Tadej Pogacar, Planche des Belles Filles, Tour de France 2020

Un collage di voci per comporre il Pogacar del Tour

23.12.2020
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Non era mai successo negli ultimi cent’anni che un corridore giovane come Pogacar conquistasse il Tour de France. Prima di lui c’era stato Cornet, due anni in meno, ma accadde nel 1904.

Per contro non era mai successo neppure che il vincitore della maglia gialla sparisse dalla circolazione, senza rilasciare interviste, se non piccoli flash qua e là, in occasione delle rituali visite agli sponsor. Si comprende bene la necessità di tutelarlo da un inverno troppo dispendioso e si comprendono anche gli obblighi di squadra, ma forse anche i tifosi avrebbero meritato un po’ del suo tempo.

Primoz Roglic, Tadej Pogacar, Tour de France 2020
Roglic e Pogacar francobollato, scena tipica del Tour de France 2020
Primoz Roglic, Tadej Pogacar, Tour de France 2020
Roglic e Pogacar attaccato al 2020

La prima data ipotizzata per l’intervista era stata indicata alla metà di novembre, poi era stata rinviata di due settimane, quindi trasformata in una conferenza stampa su Zoom il 7 dicembre, a sua volta rinviata al 21 del mese e adesso a gennaio. Così abbiamo deciso di mettere insieme tutti i contributi raccolti nelle ultime settimane da coloro che sono riusciti a parlarci e fare un punto altrettanto virtuale con il giovane sloveno, che vive a Monaco nello stesso palazzo di Formolo e Valerio Conti e a 100 metri da Roglic. Magari poi, quando ce lo troveremo davanti, parleremo con lui di cosa farà nel 2021.

Slovenia spaccata

Del ritorno in Slovenia, Pogacar racconta con emozioni altalenanti. Roglic è stato nominato atleta dell’anno, entrambi sono risultati ciclisti dell’anno e i loro volti sono stati stampati sullo stesso francobollo

«La gente in Slovenia – ha detto – avrebbe voluto che vincesse lui il Tour e anche io, in qualche modo, pensavo fosse giusto. Lo scenario per la maggior parte del Tour, lui primo e io secondo, stava bene a tutti. Si stavano preparando per festeggiare questo risultato. Alcuni non erano contenti per come è finita. L’ho notato, l’ho visto sui social, mi è stato detto. Ma cosa posso farci? Niente. In Francia il tifo è diviso tra Alaphilippe, Bardet e Pinot. Il tifo spacca, lo ha sempre fatto».

Primoz Roglic, Tadej Pogacar, Tour de France 2020
Questo riconoscimento a Parigi vale molto più di mille parole
Primoz Roglic, Tadej Pogacar, Tour de France 2020
Un riconoscimento prezioso nel giorno di Parigi

In cima tutti piangevano

Di quel giorno a La Planche des Belles Filles, ha ricordi rumorosi e confusi. Come confuso è stato anche dopo aver realizzato di aver sfilato la maglia gialla dalle spalle del connazionale.

«L’ho avuto chiaro – ha raccontato – quando Primoz Roglic ha tagliato il traguardo. Ero arrivato quasi quattro minuti prima. E’ stato un tempo lungo e molto strano. Intorno a me, il massaggiatore e i due ragazzi del team sapevano che stavo per vincere il Tour, ma non volevano dirmelo senza esserne assolutamente sicuri. Nel tratto pianeggiante non avevo informazioni su suoi tempi. Sapevo solo che Dumoulin era in testa. Poi in salita non ho sentito più niente. Non avevo messo il volume degli auricolari molto forte e c’erano molti spettatori che gridavano. A un certo punto ho sentito: «Hai quattro secondi di vantaggio», ma ho pensato che fosse per la vittoria di tappa. E poi mi sono saltati addosso tutti, piangevano, urlavano, erano eccitati. E qui ho capito davvero».

Tadej Pogacar, mondiali di Imola 2020
La fuga di Imola, nata per lanciare Roglic, ha acceso l’entusiasmo dei suoi tifosi
Tadej Pogacar, mondiali di Imola 2020
La fuga di Imola, nata per lanciare Roglic

L’abbraccio di Roglic

Ha raccontato di essere cresciuto con il mito di quel saltatore con gli sci passato alla bicicletta. Fra loro ci sono 9 anni, che nel ciclismo giovanile sono abbastanza per comprendere due mondi completamente diversi.

«Ci siamo incontrati solo nel 2017 – ha raccontato – ai mondiali di Bergen, in Norvegia. Lui era con i professionisti, io ero nell’U23. Ci siamo ritrovati insieme nella conferenza per la stampa slovena. A volte ci alleniamo insieme a Monaco. Prima succedeva in Slovenia, perché non vivevamo molto lontano. A Monaco ci incontriamo per caso, uno dei due gira e proseguiamo insieme. E’ un bravo ragazzo. Non gli piace farsi avanti. Gli parlo spesso mentre corro. Per me non è come un avversario. Per questo lassù non ero molto sicuro delle mie emozioni. Da una parte volevo che Roglic vincesse il Tour, invece sono stato io a impedirglielo. In effetti, è stato proprio lui a tranquillizzarmi. Pochi minuti dopo il suo arrivo, ero già nello spazio interviste per la tv, è venuto ad abbracciarmi. Quel momento non lo dimenticherò mai. E’ come se mi avesse autorizzato a essere felice, come se mi dicesse che non era colpa mia».

La fuga di Imola

Imola sarebbe stata l’occasione perfetta per sdebitarsi. Pogacar si era già chiamato fuori da responsabilità troppo grandi e la Slovenia aveva deciso di puntare su Roglic, lasciando al giovane il compito di fare corsa dura nell’avvicinarsi agli ultimi chilometri. Ma quando Pogacar è partito, sperando di portare via un gruppetto che costringesse la Francia a inseguire, lo ha fatto troppo forte e si è ritrovato da solo.

