Corsa rosa, ci siamo quasi. Si preparano le bici…

28.04.2021
4 min
Salva

Se c’è una figura che all’interno di una squadra è davvero indispensabile è proprio quella del meccanico. Durante una corsa come il Giro d’Italia, i meccanici sono i primi ad alzarsi e gli ultimi a terminare il proprio lavoro. Si possono considerare gli angeli custode delle bici. Se ne prendono cura con dovuta attenzione: attenti ai particolari, perché sanno perfettamente che anche le più piccole imprecisioni possono diventare causa di spiacevoli inconvenienti. Con l’avvento dei gruppi elettronici e dei freni a disco, il lavoro è diventato più sofisticato.

Fausto Oppici, meccanico del team Bike Exchange al lavoro nel dopo tappa
Fausto Oppici del team Bike Exchange al lavoro dopo la tappa

«La fase più importante inizia dopo la tappa – dice Alessandro Stocco, meccanico del team Astana-Premier Tech – la bici in corsa è soggetta a possibili cadute, botte, danneggiamenti delle parti meccaniche, quindi il meccanico dovrà prendersene cura e rimetterla in sesto per la tappa successiva. La mattina una controllata per vedere se è tutto a posto. Poi si segue la corsa in ammiraglia, dove in caso di forature o cadute, il meccanico dovrà intervenire immediatamente per sostituire la ruota o direttamente la bici».

Un giro tra i box

Al Tour of the Alps abbiamo fatto un giro tra i meccanici per capire cosa cambierà nelle bici che scenderanno in gara al Giro d’Italia.

«Non cambierà molto – racconta Alessandro Mazzi, uno dei meccanici del UAE Team Emirates – le bici fondamentalmente sono queste. Possiamo renderle più leggere cambiando le ruote ad esempio, ma il fatto è che sono già leggere. Una novità potrebbero essere i tubeless che verranno utilizzati nelle tappe piatte e per quella con lo sterrato. Tuttavia il peso sarà pressoché simile, sia con i tubolari che con i tubeless».

Al Team Uae Emirates, sia bici con freni a disco, sia con caliper: sceglie il corridore
Al Team Uae Emirates, bici con disco o con caliper: sceglie il corridore

Parliamo dei dischi

I freni a disco hanno convinto proprio tutti? Sembra che non sia così. «Ci sono alcuni corridori che preferiscono utilizzare i freni tradizionali – prosegue infatti Mazzi, in apertura nella foto Fizza – specialmente nelle tappe in salita. Il motivo è senza dubbio il peso, le bici con i freni a disco pesano di più».

Non è tutto, infatti. C’è anche una squadra, come abbiamo visto al Tour of the Alps, che preferisce correre, al completo senza eccezioni, con i freni tradizionali: stiamo parlando del team Ineos Granadiers.

Ineos compatta

«La scelta è stata presa dai dirigenti in totale sintonia con i corridori – spiega Matteo Cornacchione, uno dei meccanici del team – innanzitutto per il peso: le bici con freni tradizionali pesano meno. Poi c’è una situazione in particolare in cui i freni possono assumere un ruolo determinante. Se un leader fora e non ha l’immediata assistenza tecnica da parte dell’ammiraglia, come fa? Si salva solo se un compagno gli passa la sua ruota. Questo è possibile esclusivamente con i freni tradizionali».

A quanto pare, insomma, la scelta dei freni a disco non è così scontata, pur dovendo ammettere che la frenata non è la stessa.

«I freni a disco hanno una frenata più corta e immediata. I freni normali invece hanno un tipo di frenata più morbida. Entrambi comunque sono estremamente sicuri», conclude Matteo Cornacchione.

Le Wilier 0 Slr del team Astana-Premier Tech pronte a partire
Le Wilier 0 Slr del team Astana-Premier Tech pronte a partire

I componenti più delicati

Quali sono le parti più sensibili di una bici? Ce lo spiega Fausto Oppici, meccanico del team Bike Exchange.

«Le ruote sono una parte delicata – dice – perché se il corridore prende una buca a forte velocità c’è il rischio che si rompano e che non vadano più bene. Oramai i materiali sono affidabili, però quando cadi è difficile dire quale componente rischi di rompersi prima rispetto a un altro. Dipende dalla caduta.

«Per quanto riguarda l’usura invece, c’è da fare qualche distinguo. Se non succede nulla, grazie alle migliorie che ci sono state nel corso degli anni, un corridore può fare molti chilometri in corsa ad esempio con la stessa catena e gli stessi i tubolari. Quanto di preciso non si può dire con certezza, perché fattori come il meteo possono influenzare l’usura dei materiali».

La faticosa rincorsa di Nairo Quintana

27.04.2021
4 min
Salva

Un doppio intervento alle ginocchia a ottobre, poi due mesi di rieducazione e soltanto a gennaio Nairo Quintana è riuscito a tornare in bicicletta e iniziare la sua rincorsa a piccoli passi. Non certo il modo migliore per iniziare la preparazione invernale e per questo sin dalle prime uscite, il colombiano ha dovuto stringere i denti. Anche se sulle salite il modo di mettere fuori il naso l’ha pure trovato. Il bello di quando hai un talento speciale è che in apparenza ti viene tutto facile.

Con il fratello e il piccolo Santiago Umba, suo pupillo e compaesano, che corre alla Androni
Con il piccolo Santiago Umba, suo pupillo, che corre alla Androni

Debutto affrettato

Quintana infatti ha debuttato al Tour de la Provence, chiudendo al 9° posto. E’ stato poi 4° a Larciano e in una Tirreno-Adriatico di grande fatica, ha comunque strappato il quinto posto a Prati di Tivo. Ma la condizione che arriva in fretta, altrettanto rapidamente se ne va. Per cui al Catalunya s’è trattato solo di stringere i denti e accumulare fatica e lavoro, mentre al Tour of the Alps, grazie a una fuga c’è scappato il quarto posto di tappa a Pieve di Bono, nella tappa vinta da Pello Bilbao.

