In viaggio con Matxin nel mondo di Ayuso, maglia rosa del Giro

08.06.2021
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Siamo sicuri che Ayuso non sia italiano? Magari qualche nonno… Matxin si fa una risata, ma la bandiera non cambia.

«E’ spagnolo – dice – ma l’ho mandato a correre da voi perché impari realmente la mentalità italiana. Correre con furbizia. Correre con intelligenza. Vedere le cose prima che succedano. Vedere che se uno ti attacca sulla cima dello strappetto e ti dà un minuto in discesa, anche se hai le gambe come è successo ieri, è un po’ tardi. Queste cose è importante che le capisca bene…».

La vittoria di ieri a Sestola, che ha reso a Juan Ayuso la maglia rosa (foto Scanferla)
La vittoria di ieri a Sestola, che ha reso a Juan Ayuso la maglia rosa (foto Scanferla)

A San Pellegrino Terme, dove… qualche anno fa Roberto Menegotto infilzò Beppe Guerini nel Giro d’Italia del 1992 che avrebbe premiato Marco Pantani, questa volta ha vinto Alois Charrin, francese ventenne della Swiss Racing Academy, alla prima vittoria di rilievo. La maglia rosa è rimasta invece sulle spalle di Juan Ayuso, che dopo la vittoria di ieri a Sestola, ha perso due secondi da Johannesen e Vandenabeele, ma resiste saldamente al comando.

In gruppo lo spagnolo del Team Colpack viene guardato con rispetto e crescente soggezione. E se il suo allenatore Inigo San Millan a inizio stagione ce ne aveva parlato come di un piccolo fenomeno, ci è venuta la curiosità di parlarne con colui che l’ha scoperto e portato alla Uae Team Emirates, dove approderà subito dopo il Giro d’Italia U24: lo stesso Matxin Joxean Fernandez, uno dei dirigenti del Uae Team Emirates.

Matxin è uno dei dirigenti del Uae Team Emirates: qui con Pogacar alla Vuelta 2019
Matxin è uno dei dirigenti del Uae Team Emirates: qui con Pogacar alla Vuelta 2019
Quando l’hai conosciuto

Quando era allievo. Io seguo tutte le categoria da una vita. C’era Carlos Rodriguez che vinceva tanto, mentre lui che aveva un anno in meno ogni tanto portava a casa le sue corse. Al secondo anno da allievo però ha cominciato a vincere tanto anche lui, così l’ho mandato in una squadra che mi ha sempre aiutato, che si chiama Club Ciclista Besaya-Bathco e sta in Cantabria, in cui correva anche Oscar Freire da junior.

E da junior sempre vincente?

Alla vigilia del primo anno l’ho invitato al training camp di dicembre con noi. Lo facevamo nella zona di casa sua, vicino Alicante. Era tutto a posto, ma due giorni prima mi telefona e mi dice che lo ha chiamato anche la Movistar per invitarlo al loro ritiro. Non sapeva cosa fare, perché aveva parlato sempre con me. E io gli ho detto: «Vai pure, così conosci altre squadre e altre mentalità. Va bene anche per te». Doveva stare con noi per due settimane, aveva un bel periodo di vacanze. Lui studia con il sistema inglese. Suo papà è responsabile di un’azienda americana e per un po’ l’ha portato a vivere negli Stati Uniti, per quello nella sua famiglia tutti parlano un inglese… perfettissimo.

Dunque è venuto da voi o con Unzue?

E’ stato un po’ con noi – sorride Matxin – quindi è andato alla Movistar per un paio di giorni e poi è tornato con noi. Raccontò che gli erano stati vicini, senza parlare mai di contratto. Così, quando ha cominciato a vincere le corse da junior, abbiamo fatto un test e abbiamo visto i suoi numeri.

A San Pellegrino Terme oggi vittoria del francese Charrin (foto Isolapress)
A San Pellegrino Terme oggi vittoria del francese Charrin (foto Isolapress)
Buoni numeri?

Ottimi, abbinati a un atteggiamento a livello personale e di attitudine personale, per cui sembrava un uomo fatto nonostante avesse 16 anni. Era già un ragazzo con molta intelligenza e con carattere. A quel punto, visto che sapeva anche vincere, gli ho detto: «Ci conosciamo da due anni e mezzo, se vuoi ora ti facciamo un contratto».

E lui?

Ha voluto sapere altro. Così gli ho spiegato: «Per me la situazione perfetta sarebbe fare la pianificazione sportiva della tua carriera. Non della tua carriera con noi, ma della tua carriera in generale». Per cui gli abbiamo proposto un contratto di cinque anni, in cui il primo sarebbe stato in una continental. Non una professional, per cercare di continuare la sua mentalità vincente. Andare alle corse per vincere, fare un passo intermedio prima di una WorldTour. «Non voglio che perdi la mentalità vincente, la grinta vincente».

L’ha accettato subito?

Ha capito. Voleva passare direttamente, ma sarebbe stato irrealistico pensare che potesse vincere subito. «Invece se vai a correre con gli U23 – gli ho detto – puoi controllare i rivali e avere ancora le aspettative e la prospettiva di vincere».

Quindi non ti stupisci che sia già così vincente?

Vi meravigliate voi – ghigna Matxin – io no!

Secondo San Millan è presto per definire i suoi ambiti.

Lui di base è uno scalatore. E’ un corridore che ha uno spunto di velocità abbastanza alto, tanto da aver vinto un campionato spagnolo in una volata di gruppo, perché ha anche una visione di corsa spettacolare. Abbiamo parlato di venire in Italia, perché volevo che imparasse il ciclismo italiano. A vedere le cose prima che succedano, a essere furbo, a posizionarsi bene.