Mauro Gianetti, Ernesto Colnago, Tadej Pogacar, novembre 2020
Con Mauro Gianetti in visita da Colnago, prima di sparire dai radar
Mauro Gianetti, Ernesto Colnago, Tadej Pogacar, novembre 2020
Con Gianetti da Colnago prima di sparire

«Quando vieni da Paesi dove non c’è un grande bacino di corridori – ha detto – sei abituato a cavartela con meno compagni. Mi successe al Tour de l’Avenir e purtroppo, ma per una serie di sfortune, mi è successo al Tour. Eravamo partiti con una grande squadra, ma dopo il ritiro di Aru e Formolo le cose si sono complicate. Per fortuna De La Cruz mi è rimasto accanto. Era strano essere lì in mezzo a lottare contro tanti campioni. Stiamo assistendo a una generazione che cambia. E’ sicuramente una questione di carattere, di responsabilità assunte prima. Tutti i corridori venuti fuori quest’anno sono stati i riferimenti delle categorie giovanili. Contro Hirschi, ho corso sin dagli juniores. Ci sono molti più team continental che ci preparano in modo più professionale. Anche il covid potrebbe aver avuto un ruolo. Ci sono stati meno eventi e molte gare importanti in un periodo di tempo molto breve. I giovani hanno potuto trarne vantaggio. Un corridore più anziano probabilmente impiega più tempo per trovare il proprio ritmo».

Ne avremo probabilmente un riscontro nel 2021, quando ciascuno potrà impostare la stagione nel modo più consono. Avremo giovani chiamati alla conferma e uomini più esperti desiderosi di riscatto. E ancora una volta vivremo una grande stagione di ciclismo.

Davide Formolo

Papà Formolo, cecchino del latte in polvere!

17.12.2020
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Davide Formolo è diventato papà… e questo lo sappiamo. Lo scalatore veronese è protagonista con sua moglie Mirna e sua figlia Chloe anche sui social. Ed è sempre pronto a mettersi in gioco. Scherza, è autoironico, ma anche molto sensibile.

Via dalla Vuelta

Lo avevamo più volte sentito durante la Vuelta. In Spagna aveva un occhio sulla corsa e l’altro sul telefonino, pronto a scappare via (già in accordo con la UAE) nel caso fosse scattato l’allarme rosso del parto. E invece in un modo o nell’altro “Roccia” la Vuelta l’ha (quasi) finita. 

Davide Formolo
Davide Formolo e sua moglie Mirna ancora in dolce attesa
Davide Formolo
Davide Formolo e sua moglie Mirna ancora in dolce attesa

«Quasi perché l’ultimo venerdì della corsa, Mirna aveva fatto una visita e sembrava che la nascita fosse imminente e così appena arrivato sull’Alto de la Covatilla e finito i miei compiti sono scappato via. Anche perché per via del covid non c’erano più tanti voli da Madrid a Nizza. Anzi, si doveva passare per Amsterdam. 

«Le ultime due settimane della Vuelta sono stato con la paura di svegliarmi la mattina e trovare la foto di mia figlia sul cellulare. Non era bello. Però dai… alla fine sono arrivato in tempo e tutto è andato bene, visto che la piccola poi si è presa qualche altro giorno dopo la fine della Vuelta. Sono riuscito ad assistere al parto. Ha fatto il tampone Mirna e poi io lo avevo rifatto all’aeroporto di Nizza. Ne avevo fatti so quanti alla Vuelta, ma era gratis e per curiosità e scrupolo ne ho fatto un’altro ancora».

Vita quotidiana

«Per ora tutto è tranquillo. Mi adeguo alle poppate. Se Chloe si sveglia alle 7,30 mi alzo, ma se si sveglia alle 6 ci rimettiamo a dormire fino alle 9 ed esco alle 10, tanto di questi periodi andare in bici tardi è anche meglio: fa più caldo. In generale mi piacerebbe esserci. Essere presente man mano che cresce e so che spesso, almeno all’inizio, mancherò. 

«Pannolini? E’ più brava Mirna. Tutine? Sono… imprecazioni! Mia suocera ce ne ha regalata una con la zip. Io dico: ma perché non le fanno tutte così anziché con i bottoncini? Però, ragazzi, sono il numero uno con il latte in polvere, perché Chloe prende l’aggiunta. Abbiamo il piano cottura ad induzione e ormai ho preso le misure per la temperatura perfetta: 55” e il latte è a 35 gradi. Un cecchino!

«Le prime due settimane di notte mi alzavo anche io, poi da quando ho ripreso ad allenarmi ci pensa Mirna. Altrimenti sarebbe sempre come avere il fuso orario addosso».

Questa stessa cosa ce l’ha detta pochi giorni fa anche Diego Rosa. E quando glielo facciamo notare Davide ribatte: «Alessandra (moglie di Rosa, ndr) è stata molto carina. Ha aiutato Mirna nelle visite pre-parto e in tante altre cose. E anche quando ci siamo trasferiti qui a Montecarlo ci ha dato una mano per il trasloco».

Diego Rosa
Diego Rosa e Davide Formolo, amici e vicini di casa
Diego Rosa
Diego Rosa e Davide Formolo, amici e vicini di casa

Formolo 2.0

Davide è il solito fiume in piena. La sua voce è felice e si sente.

«L’arrivo di Chloe è stato come rinascere. Sono contentissimo. Certo, tante cose sono cambiate e stanno cambiando. Prima quando non ero padre sentivo quelli che lo erano che programmavano quasi ogni cosa e io mi dicevo: ma cavolo, goditi, il momento. Adesso, invece, devi sempre prevedere un po’ tutto. Parlo del quotidiano. Lei non può parlare e sai che se piange è perché tra un po’ avrà fame. Perché dopo che ha preso i suoi 300 ml di latte avrà le coliche… Questo cambia le giornate e il modo di vivere».

Però la voglia di fare il corridore c’è sempre e quando è in sella Formolo… resta Formolo. Il ragazzo che scherza, che mena come un fabbro in salita, «ma che è anche più attento», aggiunge Davide.

«Il mio obiettivo adesso è renderla orgoglioso di me».

E dov’è che ti vedremo a braccia alzate? «Beh adesso pretendete troppo! Non so neanche che calendario farò ancora. Vi dico che mi piacerebbe molto provare a correre il Fiandre».

Tadej Pogacar

Pogacar verso Tour e Olimpiadi. Vero Gianetti?

09.12.2020
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Tutto il mondo ciclistico aspettava le parole di Tadej Pogacar per l’inizio di dicembre. Il vincitore del Tour de France però parlerà, sembra, prima di Natale. E’ ipotizzabile, forse anche giustamente, che la squadra voglia proteggere il giovane gioiellino sloveno e Mauro Gianetti, manager della UAE ce lo conferma, come vedremo.

E’ questa la chiave dell’inverno di Pogacar e forse uno dei passaggi più delicati della sua carriera. Vincere è difficile, rivincere è difficilissimo. Ed è quello che un po’ tutti si chiedono: ce la farà Tadej a confermare i livelli di quest’anno? Sarà schiacciato dalla pressione? Bernal sembrava avesse già in tasca cinque Tour e invece ha pagato la “notorietà”.

