Simmons inquadra il momento di vincere

29.12.2022
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Quinn Simmons, lo junior che ad Harrogate sbranò il mondiale dall’alto di una clamorosa supremazia fisica, si accinge al quarto anno da professionista. L’americano di Boulder, Colorado, passò professionista nel 2020 dagli juniores e in alcune sue dichiarazioni di inizio inverno, si è capito chiaramente che il 2023 sarà l’anno per tornare a vincere, dopo la tappa al Wallonie nel 2021.

Simmons ha la barba e i capelli rossi, la fronte alta e gli occhi stretti. Ispira simpatia e la sensazione di avere davanti un cavallo brado, di quelli visti in centomila film girati dalle sue parti. Parla chiaro, con frasi brevi e concetti semplici. Di base, è anche spiritoso.

Al ritiro di Calpe, Simmons con il massaggiatore Alafaci e il ds De Jongh
Al ritiro di Calpe, Simmons con il massaggiatore Alafaci e il ds De Jongh
Sei passato professionista direttamente dagli juniores, pensi che sia stata la scelta giusta?

Soprattutto adesso, guardando il Covid e tutto il resto, è stata la scelta migliore che potessi fare. Nel 2020 ho fatto 35 giorni di corsa. Alla fine si tratta del nostro lavoro, per cui sono stato pagato più di quanto sarebbe successo se fossi stato negli under 23. Avrei fatto forse 10 corse e avrei guadagnato 5.000 euro. Sarebbe stato un anno sprecato. Invece ho fatto delle gare WorldTour in linea e anche a tappe. Ho avuto una sorta di cuscinetto prima di fare il primo vero anno da pro’. Per cui penso che sia stata al 100 per cento la scelta migliore.

Cosa ti manca oggi per vincere una gara?

Devo diventare più veloce rispetto all’anno scorso. Servirebbe un po’ di fortuna, anche se non ci credo molto. Forse ho solo bisogno di cogliere il momento giusto e di diventare più intelligente. Ma sento di aver fatto progressi ogni anno, quindi adesso è il momento di fare l’ultimo passo, che è anche il più difficile.

In fuga sul Carpegna, zero gradi e neve, in difesa della maglia dei Gpm
In fuga sul Carpegna, zero gradi e neve, in difesa della maglia dei Gpm
Siamo stati tutti tuoi tifosi nel giorno di Carpegna alla Tirreno. Cosa ricordi?

Ricordo la sofferenza. Quello è stato uno dei giorni più difficili che abbia avuto su una bicicletta. Ma avevo un obiettivo, anche se piccolo. E’ stato bello difendere la prima maglia in una gara WorldTour (quella dei Gpm, ndr) e soprattutto farlo su una salita bella come quella, con dei tifosi così calorosi e tutto il resto. Non è stata una vittoria, ma è uno dei ricordi migliori sulla bici. Ero davvero orgoglioso dello sforzo che ho fatto, perché sono un ragazzo pesante per certe salite. E’ stata una faticaccia.

Arrivare da solo è il tipo di vittoria che preferisci?

A questo punto, prendo qualunque tipo di vittoria. Allo sprint, da solo, in due… Non mi interessa come.

Qual è un programma per il prossimo anno?

Comincio a San Juan in Argentina, che è bello perché non ci sono mai stato. Dovrebbe essere divertente e poi il resto del calendario sarà simile agli anni passati. Farò il calendario italiano. Strade Bianche, Tirreno, poi le classiche e spero di tornare al Tour.

Per Simmons il numero rosso della combattività dopo i 150 chilometri di fuga verso Cahors al Tour 2022
Per Simmons il numero rosso della combattività dopo i 150 chilometri di fuga verso Cahors al Tour 2022
Hai parlato di divertimento. Cosa c’è di divertente nel ciclismo?

Stare sopra tante ore in bici probabilmente non è divertente, per contro mi piace molto correre. Allo stesso modo non mi piacciono molto le prime tre ore di gara, in cui si dorme. Ma quando vai davvero forte e sai che cominciano gli attacchi, quello è il mio momento preferito. Mi piace davvero. Anche se è il momento più doloroso. Come quando il gruppo si riduce a una ventina di corridori e ti giochi la corsa. Quello mi piace molto.

Quindi è meglio gareggiare che allenarsi?

Dipende. Andare in bici per sette ore non è il massimo, ma mi piace fare bene il lavoro e sapere che ho fatto tutto il possibile per essere pronto. E a quel punto la gara è più divertente se sai di aver fatto tutto il lavoro che dovevi fare.

Per un americano, scalare l’Alpe d’Huez significa dare un senso alla carriera
Per un americano, scalare l’Alpe d’Huez significa dare un senso alla carriera
Cosa ricordi del mondiale di Harrogate?

Sapevo che avrei vinto. Al mattino dissi ai compagni sul pullman che avremmo fatto qualcosa di speciale, perché un americano non vinceva quella gara dai tempi di Greg Lemond. Avevo già pianificato con un anno di anticipo dove volevo attaccare. E loro hanno fatto un lavoro perfetto. E’ stato bello ritrovarsi nel gruppo di testa con un altro americano (Magnus Sheffield, ndr) e poi fare 30 chilometri da solo. Da junior non hai mai spettatori e all’improvviso ti ritrovi su un circuito pieno di persone. Ricordo che avevo detto ai miei genitori dove aspettare con la bandiera in modo da portarla fino al traguardo. Fu meraviglioso.

E’ stato difficile passare dal mondo juniores al WorldTour?

Non è per sembrare presuntuoso, ma se da junior decidevo che volevo vincere, vincevo. Non c’era dubbio. Poi passi nel WorldTour e devi lottare per restare nel gruppo. Fa male al morale, ma ovviamente sapevo che sarebbe successo. Ero consapevole della situazione in cui mi stavo cacciando. Forse è stato un po’ più difficile di quanto mi aspettassi, ma è stato davvero un grosso cambiamento. Ho intorno tanti corridori da cui imparare, preferisco lavorare per vincere delle grandi corse, piuttosto che vincerne una da under 23. Non mi darebbe molta soddisfazione. Preferisco essere staccato al Tour che vincere una tappa dell’Avenir.

Harrogate 2019, dopo 30 chilometri da solo, Simmons prende la bandiera da sua madre e vince
Harrogate 2019, dopo 30 chilometri da solo, Simmons prende la bandiera da sua madre e vince
Cosa ti è parso del Tour?

E’ stato molto bello. Sono arrivato con una grande preparazione, quindi ho iniziato molto bene e davvero in forma. Mi sono divertito. Anche sulle grandi montagne, stando in gruppo, non ho mai avuto un solo giorno di difficoltà pazzesche per arrivare al traguardo. Il Tour è importante per noi americani. Quando dicevo che sarei diventato professionista, la gente quasi non capiva che lavoro avrei fatto. Poi sono andato al Tour e ho cominciato a ricevere messaggi da persone che non sentivo da anni. Non lo sto dicendo perché mi piace il riconoscimento, ma allo stesso tempo è bello dire: «Ehi, guardate, questo è un vero lavoro».

Eppure il ciclismo dovrebbe essere popolare a Durango, no?

Lo è, ma le gare sono un’altra cosa. Mi pare che al Tour quest’anno ci fossero cinque americani e due erano di Durango. E’ una città di 16.000 persone in mezzo al nulla ed è fantastico che avessimo due corridori al Tour.

A ruota di Van Aert verso Longwy: Simmons ammette di essersi divertito, ma non è riuscito a dare un solo cambio
A ruota di Van Aert verso Longwy: Simmons ammette di essersi divertito, ma non è riuscito a dare un solo cambio
Sei cresciuto con qualche campione di riferimento?

A essere onesti, fino a 17-18 anni, volevo correre in mountain bike. Seguivamo i corridori dello Specialized Factory Team, soprattutto perché alcuni di loro venivano da Durango. Poi sono arrivato in Europa, sono stato… esposto alle corse su strada e in quel momento sono cambiato. La mia generazione non ha avuto davvero nessuno da guardare. Ovviamente all’epoca c’erano corridori fortissimi, ma ero più fan di Sagan che di altri americani.

Ovviamente è vietato parlare di Lance Armstrong?

Forse con il team o chiunque si occupi dei media, dovrei stare attento. Ma voglio dire che per noi ragazzi è difficile dimenticare. Al riguardo si sono dette tante cose, ma un obiettivo, soprattutto in questo gruppo di giovanissimi americani, è provare a farlo di nuovo. E questa volta lo faremo nel modo giusto.

Cos’è per te la Parigi-Roubaix?

La gara preferita da guardare, difficile da vincere. Ogni anno sono diventato più leggero e vado meglio in salita, perciò non sono più tanto adatto a guidare sulle pietre e a tenere le posizioni. Ho paura passando da un settore all’altro, quindi almeno per ora la mia attenzione si è spostata. Ma sicuramente a un certo punto della mia carriera, quando avrò più fiducia e sarò più forte, con la potenza giusta, la Roubaix tornerà nella lista.