«Come sempre – ha detto quel giorno sul traguardo – speravo in qualcosa di più. Mi sono difeso meglio in discesa che in salita. Mi sentivo a mio agio e sono riuscito a superare diversi corridori. Non sono nelle migliori condizioni fisiche possibili. Sto cercando di completare questa rincorsa. Non c’è niente di sbagliato nel lavoro di squadra, in pianura o in montagna. Sono stati tutti fantastici. Alla fine, toccava a me riportare il risultato concreto di questo lavoro. Mi dispiace un po’ di non aver vinto perché speriamo tutti in una vittoria. Stiamo andando avanti, continueremo a lavorare».

Quarto a Pieve di Bono, dopo un gran lavoro della Arkea-Samsic
Quarto a Pieve di Bono, dopo un gran lavoro della Arkea-Samsic

L’istinto è quello di vincere, ma non si può ignorare il fatto che queste prime corse siano state il tentativo improbabile di costruire la base cui altri hanno lavorato sin da dicembre, una rincorsa che avrebbe meritato un miglior appoggio.

Come vanno le ginocchia?

Vanno un po’ meglio, ormai il processo di recupero è terminato e si sta chiudendo anche questo primo ciclo di competizioni, che è stato un inizio abbastanza difficile. Però tutto sommato sto bene.

Un’occhiata alla bici prima di partire: la Arkea corre su Canyon
Un’occhiata alla bici prima di partire: la Arkea corre su Canyon
In pratica hai costruito la base correndo?

Ho cominciato a gennaio con i primi allenamenti. Sono arrivato alle gare come in una rincorsa, con molta fretta e molta pressione. E il ritmo di gara è stato abbastanza alto, per cui non è stato facile sostenerlo e usarlo per fare dei lavori utili. Ma era necessario cominciare. Per fare la base che non ho fatto nella stagione invernale.

Perché non fare il Romandia?

Perché ho chiesto abbastanza al mio fisico. Per cui ora farò qualche altra piccola corsa (si parla della Vuelta Asturias, che parte il 30 aprile) e poi riposerò un poco. Quindi inizieremo la preparazione del Tour de France.

Un chiarimento con Carthy, compagno di fuga, alla fine del Tour fo the Alps
Un chiarimento con Carthy, compagno di fuga, alla fine del Tour fo the Alps
Tornerai in Colombia?

Stiamo vedendo se andare a casa, per il tema Covid, o se restare qui. In ogni caso farò lo stesso tipo di lavoro e anche quello andrà inquadrato. Dobbiamo preparare il Tour, sapendo che a causa di un percorso un po’ troppo veloce, per me sarà difficile lottare per la classifica generale. Però serve ottimismo, andiamo per fare bene.

E poi le Olimpiadi?

Mi piace tutto di questa idea e mi piace anche il percorso. Sono le prime Olimpiadi che faccio per il mio Paese e voglio fare bene. Stiamo uscendo da un’epoca difficile, però a poco a poco va passando. Speriamo nell’estate di portare qualche gioia.

Editoriale / Perché niente Liegi per Moscon?

26.04.2021
2 min
Salva

Gianni Moscon non è partito infine per la Liegi, come era nei programmi annunciati durante il Tour of the Alps, perché la scelta del team Ineos Grenadiers è stata mantenere in Belgio il gruppo che aveva già corso l’Amstel Gold Race e la Freccia Vallone.

Golas per Pidcock

Il discorso avrebbe avuto una logica inattaccabile se quel gruppo fosse rimasto identico, ma così non è stato. Infatti, dopo la caduta di Pidcock alla Freccia Vallone, lo squadrone britannico ha ritenuto meglio inserire Golas, sostituendo il potenziale vincitore con un gregario che aveva corso l’Amstel e non la Freccia, piuttosto che concedere una possibilità al trentino, che proprio nella corsa di casa aveva vinto due tappe.

Il forcing della Ineos sulla Redoute ha lanciato Carapaz
Il forcing della Ineos sulla Redoute ha lanciato Carapaz

Insolita scelta

A questo punto la riflessione riguarda la stessa permanenza di Moscon (in scadenza di contratto) nel team se, come sembra, la sua presenza al Tour of the Alps è stata quasi imposta da Tosatto. E’ evidente che la Liegi abbia un diverso peso specifico rispetto alle due tappe vinte da Moscon, è anche evidente che ragioniamo forse più da tifosi, ma è altrettanto vero che né Carapaz né Kwiatkowski dessero grandi garanzie di poter vincere in Belgio. Perché non portare Moscon?

Redoute di fuoco

Dal Trentino sono volati a Liegi Pozzovivo, Fabbro e pure Quintana: corridori che certo andavano molto meno di Moscon. E la Ineos, che ha fatto fuoco e fiamme sulla Redoute, si è ritrovata con Carapaz ripreso e poi espulso per posizione pericolosa in sella mentre era in fuga e Kwiatkowski undicesimo, senza aver mai dato la sensazione di poter lottare per un risultato migliore.

Tour of the Alps 2021, così Gianni Moscon a Innsbruck nella 1ª tappa
Tour of the Alps 2021, così Moscon a Innsbruck

Che cosa avrebbe potuto fare Moscon a Liegi? A detta di Garzelli, sarebbe stato un ottimo aiuto per il team, portando via magari una fuga per tenere coperti gli altri leader. Ora Gianni correrà al Giro d’Italia, sperando che il buon momento prosegua. Quanto al suo futuro e al futuro dei talenti italiani, l’ultimo passaggio rende evidente a cosa servirebbe un team italiano nel WorldTour. Secondo voi il tecnico italiano di una squadra italiana avrebbe mai lasciato fuori questo Moscon dalla Liegi?

La resa di Thibaut: «Dopo tre ore, il buio…»

25.04.2021
4 min
Salva

Alla partenza della penultima tappa del Tour of the Alps da Naturno, mentre Thibaut Pinot si scaldava sui rulli, il diesse Philippe Mauduit in un angolo li osservava e intanto spiegava.