Ayuso è venuto al Giro per provare a vincerlo, dice Matxin: farà il suo meglio (foto Scanferla)
Ayuso è venuto al Giro per provare a vincerlo: farà il suo meglio (foto Scanferla)
Perché la Colpack?

Ti dico la verità, questo non lo sa nessuno. La prima volta che si è parlato di squadra, lui doveva andare con Axel Merckx, come avevamo fatto con Narvaez, con Almeida e con Remco Evenepoel, anche se poi lui non ci è andato. C’è un bel rapporto con Axel, l’accordo di portargli alcuni bei corridori e Ayuso doveva essere uno di quelli. Ma Axel in quel momento non aveva squadra e così abbiamo deciso di sentire Valoti.

E lui?

Mi viene da sorridere. Lo chiamo e gli dico: «Ti do un corridore fatto così e così». E lui comincia a dire che non sa se hanno posto. Gli ho detto che non era una questione di spazio, che questo era un regalo.

Credi possa vincere il Giro U23?

Senza essere arrogante, credo che abbia i numeri per farlo. Quello è l’obiettivo di cui abbiamo parlato all’inizio: andare al Giro d’Italia per vincerlo. Poi passerà con noi e dopo andrà a correre il Tour de l’Avenir, ovviamente con l’aspettativa di fare il meglio possibile. Che vinca o no, dipende dalle circostanze, una caduta, un episodio. L’altro giorno per me poteva vincere anche la crono, se non gli si sposta la sella al primo chilometro… E’ già buono che non abbia subito danni muscolari pedalando con la sella all’insù, che gli avrebbero impedito di fare bene il giorno dopo. Credo che avrebbe vinto. E’ un corridore con livelli per fare bene tutto.

A San Pellegrino stasera la visita di Mauro Gianetti, general manager Uae Emirates
A San Pellegrino stasera la visita di Mauro Gianetti, general manager Uae Emirates
Si sa già cosa farà dopo il Giro?

E’ tutto definito per i prossimi cinque anni. Doveva fare l’Austria, che è stato cancellato. Andrò negli ultimi due giorni di Giro a parlare con lui. Farà corsette e corse WorldTour per scoprirne il livello. Non la Vuelta, ma San Sebastian, Plouay, Canada. Corse di un giorno e altre più piccole per vedere quale sia il suo livello.

Non sembra uno che abbia paura…

Sentite: ha una testa spettacolare. Una cosa che pochi corridori hanno. Non solo pensa come un campione, questo è un leader. Pensa come tale. Pensa per se stesso e per i compagni. Se deve dire una cosa, si prende la responsabilità. Non soffre la pressione e parte sempre per vincere. Godetevelo, è bello anche da seguire.

Tra delusione e stimoli, i pensieri estivi di Formolo

04.06.2021
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Per la prima volta scopriamo la delusione in Davide Formolo. Il veronese non nega che il suo Giro d’Italia non sia andato come sperava. «Ma ho il sole nella testa io», per fortuna la battuta non l’ha persa.

Davide è a Livigno, è andato in altura praticamente subito dopo l’arrivo di Milano. Almeno con lui ci sono la moglie Mirna e la figlia Chloe. Ma è stato un vero tour de force il suo post Giro. Finita la corsa rosa, il lunedì sera era a Roma per le visite mediche in ottica Olimpiadi, la mattina dopo è ripartito e poi ha raggiunto la località alpina.

La delusione del Giro è alle spalle, ora Formolo si gode la famiglia e già pensa al Tour
La delusione del Giro è alle spalle, ora Formolo si gode la famiglia e già pensa al Tour
Davide, che voto dai al tuo Giro?

Eh – esclama laconico Formolo – che dire: un Giro un po’ anonimo. E’ difficile essere contenti di risultati così. Fino a Montalcino ero in classifica, poi quel giorno ho perso del tempo e per alcune tappe siamo stati indecisi se insistere sul fare classifica o se andare direttamente alla ricerca di una tappa. Quando poi mi sono deciso per le tappe non è più arrivata una fuga. E’ una bella mazzata a livello morale. Ma come si dice: ho perso una battaglia.

Però è una battaglia grossa… Metti definitivamente una pietra sopra sulla classifica generale?

E’ certo che questa per me era un po’ l’ultima spiaggia per provare a fare classifica e nel futuro immagino che sicuramente non partirò con questo obiettivo.

In effetti eri in un limbo…

Ho cercato di prendere delle fughe. Ma sono andate via quella della tappa dello Zoncolan e quella di Bagno di Romagna qualche giorno prima. Quel giorno ci ho provato, ma non mi hanno lasciato spazio più di tanto. Ero in una situazione scomoda: ero lontano in classifica, ma vicino per essere lasciato andare. In più c’è da considerare che in questo Giro solo la fuga di Cortina è andata via “di gambe”, per dire che se non volevano lasciarti andare, non scappavi. Quel giorno invece c’era un Gpm di prima categoria in partenza e si è riusciti ad andare.

Se tornassi indietro cosa cambieresti?

Uscirei prima di classifica. Fino alle ultime due tappe il decimo posto era lì a portata di mano. Dan Martin ha fatto decimo ad un quarto d’ora, ma in ogni caso quello non sarebbe stato l’obiettivo. Troppo poco. Mi sarei aspettato di più.

La grinta di “Roccia” non è mai mancata, neanche nei momenti più difficili
La grinta di “Roccia” non è mai mancata, neanche nei momenti più difficili
Qual era il tuo sogno?

Essere protagonista e vincere un tappone. L’unica tappa in cui sono riuscito ad andare in fuga è stata quella di Cortina che come ho detto è stata l’unica che è andata via di forza. Peccato che nel fondovalle l’Education First abbia tirato parecchio e siamo arrivati con poco vantaggio sul Giau. Ma a quel punto avevamo speso tanto. Dispiace perché non è che la gamba non girasse… Per fortuna che adesso arrivano nuove sfide.

