Dopo il grande recupero dal grande incidente che lo aveva quasi costretto a lasciare il ciclismo, Egan Bernal quest’anno era tornato alla vittoria. Neanche il tempo di godersi il nuovo stato di forma che zac: il destino ci ha rimesso lo zampino. Morale della favola: frattura della clavicola. Di nuovo al lavoro. E ora, cosa si sa del colombiano?
Ne abbiamo parlato con uno dei direttori sportivi della Ineos Grenadiers, Xavier Zandio. Entrambi di madrelingua spagnola, i due hanno un ottimo rapporto e si sentono con costanza. Oltre alle sue parole aggiungiamo quelle freschissime, di Scott Drawe, direttore della perfomance in casa Ineos.
«Bernal e Arensman ci offrono garanzie per una lotta nella classifica generale. Il percorso è adatto ad Egan». E già questo non è poco.
Xavier Zandio, uno dei direttori sportivi della Ineos GrenadiersXavier Zandio, uno dei direttori sportivi della Ineos Grenadiers
Egan vuole la rosa
Chiaro che Bernal attira attenzione anche da solo, ma dopo che qualche giorno fa Thymen Arensman lo ha chiamato in causa dopo la sua vittoria al Tour of the Alps, questa fame di news sul colombiano è cresciuta. Tanto più in vista del Giro d’Italia.
«Egan – ha detto Zandio – sta bene. Si sta allenando a casa sua in Colombia. E’ in quota, tutto procede regolarmente e, da quello che posso dire sentendolo, è motivato. Sta pensando a come vincere il Giro. Lui è sempre contento, ottimista. Sempre pronto a superare gli ostacoli che gli capitano lungo il cammino».
«Voglio allenarmi a casa. Fare un allenamento speciale per il Giro – aveva detto Bernal subito dopo il Catalunya – allenarmi con clima buono, visto il freddo che abbiamo preso in Spagna». Magari Egan ha solo bisogno delle sue certezze. Chi gli è vicino dice che la Volta a Catalunya gli ha lasciato grande serenità. E infatti quando manca ormai giusto una settimana al via della corsa rosa ha detto che si sente pronto per affrontare questa sfida. «Il Giro ha uno spazio speciale nel mio cuore. Sono molto motivato nel tornare».
Bernal in allenamento sulle strade di casa in compagnia di Rivera (immagine Instagram)Bernal in allenamento sulle strade di casa in compagnia di Rivera (immagine Instagram)
Poche gare
Ma una delle domande che più ci interessava porre al diesse spagnolo riguardava il calendario agonistico di Bernal. Un calendario alquanto scarno. Come mai? Solo per la questione della frattura alla clavicola?
«Vero – spiega Zandio – Bernal ha corso poco e in tutto questo la frattura ha inciso. C’erano alcune gare in più nel suo programma, ma siamo stati costretti a cambiare un po’ i piani. Però le gare che ha fatto, le ha fatte bene. Il piano è questo: allenarsi bene, a casa. Ed Egan lo ha fatto in compagnia del suo compagno di allenamento di sempre, Brandon Rivera. La squadra lo sta seguendo con costanza. Il piano iniziale era comunque fare il Catalunya, l’altura e poi andare direttamente al Giro. E abbiamo deciso di rispettarlo nonostante la frattura».
Non è certo la prima volta che Bernal corre poco e si presenta a un grande appuntamento in forma. Cosa che, tra l’altro, fanno in molti al giorno d’oggi. Ma certo, da quel Bernal che vinse il Giro 2021 ne è passato di tempo. Magari un po’ di ritmo gara in più, che ha faticato tanto per ritrovare, gli avrebbe fatto bene. Ma queste sono solo supposizioni.
Quello che invece è certo, che è un dato, è che il colombiano arriverà alla corsa rosa con appena dieci giorni di gara nelle gambe. Nel 2021, quando vinse, lo fece con 18. Quell’anno, l’ultima gara prima del Giro fu la Tirreno-Adriatico, vale a dire quasi due mesi prima del via. Quest’anno, avendo fatto il Catalunya, ci arriva con un mese e mezzo di distanza. Come Primoz Roglic del resto.
«Nonostante non sia stato fortunato con la frattura della clavicola – ha detto Bernal – sono pronto a giocarmi la generale, spalla a spalla con Arensman».
Al Catalunya Bernal è parso pimpante: 7° posto nella generale. Eccolo a ruota di Roglic vincitore della corsa spagnolaAl Catalunya Bernal è parso pimpante: 7° posto nella generale. Eccolo a ruota di Roglic vincitore della corsa spagnola
Dubbi sì, dubbi no
Insomma, come starà realmente e cosa potrà fare Bernal lo scopriremo solo durante la corsa rosa. Dopo il famoso incidente del 2022, in cui davvero rischiò non solo di smettere di correre, ma di restare paralizzato (ci sono nuovi documenti che testimoniano tutto ciò), è chiaro che i punti di domanda su di lui sono maggiori.
Tuttavia, se si parte da quanto visto negli ultimi mesi, davvero non si può che essere ottimisti, come diceva Zandio. Bernal ha concluso il Tour de France 2024. Ha ripreso la stagione vincendo il titolo nazionale sia a crono che in linea. Nonostante la frattura a febbraio dopo appena 26 giorni dall’incidente si è presentato al Catalunya, dove è arrivato settimo. Per di più senza una tappa di salita, a lui congeniale, eliminata per maltempo.
Se quindi si tira una riga e si prendono in considerazione questi mesi finali, allora, come diceva Arensman, davvero può fare classifica. O almeno può partire per farla.
«Questo lo vedremo – conclude Zandio – intanto l’importante è che stia bene. Abbiamo previsto il ritorno in Europa una settimana prima del Giro e sarà pronto. Si è allenato con la massima intensità e con i giusti lavori specifici. Ormai il ciclismo e i metodi sono cambiati».
Da quest’anno Mattia Furlan è il nuovo responsabile tecnico del settore racing della BMX. Uno dei nuovi volti deciso dal “restyling” federale, che ha coinvolto molte cariche a cominciare da quella di cittì della nazionale su strada, ruolo affidato all’esperienza di Marco Villa. Furlan ha preso il posto di Tommaso Lupi all’indomani delle Olimpiadi di Parigi e della grande prestazione di Pietro Bertagnoli, arrivato alle soglie della finalissima cogliendo un clamoroso 9° posto.
Furlan ha raccolto il testimone sapendo che quello non è stato un punto di arrivo, ma la partenza di un nuovo viaggio che ha obiettivi quanto mai ambiziosi e l’ex biker, alla base delle fortune del BMX Creazzo (uno dei club più blasonati del panorama italiano) ne è consapevole.
Mattia Furlan ha assunto quest’anno il ruolo di guida del settore racing della BMX federaleMattia Furlan ha assunto quest’anno il ruolo di guida del settore racing della BMX federale
Si parte sempre dalle società
«La prima cosa che ho notato nel mio nuovo incarico – spiega – è stata l’estrema disponibilità delle società a sposare i miei piani. Sono stato subito molto chiaro, diversificando l’attività in due gruppi strettamente concatenati. Da una parte i giovanissimi, fino alla categoria allievi, dall’altra i ragazzi appartenenti alle categorie “championships” che stanno già affrontando la stagione con risultati peraltro lusinghieri. Le società hanno compreso i fini del mio lavoro e mi sono venute incontro come meglio hanno potuto. In particolare per i giovani».
Nei tuoi programmi eri stato particolarmente incisivo sul discorso relativo alle categorie più piccole e alla loro importanza…
Sono alla base di tutta l’attività, ma le difficoltà per praticare la BMX sono molte, anche più di coloro che sono un po’ più cresciuti perché bisogna condividere lo sport con la scuola e gli impegni familiari. Non potrò mai ringraziare abbastanza i genitori che si sacrificano per permettere ai figli di seguire i nostri calendari. Noi d’inverno avevamo stabilito di fare un paio di sessioni a Verona e, per non intralciare il cammino scolastico, abbiamo programma i weekend per l’attività di lavoro. Ogni sabato e domenica vedevamo ragazzi arrivare dalle zone più disparate del nord. Ora con l’attività partita e la scuola che arriva ai suoi snodi, possiamo prevedere un incontro al mese, ma vedo che i ragazzi fanno comunque allenamento e questo va bene. L’importante è avere un momento di verifica.