Al Wallonie 2021, Simmons vince la terza tappa a 20 anni
Al Wallonie 2021, Simmons vince la terza tappa a 20 anni
Cosa ne pensi del tuo lavoro?

Penso che il ciclismo sia bello, è sicuramente un sacco di lavoro. Ho trascorso due mesi a casa per la prima volta in cinque anni. Così è stancante, ma allo stesso tempo sei in viaggio verso posti davvero fantastici. E’ qualcosa di diverso dagli altri sport e questo lo rende più interessante. Negli altri sport professionistici americani, ti sposti tra le città ogni fine settimana e non è bello come andare in Francia per un intero mese.

Immagini mai come sarà la tua prossima vittoria?

Ci penso ogni volta che salgo in bici per allenarmi, ogni volta che vado in palestra. E’ un pensiero che deve esserci. E’ qualcosa che ti fa alzare e andare ad allenarti alle 6 del mattino. Riuscite a capirlo?

Mosca gregario, con orgoglio e gratitudine

27.12.2022
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Professione gregario e grato alla squadra per la possibilità di farlo. Jacopo Mosca è approdato alla Trek-Segafredo nell’agosto 2019, mettendosi subito a disposizione dei compagni. Nel 2020, nel folle anno dopo il lockdown, riuscì a portarsi a casa qualche piazzamento, ma la sua vocazione non è mai venuta meno.

Mosca ha chiuso la stagione alla Japan Cup, lavorando per Ciccone: settimo
Mosca ha chiuso la stagione alla Japan Cup, lavorando per Ciccone: settimo

Ritorno al 2021

Lo abbiamo incontrato al primo ritiro della Trek-Segafredo, prima del rompete le righe che ha rispedito i corridori a casa, alla vigilia della nuova stagione. Il 2022 non è andato come si aspettava, per cui il Mosca che racconta le proprie ambizioni, è carico come una molla.

«Ho visto che anche in un anno difficile come quello appena terminato – dice – in cui per mille problemi sono andato piano, il mio supporto alla squadra non è mancato. Ho trovato il mio ruolo, che sia per supportare il giovane di turno oppure Mads Pedersen o “Cicco”, chiunque ci sia. Spero che nel 2023 tornerò a essere me stesso e sarò in grado di supportarli non solo all’inizio della corsa, ma quando serve. Il mio contributo non è quello del 2022, ma quello che si è visto fino al Giro del 2021».

Il pieno di gel e barrette per Mosca prima dell’allenamento e si parte
Il pieno di gel e barrette per Mosca prima dell’allenamento e si parte
Che cosa ti è successo?

Ho avuto problemi fisici, la testa è stata sempre a posto, anche se a fine stagione ero demoralizzato. Diciamo che mi hanno mandato una fattura da pagare. Non voglio parlare di sfortune, perché le sfortune sono altre, però certo le ho prese proprio tutte…

Mentre ora?

Va tutto bene. Siamo tornati dalle vacanze il 14 novembre, sono salito in bici e stavo meglio che a febbraio 2022, dopo un mese che non la toccavo. Perché comunque il fisico era poco allenato, ma sano. Ogni giorno che mi alleno, ci sono dei miglioramenti. Sono partito con una base, poi ho iniziato a incrementare i lavori. Non ti inventi niente. Da quest’anno mi segue Slongo, quindi con Elisa (la sua compagna Longo Borghini, ndr) abbiamo in comune anche l’allenatore ed è tutto più facile. Sono contento di avere questa possibilità. Sono partito tranquillo, lavorando tanto sulla base.

Passaggio alla Tre Valli Varesine Donne, vinta da Elisa
Passaggio alla Tre Valli Varesine Donne, vinta da Elisa
Il gregario deve saper fare tutto?

Nel 2019, pensavo di cavarmela in salita, invece ho scoperto di non essere un granché. In compenso ho scoperto di essere molto… stupido (sorride, ndr) e quindi mi butto bene nelle volate e so tenere le posizioni quando serve. Non sono veloce, ma a fine gara posso supportare quelli veloci. Diciamo che sono un corridore completo, quindi mi viene da dire che vado piano dappertutto. Non eccello da nessuna parte, ma non sono nemmeno da buttare.

Si va davvero così forte?

Sicuramente si vede che ogni anno si cresce. Se prima una salita la passavi in 50, adesso ce ne sono 80. Nelle gare WorldTour è peggio, perché il livello è altissimo. E’ sempre bello vedere di essere rimasti in un gruppo piccolo, perché pensi di poter fare qualcosa. Invece adesso siamo tutti a blocco, ma siamo rimasti in cento. La cosa migliore da fare è raggiungere il proprio massimo, poi vedere quello che si può fare. Se io sono al massimo e gli altri vanno forte, puoi giocare d’astuzia o provare delle tattiche, ma le gambe poi parlano.

Mosca sicuro: la Vuelta ha fatto bene a Tiberi. Se sale lo scalino, prende il volo
Mosca sicuro: la Vuelta ha fatto bene a Tiberi. Se sale lo scalino, prende il volo
Il gregario dà consigli?

Con Ciccone abbiamo la stessa età, ma lui ha la sua testa e la sua visione, sicuramente un po’ difficile da gestire. Lui ti dice che in salita fa meno fatica, mentre noi siamo a tutta. Oppure lui fa più fatica in pianura e noi al contrario, quindi si fatica a trovare un punto di incontro. Sicuramente mi trovo meglio a dare dritte al Tiberi di turno oppure a Baroncini, quando li vedi fare degli errori che in futuro dovrebbero evitare. Sono in camera con Baroncini e a volte, giusto per ricordargli che è giovane, alzo la voce. Tiberi l’ho visto dal 2020 quando ha fatto lo stagista e il ragazzo si sta accendendo. La Vuelta gli ha fatto bene. Ha un motore così importante che prima o poi uscirà. Chiaro che sta a lui fare quel saltino, ma secondo me c’è da dire una cosa: è passato a vent’anni e ha fatto il dilettante nel tempo del Covid. Secondo me viene fuori. Lo dicono tutti, ma basta vederlo pedalare: è forte.

Perché sei passato con Slongo?

Ero seguito dalla Mapei sin dagli anni in Viris. Con Matteo Azzolini, che era il mio allenatore, avevamo addirittura corso nello stesso periodo, perché ha due anni più di me. Mi trovavo bene, ma dopo tanti anni e l’ultima stagione che ho avuto, nel 2023 ho pensato di cambiare. Ne ho parlato con lui e ne ho parlato con la squadra e per loro ovviamente non c’era problema che passassi con Paolo. E’ una persona con un’esperienza storica. Segue Elisa da anni e secondo me sono in buone mani. In più siamo in squadra insieme dal 2020 e mi aveva già seguito nei ritiri che avevamo fatto in preparazione al Giro di quell’anno. Nel 2021 siamo stati sul Teide, quindi bene o male sapeva già come sono. Vedo i lavori che fa, poi c’è da dire una cosa: come la mischi la mischi, non è che passi dall’acqua dolce all’acqua salata. Devi inquadrare le giuste linee, poi sei a posto.

Mosca e Longo Borghini si sono allenati spesso insieme, a volte sfidandosi (foto Instagram)
Mosca e Longo Borghini si sono allenati spesso insieme, a volte sfidandosi (foto Instagram)
Come vanno gli allenamenti con Elisa?

Fino ad ora abbiamo sempre lavorato assieme. Chiaro che le velocità di crociera in pianura sono diverse. Un professionista che si allena, va in giro facile sopra i 35-38 all’ora in pianura. Direi 40, ma non vorrei sembrare esagerato. Metti il 54 e parti, è questione di wattaggi. Loro fortunatamente, essendo anche leggere, fanno più fatica in pianura, però Elisa mi fa penare in salita. Se facciamo il medio, arrivo in cima un attimo prima, ma sinceramente non ho neanche il tempo di mettere la mantellina

Non vi sfidate mai?

Non avrebbe senso, ognuno ha i suoi lavori. Ma in alcuni momenti dell’anno, tipo l’anno scorso prima del Tour, abbiamo fatto qualche allenamento insieme in cui lei aveva bisogno di fare un po’ di ritmo. E allora abbiamo fatto degli allenamenti in cui cercavo di tirarle il collo e ci sono riuscito. Sono arrivato a casa morto ed era morta anche lei, almeno questo è divertente. Sicuramente fino ad ora ci siamo allenati assieme, ma mi aspetto che io ora aumenterò i volumi di lavoro, però per l’atleta che è lei e per l’atleta che sono io, secondo me riusciremo a uscire qualche volta insieme. Poi c’è da dire che dal ritiro di gennaio in poi, ci vedremo veramente poco. Perciò sarà bene incastrare gli allenamenti. Ognuno coi suoi lavori da fare, però almeno ci si vede…

I privilegi dei corridori e le smorfie di “Juanpe” Lopez

23.12.2022
5 min
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In qualche modo si scambiarono il testimone sull’Etna. Mentre Juan Pedro Lopez indossava la prima maglia rosa della carriera, l’altro Lopez – il Miguel Angel dell’Astana – si ritirava per gli effetti di un’infiammazione. Per l’andaluso della Trek-Segafredo, 25 anni, che puntava a vincere la tappa ma dovette arrendersi a Kamna, si aprirono dieci giorni di scuola di ciclismo. Lo stesso intervallo di tempo, poco meno, che due anni prima aveva lanciato le quotazioni di Almeida. E proprio parlando con Matxin, tecnico della UAE Emirates e mentore del portoghese, giorni fa il discorso è caduto sullo spagnolo e su come quei giorni in rosa, terminati nel giorno di Torino (foto di apertura), potrebbero condizionare anche la carriera di “Juanpe” Lopez.