«Il problema è la schiena – diceva – e non passa. Da quella caduta il primo giorno dell’ultimo Tour, a Nizza. Abbiamo visto ortopedici e osteopati, ma il primo disse le parole giuste. Questo tipo di lesioni sono meno gravi di una frattura. Ma una microfessura nell’articolazione sacroiliaca è lunga da far guarire. Possono servire dai 6 agli 8 mesi, fino a un anno. Thibaut sta certamente meglio. Ci sono dei giorni in cui si allena senza sentire dolori e altri in cui non riesce a stare sulla bici. In corsa magari sta per due ore a non avere nulla, ma appena serve più forza, deve rialzarsi».

Al via dell’ultima tappa, Thibaut scherzava con Bardet
Al via dell’ultima tappa, Thibaut scherzava con Bardet

La fuga e la resa

Per questo Pinot ha rinunciato al Giro d’Italia e verosimilmente dovrà rivedere la sua stagione. E’ stato lui per primo a spiegarlo sul traguardo dell’ultima tappa, a Riva del Garda, in cui aveva… beccato la fuga giusta. Solo che mentre Grosschartner è andato all’arrivo e l’ha vinta, il francese ha dovuto rialzarsi.

«Mi sono divertito in quest’ultima tappa – ha detto Thibaut prima di salire sul pullman – ma è stato ancora una volta frustrante, essere stato nella fuga che è andata sino alla fine e non aver potuto lottare per la vittoria. E’ successo come gli altri giorni, più passano i chilometri e meno stavo bene. I risultati sono catastrofici, non c’è stato molto di positivo in questa settimana. Non sono in condizione di fare bene al Giro».

Questa la caduta di Nizza, prima tappa del Tour 2020, dove tutto cominciò
Questa la caduta di Nizza, prima tappa del Tour 2020, dove tutto cominciò

Tre ore di corsa

Alla partenza dell’ultima tappa sembrava di buon umore, scherzando con Bardet in riva al lago di Idro, poi le cose si sono rimesse ad andare male e neppure 24 ore dopo è arrivato il comunicato della squadra.

«Se venissi al Giro – spiegava ancora Pinot a Riva – soffrirei inutilmente e non potrei aiutare la squadra. Non è nemmeno una questione di forma, ma il mal di schiena mi impedisce di esprimermi. E’ difficile da spiegare. Purtroppo più passano i chilometri, più il dolore aumenta e ad un certo punto fa troppo male forzare. Dopo tre ore di corsa, per me si complica tutto. Ma adesso voglio curarmi, lasciarmi alle spalle questi problemi alla schiena per ritrovare il mio livello e lottare con i migliori».

Philippe Mauduit, ds della Groupama, parla con Novak: dietro il bus, Pinot sui rulli
Philippe Mauduit, ds della Groupama, parla con Novak

Infiltrazione, no grazie

Alle spalle di tutto questo, una luce positiva c’è e riguarda la dignità e la rettitudine di questo ragazzo introverso ma trasparente. Raccontano i colleghi francesi e conferma la squadra che durante l’inverno, di fronte al dolore che non passava, gli è stato proposto di fare un’infiltrazione. Pinot è sempre stato contrario all’uso di simili pratiche, che nel calcio o nel tennis sono all’ordine del giorno, ma si trattava di un periodo fuori competizione e per potersi allenare accettò.

«Quando vedo l’effetto che l’infiltrazione ha avuto sulla mia schiena – ha raccontato di recente Thibaut a L’Equipe – mi dico che avrei potuto finire diverse gare. Ma nonostante questo non ho mai avuto intenzione di ricorrervi in gara. Preferisco rimanere retto nella mia convinzione».

In fuga verso Riva con Grosschartner: l’austriaco vincerà, Pinot dovrà rialzarsi
In fuga verso Riva con Grosschartner: l’austriaco vincerà, Pinot dovrà rialzarsi

Modello ciclismo

Sull’argomento nelle scorse settimane è arrivato anche il commento del tecnico francese Thomas Voeckler.

«Una posizione che va a suo merito – ha detto – e non sorprende che venga da lui. E’ uno di quei corridori che hanno una chiara concezione della propria professione. Nessuno dubita della sua integrità, come si fa oggi per altri corridori. La bicicletta, dopo essere stata additata, ora viene mostrata come esempio. In altri sport, alcuni campioni vengono dipinti come dei duri, perché giocano sotto infiltrazione».

Intanto però a margine di tanti discorsi, Pinot e la sua microfrattura hanno ripreso mestamente la via di casa. Nel team cresce intanto l’astro di Gaudu, ma per la simpatia verso il “vecchio” Thibaut, che comunque non ha ancora compiuto 31 anni, speriamo possa presto venirne a capo.

Sivakov, le cadute e i dubbi di Tosatto

24.04.2021
4 min
Salva

Era stato proprio Sivakov a gettare il guanto della sfida sulla salita finale di Feichten. Yates lo aveva raccolto e rilanciando aveva lasciato il leader della Ineos a 41 secondi. Si era capito che nel corpo a corpo, lo scalatore del Team Bike Exchange fosse più forte, ma la sensazione comune era che lo squadrone britannico lo avrebbe messo in croce lavorandolo ai fianchi. Invece una caduta nella tappa di Naturno ha privato Sivakov del podio. I quasi due minuti persi l’indomani Pieve di Bono, il giorno della vittoria di Pello Bilbao, ne sono stati la conseguenza. Per cui il giudizio su di lui andrà rinviato al Giro d’Italia, che correrà al fianco di Bernal.

«Fondamentalmente volevo tornare al Tour de France – ha spiegato lui – perché l’anno scorso l’ho lasciato con un cattivo sapore in bocca e volevo in qualche modo vendicarmi. Poi però abbiamo parlato con il mio allenatore e abbiamo deciso che quest’anno, per proseguire nella mia crescita, proverò fare due Grandi Giri. E così abbiamo puntato sull’Italia».