Francesca Cingolani ha vinto in Coppa Europa fra le Under 23 ed è chiamata a riportare la bmx italiana fra le eliteFrancesca Cingolani ha vinto in Coppa Europa fra le Under 23 ed è chiamata a riportare la bmx italiana fra le elite
Secondo te la BMX sta diventando anche culturalmente quello che è in altri Paesi, ossia la base per l’attività, il primo contatto con tutto quel che riguarda le due ruote per i bambini?
Ci si sta arrivando. Non avremo probabilmente mai i numeri di praticanti della Francia, ma è indubbio che si sta smuovendo qualcosa. Ad esempio abbiamo stretto un forte rapporto con il cittì della nazionale di Mtb Mirko Celestino che ha portato i suoi ragazzi a San Giovanni Lupatoto per fare esperienza anche sulla BMX. Ma che spiri un’aria nuova lo avevo capito anche prima di assumere il nuovo incarico, quando agivo a Creazzo e vedevo molte scuole ciclistiche sia su strada che di MTB che portavano i loro giovanissimi a fare sessioni di allenamento in BMX. Si comincia così…
Hai l’impressione che la prestazione di Bertagnoli a Parigi sia stata uno spartiacque per l’intera storia del bmx italiano?
Io a Parigi c’ero, a condividere il lavoro, le emozioni, le gioie di Lupi, Pietro e di tutto il gruppo azzurro. E’ stato qualcosa di emozionante e unico, ha dato un risalto alla disciplina che non c’era mai stato prima e ho avuto netta la sensazione che, al di là del risultato, sia stata percepita la sua portata storica, che chiaramente con un pizzico di fortuna e il suo ingresso in finale sarebbe stata ancora maggiore. Si è creato un clima virtuoso e mi fa piacere che protagonista sia stato proprio Bertagnoli, campione non sempre fortunato e che con la sua storia rappresenta un grande esempio.
Bertagnoli a Parigi 2024, dove ha sfiorato un clamoroso ingresso nella finale a 8Giacomo Fantoni a Tokyo 2020. La sua presenza olimpica ha ridato vigore a tutto il movimentoBertagnoli a Parigi 2024, dove ha sfiorato un clamoroso ingresso nella finale a 8Giacomo Fantoni a Tokyo 2020. La sua presenza olimpica ha ridato vigore a tutto il movimento
Da lì si è vista una nazionale diversa e nelle prime prove del 2025 i risultati sono arrivati, soprattutto con elementi sempre diversi…
Questo è l’aspetto che mi piace sottolineare. Io arrivando ho alzato l’asticella, ho posto chiari obiettivi in termini di risultati perché sono nelle nostre corde e stanno finalmente arrivando. Il livello del nostro gruppo è alto, bisogna tradurlo in qualcosa di tangibile. Il terzo posto di Sciortino a Verona (la partenza in apertura, Photobicicailotto), nella seconda tappa di Coppa Europa è il fiore all’occhiello, ma abbiamo portato a casa piazzamenti importanti anche con l’indomabile Fantoni, con il giovane Groppo, con l’altro U23 Pasa. Radaelli merita poi un discorso a parte.
Che cosa puoi dire del campione dell’ex mondo juniores?
Sta crescendo in maniera esponenziale. E’ un under 23, ma per precisa scelta lo stiamo facendo gareggiare fra gli elite per abituarsi al massimo livello e in più di un’occasione è già arrivato vicino all’ingresso in finale.Io voglio che tutti i ragazzi si sentano fortemente responsabilizzati nell’indossare la maglia azzurra, sappiano che cosa significa. Ma attenzione, perché qualcosa si muove anche a livello femminile, con la Cingolani che si conferma un riferimento fra le U23 con una vittoria e un quarto posto a Verona. Lei a Zolder non ha gareggiato per scelta tecnica, la rivedremo nelle prossime tappe.
Martii Sciortino, a destra, capace di salire sul podio nella seconda prova veronese (Photobicicailotto)Martii Sciortino, a destra, capace di salire sul podio nella seconda prova veronese (Photobicicailotto)
Il vostro lavoro è chiaramente orientato verso l’appuntamento di Los Angeles 2028. Pensi che in questo lasso di tempo l’Italia possa diventare una delle nazioni di riferimento?
Se non ci credessi non avrei assunto questo incarico. Dobbiamo pensare che risultati come quelli di questo inizio stagione, ma anche le finali a livello mondiale, devono diventare la norma, la base perché allora anche il grande exploit diverrà possibile. Noi abbiamo un livello molto alto, in nazionale come anche nei principali club. Ora è fondamentale averne sempre più la consapevolezza e presentarsi ai grandi eventi senza paura e con una grande fame di successo.
Al meeting dei tecnici federali di Milano c'era anche Tommaso Lupi, tecnico della Bmx. Per la prima volta ha respirato l'inclusione. Ecco bilanci e progetti
Nel panorama delle continental italiane che ogni giorno cercano di fare i conti con i devo team e con le squadre pro’, il Team MBH Bank-Ballan e la Biesse-Carrera sono due delle realtà più solide. Lo dicono i risultati e il tipo di programmazione con cui cercano di resistere all’ingerenza dei team WorldTour.
Gianluca Valoti e Marco Milesi sono due dei loro tecnici e a loro abbiamo sottoposto le stesse 14 domande per cercare di evidenziare differenze e punti di contatto.
Gianluca Valoti (classe 1973) è stato professionista dal 1996 al 2002. Qui è con Sergio Meris, ora pro’ alla Unibet-TietemaGianluca Valoti (classe 1973) è stato professionista dal 1996 al 2002. Qui è con Sergio Meris, ora pro’ alla Unibet-Tietema
1) Per far bene nella continental comanda il budget o la qualità del lavoro?
VALOTI: «Il budget, poi viene la qualità del lavoro. Adesso sono collegati molto più di prima. Negli ultimi due anni abbiamo investito un po’ di più sul lavoro, quindi con i ritiri in altura, il materiale e tutto il resto e per forza è stato necessario aumentare il budget».
MILESI: «Per stare al passo con le devo, devi investire di più sui ritiri su altura o su qualcosina da migliorare. Pertanto il budget serve soprattutto a questo».
2) Stiamo parlando di una categoria vicina al professionismo: qual è il ruolo del direttore sportivo?
VALOTI: «Nel ciclismo attuale, il direttore sportivo deve comporre il puzzle, cercare di incastrare tutte le pedine, tra corridore, allenatore, impegni e logistica. Ovviamente in corsa, rimane fedele al suo ruolo storico: quello di sempre».
MILESI: «Adesso come adesso, il direttore sportivo è una sintesi di tanti aspetti. Cerco di stargli vicino come si faceva una volta, però giustamente adesso hanno altre esigenze e bisogna dargli attenzione. Le nuove figure che sono entrate in questi ultimi anni richiedono spazio per cui devi essere una figura di raccordo tra tutte e però mantenere l’ultima parola».
3) Una volta si diceva che nei dilettanti è sbagliato imporre un ruolo ai corridori: al leader e al gregario. In continental è ancora così?
VALOTI: «Sì, noi continuiamo a gestirli al vecchio modo. Magari in certe corse dove non si usano le radio e i ragazzi possono ancora usare la loro fantasia, non ci sono ruoli immutabili. Non c’è il gregariato nel dilettantismo, non lo vedo».
MILESI: «Io cerco di lasciare a ciascuno le sue possibilità, però a conti fatti emerge sempre chi ha la condizione migliore. Non si impongono ruoli che poi non cambiano, anche se alla fine tutti notano che a fare risultato sono spesso gli stessi, dai Bessega, a Tommaso Dati, come pure Bicelli che sta andando bene».
Marco Milesi (classe 1970, qui dopo la vittoria di ieri con Bessega al GP General Store) è stato pro’ dal 1994 al 2006 (photors.it)Marco Milesi (classe 1970, qui dopo la vittoria di ieri con Bessega al GP General Store) è stato pro’ dal 1994 al 2006 (photors.it)
4) I corridori arrivano dagli juniores molto preparati: che cosa devono ancora imparare?
VALOTI: «Hanno sempre più bisogno di una persona di riferimento per quando hanno delle fasi negative e quando la condizione non gli permette di fare risultato. Sono molto deboli, quindi in certi casi il direttore sportivo deve fare anche da psicologo. La prima cosa che dobbiamo insegnargli è reagire quando ci sono dei momenti negativi».
MILESI: «Bisogna fargli capire che devono crescere, diventare un po’ più uomini e più consapevoli di sé. Tanti arrivano e pensano di essere già pronti, invece prima devono crescere di testa. Bisogna lavorare su questo, dargli la consapevolezza che ormai non sono più bambini. Chi va avanti con la pretesa di essere già arrivato, sparisce anche più velocemente».
