Nella pioggia di Zurigo risplende l’arcobaleno di Finn

26.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – Gli ultimi mille metri di Lorenzo Mark Finn sono un tuffo al cuore. Lui se la prende con calma, gli avversari sono andati, naufragati sotto la pioggia e i colpi di pedale del ligure silenzioso e determinato. Le mani vanno al casco, poi si gira e cerca l’ammiraglia dove c’è Dino Salvoldi, il cittì che ha guidato la nazionale juniores al titolo iridato. Dietro Finn il vuoto. Il secondo, l’inglese Sebastian Grindley, arriva con più di due minuti di ritardo, il gruppetto che si gioca l’ultimo gradino del podio è oltre i tre minuti. E’ stato il più forte Lorenzo Finn, ha gestito la corsa in maniera perfetta, dimostrando una maturità incredibile per chi non è abituato a vederlo in azione. 

Uno a uno

La maglia azzurra, anzi la giacca primaverile visto il freddo e la pioggia presi oggi dai ragazzi, si staglia sul fondale del palco sul quale avvengono le premiazioni. L’inno di Mameli suona, appena l’ultima nota smette di vibrare nell’aria di Zurigo il boato dello staff sotto al podio arriva fino nella mixed zone. Finn ha un sorriso appena accennnato sul suo volto giovane, chi lo ha visto spesso sa che non si lascia andare a grandi emozioni. Queste, invece, le abbiamo provate noi, quando lo abbiamo visto scollarsi di ruota tutti gli avversari. L’ultimo a resistergli è stato lo spagnolo Hector Alvarez, ma un’accelerazione di Finn è bastata per lasciarselo alle spalle. 

Arriva nella zona mista, passo lento, accompagnato da Christian Schrot, il suo team manager alla Grenke Auto Eder, e da tutto lo staff azzurro. Arriva davanti a noi e quella maglia splende, così come la medaglia che gli pende dal collo

«Non so come descrivere la sensazione di indossare questa maglia – dice Finn – però tra qualche ora magari lo realizzerò. Devo dire che ho avuto delle sensazioni veramente buone tutto il giorno». 

Tutto misurato

Prima della partenza, al bus Vittoria che ospita gli azzurri in questa rassegna iridata, Finn ha chiesto di cambiare la pressione degli pneumatici. 4,3 bar al posteriore e 4 all’anteriore, vista l’acqua caduta e l’asfalto viscido meglio fare qualche accorgimento. Scende le scalette per ultimo, si guarda intorno, va alla bici e con cura monta il ciclocomputer. Tante azioni mirate, precise e calme. Prima di partire parla ancora con Salvoldi, si scambiano le ultime battute. Monta in bici e si dirige alla partenza. La gara esplode subito, i danesi sono indemoniati e fanno un ritmo pauroso. Una caduta lascia il gruppo decimato, si arriva sul circuito finale con una media, nella prima ora, di 46 chilometri orari. 

Scatti e controscatti, allunghi, Philipsen è inferocito e si muove in tutte le direzioni. Ad un certo punto però è Finn a partire tutto solo, ma di chilometri all’arrivo ne mancano tanti.

«Il piano iniziale – spiega – non era andare da solo a 70 dall’arrivo però è successo. Eravamo tutti in fila indiana dopo la discesa e io ero davanti, quindi era un buon momento per attaccare, però sì, nessuno mi ha seguito. Ho pensato che un attacco avrebbe potuto fare male, di sicuro avrebbero fatto una bella fatica per rientrare. Anche una volta davanti mi sono gestito, non sono andato mai fuorigiri. Poi sono rientrati Philipsen e gli altri. In quel momento ho realizzato che mi sarei potuto giocare una medaglia. Ho contato quelli rimasti, erano quelli che mi sarei aspettato di trovare a quel punto. Tutti tranne Seixas

Mezz’ora da solo

L’ultimo passaggio sul traguardo avviene ai 27 chilometri dall’arrivo, con quattro corridori al comando: Philipsen, Alvarez, Grindley e il nostro Finn. Un veloce slalom nelle curve di Zurigo e si punta alla salita di Witikon. Nel risciacquo che porta a quei 1.400 metri Philipsen scivola e davanti rimangono in due: Alvarez e Finn. Lo spagnolo resiste pochi metri e poi diventa una lunga cavalcata fino all’arrivo: 20 chilometri. 

«Philipsen – spiega il neo campione del mondo juniores – è caduto nel tratto in discesa. Ero davanti io e lui in una curva è scivolato, probabilmente ha pinzato troppo con il freno anteriore. Spero stia bene. Ho guardato negli occhi Alvarez, ho parlato con lui ma avevo già visto sulle salite precedenti che non riusciva a stare al mio passo. Ho dato un’accelerazione e si è staccato subito. Quei 20 chilometri da solo sono volati e mi sono divertito, nonostante la tanta pioggia». 

Mille metri, mille pensieri

Quando Lorenzo Finn ha visto il triangolo rosso si è rialzato, ha messo le braccia sulla parte alta del manubrio e si è goduto ogni centimetro. Cosa passa nella testa di un ragazzo di 18 anni quando realizza di essere a soli mille metri dalla maglia iridata?  

«E’ stato un chilometro un po’ surreale devo dire – conclude Finn – però sì me lo sono goduto. Mi sono tornati in mente tutti i sacrifici fatti durante la stagione e i momenti difficili. Quando mi sono rotto la clavicola ad aprile, il secondo posto al Giro della Lunigiana di qualche settimana fa… Ora sono pronto per il futuro, non posso dire cosa farò. Ci sarà il tempo di farlo».

Il mondiale di Silo: orgoglio, forza e tanto carattere

26.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – La gara di Giada Silo termina dopo il traguardo, nonostante i crampi che le hanno bloccato entrambe le gambe a 100 metri dalla linea d’arrivo e l’hanno fatta cadere rovinosamente. E’ testarda la ragazzina della Breganze Millenium, al primo anno nella categoria juniores e protagonista di una corsa da prima della classe. Dopo qualche minuto si rialza, parla con lo staff a bordo strada e lentamente riparte. Alla fine l’ordine di arrivo recita un 58° posto a 7 minuti e 25 secondi dalla vincitrice Cat Ferguson. Ma la prestazione di Giada Silo non si racchiude nei numeri, bensì nella forza e nella volontà di dare quel qualcosa in più.

Il podio di Zurigo: oro per Cat Ferguson, argento e bronzo a Paula Ostiz e Viktória Chladonová
Il podio di Zurigo: oro per Cat Ferguson, argento e bronzo a Paula Ostiz e Viktória Chladonová

Il dispiacere del cittì

Il podio iridato si delinea a una ventina di chilometri dal traguardo, a pochi metri dallo scollinamento della salita di Witikon, sul circuito finale. Giada Silo era in coda a Cat Ferguson, Paula Ostiz e Viktória Chladonová. Uno sforzo enorme, iniziato quando la corsa era ancora lontana dal prendere una forma. Le inglesi hanno iniziato a modellare il gruppo a loro piacimento, con attacchi e contrattacchi. L’azzurra ha seguito, sempre, in ogni istante. Paolo Sangalli ne aveva parlato proprio con Giada al bus durante il riscaldamento. 