Arrivo a Pas de Peyrol al Tour 2020, a più di 10′ assieme ad Alaphilippe
Pas de Peyrol, Tour 2020, a più di 10′ assieme ad Alaphilippe

Tutto da capire

La chiave di lettura è certamente singolare e forse poco lusinghiera per chi pensa che il Giro avrebbe bisogno di ben altre motivazioni. Tuttavia proveremo a sganciarci dal patriottismo e a considerare che al di là delle considerazioni sulla maturazione del russo, per il Tour la squadra fosse già a posto.

«Sivakov – diceva Matteo Tosatto alla partenza del Tour of the Alps da Innsbruck – sta andando forte, ma va capito. Ha vinto questa corsa nel 2019, avendo uno come Froome che gli faceva da gregario. Il Froome di prima dell’incidente, per capirci. E se uno così lavora per te, dai ben più del massimo. Al momento lo vedo come uno non abbastanza forte in salita da reggere gli scalatori e che deve crescere per essere un cronoman imbattibile».

U23 inarrestabile

Eppure nell’ultimo anno con la Bmc Development, il 2017, Pavel fu inarrestabile. Fu allora che imparammo a conoscere il russo, nato a San Donà di Piave mentre suo padre Alexei correva alla Roslotto e faceva base in Veneto. Vinse in successione la Ronde de l’Isard, il Giro d’Italia Under 23, il Giro della Valle d’Aosta e il Tour de l’Avenir. Facile immaginare, alto, magro e fortissimo qual era, che il Team Sky non se lo lasciasse scappare. E nel 2019, dopo un anno di apprendistato, Sivakov vinse il Tour of the Alps e il Giro di Polonia. Nel primo caso si lasciò alle spalle il compagno Geoghegan Hart e Nibali. Nel secondo toccò a Hindley e Ulissi. Nel mezzo chiuse 9° al Giro d’Italia: c’era tutto insomma per il debutto al Tour de France, fissato per il 2020.

Sull’arrivo in salita di Feichten ha innescato lui il contrattacco di Yates
Sull’arrivo in salita di Feichten ha innescato lui il contrattacco di Yates

Lezione di vita

Purtroppo per lui, gli squilli di fanfara si fermarono il primo giorno a Nizza, in quella dannata caduta che appiedò mezzo gruppo, ma per lui fu quasi la causa di un crollo emotivo.

«E’ stato difficile – ha raccontato – ero davvero ad un livello molto alto e avevo grandi ambizioni. Di colpo è crollato tutto. Ripensandoci oggi, avrei agito diversamente. Non avrei fatto le ricognizioni e mi sarei davvero riposato il più possibile prima di cominciare il Tour. Ero già caduto nell’ultimo giorno del Delfinato e il primo del Tour è stato terribile. Sono state tre settimane difficili fisicamente e mentalmente. Sono cose che capitano, ma restano una lezione di vita».

Keep calm

Forse la consapevolezza che non serva essere sovraeccitati nell’avvicinamento alle corse gli ha permesso di gestire senza ansia apparente il momento di difficoltà al Tour of the Alps. Al via dell’ultima tappa, Dario Cioni ha confermato che dopo una caduta come quella da lui subita, sarebbe stato impossibile continuare come se nulla fosse.

«Fossi quello dell’anno scorso – ha detti Sivakov lasciando la corsa – avrei avuto paura di perdere il mio livello, ma spero che il 2020 resti una parentesi isolata».

L’ultimo inverno è stato di vero stacco. A dicembre è stato in Spagna con Tao, hanno fatto un piccolo stage in Spagna vicino a Calpe e poi a gennaio si è svolto quello con il team Ineos a Gran Canaria.

«Ho una buona condizione – ha detto – ma posso migliorare. Ormai il Giro è alle porte, non c’è bisogno di fare più chissà quali lavori».

Alla partenza dell’ultima tappa del Tour of the Alps accanto a Moscon
Al via dell’ultima tappa del Tour of the Alps con Moscon

Arriva Bernal

La libertà avuta al Tour of the Alps si ridurrà con l’arrivo in Europa di Egan Bernal. Ma come ha fatto notare giustamente ieri Stefano Garzelli, il colombiano ha ancora qualche dubbio da togliersi. E anche se i suoi allenamenti su Strava sono stati finora un vero crescendo, la presenza di Sivakov accanto fa pensare a un puntello casomai le cose non andassero per il meglio. Anche Egan probabilmente ha qualche dubbio da togliersi.

E prima di partire, il Tour of the Alps riletto con Garzelli

23.04.2021
6 min
Salva

Mentre Simon Yates ha appena finito di dire di essere soddisfatto, per aver trovato le sensazioni che cercava e un’ottima squadra, Stefano Garzelli rimette in ordine gli appunti del Tour of the Alps e si prepara per i sopralluoghi delle ultime nove tappe del Giro. E poi anche per lui sarà tempo di andare a Torino per la partenza.

La corsa ha dato grandi indicazioni per se stessa e per il Giro d’Italia. E se prima non stava bene tirare in ballo la corsa rosa per rispetto verso i padroni di casa, artefici di una manifestazione davvero eccellente, ora uno sguardo alle tre settimane che si annunciano è quantomeno indicato. Per questo abbiamo puntato nuovamente su Garzelli. Perché il Tour of the Alps lo ha commentato accanto a Pancani. Perché conosce il percorso del Giro. E perché, soprattutto, un Giro l’ha vinto. Andiamo per nomi e vediamo che idea si è fatta il varesino che da anni vive a Valencia.

Yates, vincitore giusto?

«Ha dimostrato una grande condizione – comincia – e arriverà al Giro davvero prontissimo. Inoltre le prime tappe saranno subito dure, per cui avere già la gamba giusta potrebbe essere un vantaggio. So bene che l’obiezione è che anche nel 2018 partì fortissimo e poi si spense, ma quell’esperienza lo ha sicuramente segnato e già alla Vuelta dello stesso anno corse in modo più accorto e vinse. E poi sono convinto che debba ancora migliorare. Per quello che ha fatto vedere al Tour of the Alps, è il favorito numero uno del Giro d’Italia».