5) Quanto è importante parlare chiaramente e non creare false illusioni?
VALOTI: «Se le cose non vanno, lo capiscono da sé. Essendo una continental, quando andiamo a fare le gare dei professionisti, vedono chiaramente che non riescono ad arrivare con i primi. Noi non facciamo gare WorldTour, per cui si rendono conto che ai piani alti c’è un livello ancora più alto. Cerchiamo di farli ragionare anche su questo. Per cui capita che qualcuno smetta o vada in squadre che fanno attività regionale per tirare avanti ancora un po’».
MILESI: «Se nascondi l’evidenza o cerchi di dipingerla in modo diverso, non gli fai un favore. Il direttore sportivo deve essere giusto e soprattutto onesto anche nel dire le cose giuste al momento opportuno».
6) La spinta verso il passaggio al professionismo genera ansia?
VALOTI: «Sì, perché arrivano e vogliono tutto subito. Magari già da juniores hanno in mano dei contratti da professionisti e allora pensano di poter bruciare le tappe».
MILESI: «Su questo aspetto preferisco prospettargli un cammino di costruzione, soprattutto i più giovani non li vedo ancora pronti per il professionismo. Secondo me, non sono maturi. Puoi trovare uno come Finn e allora benvenga, però sono casi rarissimi. Per tutti gli altri c’è una costruzione da fare e per me tre anni sono necessari. Mi rendo conto di quanto sia stressante per loro la voglia di passare professionisti».
Finn (qui primo al Belvedere) potrebbe essere l’eccezione alla gestione dei primi anni: sia Valoti sia Milesi credono in una crescita graduale (photors.it)Finn (qui primo al Belvedere) potrebbe essere l’eccezione: sia Valoti sia Milesi credono in una crescita graduale (photors.it)
7) Che rapporti avete con i procuratori?
VALOTI: «Con qualcuno lavori bene, però da quando ci sono i devo team abbiamo meno rapporti. I procuratori cercano di mandare i ragazzi più all’estero che nelle continental italiane. Siamo stati fortunati che nel 2021 i devo team non c’erano ancora, altrimenti Ayuso e forse neppure Tiberi non sarebbero venutl da noi e sarebbero finiti in una di quelle squadre. Noi italiani abbiamo subito parecchio questa situazione, eppure siamo capaci anche noi di valorizzare i migliori».
MILESI: «Bisogna conviverci, perché tanti ragazzi che prendiamo hanno già il procuratore. Prima venivano a proporti gli under 23, adesso ti offrono gli juniores. Sinceramente cerco di avere un buon rapporto con tutti cercando di capire in che modo collaborare. A volte capita che abbiano un ragazzo che non vogliono mandare nei devo team, perché non è ancora pronto. E allora lo portano da noi perché lo facciamo maturare ancora un po’. Magari il ragazzo che deve finire la scuola o che non è pronto per uscire dal suo ambiente. Io ho corso tanto in Belgio, ma ero adulto e so cosa vuol dire essere lo straniero della squadra. Non tutti i ragazzi giovani se ne rendono conto e non tutti si adattano».
8) Vi capita di osservare e ragionare sulle strutture dei devo team?
VALOTI: «Da quando sono direttore sportivo, dal 2003, ho sempre osservato le squadre più grosse. Allora magari c’erano dei team di dilettanti più grandi di noi e i ho sempre ammirati e osservati per imparare. Osserviamo anche il lavoro che sta facendo la VF Group-Bardiani. In più abbiamo alle spalle gli anni in cui Stanga e Bevilacqua avevano la squadra dei pro’ e anche allora cercavo di imparare tutti i dettagli dalla categoria superiore».
MILESI: «Sinceramente non li guardo troppo. Abbiamo da anni la nostra idea e su quella andiamo avanti. Si può sempre migliorare, questo è chiaro, ma non so quanto guardare loro e le loro realtà sia di ispirazione per farlo».
9) Con che criterio si portano i ragazzi a fare le corse dei professionisti?
VALOTI: «Prima di tutto la condizione, perché cerchi sempre di fare bella figura. Diciamo che in generale ci sono tre fattori. La condizione, appunto. La possibilità di cercare in queste corse un vantaggio per quando torneremo fra gli U23. E terzo magari la possibilità per un giovane di fare esperienza. Quando gli dico che faranno le gare coi professionisti sono contenti e più motivati».
MILESI: «Di solito mandiamo quelli che sono più pronti, i più esperti. Il giovane lo inserisco verso fine stagione, per dargli morale e fargli capire il mondo dei grandi. Poi ci sono le eccezioni. Ci hanno chiamato di recente a Reggio Calabria, ma c’era la concomitanza con San Vendemiano e le classiche di qua, così ho iscritto chi c’era. Però di solito mando i più maturi e ai più giovani anni lascio fare esperienza».
Nel 2021, Ayuso corse per un anno nell’allora Colpack, vincendo anche il Giro U23: oggi andrebbe al devo team della UAE EmiratesNel 2021, Ayuso corse per un anno nell’allora Colpack, vincendo anche il Giro U23: oggi andrebbe al devo team della UAE Emirates
10) Il primo anno di talento viene coinvolto in questo discorso?
VALOTI: «Quando ci sono le tre condizioni precedenti, non si fanno eccezioni».
MILESI: «I primi anni vanno rispettati. Ne ho avuti tanti molto forti, penso a Rota e Svrcek, ma non li ho mai buttati subito nella mischia. Il giovane deve fare il suo percorso e poi, da metà anno in poi, si può pensare di fargli fare qualche esperienza superiore».
11) Invece come si impiega il quarto anno U23 che ha ancora necessità di farsi vedere?
VALOTI: «Si cerca il risultato. Si spera sempre che il risultato gli permetta di ottenere un contratto nel professionismo, per cui si cerca anche di portarlo a fare esperienza. A volte anche un risultato o un piazzamento in una corsa professionistica gli dà qualcosa in più. Guardate Sergio Meris. Ha vinto nei dilettanti, poi ha fatto dei piazzamenti coi professionisti e la Unibet-Tietema l’ha voluto».
MILESI: «Come ha detto anche Agostinacchio nell’intervista che gli avete fatto, nel quarto non devono guardare in faccia nessuno. E’ dentro o fuori, per questo di solito i ragazzi di quarto anno sono i nostri leader. Sia che li prendiamo di proposito sia come Arrighetti che è cresciuto con noi. Quando vado in una corsa con due o tre ragazzi di quarto anno, sono loro che fanno la corsa. Sono più consapevoli degli altri di quello che devono fare. Hanno un programma pensato proprio per questo».
12) Essere stato corridore è ancora un vantaggio oppure è passato troppo tempo da quando hai smesso?
VALOTI: «E’ passato un po’ troppo tempo! Me ne accorgo osservando Martinelli, che è più aggiornato tecnologicamente. Però magari gli manca l’esperienza per cogliere piccole cose di organizzazione e di tattica che invece a me saltano all’occhio».
MILESI: «Mi aiuta su certi aspetti della gara. Capire come si muovono le altre squadre e riuscire a gestire la mia. Quando invece si tratta di parlare con i ragazzi, che ormai tengono al centro di tutto i test e i wattaggi, allora smetto di parlare come ex corridore e cerco di correggere il tiro. In questo caso l’esperienza da professionista conta al 50 per cento e il resto devi metterlo con l’aggiornamento».
Tenere le posizioni in salita in mezzo ai pro’ non è sempre agevole per le continental. Qui Dati al Giro d’AbruzzoTenere le posizioni in salita in mezzo ai pro’ non è sempre agevole per le continental. Qui Dati al Giro d’Abruzzo
13) Fino a un paio di anni fa era difficile per una continental essere accettata nella gare pro’: questo sta cambiando?
VALOTI: «La situazione è un po’ cambiata. Grazie alle continental gli organizzatori hanno un bel numero di partenti, ma dipende sempre dalla corsa, dall’organizzatore e ovviamente dala squadra. Resta superiore la divisione rispetto agli altri team. Ci rispettano e noi diciamo ai nostri ragazzi di rispettare i corridori professionisti. Però quando cerchi di andare avanti per puntare la salita, c’è un po’ di… razzismo, chiamiamolo così. Ti vedono come una continental e vorrebbero che restassimo al nostro posto. Succede fra professional e WorldTour, a maggior ragione con noi».