«Non lo so – dice Lopez – per ora è un bel ricordo, perché sono stati i 10 giorni più belli della mia vita. Questo però è un anno nuovo e vediamo che obiettivo possiamo raggiungere. Lo so che quando un corridore prende la maglia rosa o qualunque altra maglia di leader, nelle gare dopo ha sempre un po’ di responsabilità in più. Però per me è un bel ricordo, un bellissimo ricordo e basta…».

In dieci giorni di maglia rosa, Lopez ha costruito una popolarità che ancora lo segue
In dieci giorni di maglia rosa, Lopez ha costruito una popolarità che ancora lo segue

La scuola della Vuelta

“Juanpe” Lopez si muove e parla a scatti, come il personaggio di un cartone animato. E’ la personificazione della simpatia, con gli occhi che a tratti roteano e il gesticolare delle mani molto latino.

«Se mi ricordo quel giorno sull’Etna? Madre mia, certo – sgrana gli occhi – mi ricordo tutto. La salita. Quando ho attaccato a 9 chilometri dall’arrivo ho pensato che non sarei arrivato mai. Volevo vincere la tappa, non prendere la maglia. Ma alla fine forse è convenuto a me, perché dieci giorni in maglia rosa sono tanto. Una scuola. Ho imparato a soffrire un po’ di più per tenerla, ma conoscevo già la sofferenza nel ciclismo. Alla Vuelta l’anno prima avevo la sinusite. Non respiravo e ho lottato ogni santo giorno per arrivare. Chiedevo sempre via radio al direttore quanto fosse il ritardo dal primo perché pensavo che non sarei arrivato e quelle tappe mi hanno insegnato tanto a soffrire. Invece quando hai la maglia rosa va tutto sopra le nuvole, tutto come un sogno…».

Kamna e Lopez sulle rampe dell’Etna. E’ il 10 maggio 2022, uno avrà la tappa, l’altro la maglia
Kamna e Lopez sulle rampe dell’Etna. E’ il 10 maggio 2022, uno avrà la tappa, l’altro la maglia

Vittoria al Val d’Aosta

Chiusa quella porta, si lavora adesso per aprirne un’altra, cercando di individuare i margini e i limiti di un ragazzo di 54 chili che nella vita, prima della gloria sportiva, ha conosciuto la fatica del lavoro e sa apprezzare i vantaggi della sua posizione.

«La mia idea ogni anno – dice Lopez – è andare un po’ più avanti. La squadra mi darà ancora l’opportunità di fare classifica come è stato al Giro d’Italia. Ma non so dire dove potrò arrivare. Se ancora decimo o anche meglio. Il mio obiettivo di quest’anno però è alzare le mani al cielo. Vincere. Perché va bene che sono stato 10 giorni in maglia rosa, ma ancora non ho mai vinto. La mia ultima vittoria arrivò proprio in Italia, al Giro di Val d’Aosta nel 2019, quando correvo con la Kometa.

«Vincere da professionista è molto più difficile. Quando giocano due squadre di calcio, una vince e l’altra perde. Ma noi siamo 200 e la percentuale non è più cinquanta e cinquanta. Per questo non si fa tutto al 100 per cento, ma al 300 per cento, curando ogni tipo di dettaglio, anche il più piccolo. E’ pesante? A me piace. E se qualche corridore dice di soffrire la pressione, io gli rispondo che c’è in tutti i lavori. Nel nostro, riceviamo soldi per andare in albergo, per viaggiare, per farci un massaggio e per correre. Siamo privilegiati. Io quando vado in bici, sono il ragazzo più felice del mondo perché a me piace».

Con Valverde, ha smesso anche l’ultimo grande di Spagna: l’eredità passa a Juanpe e ai suoi… fratelli
Con Valverde, ha smesso anche l’ultimo grande di Spagna: l’eredità passa a Juanpe e ai suoi… fratelli

Debutto al Tour

Come un pugile molto leggero al centro del ring, “Juanpe Lopez” fissa gli obiettivi senza paura, infilandosi nella faretra delle nuove frecce spagnole e annunciando il debutto al Tour.

«Quando ho il numero sulla schiena, è bellissimo. Mi piace l’adrenalina, anche se le corse sono complicate e si rischia di cadere. Per questo è bello anche stare tutti insieme ad allenarsi, oppure farlo da solo. In Spagna adesso c’è un bel ricambio. Hanno smesso Valverde e Contador, ma alla Vuelta abbiamo visto Carlos Rodriguez e Juan Ayuso. Tanti si allarmavano perché non vedevano gli eredi dei grandi campioni, io ho sempre detto che serve pazienza e quest’anno abbiamo iniziato a raccogliere. Non sono più giovane, perché arriva uno come Ayuso che a 19 anni anni fa il primo grande Giro e va sul podio. Ma è sicuro che nei prossimi 5-6 anni la Spagna avrà un ciclismo meraviglioso.

«E io lì in mezzo posso fare lo scalatore, con 54 chili non mi vedo come sprinter. Per l’inizio di stagione, penso alla Vuelta Valenciana e all’Algarve. E da scalatore andrò a debuttare in Francia. Del resto, ho fatto la Vuelta, poi ho fatto il Giro, ora voglio andare al Tour. Ho parlato con la squadra e hanno detto che è una bella idea. Farò Tour e Vuelta, niente male come programma, no?».

Il “piccolo” Vacek mette Ayuso nel mirino

22.12.2022
5 min
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Lo stesso hotel dello scorso anno. A Mathias Vacek è sembrato il modo per chiudere il cerchio che l’assurda vicenda Gazprom aveva lasciato aperto. Quando viene a sedersi al tavolo nel gigantesco Hotel Diamante di Calpe, il corridore ventenne della Repubblica Ceca ha l’espressione rasserenata di chi ha ritrovato la strada. Il contratto con la Trek-Segafredo esisteva già da prima e l’annata nel team russo sarebbe servita per fare esperienza. Invece si è trasformata in una lunga attesa, infiammata da qualche lampo, come i secondi posti al campionato europeo e al mondiale U23.

Quel giorno a Wollongong, Vacek aveva lo sguardo di fuoco. Tanto che guardandolo, ricordammo quanto ci puntasse e pensammo che si fosse preparato una bella dedica per l’UCI e avrebbe ambito alla maglia iridata per poterla intonare.

Secondo a Wollongong, dopo il piazzamento agli europei: il 2022 di Vacek, senza squadra, è stato comunque di alto livello
Secondo a Wollongong, dopo il piazzamento agli europei: il 2022 di Vacek, senza squadra, è stato comunque di alto livello
Che cosa hai pensato quando sei arrivato in hotel?

Ormai lo conosco bene e anche le strade. Non è una cosa nuova per me, la differenza è che non stiamo mangiando nel buffet dell’hotel come l’anno scorso, ma abbiamo il nostro cuoco

Magie del WorldTour! Quanto è stato lungo quest’anno?

La prima parte lunghissima perché non avevo gare. Dopo i risultati che avevo fatto (Vacek aveva vinto una tappa al UAE Tour, ndr), era brutto non poter correre più. Per fortuna ho iniziato a fare le corse con la nazionale, ho fatto qualche risultato e alla fine sono contento. Quello che potevo fare, l’ho fatto.

Potevi battere Fedorov al mondiale?

Difficile. Lui arrivava dalla Vuelta e aveva più ritmo nelle gambe. Io invece avevo fatto il Tour de l’Avenir, che però era finito quasi un mese prima. Negli ultimi chilometri mi è mancata un po’ di forza: ho fatto il massimo, ma è andata così. Ho corso con tanto fair play, vedevo che era più forte, ma ho sempre fatto la mia parte. Se facevo il furbo, magari ci prendeva il gruppo e non avrei fatto neppure secondo.

Sesto alla Veneto Classic e 22° alla Serenissima Gravel, qui con Simone Velasco
Sesto alla Veneto Classic e 22° alla Serenissima Gravel, qui con Simone Velasco
Quale sarà il tuo cammino in questa squadra, cosa ti aspetti dal primo anno?

Inizio a correre abbastanza presto. Voglio far vedere che ho già la mentalità del leader e loro mi daranno l’opportunità di provarci in qualche gara minore. Vediamo come va, mi sento bene: adesso dobbiamo solo lavorare e vedremo fin dove si potrà arrivare.

