Daniel Martin non è bello da vedere, ma in questi sorrisi mentre racconta la vittoria si riconosce il segno della fatica condotta in porto. Siamo davanti a un corridore che ha comunque vinto la Liegi e il Lombardia, oltre a tappe in giro per tutto il mondo, per questo non ci stupiamo della sua reazione quando gli chiedono se abbia il rammarico di non aver mai vinto un grande Giro.
«Non ho rimpianti nella mia carriera – dice infastidito – sono orgoglioso di aver sempre fatto del mio meglio».


Da non crederci
Difficile capire se perché glielo abbiano detto alla radio o perché a forza di veder passare macchine e moto abbia pensato che di lì a poco gli sarebbero piombati sul collo, Martin conferma che la sensazione di aver vinto l’ha avuta soltanto quando si è ritrovato dall’altra parte dell’arrivo.
«Finché non l’ho passato – sorride con la finestrella fra gli incisivi – non sono stato certo di niente. Avete visto che ho persino scosso la testa? Avevo deciso fin dal mattino che sarei andato in fuga, perché in quest’ultima settimana ho cominciato ad avere delle buone sensazioni. La mia tattica era chiara: prendere più vantaggio possibile e poi resistere con il mio passo agli attacchi che avrebbero fatto dietro. Per la prima volta quest’anno ero venuto con la chiara idea di vincere una tappa e sono contento di esserci riuscito».


Internet non basta
Internet funziona, ma provare le salite funziona di più. Così non è un caso che Martin e Yates prima di lui abbiano raccontato che sia stato decisivo venire a vedere questa salita. Le app spiegano curve e pendenze, ma non c’è niente come la fatica per farti capire la tattica migliore.
«Fare la ricognizione – spiega – è stato molto importante. Sapevo esattamente dove avrei trovato i tratti più duri e sapevo che ai meno 2,5 dall’arrivo un po’ mollava e si poteva fare la velocità che mi ha permesso di respingerli. Non sono mai andato full gas fino a quel momento, prima ho solo tenuto il mio ritmo.
«Ero venuto con Claudio Cozzi dopo il Tour of the Alps e si è creato subito un feeling speciale con questa salita, difficile spiegare perché. Amo le pendenze molto elevate, si prestano a una condotta di gara aggressiva, che è quella che mi viene meglio. Ed è bellissimo aver vinto su un traguardo che avevo provato, perché dà l’idea del lavoro ben fatto. Questo è il motivo per cui sono venuto qui. Sapevo che quella di oggi era una delle mie ultime opportunità e con il tempo supplementare perso a Cortina era possibile che mi lasciassero andare in fuga».
Montagne russe
E’ il premio a una squadra che non si è arresa alle sfortune e ha saputo portare a casa un bottino comunque considerevole.
«Per noi come squadra – dice – questo Giro è stato una montagna russa. Il primo giorno abbiamo perso Neilands. Poi abbiamo fatto delle tappe davvero buone, abbiamo conquistato qualche podio e proprio sul più bello abbiamo perso De Marchi. E poi ci si è messo anche Dowsett che si è ammalato. Ma il nostro spirito è sempre stato fantastico. Abbiamo avuto un’ottima atmosfera di squadra. Lo ha dimostrato questa mattina il fatto che siamo riusciti a progettare la fuga e a portare a casa la tappa».


La prima volta
Un altro sorriso ed è tempo di andare. Con i suoi 35 anni, l’irlandese della Israel Start-Up Nation è il 23° corridore più anziano a vincere una tappa al Giro. Supponiamo che gliene importi poco, ma l’ultimo pensiero è un bel tributo al Giro.
«Ogni grande Giro è diverso – dice parlando del fatto di aver vinto tappe in ciascuno dei tre – ma il Giro d’Italia è davvero una bella corsa. Ci ero venuto soltanto due volte prima e in una mi ero ritirato. Questa è la prima volta che sono venuto con l’ambizione di vincere una tappa. E devo dire che questa resterà come una delle mie vittorie più belle».