A proposito di Giau, ma ti eri accorto che avevi il 53 su quella salita?

Bah, è rimasto lì! Sinceramente non ho pensato al rapporto. L’abbiamo imboccato con 50” sul gruppo e sapevo che se volevo arrivare dovevo dare il 200%, quindi l’ho preso come fosse uno strappo di due chilometri.

Nuove sfide hai detto: adesso cosa ti aspetta?

Adesso si va al Tour de France per Tadej (Pogacar, ndr). Prima però farò il campionato italiano il 20 giugno ad Imola.

Formolo in fuga verso Cortina d’Ampezzo con lui, tra gli altri, Nibali
Formolo in fuga verso Cortina d’Ampezzo con lui, tra gli altri, Nibali
Tirerai in salita, avrai licenza di staccarti nelle tappe di pianura?

Io devo esserci quando ci è bisogno, che sia pianura o salita. Con certi personaggi è un bel ruolo da svolgere, una bella responsabilità.

Come parti per la Francia? Sei più tranquillo rispetto al Giro in cui potevi correre da capitano o al contrario hai più pressione?

Guarda, Tadej più che un compagno è un amico e se vince lui è come se vincessi io e vista la posta in palio mi sento anche più teso per certi aspetti.

Come gestirai questo periodo in altura a Livigno?

Da qualche giorno e per un totale di cinque giorni non tocco la bici, riposo totale. L’ho già fatto dopo la Sanremo e mi sono trovato bene. Poi dalla prossima settimana inizierò a fare qualcosa. Principalmente farò ore di sella, mentre l’ultima settimana farò qualcosa in più. Nel ciclismo moderno senti preparatori che dicono che i 40”-20” fanno bene, altri che fanno male, che è meglio fare la soglia altri che invece dicono sia meglio fare allenamenti lenti… Ma su una cosa sono tutti d’accordo: il recupero in altura fa bene. Quindi mi godo al massimo questo momento insieme alla mia famiglia.

Matteo Trentin Giro delle Fiandre 2021

Colnago V3Rs alla prova di Trentin: andiamo a vedere

01.06.2021
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Uno dei corridori che ha cambiato squadra rispetto al 2020 è Matteo Trentin, che sta preparando in sella alla sua Colnago V3Rs la seconda parte di stagione. Lo abbiamo contattato per farci raccontare come si trova con la sua nuova bicicletta e quali sono le sue scelte tecniche.

Una sola bici

Una cosa che abbiamo notato è che l’UAE Team Emirates fino allo scorso anno aveva in dotazione due modelli di bici Colnago: il V3Rs e il C64. Ma nella stagione in corso non abbiamo più visto i corridori della formazione degli Emirati Arabi usare il C64.
«Quest’anno usiamo solo il V3Rs – ci risponde subito Matteo Trentin – abbiamo visto che è una bicicletta molto prestazionale, che piace a tutti e allora si è optato per tenere solo questo modello».

La Colnago V3Rs in dotazione all'UAE Team Emirates
La Colnago V3Rs in dotazione all’UAE Team Emirates
La Colnago V3Rs in dotazione all'UAE Team Emirates
La Colnago V3Rs in dotazione all’UAE Team Emirates

La migliore per le classiche

In effetti la Colnago V3Rs è un telaio monoscocca in carbonio dal peso di 790 grammi in taglia 50s con delle geometrie pensate per massimizzare le prestazioni di chi ci pedala. Ma come ci si è trovato un corridore da classiche come Trentin?
«Mi sono trovato subito molto bene, è una bella bicicletta – ci dice il campione trentino – devo dire che la trovo molto comoda ed è la bici con cui mi sono trovato meglio per affrontare gare come le classiche del Nord».

Matteo Trentin in azione alla E3 Saxo Bank
Matteo Trentin in azione alla E3 Saxo Bank
Matteo Trentin in azione alla E3 Saxo Bank
Matteo Trentin in azione sul Paterberg alla E3 Saxo Bank

Trentin e i tubolari

Le parole di Matteo Trentin confermano la validità del lavoro fatto dai tecnici Colnago che hanno abbassato il movimento centrale in modo da avere un baricentro più basso e favorire la stabilità e la guidabilità della bicicletta. Inoltre, sulla V3Rs è possibile montare pneumatici fino a 28 millimetri di larghezza. E a proposito di pneumatici abbiamo chiesto a Trentin cosa usa.
«Io preferisco i tubolari – ci dice – perché secondo me sono più performanti, mi danno una sensazione migliore in termini di guidabilità, però devo dire che è soggettivo. In squadra eravamo in due con i tubolari e tutti gli altri con i tubeless».

Freni a disco

E se i tubeless sono una nuova tendenza che si sta affermando nel mondo strada, i freni a disco sono ormai una realtà, anche se nell’UAE Team Emirates è ancora possibile scegliere quali freni usare.
«La questione dei freni è solo legata al peso. A me, che non sono uno scalatore, non interessa molto e nonostante io sia uno affezionato ai freni tradizionali – ci spiega Trentin – avere tutti lo stesso tipo di freni è importante in caso di cambio ruota. In squadra sono prevalsi i freni a disco e io ho battezzato questa scelta – e poi aggiunge – devo dire che Campagnolo ha un’ottima frenata con i dischi».