Quali sono le corse più adatte?

Le corse a tappe di una settimana, poi magari qualche gara in Belgio. Con il mio allenatore Markel Irizar stiamo lavorando tanto per arrivare a fare un grande step. Un gradino credo di averlo salito fra il 2021 e il 2022. Adesso vogliamo andare ancora più su, ma continuando una progressione graduale.

E’ più un fatto di quantità o di qualità? 

Nelle ultime tre settimane di quantità, adesso invece iniziamo a lavorare sulla qualità, perché tra un mese inizio con le corse. Comincio dall’Argentina alla Vuelta San Juan (22-29 gennaio, ndr), manca poco.

Ai primi di novembre a Praga organizzato un evento per raccontare la sua stagione (foto Sportegy.cz)
Ai primi di novembre a Praga organizzato un evento per raccontare la sua stagione (foto Sportegy.cz)
Quanta voglia hai di farti vedere?

Tanta voglia soprattutto di lavorare bene. Vedo i miei avversari di sempre come Ayuso, che hanno la stessa età e stanno già andando forte. Devo lavorare tanto e duro se voglio arrivare al loro livello. C’è ancora tanto da migliorare: lo so io e lo sa la squadra. Ci sono vari aspetti come la nutrizione. Cose che non avevo prima alla Gazprom. Qui è tutto molto più professionale, c’è tanta gente sa fare il suo lavoro. Però penso che la Gazprom fosse una buona esperienza prima di salire nel WorldTour. Sarebbe stato un salto troppo grande arrivarci dagli juniores. Quindi sono contento del cammino che avevamo impostato.

Dovrai conquistarti lo spazio che ti daranno?

Non voglio dimostrare niente in allenamento. Non mi piace mettermi in mostra. Io faccio il lavoro quando c’è da farlo, quindi alle gare. Ho già provato a essere leader nella Veneto Classic, dove ho fatto un risultato abbastanza buono (sesto, ndr). Vediamo come andrà il prossimo anno, però con i compagni mi trovo molto bene e sicuramente faremo qualcosa di buono.

All’inizio del 2022, la vittoria di Vacek al UAE Tour, poco prima che l’UCI fermasse la Gazprom
All’inizio del 2022, la vittoria di Vacek al UAE Tour, poco prima che l’UCI fermasse la Gazprom
Qual è il bello di essere un corridore?

E’ un lavoro ogni giorno diverso. Ti alleni, hai la sensazione di essere libero, mentre alla stessa ora qualcuno è seduto alla sua scrivania e non vede il sole. E’ anche un divertimento, soprattutto quando sei in gruppo con i compagni. Per me è passione e la corsa è anche divertimento.

Qual è il lavoro che ti piace di più?

Mi piace tutto. Se c’è da tirare per il compagno che sappiamo può vincere, vado a tirare anche due ore a tutta e poi sono felice che uno di noi ha fatto risultato. Se una volta invece sono io il leader, allora sono concentrato al 100 per cento. Magari ci sono giornate di allenamento più pesanti, ma spesso le divido con mio fratello Karel, che correrà con la Corratec.

Si canta e si festeggia il fine stagione al party A&J Allsports, con Pogacar e lo stesso Vacek
Si canta e si festeggia il fine stagione al party A&J Allsports, con Pogacar e lo stesso Vacek
Com’è fatta la vittoria perfetta?

Dipende. Mi piace vincere in volata, però quando ho la gamba è molto bello anche andare via da solo. Quando si vince è bello sempre. E io voglio confrontarmi con tutti quei ragazzi con cui duellavo negli juniores. Penso che ho già battuto questa gente, quindi c’è la possibilità e la fiducia di batterli ancora.

Diretto, sincero, cattivissimo Mads

21.12.2022
6 min
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Mads Pedersen non ha peli sulla lingua. Pane al pane e vino al vino. Quando condividiamo questa sensazione con Paolo Barbieri, responsabile stampa della Trek-Segafredo, lui annuisce consapevole. Dal danese che nel 2019 impallinò Trentin ai mondiali di Harrogate non aspettatevi sviolinate o frasi convenzionali.

Mads Pedersen ha 27 anni ed è professionista dal 2017. Aprirà il 2023 all’Etoile de Besseges
Mads Pedersen ha 27 anni ed è professionista dal 2017. Aprirà il 2023 all’Etoile de Besseges

Al Giro con Stuyven

In squadra ricordano ancora di un mattino in cui Pedersen e Nibali dovevano lasciare l’hotel alle 6 per un servizio fotografico. Pare che Vincenzo si sia presentato in ritardo mentre l’altro aspettava in auto. Mads si infuriò senza alcun timore reverenziale per il ritardo e perché a suo dire l’italiano non riusciva a capire la gravità della situazione. «Sono duro con gli altri – commentò – perché sono duro con me stesso». Da allora i due presero le rispettive misure e tutto filò liscio.

Il suo 2022 parla di dieci vittorie, le più preziose la tappa del Tour e le tre della Vuelta (con 4 secondi posti). E quando eravamo tutti convinti che avrebbe fatto un sol boccone del mondiale, Pedersen ha cambiato direzione e in Australia non c’è andato. La sensazione è che non abbia un gran feeling con i voli a lungo raggio, dato che dal 2018 non ha più corso fuori dall’Europa, ma evidentemente alla squadra sta bene e il suo programma sarà tutto europeo anche nel 2023. L’unica eccezione dovuta è il viaggio in Wisconsin di fine anno, in cui i corridori visitano la sede di Trek. Fra le novità della prossima stagione, c’è invece che Pedersen e Stuyven verranno al Giro d’Italia.

Nel 2019, il giovane e semi sconosciuto Mads Pedersen si rivelò così al mondo, battendo Trentin ad Harrogate
Nel 2019, il giovane e semi sconosciuto Mads Pedersen si rivelò così al mondo, battendo Trentin ad Harrogate
Partiamo dal giorno in cui grazie a te c’è andato di traverso il mondiale. Cosa ricordi?

Che ho vinto la corsa (allarga le braccia, ndr). Prima del via non avrei mai detto che sarei riuscito a vincere. Speravo di fare un bel risultato, ma non certo a quel modo. A volte capita che tutto si metta nel modo giusto e quel giorno per me fu così.

Cosa sai del Giro?

In realtà poco, so che lo farò. Al momento giusto ci siederemo a un tavolo e studieremo il percorso. Prima però sarò concentrato sulle classiche, che restano l’obiettivo principale. Nessuna in particolare, vanno bene tutte. Il mio scopo è arrivarci in forma. Credo di aver fatto un bel passo di crescita fra il 2021 e il 2022 e mi piacerebbe mantenere lo stesso livello anche il prossimo anno.

Cercando di migliorare su qualche terreno specifico?

Non certo sulle salite, perché non mi servirebbe a molto. Devo essere a posto per le classiche e fare del mio meglio nel resto della stagione. Sono consapevole di avere nella volata il mio punto di forza.

Mads è alla Trek dal 2017. Nel 2022 ha vinto la tappa di Saint Etienne al Tour (nella foto) e tre tappe alla Vuelta
Mads è alla Trek dal 2017. Nel 2022 ha vinto la tappa di Saint Etienne al Tour (nella foto) e tre tappe alla Vuelta
Dopo le tre tappe alla Vuelta, eravamo tutti sicuri che Mads Pedersen sarebbe stato l’uomo da battere ai mondiali di Wollongong.

Ma per vincere una corsa devi prima andarci e io ho deciso di non farlo. E’ stata una decisione molto facile da prendere. Volare laggiù sarebbe stato troppo, fino a quel momento avevo fatto una bella stagione e non avevo belle sensazioni sul fatto di andare. Si è trattato di dare fiducia al mio istinto e crederci.

Da dove comincerà il tuo 2023?

Dalla Francia come quest’anno, il primo di febbraio, con l’Etoile de Besseges. Il fatto di non andare in Australia o Argentina è dipeso al 100 per cento da una mia scelta, perché non mi piace fare lunghi viaggi.

Obiettivo classiche, dunque?

Da Sanremo alla Roubaix, esatto.

Cosa sai della Sanremo?

L’ho fatta una sola volta, quest’anno (si è piazzato al 6° posto, ndr). E’ una corsa noiosa, a essere onesto, che non mi piace, ma è una Monumento e questo la rende importante. Sono cinque ore a non fare nulla e poi diventa folle per un’ora e mezza. Non è la più bella che abbiamo nel calendario, ma devo provare a vincerla visto il suo status. Detto questo, non so come si possa fare, dovrò fare qualche ricognizione per capirlo bene. Dipende da come si correrà, ma se quel giorno avrò fiducia nel mio sprint, mi converrà aspettare. Credo un po’ meno invece alla possibilità di tenere la corsa per tutto il giorno. Servirebbe una squadra di corridori forti e tutti votati alla stessa causa, ma non credo che correremo così.