«Le ragazze – racconta dopo l’arrivo – hanno fatto quello che ci eravamo detti prima di partire, la gara è uscita esattamente come avevamo programmato. Noi c’eravamo, Giada Silo è primo anno, ha fatto una gara eccezionale, le sono mancati quei 30 secondi sulla salita. Però ci sta per una ragazza alle prime esperienze, quindi sono davvero contento. Quello che più mi spiace è il mancato piazzamento, avrebbe fatto come minimo sesta. Era lì e si stava giocando tutto il volata, lo avrebbe meritato. Ma la cosa importante è che non si sia fatta male».

Un soffio

Racchiudere questa corsa nei numeri sarebbe un peccato e una mancanza di rispetto per la fatica e l’impegno messo dalle ragazze di Sangalli. Tutte hanno fatto la loro parte, si sono prese carico dell’andamento della gara facendosi trovare nel posto giusto al momento giusto. 

«Non solo Silo meritava il piazzamento – continua – ma tutta la squadra. Hanno corso davvero bene, sono state dei colossi. La Ferguson la conosciamo, ha già vinto con le elite, sono state brave a non aver timore. Dico che se lo sarebbero meritate tutte perché l’impegno è stato impareggiabile, ma le corse sono così. E’ successa una cosa che a memoria non ricordo, quindi prendiamo davvero il positivo perché hanno fatto una gran gara, muovendosi da squadra. L’obiettivo è quello di correre come le grandi, come le nostre elite e loro l’hanno fatto. Queste ragazze sono qua chiaramente per cercare il risultato massimo, ma anche per crescere. Il ciclismo non finisce nella categoria juniores ma inizia. E’ un’esperienza che servirà quando passeranno prima under e poi elite».

L’orgoglio della Silo

Giada Silo scende dal pullman azzurro ancora con le lacrime che le rigano il viso e le riempiono gli occhi. Non è facile digerire una delusione del genere, ma appena si siede per parlare con noi ritrova il respiro e la forza di raccontare quanto fatto. I complimenti si sprecano, d’altronde la prestazione ha davvero lasciato un piacevole ricordo. 

«Partiamo dal bello – ci dice – per me è stata una bellissima esperienza. Non pensavo di prendere le ruote di una ragazza più forte (il riferimento è a Cat Ferguson, ndr) e sono abbastanza sorpresa su me stessa. Però purtroppo è successo quello che è successo ed è andata così. Negli ultimi due chilometri c’eravamo io e la francese Gery che continuavamo a controllarci per la quinta posizione. Appena è partita mi sono alzata sui pedali, ma in quel momento mi sono venuti dei crampi a tutte le gambe che si sono bloccate. E’ per quello che sono caduta».

La delusione e le lacrime continuano anche al bus
La delusione e le lacrime continuano anche al bus

La conferma

Quello che esce poi è l’orgoglio e la consapevolezza di avere le qualità giuste per indirizzare la crescita verso grandi obiettivi. Oggi si è persa una corsa, per quanto dolorosa, ma come detto dal cittì Sangalli il cammino inizia ora. Quei trenta secondi mancanti sono il punto da cui partire.

«La gara era sulla Ferguson – conclude Silo – all’inizio sono riuscita a starle dietro. Verso l’ultima salita, quella più lunga, ho cominciato ad accusare dei crampi e non sono riuscita a tenere il suo ritmo fino in cima. In quei pochi metri ho capito che la Ferguson comunque non è un passo oltre, ma tre in più di me. Devo farne strada per arrivare ai suoi livelli, però sono soddisfatta, ho capito che il mio nome c’è e posso fare bene».

Giada Silo sale sul van della nazionale, direzione casa. In valigia metterà la delusione e il rammarico, ma sappiamo che li lascerà in fondo, sopra c’è spazio per l’orgoglio e la voglia di rifarsi.

Velo lancia il team relay, e sugli U23 ha qualcosa da dire

24.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – I campionati del mondo per le prove contro il tempo termineranno ufficialmente domani con il mixed team relay. Una prova difficile, resa ancor più tosta dal percorso e dal livello molto alto dei contendenti all’oro. Dopo il successo dell’europeo gli azzurri si approcciano ad un’altra sfida nei panni della favorita. Dell’ossatura che ha dominato in Belgio rimangono i soli Affini e Cattaneo, gli altri quattro interpreti cambieranno. Nel trio maschile ai due alfieri d’oro si aggiunge Filippo Ganna. Per le tre ragazze, invece, il terzetto si compone dell’esperta Longo Borghini, affiancata da Soraya Paladin e Gaia Realini

«La gara – attacca subito a parlare il cittì Marco Velo – è parecchio dura. Direi un po’ insolita per una cronometro, soprattutto a squadre. Somiglia più a una cronoscalata, credo che in tre il percorso sia abbastanza proibitivo. Non tanto per la salita, che comunque va a snaturare quello che è il gesto di una cronometro, ma per le tante discese e i diversi tratti pericolosi. Le squadre incontreranno parecchie strade strette, quindi non si riuscirà a lanciare bene il terzetto. Detto questo siamo qua per lottare e provare a far bene, non lo nego, ho tre corridori uomini e tre atlete donne che sono di altissimo livello».

Un percorso del genere ha creato qualche difficoltà in più nel comporre le due squadre?

Non è un percorso ideale a Ganna o Affini, però sono fiducioso della loro condizione che è super (in apertura insieme a Marco Velo, foto Federciclismo / Maurizio Borserini). Mi piacerebbe rimarcare anche la voglia di due ragazzi come loro di mettersi a disposizione e nel prendere parte a questa gara. Quando ho iniziato a pensare ai vari nomi da includere nella lista dei papabili non ho ricevuto riscontri positivi dagli altri atleti. Soprattutto quando non ero sicuro della presenza di Pippo (Ganna, ndr) e della condizione di Edoardo (Affini, ndr). Ma nel team relay conta tanto lo spirito di squadra, i tre ragazzi sono dei fratelli mancati, sarà questo il nostro plus. 

Al loro si aggiunge Cattaneo.

Su di lui c’è poco da dire. Insieme a tutti gli altri è un super atleta che è in grado di fare molto bene domani. In salita alla Vuelta, quando si metteva a tirare, rimanevano agganciati in pochi alle sue ruote. Questo è un buon segno, significa che sta andando forte. 

Il team femminile ha delle caratteristiche atletiche praticamente perfette per questa prova.

Credo che le ragazze siano fortissime su questo tipo di percorso, La scelta di portare Realini è sicuramente dipesa dal tipo di percorso. Mi è piaciuta tanto la sua reazione alla chiamata, era molto felice e motivata nel mettersi alla prova. Longo Borghini e Paladin saranno due ottime pedine per un team relay impegnativo ma sul quale sono fiducioso. 

Facciamo un salto a ieri, concentrandoci sulla cronometro under 23, come giudichi i risultati? 

La scelta è ricaduta su Bryan Olivo e Andrea Raccagni Noviero. Penso che il primo non abbia fatto una super prova, si aspettava qualcosa in più, però usciva da un periodo lungo di stop. Mentre Raccagni Noviero è andato forte, considerando il percorso non adatto alle sue caratteristiche. Sono contento perché ha fatto una buona prova, fino all’ultimo intermedio era a 30 secondi da Romeo.