Il manubrio e l'attacco Vinci usati da Trentin
Il manubrio e l’attacco Vinci usati da Trentin
Il manubrio e l'attacco Vinci usati da Trentin
Il manubrio e l’attacco Vinci di Deda Elementi utilizzati da Matteo Trentin

Attacco e manubrio separati

Spesso vediamo i corridori dell’UAE Team Emirates con il manubrio integrato Alanera di Deda Elementi, ma Trentin ha effettuato una scelta diversa.
«Ho preferito montare il manubrio e l’attacco Vinci, sempre di Deda Elementi. I motivi sono due. Il primo è che il telaio della V3Rs nella mia misura ha un tubo sterzo un po’ alto e con l’Alanera rimanevo 2 centimetri più alto. Mentre con un attacco Vinci negativo sono riuscito a trovare la posizione corretta. L’altro motivo è che la curva del manubrio Vinci ha delle misure più tradizionali che io preferisco». Ricordiamo che il manubrio Vinci Shallow, la versione che monta Trentin, è in carbonio con l’attacco in alluminio e permettono la completa integrazione dei cavi grazie al sistema dcr (deda internal cable routing).

Campagnolo Bora One
Le Bora One di Campagnolo
Campagnolo Bora One
Le ruote Bora One di Campagnolo

Sella larga e corta

Per quanto riguarda la sella, l’UAE Team Emirates viene equipaggiato da Prologo e Matteo Trentin ha optato per un modello nuovo.
«Sto usando la nuova sella che ha una larghezza di 147 millimetri ed è un po’ più corta. A dire la verità mi sono meravigliato di essermi trovato bene con una sella corta, anche se questa non è come altre selle corte che sono derivate da discipline diverse, tipo il triathlon o le cronometro. Questa è frutto di un progetto che è nato specificatamente per la bici da strada e mi sono trovato subito a mio agio». La sella a cui si riferisce il corridore dell’UAE Team Emirates è la nuova Scratch M5 Space che ha una lunghezza di 250 millimetri.

Ruote Campagnolo, una garanzia

Per finire un’occhiata alle ruote.

«Uso le Bora One che sono davvero ottime, d’altronde le ruote Campagnolo sono una garanzia, sono sempre state fra le migliori».

Pogacar Bernal Tour 2020

Bernal e Pogacar, a quando il grande match?

30.05.2021
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Mettiamo a confronto i due talenti del momento per le corse a tappe – Egan Bernal e Tadej Pogacarquel confronto che per varie ragioni ancora non c’è stato. Bernal è nato nel 1997 ed è professionista dal 2016, finora ha conquistato 26 vittorie, il Giro diventerebbe la ventisettesima. Pogacar, più giovane di un anno, è passato professionista solamente nel 2019 e vanta 23 successi.

I due si sono affrontati tre volte, ma il Tour dello scorso anno, vinto dallo sloveno, non è stato un vero terreno di battaglia perché Bernal era la pallida controfigura di se stesso, ritirato a metà corsa senza avere mai inciso. Quest’anno i due erano insieme nella fuga vincente della Strade Bianche, con Bernal alla fine terzo e Pogacar settimo, mentre alla Tirreno-Adriatico vinta dallo sloveno, il colombiano è finito quarto.

Pogacar Tirreno Adriatico 2021
Pogacar e Bernal all’ultima Tirreno-Adriatico, vinta dallo sloveno con Bernal 4° a 4’13”
Pogacar Tirreno Adriatico 2021
Pogacar e Bernal all’ultima Tirreno-Adriatico, vinta dallo sloveno con Bernal 4° a 4’13”

Le crono e le alte quote

E’ chiaro che vederli l’uno contro l’altro in una grande corsa a tappe è un sogno, a patto che entrambi siano davvero al massimo della forma, ma come sarebbe questo confronto, che cosa potremmo aspettarci? Abbiamo provato a scrutare nella palla di vetro con Stefano Garzelli: «Sarebbe una sfida strabiliante, dal pronostico impossibile, ma nella quale influirebbero molte variabili».

La prima variabile da considerare è data dalle caratteristiche dei due corridori: «Pogacar può avere dalla sua le capacità a cronometro, Bernal può fare una grande differenza sulle salite con altitudini sopra i 2.000 metri. Sotto questo aspetto il colombiano è sfavorito dal fatto che salite simili sono rare (al Giro, lo Stelvio e il Gavia, quando si fanno, al Tour il Galibier oppure l’Iseran) e anche, come caratteristica, la facilità estrema con cui Pogacar vince dappertutto, quel killer instinct davvero raro da trovare».

Pogacar Liegi 2021
Pogacar ha mostrato finora maggiore duttilità, anche nelle classiche: qui 1° alla Liegi 2021
Pogacar Liegi 2021
Pogacar ha mostrato finora maggiore duttilità, anche nelle classiche: qui 1° alla Liegi 2021

L’importanza del team

Un altro aspetto è costituito dal team di supporto, anche se è chiaro a tutti che Pogacar abbia vinto lo scorso Tour senza grande aiuto da parte della Uae: «Ed è altrettanto chiaro che gli uomini che ha la Ineos sono di qualità unica: Carapaz, Adam Yates, Thomas, Geoghegan Hart. Se Bernal parte in un grande Giro, è però ormai a un livello tale da essere da considerare capitano a tutti gli effetti e chi di questi sarà d’accordo nel lavorare per lui? Più probabile che vengano utilizzati altri corridori, come quelli visti al Giro».

E per quanto riguarda la Uae? «E’ evidente che c’è una differenza sostanziale – risponde Garzelli – ma Hirschi può costituire un validissimo supporto. A Pogacar serve maggiore sostegno in salita e i dirigenti del team stanno già pensando al prossimo ciclomercato per rafforzare la squadra in tal senso».