Pello Blbao ha vinto una tappa e conquistato il secondo posto al Tour of the Alps
Pello Blbao ha vinto una tappa e conquistato il secondo posto

Pello leader o gregario?

«Gregario di Landa – dice senza esitazione – la fortuna è che sono amici, essendo entrambi baschi. Di certo non avrebbe senso partire per il Giro con due leader e visto il campo dei partenti, Landa ha un’ottima occasione di conquistare il podio. Sarebbe da stupidi non puntare su di lui. Inoltre Pello ha fatto i Paesi Baschi, va forte da qualche settimana di troppo per pensare che possa avere la terza al Giro d’Italia».

Froome in fuga: primo segnale di vitalità del britannico
Froome in fuga: primo segnale di vitalità del britannico

Froome ha deluso?

«Sentendo voci in gruppo – dice pensieroso Garzelli – pare che si staccasse quando c’erano ancora 70-80 corridori. Per prendere la fuga ieri un po’ di gamba deve averla e di sicuro non soffre la pressione: ha troppa abitudine, anche se questa è una pressione differente. Credo che stia prendendo questa stagione come un rodaggio per la prossima, perché i postumi dell’incidente non sono spariti. Lo svantaggio è che il gruppo si è popolato di giovani esplosivi e aggressivi, contro i quali non è facile correre a una certa età. Inoltre Sky era costruita su di lui, è dura se adesso è lui a dover spiegare come costruire la squadra. Diciamo che al Delfinato sapremo un po’ meglio quale sia il livello attuale».

Peccato per la tappa di Riva sfuggita, ma il 4° posto dimostra che Moscon c’è
Peccato per la tappa di Riva sfuggita, ma il 4° posto dimostra che Moscon c’è

Moscon è tornato?

«E’ stato bello vederlo protagonista – dice secco – mi è solo dispiaciuto per oggi, perché tirando da subito avrebbero potuto vincere con lui la terza tappa. Il fatto che abbia sprintato per il quarto posto fa pensare che ha la mentalità del leader e spero per il ciclismo italiano che sia davvero così. Anche dal Belgio non vengono grandi segnali e siamo ancora qui ad augurarci il recupero di Nibali. Non so se a Liegi Moscon potrà correre per vincere, magari andrà in supporto dei compagni. Ma non mi stupirei di vederlo in fuga e arrivare davanti, con il pretesto di tenerli coperti».

Sivakov frenato dalla caduta, alternativa a Bernal per il Giro
Sivakov frenato dalla caduta, alternativa a Bernal per il Giro

Sivakov ha deluso?

«Abbiamo detto che ha ceduto, quando in realtà potrebbe aver pagato la caduta di mercoledì. Certo ieri ha messo la squadra a tirare, ma potrebbe averlo fatto per garantirsi un ritmo costante e non permettere scatti. Al Giro lo vedo accanto a Bernal, che è un mistero, visto che non corre dalla Tirreno. Bernal è Bernal, ma negli ultimi mesi ha avuto i suoi problemi. Fossi nei tecnici della Ineos, gli terrei Sivakov accanto, pronto semmai a subentrare».

Vlasov terzo finale al Tour of the Alps, è in chiara crescita di condizione
Vlasov terzo al Tour of the Alps, in crescita di condizione

Vlasov farà un bel Giro?

«E’ il nome che ho fatto in cronaca – dice – perché è molto costante, anche se va provato nelle tre settimane. Sa vincere, perché lo ha già fatto, e ha alle spalle Martinelli che qualche Giro l’ha pur messo in bacheca. Ha vinto il Giro U23 gestendo la pressione della crono Real Time. Saper vincere è qualcosa di innato, anche se puoi lavorarci. A tutti tremano le gambe arrivando verso il traguardo, esiste la paura di vincere. Quello cui tremano di meno sarà il vincitore. Credo che sia pronto anche mentalmente».

La Bike Exchange è stata molto bene accanto al suo leader
La Bike Exchange è stata molto bene accanto al suo leader

Quale l’ammiraglia migliore?

«Bella domanda – risponde – direi la Bike Exchange. Non si sono mai innervositi. Ieri hanno tenuto la fuga a due minuti e anche oggi sono riusciti a non perderli di vista. Hanno corso bene in favore di Yates e arrivano al Giro con un bel collettivo. Magari non saranno la squadra più forte, ma certo saranno una delle più unite».

Quanto vale Fabbro?

«Potrebbe volere più spazio – dice – e gli alti e bassi di questi giorni sono dovuti sicuramente all’altura conclusa da poco. Al Giro potremmo aspettarci da lui un piazzamento nei dieci, ma se sarà al servizio di Buchmann, magari dovrà accontentarsi di altro. Non è ancora un vincente, gli manca qualcosa, ma rispetto agli anni passati lo vedo più sicuro mentalmente. Sulle potenzialità, finché non affronti da leader una corsa di tre settimane, non puoi sapere se sarai all’altezza».

Maurizio Evangelista, organizzatore della corsa, qui con Vlasov
Maurizio Evangelista, organizzatore della corsa, qui con Vlasov

Un giudizio sulla corsa?

«Gli organizzatori – dice – hanno fatto un gran lavoro, con due sole sbavature. Le auto parcheggiate sul percorso a Innsbruck, che oltre ad essere pericolose hanno dato una brutta immagine. E la discesa della tappa di Pieve di Bono. Ero andato prima a vederla con Pancani e ho visto subito che sarebbe stata critica, potevano benissimo fare il circuito al contrario. Detto questo, è stata una bellissima corsa. Dura il giusto e con tappe non lunghissime. La bellezza di una corsa come questa è che sblocca la fantasia, perché i corridori non ne hanno paura. La tappa di 200 chilometri li tiene bloccati, la tappa breve e dura consente l’inventiva. Tutto sommato davvero una bella corsa».

Una corsa, ci sentiamo di aggiungere, in cui abbiamo potuto svolgere ottimamente il nostro lavoro di giornalisti, con gli spazi e le giuste libertà, avendo sostenuto i due tamponi che hanno autorizzato una possibilità di movimento che altrove è ancora impossibile. Anche per questo, una grande corsa.