Noi avevamo in casa il campione iridato under 23, Milesi. Come mai non ha difeso il titolo?

E’ stato preso in considerazione, chiaramente, ma mi ha detto che non voleva partecipare al mondiale perché non ha usato la bici da crono ultimamente e non se la sentiva.

Sia Olivo che Raccagni Noviero hanno disputato poche cronometro durante la stagione, per motivi diversi. 

Sugli under 23 c’è un po’ di difficoltà nel mettere insieme tante prove contro il tempo. In Italia se ne corrono poche, ce n’è stata una, seppur breve, al Giro Next Gen. Da questo punto di vista dobbiamo imparare da Paesi stranieri nei quali, sia tra gli juniores che tra gli under 23, in qualsiasi tipo di corsa a tappe c’è comunque inserita una cronometro. Perché, alla fine, se si vuole crescere a livello di risultati serve curare questa disciplina, altrimenti non porti a casa nulla. 

Raccagni Noviero corre in un devo team, lì cambia qualcosa?

La fortuna è che le squadre development dei professionisti hanno una mentalità diversa, quindi forniscono a questi ragazzi le bici da crono. In questo modo le usano per allenarsi almeno un paio di volte durante la settimana. Guidare una bici da cronometro non è la stessa cosa di guidare quella da strada, serve allenare il gesto.

Romeo mette nel sacco Segaert: l’oro tra gli U23 va alla Spagna

23.09.2024
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ZURIGO – Le emozioni più forti nel corso della seconda giornata dei campionati del mondo di Zurigo arrivano con la cronometro dedicata agli under 23. Sullo stesso percorso che ieri ha visto protagoniste le donne i ragazzi più forti al mondo si sono dati battaglia a colpi di secondi, curve spericolate e watt. Di energia nelle gambe questi giovani ne hanno parecchia e pensare che si voglia rimettere mano al regolamento impedendo loro di correre questi appuntamenti ci rattrista. Far parte del mondo WorldTour dovrebbe essere un merito non una discriminante, eppure c’è chi si ostina a voler escludere questi atleti da tali appuntamenti. 

In attesa di raccontarsi alla stampa, Ivan Romeo firma il solito mucchio di maglie iridate e non sta nella pelle
In attesa di raccontarsi alla stampa, Ivan Romeo firma il solito mucchio di maglie iridate e non sta nella pelle

Felicità estrema

Sulla hot seat di Zurigo ci sta stretto lo spagnolo alto, anzi altissimo. Si muove, alza le braccia, porta le mani al volto. E quando Alec Segaert arriva all’ultimo chilometro in evidente ritardo capisce di aver compiuto un’impresa e si lascia andare nel pianto di un bambino. Accovacciato ai piedi della sedia che ospita il corridore con il miglior tempo, viene preso d’assalto dallo staff e dal compagno di nazionale Markel Beloki. 

«Posso solo dire che è il giorno più felice della mia vita – confida Ivan Romeo a chi ancora non avesse visto quanto brillano i suoi occhi – credo di non sapere ancora quello che ho raggiunto. Ci vorrà del tempo. Se questa mattina mi avessero chiesto quanto tempo avrei potuto guadagnare nei confronti di Segaert nel tratto di pianura avrei risposto: nulla. Invece dopo aver tagliato il traguardo sapevo di aver fatto la miglior prova possibile».

Nel 2024 Romeo, 1,93 per 75 kg, era già stato 7° nella crono della Vuelta Burgos e 10° in quella del UAE Tour
Nel 2024 Romeo, 1,93 per 75 kg, era già stato 7° nella crono della Vuelta Burgos e 10° in quella del UAE Tour

Equilibrio

Al primo intertempo, in cima alla salita che poi avrebbe portato i ragazzi verso la temibile discesa, Romeo aveva un ritardo di pochi secondi. Dopo altri 10 chilometri il distacco da Segaert era minimo, cinque secondi. Tutti erano convinti che il belga avrebbe poi sfruttato il tratto favorevole per dilagare, invece la sua barca è naufragata

«Sul lago – spiega Romeo – c’era vento contrario, sapevo di dover risparmiare un po’ di energie nella parte iniziale per non arrivare stanco alla fine. Avevo in mente questo piano di passo fin dalla mattina, non pensavo però di guadagnare così tanto tempo. Mi sono sentito benissimo negli ultimi dodici chilometri, andando molto, molto più forte di quanto mi aspettassi. Quando ho visto che Segaert era cinque secondi più veloce di me, ad essere sincero, ho capito che avrei potuto vincere. Ho lasciato tutti gli avversari dai trenta secondi in su, credo che quegli ultimi dieci chilometri siano stati i migliori della mia vita».

Secondo posto con 32 secondi di ritardo per Soderqvist che dopo l’arrivo ha faticato a mandarla già
Secondo posto con 32 secondi di ritardo per Soderqvist che dopo l’arrivo ha faticato a mandarla già

L’emozione non ha età

A chi pensa di togliere la gioia di un appuntamento iridato a questi ragazzi chiediamo di porgere lo sguardo sul sorriso di Ivan Romeo mentre esulta sul podio in Sechselautenplatz. Ha una gioia talmente forte che frantuma le telecamere e un’energia così potente da invadere il cuore di tutti noi. La medaglia d’oro arriva dopo due anni con il team Movistar, con una progressione continua e un bagaglio di esperienze sempre più grande: perché non sfruttarlo?

«Questi due anni con la Movistar – conclude – sono stati bellissimi. Sto imparando tanto da loro e adoro questa squadra, da spagnolo è un sogno correre lì. E sì, essere in un team WorldTour per un anno e mezzo è ovviamente molto importante per acquisire esperienza e fiducia in se stessi. Si impara a gestire tutti i momenti, quelli buoni e quelli cattivi. Naturalmente ci sono entrambi». 

Christen ha chiuso al terzo posto, a 40″ da Romeo. Si è detto soddisfatto e pensa alla gara su strada di venerdì
Christen ha chiuso al terzo posto, a 40″ da Romeo. Si è detto soddisfatto e pensa alla gara su strada di venerdì

La delusione di Segaert

Chi mastica amaro è Alec Segaert. Il belga era il grande favorito di giornata dopo la vittoria del titolo europeo, invece se ne va da Zurigo con un pugno di mosche e una bella lezione. Imparare fa parte del processo per questi ragazzi ed è meglio farlo ora che in futuro, ma la seconda delusione iridata brucia.

«Credo che le gambe siano la cosa che mi ha fatto più male – dice trovando la forza di fare una risata –  ma sì, di sicuro è una delusione. Sono venuto per ottenere il massimo, ma oggi non era nelle mie corde. Il meteo alla fine non ha giocato una parte così importante nel risultato. Era prevista molta più pioggia, invece ho corso su una strada praticamente asciutta. La differenza vera l’ha fatta la parte pianeggiante, dove non sono riuscito a spingere quanto avrei voluto. Dopo il secondo intermedio mi sono buttato nel tratto in discesa, era rischioso ma sono andato abbastanza bene. Però si trattava di un settore difficile per tutti, il divario Romeo lo ha costruito nel finale».