Bernal Tour 2019
Bernal, trionfatore al Tour 2019 senza vincere una tappa, ma svettando sul Col de l’Iseran
Bernal, trionfatore al Tour 2019 senza vincere una tappa, ma svettando sul Col de l’Iseran

Sfida decisiva alla Vuelta?

Bisogna poi considerare il terreno di battaglia: Giro d’Italia e Tour de France non sono la stessa cosa. Dove sono più adattabili i due campioni? «E’ una bella domanda… Dipende molto dal percorso che viene disegnato: un Giro con Stelvio e Gavia darebbe a Bernal un trampolino eccezionale per la sua naturale abitudine a pedalare in alta quota, mutuata dalle sue stesse origini. Un Tour con molti chilometri a cronometro sarebbe invece un aiuto per Pogacar. Ma le cose possono anche invertirsi, in fin dei conti nel 2019 Bernal fece la differenza proprio in altura».

Il calendario dice che a settembre, alla Vuelta di Spagna, saranno entrambi della partita. Potrebbe essere quello il vero terreno di scontro? Garzelli è scettico: «Io non credo, molto dipenderà dalle Olimpiadi. Bernal dovrà mantenere un certo livello anche dopo il Giro per non arrivare a Tokyo in calo di condizione, Pogacar vuole correre il Tour per vincerlo, arrivare subito dopo a Tokyo e sfruttare la forma della Grande Boucle, ma dopo? Credo che la Ineos stessa punterà su Yates per la corsa spagnola. Per la grande sfida dovremo attendere il prossimo anno e sperare…».

Formolo sul Giau con il 53. A Sega di Ala cosa farà?

26.05.2021
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Oggi Formolo gioca in casa e vuole vincere: «Monterà il 54?». La battuta cade nell’imbarazzo, con Baldato e Marzano che non sanno più cosa dire. Si arriva sulla durissima Sega di Ala, ma vi siete accorti di quali rapporti spingesse il veronese domenica sul Giau? Quando ha deciso di attaccare, Davide ha messo la catena sul padellone e tutti noi, davanti agli schermi dell’arrivo e forse anche a casa, abbiamo pensato che avesse il montato il 50. Per questo, quando la corsa è finita e siamo arrivati nei pressi del pullman del Uae Team Emirates, siamo andati a guardare, ma decisamente quello era un 53. Sul Giau…

«Che cosa vi posso dire – sbottava Baldato con le mani nei capelli – manca che per la tappa di Sega di Ala gli smontiamo il deragliatore…».

La vittoria di Formolo al Delfinato 2020 con un’azione di forza
La vittoria di Formolo al Delfinato 2020 con un’azione di forza

Cadenza, cadenza…

Il tema è interessante, perché Formolo ha sempre spinto rapporti troppo lunghi sin da quando era dilettante e l’abitudine non è certo venuta meno. Solo che un conto è correre col rapporto avendo nel mirino le classiche, altra cosa voler fare classifica al Giro.

«Ci abbiamo lavorato tutto l’inverno – dice Marzano, primo diesse del team al Giro – ma sono passati troppi anni da quando è professionista per pensare di cambiarlo. Certo vederlo con il 53 sul Giau è stato abbastanza allucinante, soprattutto vedendo come andavano agili gli altri, Almeida e Nibali ad esempio. E’ dall’inverno che ne parliamo. L’anno passato è stato particolare, ma se si vuole provare a fare classifica, il segreto è salvare la gamba. Alla fine però possiamo dirgli quel che vogliamo, ma quando arriva il momento della selezione, a pedalare ci sono loro. Io alla radio non facevo che dirgli “cadenza, cadenza”, ma in certi momenti subentrano le abitudini…».

Le gambe dure

Il tema è anche che quando in montagna fa freddo e magari piove, il rapportone ti inchioda le gambe. Baldato è incredulo.

«Non si riesce a farlo andare agile – dice il vicentino, appena arrivato nel team – è più forte di lui. Mi ricordo quando l’anno scorso ha vinto al Delfinato, ha fatto un’azione di forza, ma non c’era il tempaccio di ieri. Detto questo, il Giro è la prima corsa che faccio con lui. E’ professionista al 100 per cento, ma continua a portarsi dietro questa pecca. Butta via delle belle occasioni. Io non amavo la pioggia, perché mi si induriva la gamba e per questo andavo anche più agile. Lui non vuole farlo e dice che quando attacca, deve usare il rapporto».

Alla lunga però il rapportone sul Giau lo ha sfinito
Alla lunga però il 53 sul Giau lo ha sfinito

Lo stesso dialetto

Come lo convinci uno così? Potresti montargli di nascosto il 50 sperando vanamente che non se ne accorga. Pescando nella memoria, torna a galla il lavoro fatto da Bugno nell’inverno 1993-1994, che gli permise di vincere il Fiandre, ma se il corridore non vuole, c’è poco da rincorrerlo.

«Con Davide ho sempre fatto battute – ricorda Baldato – ricordo che quando Cannondale chiuse, cercai di portarlo dalla Bmc. Abbiamo sempre parlato in dialetto, che per noi veneti è importante. Di Formolo ho sempre apprezzato la naturalezza, la spontaneità e la genuinità. Sta bene. Sega di Ala è una salita che conosce bene, metro per metro. Volete sapere che cosa gli abbiamo detto scherzando per convincerlo a starci attento? Che gli smonteremo il deragliatore…».

Richeze ci spiega qualcosa su Molano e la sella di Gaviria

23.05.2021
4 min
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Sereno e rilassato prima della tappa dello Zoncolan: solo un velocista può esserlo. E Maximiliano Richeze lo è. Sembra assurdo ma se l’altimetria non fa temere per il tempo massimo è così per gli sprinter. Di solito è la salita in partenza ad alimentare queste paure. E non a caso le ruote veloci del gruppo erano ben più tese a Castel di Sangro, con il Passo Godi in avvio.

