Cyclocross World Championships 2023, Wout Van Aert, Mathieu Van der Poel

Cinque testa a testa: Wout e Mathieu col contagocce

03.12.2025
6 min
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Van der Poel è arrivato per primo anche nel comunicare le sue presenze nel cross. Appena pochi giorni però ed è arrivata anche la lista della… spesa di Wout Van Aert e fra Belgio e Olanda è iniziato il gioco degli incroci. Ebbene, rispetto a quello che è accaduto negli inverni immediatamente successivi al Covid (quando quei due sembravano macchine infaticabili), i testa a testa saranno soltanto cinque.

Anversa (Coppa del mondo) il 20 dicembre.

Hofstade (X2O) il 22 dicembre.

Louenhout (X2O) il 29 dicembre.

Mol il 2 gennaio.

Zonhoven (Coppa del mondo) il 4 gennaio.

Sono otto le gare di cross scelte da Wout Van Aert per l’inverno, poi si concentrerà sulla strada
Sono otto le gare di cross scelte da Wout Van Aert per l’inverno, poi si concentrerà sulla strada

Van Aert a piccole dosi

Per entrambi l’annuncio è stato accompagnato da una serie di annotazioni da cui si capisce che i tempi sono cambiati: probabilmente l’età della spensieratezza è finita. Uno deve fare i conti con l’invadenza di Pogacar, l’altro con risultati non sempre all’altezza.

«Wout ci ha sottoposto la sua proposta abbastanza presto – spiega Mathieu Heijboer, capo dei tecnici alla Visma Lease a Bike – e non c’è stato tanto da discutere. Sappiamo cosa serve per fare bene, senza che questo sminuisca la stagione su strada. C’è un tacito accordo sul rispetto dei ritiri, ma ad esempio, non sarà possibile che partecipi a quello in Spagna fra l’8 e il 16 dicembre.

«Abbiamo pianificato otto gare di ciclocross, tutte in Belgio. Non è una coincidenza: vogliamo ridurre al minimo i tempi di viaggio per non aumentare carico e affaticamento. Allo stesso modo pensiamo che tre giorni di gara di fila siano eccessivi, come sforzo e per la salute, per cui Wout si concentrerà al massimo su doppiette. In questo periodo dell’anno, è necessario anche allenarsi con molto volume e deve esserci il tempo per farlo».

Van der Poel indosserà anche quest’anno la maglia iridata, riconquistata a Lievin lo scorso anno
Van der Poel indosserà anche quest’anno la maglia iridata, riconquistata a Lievin lo scorso anno

La polmonite di Van del Poel

Per quanto riguarda Van der Poel, pare che l’olandese abbia ancora gli strascichi della polmonite del Tour o così ha detto suo padre Adrie per spiegare il fatto che da luglio in poi, Mathieu abbia vinto una tappa al Renewi Tour e poi si sia fermato che era ancora agosto.

«Ci lotta da molto tempo – ha detto Adrie – non era solo un raffreddore. Dopo il Tour, si è riposato per due settimane. Quando ha ripreso, continuava a lamentarsi di non sentirsi ancora come prima e in gara era molto deluso. Al Renewi Tour, ad esempio, è arrivato secondo, ma continuava a non essere brillante. Anche per questo si è fermato e ha ripreso ad allenarsi molto lentamente. Ci sono obiettivi importanti l’anno prossimo ed è meglio recuperare a dovere prima di ricominciare.

«Mathieu si sente molto meglio da qualche settimana, lo capisco dai messaggi che mi manda. Sono andato a trovarlo in Spagna tre settimane fa e si vede che ha un obiettivo. Aveva un bel sorriso, esce in maglia e pantaloncini. Tornerà quando si sentirà in grado di competere per la vittoria».

La presenza dei due campioni fa schizzare il numero dei tifosi (tutti paganti) che seguono le gare di cross
La presenza dei due campioni fa schizzare il numero dei tifosi (tutti paganti) che seguono le gare di cross

Miracoli al botteghino

A queste considerazioni di ordine tecnico devono attenersi gli organizzatori. Una volta ricevuti i calendari, che si tratti di Flanders Classics o di Golazo, sta a loro contattare i team manager dei campioni e cercare di capire in quali condizioni arriveranno e come le loro gare si incastreranno con il fitto programma dei ritiri invernali. Poi si mettono in contatto con i sindaci dei comuni in cui si svolgeranno le gare, perché è ovvio che tutti vogliano ospitare la sfida dei due. Questo da un lato significa spendere di più, ma anche avere una presenza di pubblico sensibilmente superiore.

«Se c’è al via uno fra Wout e Mathieu – ha spiegato a Het Nieuwsblad Christoph Impens di Golazo – il numero di spettatori cresce. Se si hanno entrambi, l’effetto è ancora maggiore. La gara di Mol senza di loro ha abitualmente intorno a 1.500 spettatori. Un anno l’abbiamo spostata al venerdì sera, all’inizio delle vacanze di Natale, e Wout e Mathieu sono partiti entrambi. Gli spettatori sono diventati 6.000. Lo scorso anno a Loenhout sono stati 15.800, un record».

Sul fronte dei costi, l’ingaggio dei due si aggira fra i 15 mila e i 20 mila euro ciascuno per ogni gara. «Devi potertelo permettere – commenta ancora Impens – ma i ricavi extra generati da Van Aert e Van der Poel di solito coprono i costi aggiuntivi. Potrebbero chiedere molto di più, ma non lo fanno e gliene siamo grati. Sono molto ragionevoli: dopo la pandemia, hanno fissato il prezzo e da allora non è cambiato quasi per niente».

Wout Van Aert non ha svolto allenamenti specifici per il cross, ma ha usato parecchio la bici da gravel
Wout Van Aert non ha svolto allenamenti specifici per il cross, ma ha usato parecchio la bici da gravel

Van Aert, mondiale forse

L’ultimo nodo da sciogliere riguarda il mondiale di Hulst. Lo scorso anno Wout escluse che avrebbe partecipato alla sfida di Lievin, invece si infilò nel gruppo all’ultimo momento e ottenne il secondo posto a 45 secondi da Van der Poel.

«Non è stato certo un gioco da parte nostra – dice Heijboer – la porta era chiusa finché Wout non l’ha improvvisamente aperta. Onestamente, in questo momento è socchiusa. Non ci stiamo concentrando sui campionati del mondo e non vogliamo nemmeno prendere una decisione definitiva al riguardo. Wout ha ricominciato ad allenarsi un po’ prima ed è in una forma migliore rispetto all’anno scorso. Allo stesso tempo, non ha ancora svolto molti allenamenti specifici per il cross, al massimo un po’ di gravel. Tecnicamente, non dovremo aspettarci troppo da lui nelle prime gare, ma sta migliorando».

Van der Poel si sta allenando in Spagna, in cerca della condizione migliore (immagine Instagram)
Van der Poel si sta allenando in Spagna, in cerca della condizione migliore (immagine Instagram)
Van der Poel si sta allenando in Spagna, in cerca della condizione migliore (immagine Instagram)
Van der Poel si sta allenando in Spagna, in cerca della condizione migliore (immagine Instagram)

Van der Poel, mondiale certo

Van der Poel invece concluderà la sua stagione di cross proprio ai mondiali, per andare a caccia dell’ottavo titolo iridato. Il percorso di Hulst, fa sapere suo padre, gli piace molto.

«Ci sono dei tratti nei prati – ha spiegato Adrie Van der Poel, vincitore a sua volta di un mondiale di cross – che quando piove possono diventare molto fangosi e sono sicuramente un problema per Wout. Ma a parte questo e le sfide fra i tifosi, il percorso deve essere buono e sicuro, e questi sono aspetti che a volte vengono trascurati».