Mastro Ellena, pensieri sul Giro negato e poi ripreso

23.04.2021
5 min
Salva

Quando venne fuori che la Androni Giocattoli-Sidermec non era stata invitata al Giro d’Italia e Giovanni Ellena fornì il suo commento, Gianni Savio insorse perché avrebbe preteso dal suo direttore sportivo dichiarazioni più dure e si mise a parlare di «infamia sportiva». Ellena non avrebbe mai usato simili parole e forse aveva capito che se anche lo avesse fatto (contro una scelta purtroppo legittima) non avrebbe cambiato il corso degli eventi. Giovanni pensò a gestire i suoi ragazzi e non fu facile. I corridori si erano guardati in faccia e si erano resi conto di quel che era accaduto, non era compito loro e tantomeno del direttore sportivo scagliarsi contro gli organizzatori del Giro d’Italia. Sarebbe stato persino più facile usare parole di fuoco che mettere la faccia e spiegare ai corridori in che modo sarebbero ripartiti.

Giovanni Ellena, piemontese, è nato nel 1966. In apertura Cepeda, miglior giovane al Tour of the Alps
Ellena, piemontese, è nato nel 1966. In apertura Cepeda, miglior giovane al Tour of the Alps

«Non ci sono stati conflitti interni – racconta – ma ho avuto un conflitto con me stesso. Lo abbiamo saputo come una sorpresa il 10 febbraio alla vigilia del ritiro. Quindi mi sono trovato ad Alassio, dove eravamo in ritiro, a dovermi confrontare con 35 persone. Non c’era Gianni (Savio, ndr) perché è arrivato dopo, quindi ero io il riferimento per tutti su questa valanga che ci aveva investito. Uscivamo da Caporetto, bisognava organizzare la truppa e ripartire. In quel momento ricordo di aver pensato: “Io credo di lavorare bene, nei miei limiti. Credo anche di comportarmi bene. Le decisioni che sono state prese magari non erano giuste, però erano legali. Se non ci hanno preso, forse sbaglio qualcosa nel mio lavoro. Non puoi trasmettere una grossa energia in quei momenti lì. Però dopo due giorni Caporetto l’avevamo dimenticata e avevamo iniziato a organizzarci sull’altra sponda del Piave».

Poco fumo

Giovanni è della classe 1966 ed è stato corridore. La sensazione, parlandoci, è che ogni cosa abbia dovuto guadagnarsela e abbia perciò costruito la sua storia senza troppo fumo intorno. Ogni sua parola è improntata alla concretezza. Ed è una persona troppo garbata per lasciarsi andare a dichiarazioni che farebbero a cazzotti col suo modo di essere.

Sepulveda, terzo in Turchia, sarà leader al Giro d’Italia
Sepulveda, terzo in Turchia, sarà leader al Giro d’Italia

«Abbiamo saputo che avrebbero riaperto le porte del Giro – dice – come quando le chiusero. Esattamente quando lo hanno saputo tutti. Nessuna anticipazione. C’era stata qualche supposizione, qualche ragionamento. La terza wild card era diretta a una squadra italiana, se dovevano inserirne un’altra, toccava a noi. Ma potevano anche decidere di rimanere a 22 e ci sarebbe stato poco da protestare. Quando è venuto fuori il problema della Vini Zabù, ho pensato che per noi ci fosse una possibilità. Non tanto quando è uscita la notizia di De Bonis, ma quando sono venute fuori le altre. Ho pensato che le cose non sarebbero state così facili per loro.

«Non voglio fare il giudice perché non lo sono, ma la situazione non era chiara e facile da gestire. E ho pensato: “E’ difficile che facciano il Giro. Poi se metteranno un’altra squadra, sarà Rcs a decidere”. Senza il Giro? Sarei andato a fare tutte le corse all’estero. Non mi piango addosso. Il Giro d’Italia è una corsa che amo. Ma il mio lavoro è seguire le corse e i ragazzi. Per cui se non fossi stato sul fronte occidentale, sarei andato sul fronte orientale».

Cambio di piani

Che cosa significa doversi reinventare un Giro è motivo di curiosità, anche se magari i materiali sono quelli a prescindere e semmai ci sarà stato da riprogrammare gli uomini.

Simone Ravanelli è uno degli italiani sicuri del Giro
Simone Ravanelli è uno degli italiani sicuri del Giro

«Vi dico la verità – prosegue – come squadra siamo sempre stati strutturati per fare il Giro. Da ottobre si ragionava in quel senso. Si è trattato solo di cambiare obiettivi. A maggio abbiamo sempre fatto doppia attività, questa volta abbiamo semplicemente dovuto dire di no all’organizzatore del Tro-Bro-Leon. Anche se semplice non è stato affatto. Lui ha capito, perché in passato siamo andati là a vincere con Vendrame. Non sarebbe stato rispettoso presentarsi con corridori non all’altezza.

«Al Giro punteremo sui giovani, ormai è la nostra dimensione. Santiago Umba è veramente un ragazzino. Non è detto che lo porteremo, sarebbe un azzardo, ma di certo avremo una squadra giovane. Tesfatsion per me è dentro al 100 per cento. Cepeda è un altro sicuro. Sepulveda non è giovanissimo, ma ci sarà. Ravanelli è sicuro, stiamo valutando Chirico. Purtroppo Mattia Bais non ci sarà per problemi di salute, non è al 100 per cento. E poi valutiamo un altro giovane che potrebbe essere inserito, come Venchiarutti, che sta bene. Ha corso un buon Turchia, poi è andato in Serbia. Vediamo come si comporta, però è uno dei papabili.

Il gruppo c’è

E così, terminato il Tour of the Alps, gli uomini dell’Androni Giocattoli torneranno a casa per fare le valigie. I meccanici faranno l’inventario del magazzino, i massaggiatori riforniranno le loro borse. Ma resta strano conoscere il proprio calendario con questi tempi così stretti.