Stuyven, qui con Alafaci che alla Trek è massaggiatore, è nel gruppo classiche e sarà con Pedersen al Giro
Stuyven, qui con Alafaci che alla Trek è massaggiatore, è nel gruppo classiche e sarà con Pedersen al Giro
Invece la Roubaix?

Ho sempre pensato sempre di poterla vincere, già dal sopralluogo dei giorni prima (in apertura in allenamento lo scorso aprile, ndr). L’ho fatta più volte, sono capace di trovare la pressione delle gomme, tenere la posizione giusta nel gruppo, mangiare e bere quando si deve. Eppure negli ultimi due anni non l’ho nemmeno finita, per cadute o sfortune varie.

Prima il Giro e poi il Tour?

Anche il Tour, sì, perché è la miglior preparazione per i mondiali. A Grasgow si correrà due settimane dopo e il Tour darà la velocità giusta alle gambe. Ovviamente anche pensando a vincere delle tappe. Io corro sempre per vincere.

Vedi il divertimento più nel correre o nell’allenarti?

Cinquanta e cinquanta. Dipende dalla corsa e dai giorni di allenamento. E’ un mix, mi piacciono entrambi. Di sicuro preferisco allenarmi da solo, questo al 100 per cento. Mi piace fare il mio passo e i miei lavori specifici. Per questo i training camp non mi piacciono. Devi preoccuparti di tanti altri corridori, non vai alla velocità che ti servirebbe e cose di questo tipo. Però il ritiro è utile per altri motivi. E’ una sorta di team building e ti permette di sistemare un sacco di cose pratiche. E poi mi diverto a stare con i miei compagni, non si tratta di questo. Ma se parliamo di allenamento, allora preferisco stare da solo.

Fra classiche e Giro, prevedi di andare in altura?

Non vado in altura. Mai. Non mi piace stare seduto in cima a una montagna a guardare le rocce.

Meglio la musica ad alto volume del pullman prima di una grande corsa?

Decisamente. Il silenzio in quelle situazioni mi piace ancor meno. Perdi morale se pensi che il tuo capitano non sia sicuro di sé. Sul pullman della squadra prima di una corsa importante c’è musica ad alto volume, balliamo e ci urliamo le cose più disparate. E se capita un corridore che non appartiene al gruppo classiche e chiede di abbassare la musica, lo guardo e fra me e me penso: siediti e leggi il tuo libro, forse ci vediamo al secondo rifornimento. Se ci arrivi…

Longo Borghini, salite e progetti sulla strada del Tour

19.12.2022
6 min
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Elisa Longo Borghini sfoggia buon umore e argomenti concreti. La leggerezza scoperta negli ultimi due anni le ha portato, fra le altre, la vittoria inattesa della Roubaix. In questo giorno che conduce alla fine del ritiro di dicembre a Calpe, la piemontese è appena rientrata dall’allenamento ed è andata a confrontarsi con Paolo Slongo, da anni suo allenatore

«Delle buone atlete – sorride – c’erano anche prima, ma ora la squadra si è rafforzata molto. Questa cosa mi fa piacere, perché oltre ad offrirci grandi opportunità di vittoria con diverse pedine, ci permette anche di fare la gara. Ho tanta voglia di cominciare la stagione. Non sarò più su tutte le corse, questo è vero. Anche se quando verrò chiamata, dovrò vincere».

Prima del ritiro in Spagna, per Longo Borghini allenamento sulle strade di casa (foto Instagram)
Prima del ritiro in Spagna, per Longo Borghini allenamento sulle strade di casa (foto Instagram)

Nel mezzo della corsa

La Trek-Segafredo è lo squadrone numero uno del WorldTour femminile. Certo la Movistar ha vinto Liegi, Giro, Tour e mondiale con Annemiek Van Vleuten. Allo stesso modo, la FDJ-Suez ha vinto Amstel, Freccia Vallone e Ventoux Denivele con Marta Cavalli, ma il senso di collettivo dello squadrone americano non si batte. Nel 2023 fra i nomi da cerchiare in rosso, oltre a quello della piemontese, ci saranno Balsamo e Van Dijk, Spratt, Deignan e Lucinda Brand e le nuove arrivate Realini e Yaya Sanguineti.

«Magari – riprende Longo Borghini – non dovrò essere leader quando non sarà strettamente necessario, anche se poi a me piace sempre essere nel mezzo della corsa. Quindi mi fa molto piacere che ci siano stati nuovi inserimenti per le corse più dure, perché ci permette di giocarci diverse carte».

Sul traguardo di Black Mountain, quinta tappa del Women’s Tour, bel successo allo sprint
Sul traguardo di Black Mountain, quinta tappa del Women’s Tour, bel successo allo sprint
Quale sarà il tuo spazio? Ti senti ancora un atleta in evoluzione?

Vedendo i dati, c’è la possibilità di migliorare ancora. Mi piacerebbe essere un po’ più performante in salita per giocarmi bene le mie carte anche nelle corse a tappe. Si è visto che ci sono abbastanza, però se riesco a migliorare, posso davvero pensare a qualcosa di più. Ci sono ragazze fortissime, per carità, però posso essere anch’io della partita.

Anche fra voi arrivano le nuove leve…

Vedo delle giovani che stanno crescendo in maniera esponenziale. Basta solo guardare Silvia Persico, Eleonora Gasparrini o Marta Cavalli, che è esplosa nell’ultimo anno e mezzo. C’è una nidiata di ragazze che va molto forte. Personalmente mi fa piacere, perché anche come nazionale, questo ci rende più forti. E’ la conseguenza della diversa gestione delle corse. Della professionalizzazione di tutte le squadre e la nascita di WorldTour femminili collegate a team maschili. Il loro know-how alza il livello delle ragazze e questo fa tanto. Negli ultimi 5 anni, secondo me c’è stata un’evoluzione incredibile e io ne sono contenta.

Cosa ci sarà nel tuo 2023?

Personalmente punterei più sul Tour, perché l’anno scorso quel risultato mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca (Longo Borghini si piazzò al sesto posto a 8’26” da Van Vleuten, ndr). Stava andando bene, perché andavo forte, poi ho fatto qualche piccolo errore e le cose sono andate male. Si impara dagli errori e quindi mi piacerebbe ripresentarmi al Tour nelle mie migliori condizioni per riprovarci.

Elisa è all’inizio del quinto anno alla Trek-Segafrdo
Elisa è all’inizio del quinto anno alla Trek-Segafrdo
Con quale obiettivo?

Ad essere onesti, potrei puntare a una top 5 oppure al massimo a un terzo posto. Dire che voglio vincere il Tour sarebbe peccare di superbia. Io voglio andare lì per esprimermi al massimo delle mie capacità. Poi vediamo…

Perché hai scelto di lasciare la Polizia di Stato?

Perché con la professionalizzazione dello sport e con i contratti che arrivano, bisogna scegliere una cosa o l’altra. Parlo per me, beninteso. A un certo punto mi sono trovata di fronte a una situazione in cui le due cose andavano veramente a collidere. Ringrazio tantissimo le Fiamme Oro per quello che hanno fatto. Mi hanno preso sotto la loro ala e in quel momento sono stati fondamentali. Se ho potuto continuare, se io sono arrivata fin qua è anche grazie a loro. Per Nicola Assuntore e Lucio Paravano, che ne sono i due responsabili, io ho immensa gratitudine.

Qual è l’utilità dei gruppi militari ora che il WorldTour dilaga?

I corpi militari sono preziosi per la realtà della pista, che è molto diversa rispetto a quella della strada, a livello maschile e per le ragazze giovani. Se penso a com’ero, sono sicura che senza di loro, sarei stata un po’ persa. Per questo spero che loro possano continuare, magari in una maniera diversa, magari puntando più sulle giovani. Mi è dispiaciuto, devo dire la verità, perché comunque in futuro mi sarebbe piaciuto essere utile alla società. Mi sarebbe piaciuto stare con i cinofili, magari diventare istruttrice di tiro. Insomma, aiutare le persone, non tanto mettermi agli incroci con la paletta in mano.

Decima al mondiale: la corsa di Wollongong è stata l’ultima di Longo Borghini con il casco della Polizia di Stato
Decima al mondiale: la corsa di Wollongong è stata l’ultima di Longo Borghini con il casco della Polizia di Stato
Tre figure chiave per te: Slongo, tua madre e Jacopo Mosca. Da dove cominciamo?

A Slongo devo molto, i miei risultati sono frutto del nostro lavoro. Per me non c’è miglior allenatore. Mi piace molto il suo approccio, anche con la mia mentalità. Lui è uno molto tranquillo, mentre io a volte sono più un po’ più sanguigna. Me la prendo molto, vorrei sempre fare. Invece Paolo mi tranquillizza e mi calma. Lui è uno preciso, ha le sue idee. Ha una visione molto lunga delle cose. Non partiamo mai con degli allenamenti che non siano mirati in prospettiva. Siamo sempre con gli occhi puntati oltre e questa cosa mi piace. Mi piace chi guarda in là, chi è ambizioso, chi cerca sempre qualcosa in più.

