Il sogno di Le Court. L’incubo di Elisa, messa ko dal caldo

28.04.2025
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LIEGI (Belgio) – Non senza un pizzico di sorpresa, tra le donne è stata la Liegi di Kimberley Le Court Pienaar. Atleta importante, anche perché una Doyenne altrimenti non la vinci, ma certo non era sul taccuino delle favorite. Più di qualche ragazza arrivata staccata chiedeva: «Chi ha vinto?» e una volta conosciuta la risposta scattava una smorfia di incredulità.

La gara femminile si è accesa nel finale. La Redoute è stata meno decisiva di quel che si potesse immaginare. Almeno vista da fuori, perché nelle gambe delle atlete ha fatto sfracelli. Poi si èdeciso tutto in uno sprint a quattro.

Stremata e affranta, Longo Borghini all’arrivo ha chiesto le fosse gettata dell’acqua su collo e spalle
Stremata e affranta, Longo Borghini all’arrivo ha chiesto le fosse gettata dell’acqua su collo e spalle

Liegi stregata

E’ proprio da qui che partiamo il nostro racconto, o meglio quello di Elisa Longo Borghini. La capitana del UAE Team ADQ ha ceduto, un po’ come Remco se vogliamo. Per noi è stata una sorpresa, per le sue compagne no. Intendiamo sul momento, quando dal maxischermo sull’arrivo di Liegi l’abbiamo vista perdere terreno.

Erika Magnaldi infatti ci ha detto che Elisa aveva anticipato di non sentirsi bene e per questo le aveva lasciato carta bianca. «Solo che io – spiega Erika – dovevo svolgere un altro ruolo e nella fase centrale della corsa ho sprecato un bel po’ di energie, che poi non ritornano».

Si attende Elisa, passano i minuti, quasi 8. Poi eccola spuntare, stremata. China il capo sulla bici. Parla sottovoce. Si abbraccia con Erika Magnaldi, che è lì ad aspettarla.

Si avvicina la massaggiatrice e le porge qualcosa di liquido da mandare giù. Elisa invece chiede che le si versi dell’acqua sulla schiena. «E’ stato semplicemente un bruttissimo giorno… per avere un bruttissimo giorno», sospira. La lasciamo respirare un po’.

Mauritius, che colpo!

Intanto poche centinaia di metri dietro va in scena il podio. Per le Mauritius di Le Court è una giornata storica e lei lo rimarca con orgoglio.

«Non ci credo – dice commossa l’atleta della AG Insurance-Soudal – è un grande momento per il mio Paese (le Mauritius, ndr). Ad un certo punto sono stata staccata, ma sono riuscita a recuperare, anche grazie alle mie compagne e a Julie Van de Velde, formidabile. Questo dimostra che in gara non bisogna mai arrendersi.

«Sulla Roche-aux-Faucons ho ritrovato improvvisamente le gambe e il ritmo, che sono riuscita a mantenere fino in cima. Sono riuscita a superare Demi Vollering e Puck Pieterse. Ho iniziato a pensare a qualcosa di grande quando ho visto le altre fare fatica sulla Roche-aux-Faucons. Il caldo? No, era una giornata piacevole, ma so che in tante lo hanno sentito».

Longo Borghini in difficoltà sulla Redoute, ma non stava bene già da qualche chilometro
Longo Borghini in difficoltà sulla Redoute, ma non stava bene già da qualche chilometro

«Sembravano 40 gradi»

E’ proprio da qui che ci riallacciamo a Elisa Longo Borghini: quella bottiglietta d’acqua sulla schiena non era affatto casuale. Le facciamo notare del caldo.

«Non lo so – spiega – non mi sono sentita bene. Da metà corsa in poi ho iniziato ad avere caldo, a non sentirmi per niente bene. Le temperature non erano altissime, però io ho sofferto come se ci fossero 40 gradi. Non me lo spiego, semplicemente questo».

In effetti la campionessa italiana veniva da ottime gare, quindi è stata una giornata che non ci si aspettava. Magnaldi aveva detto che probabilmente Elisa aveva patito il caldo. Ma più che il caldo, ipotizziamo, lo sbalzo termico. Negli ultimi due giorni la temperatura è salita di parecchio, passando dagli 11-12 gradi piovosi della Freccia ai 20-21 assolati della Liegi.

«Stavo benissimo fino al giorno prima – riprende Longo Borghini – e non me lo spiego, ripeto. Purtroppo le giornate no nel ciclismo esistono e a volte succedono anche nei giorni in cui vorresti che tutto andasse bene. Da metà corsa in poi, quando non mi sono sentita bene, non aveva senso far lavorare le mie compagne per me. Quindi le ho lasciate andare».

In questa giornata poco brillante per la UAE Adq c’è a aggiungere la frattura del gomito per Silvia Persico, richiamata per la Liegi e caduta nelle prime ore di gara.

Brava Trinca

Ma per una giornata storta, come si dice, ce n’è un’altra che è andata dritta. O quantomeno bene, fatte le dovute proporzioni. E questa nota positiva porta il nome di Monica Trinca Colonel.
Alla presentazione delle squadre, Anna Trevisi, una delle migliori gregarie in assoluto del gruppo, ce lo aveva detto: «Corriamo per Trinca. Sta bene. E’ forte». Ed eccola finire ottava. Prima delle italiane.

«In realtà – racconta l’atleta della Liv AlUla Jayco – sono sorpresa per il risultato perché mi sono sentita bene per almeno due orette. Ultimamente soffro sempre nelle parti iniziali di gara, poi però sul finale ci sono sempre, quindi comunque sono soddisfatta.

«E’ stata una corsa strana per me: mi sono staccata praticamente su tutte le salite, ma poi rientravo bene ed eravamo sempre meno. E’ stata una lotta continua. Questo denota più che altro che sono un diesel, quindi ci impiego un po’ di tempo per ingranare. La cosa bella di questa stagione? Che sto crescendo tanto e senza accorgermene. La squadra poi non mi mette pressione. Qui sto bene e sono più che contenta. Anna ha detto che potevo stare con le grandi? Vabbé, sono parole grosse le sue! Però sì, in futuro spero di essere tra le top».

E bravi gli azzurri. La Liegi di Ciccone, Velasco e Bagioli

27.04.2025
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LIEGI (Belgio) – Come vi avevamo accennato nel pezzo precedente, parlando della vittoria di Pogacar, alla Liegi-Bastogne-Liegi si è vista una buona Italia. La compagine dei corridori di casa si è fatta valere: Ciccone secondo, Velasco quarto e Bagioli sesto.

Ma era nell’aria. Parlando con i ragazzi filtrava un po’ di ottimismo. Okay, non è una vittoria, ma di questi tempi non è poco su cui fare leva in chiave futura. E poi le cotes delle Ardenne storicamente ci hanno sempre sorriso un po’ di più rispetto alle pietre.

Ciccone è al secondo podio in una classica Monumento. Il precedente al Lombardia 2024 sempre dietro a Pogacar
Ciccone è al secondo podio in una classica Monumento. Il precedente al Lombardia 2024 sempre dietro a Pogacar

Podio Ciccone

Giulio Ciccone si presenta in conferenza stampa con la sua medaglia. Gli occhi sono stanchi, ma il morale è alto. E come potrebbe essere diversamente?

«All’inizio, venendo dal Tour of the Alps, non stavo benissimo – racconta l’atleta della Lidl-Trek – poi mi sono trovato meglio. Rispetto alla corsa alpina, qui si trattava di tutt’altra gara: tanti più chilometri, salite più brevi e ripide, tanto stress in corsa.
«Quando è partito Pogacar cosa ho fatto? Mi sono messo del mio passo e basta. Ho preso tempo. Chiaramente non avevo le gambe per seguirlo, ma per quelle per tenere la mia velocità e cercare di fare qualcosa, di portarmi avanti. Tre italiani nei primi sei? E’ geniale, sappiamo che tutti vorrebbero una vittoria, ma non è sempre possibile. Godiamoci dunque questa giornata positiva».