Il campione argentino in carica si gode l’abbraccio di amici, moglie e figlia. E intanto con noi fa il bilancio sul Giro d’Italia di Fernando Gaviria e dei velocisti.

Prima volata del Giro a Novara: Richeze guida Gaviria e Molano è in terza ruota
Prima volata del Giro a Novara: Richeze guida Gaviria e Molano è in terza ruota

Il caos di Verona

Si parte dall’ultima volata disputata, cioè quella di Verona. Che in qualche modo ha visto protagonista la sua Uae.

«E’ stata una volata abbastanza veloce – dice Richeze – sapevamo che c’era un arrivo molto lineare. Eravamo ben posizionati e tutto stava andando bene. Poi Fernando ha avuto un po’ di problemi all’ultimo chilometro e in quel momento ci siamo un po’ persi. E niente… Abbiamo sprecato una grandissima opportunità perché eravamo in ottima posizione e lui stava molto bene. Con “Seba”  (Molano, ndr) e con il resto della squadra avevamo fatto un bel lavoro per tutta la tappa».

A Foligno Molano (che si è appena spostato sulla sinistra) ha tirato lo sprint anche a Sagan
A Foligno Molano (che si è appena spostato sulla sinistra) ha tirato lo sprint anche a Sagan

Cambio ruolo

Molano. Criticatissimo nel primo sprint vinto da Merlier, autore di qualche imprecisione nel finale, il colombiano è oggetto di analisi. E ci si chiede perché quest’anno l’ultimo uomo sia stato lui e non lo stesso Richeze.

«Bueno, praticamente Molano si è inserito ora nel treno – dice Richeze – e spesso faceva fatica a trovare gli spazi giusti, a capire certe dinamiche sul prendere le posizioni. E siccome io ho più esperienza abbiamo deciso di cambiare: io penultimo e lui ultimo uomo». 

Le parole di Richeze ci dicono come sia più complicata la preparazione della volata vera e propria. Se tutto fila liscio infatti l’ultimo uomo del treno in teoria deve “solo” (le virgolette sono d’obbligo) tirare forte e lanciare il velocista che si presuppone sia stato fatto uscire dal penultimo uomo. Un po’ quello che è successo a Foligno proprio con Molano, solo che alla sua ruota dovrebbe esserci il suo velocista e non un avversario, nello specifico Gaviria e non Sagan.

«Esattamente per questo motivo abbiamo deciso di cambiare un po’ i ruoli, per spendere meno energie per trovare la posizione giusta. Molano è molto forte, ma sta imparando adesso il mestiere. E non è facile. Con un velocista come Fernando poi, che è tra i migliori al mondo, bisogna essere perfetti. In più siamo al Giro».

Al via di Cittadella Gaviria viene a richiamare Richeze: «E’ ora di andare».
Al via di Cittadella Gaviria viene a richiamare Richeze: «E’ ora di andare».

La sella di Gaviria

Con Richeze si parla poi degli altri velocisti.

«Li ho visti un po’ tutti in palla – dice Richeze – sono andati forte e quasi tutti hanno vinto. A volte è anche questione di fortuna. Anche Viviani non va piano, è in grandissima posizione ma come Fernando non è riuscito a vincere. Il livello era molto alto. 

«Per esempio a Verona Elia si è toccato con qualcuno. Io ero indietro ma ho rivisto lo sprint solo la sera e ho notato che si è toccato, ma è normale. Le volate sono così, si va sempre a limite e per questo dico che tutto deve filare liscio».

Infine la domanda più curiosa: ma dove ha perso la sella Gaviria verso Verona?

«Eh – ride Richeze – l’ha persa all’ultimo chilometro. Quando prima ho detto che aveva avuto un problemino mi riferivo a questo. Per questo ha perso le ruote. Era in punta di sella, all’improvviso gli è scappata e si è ritrovato sul telaio della bici. Ha fatto tutto il finale in piedi. Per questo dispiace. Una grande gamba se pensate che ha fatto uno sprint di 800 metri. Speriamo nella tappa di oggi verso Gorizia».

Covi: «Che fatica andare in fuga!». Ma oggi…

19.05.2021
4 min
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Il primo Giro d’Italia non si scorda mai! Alessandro Covi è qui e sta lottando contro i giganti del pedale e un po’ anche con se stesso, visto che il suo avvicinamento alla corsa rosa non è stato dei più facili. Una tendinite lo ha tenuto lontano dalle classiche delle Ardenne e anzi che sia riuscito a prendere il via da Torino.

Appena taglia il traguardo di Foligno il lombardo della Uae ha le strisce bianche del sudore che gli si è asciugato sulla barba leggermente incolta e sui pantaloncini, ma al tempo stesso ha anche il suo consueto sorriso.

Alessandro Covi al termine dalla tappa L’Aquila-Foligno

Condizione in crescita

«E’ come essere a lezione – dice Covi – la condizione non è al massimo a causa dell’infortunio che ho avuto al tendine, ma questo Giro serve anche per rialzare la forma e speriamo di trovare qualche buon momento, magari già durante la corsa».

Covi è magrissimo. E’ scavato nella pancia. Se ci sarà anche il muscolo, ne vedremo delle belle. Alessandro è un “cavallo di razza”, in grado di vincere attaccando da solo e regolando un drappello. Da dilettante gli abbiamo visto fare di persona dei numeri pazzeschi, mentre lo seguivamo in macchina con il cittì Marino Amadori.

«Mi vedete magro: meno male! Magari trovo anche la gamba giusta per fare qualche risultato. Adesso sto facendo solo tanta fatica. Se il giorno di riposo è importante in queste condizioni non lo so, ve lo dico dopo Montalcino! Primo Giro, primo giorno di riposo». E a quanto pare il “rest day” gli ha fatto bene visto che è andato in fuga proprio nella frazione degli sterrati.