Un podio che fa riflettere. Il primo, Romeo, corre alla Movistar nel WorldTour, il secondo nel devo team della Lidl-Trek, il terzo alla UAE Emirates
Un podio che fa riflettere. Il primo, Romeo, corre alla Movistar nel WorldTour, il secondo nel devo team della Lidl-Trek, il terzo alla UAE Emirates

I migliori

Alec Segaert è l’esempio più grande di un corridore che gareggia nel WorldTour e allo stesso tempo si trova ad affrontare eventi da under 23. Ha corso al Renewi Tour battendo a cronometro atleti che ieri hanno gareggiato tra i professionisti. Appena gli chiedono cosa pensa del possibile cambio di regolamento risponde subito.

«Se guardo a me stesso, penso che non correrò l’anno prossimo tra gli under 23, spero di farlo tra gli elite. Ma per me la gara under 23 dovrebbe essere per tutti gli atleti sotto quella età. Oggi, c’era un bel gruppo di corridori professionisti, ma penso che dovrebbe essere così. Anche se gareggi un anno intero con gli elite ma sei il migliore tra gli U23 allora meriti il titolo».

Crono juniores andata: Seixas sorprende, Finn guarda alla strada

23.09.2024
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ZURIGO – La prova contro il tempo degli juniores ha emesso già alcuni verdetti interessanti, il primo è la vittoria del francese Paul Seixas. A questo si affianca la prestazione sottotono del campione del mondo in carica su strada Albert Philipsen. Il danese paga 25 secondi dal vincitore e, mentre tutti sfilano nella zona mista che si affaccia sull’Opera di Zurigo, lui passa via senza fermarsi. Gli addetti dell’UCI dicono non sia stato bene dopo l’arrivo, la sensazione nel vederlo passare è che sia frastornato e un po’ sorpreso, in negativo, dalla sua prestazione. 

Voci azzurre

Gli azzurri pedalano lenti nel corridoio che ospita televisioni e media, passa Andrea Donati e nel raccontare la sua prova si intuisce la delusione. Sperava in qualcosa di più, i numeri sono stati buoni ma per emergere in un mondiale serve una prova fuori dal comune.

«E’ stata una cronometro durissima – dice – sono sfinito, ho dato davvero tutto quello che avevo anche se non ero nella miglior condizione. Non sono andato male a livello di dati e numeri, rispecchiano quelli di una giornata media. Sono l’italiano che ha fatto più cronometro quest’anno, ne ho corse sei. A questo livello forse l’unica è stata alla Corsa della Pace. Sia questa di Zurigo che quella in Repubblica Ceca sono stati dei buoni confronti, anche in ottica futura».  

Chi, invece, è soddisfatto di quanto fatto è Lorenzo Finn. Si ferma, guarda l’arrivo dei diretti concorrenti e snocciola piano piano tutte le sue sensazioni. 

«Sono soddisfatto della mia prova – spiega l’azzurro – è stata la miglior cronometro della mia vita sia per sensazioni che per valori. Non potevo dare di più e comunque vedendo che sono arrivato a un secondo dai top 5, su questo tipo di percorso, mi ritengo soddisfatto. Era difficile pensare di poter vincere, ma se penso alla gara su strada mi sento davvero bene. I complimenti vanno a Seixas, ha fatto una cronometro superba e una prestazione monstre».

Andrea Donati e Lorenzo Finn durante le fasi di riscaldamento
Andrea Donati e Lorenzo Finn durante le fasi di riscaldamento

Tutto quadra

Il percorso di Lorenzo Finn e della nazionale juniores verso il mondiale di Zurigo è iniziato ad agosto con un ritiro in altura a Livigno. Poi si è passati dal Giro della Lunigiana e dal campionato europeo. Tutti step mirati per arrivare con la miglior condizione possibile alla corsa iridata. 

«Sicuramente – racconta Finn – l’europeo è stato molto utile, sia nella prova a cronometro che in quella in linea. E’ stato un test importante in vista dei mondiali, il fatto che oggi sia andato più forte rispetto alla prova di Hasselt mi fa ben sperare. Il ritiro di Livigno è stato fatto in vista dell’appuntamento iridato di Zurigo, questo doveva essere il periodo in cui il lavoro in altura avrebbe dovuto dare i suoi frutti. Per come mi sento direi che la fiducia c’è. Anche settimana scorsa, durante gli allenamenti, ho fatto i miei migliori valori, quindi sono contento».

Lorenzo Finn si è detto felice della sua prova e dei valori registrati nell’ultimo periodo
Lorenzo Finn si è detto felice della sua prova e dei valori registrati nell’ultimo periodo

Un altro atteggiamento

Se si fa un passo indietro, tornando alla prova continentale, non si può non pensare alle parole del cittì Salvoldi. Il tecnico ha giudicato in maniera negativa la prestazione del team juniores, da loro si aspettava qualcosa in più, soprattutto dal punto di vista del coraggio

«Su strada – dice ancora Finn – ho provato a dare un mano ai miei compagni perché non volevo prendere troppi rischi. Mi sono messo a disposizione in pianura, prima del tratto in pavé, poi mi sono sfilato. Penso Salvoldi abbia avuto ragione nel criticare il nostro atteggiamento in maniera negativa. Non abbiamo corso benissimo, ma ci rifaremo giovedì».

«Ora – continua – serve riposare e recuperare bene dallo sforzo. Mercoledì rivedremo il percorso (il tracciato rimarrà chiuso dalle 8,00 alle 10,00, ndr). Siamo venuti a giugno a visionarlo, quindi una rinfrescata farà sicuramente bene. Dall’ultima salita al traguardo ci saranno una quindicina di chilometri, sarà uno sforzo molto simile a una cronometro».

Andrea Donati conclude al 20° posto, per lui un’esperienza che tornerà utile in futuro
Andrea Donati conclude al 20° posto, per lui un’esperienza che tornerà utile in futuro

Gli altri

La classifica della cronometro juniores recita un podio a forti tinte belga con il gradino più alto in mano al corridore che, ad ora, sembra essere il favorito: Paul Seixas. Il sesto posto di Albert Philipsen sorprende, ma non toglie dalla testa di tutti che il danese sarà protagonista su strada. Gli avversari lo temono e ne parlano bene, con il timore che si riserva a chi può farti del male da un momento all’altro. Anche Finn non lo toglie dalla lista dei favoriti.

«Io ho fatto 53 di media – conclude Finn – quindi non credo che Philipsen sia andato piano, visto che mi ha anticipato di un secondo sul traguardo. Sicuramente era il favorito e vederlo fuori dal podio colpisce, ma non facciamoci illudere. Dopo la cronometro di oggi penso che Seixas sia il nome per la corsa in linea, ma serve ancora qualche giorno di pazienza, giovedì vedremo».