Tuttavia Gianetti stesso in passato ci ha raccontato di Pogacar come un ragazzo molto tranquillo, in ogni aspetto della sua vita. Una tranquillità che potrà essergli di grande aiuto.

Tadej Pogacar
Da sinistra: Mauro Gianetti, Ernesto Colnago e Tadej Pogacar
Tadej Pogacar
Da sinistra: Mauro Gianetti, Ernesto Colnago e Tadej Pogacar
Mauro buondì! Come sta andando l’inverno di Pogacar? Immaginiamo i suoi tanti impegni, le richieste da sponsor e media…

Il nostro obiettivo è quello di salvaguardare la persona in primis. E’ inevitabile poi che sarebbe arrivato tutto ciò. E’ un aspetto che un atleta di alto livello deve imparare a gestire. Squadra, ma anche famiglia, amici devono “proteggerlo”. Gli impegni vanno calibrati. Ce ne sono alcuni ai quali non puoi sottrarti e altri ai quali devi dire di no, come i capricci di chi “pretende”. E devo dire che Tadej mi sta piacendo per come sta gestendo la situazione. Prima di tutto è rimasto se stesso: la persona semplice che ha voglia di correre e vincere. Ama il suo mestiere. Parla con l’allenatore, chiede, s’informa… insomma è concentrato. Ha passato dei giorni in famiglia e poi è tornato a Montecarlo perché lì c’è un clima migliore per allenarsi. Nessun aspetto glamour, ma voglia di perseguire gli obiettivi del corridore.

Opinione tua: secondo te si rende conto di aver vinto il Tour?

A 22 anni te ne rendi conto ma non fino in fondo. Lo sta facendo piano, piano. Lui è consapevole di essere un talento e sapeva che questo momento sarebbe arrivato, lo sentiva dentro. Era un qualcosa che lui desiderava. Dopo la vittoria del Tour de l’Avenir era certo che sarebbe arrivato ad alti livelli. Magari non era partito per vincere il Tour, ma per salire sul podio… Sono emozioni da gestire. Tutto sommato il fatto di aver perso quel 1’20” nel giorno dei ventagli lo ha scaricato ancora di più di responsabilità e tutto quel che sarebbe venuto sarebbe stato un qualcosa in più.

E sentirà la pressione?

Ah sicuro! Ma la pressione verrà anche da lui stesso perché vorrà ripetersi. E poi ci sarà quella del pubblico, dei media, degli sponsor… E’ tutto un insieme di cose, ma per me Tadej vivrà bene questa emozione, perché alla fine la pressione è un’emozione ed in ogni caso, come detto, è un aspetto che dovrà imparare a gestire. Lui vuol continuare a fare le cose al meglio, come tutti del resto. Tadej è un professionista appassionato del suo mestiere e finché c’è questo atteggiamento non ci si deve preoccupare.

Giusto un anno fa ci avevi parlato di un ragazzo molto semplice anche nella vita quotidiana. Che dorme se la tv è accesa o se c’è l’aria condizionata oppure no. Insomma un ragazzo che si sa adattare…

A lui interessa far bene il suo mestiere. Se il compagno di stanza vuol vedere un film per Tadej non è un problema. E’ l’amico… e questo me lo dicono i suoi compagni. 

Veniamo al 2021, che calendario ci sarà per Pogacar?

E’ chiaro che come vincitore uscente l’obiettivo principale sarà il Tour. Inoltre in Francia ci sarà un percorso diverso rispetto a quello di quest’anno. Tadej comunque inizierà la sua stagione da Majorca e nei prossimi giorni sveleremo il resto del programma.

Tadej Pogacar
Sul podio di Parigi Tadej avrebbe voluto anche i suoi compagni
Tadej Pogacar
Sul podio di Parigi Tadej avrebbe voluto anche i suoi compagni
Ce lo aspettiamo anche nelle classiche delle Ardenne e alle Olimpiadi?

Probabilmente sì, fa parte del percorso di avvicinamento al Tour, come molti hanno fatto in passato. In ogni caso questa è la traccia dei suoi obiettivi. Poi altre cose le decideranno Tadej e i preparatori.

Quindi non lo vedremo al Giro, magari per una doppietta col Tour? I tifosi prima o poi se lo aspettano.

Pogacar compirà 23 anni a settembre, credo sia prematuro. Il Giro è una corsa bellissima ma anche molto esigente. Inoltre proprio quest’anno per via delle Olimpiadi il Tour è anticipato di una settimana e non ci sarebbero i tempi. Tutti i corridori vorrebbero fare il Giro, è la corsa più bella, ma se puoi vincere il Tour… fai le tue scelte.

La UAE si sta rinforzando parecchio: può essere la terza forza con Ineos-Grenadiers e Deceuninck-Quick Step, avete preso Majka…

E Trentin – interviene prontamente – C’è anche la Jumbo Visma che è molto forte. Il nostro obiettivo è quello di essere una delle migliori squadre al mondo se non la migliore. E anno dopo anno ci stiamo lavorando. I nostri atleti sono giovani. C’è Pogacar, ma anche Oliveira, McNulty, Ardila, Covi… Per noi sono importanti quindi i giovani, ma è giusto integrare la rosa con i tasselli mancanti vedi Majka (per la salita, ndr), Trentin (per le classiche, ndr), Gibbons (per la pianura, ndr), ognuno con caratteristiche diverse. Siamo un bel gruppo. Quando sento gente dello staff che mi dice: bello, non sono mai stato in un team così, da manager, non posso che essere orgoglioso.

E’ stato Tadej a “chiedere” Majka per la salita?

Se ne è discusso. E’ chiaro che se c’è Majka libero sul mercato e lui è disposto a venire da noi l’accordo si può realizzare. Ma attenzione però, non che all’ultimo Tour la squadra non ci fosse. Noi abbiamo perso Aru, che sulla carta avrebbe potuto aiutare in salita, e Formolo. Per questo siamo rimasti un po’ scoperti per la salita, però il team era di ottimo livello.

Tadej Pogacar
Senza Aru e Formolo solo De La Cruz (in testa) è riuscito ad aiutare Pogacar in salita al Tour
Tadej Pogacar
De La Cruz (in testa) è riuscito ad aiutare Pogacar in salita al Tour
Vaccino anticovid. Sembra possiate essere i primi a vaccinarvi durante il ritiro che farete negli Emirati Arabi Uniti a gennaio…

E’ un obiettivo che stiamo cercando di realizzare. Mancano degli step, come l’approvazione da parte del governo (Uae). Ma la cura non è solo per il nostro team, ma per tutta l’umanità. Tutto il mondo aspetta i vaccini, non ce n’è solo uno. Vogliamo dare l’esempio.