Ciccone sul podio con Pogacar ed Healy
Ciccone sul podio con Pogacar ed Healy

Il podio in una Monumento vuol dire tanto per Ciccone. Alla fine è la seconda volta in pochi mesi che finisce alle spalle dello sloveno. Ciccone ha raggiunto Liegi in macchina dal Tour of the Alps: a quanto pare non ama troppo l’aereo. Ma evidentemente viaggiare con le gambe distese e senza stress gli ha fatto bene.

«La Liegi è la mia classica favorita, insieme al Lombardia – dice – sono davvero contento di questa prestazione e di arrivare bene al Giro d’Italia. Ora passerò cinque giorni a casa e poi andrò in Albania».

La grande volata di Velasco (sulla sinistra). Mentre Bagioli è al centro (secondo casco rosso da sinistra)
La grande volata di Velasco (sulla sinistra). Mentre Bagioli è al centro (secondo casco rosso da sinistra)

Velasco bravo e sfortunato

Se vi diciamo che Simone Velasco avrebbe potuto ottenere molto di più, ci credete? La storia della sua Liegi è davvero incredibile. Ed è giusto lasciarla raccontare a lui.

«Ho rotto la ruota prima della Redoute – racconta con orgoglio e ancora il fiatone forse 20′ dopo aver concluso la corsa – penso che nel finale avevo una gran gamba. Avere un problema meccanico lì, in quel momento, è incredibile. Ho provato a rientrare, ho rimontato non so quanti corridori. Ho inseguito fino alla Roche-aux-Faucons. Ci ho sempre creduto. Lì sono rientrato. Ho tenuto duro e poi ho vinto la volata del gruppo. Penso che sia davvero un gran bel segnale che posso essere all’altezza di certe gare».

Un gran bel segnale, ma anche forse un pizzico di rimpianto. Forse Simone poteva stare davanti con Ciccone ed Healy.

«Ho dimostrato di essere presente anche nelle corse che contano – commenta – e di questo sono contento anche per la squadra. Finalmente abbiamo raccolto un buon risultato in una gara importantissima, speriamo di continuare così».

Velasco racconta di una corsa tirata, nervosa. Ormai si va sempre forte. Lui e Ciccone si erano anche parlati un po’. Ora Simone riposerà un po’. «Andrò nella mia Elba a prendere un po’ di sole e di mare. E poi inizierò a lavorare per il Tour de France».

A Liegi anche i supporter di Bagioli: Mario Rota e suo padre
A Liegi anche i supporter di Bagioli: Mario Rota e suo padre

Bagioli: per Cicco e per sé

Infine c’è Andrea Bagioli, sesto. Anche lui autore di una gara ottima, e soprattutto di una gara che lo ha visto attivo. Il suo non è un sesto posto a rimorchio, diciamo così.

«Se ieri sera qualcuno mi avesse detto che avrei fatto sesto alla Liegi non ci avrei creduto – ha detto Bagioli – tanto più con dei capitani come Skjelmose e Ciccone. E invece… Oggi ho dovuto lavorare, ho dato una bella trenata all’imbocco della Redoute proprio per farla prendere bene a Cicco. Lui è rimasto un po’ lì poi è andato. Eccome. E dire che ad inizio corsa non stava benissimo, aveva detto a noi compagni».

Dopo la fase di apnea per la tirata sulla Redoute, Andrea Bagioli non ha mollato, ma si è rimesso sotto.

«Alla fine – riprende il valtellinese – sono riuscito a tenere il gruppetto con il quale siamo ritornati sotto alla Roche-aux-Faucons e stavo bene. Ma a quel punto non ho potuto sfruttare il fatto che Giulio fosse davanti per stare a ruota, anzi, ho dovuto chiudere spesso i contrattacchi e per questo sono contento. E’ un sesto posto che dà molta, molta fiducia. Rispetto all’anno scorso, in cui ho vissuto una stagione difficile, sono cambiate un po’ di cose.

«Adesso per me – dice – si profila l’Eschborn-Frankfurt (in scena il 1° maggio, ndr). Con i direttori sportivi abbiamo parlato e stabilito che potrò avere le mie carte. I leader saremo io e Nys. Io potrò fare qualcosa prima e lui eventualmente in volata. Con Francoforte chiudo questa mia parte di stagione che è molto lunga. Vado avanti dall’Australia».

La terza Liegi di Tadej. Si chiude così la campagna del Nord

27.04.2025
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LIEGI (Belgio) – Da dove iniziare? Un bel punto di domanda per questa Liegi, la terza dominata da Tadej Pogacar. Il campionissimo della UAE Team Emirates ha messo tutti in riga sulla Redoute come da programma. Se ne è andato che mancavano 35 chilometri all’arrivo.

Se non fosse per la buona tenuta degli italiani, la Liegi-Bastogne-Liegi 2025 sarebbe condensata in poche frasi. Ma come avevamo anticipato ieri, c’è un’Italia che non molla: secondo Giulio Ciccone, quarto Simone Velasco e sesto Andrea Bagioli.

(Quasi) tutto facile

E’ vero, tutto sembrava semplice. Ma «in realtà poi facile non lo è – come ci spiegava Andrej Hauptman, direttore sportivo della UAE – anche all’Amstel Gold Race sembrava tutto facile, ma abbiamo visto come è andata. Le cose nel ciclismo cambiano velocemente. Quel giorno abbiamo trovato Remco in giornata di grazia e tanto vento contrario che si è alzato più forte del previsto. Oggi per fortuna non è andata così».

Intanto nel clan della UAE, come nelle altre squadre, c’è il fuggi-fuggi generale. La Liegi chiude la campagna del Nord e anche per gli staff è tempo di tornare a casa. I meccanici lavorano, i massaggiatori aprono i frigo con le borracce e si lanciano all’assalto dei tifosi. Si caricano i mezzi. Chi scappa in aeroporto…

Ancora Hauptman: «Avete avuto la sensazione che sulla Redoute avesse controllato prima di aprire tutto il gas? Sì, è vero. Voleva vedere chi c’era con lui e a quel punto avrebbe deciso cosa fare: se tirare dritto oppure aspettare qualcuno. In fondo alla discesa ha deciso di andare. Comunque, come ripeto, fare tanti chilometri da solo non è mai facile. Io voglio fare i complimenti alla squadra perché i ragazzi sono stati eccezionali. Tutti hanno svolto alla perfezione il proprio lavoro. Ai 150 chilometri dovevano entrare in azione e hanno controllato ogni metro del percorso».

Come detto da Hauptman, in fondo alla discesa della Redoute, Tadej decide di andare. Prende il suo vantaggio, si mette nella sua velocità di crociera – che ovviamente è ben diversa da quella degli altri – porta il margine a un minuto, un minuto e 15. Dopodiché si stabilizza e trova persino il tempo di parlare via radio. «Cosa mi chiedeva alla radio? Mi diceva che i ragazzi dietro dovevano stare tranquilli e pensare alla volata», conclude Hauptman.

E Remco?

Quello che è mancato in questa giornata è stato l’attesissimo duello con Remco Evenepoel. Ancora una volta il testa a testa col coltello tra i denti è venuto meno. Remco è naufragato sulla Redoute. Ha provato a tenere duro, era rientrato sul gruppo giusto ai piedi della Roche-aux-Faucons, ma poi nulla ha potuto, se non chinare la testa e onorare la sua Doyenne fino in fondo. E dire che sullo Stockeu pedalava a bocca chiusa…

La sensazione, non solo nostra, è che il doppio campione olimpico stia vivendo una fase di “rebound”, di rimbalzo, dopo il ritorno dal suo incidente. Ci sono due considerazioni da fare.

La prima è fisica: ci sta che appena si rientra si stia bene, “leggeri” e pimpanti, specie se si ha uno dei super motori di questo ciclismo. Ma poi la resistenza, il recupero e il ritmo gara protratto su quattro gare in dieci giorni si fanno sentire.