EDITORIALE / Cara UCI, le regole non sono a senso unico

23.09.2024
5 min
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ZURIGO (Svizzera) – Funziona tutto così bene, che ti stupisci davanti alle imperfezioni immotivate. Abbiamo vinto lo scetticismo tutto italiano circa l’impiego dei mezzi pubblici per spostarci dall’hotel alle sedi di gara. In realtà non ci sono grandi alternative. L’UCI ha stabilito che alla stampa non spettino contrassegni per le auto e che le navette in partenza dalla sala stampa siano riservate soltanto ai fotografi. Perciò è bastato fare di conto e realizzare che avere i trasporti gratuiti (grazie a un bollino sull’accredito) è un bel passo avanti rispetto ai parcheggi del centro che costano 8-9 euro l’ora. Gli autobus e i treni d’altra parte arrivano e partono con precisione… svizzera. La bicicletta è usata spesso in ogni sua formulazione, incluse le cargo bike per il trasporto dei bambini. Per andare a scuola o al parco. Funziona tutto. Per questo stupiscono alcuni dettagli dell’organizzazione iridata su cui l’UCI ha chiuso apparentemente gli occhi.

Zurigo ha accolto i mondiali con temperature ancora miti e una buona partecipazione
Zurigo ha accolto i mondiali con temperature ancora miti e una buona partecipazione

La verifica delle bici

Ieri alla partenza della crono donne elite da Gossau e anche in queste ore per gli under 23 e per il paraciclismo, il parcheggio dei team si trovava a un chilometro e mezzo dal punto di verifica delle biciclette. Il parcheggio si trova in alto, la verifica in basso vicino alla rampa di partenza. In mezzo una bella salita, che i meccanici hanno percorso spingendo le bici e i tandem. Se una cosa del genere fosse stata semplicemente proposta al Giro d’Italia o qualsiasi altra gara in Italia, è certo che gli organizzatori avrebbero ricevuto il warning degli ispettori dell’UCI.

E a proposito di misure, tra le novità tecniche dell’anno, che ha costretto i meccanici azzurri a metter mano alla bici di Vittoria Guazzini, c’è che i computerini rientrano nella misura dell’inclinazione delle appendici. Se le appendici sono a posto, ma il computerino – su cui è impossibile appoggiarsi – sporge di mezzo centimetro, la bici non è a posto.

La discesa sul lago

Si va avanti con le cronometro e ieri abbiamo visto e sentito dei rischi che si sono corsi lungo l’ultima discesa. In quel tratto in cui si sfiorano i 100 all’ora, la strada si stringe all’improvviso, il fondo stradale è parecchio irregolare, la pendenza è a doppia cifra e in fondo ci si infila sotto un arco di pietra.

Marco Velo si era accorto che il tratto fosse pericoloso sin da quando venne con gli altri tecnici azzurri a visionare il percorso della crono, ma nulla nel frattempo è cambiato. E quando i tecnici azzurri nella riunione tecnica hanno fatto presenti le loro perplessità, si sono sentiti rispondere da Laurent Bezault, ex corridore e ora UCI Road Master, che nessuno prima di loro avesse sollevato la questione. Ha però aggiunto che avrebbe posizionato sul percorso degli addetti alla sicurezza, incaricati di raccomandare ai corridori di rallentare. Suggerire di rallentare in una gara che si gioca sui secondi, in cui si parte forte e si arriva a tutta?

E’ insolito. Come è insolito che debbano essere le squadre a segnalare la pericolosità di un passaggio e non sia la commissione tecnica che approva i percorsi a valutare l’anomalia. In ogni caso, i corridori in coro hanno ribadito lo stesso punto di vista, senza che questo abbia lasciato apparentemente traccia nelle valutazioni ufficiali.

Andreoli e Totò al traguardo. Il cittì Addesi si è raccomandato di affrontare quel tratto con prudenza (foto FCI)
Andreoli e Totò al traguardo. Il cittì Addesi si è raccomandato di affrontare quel tratto con prudenza (foto FCI)

I mondiali per tutti

Nell’intervista pubblicata ieri a Vittorio Podestà, il campione di paraciclismo ritirato nel 2021 ha rilevato un dettaglio niente affatto trascurabile. «L’organizzazione di un così grande evento aperto ad atleti con prestazioni così diverse – ha detto ad Alberto Dolfin – è portata a scegliere percorsi non completamente a fuoco per alcune categorie. Nei campionati del mondo esclusivamente per il paraciclismo non accade».

Su quella stessa discesa a ben vedere stanno correndo anche i tandem, che hanno davanti un atleta normodotato e dietro un non vedente, che subisce le asperità della strada. Nel tandem frena uno solo, ma il peso è doppio. Anche loro hanno la posteriore lenticolare e l’anteriore ad alto profilo. Visto il percorso, il cittì azzurro Addesi si è raccomandato di correre in sicurezza, pensando soprattutto alla prova su strada. Va bene essere costretti a disegnare percorsi non completamente a fuoco, ma siamo certi che far passare i tandem su quel tratto di strada (su cui oggi pende anche l’incognita della pioggia) fosse inevitabile?

Il mondiale di Zurigo va avanti con le prove contro il tempo. Finora lo spettacolo è stato di altissimo livello. Gli organizzatori hanno fatto un lavoro impeccabile e magari quelli appena spiegati saranno i soli due scivoloni di dieci giorni al top.

Ci può stare, nessuno è perfetto: per questo ci sono quelli deputati a controllare, ma questa volta gli uomini dell’UCI sono restati immobili. Quella discesa andava tolta, allo stesso modo in cui dai percorsi di tante gare in passato sono stati eliminati passaggi pericolosi. Il perché non sia accaduto cercheremo di capirlo stasera, tornando in treno verso il nostro albergo.

Grace Brown, un altro oro e la scelta di dire addio

23.09.2024
5 min
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ZURIGO (Svizzera) – A un certo punto della conferenza stampa, a Grace Brown vengono gli occhi lucidi. La disamina della crono vinta con 16 secondi su Demi Vollering è durata il tempo di un battito di ciglia, poi il discorso si sposta sul suo annuncio (fatto alla fine di giugno) del ritiro a fine stagione. Manca ormai poco. E dopo la vittoria alla Liegi e l’oro olimpico della crono, sembra davvero strano che alla fine del 2024 l’australiana mollerà tutto.

«Non sapevo esattamente come sarebbero state le mie energie dopo le Olimpiadi di Parigi – racconta l’australiana che come Evenepoel ha doppiato a Zurigo l’oro di Parigi – però mi sono concessa lo spazio per cambiare aria un po’ e non stressarmi troppo per il campionato del mondo. Quando sono tornata ad allenarmi e ho iniziato a finalizzare i miei allenamenti su questo evento, sono rimasta piacevolmente sorpresa di sentirmi ancora forte in bici. Sono arrivata qui sicura di poter fare qualcosa».

Veloce in pianura, potente in salita, accorta in discesa: così Grace Brown ha vinto il mondiale crono
Veloce in pianura, potente in salita, accorta in discesa: così Grace Brown ha vinto il mondiale crono

Le gare contate

Siamo curiosi. Come ci si rapporta con la fatica, sapendo di essere agli ultimi fuochi? Si ha la tentazione di lasciarla andare oppure la si tiene stretta facendosela amica? Lei ascolta, annuisce col sorriso e spiega. Non c’è una gran folla attorno, le parole arrivano bene anche senza il microfono. La stanza ha il soffitto come un alveare, le grandi vetrate guardano verso il lago.