MILESI: «Per tenere la posizione in mezzo ai professionisti, c’è da combattere. E’ dura scontrarsi, perché sono più organizzati di noi e spesso anche più forti. E’ dura tenere le posizioni del gruppo e certamente un conto è prendere la salita nei primi 10, altro è prenderla in cinquantesima posizione. Non è bullismo, è esperienza. I professionisti sanno come muoversi, noi dobbiamo ancora imparare. Ho fatto anch’io quel lavoro, tenevo i miei capitali davanti e non facevamo entrare nessuno. Sull’altro fronte, vedo che con gli organizzatori va molto meglio. Ho avuto tanti inviti, anche nelle gare di RCS, ma ovviamente non è così per tutti. Neppure Valoti ha problemi con la sua squadra. Vedono come ti muovi, l’immagine che hai, la struttura. E’ tutto l’insieme che fa la differenza».
14) Valoti-Milesi: che cosa ti pare del modo di lavorare del tuo collega?
VALOTI: «Mi piace come lavorano, perché sono partiti da zero e hanno creato una bella struttura. Lavorano bene, è una delle squadre meglio organizzata».
MILESI: «Hanno sempre lavorato bene, con una storia importante alle spalle. Hanno un nome di prestigio, sono conosciuti e sin da quando hanno fatto la continental, sono stati il riferimento. Siamo amici/nemici, si può dire così?».
A Bassano del Grappa, più precisamente a casa della famiglia di Marco e Davide Frigo si può festeggiare visto che i due fratelli hanno trovato la prima vittoria dopo tanto tempo. Il più grande dei due ha fatto sua la terza tappa del Tour of the Alps, mentre Davide ha messo le mani sulla Coppa Montes (in apertura photors.it).
«Ero in macchina di ritorno dal Tour of the Alps – racconta Marco che intanto sta chiudendo le valige in vista del suo terzo Giro d’Italia – insieme a un massaggiatore del team e stavo guardando la diretta della gara su YouTube. Quando ho visto la sparata che ha fatto negli ultimi tre chilometri ho pensato che lo avrebbero rivisto solamente dopo l’arrivo. E’ partito con la gamba piena, una bella azione potente».
Davide Frigo sul traguardo della Coppa Montes (photors.it)Davide Frigo sul traguardo della Coppa Montes (photors.it)
Emozione doppia
Marco Frigo ci aveva detto che ai festeggiamenti preferisce il lavoro a testa bassa. La vittoria al Tour of the Alps testimonia che il lavoro fatto fino ad ora è corretto e sprona a seguire la strada intrapresa. Lo stesso pensa del fratello, in famiglia non ci si lascia andare a brindisi e celebrazioni eccessive.
«Devo dire – prosegue Marco Frigo – che mi sono abbastanza emozionato nel vederlo vincere, ero seduto in macchina con la connessione che andava e veniva, quindi non si capiva molto. Da quel che ho visto ha corso bene, sempre davanti e nel vivo dell’azione. Nel finale erano ancora in tanti, mio fratello in volata è come me: fermo. Quindi sapeva di doversi inventare qualcosa ed è stato bravo. Poi a casa appena ci siamo visti c’è stato uno scambio di complimenti e poco altro».
Pochi giorni prima Marco ha trovato la sua prima vittoria tra i professionistiPochi giorni prima Marco ha trovato la sua prima vittoria tra i professionisti
Nemmeno Davide è uno che si lascia andare a esultanze particolari?
No no. Se ci fate caso nella foto sull’arrivo abbiamo la stessa posa.
Hai detto di te stesso di non essere mai stato un vincente, Davide è diverso?
Sta iniziando ad andare forte ora, da quest’anno. Si è sempre ben comportato in gara ma a livello fisico sta ancora maturando e questa cosa nelle categorie giovanili fa la differenza. C’è ancora tanto da crescere e siamo solo ai primi passi.
Quanto vi assomigliate?
Fisicamente tanto. Lui forse è leggermente più basso ma sta ancora crescendo, magari mi raggiunge. Son sincero, più di qualche persona mi ha detto che che rivede in Davide quello che ero io da junior: come posizioni in bici e caratteristiche fisiche. Mi fa piacere perché credo siano anche le qualità richieste dal ciclismo moderno, in cui serve tanta potenza sia in salita che in pianura. Il fatto di essere simili penso sia una questione genetica.
I due fratelli sono molto simili anche fisicamente: Davide è alto 183 centimetri e pesa 68 chilogrammiMarco Frigo, invece, è alto 188 centimetri e pesa 70 chilogrammiI due fratelli sono molto simili anche fisicamente: Davide è alto 183 centimetri e pesa 68 chilogrammiMarco Frigo, invece, è alto 188 centimetri e pesa 70 chilogrammi
Ha seguito le tue orme anche per iniziare ad andare in bici?
Sicuramente un’influenza, involontaria c’è stata. Io ho mosso le prime pedalate a nove anni, lui ne aveva solamente due e già si trovava a seguirmi alle gare tutte le domeniche. Ovviamente non ho mai spinto perché anche lui praticasse questo sport. Diciamo che come in tutte le famiglie è facile che il fratello piccolo provi lo sport di quello grande.
E gli è piaciuto, visto che ora è al secondo anno junior.
Ovviamente un aspetto che conta molto è quello della passione, soprattutto a diciotto anni. In Davide questo aspetto è cresciuto tanto nell’ultimo periodo. Sapete quando sei adolescente ci sono tante cose che possono distrarti o farti abbandonare uno sport faticoso e che porta a fare dei sacrifici. Solo la passione ti fa stare in bici e credo lui ce l’abbia dentro. Lo vedo che legge, va sui siti specializzati, insomma è interessato.
Pedalate tanto insieme?
Ora che è junior secondo anno qualche volta sì. Anche perché sono io che mi occupo della sua preparazione. Ne abbiamo parlato in famiglia e abbiamo voluto fare così, io sto studiando Scienze Motorie all’università. Per me è un modo per mettere in pratica quanto leggo sui libri e in famiglia sono sereni. Poi l’anno prossimo passerà under 23 e magari le cose cambieranno. Ma per ora lo sport deve essere un divertimento.
Alla fine lo sto trattando come uno junior di cinque o sei anni fa. Come quando lo ero io. Vero che serve impegno ma siamo ancora nel ciclismo giovanile, non ci devono essere esasperazioni. Non è che lo metto a fare gli allenamenti da professionista. Anche nell’alimentazione è molto libero, non ha la bilancia con la quale pesare tutto. Lo tratto com’è giusto che sia, la voglia di diventare professionista deve partire tutto da lui, io non conto niente. Posso dargli il giusto supporto ma decide lui che cammino fare.
Dopo la vittoria cosa gli hai detto?
Che la cosa importante è il processo, deve sentirsi bene in bici ed essere felice perché è andato forte. Gli ho detto che ciò che conta è l’atteggiamento. Se in quell’attacco lo avessero ripreso sulla linea del traguardo sarebbe dovuto essere contento lo stesso. E’ la prestazione che conta, l’idea. Il risultato è una conseguenza di tante variabili e non sempre le possiamo gestire.
Non vediamo l’ora di conoscerlo, ce lo devi presentare…
Lo scorso anno finì con Demi Vollering prima, davanti a Rjejanne Markus ed Elisa Longo Borghini. L’olandese del Team SD Worx dominò la Vuelta Espana con relativo agio, mettendo in fila le vittorie di una primavera strepitosa. Fra il 10 maggio (data di Fine Vuelta) e il 15 giugno, vinse in serie Itzulia Women, la Vuelta a Burgos e il Tour de Suisse. Troppo fieno in cascina, pensò probabilmente il fato, che di lì in avanti la relegò al secondo posto del Tour de France e del Romandia e al quinto del mondiale.
Vollering aveva già annunciato che avrebbe cambiato squadra e il 28 ottobre, un mese dopo i mondiali di Zurigo, arrivò l’ufficialità della firma alla FDJ-Suez con Specialized al suo fianco.
La Vuelta Femenina 2025 ha 7 tappe, da Barcellona a Cotobello, nel Nord della SpagnaLa Vuelta Femenina 2025 ha 7 tappe, da Barcellona a Cotobello, nel Nord della Spagna
Super tris FDJ-Suez
A distanza di un anno, Vollering ci riprova. E anche se la squadra francese di Delcourt ha dichiarato di avere occhi (quasi) solo per il Tour de France, schiererà al via il meglio del meglio. Vollering, appunto, Labous e Muzic: le tre punte in grande spolvero. Va bene il Tour, avranno pensato, ma intanto portiamoci avanti.