La mamma?

All’inizio era la persona che più si opponeva al fatto che io e mio fratello facessimo sport, ma non per motivi particolari. Se non altro perché sapeva benissimo di quanti sacrifici abbia bisogno lo sport. Quando abbiamo cominciato e abbiamo iniziato a girare il mondo, è diventata la nostra prima fan. Mia mamma (Guidina Dal Sasso, azzurra di sci di fondo, ndr), farebbe un po’ di tutto per me. Oltre a seguirmi alle corse, a volte quando sono a casa e fa molto freddo, magari le chiedo se mi raggiunge in cima alla salita su cui sono arrivata. E allora lei prende la macchina, viene e mi porta la mantellina o qualcosa di caldo. Avendo fatto l’Isef ed essendo stata un’atleta, sa come funzionano le cose. Ovviamente adesso sono anni che mi lascia andare, però da donna capisce certe dinamiche da atleta.

L’accoppiata Balsamo-Longo Borghini è una delle colonne portanti della Trek-Segafredo
L’accoppiata Balsamo-Longo Borghini è una delle colonne portanti della Trek-Segafredo
E Jacopo?

Ho trovato la mia tranquillità, la mia serenità. Parlavo con lui mentre stavamo andando a fare il test del lattato con Slongo e ci dicevamo che alla fine è bello essere qui in Trek. Essere in ritiro insieme, essere professionali. Magari non ci incrociamo tutto il giorno, ma comunque sapere che c’è è un bel modo di vivere. Ci sono poi anche momenti e mesi in cui non ci vediamo, però quando siamo insieme siamo effettivamente insieme. So che se dimentico qualcosa, c’è sempre lui.

Classifiche addio, rivedremo il vero Ciccone?

18.12.2022
7 min
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Sono più cattivi i rivali o le maldicenze? Da un paio di stagioni, a Ciccone hanno attaccato varie etichette, bollandolo come uno che non è arrivato dove si sperava e che guadagna più di quanto valga. Nel farlo tuttavia, non hanno mai tenuto conto degli incidenti di percorso che il ragazzo ha incontrato e di quel privato familiare di cui per discrezione non si parla, ma scuote la vita di chiunque vi incappi. Così immaginiamo che al momento di pubblicare questo articolo, ci saranno quelli che neanche lo leggeranno e metteranno mano ai loro commenti e altri che invece andranno avanti nella lettura. Lo scriveremo per loro.

Il terzo gruppo in partenza: in precedenza sono andati i primi due. Fra le 9,30 e le 10 il parcheggio si svuota
Il terzo gruppo in partenza: in precedenza sono andati i primi due. Fra le 9,30 e le 10 il parcheggio si svuota

Il signore di Cogne

A Calpe stamattina il cielo era grigio, nella notte ha piovuto e le strade erano ancora bagnate. C’è di buono che fa caldo, per cui le bici al rientro erano ridotte come cenci, ma il lavoro è andato avanti lo stesso. Prima dell’allenamento, gli allenatori spiegavano il percorso e il modo di affrontarne le varie sezioni. I corridori della Trek-Segafredo sono così tanti, da uscire divisi in tre gruppi. I primi ad andare sono stati quelli che debutteranno al Tour Down Under e alla Vuelta San Juan, poi sono partiti gli altri. Quando Ciccone viene a sedersi, ha la faccia di chi ha appena finito il massaggio.

Il 2022 ha avuto 73 giorni di corsa, fatti di Giro e Tour. La vittoria di Cogne e il terzo posto sul Fedaia. Il secondo posto nella classifica dei Gpm al Giro e il terzo in quella a pois del Tour.

La vittoria di Cogne al Giro ha riportato in primo piano il “vecchio” Ciccone, garibaldino e sfrontato
La vittoria di Cogne al Giro ha riportato in primo piano il “vecchio” Ciccone, garibaldino e sfrontato
Si riparte, cosa ti aspetti?

In testa ho sicuramente la consapevolezza di essere ancora competitivo. E la certezza che bisogna lavorare di più. Il livello è altissimo, non si può lasciare più nulla al caso. Bisogna sempre rimanere concentrati e curare bene i minimi dettagli.

I rivali saltano fuori da tutte le parti…

Sono capitato nella peggiore generazione di tutte (sorride, ndr). Ci sono quei 3-4 fenomeni che hanno qualcosa in più e su loro vive il ciclismo di adesso. In parallelo continuano ad arrivare giovani molto forti, che però hanno ancora tutto da dimostrare.

Due chiacchiere prima di partire: la maglia 2023 della Trek-Segafredo è bianca e rossa davanti, rossa dietro
Due chiacchiere prima di partire: la maglia 2023 della Trek-Segafredo è bianca e rossa davanti, rossa dietro
Su cosa stai lavorando?

Ho smesso di fare troppi programmi e di avere troppi pensieri. Sto lavorando tanto sulla testa per tornare ad essere libero. A livello tecnico invece ci sono tanti aspetti che si possono migliorare. E’ quasi scontato parlare della crono, ma in generale è un cammino lungo, che è già iniziato. Ovvio, non posso dire che sono soddisfatto. Però ci sono state occasioni, come al Tour, in cui ho dimostrato che quando sto bene – togliamo dal mazzo i fenomeni – sono al livello degli altri scalatori. Quindi voglio incrementare ancora il lavoro e migliorare il più possibile.

Hai parlato di programmi e pensieri.

Voglio tornare ad essere libero, quello che è stato il carattere che mi ha sempre caratterizzato negli anni. Tornare quello che ero prima, perché forse negli ultimi due anni ho provato a restare un po’ più calmo. Però secondo me non si può cambiare la natura di un corridore e la mia è quella di attaccare, scattare, andare, partire. Quello è il mio punto forte e per quello voglio lavorare. Se la classifica verrà, sarà la conseguenza delle buone prestazioni.

Decimo sull’Alpe d’Huez e primo degli italiani: per Ciccone quel giorno 142 chilometri di fuga
Decimo sull’Alpe d’Huez e primo degli italiani: per Ciccone quel giorno 142 chilometri di fuga
Possibile che la maglia gialla del 2019 ti abbia portato su una strada non tua?

Sì, perché poi anche nel Giro del 2021 c’è stato qualche segnale che ci ha indirizzato. Alla fine sono andato a casa per caduta a tre tappe da Milano, però ero intorno alla quinta posizione e non ero neanche partito per fare classifica. Non avevo curato nessun dettaglio e mi sono ritrovato lì. Quello è stato un altro segnale che ha aggiunto la pressione di provare. Lo stesso poi è capitato alla Vuelta. Nonostante ci fossero dei grandi nomi, ero nei primi 10. Poi c’è stata un’altra caduta non per colpa mia e anche lì sono andato a casa con niente in mano. Erano segnali che sia io sia la squadra abbiamo raccolto e abbiamo provato a lavorarci.

Sarà così anche quest’anno?

Non voglio pormi questo obiettivo, anche perché è un’arma a doppio taglio per tutti, per me in primis. Significa caricarsi di una pressione che non fa bene e porta a quello che è successo negli ultimi due anni. Ritrovarsi sotterrati prima da mille aspettative e poi da mille critiche. Le mie responsabilità me le prendo, ma ora voglio tornare il corridore che sono sempre stato. Quest’anno al Giro ci sono arrivato dopo il Covid e mille altri problemi. Sapevo che non potevo fare classifica e lo avevo anche detto. Però sono riuscito a vincere una bella tappa e quasi a fare il bis sul Fedaia (è arrivato 3° a 37″ da Covi, ndr). Le tappe sono alla mia portata e sto lavorando per quello.

Ciccone ha già una bella gamba: la preparazione è ripresa già da tre settimane
Ciccone ha già una bella gamba: la preparazione è ripresa già da tre settimane
E’ stato difficile tenere a freno l’istinto?

Ho seguito tanti consigli e mi sono automaticamente adattato. Non è stato difficile, ma non lo è stato nemmeno tornare a quello che ero prima. Dal momento in cui ho deciso che dovevo tornare a divertirmi, mi sono divertito. Ho svoltato dopo la batosta del Blockhaus. Sapevo che rischiavo di saltare ed è successo proprio a casa mia. Però la cosa che mi è piaciuta di più è stata la mia reazione. Il mondo sembrava essermi caduto addosso, invece la sera del giorno di riposo mi sono fatto una bella mangiata di arrosticini con gli amici più stretti, abbiamo tirato una linea e siamo ripartiti. La chiave principale per il prossimo anno è essere super competitivo, limare tutti i dettagli possibili, lavorare tanto, divertirmi e far divertire. E’ quello che ho sempre fatto.

Le critiche non mancano, ti aspettavi un percorso diverso per la tua carriera?