«Sono sicura che questa consapevolezza – prova a spiegare – mi sia di aiuto, perché non ho un’alternativa con cui confrontarmi mentalmente. So che questa è la mia ultima stagione e forse questo mi ha dato l’energia mentale necessaria per puntare tutto su di me e concentrarmi al 100 per cento. Quest’anno mi sono chiesta quale sarebbe stato il risultato se avessi puntato tutto su questi due grandissimi obiettivi. E ora che li ho raggiunti, sento di aver raggiunto il mio massimo potenziale e finalmente so cosa significa».

Oro nella crono di Parigi, davanti a Henderson e Dygert, il magico 2024 di Grace Brown è proseguito con la crono olimpica
Oro nella crono di Parigi, davanti a Henderson e Dygert, il magico 2024 di Grace Brown è proseguito con la crono olimpica

Una scelta di vita

Quando però il discorso si sposta sul lato emotivo della faccenda, allora la voce sorridente di Grace cambia tono. Si capisce quanto sia doloroso lasciarsi tutto alle spalle e allo stesso tempo quanto sia pesante passare dei mesi via da casa. Forse solo ora si percepisce davvero la distanza fra l’Australia e l’Europa. Quante persone ti hanno chiesto di fare un altro anno? E cosa pensi quando te lo chiedono?

«Credo di aver perso il conto – sorride – probabilmente più di mille. Ma sì, sarebbe bello, ovviamente, continuare a fare sport. Mi piacerebbe continuare a dare il mio contributo allo sport e continuare a contribuire al ciclismo e all’entusiasmo per il ciclismo femminile, che è una parte importante di tutto questo. Sono sicura che l’anno prossimo, quando guarderò le gare, mi dispiacerà non essere più presente.

Ad aprile, nella sua ultima primavera da corridore, Grace Brown ha battuto Longo Borghini alla Liegi
Ad aprile, nella sua ultima primavera da corridore, Grace Brown ha battuto Longo Borghini alla Liegi

«Però il motivo per cui ho scelto di mollare non è perché mi sono disamorata del ciclismo. Lo faccio perché la vita che ho messo da parte in Australia negli ultimi sei e più anni mi sta riportando indietro ed è più forte del mio amore per il ciclismo. Per questo smetterò. I risultati di quest’anno sono sempre stati i miei obiettivi e mi sono preparata per raggiungerli, quindi non mi faranno cambiare idea all’improvviso».

Ancora due

Ci sono amore e malinconia. Poi si capisce che forse proprio aver raggiunto certi risultati potrebbe essere stato la molla per voltare pagina e cercare le stesse soddisfazioni in una vita un po’ più normale.

«Probabilmente qui in Europa – spiega – non ci si rende conto di cosa significhi lavorare nel ciclismo per un’atleta australiana. Credo che anche molte delle mie compagne e delle mie avversarie non capiscano davvero i sacrifici che ho fatto. Ho un marito, ma è in Australia. Ciò che rende perfetto il fatto di smettere e tornare a casa è la presenza della mia famiglia e dei miei amici. Non so, mi sento bene quando torno lì e francamente conto i giorni. Non passa giorno senza che riceva abbracci e si faccia qualche piccola festa, ma la testa è ancora alla bici. Mercoledì farò la staffetta con questa squadra e non vedo l’ora. Non l’ho fatta negli ultimi anni solo perché veniva prima della crono individuale. Invece quest’anno ho alzato la mano e non vedo l’ora di correre. Penso che abbiamo una squadra forte e spero di poter competere anche lì per la medaglia d’oro.

Il miglior tempo e la hot seat: il mondiale crono era un obiettivo e Grace Brown lo ha centrato (foto Zurich 2024)
Il miglior tempo e la hot seat: il mondiale crono era un obiettivo e Grace Brown lo ha centrato (foto Zurich 2024)

«E poi, ovviamente, resta la gara su strada di sabato prossimo. La nostra squadra è davvero forte. Non abbiamo un favorito assoluto, ma credo che se sapremo essere intelligenti dal punto di vista tattico, potremo avere buone possibilità».

Detto da una che alla Liegi ha tenuto duro su tutte le cotes e poi ha battuto in volata la nostra Longo Borghini, suona vagamente minaccioso. Non offenderti Grace, oggi siamo tutti con te e con le tue emozioni, ma sabato si farà tutti il tifo per la Longo.

Evenepoel fa sua anche Zurigo: il bis iridato è servito

22.09.2024
5 min
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ZURIGO – Remco Evenepoel trova anche il tempo di alzare le braccia sotto lo striscione dell’arrivo. Il belga ha battuto il nostro Filippo Ganna in un confronto uno contro uno che alla vigilia era dato per scontato. E invece, sulle strade di Zurigo, di scontato non c’è stato nulla. In cima alla salita, al termine del secondo intermedio, il margine di Evenepoel era di nove secondi. Alla fine, nonostante la speranza finale alla quale si è appoggiato il team azzurro, il bis mondiale per il famelico Remco è servito. Allo scintillio dorato della sua Specialized, che ricorda il trionfo di Parigi, si aggiunge quello della seconda medaglia iridata nelle prove contro il tempo.

«Non è stato uno sforzo drastico – dice – cercavo solo di sentire la cadenza, di sentire il dolore nelle gambe e di soffrire. Credo che la salita l’avrei potuta fare più veloce, sentivo che non stavo davvero spingendo. Per fortuna ho mantenuto il mio vantaggio, anche se negli ultimi 5 chilometri ho fatto davvero fatica a mantenere la velocità e il ritmo costanti. Ganna si è avvicinato parecchio nell’ultima parte, il fatto di aver recuperato Roglic gli ha dato morale e un obiettivo da seguire. Naturalmente, in un campionato del mondo, c’è solo una cosa che conta, vincere. Alla fine il modo in cui è andata non è molto importante».

Per il secondo anno consecutivo Evenepoel è campione del mondo a cronometro, questa volta davanti a Ganna e Affini
Per il secondo anno consecutivo Evenepoel è campione del mondo a cronometro davanti a Ganna

Imprevisto al via

Il pomeriggio per il campione olimpico non era iniziato nel migliore dei modi però. La sua bici d’oro ha avuto un salto di catena sulla pedana di partenza. Momenti di tensione nei quali Evenepoel ha spinto via la telecamera della televisione svizzera, colpevole di essersi avvicinata troppo. Per un attimo è comparsa anche la bici di riserva, invece Remco è rimasto saldamente in sella alla prima spazzando via a colpi di pedale ogni dubbio sullo stato della catena incriminata. 

«E’ la seconda o terza volta – spiega il neo campione del mondo a cronometro – che mi capita una cosa del genere. Spesso ci sono così tante telecamere in giro che tolgono il segnale al misuratore di potenza. Probabilmente è una cosa che ha a che fare con la catena, perché c’era molto movimento sulla guarnitura in quel momento e abbiamo dovuto forzare un po’ il sistema per rimetterla a posto. Si è trattato di un problema di piccole dimensioni, che si sarebbe potuto ingigantire se avessi perso tempo prezioso per la gara. Per fortuna non dobbiamo pensarci. Credo che ci sia una cosa che mia moglie mi ha insegnato nel corso degli anni: ovvero che non ho nessun controllo su qualcosa che non è controllabile, e questo non era una situazione del genere. Quindi ho cercato di rimanere calmo e concentrato». 

Il contrattempo tecnico per Evenepoel è stato senza dirette conseguenze sulla prestazione, anche se ha dovuto pedalare senza misuratore di potenza. 