Il debutto di Van der Poel sarebbe previsto per il 14 dicembre a Namur, prova di Coppa del mondo, ma è in forse per le condizioni di salute del campione del mondo. Peccato che nessuno dei due sarà presente domenica prossima alla prova di Terralba, in Sardegna. Il pubblico italiano lo avrebbe certamente apprezzato.

Wout Van Aert, tour Red Bull negli USA 2025 (foto Joe Pug)

EDITORIALE / Il problema non è (solo) far pagare il biglietto

01.12.2025
6 min
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Si potrebbe ridurre tutto al dibattito, neppure troppo nuovo, sull’opportunità di far pagare il biglietto per accedere a determinati punti sul percorso. Forse però lo scontro è più profondo e vede sul ring la tradizione del ciclismo opposta a una serie di necessità che sarebbe miope non considerare.

«Sono preoccupato per la fragilità del nostro sport – ha detto di recente Van Aert a De Tijd, parlando della fusione fra Lotto e Intermarché – molte persone hanno perso il lavoro quest’inverno, ciclisti e dirigenti. Credo che la fragilità sarebbe minore se, oltre alle entrate derivanti dalle sponsorizzazioni, ce ne fossero anche altre derivanti dallo sport stesso, ad esempio attraverso i diritti televisivi. In questo modo, una squadra non fallisce immediatamente se uno sponsor abbandona, come accade ora».

Tour of Guangxi 2025, Intermarchè-Wanty,
La fusione fra Intermarchè e Lotto ha avuto conseguenze pesanti sull’occupazione di corridori e staff
Tour of Guangxi 2025, Intermarchè-Wanty,
La fusione fra Intermarchè e Lotto ha avuto conseguenze pesanti sull’occupazione di corridori e staff

La torta da dividere

Biglietti da pagare e diritti televisivi, due visioni diverse per risolvere la stessa esigenza: aumentare le entrate. Solo che a fronte di uno sport cresciuto rapidamente e a dismisura, l’approccio resta quello degli anni Ottanta. E il sistema, come già evidenziato da Luca Guercilena, traballa.

«Vedo come l’NBA distribuisce i fondi tra tutte le parti – prosegue il belga, reduce da un tour promozionale negli USA (immagine di apertura da Instagram, realizzata da Joe Pugliese) – e penso che il ciclismo possa imparare molto. Forse ci concentriamo troppo sul fascino e sull’atmosfera popolare. Se si fa pagare cinque euro per l’ingresso, non significa che il ciclismo non sia più popolare. Anche il ciclocross prevede una quota di ingresso e non c’è niente di più popolare. Gare come il Fiandre o il Tour dipendono da noi che vi prendiamo parte. Ma come squadra, non riceviamo nemmeno un compenso sufficiente a coprire i costi di partecipazione. Mi sembra il minimo. La torta potrebbe essere divisa in modo più equo».

Superprestige, montaggio tendone per i tifosi (foto Flanders Classics)
Anche nella gare di cross, non manca il tendone in cui i tifosi (che pagano per entrare) hanno servizi e ristorazione (foto Flanders Classics)
Superprestige, montaggio tendone per i tifosi (foto Flanders Classics)
Anche nella gare di cross, non manca il tendone in cui i tifosi (che pagano per entrare) hanno servizi e ristorazione (foto Flanders Classics)

L’esempio del Fiandre

Soldi agli organizzatori o soldi alle squadre? L’ideale sarebbe mettere tutto sul piatto e dividere secondo logica e proporzione, invece il ciclismo non si è mai preoccupato di fare sistema e ciascuno tira l’acqua alla sua parte.

«Bisogna cercare di fare qualcosa che abbia un sistema economico autosufficiente – dice Pozzato – altrimenti è tutto inutile. Quest’anno abbiamo portato 720 paganti nella nostra hospitality. Il sogno è arrivare a mille persone e cominciare ad aumentare il prezzo del biglietto e la qualità del servizio, con gente consolidata che torna perché sa che vale la pena. Perché hanno servizi e perché, come nella nostra Veneto Classic, vedono i corridori passare per sei volte. Al Fiandre pagano anche 500 euro per una hospitality, qui è difficile far passare l’idea di pagare 10 euro per un servizio. Se non andiamo su questo modello, le corse italiane più piccole muoiono. Il problema è che da noi si è sempre fatto in un modo solo e nessuno pensa a qualcosa di diverso. Solo durante il Giro d’Italia c’è gente per strada, ma è l’evento sportivo dell’anno, è normale che ci sia. Gli altri organizzatori hanno bisogno di fare qualcosa di diverso. ASO e RCS prendono un sacco di diritti tv, sarebbe giusto dividerli con le squadre». 

Giro delle Fiandre, hospitality, ristorante, vip (foto Levy Party Rental)
Lungo il Qwaremont al Fiandre, senza nulla togliere al pubblico che non paga, l’hospitality accoglie migliaia di tifosi (foto Levy Party Rental)
Giro delle Fiandre, hospitality, ristorante, vip (foto Levy Party Rental)
Lungo il Qwaremont al Fiandre, senza nulla togliere al pubblico che non paga, l’hospitality accoglie migliaia di tifosi (foto Levy Party Rental)

Cipollini su Facebook

Pagare o non pagare? Pozzato è tra i sostenitori della necessità di farlo, ma si è trovato contro il parere di Cipollini, rilasciato su Facebook.

« Credo che il ciclismo – ha detto il toscano – si basi soprattutto sul rapporto tra i ciclisti e il tifoso, però probabilmente faccio parte dei vecchi, di quelli datati, non sono un visionario. Immagino che questa cosa del pagare non debba toccare gli eventi straordinari come Giro d’Italia, Lombardia, Milano-Sanremo, queste grandi corse importanti, perché già sfruttano un bene comune come le strade. Non credo che il ciclismo possa essere paragonato al tennis, al calcio, alla MotoGP, alla Formula 1, che sono eventi all’interno di strutture. Diverso se uno organizza una Sei Giorni all’interno di un palazzetto oppure crea un circuito, nel qual caso è giusto pensare anche a un ipotetico ritorno. Ma parlando ancora del Giro d’Italia, le varie istituzioni come Comuni, Province e Regioni investono già, spendendo i soldi dei cittadini per pubblicizzare il territorio, per cui sarebbe come pagare due volte».

La presenza di aree a pagamento non esclude ovviamente la possibilità di seguire le grandi corse in libertà
La presenza di aree a pagamento non esclude ovviamente la possibilità di seguire le grandi corse in libertà

I soldi pubblici

In realtà i soldi pubblici finiscono anche negli sport che fanno pagare i biglietti più cari. Laddove gli stadi non sono di proprietà, essi sono un fardello a carico dei Comuni. Il Foro Italico, che comprende lo stesso Olimpico di Roma, è di proprietà di Sport e Salute, quindi del CONI. Lo spiegamento di forze di Polizia per l’ordine pubblico fuori dagli stadi è a carico dello Stato. Il fatto di pagare il biglietto in situazioni che già godono del supporto dei soldi pubblici è un ostacolo che altrove nessuno sembra essersi posto.

Che mediamente ci sia meno gente è vero. Scarseggia soprattutto lungo le strade piatte, dove l’attesa non è ripagata da chissà quale spettacolo, avendo la diretta integrale che ti permette di vedere tutto e meglio dal divano di casa. Una volta, quando non c’era questa copertura così massiccia, vederli passare era il solo modo per farsi un’idea e ragionare fino all’inizio della diretta. L’idea di Pozzato, che già rende parecchio bene a Flanders Classics (dal cross alle corse fiamminghe), è quella di ricavare delle aree a pagamento in cui coccolare i tifosi che vogliano spendere, offrendo loro uno spettacolo nello spettacolo. Nessuno costringerebbe gli altri che vogliano seguire le corse come si è sempre fatto. E’ un’idea efficace, che tuttavia non risolve il problema.