La seconda motivazione, forse più incisiva della prima, è mentale. Remco lo abbiamo osservato in questi giorni e di certo era meno spensierato di Pogacar. Senza Van Aert, è il faro del Belgio. Il doppio titolo olimpico lo ha lanciato in un’altra dimensione, con pressioni di cui un po’, forse, risente. Alla Freccia del Brabante nessuno gli chiedeva nulla: era solo il rientro dopo cinque mesi. Ma dopo quella prestazione, il suo approccio alle gare è immediatamente cambiato. In ogni caso è tornato. Ora potrà iniziare davvero a lavorare per il Tour. Iniziare: si badi bene a questo termine.

Liegi, ma anche Roubaix

Finalmente Pogacar arriva in conferenza stampa. E’ sereno, come se nulla fosse successo. Ripete tante volte: «Sono felice». E come non esserlo?

«Sono felice per la squadra – racconta Tadej – per questa vittoria, sapete quanto ami la Liegi, per come è andata la corsa. Io non potevo immaginare una primavera migliore».

E poi interviene sulla gara: «Ho visto spesso la Soudal-Quick Step di Remco davanti, poi all’inizio della Redoute non li ho visti più. Ho immaginato fosse successo qualcosa (forse è per questo che si voltava così spesso, ndr). Non immaginavo non avesse le gambe. Dopo un po’ sono partito, ma volevo vedere se qualcuno potesse seguirmi. Poi lo sapete, quando ho le gambe e c’è la possibilità, io voglio sempre vincere».

Il resto è storia. Quel che colpisce invece è la sua risposta quando un giornalista gli chiede quale sia il ricordo più bello di questa sua campagna di classiche.

«Chiaramente le vittorie sono sempre bellissime, ma se chiudo gli occhi, il ricordo di questa mia primavera di classiche è la Parigi-Roubaix. Non credevo fossi capace di fare certe cose in quella corsa. E’ stato qualcosa di speciale». Mauro Gianetti non ne sarà felicissimo!

Intanto però nel bus della UAE Team Emirates si fa festa. Quel bus che, non appena Pogacar ha tagliato il traguardo, ha iniziato a suonare il clacson, facendo un rimbombo incredibile in tutto il vialone d’arrivo. E’ il genio di Federico Borselli, l’autista che tra l’altro aveva posteggiato il bestione subito dopo la linea d’arrivo, staccato da tutti gli altri. Lui già sapeva tutto!

La “prima” della Magnaldi. Col permesso della “Longo”

27.04.2025
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L’ha atteso a lungo, quel momento, quando ha potuto alzare le braccia come liberandosi da un fardello. Erica Magnaldi aveva già iniziato tardi la sua carriera ciclistica, provenendo dal mondo amatoriale, aveva fatto la trafila, era approdata nel WorldTour alla UAE nel 2022. Ci era andata tante volte vicina, ma solo a Chambery ha finalmente assaporato il gusto della vittoria, sette anni dopo la tappa del Tour de l’Ardeche, quando tutto stava praticamente iniziando.

La fuga vincente a Chambery, dov’era stata seconda nel ’23 e terza nel ’24 (foto Vaucolour)
La fuga vincente a Chambery, dov’era stata seconda nel ’23 e terza nel ’24 (foto Vaucolour)

Non è un caso se la vittoria è arrivata proprio a Chambery, tanto è vero che la cuneese aveva segnato in rosso la data della classica transalpina: «E’ una prova che mi si attaglia perfettamente, tanto è vero che nelle altre due volte che ho partecipato sono sempre andata sul podio, diciamo anzi che con questa vittoria ho completato la collezione… Era un obiettivo, uno dei tanti posti in questa stagione, contenta che sia stato centrato».

Come ti sei avvicinata, anche dal punto di vista psicologico visto che ritenevi la gara un passaggio nodale nella tua stagione?

Ero molto fiduciosa perché avevo visto nelle prove precedenti che le gambe giravano bene, che la condizione c’era. Ho vissuto una buona preparazione invernale che comincia a dare i suoi frutti. Alla vigilia il team aveva posto me come leader della squadra insieme a Greta Marturano e la corsa si è messa bene. Abbiamo controllato la gara nella prima parte e quando si è fatta più dura la naturale selezione ha portato a rimanere davanti in 5, tra cui sia io che Greta. Era la situazione tattica ideale e devo dirle grazie perché è stata fondamentale nella gestione della corsa fino al mio attacco, che mi ha permesso di arrivare da sola.

Il podio della classica francese con la cuneese fra Mitterwallner e Curinier (foto Vaucolour)
Il podio della classica francese con la cuneese fra Mitterwallner e Curinier (foto Vaucolour)
Prima dell’inizio della stagione si parlava molto del tuo ruolo in squadra come principale aiutante di Elisa Longo Borghini e da quel che si è visto, il ruolo ti ha calzato a pennello…

Lavorare per Elisa è un onore, ma devo dire che è lei stessa che ci tiene che tutte le compagne abbiano il loro spazio ed è la prima a dire che non sono solo il suo luogotenente. Questo vale per tutte, bisogna essere pronte a lavorare per lei che è il nostro capitano e una delle più forti al mondo, ma anche saper prendersi la propria responsabilità quando lei non c’è. E’ chiaro che la gara di Chambery aveva un livello più basso rispetto alle prove WorldTour, ma sono stata contenta di provarci e ancor più di riuscirci. Ho ripagato la fiducia.

Ora si prospetta per te la lunga trasferta in Spagna a cominciare dalla Vuelta. Con che ruolo andrai?

Dipende molto dalle scelte della squadra e dall’eventuale presenza di Elisa, che inizialmente non aveva in programma la Vuelta anche perché è attesa da Giro e Tour, ma potrebbe essere chiamata a farla perché abbiamo alcune compagne infortunate. Nel caso ci sia dipenderà da che cosa vorrà fare, ma per quanto mi riguarda, anche se mancasse Elisa non penso che punterò alla classifica, preferirei avere più libertà di movimento e poter correre in maniera aggressiva, cercando una vittoria di tappa. Magari cercare una fuga com’è avvenuto al Giro dello scorso anno.

La collaborazione con la Longo Borghini (qui dopo la Freccia Vallone) è solidissima e fondamentale per entrambe
La collaborazione con la Longo Borghini (qui dopo la Freccia Vallone) è solidissima e fondamentale per entrambe
Poi avrai l’Itzulia e la Vuelta a Burgos, più brevi…

Mi piacciono molto. La gara basca l’affronto con curiosità non avendola mai corsa prima ma sapendo che è molto dura, proprio come piace a me. Alla Vuelta a Burgos spero di ripetere le prestazioni di due anni fa, quando finii seconda nella tappa finale di Lagunas de Neila, traguardo che tra l’altro sarà quest’anno alla Vuelta Espana. Vedremo con quale condizione ci arriverò dopo la dura campagna delle Ardenne. I ruoli verranno stabiliti di volta in volta.

Magnaldi è ora attesa dal maggio iberico, a cominciare dalla Vuelta con un ruolo da scoprire via via
Magnaldi è ora attesa dal maggio iberico, a cominciare dalla Vuelta con un ruolo da scoprire via via
Gli appuntamenti con la nazionale sono ancora lontani nel tempo, ma è chiaro che non capita spesso che sia europei che mondiali propongano percorsi durissimi, tipici per scalatori. Senti il richiamo?

Mi piacerebbe essere in azzurro, questo è chiaro, per dare una mano a Elisa che sarebbe la capitana e una delle candidate alla vittoria considerando i tracciati. Il nostro feeling che si va costruendo in squadra sarebbe utilissimo. Ma parliamo di eventi ancora lontani, con il cittì non ho avuto modo di parlarne anche perché è ancora presto. Vedremo in che forma sarò per quel periodo, che cosa avverrà in estate. Per ora lascio tutto nel cassetto, insieme agli altri sogni…

Uno da tirarne fuori?