Me l’aspettavo con meno intoppi, ecco. A me non piace trovare scuse e quindi non voglio aggrapparmi a questo, ma di sicuro il primo anno nel WorldTour è andato molto bene. Il 2020 era iniziato ancora meglio, pensavo di essere arrivato a un livello che poteva essere la mia linea, invece sono arrivati i problemi. Sono stato il primo o uno dei primi corridori ad avere il Covid. Ho avuto paura, perché comunque ero stato male e non sapevo esattamente cosa fosse. Adesso quando ti arriva un tampone positivo, sai che sei limitato e soprattutto non puoi farci niente. Se ti capita in un periodo sbagliato, non puoi cambiare le cose e la mia sfortuna è arrivata nel periodo sbagliato.

La proposta di matrimonio ad Annabruna sul palco di Lorenzo ad agosto (foto Jova Beach Party)
La proposta di matrimonio ad Annabruna sul palco di Lorenzo ad agosto (foto Jova Beach Party)
Per il tipo di corridore che sei, perché non puntare soprattutto a Tirreno e classiche?

Il livello adesso è così alto che azzardarsi a dire qualcosa, ti porta a sbilanciarti. Ho sempre detto che a me piacciono la Freccia e la Liegi, due gare che quest’anno vorrei fare veramente bene. E bisognerà essere pronti a partire già dalla Tirreno. E anche questa in effetti potrebbe essere un bell’obiettivo.

Proposta di matrimonio al Jova Beach Party.

In realtà ci pensavo da prima. Il mio sogno era farla a Parigi, sul podio dei Campi Elisi, perché fino a 2-3 giorni dalla fine ero in lotta per la maglia a pois. Però ovviamente non ci sono riuscito e avevo rimandato tutto a una grande occasione. Siccome al Giro avevo avuto i contatti con Jova e sapevo che lui faceva questo concerto in Abruzzo, mi sono detto che quella poteva essere la grande occasione. Lui si è divertito ancora più di me, l’abbiamo organizzato insieme. Sto diventando grande, la prossima settimana farò 28 anni. E la testa a posto penso di averla già messa da un pezzo.

Indagine con Cataldo sulle frenesie del gruppo

15.12.2022
8 min
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Proprio alla fine dell’intervista, il discorso con Dario Cataldo ha imboccato una direzione imprevista. Dopo aver definito il suo ruolo alla Trek-Segafredo, di cui evidentemente vi racconteremo in un prossimo articolo, l’abruzzese ha cominciato a ragionare su cosa ci sia di diverso da due anni a questa parte nelle dinamiche del gruppo. E su quale possa essere il suo futuro, dato che l’ultimo rinnovo di contratto lo porterà fino ai 39 anni.

L’hotel Diamante Beach è il solito andirivieni di corridori e appassionati, che in queste due settimane che conducono al Natale trasformano la Costa Blanca nel più grande raduno di team professionistici. Il Peñon de Ifach, lo sperone roccioso che sovrasta la spiaggia, è come un campanile: lo vedi da qualunque direzione arrivi.

«La vera differenza è che si corre in modo molto più aggressivo – spiega Cataldo – serve più esplosività, si va tutta dall’inizio alla fine. Si corre quasi come degli under 23, un modo di interpretare la corsa molto diverso. Ovviamente quando sei più giovane, questa brillantezza ce l’hai. Per questo si vedono i corridori giovani che partono in modo molto spavaldo, se hanno motore vanno. Il problema per un corridore più maturo è che diventa diesel. Ha più fondo, più resistenza, più recupero. Quindi con questo modo di correre fatica di più, è difficile mettersi in mostra e far vedere quello che sai fare. Per questo, se nel ciclismo di 4-5 anni fa era pensabile arrivare fino ai 40 anni, adesso è molto complicato. Passati i 35, il motore inizia a cambiare. Quindi o sei un Valverde che ha un motore fuori dal comune e quindi compensi, altrimenti diventa dura».

Il Peñon de Ifach domina la scena di Calpe, spezzando la spiaggia in due
Il Peñon de Ifach domina la scena di Calpe, spezzando la spiaggia in due
E’ un caso che queste differenze, questa svolta sia venuta fuori nel 2020 del Covid?

Secondo me sì. Già prima del lockdown era iniziato un approccio diverso alla gara, solo che nessuno ci ha fatto caso, visto quello che sarebbe successo di lì a poco. Già nelle prime gare che feci nel 2020, tipo la Valenciana, si notava che si correva in modo più aggressivo, poi con la riapertura dopo il lockdown, certe cose si sono accentuate. Si è creata una combinazione di fattori. La stagione è diventata cortissima. Chi era in scadenza di contratto doveva sparare tutte le cartucce in quei tre mesi, per cui erano tutti preparati al massimo del massimo. I più giovani in quell’andare a tutta e in modo nervoso si sono ritrovati facilmente e hanno portato il loro modo di correre più spavaldo (Cataldo allarga le braccia, ndr). Hanno cominciato ad attaccare a 70-100 chilometri dall’arrivo. E da lì sono iniziate a cambiare anche le dinamiche di corsa.

Ogni giorno come una tappa del Tour, più o meno?

I primi tempi, con quel modo di andare, la gara si accendeva subito e quindi serviva più tempo perché andasse la fuga. Era difficile prenderla. La fuga va quando c’è un rilassamento del gruppo, invece se si va sempre a tutta, le cose cambiano. Ci vuole più tempo. In quel momento che veniva dopo il lungo stop del Covid, i corridori più maturi erano in sofferenza. Al corridore giovane basta poco per tornare subito brillante. Uno più grande ha bisogno di correre, di tenere di più il motore aperto per poter rendere. Nel 2020 è stato così, poi progressivamente è andato cambiando ancora. Già da quest’anno i valori sono tornati vicini alla normalità.

Con Elvio Barcella, massaggiatore, Calabresi e Casarotto di Enervit hanno portato al team le ultime novità
Con Elvio Barcella, massaggiatore, Calabresi e Casarotto di Enervit hanno portato al team le ultime novità
Ad eccezione di qualche caso, sono diminuite anche le fughe pazze.

Tante volte partivano dei corridori a 100-150 chilometri dall’arrivo. Allora quelli come Cataldo (sorride, ndr) facevano i loro conti, con l’esperienza si riesce a farlo. Vedevi quanti corridori erano, il tipo di percorso, sentivi il vantaggio da radio corsa e stabilivi che per riprenderli si sarebbe dovuti andare a una certa velocità per un tot di tempo. Sapevamo già come sarebbe andata a finire. Invece i primi tempi non funzionava più. Iniziavi a tirare, si iniziava ad andare veloce, poi velocissimo, eppure quelli in testa non perdevano vantaggio. Da quando si è capito questo, non lasci più tanto vantaggio. E’ iniziato un processo di revisione, si può dire così. E alla fine, dato che il gruppo è sempre più folto perché il livello si è alzato, per fare delle grandi differenze devi partire da tanto lontano, altrimenti la situazione è più sotto controllo.

Che cosa significa che il livello si è alzato?

In gruppo ci sono più energie e secondo me questo cambio è dovuto molto all’alimentazione. Le teorie legate al mangiare in corsa e fuori sono cambiate tanto. Prima si mangiava meno per ingrassare meno, adesso si mangia tantissimo, per bruciare di più e consumare di più. In gara il serbatoio deve essere sempre pieno. Si sta tutti con le bilance per mangiare il giusto dopo la gara o prima della gara, mentre in corsa si mangia l’impossibile. Si mandano giù quantità impressionanti. Io certe volte non riesco a starci dietro. C’è da prendere 90-120 grammi di carboidrati all’ora. Cioè, facciamo il calcolo, quanti piatti di riso sono in cinque ore di gara? Poi magari lo dividi tra i gel e le borracce, però è tanto e tante volte non ci stai. Prima questa gestione non c’era.

Gli automobilisti della Costa Blanca sono abituati ai ciclisti, ma la prudenza non guasta mai
Gli automobilisti della Costa Blanca sono abituati ai ciclisti, ma la prudenza non guasta mai
E’ scomparsa la crisi di fame?

Se vai in crisi di fame, è perché hai cercato di alimentarti, ma ci sono delle condizioni che non ti permettono di farlo. Magari perché fa freddissimo, si va talmente a tutta che non hai tempo di mettere le mani in tasca. Oppure le hai congelate e non riesci a prendere da mangiare. E mentre tu sei così, gli altri continuano ad andare forte perché sono riusciti ad alimentarsi. Stando così le cose, prima per arrivare a una crisi di fame dovevi aver consumato tutto, adesso basta avere un calo minimo e sei fuori. Perché gli altri sono ancora a gas aperto. Questo è quel che sta facendo la differenza. E’ come in Formula Uno. Le macchine, il motore, gli ingegneri che calcolano la benzina, la qualità della benzina, la quantità. Quanti giri fai con un pieno. E’ diventato così anche nel ciclismo. L’aerodinamica, i watt, le proteine, i carboidrati. Fondamentalmente siamo dei motori biologici.

Non è un po’ troppo?