Alessandro Covi (Uae) in fuga verso Montalcino
Alessandro Covi (Uae) in fuga verso Montalcino

Il bello della gente

Covi sapeva di dover venire al Giro già dall’inverno, ma il pass per la corsa rosa probabilmente lo ha staccato durante il Romandia quando, nella gara di rientro post tendinite è andato in crescendo e ha colto un quinto posto nella prima volata. Un pass che gli sta facendo vivere grandi esperienze.

«Sinceramente pensavo fosse più facile in generale andare in fuga – dice – c’è sempre una battaglia incredibile. Tutti vogliono andarci, anche perché fino alla frazione di Foligno non c’è stata una squadra che controllava e qualche fuga è arrivata, quindi c’era più voglia di provarci. Poi si sa: il Giro è difficile di suo. Di giorno in giorno cercherò di fare il più possibile.

«Però che bello rivedere tutta questa gente (si vede che è al primo Giro. L’effetto Covid è ancora più che presente, ndr). Perché era da tanto tempo che non si vedeva il pubblico sulle strade. E poi adesso la gente ti riconosce e urla il tuo nome… Da dilettante è raro».

La Ineos attacca e il gruppo si spezza, un esempio di quanto si vada forte in salita tra i pro’
La Ineos attacca e il gruppo si spezza, un esempio di quanto si vada forte in salita tra i pro’

Salita che fatica

L’altroieri sul valico della Somma, lui ed Ulissi hanno fatto un capolavoro per aiutare Gaviria a non staccarsi. Lo hanno protetto al massimo, standogli davanti e di fianco per fargli prendere meno aria possibile e farlo salire regolare, ma certo quando entrano in gioco i big è tutta un’altra storia.

«Vanno veramente forte in salita. Io poi non ho ancora la condizione e pertanto ancora faccio più fatica». Però sotto i “baffi” i ride e sotto, sotto qualcosa cova.

«Vediamo, non so se riuscirò a fare qualcosa già in questo Giro, ma magari esco bene per le corse che dovrò fare dopo. Quali? L’Appennino, l’italiano, il Gp Lugano… tante corse di un giorno e forse lo Slovenia. Però la gamba è in crescita».

PS Poco dopo la messa online di questo pezzo, Alessandro tagliava secondo il traguardo di Montalcino dietro Mauro Schmidt, per lui una grande giornata, ma anche una grande delusione.

«Preferivo vincere – dice impolverato dopo l’arrivo – chiedevo all’ammiraglia se fosse veloce ma mi dicevano di no. Lui poi non ha tirato molto. Comunque sì, ve lo confermo il giorno di riposo mi ha fatto bene. Da oggi ho iniziato a sentire altre sensazioni. E il Giro non è finito…».

Il Dombrowski ritrovato è rinato… dalla tavola

12.05.2021
5 min
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Dietro la transenna al traguardo di Sestola, ieri, Mauro Gianetti era al settimo cielo. Joe Dombrowski aveva appena vinto la tappa e il general manager della Uae Team Emirates spiegava che quando due anni fa decisero di prenderlo, erano consapevoli del suo valore, ma insieme si erano presto resi conto che ci fosse tanto da raddrizzare. Il talento rischiava di spegnersi, in un ragazzo di 29 anni che aveva bisogno di rivedere il modo di allenarsi e quello di mangiare. Perché Dombrowski è uno di quelli che con il cibo ha sempre avuto qualche problemino. «Lui è uno di quelli che non mangiava proprio niente», bisbiglia Gianetti andando verso il podio. Magrissimo da U23 quando nel 2012 vinse il Giro d’Italia U23 militando nella squadra di Lance Armstrong, sempre più magro da neoprofessionista al Team Sky. Come pretendere che avesse margini di crescita senza un rapporto sereno col cibo?

Mauro Gianetti è fra i primi ad abbracciarlo dopo l’arrivo
Mauro Gianetti è fra i primi ad abbracciarlo dopo l’arrivo

Svolta 2021

Oggi le cose sono migliorate. Tanto che quando lo scorso anno, finito il Giro, decise di rimanersene con la compagna a Milano, tra le varie informazioni chiese anche il nome di un paio di ristoranti. Un interesse che in altri tempi non avrebbe mostrato. Lo stesso dottor De Grandi, medico del team, ci parlò di una revisione nella squadra.

«Il ciclismo e le corse sono sempre più veloci – spiega Dombrowski – il livello e le attese sono alte e in questo team abbiamo un ottimo supporto con lo staff e lo chef. Meglio di quando dovevo pensarci da me. Quando sono venuto qui, arrivavo da una squadra americana. E’ difficile per noi vivere in un Paese straniero, lasciare gli Usa e la famiglia. Il team sta crescendo. Trovo molto comodo essere supportato anche nell’alimentazione. Non è facile seguirla da soli».

Le pressioni

In poche parole, la sintesi di quanto cominciammo a scrivere su queste pagine, interpellando nutrizionisti, psicologi e atleti, sulla necessità dei team di dotarsi di figure all’altezza e a proposito della fragilità emotiva di alcuni soggetti contrapposta al clima di pressione che sul tema si respirava e ancora si respira in alcuni ambienti. Dombrowski vinse il Giro d’Italia degli under 23 nel 2012 battendo l’Aru più forte. E quando Fabio tornò in ritiro, si sentì dire davanti a tutti che si era fermato al secondo posto perché credeva di essere magro, mentre l’americano lo era di più. Già, ma quali margini aveva Dombrowski?