«Lo scorso anno, tutti rimasero stupiti – ha raccontato Muzic – dal fatto che fossi riuscita a battere Demi sulla salita di Laguna Negra (sesta tappa, ndr). E’ stata un’esperienza illuminante, perché ha dimostrato quanto lontano potrei arrivare. C’era un punto interrogativo sulla mia partecipazione quest’anno, ma ho chiesto di essere presente perché è ci tengo molto. Condividerla con Demi e Juliette Labous è molto emozionante per me».
Vuelta 2024, Muzic stacca Vollering nella sesta tappa a Laguna NegraVuelta 2024, Muzic stacca Vollering nella sesta tappa a Laguna Negra
Sette tappe nel Nord della Spagna
La Vuelta Espana Femenina non c’era, a differenza del Giro e del Tour che possono aver avuto delle interruzioni, ma hanno alle spalle una storia decennale. Quando nacque nel 2016, la Vuelta era prova di un giorno: la Madrid Challenge by La Vuelta. Salì a 2 giorni di gara nei due anni successivi, divennero 3 nel 2020, quando divenne Challenge by La Vuelta, poi 4 nel 2021. Nel 2022 le tappe passarono a 5 e dal 2023 si è arrivati a quota 7: un bel passo avanti e una conquista in più per il ciclismo delle ragazze.
Tuttavia 7 tappe sono poche per esplorare un Paese grande come la Spagna, così la Vuelta Femenina 2025 è una corsa che non scende verso Sud, ma si mantiene a una longitudine più o meno costante per le 7 tappe che la compongono. La sola cronometro è quella a squadre di apertura e poi, come sempre, saranno le salite a decidere.
Data
tappa
Partenza-Arrivo
Km
4 maggio
1ª tappa
Barcellona-Barcellona (cronosquadre)
8,1
5 maggio
2ª tappa
Molins de Rei-Sant Boi de Llobregat
99
6 maggio
3ª tappa
Barbastro-Huesca
132,4
7 maggio
4ª tappa
Pedrola-Borja
111,6
8 maggio
5ª tappa
Golmayo-Lagunas de Neila
120,4
9 maggio
6ª tappa
Becerril de Campos-Baltanás
126,7
10 maggio
7ª tappa
La Robla-Cotobello. Asturias
152,6
Totale km
750,8
1ª tappa (4/5): Barcellona-Barcellona (cronosquadre), km 8,12ª tappa (5/5): Molins de Rei-Sant Boi de Llobregat, km 993ª tappa (6/5): Barbastro-Huesca, km 132,44ª tappa (7/5): Pedrola-Borja, km 111,65ª tappa (8/5): Golmayo-Lagunas de Neila, km 120,46ª tappa (9/5): Becerril de Campos-Baltanás, km 126,77ª tappa (10/5): La Robla-Cotobello. Asturias, km 152,61ª tappa (4/5): Barcellona-Barcellona (cronosquadre), km 8,12ª tappa (5/5): Molins de Rei-Sant Boi de Llobregat, km 993ª tappa (6/5): Barbastro-Huesca, km 132,44ª tappa (7/5): Pedrola-Borja, km 111,65ª tappa (8/5): Golmayo-Lagunas de Neila, km 120,46ª tappa (9/5): Becerril de Campos-Baltanás, km 126,77ª tappa (10/5): La Robla-Cotobello. Asturias, km 152,6
Cronosquadre a Barcellona
La Vuelta Femenina 2025 partirà domenica da Barcellona con una cronometro a squadre di 8 chilometri. Fu così anche lo scorso anno e la vittoria della Lidl-Trek consegnò la maglia di leader a Gaia Realini. La capitale della Catalogna aveva già ospitato la Vuelta nel 2023 e accoglierà il Tour del 2026, ugualmente con delle prove a squadre. Da qualche anno infatti l’amministrazione della regione ha visto nella bicicletta un mezzo chiave per il turismo e la sostenibilità.
Anche questa volta, il percorso porterà le squadre e le inquadrature su alcuni dei monumenti più rappresentativi. La crono partirà appena fuori Casa Milà, nota come “La Pedrera” (edificio progettato da Antoni Gaudí) e farà il giro di boa di fronte ai giardini del Palacio de Pedralbes. Le atlete probabilmente non avranno tempo per guardarsi intorno. Il percorso è infatti impegnativo e richiederà la massima concentrazione.
Dopo la cronosquadre d’avvio a Valencia, la prima leader della Vuelta 2024 fu Gaia RealiniDopo la cronosquadre d’avvio a Valencia, la prima leader della Vuelta 2024 fu Gaia Realini
Tra vento e strappi in Aragona
La seconda tappa porta da Molins de Rei a Sant Boi de Llobregat. Salita dura in partenza, l’Alto de la Creu de L’Aragall, e occasione d’oro per andare in fuga.
Il vento sarà un fattore determinante nella terza tappa da Barbastro a Huesca, promettendo ventagli o velocità folli, a seconda della sua direzione.
Si entrerà poi in Aragona con la tappa da Pedrola a Borja, con le salite di Moncayo ed El Buste, trampolino di lancio prima della discesa sul traguardo.
Lo scorso anno finì con Vollering davanti a Markus e Longo BorghiniLo scorso anno finì con Vollering davanti a Markus e Longo Borghini
Gran finale a Cotobello
La quinta tappa apre le porte agli scalatori, con l’intermezzo della sesta che si conclude a Baltanás, con una ghiotta occasione per i velocisti.
La quinta, si diceva, va da Golmayo a Lagunas de Neila, salita totem della Vuelta a Burgos e della Vuelta dei professionisti. La settima tappa si spinge invece nelle Asturie con la partenza a La Robla e l’arrivo a Cotobello: 152 chilometri con tre salite della seconda metà di tappa. L’Alto de la Colladona, l’Alto de la Colladiella e il durissimo Cotobello, per un totale di 2.500 metri di dislivello, che sono un record per le tappe della Vuelta Espana Femenina.
Non c’è niente di scontato. La riunione dei tecnici domattina renderà definitivo l’elenco partenti che vede al via anche la vincitrice del Tour 2024 Niewiadoma, le italiane Ciabocco, Magnaldi, Borghesi, Trinca Colonel, Marturano e Paternoster, come pure Marianne Vos e la vincitrice della Roubaix Ferrand-Prevot.
Come accadde con gli uomini fino al 1994 (nel 1995 la corsa spagnola passò a settembre), la Vuelta in primavera fatica per avere al via tutte le migliori, soprattutto da quando è tornato il Tour de France Femmes spostando tutte le attenzioni più avanti nell’estate, ma resta l’occasione per completare un grande blocco di corse WorldTour in Spagna. E per riempire la prima casella, lasciando agli altri l’onere della mossa successiva.
Elisa Longo Borghini e Gaia Realini hanno dominato l'arrivo in salita all'UAE Tour. Con loro e con Paolo Slongo abbiamo ricostruito la tattica vincente.
TESSENDERLO (Belgio) – Già la sola accoglienza, ordinata, con gli spazi appositi per le auto elettriche e le siepi curate, racconta quanto in Bioracer si dia importanza ai particolari… e la porta deve ancora aprirsi. Poi il livello si alzerà ulteriormente. E non di poco.
Ad accoglierci c’è Jelmer Jacobs, Performance Manager del brand belga. Una gigantografia di Remco Evenepoel che festeggia la vittoria olimpica sotto la Tour Eiffel ci introduce nel mondo Bioracer. «Guardate – dice con orgoglio Jacobs – in questa foto si vede bene il nostro logo (sul pantaloncino di Remco, ndr) e lui è nella stessa posizione». Una posa che richiama l’uomo vitruviano di Leonardo. «Uno spot perfetto per noi», conclude.
L’ingresso, minimal e moderno, nel centro del brand belgaAppena entrati c’è questa foto di Evenepoel ai Giochi di Parigi. Jacobs ci mostra il logo di Bioracer (sulla coscia destra) e la posizione di Remco simile al logo stessoL’ingresso, minimal e moderno, nel centro del brand belgaAppena entrati c’è questa foto di Evenepoel ai Giochi di Parigi. Jacobs ci mostra il logo di Bioracer (sulla coscia destra) e la posizione di Remco simile al logo stesso
Si comincia
Inizia così un viaggio nell’azienda che veste molti dei migliori atleti al mondo, a partire da quelli della nazionale belga (e non solo). In queste stanze sono passati campioni come Evenepoel, ma anche Kopecky, Van Aert, Bigham… e altri che forse neanche si potrebbero nominare. «Remco – dice Jacobs – non è pretenzioso per nulla. E’ un ragazzo davvero tranquillo ed educato. Una volta capito che funziona, si fida»
Ogni angolo di Bioracer è un settore specifico. Il primo che Jelmer ci fa visitare è per certi aspetti il più importante: il cuore di una delle caratteristiche fondanti del marchio belga, l’aerodinamica.