«Non vedere dopo pochi metri di gara, alcun numero sul mio computerino – continua – non è stato facile da gestire. Mi piace molto pedalare guardando la cadenza e la potenza media. Diciamo che oggi è stato un grande test per me, e credo di non aver fallito, per fortuna (ride, ndr)».

Una delle delusioni di giornata è stato Roglic, lo sloveno alla fine paga più di due minuti da Remco
Una delle delusioni di giornata è stato Roglic, lo sloveno alla fine paga più di due minuti da Remco

Da Parigi a Zurigo

I giorni dopo la prova olimpica su strada, per stessa ammissione di Evenepoel, sono stati parecchio complicati. Gestire le emozioni e il carico di attenzioni dopo il doppio oro di Parigi non è stato semplice, nemmeno per chi le attenzioni e le vittorie le mastica da quando era un ragazzino. 

«Ero piuttosto preoccupato dopo Parigi – ammette – perché non riuscivo a fare sforzi intensi. Poco prima del Tour of Britain, che ha sancito il ritorno alle gare, ero dubbioso sul mio stato di forma. Questo è anche il motivo per cui abbiamo deciso di non prendere parte ai campionati europei. Con il senno di poi possiamo dire che è stata una buona scelta. Se guardiamo al risultato possiamo dire che i primi due di oggi (Evenepoel stesso e Ganna, ndr) hanno un ampio margine sugli altri. La cosa che ci accumuna è l’aver saltato gli europei».

«La fiducia nei miei mezzi – riprende Evenepoel – è arrivata dopo il Tour of Britain. Gli allenamenti sono andati bene. Anche qui, nell’ultima settimana tutto è andato come previsto. Negli allenamenti dietro motore sentivo di stare bene ad alte velocità. Per fortuna, perché credo che se non avessi avuto la fiducia che ho ora, non sarei stato così performante e concentrato.  

Poco prima del traguardo l’esultanza, il casco d’oro meritava risalto ha ammesso Remco in conferenza stampa
Poco prima del traguardo l’esultanza, il casco d’oro meritava risalto ha ammesso Remco in conferenza stampa

Ancora Italia-Belgio

Con il tempo ci siamo abituati spesso a vedere uno scontro costante tra Evenepoel e Ganna. Un braccio di ferro che da un po’ verte in favore del talento belga. 

«In mezzo a Ganna e Affini – dice con una grande risata – mi sento come la mozzarella in mezzo al pane. A parte gli scherzi penso che si siano comportati ad un livello molto alto. Ho visto alcune foto di Ganna durante la settimana e ho potuto constatare che era in forma. Sulle lunghe distanze è molto forte, credo che abbia dimostrato ancora una volta che è un campione. Eravamo, e siamo sempre stati, molto vicini. Quest’anno è già la seconda o la terza volta che ci sono due ragazzi di un metro e 90 accanto a me. Meglio salire sul gradino più alto del podio perché altrimenti non rientrerei nella foto».

E’ stato fatto notare al belga come nel 2021 sul podio ci fossero un italiano, proprio Ganna e due belgi: Van Aert e lui. Quest’anno la tendenza si è invertita. 

«Non penso sia una vendetta o qualcosa del genere – conclude – Ganna, Affini e io abbiamo una buona amicizia. Nelle altre gare parliamo spesso. Credo che se oggi avesse vinto lui e io fossi stato secondo con gli stessi tempi, sarei stato contento per lui. Penso sia logico che il più forte vinca se non ha problemi meccanici o altro. Ganna dice di aver perso tempo in discesa, ma molto dipendeva da come si sarebbe arrivati in cima alla salita del secondo intermedio. Credo abbia perso tempo perché era stanco e in un tratto tecnico non riesci ad andare forte come vorresti. Questa è stata forse la chiave della mia vittoria di oggi, il fatto di essere ancora a posto in cima alla salita. Da un lato credo di essere stato fortunato perché se la gara fosse stata più lunga di altri 5 chilometri avrei perso».

Paraciclismo e polemiche: a Di Somma la risposta di Podestà

22.09.2024
7 min
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Dalle otto medaglie ai Giochi di Parigi all’argento della staffetta di Mazzone, Mestroni e Cortini che ieri ha aperto la rassegna iridata di Zurigo (in apertura, foto FCI). Il paraciclismo azzurro non si ferma e su bici.PRO continuiamo a raccontarvi le medaglie, ma anche quello che ci sta dietro. Il bilancio paralimpico della nuova gestione targata Pierpaolo Addesi-Silvano Perusini ha provocato nelle scorse settimane la reazione di chi ha tessuto le fila azzurre fino ai precedenti Giochi di Tokyo. 

Le parole di Di Somma però hanno sollevato un vespaio, chiamando allo scoperto sui social diversi atleti paralimpici che le hanno ritenute inaccettabili. Per approfondire l’argomento abbiamo chiesto il parere di uno dei pionieri dell’handbike in Italia come Vittorio Podestà. Il ligure, 51 anni, è stato il primo campione iridato azzurro nella disciplina (Bordeaux 2007) e si è ritirato poco prima di Tokyo in seguito all’incidente di Alex Zanardi. Essendo stato uno degli atleti di punta della precedente gestione, Podestà ha voluto chiarire alcuni punti. Nella lunga chiacchierata con noi, ci ha spiegato anche ciò che secondo lui non funziona nel panorama internazionale.

Podestà ha deciso di ritirarsi dopo che l’incidente che impedì a Zanardi di partecipare a Tokyo (foto CIP/Ujetto)
Podestà ha deciso di ritirarsi dopo che l’incidente che impedì a Zanardi di partecipare a Tokyo (foto CIP/Ujetto)
Vittorio, che cosa ti ha colpito di Parigi?

Parto da quello che non mi è piaciuto. C’è un grande problema internazionale che vedo nell’handbike, ma anche paraciclismo ed è legato alle classificazioni. In vista dei Giochi casalinghi, l’asso francese Mathieu Bosredon è stato riclassificato: era già vicecampione mondiale H4 e l’hanno spostato negli H3, magicamente, dopo tanti anni, senza particolare motivi clinici. Ha demolito la categoria, lo si è visto nella gara in linea in cui ha forato, è rientrato e ha pure aiutato il compagno di squadra nella lotta per la medaglia d’argento. Noi azzurri che avevamo una corazzata negli H3 ci siamo trovati ad accontentarci di un bronzo con Mirko Testa.

E non è l’unico caso, viste le perplessità sollevate, ad esempio, in campo femminile da Francesca Porcellato.

Le classificazioni stanno diventando purtroppo una sorta di doping nascosto nel mondo paralimpico. Con il successo delle ultime edizioni, come in tante altre discipline, ci sono sempre più riflettori puntati. Non voglio fare troppe insinuazioni, ma tante classificazioni sono sospette e gli avversari non sono contenti. C’è stata anche una protesta molto accesa di alcuni atleti alla tappa di Coppa del mondo di Maniago, ma non è stata presa in considerazione, anzi è arrivata una forte condanna dall’Uci. Ci vorrebbe una maggior tutela degli atleti. Diciamo che non ho guardato con grande piacere Parigi sapendo di vittorie già scritte in maniera palese, perché lo sport che mi piace è quello equilibrato, con grandi battaglie sul filo dei secondi.