Mah, mi piacerebbe riassaporare quella gioia provata a Chambery, si dice sempre che quando riesci a sbloccarti, poi diventa tutto più facile. Vediamo intanto di far capitare l’occasione, ovunque sia…

Piganzoli: l’esperienza maturata e i progressi verso il Giro

27.04.2025
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SAN CANDIDO – Davide Piganzoli è sempre più al centro del progetto della Polti-VisitMalta, il valtellinese cresciuto con passi mirati e precisi si appresta a correre il suo secondo Giro d’Italia in carriera. Dopo l’esordio della passata stagione e un solido tredicesimo posto finale, arrivato grazie a caparbietà e tenacia, i riflettori si girano illuminando anche il suo profilo.

L’avvicinamento è restato pressoché lo stesso del 2024, concluso in crescendo con il terzo posto al Giro dell’Emilia: si è partiti con le corse in Spagna, poi la Volta a la Comunitat Valenciana, Tirreno-Adriatico e infine Tour of the Alps (in apertura foto Maurizio Borserini). L’unica differenza è arrivata dal fatto di aver corso il Gran Camino e non il Tour of Antalya, vinto lo scorso anno. Scelta forzata visto che la corsa a tappe turca non è stata disputata. 

Il passaggio dal Tour of the Alps ha permesso a Piganzoli di confrontarsi con i migliori scalatori in vista del Giro (foto Maurizio Borserini)
Il passaggio dal Tour of the Alps ha permesso a Piganzoli di confrontarsi con i migliori scalatori in vista del Giro (foto Maurizio Borserini)

Solidità

I risultati non sono diversi, anzi, anche quelli sono praticamente identici: nei primi quindici alla Valenciana e in top 20 alla Tirreno. E’ mancata la vittoria, vero, ma le prestazioni colte al Gran Camino sono sembrate più solide: sempre tra i primi e un secondo posto nella cronometro alle spalle di Derek Gee

«Sicuramente arrivo con una maturazione diversa – racconta all’interno della tenda dietro al palco delle premiazioni – mentre il programma di lavoro è rimasto lo stesso, sia prima che dopo il Tour of the Alps. Quindi ho fatto un ritiro in altura, poi questa corsa per rifinire il lavoro e poi si va verso il Giro d’Italia. Visti i risultati dello scorso anno credo che sia un approccio corretto. In generale mi sento migliorato parecchio e si può sperare in bene».

Al termine di questi cinque giorni di gara il valtellinese ha colto un 11° posto finale, 3° fra i giovani
Al termine di questi cinque giorni di gara il valtellinese ha colto un 11° posto finale, 3° fra i giovani
Maturato in cosa?

Sicuramente ho un maggiore quantitativo di esperienza e sento di essere migliorato fisicamente. Anche la squadra credo sia cambiata in meglio.

Andiamo per punti, perché ti senti più forte fisicamente?

Mi sento più forte sul ritmo gara, riesco a tenere meglio il passo degli altri uomini di classifica. Quando sei giovane devi sempre prendere un po’ di dimestichezza con il gruppo e migliorare. Credo, con il passare del tempo e delle stagioni, di arrivarci. 

A livello di esperienza in gara cosa hai imparato dal Giro dello scorso anno?

Sicuramente che bisogna sempre stare attenti e cercare di non andare a tutta ogni giorno. L’obiettivo in una gara così lunga è di mantenere un briciolo di freschezza per il finale perché proprio nelle tappe conclusive si creano occasioni importanti.

Piganzoli nella prima parte di stagione ha disputato diverse corse a tappe, qui al O’ Gran Camino chiuso al secondo posto
Piganzoli nella prima parte di stagione ha disputato diverse corse a tappe, qui al O’ Gran Camino chiuso al 2° posto
Cosa hai cercato di fare “in più” rispetto al 2024?

Ho cercato di fare piccoli passi: qualcosa in più per il fondo aumentando leggermente le ore in bici, migliorando quello che lo scorso anno ho curato meno, ovvero i chilometri fatti durante la settimana. Il risultato è che mi sento più solido a livello di prestazione. 

Guardando alla prestazione fatta in questo Tour of the Alps come ti senti? Sei sui passi giusti?

Credo di essere in un buon periodo, tutto sta andando secondo i piani. Dopo questi giorni mi godrò un attimo di riposo e poi andremo diretti in Albania. Anche quest’anno guarderò ancora la classifica, ma senza troppo stress. Siamo in una squadra piccolina e questo credo sia un vantaggio anche per puntare a qualche fuga e conquistare delle tappe. 

Uno dei punti in cui Piganzoli si sente più forte rispetto al 2024 è il passo, anche sulle salite lunghe
Uno dei punti in cui Piganzoli si sente più forte rispetto al 2024 è il passo, anche sulle salite lunghe
Senza Pogacar sarà un Giro più aperto?

Sì, sicuramente e credo lo sarà fino alla fine. Come in questi giorni ci saranno tanti campioni e tanti corridori che potranno fare la gara. Senza qualcuno in grado di dominare vedremo maggior controllo probabilmente ma allo stesso tempo ci sarà più spettacolo e maggior spazio per tutti. 

Più bello ma più difficile da interpretare?

Tecnicamente sarà difficile tenere in mano la corsa, però dai, credo sia una cosa positiva per lo spettacolo e per gli spettatori a casa.

A tu per tu con Marion Rousse: il ciclismo femminile a tutto tondo

27.04.2025
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LIEGI (Belgio) – E’ un piovoso pomeriggio tra la Freccia Vallone e la Liegi-Bastogne-Liegi, l’appuntamento è fissato per le 16 ma sia noi che Marion Rousse arriviamo (un po’) in ritardo: il traffico a quanto pare non è solo questione delle città italiane.

Con la direttrice del Tour de France Femmes, l’argomento non può che essere il ciclismo femminile. Se ne parla a tutto tondo. E dalla chiacchierata emerge la grande voglia di crescita che c’è in Francia. Una cultura e una lungimiranza che sarebbe bello riuscire a captare.

Marion è la direttrice del Tour de France Femmes ed è anche commentatrice tecnica per France Television
Rousse è la direttrice del Tour de France Femmes ed è anche commentatrice tecnica per France Television
Marion, cominciamo con il Tour de France Femmes. Andiamo verso la quarta edizione da quando è rinato nel 2022: cosa è cambiato in questo tempo?

E’ vero che è solo la quarta edizione, ma è molto di più. Ho l’impressione che siamo stati accettati dal pubblico e siamo entrati nel quotidiano della gente. Volevamo creare con il Tour de France Femmes avec Zwift una corsa che permettesse di essere conosciuta non solo dagli appassionati più stretti. Ma perché è il Tour de France: hai voglia di guardarlo perché avviene durante le vacanze, perché è un evento gratuito e perché puoi viaggiare con lui: dal vivo o dalla tv.

Viaggiare…

Sin dalla prima edizione abbiamo voluto ricreare un evento sportivo che fosse fantastico da seguire. Le donne hanno risposto alla grande. Volevamo riprendere i “codici”, i cardini, del Tour de France che funzionano e ricreare quella magia anche sul Tour de France Femmes. Penso alla carovana, al fatto che sia un evento popolare, al percorso… Quindi in solo quattro anni c’è già stato un prima e un dopo Tour Femmes.

E con questa ultima frase hai toccato già un altro argomento. Cosa ha fatto e sta facendo il Tour Femmes per le giovani cicliste?

Sin qui era qualcosa di anormale mettere una ragazza su una bicicletta. Quante volte da piccola mi sono ritrovata ad essere l’unica bambina a partire in gara tra tutti bambini. Ora offriamo l’opportunità di mostrare ai genitori che invece è normale, che una ragazza su una bicicletta è bellissima e che le cicliste possono essere delle vere atlete di alto livello. Le giovani possono identificarsi con le campionesse. Che sia per prendere la bici in vacanza o per fare agonismo. Prima del Tour de France Femmes questo non era possibile, o non lo era del tutto. E’ difficile identificarsi in campionesse che non si conoscono. O se non ci sono gare. Adesso ci sono.