Il sistema che non c’è

Il sistema ciclismo non è in realtà un sistema, ma un insieme di realtà che cercano di attirare il più possibile per tenere in piedi le loro strutture. E a ben vedere la stessa UCI che detiene la titolarità del WorldTour non fa nulla perché le cose cambino. Se il suo obiettivo è riscuotere i pagamenti di corse e squadre, qualsiasi forma di organizzazione più avanzata la costringerebbe a condividere i profitti. L’UCI chiede e non restituisce, portando avanti una visione miope. Dividendo la torta come propone Van Aert, magari all’inizio qualcuno dovrà fronteggiare entrate minori, poi però il sistema prenderebbe giri e diventerebbe produttivo per tutti.

Questa è la visione di Pozzato, questa la visione di Van Aert e dei belgi. Bocciarla perché si è sempre fatto diversamente è un atteggiamento a dir poco medievale. Bocciarla perché resta concepita a compartimenti stagni è un’altra cosa. Nell’Italia che stenta a uscire dalla dimensione di una volta, potrebbe essere la Lega Ciclismo a guidare il movimento professionistico su un cammino di razionalizzazione delle entrate, dividendo laddove possibile il peso delle uscite. La Coppa Italia delle Regioni potrebbe diventare ben più produttiva di quanto sia oggi.

Tour de France 2025, Parigi, Montmartre, Wout Van Aert attacca, alle spalle c'è Tadej Pogacar

Parigi riapre ai velocisti? Bennati, Montmartre e la volata

11.11.2025
4 min
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«Se parliamo di Jonathan Milan – dice Bennati sicuro – secondo me c’è tutto il tempo per riorganizzare un inseguimento. Sicuramente qualcuno a Montmartre attaccherà, qualcuno farà anche la differenza. Il Van Der Poel della situazione, Van Aert (in apertura il suo forcing del 2025, ndr), Pogacar, Evenepoel, questi corridori qua. Però secondo me c’è il terreno per recuperare e per pensare a fare la volata. O comunque impostare la tappa per arrivare in volata».

C’è poco da fare: l’inserimento di Montmartre nel finale della tappa dei Campi Elisi fa storcere il naso ai velocisti, privati della ciliegina sulla torta dopo tre settimane sulle montagne del Tour. Quest’anno poi, le tre tappe precedenti hanno l’arrivo in salita in un crescendo rossiniano che sarebbe insopportabile senza la prospettiva di un’ultima chance. Forse per questo i tracciatori della Grande Boucle hanno rimescolato le carte del mazzo: Montmartre si farà, ma a 15 chilometri dal traguardo. Ben altra cosa rispetto ai tre passaggi del 2025, l’ultima a 6 chilometri dall’arrivo.

«E’ chiaro che dopo tre settimane – prosegue Bennati – le energie sono quelle che sono. Però in condizioni di asciutto sicuramente i velocisti possono pensare di giocarsi la volata».

Tour de France 2007, Parigi, Campi Elisi, podio, Daniele Bennati
Bennati ha vinto la tappa di Parigi al Tour del 2007, battendo in volata Hushovd e Zabel
Tour de France 2007, Parigi, Campi Elisi, podio, Daniele Bennati
Bennati ha vinto la tappa di Parigi al Tour del 2007, battendo in volata Hushovd e Zabel

Parigi 2025, fu vero spettacolo?

La precisazione sulla strada asciutta vale certamente un passaggio in più. L’anno scorso lo spettacolo fu incandescente, ma la neutralizzazione dei tempi nel circuito finale svilì parecchio la corsa alle spalle dei primi. Alla fine vinse Van Aert, che aggiunse i Campi Elisi all’iconica tappa delle strade bianche di Siena al Giro.

«Io non penso che pioverà anche l’anno prossimo – precisa Bennati – però questo non lo possiamo sapere. La strada bagnata da un certo punto di vista penalizza lo spettacolo, perché lo scorso anno alla prima accelerazione rimasero in sei e non fu bello per la tappa di chiusura in un palcoscenico così bello. Devo dire che da velocista, non è stato bello vedere i corridori da tutte le parti e gruppetti che si rilassavano per arrivare al traguardo. Obiettivamente se dovesse essere nuovamente così, preferirei il circuito classico. Non perché ero velocista e ho vinto su quell’arrivo, ma perché secondo me rendeva l’ultima tappa molto più adrenalinica».

Bastò un’accelerazione perché lo scorso anno a Parigi rimanessero in sei: dietro la tappa fu neutralizzata
Bastò un’accelerazione perché lo scorso anno a Parigi rimanessero in sei: dietro la tappa fu neutralizzata

Da zero a 100 in un attimo

L’ultima tappa del prossimo Tour misura 130 chilometri, che si porteranno a termine senza un dislivello di rilievo, fatta salva la salita di Montmartre. Ciò significa che i corridori, soprattutto i velocisti, avranno nelle gambe i circa 54.450 metri di dislivello delle tre settimane precedenti. Questo significa che l’ultima tappa piatta sarà una passeggiata di salute? No, sarà esattamente il contrario.

«La salita in sé non è durissima – annuisce Bennati – se la paragoni a qualsiasi muro del Fiandre è molto più leggera. Anche il pavé è abbastanza sconnesso, ma non troppo, quindi è abbastanza leggero. Però arrivi con tre settimane nelle gambe, per cui se il Pogacar della situazione vuole vincere l’ultima tappa, per i velocisti si fa comunque dura. Quelli di classifica hanno doti superiori di recupero rispetto a un velocista, quindi potenzialmente sono avvantaggiati.

«Tornando al discorso della tappa breve, per esperienza personale l’ultima tappa del Tour, del Giro o della Vuelta non è mai una passeggiata. Vieni da tre settimane molto impegnative e nei primi chilometri ci sono i festeggiamenti e un’andatura super blanda. Di conseguenza il ricordo che è sempre stato quello di una fatica tremenda quando si inizia ad accelerare sul circuito. Su un percorso del genere, sono sempre avvantaggiati corridori come Van Aert e Van Der Poel, anche se non sono scalatori. Perché il velocista ha provato a fare le volate e magari ha lottato per la maglia verde, quindi ha speso più di loro. Quindi per assurdo una tappa così corta potrebbe trasformare quella salitella in un bel problema. I velocisti dovranno mettere davanti tutti i compagni rimasti».

L’ultima tappa del Tour inizia con brindisi e saluti, ma questa volta Milan avrà la chance di giocarsi la volata
L’ultima tappa del Tour inizia con brindisi e saluti, ma questa volta Milan avrà la chance di giocarsi la volata

I velocisti ringalluzziti

Il senso però è che questa volta i velocisti potrebbero avere lo spazio per ricucire e giocarsi la volata. Magari non tutti, perché non tutti avranno le gambe per reggere quel tipo di accelerazione e il successivo inseguimento.

«Il Bennati che vinse a Parigi – dice il toscano, ricordando – negli ultimi giorni stava meglio rispetto alla maggior parte dei velocisti, perché probabilmente aveva un recupero migliore. C’è da capire se, correndo oggi, avrei messo davanti la squadra per fare Montmartre al mio ritmo, perché probabilmente il peso della corsa se lo prenderebbe Pogacar, soprattutto se vuole attaccare e provare a vincere. Magari per uno come lui 15 chilometri non sono una gran cosa, ma questo sarà un altro bel motivo per aspettare la corsa con grande curiosità».

