piazzamento. 

Com’è stato vivere questa gara in testa?

Molto bello. In squadra partivo con i gradi di capitano, sapevo che i miei compagni avrebbero poi lavorato per me. Erano due settimane che studiavo la corsa e il percorso. Come detto era la prima gara tra gli under 23, quindi c’era un po’ di pressione nel dimostrare il mio valore. Negli ultimi cinquanta chilometri mi sono trovato davanti con i due della Lidl-Trek Future Racing (Albert White Philipsen e Soderqvist, ndr) e sentivo di pedalare bene. La condizione c’è, peccato per la caduta nel finale

Alle spalle di Whiten Philipsen e Soderqvist è arrivato Rejmin Senna, anche lui al primo anno da U23 (foto DirectVelo/Niclas Berriegts)
Terzo è arrivato Rejmin Senna, anche lui al primo anno da U23 (foto DirectVelo/Niclas Berriegts)
Che livello hai trovato tra i tuoi coetanei?

Ormai si va forte, anche quelli al primo anno da U23 fanno grandi cose. Basti vedere Albert Philipsen che ha vinto. Io al primo anno nella categoria non andavo così, ero molto più grezzo. Qui alla Visma mi hanno insegnato tanto e sento di essere migliorato piano piano. Invece ora arrivano ragazzi dalla categoria juniores che sono prontissimi. Bravi loro, perché imparare così presto è sicuramente una cosa che ti aiuta ad arrivare subito nel professionismo.

Qual è la cosa in cui senti di essere migliorato in questi anni?

Sia dal punto di vista dell’allenamento che tattico. Nel primo caso la cosa positiva di essere un devo team è la forza della struttura e degli studi che si possono fare in ambito di preparazione e sviluppo dei materiali. Tatticamente, invece, avere dei compagni di squadra forti permette di lavorare come un vero team e sapere cosa si può fare e cosa si può ricevere una volta in corsa. 

Il prossimo obiettivo per Mattio e i compagni del devo team della Visma è il Giro Next Gen a metà giugno (foto Visma Lease a Bike)
Il prossimo obiettivo per Mattio e i compagni del devo team della Visma è il Giro Next Gen a metà giugno (foto Visma Lease a Bike)
Correre tanto tra i professionisti e meno tra gli under ti crea qualche pressione a livello di risultati?

Più come una motivazione in realtà. Ho pochi obiettivi durante la stagione e quando ci arrivo voglio essere pronto. Prima della Roubaix Espoirs ho corso tanto con i professionisti, questo mi ha permesso di avere una condizione molto buona. 

Il prossimo obiettivo?

Correrò il Tour de Bretagne dove avrò più libertà d’azione ma è la prima gara a tappe lunga (sono sette tappe, ndr). Il vero obiettivo della prima parte di primavera era la Roubaix Espoirs, poi arriverà il Giro Next Gen

Nuova V5Rs, genesi della Colnago più leggera di sempre

16.04.2025
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DESENZANO DEL GARDA – Colnago V5Rs toglie i veli e si presenta in modo ufficiale alla stampa internazionale. Rispetto alla V4Rs, la nuova bici di Pogacar e compagni al UAE Team Emirates ha subìto una cura dimagrante non banale e porta con sé un concetto di analisi della rigidità diverso dalla concorrenza. Se messa a confronto con la V4Rs è meno rigida durante una valutazione statica. Invece, lo è molto di più quando si analizza il valore durante la pedalata, nel corso della fase dinamica.

La nuova Colnago, che debutterà domenica all’Amstel Gold Race, è il risultato perfetto di un’equazione. Aerodinamica (grazie ad un drag paragonabile ad una aero concept) e leggera. E’ capace di trasmettere un buon feeling in ottica comfort, rigida in salita e durante gli sprint. Eccola nel dettaglio.

Anche la nostra Longo Borghini ha in dotazione la V5Rs (foto Colnago)
Anche la nostra Longo Borghini ha in dotazione la V5Rs (foto Colnago)

Parola a Davide Fumagalli, responsabile R&D Colnago

La richiesta di una nuova bicicletta è arrivata dal team, in un normale processo di evoluzione legato alla V4Rs. La squadra non ha chiesto in maniera perentoria una bici più leggera (anche se è la Colnago più leggera di sempre), quanto piuttosto, una bici con performance complete.