In Francia l’attesa del Tour Femmes è notevole. La partecipazione organizzativa è di parli livello con il Tour maschile
In Francia l’attesa del Tour Femmes è notevole. La partecipazione organizzativa è di parli livello con il Tour maschile
L’anno scorso Christian Prudhomme ci ha detto che il Tour de l’Avenir è sostenuto dal Tour de France. Cosa fa il Tour Femmes?

Christian ha ragione. Lui ha l’abitudine di dire che il Tour de France è la cima della piramide, ma perché la piramide si tenga la base deve essere solida. E quella base è anche del Tour stesso. La base proviene dalle giovani, per esempio dal Tour de l’Avenir Femmes, che esiste da poco tempo, ma anche dalle corse come il Tour de Bretagne e da tutte le competizioni che esistevano prima di noi, che permettono alle giovani di iniziare e progredire di anno in anno.

Chiaro…

Parliamoci chiaro, prima in gruppo c’erano cinque ragazze pagate e tutte le altre correvano per loro. Le corse pertanto non erano interessanti. Il fatto di avere attirato sponsor, investito nel ciclismo femminile e che l’UCI abbia introdotto i salari minimi fa sì che oggi tante ragazze siano professioniste e professionali.

Di conseguenza il livello si alza…

Si alza, ma soprattutto è più omogeneo. Le gare sono molto più interessanti. In tutte le classiche che abbiamo visto c’è sempre stata suspense e non ha mai vinto la stessa atleta. Ma torno a prima: per arrivare a questo punto è necessario che anche le piccole corse sopravvivano. E devono avere attenzione.

Il livello tecnico atletico è notevolmente aumentato. Rousse faceva notare come in molte gare arrivino in tante al momento clou
Il livello tecnico atletico è notevolmente aumentato. Rousse faceva notare come in molte gare arrivino in tante al momento clou
E’ vero che c’è una forte domanda da parte delle località per accogliere le tappe del Tour Femmes?

E’ vero! In quasi il 90 per cento dei casi, quando una località si candida per ospitare una tappa lo fa per entrambe le Gran Boucle, uomini e donne. E’ fantastico. Con il mio lavoro di commentatrice per France Télévisions, mi sposto molto e ovunque mi cercano di persona dicendomi che sarebbero felici di accogliere il Tour Femmes. Prendiamo l’Alpe d’Huez…

Raccontaci…

Salita mitica che non ha bisogno di nulla ormai, da sempre hanno visto gli arrivi degli uomini, ebbene ci hanno accolte esattamente alla stessa maniera. Nelle riunioni ci hanno detto: «Ciò che abbiamo fatto per gli uomini vogliamo farlo per le donne. Non vediamo nessuna differenza».

Sei tu che tracci i percorsi?

Lo facciamo insieme a Franck Perque, che è stato ciclista pro’, soprattutto su pista. E’ soprattutto lui che gestisce i tracciati, ma ovviamente siamo sempre in contatto e condividiamo le nostre idee. Anche il tracciato dell’anno prossimo è praticamente finito.

Il ritorno di Ferrand Prevot su strada e la sua vittoria alla Roubaix sono un vero spot per le giovani cicliste francesi
Il ritorno di Ferrand Prevot su strada e la sua vittoria alla Roubaix sono un vero spot per le giovani cicliste francesi
Quest’anno avete inserito tre tappe molto lunghe, oltre 160 chilometri. Perché?

E’ vero, ma ora che il livello è più omogeneo ci si può permettere anche un po’ più di “follia”. Pensiamo che alla Freccia Vallone al penultimo passaggio erano ancora in cinquanta davanti. E alla Parigi-Roubaix Femmes a pochi chilometri dalla fine erano in tre a giocarsi la vittoria. Avendo una tappa in più abbiamo messo frazioni un po’ per tutti all’inizio, perché poi la montagna sarà tanta. Già dal giovedì, quando arriveremo a Clermont-Ferrand, il dislivello sarà parecchio.

Cosa pensi dell’ipotesi di portare i grandi Giri femminili a due settimane? E’ possibile?

Fisicamente parlando è possibile. Le ragazze sono in grado di fare un Giro di 15 giorni. Però attenzione: prima abbiamo parlato della base della piramide. Ci sono gare che esistevano prima di noi e se prendi 15 giorni di corsa vai ad eliminarle o a coprirle in qualche modo. Bisogna andare progressivamente perché anche se il ciclismo femminile è cresciuto, non ha nulla a che vedere con quello degli uomini.

Cosa intendi?

Le squadre femminili sono di 15 atlete, quelle maschili di 30. Lo staff non è lo stesso. Se porti 15 ragazze in un grande Giro, poi non ne hai per le altre gare. Non si chiude la porta a niente: già in 4 anni abbiamo aumentato di una il numero delle frazioni. Questo mostra che andiamo avanti, ma dobbiamo restare prudenti. La prima cosa è rispettare le altre gare. Abbiamo un ruolo di accompagnamento, non di rottura.

Però sul fronte tecnico e tattico una gara di due settimane cambia…

Sì, ovviamente in 15 giorni puoi fare un percorso più lungo. E poi non dipende solo da noi: serve l’autorizzazione dell’UCI per certe distanze.

Marion Rousse (classe 1991) ha corso fino al 2015. E’ stata campionessa di Francia nel 2012 (foto Philippe Poullea)
Marion Rousse (classe 1991) ha corso fino al 2015. E’ stata campionessa di Francia nel 2012 (foto Philippe Poullea)
Il percorso è più duro e meglio ripartito. Chi è la tua favorita?

Beh, penso a Demi Vollering, ma anche alla campionessa uscente. E a Pauline Ferrand-Prévot. La “vecchia” campionessa francese che ritorna su strada dopo aver vinto tutto in mtb e ti dice: «Sono tornata su strada perché c’è il Tour Femmes ed entro tre anni voglio vincerlo». Dopo aver vinto anche la Roubaix. E’ geniale. Vi dico questa…

Vai…

Sui ragazzi francesi c’è una grande pressione perché si torni a vincere il Tour dopo Hinault. E spesso con Christian scherziamo a fine Tour ogni anno: «Voilà, non abbiamo vinto il Tour». Vai a vedere che alla fine l’erede di Bernard Hinault è una ragazza. Però per la prossima edizione credo che Vollering sia ancora un po’ superiore. Anche Lotte Kopecky è molto forte.

Ed Elisa Longo Borghini?

Sì, giusto Elisa… Ma non ha mai avuto troppa fortuna al Tour. Certo, è molto forte. Pensate che mentre commentavo la Freccia Vallone riflettevo: sono già più di 10 anni che è professionista ed è incredibile. Ogni anno migliora. E poi è anche forte a cronometro.

Due delle favorite per la prossima maglia gialla secondo Rousse: Vollering e Niewiadoma
Due delle favorite per la prossima maglia gialla secondo Rousse: Vollering e Niewiadoma
Piccolo passo indietro: si dice sempre che il ciclismo femminile cresce. Ma cosa significa concretamente?

Significa che prima non c’erano sponsor perché non si parlava di noi. Le gare non venivano trasmesse in tv, c’erano appena i risultati su internet… Ora non è così. Hanno visto che è bello guardare il ciclismo femminile in tv e va bene anche per gli spettatori. Io, che vengo dalla tv, e vedo che il ciclismo femminile funziona. Quando si fa una corsa maschile e femminile nella stessa giornata, come alla Freccia Vallone, gli spettatori restano per guardare l’arrivo delle donne.

A questa cosa ci pensavamo proprio ad Huy. Come mai voi di ASO proponete prima la gara maschile e poi quella femminile?

Perché ci siamo resi conto che c’è più interesse. Quando vedono passare la gara maschile dicono: «Ah ma ci sono anche le donne», e restano. E questo è un fatto. Nel caso contrario, la corsa femminile non riceve la stessa attenzione.