Ballerini è convinto: «Al Tour ho capito che manca solo la vittoria»

31.07.2025
4 min
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La Grande Boucle, conclusa sull’inedito percorso di Montmartre, ha lasciato nelle gambe e nella testa di Davide Ballerini la consapevolezza di poter ambire a qualcosa di grande. Lo testimonia il fatto che tra una settimana correrà alle Arctic Race of Norway, che prenderà il via da Borkenes. I giorni dopo il Tour de France sono serviti per staccare un po’ a livello mentale, mentre le gambe girano ancora bene. Il momento va sfruttato, perché la consapevolezza e l’ambizione crescono. 

«Ci vorrà ancora qualche giorno per riprendermi totalmente dalle fatiche del Tour – dice Ballerini – sono ancora stanco. Più di testa, perché alla fine oggi sono uscito in bici per fare due orette tranquille e la condizione c’è. Lunedì sarà di nuovo tempo di chiudere le valigie e partire per la Norvegia, vediamo di sfruttare il momento positivo».

Wout Van Aert, Davide Ballerini e Tadej Pogacar sullo strappo di Montmartre, un assaggio di “classica” nella tappa finale del Tour

Dalla caduta agli Champs Elysées

Quel secondo posto di domenica sugli Champs Elysées ha lasciato un po’ di amaro in bocca all’atleta della XDS Astana, sensazione diventata più gradevole una volta raffreddati i pensieri e capito contro chi ci si è trovati contro. 

«La cosa migliore che porto a casa da questo Tour de France – prosegue – è la consapevolezza che se faccio tutto al meglio posso essere là insieme ai primi e giocarmi qualche gara. Anche perché la caduta durante la terza tappa mi ha fatto soffrire molto, ma la condizione c’era e questo mi ha aiutato a uscire dal momento difficile».

Il giorno dopo la caduta Ballerini presentava bendaggi evidenti ma ha saputo resistere e superare il momento difficile
Il giorno dopo la caduta Ballerini presentava bendaggi evidenti ma ha saputo resistere e superare il momento difficile
Il più difficile del tuo Tour?

Sicuramente, la mattina successiva alla caduta stavo davvero male. La vera risposta però l’ho avuta il giorno dopo, in quelle situazioni capisci subito se riuscirai a continuare o meno. Se quando sali in bici per andare al foglio firma senti dolori e acciacchi allora continuare diventa praticamente impossibile. Io appena sono salito in sella mi sono sentito relativamente bene, anche se devo dire che sono stato anche abbastanza fortunato.

In che senso?

Perché i giorni dopo non siamo andati davvero forte, le andature non sono state esagerate. Complice anche l’ottima condizione con la quale mi sono presentato al via da Lille. Arrivavo dalla caduta della Roubaix dove mi sono rotto lo scafoide, gli altri sono andati in altura mentre io avevo scelto di rimanere a casa per riuscire a fare tutta la riabilitazione necessaria. 

Nell’ultima settimana, riassorbite le botte, Ballerini ha provato a giocarsi la vittoria, qui a Valence dove ha chiuso quinto
Nell’ultima settimana, riassorbite le botte, Ballerini ha provato a giocarsi la vittoria, qui a Valence dove ha chiuso quinto
Cosa ti ha lasciato questo Tour?

Che non si deve mai mollare, prima o poi le gambe girano e lo faranno nel momento giusto. Ora ho visto che se mi preparo nel modo corretto posso andare forte, mi manca la vittoria e voglio raggiungerla. Nel ciclismo ne vince uno solo, quindi non è mai semplice.

Però a Parigi hai dimostrato di esserci…

Sì, per sensazioni mie e per l’entusiasmo del pubblico è stato il momento più bello. Sono consapevole che le forze in campo non erano esattamente pari, Pogacar non era al 100 per cento. Lui ha corso un Tour sempre davanti, tirato e al limite. Io ho avuto giorni nei quali mi sono staccato e ho preso il tutto con calma. Fare una, due o tre tappe in questo modo aiuta ad arrivare più freschi nel finale. Van Aert ha mostrato di essere superiore, non c’è nulla da dire. Ci ha lasciati lì con un’azione di forza impressionante. 

Nelle tappe di montagna ha potuto gestire lo sforzo e presentarsi in condizione all’ultima tappa di Parigi pronto a dare battaglia
Nelle tappe di montagna ha potuto gestire lo sforzo e presentarsi in condizione all’ultima tappa di Parigi pronto a dare battaglia
In generale cosa manca per agguantare la vittoria desiderata?

Non c’è un fattore da curare o qualcosa da fare in maniera differente. So che continuando a lavorare e preparandomi in questo modo la gamba c’è. Non si deve mai lasciare nulla al caso, prima o poi il momento arriva. 

Il quarto Tour di Pogacar: non il più bello, ma certo il più faticoso

27.07.2025
6 min
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Ha capito di poter vincere il Tour dopo la vittoria al Mur de Bretagne, poi ha chiuso il discorso sui Pirenei. Tolto il primo conquistato nell’ultima cronoscalata, i tre Tour successivi di Tadej Pogacar si sono risolti nella seconda settimana. Difficile dire se sia per uno schema o per caso, ma di certo anche questa volta sui Pirenei ha imposto l’inchino a tutti i rivali, presentandosi al gran finale forse con le gambe più stanche del solito.

Nell’ultima tappa di Parigi, dopo non essere parso brillantissimo nelle ultime tappe di montagna prive di grandi attacchi, il campione del mondo in maglia gialla ha riscoperto il gusto sbarazzino della sfida. Ha fatto il diavolo a quattro sulla salita di Montmartre e solo alla fine si è arreso alle grande voglia di Wout Van Aert. Ci fosse stato anche Van der Poel, avremmo avuto la sensazione di essere tornati per pochi minuti sui viottoli del Giro delle Fiandre. Il divertimento a un certo livello è una componente decisiva.

«Mi sono ritrovato davanti – racconta – anche se forse non avevo davvero l’energia per vincere. Sono stato davvero felice che abbiano neutralizzato i tempi della classifica generale, così ho potuto correre più rilassato. Serviva solo avere buone gambe per essere davanti e mi sono ritrovato testa a testa con Wout Van Aert. Lui è stato incredibilmente forte, ha vinto con tutto il merito, ma alla fine è stata una tappa davvero bella».

Piegato da Van Aert a Montmartre, Pogacar sfila sui Campi Elisi che lo applaudono
Piegato da Van Aert a Montmartre, Pogacar sfila sui Campi Elisi che lo applaudono

La spinta di Vingegaard

Pogacar vince il Tour contro la Visma Lease a Bike e l’ombra di un piano che non si è mai visto del tutto. Eppure, rileggendo le tappe e guardando negli occhi lo sfinito sloveno, il piano di tenerlo sempre sotto pressione ha parzialmente colto nel segno. Il Tadej sfinito di fine Tour ha pagato certamente l’aggressività della squadra olandese. E anche se Vingegaard non è mai riuscito a staccarlo né a metterlo in difficoltà, di certo la sua presenza nella scia non ha mai permesso alla maglia gialla di abbassare la guardia.

«Sono senza parole per aver vinto il quarto Tour de France – commenta Pogacar – è una sensazione particolarmente fantastica. Penso che la vittoria sia da dividere con la squadra. Abbiamo avuto per tutto il tempo un’atmosfera fantastica, un grande spirito. Ho avuto modo di parlare con Vingegaard stamattina nel tratto neutralizzato prima del via. Ci siano detti quanto sia cambiato il ciclismo rispetto a cinque anni fa, quando ci siamo affrontati per la prima volta. Abbiamo alzato l’uno il livello dell’altro. Ci siamo spinti al limite e abbiamo cercato di batterci a vicenda. Lottare contro Jonas è stata nuovamente un’esperienza dura, ma gli devo rispetto e grandi congratulazioni per il suo impegno».