Con Ivan Sosa e Vendrame, Giovanni Ellena è un riferimento anche per i suoi ex corridori
Con Ivan Sosa, Giovanni Ellena è un riferimento anche per i suoi ex corridori

«Tocchiamo un punto dolente – dice Ellena – e non è solo per il Giro d’Italia, ma per tutte le corse. Non è possibile che siamo nel 2021 e facendo il paragone con il calcio, non sai ancora dove giocherai domenica prossima e in quale campionato. Questa è una cosa di cui si sta discutendo da anni. Dal punto di vista dell’impostazione del calendario però, è andata bene così. Abbiamo inserito il Turchia e partecipato al Tour of the Alps, due corse che ben si prestavano per costruire il Giro d’Italia. Per cui abbiamo fatto lo stesso avvicinamento che avremmo fatto a cose normali.

«Quando lo abbiamo saputo, i gruppi Whatsapp sono esplosi, quello del personale e quello degli atleti. Io mi immedesimo nei ragazzi. Certi sapevano che difficilmente sarebbe stato il loro Giro, per caratteristiche, perché in squadra sono appena arrivati o perché non sono andati abbastanza bene, eppure erano tutti felici. Il gruppo c’è. Il Giro è importante per un discorso di visibilità, ma fa parte della storia italiana. E il fatto di farne parte è davvero un bel pensiero».

Il saggio Marcato, un po’ maestro, un po’ guerriero

23.04.2021
5 min
Salva

«Quando avevo poco più di 20 anni – sorride Marcato – facevo un allenamento di sei ore e il giorno dopo, non dico che avevo già recuperato, però stavo bene. Adesso quando faccio un allenamento importante di sei ore, magari ho bisogno di due giorni per recuperare. E’ una differenza che fa pensare».

Il Tour of the Alps si avvia alla conclusione, il dialetto trentino ha preso il posto dell’ingombrante tedesco dei giorni scorsi e il caffè al bar ha un gusto più accogliente. Il veneziano del Uae Team Emirates ha appena firmato il foglio di partenza e, mentre parla, un angolo della memoria va indietro, cercando la prima volta che lo incontrammo. Probabilmente fu nel 2004, quando correva alla Bata di Rino Baron con Leonardo Moser e lo stesso Michelusi che ora allena Aru alla Qhubeka-Assos, ma bisognerà controllare. Di sicuro la sua storia nel ciclismo, vissuta spesso con il sorriso, ha radici profonde.

Al Tour of the Alps, per Marcato lavoro per la squadra e tanta salita
Al Tour of the Alps, per Marcato lavoro per la squadra e tanta salita

«Doveva essere la stagione della ripresa – dice – e in parte lo è, di certo rispetto a quella passata, perché le corse ci sono. E noi come movimento ciclistico internazionale abbiamo dimostrato di poter correre in sicurezza. Ci sono stati tanti sforzi da parte delle squadre e degli organizzatori, abbiamo fatto vedere che il ciclismo si può fare. E per me è lo stesso. Poter correre è quello che più voglio fare e avere questa opportunità, sia pure fra tamponi e il resto, fa molto piacere».

Però… che cosa ci fa un uomo del Nord sulle montagne del Trentino?

Ho fatto la prima parte lassù. E archiviate le pietre sono venuto qui a fare un po’ di salita e un po’ di fatica. Non sono qui a preparare il Giro, la carta di identità parla chiaro. Ci sono tanti giovani e tante pedine da giocare, nei grandi Giri e nelle altre corse. Se me lo chiederanno, sarò pronto e ben felice di partecipare, ma giustamente prima vengono gli interessi di squadra.

Prima del Tour of the Alps, Marcato ha fatto il suo… giro sul pavé del Nord
Prima del Tour of the Alps, un giro sul pavé del Nord
Un tempo la parola “giovane” si associava alla freschezza, ma anche all’inesperienza. Possibile che oggi sia sinonimo di “invincibile” e che sappiano già tutto?

Quelli che passano sono molto informati. Un po’ perché magari, fin da quando sono juniores, hanno metodologie di allenamento avanzate. Però sicuramente ci sono corse e corse. Nelle classiche del pavé conta tanto l’esperienza e nonostante si sia già pronti a livello tecnico e fisico, sapere dove limare, dove essere davanti al momento giusto, dove recuperare è fondamentale. Soprattutto nelle corse di sei ore, dove la posizione in gruppo fa la differenza. Mentre magari in altre corse, con tante salite o l’arrivo secco, la freschezza di un giovane viene fuori e può fare la differenza.

Quali obiettivi si possono avere allora a 37 anni?

Un obiettivo concreto per me è fare una bella stagione, visto che comunque è la mia 17ª da professionista, e cercare sempre di dare il massimo per la squadra. Ci sono stati anni in cui ho provato a vincere e a prendermi le mie soddisfazioni personali, però sono anche consapevole dei miei limiti. Oggi il mio obiettivo è aiutare i compagni, essere presente e magari insegnare qualcosa ai giovani. Fa sempre piacere, mi inorgoglisce sapere che mi vedono come punto di riferimento e mi ascoltano.

Alla Vuelta del 2019 Marcato con Pogacar, a ruota di Valverde, assistendo il giovane campione
Alla Vuelta del 2019 con Pogacar, a ruota di Valverde, assistendo il giovane campione
A proposito di giovani, che effetto fa andare a correre con Pogacar in squadra?

Sicuramente vai alle corse per vincere e già questo ti dà morale, uno stimolo in più per dare il 110 per cento. Tadej trascina un po’ tutti. Sai che comunque sarà presente, sai che ogni tuo sforzo viene ripagato e penso che questo sia la cosa più bella e più importante per ottenere risultati e vivere tutte le corse in armonia.

Parliamo di un giovane che ha bisogno di ascoltare o di un giovane che non è più giovane?