Siamo infatti nella stanza in cui, partendo dalla posizione in sella, si ottengono i feedback necessari per creare il completo perfetto, su misura, per ogni ciclista. Due grandi telecamere laterali, una frontale, una bici centrale e un software che elabora tutto. Ci sono poi 22 marker, ovvero sensori: 10 sul corpo dell’atleta e due sulla bici.
«Questo software – spiega Jacobs – serve per capire come pedala l’atleta. La sua efficienza, quanto si muove e quanto si muove la bici. Come cambia la superficie frontale in base alle posizioni. Da qui otteniamo dati fondamentali per migliorare la stabilità e la postura. Informazioni preziose che possiamo correggere con i nostri plantari e che ci servono per realizzare completi specifici», che siano per bici da crono, strada o pista.
Ed ecco la stanza più importante (Jacobs al computer). La visita inizia da qui, perché è da qui che trae genesi il fitting di Bioracer. Quelle “ali” sul muro sono particolari telecamere…Tramite dei maker e un software specifico sul monitore l’operatore (e l’atleta stesso) possono vedere i dati. A destra numeri relativi all’impatto aerodinamico frontaleQui, Anna Van der Breggen con i marker, i sensori che appunto disegnano quelle linee sul monitor, utili al biomeccanico e a chi dopo dovrà fare vestiario e suoleMentre pedala i marker riproducono il movimento degli arti dell’atleta e anche le micro-oscillazioni della biciEd ecco la stanza più importante (Jacobs al computer). La visita inizia da qui, perché è da qui che trae genesi il fitting di Bioracer. Quelle “ali” sul muro sono particolari telecamere…Tramite dei maker e un software specifico sul monitore l’operatore (e l’atleta stesso) possono vedere i dati. A destra numeri relativi all’impatto aerodinamico frontaleQui, Anna Van der Breggen con i marker, i sensori che appunto disegnano quelle linee sul monitor, utili al biomeccanico e a chi dopo dovrà fare vestiario e suoleMentre pedala i marker riproducono il movimento degli arti dell’atleta e anche le micro-oscillazioni della bici
L’aerodinamica è centrale
Il tema dell’aerodinamica è centrale in Bioracer. Ne è la colonna portante. Proprio qui è nata una parte del Record dell’Ora di Filippo Ganna. «Pippo – riprende il tecnico fiammingo – non è mai venuto, ma Bigham ha svolto qui moltissime ore di lavoro. Un lavoro che poi è stato trasmesso a Ganna, il quale lo ha ottimizzato al Politecnico di Milano».
Per questo dicevamo che la stanza iniziale era importantissima. E’ chiaro poi che un body, una maglia, un calzino aero non sono frutto di un settore solo, ma dell’insieme: materiali, posizione, taglio, calzata… Ma la creazione del capo di abbigliamento con la “personalizzazione attiva” è quel passo in più di Bioracer.
I completi, siano da strada, crono o pista, sono progettati e costruiti sulle forme dell’atleta, in particolare su quelle che assume nello sforzo massimo. Le pieghe che un completo fa su un atleta non sono mai le stesse che fa su un altro. C’è dietro un lavoro minuzioso. E le foto della gallery che segue possono aiutare molto a capire…
Ecco come viene consegnato un body Bioracer… Altro che in posizione eretta!Ogni parte del vestiario è suddiviso in aree di un centimentro quadrato. Ognuna ha una tensione specifica ed è catalogata per eventuali modificheIl concetto di lavorare sulla posizione dello sport si sfrutta anche in altri ambiti, come il pattinaggio di velocitàEcco come viene consegnato un body Bioracer… Altro che in posizione eretta!Ogni parte del vestiario è suddiviso in aree di un centimentro quadrato. Ognuna ha una tensione specifica ed è catalogata per eventuali modificheIl concetto di lavorare sulla posizione dello sport si sfrutta anche in altri ambiti, come il pattinaggio di velocità
Stabilità = efficienza
Un altro principio base di Bioracer è la stabilità. E’ un passaggio tutt’altro che secondario, specie quando il corridore è a tutta. La stabilità influisce sull’efficienza e persino sull’aerodinamica. Come dicevamo nessun settore è indipendente dall’altro.
Da qui nascono le loro solette-plantari speciali, realizzate con materiali specifici che rendono la suola su misura pressoché indeformabile. Aiutano i corridori a stare più fermi, a spingere di più, distribuendo meglio la pressione e migliorando così la prestazione.
Per realizzare quelle particolari suole si parte da questo macchinario. L’atleta si schiaccia verso il basso facendo leva sul manubrioLa sola di Bioracer ricalca la forma esatta del piede…E’ rigidissima e aumenta a dismisura la stabilità dell’atleta, mentre pedala specie quando è a tuttaPer realizzare quelle particolari suole si parte da questo macchinario. L’atleta si schiaccia verso il basso facendo leva sul manubrioLa sola di Bioracer ricalca la forma esatta del piede…E’ rigidissima e aumenta a dismisura la stabilità dell’atleta, mentre pedala specie quando è a tutta
Materiali
La ricerca e lo sviluppo dei materiali è una costante assoluta. Ogni ambiente, ogni funzione ha un proprio ufficio, una “stanza” dedicata. La riduzione delle pieghe nei completi è uno degli obiettivi primari, spesso minimizzate fino a sparire. Il tessuto, passateci il termine, è compressivo su tutto il corpo, ma in modo personalizzato da atleta ad atleta. Le cuciture sono ridotte al minimo, le zip sono a scomparsa.
Non è un caso che qui vengano anche i pattinatori di velocità su ghiaccio. «Noi spesso – aggiunge Jacobs – sfruttiamo anche la galleria del vento di Ridley, che non è lontana da qui».
Oltre alla parte tecnica c’è poi quella “fashion”. E qui Bioracer sfoggia tutta la sua vasta esperienza nel campo della personalizzazioneAnche sui colori la ricerca non si arresta maiUno dei macchinari per il controllo qualitàOltre alla parte tecnica c’è poi quella “fashion”. E qui Bioracer sfoggia tutta la sua vasta esperienza nel campo della personalizzazioneAnche sui colori la ricerca non si arresta maiUno dei macchinari per il controllo qualità
Colori e personalizzazione
Come in altre aziende del settore, anche in Bioracer si insiste molto sulla personalizzazione grafica, ma anche la resa dei colori è oggetto di test approfonditi. Perché un colore visto su una cartella è una cosa, vederlo sulla Lycra è tutt’altro. Anche il giorno della nostra visita si stavano effettuando test su una tonalità di nero che, se abbiamo ben capito, era destinata a una mantellina.
A proposito di test, non manca quello sulla qualità. Ci sono macchinari specifici che distendono il materiale e ne misurano la reazione, la dilatazione e la tenuta. Ma non solo, ce ne sono anche altri.
L’idea è che davvero ogni cosa sia studiata al massimo e soprattutto sotto diversi punti di vista. Insomma è proprio il classico esempio in cui si può dire che nulla è lasciato al caso. Ci si pongono continuamente domande. E così si va avanti nello sviluppo… seguendo gli atleti di pari passo, ovviamente.
Dieci vittorie in 36 gare: il 2021 di Segaert è da incorniciare. Campione d'Europa a crono e bronzo mondiale. Secondo a Roubaix, 1° alla Chrono des Nations
Su queste pagine, Giacomo Sgherri non è un nome completamente nuovo. Lo avevamo sentito all’atto del salto fra gli juniores, venendo da un biennio da allievo ricco di successi e di promesse, chiamandolo al mattino mentre era a scuola, grazie a uno speciale permesso. Da allora è passato oltre un anno e il corridore marchigiano è già un’altra persona oltre che un altro atleta.
Parlandoci, si ha netta la sensazione di un ragazzo che pur non avendo ancora compiuto la maggiore età è consapevole del mondo in cui vive e dove si sta mettendo sempre più in luce, ma soprattutto del fatto che è solo in una fase del cammino che deve portarlo, nelle sue speranze, alla trasformazione della sua passione in lavoro. E in base a quel che sta facendo come risultati, può riuscirci anche molto presto.