Chi è stato il ponte tra voi e il vaccino?

Sveleremo i dettagli nelle prossime settimane. Posso dire che diverse aziende degli Emirati hanno contribuito allo sviluppo dei vaccini e da lì è partita l’idea e arrivare così a somministrarlo il più presto possibile, già a gennaio.

Insomma dopo un anno (quasi) si chiude il cerchio, proprio voi e proprio al UAE Tour era partito tutto il caso covid nel ciclismo. Ma chiudiamo cambiando tema: 2021, saresti contento se…?

Difficile ripetere la stagione 2020. Ogni anno va preso per quello che è. Abbiamo sempre guardato avanti. Sarà diverso non solo per Pogacar, ma anche per noi. Le aspettative sono maggiori e l’asticella è più alta.

Aru, 10 ore nella neve e oggi bici con Nibali e Ulissi

06.12.2020
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«Sulla strada ci sono cumuli di neve come in montagna – dice Aru – non ne ho mai vista tanta insieme. Anche Gasparotto che è qui da quasi dieci anni mi ha detto che così è la prima volta».

 

Felice e leggero come un bimbo per la firma con la Qhubeka-Assos, Fabio è rientrato da una ciaspolata di dieci ore. Dietro casa c’è un monte di 1.500 metri e assieme a Davide Orrico ha provato a raggiungere la vetta. Si sono arresi poco prima per le cattive condizioni del meteo e questo non gli è andato giù. Certe volte in montagna è bene non scherzare.

Fabio Aru, Diego Ulissi, campionati italiani 2017
Con Ulissi (e dietro Nocentini) sul podio campionati italiani 2017
Fabio Aru, Diego Ulissi, campionati italiani 2017
Con Ulissi ai campionati italiani 2017

Le parole di Scinto

Mentre l’accordo era ormai in dirittura di arrivo, saputo della sua voglia di riscatto, hanno provato a conquistarlo Scinto, che per primo ha avuto l’idea, poi Reverberi e Savio. Uno con la sua storia vale l’investimento, perché poi si racconti quello che s’è fatto per rilanciarlo. La sensazione però è che Fabio non abbia mai voluto ripartire da una professional.

«Ho ascoltato tutti – dice – e le parole di Scinto mi sono piaciute. Ci sono stati amici che hanno provato a convincermi per altre soluzioni, ma l’accordo con l’attuale Ntt è arrivato prima che uscisse la notizia. Sono stati tanto in difficoltà. Lo sponsor li ha mollati senza preavviso. Tanti corridori sono stati lasciati liberi, il prossimo sarà un anno di ripartenza. Il primo step sarà l’incontro con i preparatori su Zoom. Faremo il ritiro a gennaio, ma qui in Ticino siamo un bel gruppetto, con Nizzolo, Pozzo e Simon Clarke. E l’opera di Qhubeka Charity è stata decisiva. Sono stato alcune volte in Madagascar, ho toccato con mano certi problemi e capire cosa ci sia dietro questa squadra mi rende orgoglioso».

Dieci ore in montagna con la neve al ginocchio
Dieci ore con la neve al ginocchio

Solo un anno

Il suo contratto ha durata di un anno e di più forse neppure sarebbe stato possibile, vista la situazione della squadra e tutto quello che Fabio dovrà dimostrare.

«Mi sta bene così – dice Aru – non è un fatto di soldi e credo che non avrei firmato per tre anni, dopo l’esperienza con la Uae. Non sai mai come ti trovi per un periodo così lungo e se va male liberarsi non è facile. Mi hanno convinto le parole di Douglas Ryder. Non quelle prima che firmassi, ma quelle dopo. Zero castelli in aria, ma grande entusiasmo per il progetto. Non lo conoscevo, sembra una persona davvero a modo. Mi ha anche detto che se volessi, sarei liberissimo di fare anche qualche gara di ciclocross. Michieletto da Scorzè mi ha già invitato. E la cosa onestamente mi stuzzica. Sarebbe un bel modo per ripartire su strada avendo già addosso qualche bello sforzo. Delle bici Bmc mi hanno detto tutti benissimo, soprattutto Pozzovivo con cui capita spesso di allenarsi. Assos ha ottimo materiale. Credo di aver fatto la scelta giusta».

Fabio Aru, Tour de France 2017, maglia gialla
Dopo i tre anni nerissimi alla Uae, si ripartirà dal fantastico 2017?
Fabio Aru, Tour de France 2017, maglia gialla
Dopo i 3 anni in Uae, si ritornerà al super 2017?

Natale a casa

Fra una parola e l’altra sul ciclismo, entrano anche le battute sulla famiglia e presto si capisce il motivo per cui parli così piano.

«La bimba sta dormendo – dice Aru – stiamo cercando di darle degli orari più giusti, perché in certi giorni ci fa impazzire. Adesso si è addormentata, per questo parlo piano. Adesso c’è anche da capire cosa fare per Natale. Non riesco a scendere in Sardegna e nemmeno a Torino dai genitori di Valentina. Dovremmo andare prima del 20 dicembre e tornare dopo il 7 gennaio, ma mi sembra troppo. Spero che qua non continui a nevicare per tutto il tempo. Le strade sono pulite, ma per allenarmi ho anche la gravel. Non potrà andare avanti tanto a lungo, no? E per la palestra ho fatto un investimento. Ho quattro macchine in casa, riesco a fare tutto bene…».

Aru con Davide Orrico fin quasi alla cima del monte
Con Davide Orrico quasi fino alla cime

Stima per Matxin

Non hai avuto paura di doverti accontentare? Il fatto di firmare così tardi può essere stato uno stress, certo minore tuttavia avendo la solidità economica per aspettare. Fabio ha spesso ribadito la seccatura verso chi in questo periodo gli ha fatto i conti in tasca, ma il fattore va comunque tenuto in considerazione.

«Non ho mai avuto questa paura – ribadisce Aru – anche se capisco che dicembre sia parecchio avanti. Avevo zero pensieri, perché sono stato vicino anche ad altre realtà. Lo avete visto, c’era anche l’Astana e prendo atto della nuova politica sui giovani. Per quello che so, Martinelli e anche altri sarebbero stati contenti di riavermi. Ma sono cambiate parecchie cose e va bene così. Quel che mi premeva era voltare pagina.