Che cosa ci dici, invece, delle dichiarazioni della precedente gestione che hai commentato anche a mezzo social?

Tanti atleti, tra cui il sottoscritto, hanno contribuito a far cadere la vecchia gestione, perché erano stufi della gestione dell’ex CT Mario Valentini. Si andava da gravi problemi logistici, passando per problemi di rispetto per gli atleti, in particolare per le categorie che hanno più difficoltà causa tetraplegia.

Fra i ricordi più belli di Podestà, l’oro di Rio nella staffetta con Zanardi e Mazzone (foto CIP/Ujetto)
Fra i ricordi più belli di Podestà, l’oro di Rio nella staffetta con Zanardi e Mazzone (foto CIP/Ujetto)
A cosa ti riferisci in particolare?

A tanti aspetti, che possono sembrare piccolezze, ma che fanno la differenza ad alto livello e che l’attuale staff ha messo in conto. Non può esistere che un atleta si trova a fare un raduno o durante gare cruciali come Coppe del mondo e mondiali in hotel con il bagno troppo stretto o il wc e la doccia difficilmente accessibili. Nessuno curava questi dettagli che per noi erano cruciali. Gli atleti per poter dare il massimo e concentrarsi sulle gare non possono disperdere energie mentali per certe barriere architettoniche. Non è possibile che avessi una logistica migliore quando mi spostavo con la mia società rispetto a quella con la nazionale.

E su Tokyo cosa vuoi aggiungere?

E’ stato il caso emblematico. Il Villaggio Olimpico della capitale era troppo lontano dal circuito ai piedi del Monte Fuji (la scelta di dove collocare il Villaggio ovviamente non compete alle federazioni nazionali o ai loro tecnici, ndr). Io non ero presente, ma i ragazzi che c’erano in Giappone, mi hanno riportato di disagi esagerati che si sono ripercossi sulla qualità dei risultati. Eravamo tra le poche nazionali che non hanno provato il percorso, mentre altre squadre ci sono andate mesi prima. L’unico dei nostri che ci era stato era Zanardi ad inizio 2020. Alex sapeva che non ci avrebbero portato e addirittura nessuno sarebbe andato a verificare la logistica e il percorso di gara. Mi dispiace aver letto certe cose da parte di Di Somma perché era il tecnico migliore dello staff di Valentini. Però risultava praticamente ininfluente perché si limitava ad eseguire gli ordini. E sulla logistica non ha mai preso in considerazione le numerose lamentele che io, come portavoce degli atleti, ho sempre rimarcato fin dai primi anni in cui ho fatto parte della nazionale

Dunque, dietro le medaglie di Londra e Rio che cosa c’era?

Degli atleti fortissimi e superprofessionali con una gestione a mio avviso inadeguata, soprattutto sotto gli aspetti tecnici. Come ho già detto, credo che molti di noi avrebbero potuto raccogliere ancora di più. A Londra 2012 eravamo in 16 tra maschi e femmine e a disposizione c’era un solo meccanico per tutti quanti. A volte, sia io che Alex ci prestavamo ad aiutare i nostri compagni handbiker per risolvere i problemi meccanici. Spiace dirlo, ma il merito dei successi nel paraciclismo è stato principalmente degli atleti e dei loro tecnici personali. Durante l’anno di preparazione erano loro che ci facevano arrivare al massimo della forma per i momenti importanti. Invece negli ultimi 15-20 giorni di ritiro con la nazionale a volte qualcuno rischiava di vanificare tutto con l’eccesso di lavoro che i tecnici richiedevano così a ridosso degli appuntamenti. Come dicevo prima, mi dispiace per Fabrizio (Di Somma, ndr), perché lui in realtà era l’unico che sarebbe potuto essere di aiuto ad Addesi nel dopo Valentini. Ma non ha avuto il coraggio di “tagliare il cordone ombelicale”.

Il bronzo di Martino Pini a Parigi, cui secondo Podestà poteva aggiungersi un podio anche nella prova in linea (foto CIP/Pagliaricci)
Il bronzo di Pini a Parigi, cui secondo Podestà poteva aggiungersi un podio anche nella prova in linea (foto CIP/Pagliaricci)
Come valuti il risultato di Parigi 2024?

Secondo me le otto medaglie sono un bottino più che decoroso. Siamo tornati sul podio nella specialità della pista che sarebbe dovuta essere il “pezzo forte” di Valentini per la sua grande esperienza e che invece dopo Pechino 2008 è stata abbandonata. Negli H3, potevamo avere un paio di medaglie in più e più prestigiose. Mettiamoci anche la sfortuna con Martino Pini che è stato fatto cadere da un altro atleta e ha dovuto inseguire per tutta la gara, altrimenti era da podio nella prova in linea. Oppure ancora il tandem Andreoli-Totò, che senza i problemi meccanici era in piena lotta per le medaglie all’esordio assoluto. Il livello internazionale si è alzato moltissimo e purtroppo il paraciclismo paga lo scotto di avere poco peso nel Comitato Paralimpico Internazionale. Riceve pochi slot in rapporto al numero di categorie e le varie nazionali sono costrette a lasciare a casa molti atleti competitivi, impoverendo lo spettacolo e l’equilibrio tecnico delle gare. Si dovrebbero aumentare il numero di atleti partecipanti e di medaglie in palio che invece attualmente sono condivise tra alcune categorie (soprattutto nelle gare in linea, ndr).

E il futuro azzurro, come lo vedi?

Secondo me la nazionale di paraciclismo e handbike è in buone mani. Le sette medaglie ottenute su strada, lo stesso numero di Tokyo, a mio avviso hanno un valore maggiore. Si è lavorato per il ricambio, a differenza di quanto sostengono i precedenti tecnici. In più Addesi di fatto ha ottenuto questo bottino in appena un anno e mezzo di gestione, perché all’inizio del triennio non aveva poteri decisionali ed era solo in affiancamento a Rino De Candido che non mi è parso adatto all’incarico in queste categorie. L’augurio è che il potenziale non venga più sperperato come in passato e Addesi possa lavorare con più serenità e con un orizzonte più ampio. Sono fiducioso.

A Parigi il bronzo di Mirko Testa nella prova su strada (foto CIP/Pagliaricci)
A Parigi il bronzo di Mirko Testa nella prova su strada (foto CIP/Pagliaricci)
Che ne pensi dei mondiali di Zurigo?

E’ la prima volta per il paraciclismo che ci sono i mondiali dopo i Giochi Paralimpici e quindi vedremo chi sarà appagato e chi vorrà invece rifarsi di qualche risultato deludente. In più, è la seconda volta che i mondiali sono aperti a tutti, disabili e normodotati insieme, come a Glasgow 2023. E’ una bella cosa andare verso l’integrazione totale. Certo, ciò ha come aspetto negativo che l’organizzazione di un così grande evento aperto ad atleti con prestazioni così diverse sia portata a scegliere percorsi non completamente a fuoco per alcune categorie. Nei campionati del mondo esclusivamente per il paraciclismo non accade. Però sono dettagli che col tempo sono sicuro che verranno migliorati e da appassionato sono felice di questa unione delle manifestazioni.