Pogacar rivendica la vittoria come una grande impresa della sua UAE Emirates
Pogacar rivendica la vittoria come una grande impresa della sua UAE Emirates

Semplicemente stanco

Il terzo posto di Lipowitz, il quarto di Onley, poi Gall, Johannessen e Vauquelin segnalano un’ondata di nuovi talenti in arrivo. Si è sottratto alla lotta Remco Evenepoel, ritirato prima di mettere le ruote sul Tourmalet. Tutti, chi prima e chi dopo, sfilano accanto alla maglia gialla attorno cui si è formato il capannello dei suoi più fedeli, fra cui l’immancabile Urska.

«Ho ancora degli obiettivi da qui alla fine della stagione – dice Tadej senza aprire né chiudere la porta sulla Vuelta – ma non mancano molte gare. Ho bisogno di recuperare perché è stato uno dei Tour più difficili da correre, per tutti nel gruppo. Dalla prima all’ultima tappa, abbiamo corso al massimo, ogni giorno. Non ci sono state giornate facili e abbiamo messo a dura prova il nostro corpo. La tappa di La Plagne è stata molto difficile. Ero esausto e la gente non mi ha visto felice come al solito. Ma mi sembra normale non avere un gran sorriso ed essere felice ogni giorno. A volte non si è al meglio, si potrebbe attraversare un periodo difficile.

«Sono stanco. Se non lo fossi dopo 21 giorni di gara, ci sarebbe qualcosa che non va. Immagino che tutti siano esausti, anche voi giornalisti, dopo tre settimane di corsa in zone miste, in sala stampa, come tutti coloro che partecipano al Tour. Quindi, penso che anche i corridori abbiano il diritto di essere stanchi. Ma mentalmente sono ancora in ottima forma (sorride, ndr)».

Il bacio di Urska dopo la vittoria nel quarto Tour
Il bacio di Urska dopo la vittoria nel quarto Tour

Il sogno della Roubaix

E’ sempre difficile chiedere a un atleta il bilancio di una corsa appena conclusa. Se appare frastornato Jonathan Milan con la conquista della maglia verde, figurarsi Pogacar che è passato in un tritacarne di sollecitazioni al massimo livello prima di poter dire che sia davvero finita. Eppure capisci anche che essere costretto a inseguire sempre e soltanto il Tour non lo trovi così divertente.

«La prima settimana – dice – non è stata divertente. Le tappe sono state frenetiche e brutali anche per gli uomini di classifica. Dovevi essere super concentrato e motivato. Ci sono stati tantissimi attacchi, soprattutto da parte della Visma: è stata una settimana davvero difficile. Anche senza le montagne, ci sono state sempre delle insidie. Ora però è il momento di festeggiare. Per me significa avere una settimana di pace con un meteo migliore di qui. Voglio godermi semplicemente qualche giorno di tranquillità a casa. Poi correrò il Criterium di Komenda a casa mia il 9 agosto e poi penserò alla prossima stagione.

«Soprattutto la Parigi-Roubaix, che voglio vincere. Quest’anno, alla mia prima partecipazione, ho trovato questa corsa pazzesca, voglio tornarci. E penso che tornerò al Tour anche il prossimo anno. Mi piacerebbe saltarlo per una stagione, per provare altre corse, ma so che sarà difficile. Ho dimostrato a me stesso di poter raggiungere grandi risultati. Ora cerco di concentrarmi su altre cose della mia vita, continuando a godermi il ciclismo. E se dovessi battere qualche record storico, come quello dei cinque Tour, sarebbe fantastico, ma non è questo il mio obiettivo».

La tattica della Visma

Lo chiamano per la premiazione, sui Campi Elisi si allungano le ombre e i dintorni. Era il 27 luglio anche quando nel 2014 su quel gradino salì un commosso Vincenzo Nibali. E mentre il ricordo ci riempie di orgoglio sia pure a distanza di così tanto tempo, riflettiamo che al netto dei commenti entusiastici davanti alla bellezza di gesti atletici così sublimi, non è stato il Tour più bello cui abbiamo assistito. Difficile dire se per il suo livello stellare o per quello inferiore dei rivali.

La sensazione a partire dal secondo riposo è che Pogacar abbia dovuto fare i conti con un qualche acciacco che gli ha impedito di rendere come avrebbe voluto. Ugualmente ha vinto il quarto Tour attaccando a fondo a Hautacam e poi nel giorno di Peyragudes. La tattica Visma lo ha stancato, ma Vingegaard non è bastato. Chissà chi dei due avrà ancora margini da scoprire per un futuro lontano che in qualche modo già bussa.

Parigi. Il circuito “olimpico” e la firma di Wout

27.07.2025
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Da Parigi a Parigi. Dalle Olimpiadi dell’anno scorso al Tour de France di quest’anno, le emozioni e lo spettacolo sono rimasti gli stessi. Sempre un belga ha vinto: stavolta si chiama Wout Van Aert, ma che bello è stato vedere il suo rivale numero uno, Tadej Pogacar, in maglia gialla.

Dopo una settimana sotto le aspettative in termini di attesa dei duelli in montagna, la corsa francese si è riaccesa. Si è ravvivato Pogacar e la magia è tornata, anche perché si è ravvivato pure Van Aert. Pensate cosa sarebbe stato se ci fosse stato anche Mathieu Van der Poel.

Luca Mozzato sul circuito di Montmartre a Parigi 2024
Luca Mozzato sul circuito di Montmartre a Parigi 2024

L’occhio di Mozzato

La novità del circuito di Montmartre era importante e ha fatto parlare già mesi prima. Noi stessi avevamo ipotizzato e analizzato questo tracciato, ma oggi siamo andati oltre: l’analisi l’abbiamo fatta con Luca Mozzato, atleta dell’Arkea-B&B Hotels, che non era al Tour ma sul lettino del massaggio al Tour de Wallonie, dove tra l’altro oggi ha ottenuto un incoraggiante quinto posto.

L’anello olimpico misurava 18,4 chilometri. La salita di Montmartre da ripetere due volte, arrivava dopo circa 240 chilometri. L’anello stavolta invece misurava 16,7 chilometri, arrivava dopo appena una settantina di chilometri, ma anche dopo tre settimane. Differenze non da poco.

Differenze che sottolinea parecchio Mozzato. Luca ha corso le Olimpiadi di Parigi 2024 e, tra quello che ha sentito sotto le ruote e quello che ha visto oggi in televisione, ci aiuta a capirne di più.

Piove e il fondo è insidioso: guardate Pogacar (in giallo ovviamente) come si tiene sempre distante da chi lo precede
Piove e il fondo è insidioso: guardate Pogacar (in giallo ovviamente) come si tiene sempre distante da chi lo precede
Luca, cosa ti è sembrato di questo finale parigino?

L’obiettivo del Tour è stato centrato. Prima, nella tappa finale, c’era suspense solo negli ultimi 15 chilometri che portavano alla volata. Adesso c’è stata un’ora abbondante di battaglia.

Ma secondo te la pioggia lo ha un po’ limitato questo spettacolo?

Non direi dal punto di vista tecnico, magari è cambiato qualcosa dal punto di vista del pubblico. Forse c’era qualcuno meno a bordo strada o non ci è rimasto così a lungo. Anche se poi sulla salita il colpo d’occhio era eccezionale.

Che circuito è questo, Luca? Tu ci hai corso alle Olimpiadi, in un altro contesto, con altre temperature e un gruppo ristretto. Ti è sembrato molto diverso?

La parte che era veramente uguale alla fine era quella di Montmartre: l’attacco, la salita e la discesa. Perché poi, per il resto, era completamente diverso. Poi un conto è farlo in una corsa di un giorno e un conto è farlo al termine di una gara di tre settimane, con le energie al lumicino. E per come è andata la tappa è stato come ritrovarsi a correre una classica. Perché di fatto è stata quasi una classica. E non è facile per le gambe degli atleti. Anche tatticamente è difficile fare un paragone tra quella gara e quella di oggi.