«Parlando della Uae Team Emirates, non posso usare la parola finalmente. E’ vero che sul piano delle prestazioni sono stati degli anni orribili, ma non ho avuto soltanto esperienza negative. Certo ho sbagliato alcuni passaggi, ma non l’ho fatto da solo. Già sono sardo, quindi chiuso. Capire di essermi fidato delle persone sbagliate, ha lasciato delle cicatrici. Per fortuna però ho incontrato anche degli uomini in gamba. Un nome su tutti è quello di Matxin, davvero una brava persona, che con me è stato eccezionale.

«Il primo anno fu un disastro per tante cose, ma rispetto ad allora l’ambiente della squadra è migliorato tanto. Da arrivare quinto al Tour con una tappa vinta e la maglia tricolore, a una stagione così brutta, qualcosa evidentemente non andava. E le ultime uscite dopo il mio ritiro dal Tour hanno confermato che non tutto è ancora ben chiaro. Perché Saronni ha usato quelle parole, che hanno messo in dubbio tutta la gestione tecnica e la scelta di portarmi al Tour?».

 

E’ parso anche a noi il modo di colpire altri, di togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Segno di un equilibrio interno che ancora in certi momenti vacilla.

Un’ultima cosa, prima di lasciare voi alla domenica e Fabio e la sua gravel all’allenamento con Ulissi e Nibali. Stasera vedrete Aru nuovamente in diretta Instagram con Lello Ferrara. A modo suo, anche quel novello Pulcinella ha avuto un ruolo in questa storia.

Troia gregario Doc. E la UAE se lo tiene stretto

20.11.2020
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Giusto ieri, con Edward Ravasi avevamo parlato anche di Oliviero Troia, uno dei “quattro moschettieri” che la UAE si accaparrò qualche anno fa al termine del 2016. Con loro c’erano anche Filippo Ganna e Simone Consonni. Tre, chi prima e chi dopo, sono andati via da questo team, mentre Olly è rimasto. E rimarrà.

«Il rinnovo – spiega – è stato firmato ad ottobre. Volevamo incontrarci, ma alla fine con la situazione che c’è ho firmato da casa tramite il mio procuratore Mattia Galli. La prima volta che ci vedremo parleremo per bene, però di base l’accordo l’avevamo già trovato nel corso della stagione».

Oliviero ha provato a pedalare con lo scafoide rotto
Oliviero ha provato a pedalare con lo scafoide rotto

Scafoide a pezzi

Come per molti ragazzi italiani, anche Oliviero non ha vissuto un’annata fortunatissima, visto che si è conclusa anzitempo per una frattura allo scafoide.

«E’ stato un anno difficile – racconta il ligure – dovevo fare il Giro, ma al Matteotti mi sono rotto lo scafoide. E ho scoperto che è un osso molto difficile da far rimarginare in quanto in quella zona c’è poca irrorazione di sangue. Ho impiegato due mesi per chiudere la questione. Dopo un mese  mi hanno fatto fare una risonanza e la frattura non si era ancora completata. Non riuscivo ad andare in bici. Anche fare i rulli era impossibile, così sono andato in palestra. 

«Io volevo andare in Belgio per la classiche, ma ho visto che era davvero impossibile. A quel punto ho chiamato la squadra e gli ho detto: ci vediamo l’anno prossimo».

Troia in testa al gruppo…
Troia in testa al gruppo…

Gregario vero

Spesso i corridori come Oliviero passano inosservati. In una UAE che ha vinto il Tour, che si sta rinforzando sempre di più, che compra addirittura Majka per metterlo a tirare, un corridore come Troia rischia fortemente di passare in secondo piano.

«Il mio lavoro avviene molto spesso nella prima parte di corsa e per questo non mi vedo molto. Sembra quasi che non fai nulla, ma non è così ovviamente. Quest’anno alla Sanremo ho tirato fino alla Cipressa. E la squadra certe cose le nota. Conosce il mio impegno e la volontà di esserci sempre».

Le nota di sicuro se gli ha rinnovato il contratto per due anni! Una scelta che dà coraggio al gigante (Oliviero è alto 1,91 metri) di Bordighera. 

Le corse più filanti sono quelle più adatte a lui e il direttore sportivo con cui è più a contatto, Simone Pedrazzini, lo sa bene. Non a caso lo ha inserito nel “gruppo Gaviria”, dove serve la cavalleria pesante.

«Eh già… spesso ero in camera con Fernando, c’è un bel rapporto tra noi. Devo dire che è anche uno dei capitani più esigenti, però questo è anche uno stimolo. Quest’anno alla Milano-Sanremo mi ha detto: Olly, tira fino alla Cipressa che così risparmiamo un uomo. Io l’ho fatto, ma era da Pavia che prendevo aria! Gli altri anni magari non ci riuscivo, ma quest’anno mi ci sono messo del tutto, ho tenuto duro quel pizzico in più e sono arrivato all’imbocco della salita. Poi lì, chiaramente mi sono spostato e sono entrati in gioco gli altri. Però è stato un bel lavoro e, come ripeto, anche uno stimolo».

Oliviero Troia e Fernando Gaviria
Oliviero Troia e Fernando Gaviria

Sognando il Nord

Il gregarione perfetto, insomma. Spirito di sacrificio, spirito di squadra e una grande passione nel mestiere che svolge. D’altra parte per chi è nato con la Sanremo che passa sotto il “balcone di casa” non può essere diversamente.

«Per me il ciclismo è tutto: vita, passione, lavoro, divertimento. E’ quel che voglio. Nel WorldTour è difficile entrare e restarci, per questo è importante trovare subito il proprio spazio e la propria dimensione. E io credo di averla trovata. Evidentemente il team ha fiducia in me. Poi, non nego di avere anche altre ambizioni. Mi piacerebbe arrivare davvero forte alle classiche del Nord e far bene lassù».

E da quelle parti in qualche modo già ha fatto bene. Era il 2016 e Troia vestiva i colori della Colpak. Stava coronando un sogno, quello di vincere la Parigi-Roubaix Espoirs, quella riservata ai dilettanti. Il colpaccio però si è concluso a quattro chilometri dal traguardo. «Da dietro mi hanno ripreso e a quel punto è partito Pippo e almeno l’ha vinta lui».

Magari cogliendo l’occasione, quel sogno potrà riprenderlo. Le pietre non si muovono, sono lassù che lo aspettano.

Ravasi alla Eolo-Kometa, una storia di Varese

19.11.2020
4 min
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Edward Ravasi, professione scalatore, si accinge a passare alla Eolo-Kometa. Una scelta a quanto pare dettata anche dal cuore, visto che Ivan Basso e la stessa Eolo sono di Varese come lui.