Nel finale fra i big soltanto Bernal e Landa hanno messo fuori il naso. Con loro, Ciccone
Nel finale fra i big soltanto Bernal e Landa hanno messo fuori il naso. Con loro, Ciccone

«Il successo non è mai una linea retta – dice – ci sono alti e bassi, momenti più o meno difficili. Se guardo indietro, penso che avrei potuto aspettare un paio d’anni prima di passare. Sono arrivato al ciclismo tardi ed è un bel salto da U23 al WorldTour, per il modo di correre del gruppo. Ho avuto delle belle cose da tutti i team in cui sono stato, ognuno mi ha dato una bella esperienza, ma di sicuro da me ci si aspettava altro».

Interferenze radio

Il suo attacco nel finale valeva doppio. Per la tappa e per la maglia e chissà come sarebbe finita se i corridori non fossero stati collegati con le ammiraglie. De Marchi avvertito dai suoi di non pensare soltanto a Oliveira, rimasto indietro, ma anche di non lasciar allontanare troppo Dombrowski. L’americano spinto a gran voce, ma con indicazioni non proprio veritiere.

«Un po’ mi dispiace di non aver preso la maglia – dice – anche se è dura dire che sono dispiaciuto dopo che ho vinto la tappa. A 4-5 chilometri dall’arrivo, ho capito che andavamo per vincere e insieme sapevo che De Marchi era più vicino di me, che aveva 33 secondi. L’ho sentito tante volte alla radio. A volte ti danno distacchi diversi dalla realtà. Parlavano di 20-25 secondi a mio vantaggio, così ho voluto spingere fino alla riga, ma i secondi alla fine erano 13. Sarebbe stato bello prendere la maglia, ma non è stato possibile. Vedremo nei prossimi giorni. Oggi ci sarà una volata, domani con l’arrivo in salita potrebbe essere un’opportunità».

Mente aperta

C’è da capire se adesso il Uae Team Emirates cambierà i suoi piani oppure offrirà all’americano il supporto necessario per puntare alla maglia nei prossimi giorni, magari già domani a San Giacomo, in attesa che le grandi montagne portino davanti i capitani.

«Prima della corsa – dice – il piano era aiutare Formolo per la generale e Gaviria e Diego per le loro tappe. Ho vinto la tappa, ho preso la maglia azzurra, sono secondo in classifica. Di solito vengo fuori nella terza settimana sulle grandi montagne. Sestola non era pianificata, ma il percorso mi si addiceva. Non ho mai pensato di venire qui per la maglia rosa, sono abituato ad andare alle corse con la mente aperta. I grandi Giri sono diversi dalle corse di una settimana. Le cose possono cambiare rapidamente, per cui prendo le occasioni quando capitano. E in tre settimane ci sono tante occasioni, 21 corse nella corsa. Ieri è stato un buon giorno per me».

Gaviria infuriato, Molano l’ha fatta grossa

09.05.2021
3 min
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Gaviria si avvicina alla transenna, con il fianco destro pelato. Viene dall’antidoping e non sembra per nulla contento. Chi ha visto bene la scena dice che Fernando è scivolato contro le transenne per dieci metri e che per questo si sia bruciato la pelle. Il replay delle immagini lo conferma. Per fortuna le transenne hanno fatto il loro dovere. Sarebbe bastato un ostacolo contro cui impuntarsi, una semplice sporgenza e si sarebbe innescata un’altra caduta rovinosa.

Rabbia silenziosa

La gamba pulsa ancora. Un rivolo di sangue viene giù dal gomito, uno dall’esterno del ginocchio. Il colombiano ha lo sguardo infuocato e da sotto la mascherina vengono fuori parole taglienti. L’unica cosa che si decifra è che vorrebbe ammazzare qualcuno. Lo soffia a denti stretti.

Era a ruota di Molano e Molano era a ruota di Consonni, con Viviani nella scia. Quando Consonni si è spostato, la logica era che Molano tirasse il suo e poi si spostasse. Invece il colombiano si è piantato e ha chiuso sulla destra Viviani e poi Gaviria. Elia ha avuto la prontezza di rialzarsi, girargli intorno e rilanciare il suo sprint. Gaviria si è trovato la strada chiusa e ha provato a infilarsi. Facile dire che avrebbe dovuto rialzarsi: quando senti profumo di riscatto dopo la sfortuna e l’arrivo è lì davanti, difficilmente freni.

A tirare la volata si è ritrovato Molano, velocista colombiano
A tirare la volata si è ritrovato Molano, velocista colombiano

Regolamento di conti

Non è bello quando è il tuo ultimo uomo a chiuderti contro le transenne. Non è dato di sapere se il suo risentimento fosse verso di lui, ma quando Gaviria si allontana, viene da pensare che sul pullman del Uae Team Emirates tremeranno i vetri.

«Sono situazioni di corsa che possono succedere – dice – domani ci riprovo. Per tutto il giorno ho avuto buone sensazioni, ma questo è il ciclismo. Sono finito contro le barriere, ma prima di dire qualsiasi cosa devo rivedere il finale con la squadra e analizzare la situazione. E’ chiaro che dobbiamo migliorare. Per fortuna non sono caduto, poteva finire molto male».

Richeze non c’era

Richeze non avrebbe commesso un errore così banale, ma l’argentino si è perso nel caos del finale e a tirare la volata a Gaviria si è ritrovato uno che in Colombia viene considerato l’astro nascente dello sprint. Fra i due non corre troppo buon sangue.

Quando Gaviria si allontana, parlottando con il massaggiatore che lo segue da vicino, dà sicuramente la sensazione di essere arrivato al Giro parecchio in palla. Ci riproverà di certo, ma probabilmente chiederà a Richeze di stargli accanto.