L’apporccio allo strappo era complicato e tecnico. ma nel complesso secondo Luca l’anello proponeva qualche curva in meno
L’apporccio allo strappo era complicato e tecnico. ma nel complesso secondo Luca l’anello proponeva qualche curva in meno
Una cosa che abbiamo notato è che Pogacar stava sempre un po’ più lontano rispetto a chi lo precedeva…

Li ho visti affrontare le curve con tanta attenzione, soprattutto in frenata. Bisogna essere molto delicati, sentire proprio la frenata e la ruota, perché era scivolosissimo, specie con tutto quel pavé. E’ vero, Pogacar si teneva più lontano rispetto agli altri, ma il motivo è semplice: lui aveva molto da perdere. Comunque, okay la neutralizzazione del tempo, ma la bici la devi portare all’arrivo. Quindi okay rischiare, ma non oltre il limite. Gli altri erano lì per la vittoria di tappa e si giocavano il tutto per tutto. Poi bisogna considerare un’altra cosa.

Quale?

Che in una grande metropoli come Parigi, tra smog, polvere, foglie, le strade sono sempre un po’ più scivolose. E con questo bagnato e lo sconnesso degli Champs Elysées tutto diventa più insidioso. Per me Tadej ha fatto bene a non prendere rischi eccessivi.

Il momento decisivo. Terza tornata. Pogacar affonda il colpo, Van Aert sulla destra spinge ancora più forte
Rispetto a Parigi 2024, tu mi hai detto che il circuito era un po’ diverso: in cosa?

Alle Olimpiadi la parte in asfalto aveva molte più curve, e una sezione era veramente tecnica prima di prendere la salita. Qui invece, dopo l’Arco di Trionfo, era più lineare. Ma ripeto: sono due corse del tutto differenti.

Come li hai visti guidare?

Con attenzione. Vista la situazione, non mi è sembrato di vedere qualcuno che abbia preso più rischi del dovuto. Le uniche due discese veramente fatte a rotta di collo sono state quella di Matej Mohoric e quella finale di Van Aert. Lì bisognava davvero rischiare: Mohoric per rientrare, Van Aert per allungare. Con i sampietrini bisogna essere sensibili. Mai essere bruschi sui freni: il rischio di bloccare la ruota è un attimo.

Bravissimo Davide Ballerini, secondo davanti a Mohoric. E sullo sfondo Pogacar festeggia il suo 4° Tour
Bravissimo Davide Ballerini, secondo davanti a Mohoric. E sullo sfondo Pogacar festeggia il suo 4° Tour
Pogacar ci ha rimesso di più con la pioggia? Senza contare che Van Aert è anche più pesante di lui, e ai fini della trazione non era poco…

Un po’ sì, ma alla fine mi è sembrato vederlo aver speso un po’ di più nel corso di questa giornata. Proprio per non prendere rischi ha preso più aria degli altri e del necessario. E’ rimasto da solo presto al primo giro. Ha fatto lui la selezione e alla fine forse era un filo meno brillante: ma il gioco valeva la candela. Almeno queste sono mie sensazioni. Magari lui ci direbbe il contrario!

Era più duro questo o quello delle Olimpiadi?

Bisognerebbe farlo! Vedendo l’ultimo giro, questo è sembrato davvero tanto impegnativo. In fuga si staccavano pur essendo stati all’attacco per un’ora. I ritmi erano folli. Ma le due gare, ripeto, erano diverse e, come si dice, le corse le fanno i corridori. Io alle Olimpiadi ho sofferto, ma entrambi i percorsi erano selettivi. E il fatto che sia arrivato un atleta in solitaria vuol dire molto.

Van Aert a fine tappa ha parlato di fiducia da parte della squadra e in sé stesso. Visma che anche oggi lo ha supportato alla grande
Van Aert a fine tappa ha parlato di fiducia da parte della squadra e in sé stesso. Visma che anche oggi lo ha supportato alla grande

La firma (e la fiducia) di Wout

Il Tour de France si archivia quindi con la vittoria – bella e meritata, lasciatecelo dire – di un grandissimo campione. Alla fine, se ci si pensa, Wout Van Aert si è portato a casa i due arrivi simbolo di Giro e Tour: Siena e Parigi. Le lacrime della moglie al traguardo, il suo essersi “nascosto” sulle Alpi (almeno rispetto ai suoi standard), la dicono lunga su quanto e come avesse preparato questo assalto.

«E’ stata una giornata unica – ha detto Van Aert – E’ davvero speciale poter vincere di nuovo sugli Champs Élysées, per la prima volta con la salita di Montmartre nel finale di tappa.
Le condizioni a Parigi erano difficili. La pioggia rendeva la corsa rischiosa, ma la mia squadra ha continuato a credere in me».

«Ci abbiamo provato più volte durante questo Tour, anche ieri, ma non sempre sono stato bene. La parte più difficile in questi giorni è stata mantenere la fiducia in me stesso. Per fortuna le persone che avevo intorno continuavano a crederci. Anche oggi i ragazzi non hanno perso fiducia nelle mie capacità. Siamo riusciti a controllare la tappa. Sull’ultima salita ho dato il massimo: era il nostro piano anche prima della partenza, e ha funzionato».

Affini al Tour: custode di Vingegaard e in supporto di Van Aert

05.07.2025
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E’ iniziato il primo Tour de France in carriera per Edoardo Affini. Un esordio importante per il mantovano, che ormai vive stabilmente in Olanda, e un attestato di stima da parte della Visma Lease a Bike nei suoi confronti. I calabroni hanno voluto mettere un altro dei protagonisti della vittoria di Simon Yates al Giro d’Italia accanto a Jonas Vingegaard. 

L’ultima corsa a cui ha preso parte Affini è stato proprio il Giro d’Italia, da quel momento è iniziata la preparazione per la Grande Boucle. 

«E’ una cosa nuova anche per me – ci ha raccontato poco prima di mettersi in viaggio verso Lille – perché per la prima volta correrò due Grandi Giri in maniera consecutiva. L’anno scorso avevo fatto Giro e Vuelta ma l’approccio è diverso, si ha più tempo per prepararsi e si può staccare un po’. Invece quest’anno appena finito il Giro sono andato in altura a Tignes, praticamente il mio riposo è stato di due giorni».

Edoardo Affini sarà uno degli uomini al servizio di Vingegaard al Tour de France
Edoardo Affini sarà uno degli uomini al servizio di Vingegaard al Tour de France
Quando avete deciso che avresti fatto anche il Tour?

Ne abbiamo parlato seriamente con lo staff che segue la parte di performance al Giro. Ci siamo messi a parlare e abbiamo deciso cosa fare tra le due gare per arrivare pronto. 

Cosa avete deciso?

Di andare subito in altura a Tignes (in apertura foto Instagram/Visma-Lease a Bike). Praticamente il Giro è terminato domenica 2 giugno e io il sabato successivo ero già in ritiro. Per la prima settimana mi sono concentrato sul recupero attivo e sull’adattamento all’altura. Da lì in poi ho fatto allenamenti mirati, pochi giorni dopo sono arrivati anche gli altri che erano al Delfinato. 

Terminate le fatiche del Giro, Affini ha iniziato la preparazione per la Grande Boucle (foto Instagram/Visma-Lease a Bike)
Terminate le fatiche del Giro, Affini ha iniziato la preparazione per la Grande Boucle (foto Instagram/Visma-Lease a Bike)
Come stavano le gambe dopo il Giro?