«Quando a fine estate è uscita la news di questa nuova squadra – racconta Ravasi – il mio pensiero è andato subito lì. Lo vedevo come un vanto del ciclismo varesino. Con il mio procuratore, Manuel Quinziato, abbiamo cercato anche altre soluzioni, tra cui una conferma alla UAE, ma quando poi si è fatto avanti Ivan ho scelto in un attimo».

In Valtellina con gli amici
In Valtellina con gli amici

Tra Zoom e zaino

La nuova squadra si sarebbe dovuta vedere per un breve ritiro proprio in Italia, ma la Lombardia è tornata zona rossa e quindi l’incontro sarà solo online, su Zoom.

«Servirà per conoscerci. Il primo raduno avverrà in Spagna a dicembre. Faremo una “bolla” e potremmo allenarci. Da quello che so il calendario sarà molto europeo. Partiremo dalle corse spagnole e poi tanta Italia e tanta Francia».

Ravasi ha un tono squillante. Ha appeno ripreso la preparazione (lo pizzichiamo che sta giusto per uscire e fare 4 ore). La sua ultima corsa è stata la Liegi, poi però non si è fermato subito in quanto sembrava dovesse fare la Vuelta ma all’ultimo è stato tagliato fuori. A quel punto ha preso lo zaino e con alcuni amici se ne è andato in montagna, tra le baite della Valtellina a godersi la natura e a rigenerare la testa.

Alti e bassi

Tra i dilettanti Edward era un pezzo grosso: successi importanti e il secondo posto al Tour de l’Avenir dietro a David Gaudu. Poi qualcosa non ha funzionato tra pro’.

«Mi aspettavo di più, ma non sempre tutto s’incastra nel modo giusto. Qualche contrattempo, qualche errore mio, la frattura del femore… Quest’anno poi non c’è stato tutto questo tempo per mettersi in mostra, anche perché mi hanno fatto fare tante corse di un giorno che non sono la mia specialità. Almeno ho avuto sensazioni buone, in salita sono tornato ai miei valori». 

Dopo qualche esperienza da stagista nella Lampre è passato alla UAE
Stagista nella Lampre, nel 2017 è passato alla UAE

«Nel 2018 ero davvero ad un buon livello. Avevo fatto un bel Delfinato e una buona Vuelta al fianco di Fabio Aru, quindi mi aspettavo il salto di qualità per il 2019. Durante quell’inverno ho lavorato, troppo, sui i miei punti deboli. Ho fatto molta pianura e molta velocità. Ho messo su chili (muscoli), ma il risultato è stato solo che non andavo più in salita. Nella prima metà della stagione ho fatica e basta e ad agosto mi sono rotto il femore».

Ravasi e i suoi “fratelli”

Edward è arrivato alla UAE nel 2017 con Filippo Ganna, Simone Consonni e Oliviero Troia, chi prima e chi dopo però sono tutti andati via (Troia è in scadenza). Perché?

«Quando io Ganna, Consonni… siamo arrivati alla UAE avevamo personalità forti. Tu magari in quel momento ti senti forte e in forma e pensi di fare una gara, ma la squadra vede in te un altro fine. Nascono situazioni che da entrambe le parti non si accettano al meglio. A lavorare per i capitani nelle corse dure mi sono trovato bene, è un buon ruolo per me. Se un corridore delle mie caratteristiche non fa gare dure fa fatica, perché io alla distanza esco. Ho un buon recupero. Oggi trovare spazio alla UAE è difficile, ma fa parte del gioco, poi sta a me dimostrare di andare forte. Un’esclusione ti dà fastidio, ma è anche una motivazione. Io ho fatto i miei errori, però ho sempre dato il massimo. Magari adesso alla Eolo-Kometa potrò avere i miei spazi».

Ravasi (a destra) e Ganna (a sinistra) nel 2017
Ravasi (a destra) e Ganna (a sinistra) nel 2017

Il bello e il brutto

«Alla fine – conclude Ravasi – di questi quattro anni sono contento, se non altro sono cresciuto e maturato.

«Un momento bello da quando sono pro’? Ne dico due. Il Giro d’Italia al primo anno. Neanche dovevo farlo, poi a tre giorni dal via mi ritrovo a fare la valigia. Non avevo fatto la preparazione giusta, ma fu bellissimo. E poi due anni fa in quel Delfinato. Sai, lì si fa fortissimo (i corridori cercano la convocazione per il Tour, ndr) e ogni volta che c’era la salita io andavo in fuga. Un giorno che non ci sono andato sono comunque rimasto coi migliori.

«Il più brutto, un po’ tutto il 2019. Mi ammalavo spesso, non sapevo perché, avevo dei problemi familiari. Le cose andavano male da una parte e dall’altra, tanto che quando mi sono rotto il femore quasi quasi ero contento. Avevo bisogno di resettare la testa».

Vincere o far vincere. E’ il Conti-pensiero

15.11.2020
3 min
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«E’ stata una stagione strana in generale. Abbiamo passato tantissimo tempo sui rulli e non si è mai fatta una vera base per essere costanti tutto l’anno». Valerio Conti appare ancora frastornato dall’annata più folle del millennio, tuttavia il corridore della UAE fa una disamina più che interessante.

L’abbraccio tra Conti e Ulissi a Monselice
L’abbraccio tra Conti e Ulissi a Monselice

L’altalena

«Io, come molti altri, sono partito forte, poi ho avuto un calo, poi ancora forte… E’ stata un’altalena anche mentale. Tutto in poco tempo: non mi è piaciuto».

Ciò nonostante il laziale guarda il bicchiere mezzo pieno. E ammette che questo anno gli è servito molto per crescere. Era partito bene, vincendo il Trofeo Matteotti.

«E anche al Giro andavo forte. Poi dopo la prima settimana ho sempre avuto un po’ di febbre. Ho anche avuto paura di aver preso il covid, ma non era così. Per farla breve dopo 6 giorni ero già morto. Mi sono ammalato nella tappa di Camigliatello Silano e da lì è andata sempre peggio. Non ho più recuperato».

Regista in squadra

Valerio è uno di quei corridori che spesso lavora dietro le quinte, ma che invece è presente. Per i suoi compagni è un riferimento, sia in corsa che fuori.

«Io sono una persona positiva e spesso stempero la tensione in squadra, tendo a fare gruppo. La sera prima della sua seconda vittoria, Ulissi era molto teso. Il giorno dopo in corsa lo guardo e lo vedo ancora sulle sue. Allora lo affianco e gli dico: sei qua, fai la tua corsa e come va, va. Non stare a pensare agli altri. Dopo pochi chilometri Diego mi fa: qui la fuga ha troppo vantaggio, cinque minuti. E ha mandato Bjerg a tirare. Lui tende a fare parecchio di testa sua, però di me si fida».