Secondo me è giusto che sia così, opinione di Dario Cataldo, insomma. Lo sport comunque è ricerca della perfezione. E il ciclismo è uno sport dove riesci a mettere insieme sia la parte biologica, come accade anche nella maratona, la parte tattica, la parte tecnica nel senso delle abilità, la parte tecnica nel senso di meccanica, aerodinamica, resistenze meccaniche, leggerezza e peso. Dall’unione di queste cose, crei quasi la macchina perfetta. Sicuramente è molto più stressante, non è più il ciclismo eroico di prima. Anche in Formula Uno una volta rompevano il volante e finivano la gara con la chiave inglese che reggeva il piantone dello sterzo. Oggi sarebbe impensabile, no?

Prima dell’uscita con Tiberi e Mads Pedersen, uomo veloce per cui Cataldo ha spesso lavorato
Prima dell’uscita con Mads Pedersen, uomo veloce per cui Cataldo ha spesso lavorato
Hai detto “macchina quasi perfetta”.

Perché nonostante tutto, alla fine hai comunque a che fare con degli umani e trovi quello che rompe gli schemi, anche se è sempre più difficile. Non è tutto matematica, l’aspetto psicologico conta tantissimo. Ad esempio, alla Vuelta abbiamo vinto una tappa con Pedersen, a Talavera de la Reina, che a livello personale è stata bellissima. La squadra era contentissima.

Che cosa è successo?

Era una tappa corta, di 138 chilometri, difficilissima da controllare. Si faceva due volte un circuito con una salita, era impossibile tenere chiusa la corsa, perché al primo giro ci avrebbero tirati scemi attaccando. Idem al secondo e poi gruppo in pezzi. Invece De Jongh (diesse del team, ndr) ha detto subito che ce la potevamo fare. Era convintissimo e vederlo così ci ha motivato tantissimo. Siamo partiti con un’aggressività spaventosa. La fuga è andata via subito, ma abbiamo lasciato il margine giusto. Abbiamo iniziato a chiudere, abbiamo fatto stancare quelli dietro con delle frustate in discesa. Abbiamo aggredito tanto la gara che gli altri non sono arrivati nel finale con le forze giuste. Eravamo sfiniti, di tutta la squadra erano rimasti solo due dei nostri. Bastava che tre o quattro si fossero svegliati un attimo e avrebbero lasciato il gruppo al vento.

Invece?

Abbiamo ammazzato così tanto psicologicamente il gruppo, che nel finale siamo riusciti ugualmente a fare il treno e lanciare Mads alla vittoria. Ci sono delle situazioni in cui aggredire la corsa o fare qualcosa che gli altri non si aspettano, può cambiare le cose. Ogni corsa è una storia, ma su queste teorie si potrebbe scrivere un libro.

Il giorno di Talavera la Reina è per Cataldo un capolavoro tattico della Trek
Il giorno di Talavera la Reina è per Cataldo un capolavoro tattico della Trek
Quindi alla fine la differenza la fanno sempre il modo di interpretare la corsa e un direttore con la visione giusta?

Per quanto tu possa spingere al massimo la prestazione della persona, nel ciclismo ci sono troppe variabili in più rispetto alla Formula Uno. Le discese, le condizioni, la pioggia, il freddo… Troppe cose che non si riesce a calcolare. E poi la bici ha un’altra cosa che fa la differenza rispetto alle auto da gara.

Quale?

La cosa bella del ciclismo è che le corse sono una cosa, la bici e il suo fascino un’altra. Magari un giorno smetterò di essere corridore, ma non smetterò mai di essere ciclista, di amare la bici. Mi succede spesso di essere saturo, di tornare a casa e dire che non voglio vederla più neanche in fotografia. Il giorno dopo invece arriva uno, indica la mountain bike e ti invita a fare un giro nei boschi. Accetti subito, magari sei stanchissimo eppure ti fai cinque ore. Perché della bici sono innamorato e non me ne stancherò mai.

Come un falco sulla preda, Pellaud è di nuovo in corsa

14.12.2022
5 min
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Tanta fatica per (ri)entrare nel WorldTour e poi una firma per venirne fuori: è la storia di Simon Pellaud che con un anno di anticipo sulla scadenza, ha rescisso il contratto con la Trek-Segafredo.

Il forte corridore svizzero-colombiano circa 48 ore fa ha rivelato al pubblico la sua nuova squadra: la Tudor Pro Cycling di Fabian Cancellara. Ed è pronto ad iniziare questa nuova avventura ritrovando l’entusiasmo che lo ha sempre contraddistinto.

Pellaud (classe 1992) correrà le prossime due stagioni con il Tudor Pro Cycling Team, qui la presentazione dei 20 atleti
Pellaud (classe 1992) correrà le prossime due stagioni con il Tudor Pro Cycling Team
Simon, eccoti alla Tudor dunque. Come ci sei arrivato?

Alla fine ho sempre seguito questo progetto che nasce dalla Swiss Race Academy, c’è gente che già conoscevo. Lo seguivo, ma senza pensare di andarci… tanto più da un giorno all’altro.

Spiegaci meglio…

Ho visto questo progetto nascere. Al Tour de Romandie ho visto che sarebbero partiti… e anche bene. Per la Svizzera avere una squadra professional è davvero importante. Ho aiutato alcune persone ad entrarci, un corridore e un paio dello staff, non pensavo a me. Poi durante una delle ultime corse, le cose sono cambiate. Io avevo vissuto la mia stagione più difficile di sempre sia a livello fisico che mentale. Non ho reso bene e quando è così, per di più in una grande squadra, è difficile ritrovare la fiducia da parte della squadra e in te stesso. Così ho parlato con il team e mi hanno detto che se volevo potevo andare via. Era tardi, eravamo al Giro del Lussemburgo (metà settembre, ndr) e lì è successo il tutto con la Tudor.

Cosa significa, Simon, aver perso la fiducia della squadra?

Io non sono un campione, non ho caratteristiche specifiche. E stare vicino agli atleti della Trek-Segafredo che sono tutti campioni e tutti con una loro caratteristica specifica per me è più complicato. Al netto dei tanti problemi fisici, che di certo non mi hanno aiutato, non mi sono trovato io. Ma con staff e corridori tutto okay. E tutto ciò a livello mentale non mi ha dato nulla. Mi sono sentito solo. Quando ho ripreso a stare bene, per tornare in fiducia, avevo solo un paio di gare.

E la stagione era finita…

Esatto. Ci voleva più tempo, più gare da fare con quella condizione. L’avessi avuta non dico in primavera, ma almeno a giugno magari sarei riuscito a salvare qualcosa. Avrei avuto il tempo di dimostrare che possedevo il talento per stare in una squadra importante. E poi devo dire che il progetto Tudor è impressionante. Loro magari lo tengono sin troppo nascosto, ma c’è uno sponsor fortissimo, un staff super, giovani solidi… Magari non vinceremo subito gare WorldTour, ma credo che fra due o tre anni saremmo tra i team più grandi.

Cancellara si vede mai? E’ presente?

Poco. Era a Ginevra nei giorni del primo meeting con i boss dello sponsor. Poi immagino lo rivedremo in gara. Ma lui rispetta il suo ruolo, quello di proprietario e non entra nei meriti tecnici. Non fa né il manager, né il direttore sportivo.

Prima hai parlato delle tue “non caratteristiche” specifiche, in effetti nel ciclismo attuale non è facile. Perché o diventi l’uomo di super fiducia di un Pogacar (che alla Trek non c’era), oppure si fa dura, specie se non sei in forma come è successo a te nel 2022…

E’ più difficile raggiungere i risultati. Immaginate mentalmente senza una buona gamba e senza un tuo terreno, come vivi. Sei lì solo a fare a numero in attesa di staccarti quando apriranno il gas. Non va bene. Io credo che fare gare giuste per il nostro livello mi aiuterà e ci aiuterà come squadra.

Simon è un appassionato di mtb. In estate ha preso parte al Gran Raid, mitica e durissima gara elvetica. Anche in Colombia ci va spesso
Simon è un appassionato di mtb. In estate ha preso parte al Gran Raid, mitica e durissima gara elvetica. Anche in Colombia ci va spesso
Quindi rivedremo il Simon Pellaud che tanto piace al pubblico, con il suo modo aggressivo di correre, con i suoi attacchi?

Mi avevate fatto la stessa domanda in un’altra intervista e lo spero anche io di tornare il “nuovo vecchio Pellaud”! La cosa che mi dà fiducia è che al mondiale mi sono davvero sentito bene. Ho ritrovato certe sensazioni che mi consentono di fare il ciclismo offensivo che piace a me.

E questo buono per affrontare l’inverno…

Esatto, stavo per dire proprio questo. In questo modo sei più tranquillo per fare bene la preparazione, adesso, e le vacanze, prima.

Più o meno conosci il tuo calendario?

Ci sono un paio di possibilità, ma dovrei iniziare da Besseges e Algarve. Poi dovrei tornare in Colombia. Anche questo è molto importante, per me, per il mio equilibrio. Qui ho più libertà nello stare tra Colombia e Svizzera. Tra l’altro in Colombia, a casa mia, ho la possibilità di stare in quota e di allenarmi al caldo.