Rispetto ai tuoi tempi il ciclismo è cambiato molto. Ma ti piace tutto di questa evoluzione?

Ho vissuto il mio ciclismo. Ora seguo quest’altro dalla macchina e sono molto felice di essere direttrice di una corsa, di uno sport, che permette alle ragazze di non vivere ciò che ho vissuto io. Le gare erano poche, bisognava bussare alle porte perché non c’erano soldi per organizzare, non ne avevano nemmeno le atlete. Oggi hanno più diritti, la maternità, uno stipendio minimo, sono meglio seguite dagli staff. No, non c’è niente che rimpiango della mia epoca. Oggi le vedo felici, contente al via delle corse. Alla Freccia le prime nel finale hanno fatto la salita che sarebbe stato il 18° tempo tra gli uomini. Vanno forte.

Vigilia della Doyenne, Pellizzari senza paura. E sul Giro…

26.04.2025
6 min
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LIEGI (Belgio) – Dopo quattro edizioni, la presentazione delle squadre della Liège-Bastogne-Liège, la Doyenne, torna in centro, nella piazza di Saint Lambert sotto al (bellissimo) palazzo vescovile, dentro al quale c’è anche la sala stampa. Scriviamo sotto volte barocche con affreschi, quadri giganti, tappeti antichi e scalinate che sembrano degne di una principessa di Walt Disney nel suo castello.

In tutto ciò la gente si raduna nell’assolata piazza sottostante. Una lunga fila di bus inizia a scorrere dalla Mosa fin sotto al palco. La prima a presentarsi alla firma è la DD Group, piccola squadra belga, l’ultima è la corazzata di Tadej Pogacar che sale sul palco assieme all’altra UAE, la UAE Team ADQ di Elisa Longo Borghini.

Autografi pre-Doyenne per Longo Borghini. La campionessa italiana è la speranza numero uno per vedere un’atleta di casa sul podio
Autografi pre-Doyenne per Longo Borghini. La campionessa italiana è la speranza numero uno per vedere un’atleta di casa sul podio

L’Italia che non molla

E’ un bel caos, simile a quelli che ieri vi avevamo raccontato sulla Redoute, tra l’altro stamattina ancora più affollata. La vigilia è passata veloce alla fine. Una visita al museo della Doyenne e l’incrocio fugace proprio di Elisa. L’abbiamo vista durante la sua sgambata mescolarsi per un attimo al serpentone degli amatori.

«Spero – ci aveva detto Elisa – che la corsa si accenda sulla Redoute anche per noi, perché vorrà dire che ci sarà gara dura, perfetta per donne di fondo come me». La determinazione di Longo Borghini è proverbiale. Pensate che il giorno dopo la Freccia si è sciroppata quasi quattro ore sotto la pioggia. Quattro ore in cui ha provato una parte di percorso. Poi ieri altre tre ore e un’altra parte di Liegi e oggi una semplice (meritata) sgambata.

La compagine italiana non è affatto male in questa Doyenne, almeno se si pensa alle altre classiche e non lo è sia per numero di atleti ed atlete che per la qualità. Oltre ad Elisa e le sue compagne, per esempio, c’è il duo della Liv AlUla Jayco, Anna Trevisi e Monica Trinca Colonel. C’è Soraya Paladin (qui il video della vigilia) pronta a correre per Niewiadoma, Marta Cavalli… E anche tra gli uomini i corridori aggressivi non mancano: Ulissi (qui il video della vigilia), Ciccone appena arrivato dal Tour of the Alps, Zambanini, Scaroni… E poi Giulio Pellizzari.

Pellizzari al debutto

E in qualche modo la presenza last minute del marchigiano della Red Bull-Bora Hansgrohe in questa Liegi ha tenuto banco. Una presenza che potrebbe non limitarsi alla sola Doyenne. Vederlo quassù al primo anno nel WorldTour non era poi così scontato. Ma le sue prestazioni, che hanno convinto i tecnici, e qualche forfait dei compagni, hanno giocato a suo favore.

E così, Giulio, eccoti alla prima Liegi. Quando l’hai saputo?

L’idea ha iniziato ad esserci dopo il Catalunya. Quando ho saputo che non avrei fatto il Giro dei Paesi Baschi. Poi qualche mio compagno è stato poco bene, quindi mi hanno chiamato lunedì scorso e mi hanno detto che avrei corso qui. Non potevo che essere più felice!

Dov’eri quando hai ricevuto la chiamata?

Ero al Teide, dopo sei ore di allenamento, quindi ero finito, ma ero contento!

Eri con Roglic?

Sì, sì, e proprio in quel momento mi hanno chiamato. Allora l’ho detto a Primoz e lui: «Stai tranquillo, stai safe (sicuro, ndr)…». Era contento perché io ero contento. E questo mi ha fatto piacere.

Come stai? Stai andando forte…

Il Catalunya direi che è andato bene, ed è stato impreziosito dalla vittoria di Primoz. Quindi come squadra siamo contenti. Ora vediamo i prossimi appuntamenti, come andranno. Siamo preparati e abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare. Io anche sto bene, certo non corro da un po’ (proprio dal Catalunya, ndr) e per queste corse serve ritmo… Bisognerebbe avere un po’ di fortuna affinché le cose girino bene.

Ieri abbiamo seguito la tua ricognizione. Sei sempre stato davanti, come mai?

Proprio sempre no, dai! Ci sono stato spesso. Un po’ le strade le conoscevo, avendo fatto la Freccia Ardennese con la VF Group-Bardiani da under 23. Qualche salita me la ricordavo. Più che altro volevo fare un po’ di fatica, diciamo così…

Dal Teide alla Doyenne. Pellizzari è alla prima Liegi. Emozione e adrenalina non gli mancano (foto Instagram)
Dal Teide alla Doyenne. Pellizzari è alla prima Liegi. Emozione e adrenalina non gli mancano (foto Instagram)
Che corsa ti aspetti domani? E che corsa dovrai fare?

Mi aspetto che sarà dura! La Liegi è una gara lunga. Spero di partire non con le migliori sensazioni…

Ma come? Perché…

Perché per come sono fatto è meglio “volare bassi”. Se sto bene finisce che mi gaso troppo e rischio che parto “in palla”, spreco e poi vado giù. Mentre se sono costretto a stare più tranquillo, magari poi sto meglio nel finale. Purtroppo, come accennavo, la squadra ha avuto un po’ di sfortuna in queste classiche, quindi cerchiamo di dare il massimo e vedremo come andrà.

Giulio, ma quindi con che ruolo parti? Sei il leader…

No, non leader… Vediamo intanto come saranno quelle sensazioni. Sicuramente se starò bene non ci saranno problemi per poter fare la mia gara. Però, ripeto, vediamo le gambe: è la Liegi. E’ tanto lunga.

Una delle voci che più gira quest’oggi, pensando a Pogacar ed Evenepoel, è che tanti, anche ottimi corridori, vogliono anticipare…

Sicuramente qualcuno anticiperà. Sappiamo che Tadej attaccherà sulla Redoute, o almeno sembra sia scontato, pertanto immagino che qualcuno si muoverà. Noi partiamo per provare a far una top ten, magari una top five. Il top sarebbe un podio… Sappiamo che vincere è difficile, però ci proviamo.

Insomma Pellizzari “vecchio stile”: all’arrembaggio. Ma tu ce l’hai l’incoscienza di seguirli sulla Redoute?

Eh – ride Giulio, ma non smentisce – per prima cosa la Redoute bisogna prenderla davanti, perché se sei dietro non segui proprio nessuno. E prenderla davanti non è mica facile. Poi vediamo. Lo stimolo, la voglia da parte mia c’è sempre, ma a volte bisogna correre più di testa che di cuore.

Un’ultima domanda, Giulio: ieri sarebbero dovuti uscire i nomi della Red Bull-Bora per il Giro. E’ cosa nota che tu fai parte della “lista lunga”, delle riserve diciamo così, ma cosa puoi dirci in merito? Insomma, ci sarai al Giro?