Sarebbe bello arrivare a vincere la classifica Uci per i team con la UAE.

Valerio Conti

E la zampata, non solo psicologica di Conti, c’è stata anche nella prima tappa in linea del Giro, quella con arrivo ad Agrigento. In quell’occasione Valerio ha suggerito un assist che Ulissi proprio non poteva mancare, con tutte le debite proporzioni tra il calciatore che deve appoggiare la palla a porta vuota e il ciclista che deve lottare con altri cento avversari. Quel giorno l’azione del romano non è passata inosservata. 

«Su quell’arrivo tutti erano freschi e riuscire a fare una cosa del genere come abbiamo fatto non è stato facile. Magari in tv non si vedeva, ma il ritmo era altissimo e già solo per prendere la salita in testa c’era stata una lotta tremenda. Senza considerare il ritmo imposto nel finale per non restare chiusi e portare fuori Ulissi».

Conti in testa al gruppo, con la sua UAE
Conti in testa al gruppo, con la sua UAE

Vincere o far vincere

Valerio ha un contratto anche per il 2021 con la UAE. Lui è conscio del suo ruolo. Ulissi, Pogacar, Oliveira… C’è la consapevolezza che la squadra sta diventando una vera corazzata per essere in prima linea su tutti i terreni.

«Potrò essere vicino a Pogacar e Ulissi e avrò anche le mie opportunità in qualche corsa minore, ma certo se ci sono loro ad un Giro, un Tour, una Liegi… ci dobbiamo mettere a disposizione. Io posso aiutare. Tanto parliamoci chiaro, nel ciclismo di oggi conta chi vince e chi fa vincere. Chi fa sesto, undicesimo… sì, è andato fortissimo, ha fatto un buon risultato, ma alla fine cosa gli cambia? Chi si ricorda di lui? Io credo che la UAE stia lavorando bene, l’arrivo di Majka è un bel rinforzo. E’ quel Sepp Kuss che mancava, l’ultimo uomo per la salita.

«Già ripetere quel che abbiamo fatto quest’anno non sarebbe male – conclude Conti – ma sarebbe bello arrivare a vincere la classifica Uci per i team. Ed ho io la percezione che stiamo costruendo una corazzata per farlo!».

Matteo Trentin rulli lockdown 2020, Gianni, Jacopo

Sui rulli con Matteo, bevendo acqua e sali

11.11.2020
3 min
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La sveglia in casa di Matteo Trentin suona fra le 7,30 e le 8. Questo articolo è la prosecuzione ideale del precedente: per avere un quadro di insieme, vi conviene andare a leggerlo.

Matteo dunque scende dal letto e si dedica allo stretching. Poi, prima di uscire, avendo raccontato che al massimo per le 9 vuole essere in bici, si sposta in cucina per la colazione. Il neo acquisto della Uae Team Emirates non cucina né sembra avere voglia di farlo.

Colazione?

Dipende dall’allenamento. Se devo uscire a digiuno, un caffè. Altrimenti un uovo, cereali, un po’ di latte. Quando i bar erano aperti, a casa prendevo un thè verde. Adesso che i bar sono chiusi, perché la Liguria è diventata arancione, il caffè lo prendo a casa. E forse questo mi aiuterà a prenderne di meno. Sono arrivato anche a 10 al giorno e non è detto che faccia proprio bene.

Cosa metti in tasca quando parti da casa?

Un paio di barrette al muesli, una o due banane, oppure dei paninetti o crostatine. Una volta bastavano i 10 euro della salvezza, adesso neanche più quello…

Matteo Trentin, Claudia Morandini, Gianni, Jacopo
Dopo il lockdown, la voglia di stare all’aria aperto in famiglia
Matteo Trentin, Claudia Morandini, Gianni, Jacopo
Dopo il lockdown tutti all’aria aperta
Per il Covid?

Esatto, non puoi fermarti. Nella borraccia invece metto solo acqua. I sali li ho usati solo quando siamo stati per due messi attaccati ai rulli. Sudavo come una bestia (nella foto di apertura è con i figli Gianni e Jacopo, proprio sui rulli).

Rientri dalla bici e come pranzi?

Dipende dall’orario. Se faccio distanza e arrivo alle 16,30, sto leggero e aspetto cena per mangiare bene. Quindi prendo una piadina con pomodoro e prosciutto, un po’ di formaggio, oppure una bistecca o un trancio di pesce.

E a cena?

Pasta, se ho fatto distanza. Un bel piatto di pasta, visto che a Claudia piace cucinare.

In questo periodo in teoria anche Matteo deve anche perdere qualche chiletto?

Ho trovato il mio equilibrio, per fortuna. Ma anche per dimagrire serve un certo sistema. Mangi di più se fai distanza, perché il sacco vuoto non sta in piedi. Per il resto prediligi verdura o frutta. Certo non posso sfondarmi di carbonara…

Non ti piace?

E’ buonissima! E nel ciclismo mi tocca anche combattere per spiegare che non si usa la pancetta, ma il guanciale. E che non si mette la panna. Corridori! Non sanno le cose e pretendono di dirti come si fa. Comunque ieri a casa abbiamo mangiato la pasta al nero di seppia con calamari e pomodorini. A me è toccato scegliere il vino bianco. Di sicuro evitiamo la pasta in bianco.

FIlippo Ganna, Rohan Dennis, Sestriere, Giro d'Italia 2020
Nei Giri conta quello che mangi dopo la tappa: qui Ganna a Sestriere
FIlippo Ganna, Rohan Dennis, Sestriere, Giro d'Italia 2020
Nei Giri conta mangiare dopo la tappa: qui Ganna e la Ineos
Neanche più alle corse?

Abolita. Finché la mangi, la digerisci, la assimili e quella si trasforma in glicogeno, sei già sul bus verso l’hotel. Qualcuno che fa colazione prestissimo se la ritrova in finale, ma si può sostituire benissimo con un bel carbo-loading, che si può anche dire carico di carboidrati, visto che siamo italiani. Si comincia da due giorni prima e le scorte ci sono.

E nei Giri?

Nei Giri fai carico tutti i giorni. Ma in quel caso è più importante quello che mangi sul pullman dopo la corsa. Se pretendi di integrare tutto a cena, ti gonfi, non digerisci e dormi male. Nei Giri dopo un po’ non mangi perché hai fame, mangi perché devi tenere il motore in ordine.