Bene. Alla fine ogni giorno c’era qualcosa da fare, anche a Roma abbiamo lavorato per la volata di Kooij. Diciamo che ero stanco, ma non distrutto. Un bel segnale in realtà in vista della preparazione per il Tour. 

A proposito, hai cambiato qualcosa negli allenamenti?

Bene o male ho seguito il solito schema. Ho fatto qualche modifica sui blocchi di lavoro facendo due giorni di carico e non tre. Non serviva caricare troppo anche perché l’endurance, arrivando dal Giro era già allenata. Bastava qualche ora in meno di allenamento ma con più qualità. 

Affini correrà le due cronometro del Tour indossando la maglia di campione europeo conquistata a Zolder lo scorso settembre
Affini correrà le due cronometro del Tour indossando la maglia di campione europeo conquistata a Zolder lo scorso settembre
Non sei riuscito a correre al campionato italiano, ti è dispiaciuto?

Con il team eravamo in ritiro ufficialmente fino al 25 giugno, poi eravamo liberi di fare quello che avremmo voluto. Pensare di scendere dall’altura e andare direttamente al campionato italiano a cronometro diventava troppo complicato. Tignes e San Vito al Tagliamento distano parecchie ore di auto, non sarei arrivato nelle giuste condizioni per onorare la corsa. Mi è dispiaciuto perché avrei corso con la maglia di campione europeo. Avrei preferito testare la gamba prima di tornare in corsa, ma non c’è stato modo. Le prime due tappe serviranno per trovare il ritmo. 

Che atmosfera si respirava in ritiro?

Buona, il Delfinato è andato bene, anche Tadej (Pogacar, ndr) è andato secondo le aspettative. Direi che tutto è pronto per la sfida. Però il Tour non sarà solamente una battaglia a due, anche Remco (Evenepoel, ndr) è un cliente scomodo. In più in corsa c’è tutto il gruppo. 

Affini ha già assaporato il clima del Tour de France con la presentazione delle squadre di giovedì
Affini ha già assaporato il clima del Tour de France con la presentazione delle squadre di giovedì
Quale sarà il tuo ruolo?

In linea di massima sostenere e tenere coperto Vingegaard il più possibile. Se ci sarà da tirare sarò uno dei primi a entrare in azione. Poi dovremo capire cosa fare se Van Aert vorrà provare a vincere qualche tappa. In tal caso penso di essere io il primo al suo fianco. 

Che effetto fa essere al Tour?

E’ una grande emozione. Partecipare era uno dei miei obiettivi da corridore e sono felice di esserci. Sono curioso, è la corsa più grande al mondo con un impatto mediatico incredibile. Tutti sanno cos’è il Tour de France. Si andrà forte, ma anche al Giro non si è mai andati piano, da questo punto di vista non mi aspetto enormi differenze. 

Yates c’era, ma nessuno l’ha visto. Affini spiega il capolavoro Visma

07.06.2025
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Affini ammette di non essere uno che dorme tanto, ma che un paio di giorni di letargo dopo il Giro gli sono serviti. Adesso si tratta di preparare un’altra valigia, perché i corridori non si fermano mai, ma prima un ritorno sulla corsa conquistata da Yates ci sta tutto. Quello che ci interessa capire con il mantovano della Visma-Lease a Bike è cosa abbia rappresentato la conquista della maglia rosa per la squadra che nel 2023 aveva vinto Giro, Tour e Vuelta e l’anno successivo si è trovata a fare i conti con infortuni, sfortune e piazzamenti troppo piccoli per le attese generate nell’anno delle meraviglie.

«Diciamo che il 2023 è stato qualcosa di probabilmente irripetibile – dice Affini – poi il 2024, venendo da una stagione del genere, è stato un’annata più complicata, ma non da buttare via completamente. Alla fine, se guardi, non eravamo scomparsi dagli ordini d’arrivo, però è chiaro che una differenza c’è stata. Quest’anno siamo ripartiti abbastanza bene, anche se siamo mancati nelle classiche Monumento al Nord. Siamo stati presenti, ma è mancato il risultato pesante. Per cui venire al Giro e riuscire a portare a casa tre tappe e la maglia rosa credo che sia stata una bella botta di fiducia».

Si prepara la valigia per l’altura, senza conoscere ancora il programma del ritorno alle gare, ma con un’ipotesi Tour che segnerebbe il suo debutto e il giusto riconoscimento per un atleta che più forte e concreto non si può. Affini dice che gli piacerebbe fare il campionato italiano a crono, perché potrebbe correrlo con la maglia di campione europeo, ma altro non è stato ufficializzato e si dovrà attendere la metà di giugno per avere i piani dell’estate.

Sul podio di Roma, Simon Yates e Richard Plugge hanno riallacciato il filo dei Grandi Giri per la Visma-Lease a Bike
Sul podio di Roma, Simon Yates e Richard Plugge hanno riallacciato il filo dei Grandi Giri per la Visma-Lease a Bike
Sei stato uno di quelli che ha incitato Yates perché ci credesse: lo avevi in testa da prima oppure è stato una scoperta giorno dopo giorno?

Ho corso con la allora Mitchelton-Scott in cui c’era anche Simon. Lo conoscevo già, anche se quando è arrivato da noi, era chiaro che fosse stato preso più come rinforzo per Jonas (Vingegaard, ndr). Però allo stesso tempo gli avevano dato carta bianca per giocarsi le proprie carte in certi appuntamenti. E’ partito con l’idea del Giro già dall’inverno e quando siamo arrivati a Tirana c’era l’idea di fare una bella classifica. Volevamo fare tutto il possibile per metterlo nelle condizioni di ottenere un risultato. Poi strada facendo, è cresciuta sempre di più la fiducia che potesse arrivare qualcosa di grande. Per cui direi che abbiamo sempre visto Simon come un uomo per fare classifica e lo abbiamo protetto come meglio potevamo.

Ha raccontato di essere rimasto da solo soltanto nelle crono, mentre per il resto del tempo lo avete tenuto al sicuro…

Il mio compito era di tenerlo il più coperto e il più a lungo possibile, fintanto che in certe tappe il mio fisico me lo consentiva. Invece nei finali veloci, era sempre (tra virgolette) un casino, nel senso che eravamo divisi. Avendo Olav Kooij, Van Aert e io eravamo più concentrati su di lui, almeno nei finali di corsa quando cominciava l’avvicinamento alla volata, quindi negli ultimi 5-6-10 chilometri. In quei casi, il resto della squadra si stringeva attorno a Simon.

Tu hai vissuto il Nord con Van Aert e probabilmente ne hai condiviso le delusioni. Come è stato vederlo vincere la tappa di Siena?

Forse ne ho già parlato con qualcun altro, non mi ricordo bene con chi, ma sostanzialmente non è che in primavera Wout non ci fosse. Era sempre lì, solo che s’è trovato davanti degli altri corridori che in quel momento gli erano superiori. Però a guardare bene, la sua continuità è stata un segnale importante. Poi è chiaro che soprattutto in Belgio la stampa si aspetta tanto e a volte esagera. Però ci sono anche gli altri, non solo lui. Vederlo vincere una tappa, soprattutto quella di Siena che per lui è da sempre un posto importante, è stato un bel momento. Ha fatto un grande lavoro in tutte le tappe, ma vederlo vincere è stato bello per tutti noi. Eravamo tutti contenti, tutta la squadra quella sera ha festeggiato.

Giugno potrebbe essere per Affini l’occasione per correre il tricolore crono con la maglia di campione europeo
Giugno potrebbe essere per Affini l’occasione per correre il tricolore crono con la maglia di campione europeo
Si racconta che dopo la sconfitta del 2023, lo scorso anno Pogacar fosse davvero super determinato. Si percepisce una rivalità fra Visma e UAE?