Sicuramente io mi sono preparato bene. Ho fatto l’altura… Quindi la possibilità di essere in Albania la prossima settimana c’è. Sarebbe bellissimo.

Sarebbe davvero bello vederlo impegnato nella corsa rosa. La Red Bull-Bora sin qui lo sta gestendo benissimo. La sensazione è che questo sogno possa realizzarsi, ma non si può dare per certo: la comunicazione ufficiale giustamente spetta al team. Noi non possiamo far altro che incrociare le dita.

Intanto andiamo a cena pensando (sognando) che domani, quando si scatenerà la guerra tra i due giganti, Pellizzari possa buttarsi nel mezzo. Rispondere senza paura, il che non sarebbe la prima volta. E se poi si dovesse staccare… pace. L’importante è provarci. Testarsi, sbagliare, ma stare nella corsa. Vicino ai grandi.

Vince in volata, ma vuole completarsi: scopriamo Marchi

26.04.2025
6 min
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La prima mano di poker è stata sua. In un mese da inizio marzo ha inanellato quattro vittorie tutte con una volata potente, la sua griffe. Tommaso Marchi in questo scorcio di stagione ha dimostrato di essere il velocista più continuo, anche per merito del lavoro sviluppato dalla Borgo Molino Vigna Fiorita.

Al secondo anno da junior, il 18enne trevigiano di Mareno di Piave (in apertura foto Lisa Paletti) sta mantenendo fede al suo percorso di crescita, fatto finora di quaranta successi giovanili partendo agli esordienti. Numeri importanti che tuttavia vanno valutati dal punto di vista statistico per non togliere l’attenzione ad un altro aspetto fondamentale, quello di diventare un corridore.

Per Pavanello (secondo da destra), Marchi è un velocista moderno con margini di crescita sul passo (foto Borgo Molino)
Per Pavanello (primo da destra), Marchi è un velocista moderno con margini di crescita sul passo (foto Borgo Molino)

Visto da Pavanello

Quando abbiamo deciso di conoscere meglio Marchi, non abbiamo potuto tralasciare il parere di Cristian Pavanello, suo diesse e grande conoscitore del panorama giovanile.

«Prima di tutto devo dire – apre il discorso – che Tommaso va elogiato perché è un bravo ragazzo, educato, dalle buone maniere e che si impegna tanto a scuola. Un figlio che ogni genitore vorrebbe avere. Dal punto di vista ciclistico invece in questi due anni, ed in particolare l’anno scorso, abbiamo lavorato cercando di migliorare dove ce n’era bisogno, specie sul fondo e in salita. E già ora ne vediamo i risultati. Vincere una gara come i Colli Marignanesi in Romagna non è cosa da poco. E nemmeno in Toscana ad Altopascio era semplice.

«Ora credo sia un corridore più moderno del classico velocista – conclude Pavanello – Certo parliamo sempre di un ragazzo che pesa 80 chilogrammi, quindi sullo Zoncolan non lo vedremo mai con i primi, a meno che non parta il giorno prima (ci dice sorridendo, ndr). Battute a parte credo che Tommaso nel tempo possa essere un uomo veloce forte anche sul passo, ma c’è molto da lavorare. Ci vuole pazienza. Le vittorie hanno un loro significato e servono, però poi conta il domani. Mezzi permettendo, negli juniores occorre imparare il mestiere per sapersi esprimere domani. Non pensiamo a ciò che accade troppo spesso ai ragazzi di adesso che vanno direttamente nel WorldTour».

Uno. Il 9 marzo a Nonantola colpo di reni vincente di Marchi su Vendramin per la prima vittoria stagionale (foto italiaciclismo.net)
Uno. Il 9 marzo a Nonantola colpo di reni vincente di Marchi su Vendramin per la prima vittoria stagionale (foto italiaciclismo.net)
Tommaso, partiamo da una tua presentazione. Chi sei giù dalla bici?

Sono un ragazzo che frequenta la quarta classe di ragioneria in un istituto di Conegliano. Nel tempo libero mi piace stare con la fidanzata e con gli amici, soprattutto per staccare la mente. Purtroppo con loro mi capita spesso di dire di no per gli impegni agonistici, ma sono comprensivi ed anche a scuola quando sono assente giustificato riescono a spiegare bene agli altri compagni e ai professori quanto ora sia difficile e complesso il ciclismo. Non seguo il calcio, mi appassiona la Formula 1 e naturalmente il mio sport.

Come nasce invece il Tommaso ciclista?

Ho iniziato a correre in bici da G2 per caso, quasi per sbaglio. Un giorno ho seguito ad un allenamento un mio amico che già gareggiava nel Pedale Marenese, il cui diesse era un mio vicino di casa. Non sapevo del ciclismo, però guardando quei miei coetanei mi sono entusiasmato e sono tornato a casa dicendo a mio padre che volevo provare a correre. Lui era stupito, ma mi ha accontentato ed è cresciuta la passione. Ancora adesso mi sento un bambino che si diverte in bici e mi aiuta a non sentire il peso degli allenamenti.

Immaginiamo che conti anche la società in cui corri.

Sì, tanto assolutamente. Nella nostra squadra c’è un clima tranquillo e stiamo bene. Quest’anno abbiamo tanti ragazzi all’esordio tra gli juniores che devono imparare, anzi che vogliono imparare. Li vedo molto attenti, in crescita e mi hanno aiutato a vincere. Siamo un bel gruppo.

Prendendo spunto da ciò che ha detto il tuo diesse, che tipo di corridore ti senti?

Cristian ha detto velocista moderno, io non saprei ancora come definirmi. Tengo sugli strappi brevi e l’anno scorso avevo colto un decimo posto al Trofeo Piva Junior che ha scoperto qualche caratteristica nuova di me. Sto lavorando da tempo sulle salite più lunghe e mi sento meglio. Già in questo avvio di stagione avevo valori come quelli di metà stagione dell’anno scorso. Devo certamente migliorare la mia esplosività in volata. Al momento sono uno da volate lunghe. Le lancio a 250 metri dal traguardo e se riesco a tenere la velocità alta, allora me le gioco. Infatti da allievo avevo vinto un tricolore nel keirin sulla pista di Dalmine che è lunga 400 metri.

Tre. Marchi vince i Colli Marignanesi indicando con la mano il bottino fin lì raccolto (foto italiaciclismo.net)
Tre. Marchi vince i Colli Marignanesi indicando con la mano il bottino fin lì raccolto (foto italiaciclismo.net)
A proposito, come sei messo con la doppia attività?

Quest’anno, parlando con Pavanello, abbiamo deciso di concentrarci solo sulla strada. In pista dovrei correre solo i campionati italiani, però vorrei riprendere a fare entrambe nel 2026 perché sappiamo che la multidisciplinarietà è importante.

L’anno prossimo passerai U23 e sicuramente sarai finito nel taccuino di tante formazioni. Sai già qualcosa?

Il mio procuratore Alessandro Mazzurana (dell’agenzia Teamvision Cycling, ndr) mi tiene aggiornato. Non sto correndo con la pressione di fare il salto negli U23 in un certo modo. So che ci sono un paio di squadre interessate a me, però io non ci penso o comunque ci penserò più avanti.

Ti sei ispirato a qualche pro’ in questi anni?

Non uno in particolare. Quando ho iniziato a correre il mio idolo era Sagan, anche perché era un bel personaggio che faceva bene al ciclismo. Adesso mi piace un corridore lontano dalle mie caratteristiche (sorride, ndr). Mi piace Evenepoel perché adesso quando corre non è mai anonimo. E’ uno che ci prova sempre.

Quali sono gli obiettivi a medio e lungo termine di Tommaso Marchi?