La presentazione dell’anno scorso. Il marchigiano ha subito ottenuto la maglia di campione regionaleLa presentazione dell’anno scorso. Il marchigiano ha subito ottenuto la maglia di campione regionale
Alla Pasqualando una vittoria inattesa
Quest’anno ha corso 5 classiche italiane, con la perla del successo alla Pasqualando (in apertura, foto Fruzzetti) ma in tutte le prove, anche nel Liberazione dov’è finito vicino alla Top 10, ha mostrato un piglio diverso, da vero secondo anno che ha saputo imparare molto.
«Devo dire che mi sento diverso, è cambiato un po’ l’approccio alle gare. All’inizio ero ancora un po’ titubante, su come interpretarle, su come relazionarmi col gruppo. Quest’anno poi l’avvicinamento all’inizio stagione non era stato semplice, ma quando sono tornato in gara ho visto subito che un anno di esperienza si fa sentire. Alla Pasqualando ero partito per fare bene, per centrare l’obiettivo ed esserci riuscito rappresenta molto».
Il podio raggiunto da Sgherri alla prima gara, il memorial Vangi vinto da Magagnotti (foto Facebook)Il podio raggiunto da Sgherri alla prima gara, il memorial Vangi vinto da Magagnotti (foto Facebook)
Che cosa era successo quest’inverno?
Sono caduto in allenamento incrinandomi la rotula del ginocchio destro. Un infortunio non da poco, sono stato praticamente fermo due mesi, facendo soprattutto palestra, poi ho ripreso piano piano, velocizzando progressivamente i miei lavori, allungando le distanze e accorciando gli intervalli. Sinceramente non credevo di arrivare ad aprile ad avere già una simile condizione, chissà quale sarebbe stata senza lo stop.
Hai notato differenze rispetto alla passata stagione?
Enormi, sia fisicamente che mentalmente. Intanto sono cambiati i numeri, sono aumentati i wattaggi e neanche di poco. I test dimostrano miglioramenti sensibili ma anche un grande margine ancora da ottenere. Mentalmente poi gestisco meglio le corse, anche se mi rendo conto che devo ancora concretizzare meglio, porre più attenzione agli obiettivi. Sono tante piccole cose che vanno messe insieme.
Sgherri con il suo team, fondamentale a Ponte a Egola per pilotarlo verso la vittoriaSgherri con il suo team, fondamentale a Ponte a Egola per pilotarlo verso la vittoria
Sei al secondo anno junior, cominci a sentire la pressione per il passaggio di categoria e l’indirizzo da prendere per diventare professionista?
Pressione no, diciamo che è uno stimolo maggiore a fare sempre meglio, a mettere insieme le tessere di cui sopra. Il resto penso che verrà tutto di conseguenza. E’ chiaro che ambisco a una squadra importante e che so che questo periodo è fondamentale per arrivarci, ma posso farlo solo con le mie prestazioni.
Chi ti sceglie che cosa trova?
Un passista veloce che tiene in salita ma che ha nello spunto la sua arma migliore. Alla Pasqualando abbiamo trovato una corsa tutta piatta nella quale noi del Team Vangi Sama Il Pirata abbiamo lavorato di gruppo per tenerla insieme e dopo aver ricucito le fughe abbiamo tenuto insieme il gruppo e fatto il treno giusto per lo sprint. E’ stata la vittoria scaturita da una giornata nella quale tutto è filato liscio.
Ora Giacomo punta con forza ai campionati italiani, anche per la prova contro il tempoOra Giacomo punta con forza ai campionati italiani, anche per la prova contro il tempo
E a Roma?
Il Liberazione è una gara particolare, unica nel suo contesto. Lì ho vissuto alti e bassi: nella prima metà stavo bene, poi qualcosa è andato storto, probabilmente ho sbagliato qualcosa nell’alimentarmi e sono finito dietro. Ho stretto i denti, ho provato a fare la volata ma mi sono mancate un po’ le forze e non ho colto quel finale che speravo. E’ stata un’occasione persa, ma anche un’esperienza istruttiva perché dagli errori si impara tanto.
Il Liberazione è stata anche l’occasione per confrontarti con team stranieri. Trovi tanta differenza?
Diciamo che si nota il fatto che sono abituati a corse più alla garibaldina, puntando più sul fisico, sulla prestazione. Pronti via e si va subito a tutta. Non ti puoi rilassare, ma anche noi siamo a quel livello e ci possiamo adattare. Lo abbiamo dimostrato anche negli anni scorsi.
Il corridore di Fano non ha procuratore. Conta di attirare attenzione dei grandi team con i risultatiIl corridore di Fano non ha procuratore. Conta di attirare attenzione dei grandi team con i risultati
Che calendario ti attende ora?
Faremo un po’ di gare soprattutto regionali con l’obiettivo di raggiungere la miglior forma in coincidenza dei campionati italiani, sia a cronometro che su strada. Io però guardo anche al cammino verso la rassegna tricolore e voglio raccogliere il più possibile.
Anche per guadagnarti una chance azzurra? E’ vero che europei e mondiali hanno caratteristiche più per scalatori, ma nel calendario internazionale ci sono anche altre occasioni…
Io spero che Salvoldi si accorga di me, magari per qualche prova a tappe. Anche nel suo caso posso convincerlo solo con i fatti, per questo non mi faccio tante domande, ma penso a lavorare duro e a portare a casa il più possibile…
LIENZ (Austria) – I corridori della Decathlon AG2R La Mondiale utilizzano da ormai due stagioni i prodotti firmati Van Rysel. Quello sviluppato con il marchio francese di Lille è un binomio capace di funzionare alla grande, infatti da inizio stagione i successi firmati dai corridori del team WorldTour sono già sette. L’ultimo è arrivato al recente Tour of the Alps, nel quale Nicolas Prodhomme e il giovane Paul Seixas hanno regalato spettacolo dominando l’ultima frazione della corsa a tappa dell’Euregio.
E’ proprio Nicolas Prodhomme, al primo successo tra i professionisti, che ci racconta nel dettaglio i prodotti realizzati da Van Rysel. In questo caso l’occhio, ed è veramente il caso di dirlo, cade sul casco e gli occhiali utilizzati dalla formazione WorldTour francese.
Van Rysel fornisce casco e occhiali al team Decatlhon AG2R La Mondiale Tra i caschi in dotazione quello con caratteristiche aerodinamiche è l’RCR-F Van Rysel fornisce casco e occhiali al team Decatlhon AG2R La Mondiale Tra i caschi in dotazione quello con caratteristiche aerodinamiche è l’RCR-F
RCR-F, il casco più veloce
Il primo prodotto che andiamo a presentare è il casco RCR-F, dove l’acronimo sta per Fast Racer. Si tratta di un casco studiato e progettato con l’intento di perfezionare al meglio l’aerodinamica. Quando ogni singolo watt diventa importante e le gare si fanno veloci e combattute è importante avere al proprio fianco il miglior alleato possibile.
Il casco RCR-F è dotato di cinque ingressi d’aria, posti nella parte anteriore, che servono a regolare la temperatura della calotta e offrire il giusto ricambio.
«Questo modello – racconta Prodhomme – lo utilizzo spesso durante la stagione, soprattutto quando il clima non è ancora molto caldo. L’RCR-F ha un ottimo design ed è estremamente aerodinamico, anche quando le velocità si alzano risponde molto bene non dando alcuna resistenza al vento. Rimane comunque un prodotto leggero e comodo, anche dopo tante ore in sella. Per questo è perfetto per tappe lunghe o le Classiche».
Entrambi i modelli utilizzati dal team sono costruiti con tecnologia Mips (foto KBLB DAT)Entrami i modelli utilizzati dal team sono costruiti con tecnologia Mips (foto KBLB DAT)
RCR Mips, per il caldo del Tour
Van Rysel fornisce agli atleti del team Decathlon AG2R La Mondiale anche un secondo modello, questa volta pensato per una ventilazione ancora più importante, infatti è il preferito dagli scalatori. Le prese d’aria frontali, in questo caso, sono otto.
«Personalmente – riprende a spiegare Prodhomme – utilizzo il RCR Mips quando le temperature si fanno più elevate. Ad esempio, credo sia un casco ottimo per una grande corsa a tappe come il Tour de France, dove le salite lunghe e il caldo si fanno sentire. La tecnologia Mips ci permette di correre in maniera più tranquilla e sicura perché sappiamo di essere ben protetti in caso di caduta».