Forse andrebbe chiesto ai diretti interessati, quindi Jonas e Tadej. Però noi, come squadra, sappiamo quali sono i corridori che effettivamente devi considerare rivali al 100 per cento. E’ normale che quando hai gli stessi obiettivi, diventi automaticamente il rivale numero uno. Allo stesso modo, quando hai due corridoi come Vingegaard e Pogacar, la rivalità diventa più forte. Ovviamente ce ne sono anche altri, il Giro ad esempio ha mostrato Del Toro e Ayuso, ma avere dei riferimenti come loro è una spinta reciproca. Ogni squadra cerca di migliorarsi, magari nel trovare quello 0,5 per cento per andare un po’ più forte. E questo riguarda i corridori, ma anche lo staff. Alla fine, se il livello è alto, lo scontro è elevato, come nel calcio.

Eppure, pur conoscendovi, è parso che nella tappa di Sestriere la UAE Emirates abbia sottovalutato Yates: a Martinelli è parso incredibile…

Per quello forse è stato bravo Simon con la sua esperienza, a gestirsi in quella maniera. Come ha detto anche lui, non ha preso un filo di vento e nessuno quasi lo ha visto. Il nostro scopo sin dall’inizio era portarlo avanti nel Giro senza che facesse troppa fatica. Praticamente c’è sempre stato, ma era come se non ci fosse e così ha gestito al meglio le sue energie.

Gorizia, disastro al Giro. Ciccone all’ospedale, Van Aert accusa

24.05.2025
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C’erano le Frecce Tricolori e le bandiere. Se non fosse stato per la pioggia, sarebbe stata una giornata di festa. Si annunciava come una tappa di avvicinamento alle prime montagne, con l’arrivo condiviso fra Gorizia e Nova Gorica nel segno della cultura e della fratellanza tra i popoli. Invece si è trasformata nel disastro per i protagonisti italiani del Giro d’Italia. Può succedere ancora tutto, come si affrettano a ripetere i commentatori televisivi, ma il dato di fatto sconsolante è che la situazione rosea di ieri è ormai un lontano ricordo.

Colpa di una caduta provocata non certo dal fato: in certe dinamiche purtroppo la sfortuna non è il primo fattore da considerare e dopo la tappa Van Aert lo ha detto chiaramente. Mancavano 23 chilometri al traguardo e in testa al gruppo la Visma-Lease a Bike lavorava nella scia di Asgreen ancora in fuga, per portare Kooij alla volata, quando è successo il finimondo.

«Certo era un circuito con molte curve – ha detto Van Aert ai media belgi dopo l’arrivo – ma quello di Lecce mi era sembrato molto più pericoloso. Quello che è successo oggi è stato una scelta dei corridori. I team di classifica sono nervosi, producono il loro stress ed è per questo che cadono. Bisogna avere il coraggio di dirlo. Corrono costantemente dei rischi eccessivi ed è per questo che cadono».

Non è ancora dato sapere se ci saranno polemiche perché la squadra olandese ha continuato a tirare, ma con Asgreen ancora in fuga e lanciato verso la vittoria non avrebbe avuto senso fermarsi. E così la Visma si è ritrovata senza la tappa, ma con Simon Yates rientrato in classifica. Anche se non è così probabilmente che sarebbero voluti tornare in gioco.

Del Toro, occhi di gatto

La caduta, si diceva, è avvenuta nelle prime quindici posizioni del gruppo, a conferma di quanto detto da Van Aert. Sono rimasti dietro quasi tutti gli uomini di classifica, ad eccezione di Isaac Del Toro, che ha riflessi da gatto e sembra quasi avere l’occhio magico per prevedere quel che accadrà. La tappa era vissuta quasi interamente sullo stesso schema, con i quattro fuggitivi davanti e il gruppo a fare l’elastico alle loro spalle, per non prenderli troppo presto. 

Asgreen, Davy, Marcellusi e Maestri, con la Alpecin e la Visma dietro a tenere il ritmo allegro avendo ancora Groves e Kooij con i migliori. Tutto il giorno così, fino al primo passaggio sul Saver, salita di 700 metri con una pendenza del 7,7 per cento, quando il gruppo è stato completamente falciato da una caduta.

Una strettoia tra le vie cittadine. Il fondo acciottolato bagnato. E dopo la frenata, il rumore della caduta. Tra coloro che hanno messo piede a terra e che sono anche caduti, si sono segnalati subito Pedersen e Vacek, candidati a giocarsi la tappa. La maglia rosa Del Toro, che però è ripartito subito. Bernal, Roglic e Ayuso, lesti a riprendere il ritmo. Mentre Ciccone è rimasto fermo, poi si è seduto sul marciapiede, con il ginocchio evidentemente malconcio.

Prima della tappa, l’abruzzese era settimo in classifica generale, a 2’20” dalla maglia rosa. Aveva conquistato per due volte il podio, ma ora il punto di domanda è se riuscirà a ripartire domani ed eventualmente virare verso la conquista di una tappa. In questi casi, più del dolore fisico fa lo scoramento e la faccia di Giulio mentre si infilava nella tenda per cambiarsi non prometteva nulla di buono. Il ritardo di 16’14” con cui la Lidl-Trek ha tagliato il traguardo compatta suona come una sentenza inappellabile.

Distruggersi per vincere

La voce di Asgreen risuona a margine della baraonda ed è giusto riconoscere il merito a questo danese concreto e duro, che già in passato è riuscito a battere Van der Poel nella volata a due di un Fiandre. Era il 2021 e in quel piegare Mathieu dopo la fuga a due c’era la sua capacità di tirare fuori il meglio quando anche i più forti sono stanchi. Per questo oggi non ha avuto grandi problemi a scrollarsi dalla scia Marcellusi e Maestri ormai allo stremo delle forze.

«E’ stata una giornata dura – ha detto – per arrivare a questo genere di cose devi distruggerti completamente, ma quando ci riesci la gioia è tanta. La squadra mi ha dato molte informazioni e mi ha anche suggerito a un certo punto di attaccare. So che nella seconda parte di un Grande Giro, le fughe possono arrivare, anche se è una tappa pianeggiante. Eravamo tutti stanchi e per questo ho dato tutto gas. Il circuito era tecnico, le strade erano bagnate, era difficile per il gruppo andare più veloce di noi nella fuga».

Ciccone all’ospedale

La giornata promette di essere ancora lunga. Il reparto comunicazione della Lidl-Trek ha chiesto di non contattare i corridori del team e che gli aggiornamenti saranno forniti quando anche loro sapranno qualcosa di più. Ciccone è stato accolto all’arrivo dal dottor Daniele, che ha cercato subito di farsi un’idea delle sue condizioni. Nel momento in cui scriviamo questo articolo, Giulio sta andando all’ospedale per sottoporsi a radiografie che possano dare una dimensione al suo infortunio. Le ambizioni di classifica forse erano tramontate dopo la cronometro, ma certo nessuno poteva immaginare una simile svolta nel suo Giro.

Vi forniremo aggiornamenti sui nostri canali social quando anche noi sapremo qualcosa di più. Furono ugualmente una caduta (provocata tuttavia da un capriolo che aveva attraversato la strada) e il conseguente dolore al ginocchio a causare il ritiro dell’abruzzese dalla Vuelta dello scorso anno. Attendiamo notizie dal team e intanto cerchiamo di capire quale potrà essere il ruolo dei nostri in questo Giro che è certo d’Italia, ma sempre meno degli italiani.

P.S. alla fine Ciccone ha dovuto alzare bandiera bianca. Gli esami hanno confermato che Giulio ha riportato un importante ematoma al muscolo vasto laterale del quadricipite destro e una piccola lesione alla fascia muscolare. Le sue parole nel comunicato della Lidl-Trek.