Il campionato italiano è uno di questi, anche se dobbiamo ancora capire come sarà il percorso. A luglio al Piva Junior sono curioso di vedere la differenza dall’anno scorso, ma in generale punto a guadagnarmi una convocazione in nazionale per l’europeo o per altre gare internazionali. La maglia azzurra l’ho indossata da allievo nel 2023 agli EYOF di Maribor. E’ stata un’esperienza bellissima, ma poco fortunata. Durante la crono diluviava e tirava un vento così forte che ad un mio compagno volarono via gli occhiali. Nella prova in linea invece la mia gara era durata poco. Erano caduti tre atleti davanti a me ed io ne ero rimasto coinvolto. Se dovessi indossare nuovamente l’azzurro, vorrei rifarmi o almeno essere più fortunato.

Più di mille chilometri (anche in gara) sulla nuova Scott Addict RC

26.04.2025
7 min
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Sette chilogrammi (rilevati senza pedali e nella taglia 54, portaborraccia e mini-tool inclusi) ben distribuiti, un peso leggero che non diventa estremo una volta tradotto in stabilità, guidabilità e affidabilità della bici. 1.057 chilometri totali, 7.300 metri di dislivello positivi spalmati in poco più di tre settimane. Alcune fasi della prova hanno previsto la partecipazione ad una granfondo e un paio di gare veloci con percorso pianeggiante/leggermente vallonato.

Scott Addict RC, una super bici, non solo nei numeri. Dopo la presentazione ufficiale in Spagna (scorso ottobre 2024), ecco la prova completa dell’ultima versione con allestimento RC10.

Sette chilogrammi (rilevati senza pedali e nella taglia 54, portaborraccia e mini-tool inclusi) ben distribuiti, un peso leggero che non diventa estremo una volta tradotto in stabilità, guidabilità e affidabilità della bici. Entriamo nel dettaglio della prova.

Scott Addict RC con allestimento RC10
Scott Addict RC con allestimento RC10

Addict RC 10, il suo allestimento

Telaio e forcella in carbonio Scott HMX, manubrio Syncros IC-SL integrato e full carbon, reggisella in carbonio Syncros (sella Belcarra con rail in acciaio). Rimaniamo nella famiglia Syncros anche per quanto concerne le ruote, serie Capital 1.0s da 40 millimetri gommate Schwalbe One TLE da 30 millimetri (già in configurazione tubeless). Trasmissione Shimano Ultegra 52-36/11-34, senza power meter.

Il prezzo di listino è di 7.299 euro ed a nostro parere è molto buono. Consideriamo che si tratta del frame-kit top di gamma, il medesimo della versione Pro (quella usata da Pidcock, solo per fare un esempio). L’allestimento complessivo è assolutamente race-ready e permette di avere una super bici ad un prezzo che oggi rientra nella fascia media. Non significa avere una bici economica, significa avere un mezzo top di gamma che, se messa a confronto con biciclette di pari categoria disponibili sul mercato, costa meno rispetto alla media.

I numeri del test

1.057 chilometri totali, 7.300 metri di dislivello positivi spalmati in poco più di tre settimane. La Scott Addict RC 10 soggetto del test è stata utilizzata con tre setting differenti di ruote, nell’ottica di avere tre riscontri differenti, in base a diverse tipologie di percorsi e utilizzatori. 62 millimetri, 38 millimetri e ovviamente con le ruote Syncros della dotazione base.

Alcune fasi della prova hanno previsto la partecipazione ad una granfondo e un paio di gare veloci con percorso pianeggiante/leggermente vallonato.

Molto gratificante da guidare ed in curva appaga tantissimo
Molto gratificante da guidare ed in curva appaga tantissimo

Leggera, non estrema e super precisa

Si pone come uno dei kit telaio più leggeri disponibili ad oggi. Talvolta il peso ridotto è sinonimo di nervosismo, soprattutto dell’avantreno, di energie impiegate/sprecate per mantenere il giusto feeling di guida e di una forcella che tende a flettere assorbendo buona parte dei watt nelle fasi di rilancio. La nuova Addict RC non mostra nessuna di queste caratteristiche. E’ comoda il giusto, non è estrema, non lo è quando è necessario fare velocità e sfruttare la precisione dell’avantreno, non è nervosa e non galleggia quando per forza di cose si affrontano tratti sconnessi. Certo, bisogna adeguare la pressione delle gomme, cucirla addosso alle proprie caratteristiche di peso, stile di guida e tecnica delle ruote, ma la trazione del carro posteriore va ben oltre il binomio ruota/gomma.

Il comfort funzionale della Addict è un valore aggiunto che si traduce positivamente sulle lunghe distanze, quando si fanno tanti metri di dislivello positivo e asseconda una geometria tirata, non tiratissima. La “nostra” taglia 54 ha un passo complessivo di 99 centimetri (corto, ma non compresso, con un rake della forcella da 4,4 centimetri), con un reach ed uno stack rispettivamente di 39,5 e 54,3 centimetri. Ovvero, una bici con una lunghezza nella media, per nulla schiacciata verso l’anteriore (numeri contestualizzati alle geometrie attuali). Si può sfruttare facilmente tutto il cockpit, presa alta e presa bassa.

Sulle lunghe distanze trova il massimo grado di espressione
Sulle lunghe distanze trova il massimo grado di espressione

Non è veloce come la Foil RC, ma…

Non può e “non deve” essere veloce come la sorella Scott Foil RC, banale scriverlo, ma sono due bici diverse che, concettualmente si rivolgono a due categorie di agonisti differenti. La nuova Addict RC mostra una sorta di carattere da tuttofare. Non è stancante, è agile, non è una bici troppo impegnativa pur essendo un mezzo racing in tutto e per tutto.

Quando c’è da fare tanta velocità è inferiore alla Foil RC, che resta una delle aero bike più sorprendenti anche in salita, ma per versatilità e completezza d’impiego la Addict è superiore. Quando si ha la gamba per fare watt ed il setting è quello giusto, la Addict sostiene e supporta, quando si sale in sella per il semplice gusto di “farsi un giro”, la Addict RC non butta giù di sella.

Provata anche in gara
Provata anche in gara

Nota di merito all’integrato Syncros IC SL

Non è il medesimo manubrio montato sulla Foil RC. La famiglia è sempre quella del Creston, con quella sorta di disegno sagomato della sezione superiore, a rispetto al fratello l’IC SL è più sfinato e ha subito una cura dimagrante. La sua ergonomia parla chiaro: altezza di 12,5 centimetri e 7,5 di ampiezza della piega, per 6° di flare (svasatura verso l’esterno).

Una compattezza, che unita ad alcune caratteristiche geometriche menzionate in precedenza, permettono di distendersi senza schiacciarsi sull’avantreno, di avere la faccia perfettamente in linea con la forcella ed avere i pesi ben distribuiti. Sono fattori di primaria importanza che aiutano ad avere una buona impostazione e a sfruttare le potenzialità della bici.

RC 10, allestimento pronto gara e prezzo davvero interessante
RC 10, allestimento pronto gara e prezzo davvero interessante

In conclusione

Ci viene da sorridere quando si dice o si scrive “le bici sono tutte uguali”, affermazione distorta che meriterebbe un’argomentazione davvero ampia. Ogni bici ha delle caratteristiche proprie, delle peculiarità che vanno interpretate e sotto molti punti di vista plasmate in base al modo in cui si usa la bicicletta, a seconda del contesto e stile di guida. L’ultima versione della Scott Addict RC ne è l’esempio lampante, perché non essendo per nulla un compromesso, non è estrema nella rigidità e reattività percepite, facendo della sfruttabilità il valore aggiunto che occupa il primo gradino del podio in una ipotetica scala dei valori.

La Foil è più marcata e perentoria, muscolosa ed esigente, la Addict non perde un colpo in efficienza pur lasciando costantemente quel margine di errore che non guasta mai (per gli agonisti e non solo). La RC 10 soggetto del test, a nostro parere, è una soluzione ottimale per tutto quello che offre, una bici da gara, molto gratificante per l’immagine e non costa una follia.

Scott