Gli occhiali coprono molto bene il volto e offrono un ottimo campo visivo (foto Auguste Devaire)Gli occhiali coprono molto bene il volto e offrono un ottimo campo visivo (foto Auguste Devaire)
ROADR900 PERF, 3 lenti diverse
Per il team Decathlon AG2R La Mondiale gli occhiali forniti sono i ROADR900 PERF, un mix di eleganza, tecnica e design sportivo. Risultano estremamente coprenti, con una lente larga 135 millimetri e spessa 1,2 millimetri. Un sistema che permette all’atleta di avere un campo visivo ampio, unito alla protezione necessaria per chi viaggia ad alte velocità. Infatti lo spessore delle lenti le rende molto resistenti.
La scelta cade su tre tipologie di lenti, sempre della gamma NXT. A seconda della categoria, che va da zero a tre, si ha un filtro dall’11 per cento all’85 per cento della luce.
«Una delle caratteristiche che mi piace degli occhiali – conclude Prodhomme – è che sono molto comodi e garantiscono sempre una visione perfetta. In più una clip presente sul casco permette di riporre comodamente gli occhiali anche quando si è in gara, bastano pochi attimi per agganciare e sganciare il tutto».
Dice che la morte del Papa li ha investiti come un treno. A Boyaca, dove Einer Rubio è volato da quasi un mese per allenarsi, la gente è molto religiosa e la scomparsa di Francesco è stata un duro colpo.
«E’ stato un fatto terribile – spiega – perché lui era speciale, molto umile. La gente lo capiva e lui si faceva capire. Speriamo che arrivi uno come lui o simile a lui. Noi siamo molto cattolici, per questo quando parto per un viaggio, anche per il Giro, ho sempre con me le immagini dei santi. Sono cresciuto così sin da piccolo e per me andare senza di loro è come andare senza vestiti».
Einer Rubio, classe 1998, è alto 1,64 per 56 chili. E’ pro’ dal 2020Einer Rubio, classe 1998, è alto 1,64 per 56 chili. E’ pro’ dal 2020
Sul filo dei 3.000 metri
In Italia è notte fonda, di là dall’Atlantico sono le quattro e mezza del pomeriggio. Boyaca e i suoi campi si trovano a 2.500 metri, da lì le salite superano agevolmente i 3.000. Sono le strade in cui il ciclismo occidentale sbarcò per la prima volta con i mondiali del 1995 e che poi ha ritrovato in almeno due edizioni del più recente Tour Colombia. Sono le strade su cui sono nati Nairo Quintana e i migliori scalatori di laggiù. Einer Rubio non fa eccezione, con il settimo posto all’ultimo Giro d’Italia e la tappa vinta a Crans Montana nel 2023.
«In questi ultimi giorni – racconta Einer – si sta bene, ma sta anche piovendo molto. Ho preso parecchia acqua, ma va bene perché temo che ci toccherà anche al Giro. Torno in Italia per fare la generale, con l’idea di migliorare il settimo posto dello scorso anno. Magari fare una top 5, puntiamo a questo».
Al Giro del 2023, in una tappa fortemente ridotta per la neve, Einer Rubio vince a Crans MontanaAl Giro del 2023, in una tappa fortemente ridotta per la neve, Einer Rubio vince a Crans Montana
Hai visto il percorso?
Ho visto, ho visto… Già dall’inizio in Albania ci sono delle salitine impegnative, ma l’ultima settimana è veramente dura, come quasi tutti gli anni. Quindi speriamo di arrivarci con le forze giuste.
Come tutti gli scalatori dovrai difenderti nelle due crono?
Lo scorso anno abbiamo perso tantissimo. Quest’anno sono 32 chilometri, se non mi sbaglio. La prima ne misura 13, quindi bene o male ce la caviamo. Sicuramente sono migliorato. Con la squadra siamo andati in pista e anche qui ho fatto dei lavori specifici, quindi secondo me abbiamo fatto un passo avanti.
La crono è il punto debole di Rubio, anche se non ha mai investito tanto. Alla Tirreno ha chiuso a 1’15” da Ganna su 11 kmLa crono è il punto debole di Rubio, anche se non ha mai investito tanto. Alla Tirreno ha chiuso a 1’15” da Ganna su 11 km
Avrai la squadra tutta per te?
Ci saranno corridori per aiutarmi, però ci sono i compagni come Nairo (Quintana, ndr) e anche altri che vorranno cercare di vincere le tappe. Quindi il giorno che si sentiranno capaci, li lasceremo liberi e per il resto ci daranno una mano.
Hai parlato di Quintana, che è un tuo compaesano: qual è il rapporto fra voi due?
Più che compagni, siamo amici. Abitiamo a 10 chilometri di distanza, ci troviamo molto bene. L’anno scorso mi ha dato tantissimi consigli buoni che mi sono serviti veramente. Quest’anno mi ha aiutato anche sugli allenamenti, quindi averlo accanto è veramente una fortuna. E’ stato qui anche lui, sabato scorso abbiamo fatto l’ultimo allenamento insieme e poi è tornato ad Andorra per stare con la sua famiglia. Ci rivedremo direttamente in Albania.
In Colombia, Einer si è allenato sul filo dei 3.000 metri. Rientrerà in Europa lunedì (immagine Instagram)In Colombia, Einer si è allenato sul filo dei 3.000 metri. Rientrerà in Europa lunedì (immagine Instagram)
Andare in Colombia per un mese prima del Giro serve per i benefici dell’altura o per vedere la famiglia?
Entrambe le cose, secondo me. Mi fa bene allenarmi nel mio habitat, dove sono nato. Casa è sempre casa. E poi c’è l’altitudine, perché quando torno in Europa da qui, mi sento sempre un po’ meglio. Per questo con la squadra abbiamo deciso di fare quasi un mese, rientrando direttamente il 4 maggio, Sfrutterò l’altura fino all’ultimo.
Va bene il Giro, ma avresti anche la fantasia di provare la Freccia Vallone e la Liegi? In fondo alla Milano-Torino che finisce a Superga sei arrivato quinto…
Sì, mi piacerebbe, infatti ne abbiamo parlato diverse volte con la squadra. Solo che per ora hanno preferito puntare sul Giro. E così mi hanno detto di andare a casa in altitudine e poi nei prossimi anni vedremo come programmare diversamente la stagione.
Al Giro d’Italia U23 del 2019, Rubio vince sul passo FedaiaAl Giro d’Italia U23 del 2019, Rubio vince sul passo Fedaia
Scorrendo la classifica del Giro U23 del 2019 in cui conquistasti il Fedaia, con il podio finale tutto colombiano, salta agli occhi che sei l’unico rimasto in Europa, come mai?
Forse mi sono adattato meglio. Poi ho trovato una famiglia che mi ha accolto e che ancora adesso continuano a darmi una mano (la famiglia di Donato Polvere, ndr). Per me quello è stato qualcosa di speciale, mentre magari gli altri ragazzi hanno perso gli stimoli e forse gli mancava la famiglia. Tante cose che possono capitare.
Hai mai avuto la tentazione di lasciare l’Italia e spostarti ad Andorra?
Ho avuto il pensiero, perché tutti i miei compagni sono lì. Eusebio Unzue (il general manager del Movistar Team, ndr) mi ha chiesto diverse volte se volessi spostarmi. Però ho fatto tutti i documenti e adesso sono residente a San Marino. In Campania ci vado per una settimana, massimo 15 giorni e per il resto sono sempre in viaggio. Alle corse, in altura, in Colombia…
La Milano-Torino, chiusa al quinto posto, è stata l’ultima corsa in Europa prima di volare in Colombia e preparare il Giro d’ItaliaLa Milano-Torino, chiusa al quinto posto, è stata l’ultima corsa in Europa prima di volare in Colombia e preparare il Giro d’Italia
Ultime due domande. Per tua soddisfazione sarebbe meglio migliorare il settimo posto dell’anno scorso o vincere nuovamente una tappa?
A me piacerebbe migliorare, però non voglio escludere che se mi troverò nella situazione giusta, potrei cercare di vincere qualche tappa. Mi sono preparato bene, vado molto convinto. E poi speriamo che tutto giri liscio, come deve essere.
E’ confermato che farai anche il Tour de France?
Ne abbiamo parlato sin da quando abbiamo definito il calendario e fino ad ora ce l’ho nel programma. Speriamo che non capiti nulla e che stia bene, così andrò a fare il primo Tour de France. Ma guardiamo a una cosa per volta. Ora c’è il Giro. Ed è un bell’obiettivo da mirare.
Il Giro torna nelle terre del sisma 2016 con l'8ª tappa. Ne parliamo con l'onorevole Castelli, Commissario alla ricostruzione. Quale il ruolo dello sport?