Vino a tavola?

A volte, dipende dai giorni. Se non ti sfondi come se non ci fosse un domani, i piaceri della vita vanno coltivati, sennò salti di testa.

Matteo Trentin, campionati italiani 2020

Trentin, triplette e la domenica libera

11.11.2020
4 min
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Andare al parco con Jacopo è un bell’impegno, per questo a volte Trentin si distrae dal discorso. Il bimbo è vivace almeno quanto il padre, per cui una volta c’è da pregarlo che non lecchi lo scivolo e un’altra da consolarlo perché il gattino con cui giocherellava l’ha graffiato. Matteo è ancora in fase di recupero, ma avendo ricevuto la nuova Colnago, non esclude di usarla venerdì per una prova generale, prima di ripartire sul serio da lunedì. E noi di questo vogliamo che parli. Di come si allena, mangia e recupera. Per capire cosa ci sia dietro le scene di corsa e magari leggere in modo meno frettoloso alcune situazioni.

Matteo Trentin ciclocross
Trentin ha corso regolarmente nel ciclocross fino al passaggio nel 2011
Matteo Trentin ciclocross
Azzurro nel cross nelle categorie giovanili
Prima cosa, è cambiato molto per l’allenamento spostandoti dalla Valsugana a Monaco?

Sono cambiati il terreno e la temperatura. Qui è un po’ più caldo, ma non c’è poi tanta pianura. Ogni ambiente nuovo ha bisogno di adattamento, per cui i primi tempi li ho passati cercando strade e giri da fare.

E’ cambiata tanto la preparazione da quando sei professionista?

A grandi linee ho fatto sempre le stesse cose, però ogni anno si lavora sempre più in modo specifico. Bisogna andare meglio in salita, perché i percorsi sono più duri e ormai non trovi quasi più dislivelli inferiori ai 3.000 metri. I misuratori di potenza rendono più semplici alcune cose, ma allenarsi non è affatto più semplice. Se hai capito come fare, fai anche meno chilometri. Ma se hai un calendario fitto di gare, allora la preparazione non può essere mai precisa.

Manca continuità?

Certo. Non a caso quelli che vanno forte, ogni tanto spariscono. Si prendono il giusto tempo per lavorare. Prendi Roglic, uno che corre sempre tanto. Dopo il Tour ha corso il mondiale, quindi ha vinto la Liegi, è tornato ad allenarsi e poi è andato alla Vuelta. Se non fai così, non riesci a prepararti bene.

Come funziona la tua settimana di allenamento?

Non guardo i giorni, mi cambia poco che sia lunedì o martedì. La sola cosa che cerco di fare è di tenermi libero la domenica, ma so già che una ogni due settimane potrebbe toccarmi. Faccio blocchi di tre giorni e poi uno di riposo. A volte il secondo blocco può essere di due giorni, dipende dal lavoro che faccio. Di solito gestisco da me. Mi consulto, ma mi piace anche esplorare.

A che ora ti svegli?

Dipende. Con i bimbi a scuola, alle 7,30. Con i bimbi a casa, alle 8. Faccio in modo di essere in bici per le 9, così che non mi prenda tutta la giornata e possa tornare per stare il pomeriggio coi bimbi.

Tripletta, dunque: come funziona?

A ritroso. L’ultimo giorno è sempre il più lungo, se devo lavorare sul fondo a meno intensità. Il secondo giorno ci metto lavori di brillantezza di 20-30 minuti. Il primo giorno, che sono più fresco, faccio volate e lavori brevi di 5 minuti.

Le triplette compongono uno schema più ampio?

Esatto, tre blocchi che si ripetono. Due settimane di forza. Due settimane di capacità lattacida. Due settimane in cui unisco le due cose. Si parla di un mese e mezzo, quello che ho davanti adesso. In una stagione come l’ultima era quasi impossibile e non potevi sbagliare niente. Infatti si sono viste le differenze. C’è chi ha sbagliato tutto. Chi come me stava nel mezzo. E chi ci ha preso in pieno.

Quante distanze fai?

In base alla corsa che preparo e alle sensazioni. In due settimane può capitare che faccia per quattro volte uscite di 7 ore. Anche se le distanze…

Matteo Trentin, Freccia del Brabante 2020
Terzo alla Gand-Wevelgem, battuto da Pedersen e Senechal
Matteo Trentin, Freccia del Brabante 2020
Terzo alla Gand-Wevlgem
Cosa?

Una volta che hai acquisito il fondo, conta molto lavorare sull’anaerobico, che si fa meglio in corsa che a casa. E’ la lezione di chi arriva da cross e mountain bike. Ormai funziona che a un’ora e mezza dall’arrivo si accelera in modo violentissimo e loro hanno quella capacità enorme di andare fuori giri.

E allora perché hai mollato il cross?

Prima di tutto, perché non ero così forte a livello internazionale da convincere le mie squadre a incoraggiarmi. Poi perché non ho tempo e qui nel Sud della Francia non se ne fa. Continuo a farne un po’, l’anno scorso sono arrivato terzo a Scorzè. Ma scherzi a parte, ho cercato il modo di compensare quella preparazione e l’anno scorso ad esempio ero arrivato a quel tipo di gamba e si è visto da come andavo in salita. E comunque se fai tutto l’anno su strada, d’inverno devi recuperare. Fra un po’ se ne accorgeranno i due fenomeni del momento…

Quale il lavoro che ti piace di meno?

Il medio, quei 25-30 minuti sempre allo stesso ritmo.

Quale ti piace di più?

I lavori brevi e vivaci di 7-8 minuti. Un momento, aspetta… Mi piacciono quando sto bene, altrimenti a inizio stagione sembro un pesce palla, come appena uscito dal letto di un ricovero per anziani.

Vai in palestra?

Ci andavo quando erano aperte e anche questo fa la differenza. Vado due volte a settimana per i lavori di forza. A casa non ho spazio e poi preferisco lavorare nel modo giusto, con lo stimolo di fare bene. E’ capitato anche che andassi prima a fare le volate, poi in palestra a fare forza e poi continuassi in bici per velocizzare.

E lo stretching?

Leggero, tutte le mattine

E la sera a letto a che ora?

Alle 22,30 massimo le 23. Se facciamo assembramenti anche a mezzanotte. Ma con due bambini, anche il dopo cena è un bel momento per recuperare.

Adesso allora parliamo di alimentazione…

Guarda per quello servirebbe un altro articolo.

E che problema c’è. Ci spostiamo nell’altra stanza