«Nel caso della Y1Rs – spiega Davide Fumagalli, responsabile di ricerca e sviluppo – il team ha espresso la volontà di una bici super veloce. Per quanto concerne la nuova V5Rs, le richieste sono rimaste su un delta piuttosto ampio. E’ cambiato il carbonio: la sua laminazione e l’intero processo costruttivo. A parità di taglia c’è un risparmio di 150 grammi, se messa a confronto con la V4 è costruita in cinque parti diverse. Il triangolo principale è un monoblocco, mentre il carro posteriore è diviso in quattro sezioni. Per la V5 utilizziamo dei mandrini interni che permettono di lavorare il carbonio in modo estremamente preciso, a tutto vantaggio di riduzione del peso e cura del prodotto finito.

«Abbiamo adottato dei modelli evoluti di CFD, in parte mutuati dal progetto Y1Rs – conclude Fumagalli – con geometrie dalle differenze minime rispetto alla V4Rs, per cui abbiamo creato un doppio rake della forcella in base alle taglie. E’ unico il supporto per il deragliatore, che può essere rimosso e supporta corone fino a 55 denti».

Davide Fumagalli è il responsabile ricerca e sviluppo di Colnago (foto Nicola Vettorello-Colnago)
Davide Fumagalli è il responsabile ricerca e sviluppo di Colnago (foto Nicola Vettorello-Colnago)

Le particolarità della V5Rs

Il rinnovato processo di costruzione permette di stabilizzare le fibre che, non si muovono e non cambiano direzione nelle fasi di cottura del carbonio. La scatola del movimento centrale adotta delle calotte esterne filettate ed è larga 68 millimetri. Tutta l’area frontale della V5Rs è stata ridotta del 13%. E’ da considerare anche un reggisella completamente ridisegnato (disponibile con arretramento zero, oppure 1,5 centimetri).

Rispetto ai normali canoni sono stati rialzati i foderi posteriori ed il punto di transizione del tubo verticale, verso la scatola del movimento, ha un raggio ottimizzato. La parte inferiore della scatola centrale è il naturale ingresso della batteria Shimano Di2, poi alloggiata nel profilato obliquo.

La bici tradotta in numeri

Il valore dichiarato alla bilancia è di 685 grammi, telaio non verniciato nella taglia 48,5 (342 per la forcella). Il peso totale di telaio/forcella passa da 1.173 grammi a 1.027. 32 millimetri di larghezza, la capacità di forcella e carro posteriore per il passaggio degli pneumatici.

Sette taglie: 42 e 45,5, 48,5 e 51, 53 e 55, 57. Dalla taglia 42 alla 51 il rake della forcella è di 47, dalla 53 alla 57 è di 43 millimetri. L’unico valore in comune a tutte le taglie è la lunghezza del carro posteriore di 408 millimetri. A parità di misura, in un ipotetico confronto con la V4Rs, la nuova Colnago presenta degli angoli di sterzo e piantone più dritti/verticali, a favore di un avanzamento della posizione del ciclista verso l’avantreno.

Allestimenti e prezzi

Quattro combinazioni cromatiche, spiccano le due Team Replica UAE-XRG e UAE-ADQ, la colorazione nera con scritta “quasi” olografica e la World Champion. Sono sette gli allestimenti disponibili. Allestimento completo Campagnolo SR Wireless e ruote Bora Ultra WTO a 15.400 euro.

Tre allestimenti prevedono la trasmissione Shimano Dura Ace, a 15.900, 14.350 e 12.600 euro, rispettivamente con ruote Enve SES 4.5, Shimano C50 e Vision SC45.

Il pacchetto con Sram Red e ruote Vision SC45 (quello in test e sul quale svilupperemo una prova completa) ha un listino di 11.800 euro. Si passa a due allestimenti Ultegra Di2 e Sram Force, entrambi con Vision SC45 e 10.800 euro di listino. Tutte le Colnago V5Rs menzionate hanno il manubrio integrato full carbon Colnago CC.01.

Colnago