E’ uno che a livello di testa è molto forte. Sa dove può arrivare e ha ben chiaro il suo percorso. Magari man mano che si presenteranno le occasioni, ci potranno essere dei momenti in cui avrà bisogno di essere indirizzato o corse in cui potrà avere bisogno di un consiglio. Già alla Vuelta di due anni fa, mi è capitato di dividerci la stanza per un mese. Ci si parlava spesso. E uno che ascolta. Non dà mai nulla per scontato. Fu la Vuelta da neoprofessionista, con tre tappe vinte e il podio.

Marco Marcato ha scortato Pogacar al Tour 2020, arrivando a Parigi in giallo
Ha scortato Pogacar al Tour 2020, arrivando a Parigi in giallo
Ci pensi mai a cosa farai da grande?

Ci si pensa sì, al dopo. Ho 37 anni quest’anno. Il ciclismo è sempre più stressante, devi fare l’atleta per 365 giorni all’anno, non è semplice. Nonostante questo, dico che finché mi alzo al mattino e ho voglia di fare sacrifici e di allenarmi e sono competitivo, perché smettere? Però comunque la testa rivolta al dopo c’è. Vedremo se si presenteranno delle occasioni, anche rimanere nell’ambiente, mi farebbe piacere.

A casa tutto bene?

Sì, dai. Le bimbe, Aurora e Alice, vanno a scuola e questa è una gran cosa, soprattutto in questi giorni in cui mia moglie Elisa è sola a casa. Le scuole chiuse e la didattica a distanza sono state una bella prova. Adesso sembra che le cose vadano meglio e poi stasera torna a casa papà per dare una mano…

Pello Bilbao, discesa full gas pensando a Scarponi

22.04.2021
4 min
Salva

C’è tanto Scarponi ancora nel gruppo, anche se sono passati quattro anni. Te ne accorgi la mattina quando al ricordo si abbassa lo sguardo. Te ne accorgi sfogliando i social. E soprattutto te ne rendi conto dopo l’arrivo, quando Pello Bilbao racconta con trasporto di aver fatto una discesa da kamikaze per dedicargli la vittoria.

E’ appena finita la tappa più impegnativa del Tour of the Alps e come spesso accade quando ci si aspetta il finimondo, il mondo è ancora qui con le vette, i prati e il sole del Trentino. Sivakov si è staccato per la botta di ieri e Pello ne ha preso il posto, dopo un giorno di controllo in cui Yates ha mostrato i muscoli quel tanto che è bastato per raffreddare gli entusiasmi di Vlasov. Il colpo di scena, dunque, c’è stato proprio alla fine quando il basco del team Bahrain Victorious è piombato sui due più forti della salita. Li ha agganciati in uno degli ultimi tornanti in discesa e li ha allungati ancora un po’. E poi li ha freddati in volata, con Vlasov che ha picchiato il pugno sul manubrio e Yates a dare l’impressione di disinteressarsi.

«Ero venuto per vincere una tappa – racconta Pello – dopo un secondo posto ai Paesi Baschi dietro Izagirre che ancora mi brucia. Ci ho provato sin dalla prima tappa. Martedì al primo arrivo in salita ho sofferto, ho provato ad andare con il mio passo, ma quando ho ripreso i migliori, Yates aveva già fatto il vuoto. Ieri poteva essere un bel giorno, ma non abbiamo agganciato Moscon e Grosschartner per un solo secondo. E oggi sapevo che la discesa potevo recuperare il distacco dell’ultima salita e giocarmi la tappa. Per questo l’avevo studiata con Pellizotti…».

Froome in fuga: primo segnale di vitalità del britannico
Froome in fuga: primo segnale di vitalità del britannico

Pellizotti e il GPS

Franco lo troviamo dopo che la baraonda del pullman si è posata e i corridori si sono messi giù cercando di recuperare e lanciando ogni tanto ancora qualche incitamento al vincitore di tappa.

«Non conoscevo la discesa – spiega – ma usiamo come tanti VeloViewer che ci permette di interagire con Google Maps e di piazzare l’omino nelle varie curve per capire come sono fatte. I tornanti non davano problemi, perché si vedeva bene la strada dopo. Invece due curve erano più pericolose di altre e volevamo anche capire come fossero fatte quelle nell’ultimo chilometro della discesa, per capire se si potessero fare senza frenare. Lo strumento è utile e con Pello si va sul sicuro, perché guida benissimo. Sapevo che se avesse scollinato con 15 secondi, ce la giocavamo. Yates non avrebbe rischiato di cadere, avendo la maglia. Pello sta andando forte ed è intelligente. Ha capito che non gli conveniva dare tutto nel tratto ripido della salita, perché in cima il finale spianava e avrebbe potuto riconquistare il terreno perduto».

Gianni Moscon riceve una di quelle visite che mettono di buon umore
Per Moscon, una visita che mettoe di buon umore

Dedicato a Scarponi

Pello è lucido in ogni cosa che dice. E quando gli chiedono se con queste vittorie non si senta sottovalutato e non ambisca piuttosto a essere leader della squadra, resiste alla vanità e risponde con la testa.

«Non mi sento sottovalutato – dice – sono perfettamente d’accordo con la gestione che il team fa di noi corridori. Al contrario, trovo che sarebbe stressante essere leader per 90 giorni all’anno. A me piace aiutare i compagni e che siano loro ad aiutare me quando sto meglio. E’ bello vincere, ma è bello anche quando vedo che il resto del team va a segno anche grazie al mio lavoro. Oggi però vincere ha un sapore particolare, perché è il quarto anniversario della morte di “Scarpa” e la vittoria volevo dedicarla a lui. Ho preso tutti quei rischi anche per questo. Abbiamo corso insieme per meno di un anno (il 2017, ndr), ma ho fatto in tempo a capire quale persona speciale fosse. Un corridore fantastico e un uomo capace di relazionarsi in modo grandioso con gli altri».

Hindley (18°) e Bardet (8°), continua la costruzione della forma Giro
Hindley (18°) e Bardet (8°), continua la costruzione della forma Giro

Discesa da brivido

La discesa che per Pello è stata il trampolino verso la vittoria ha messo tanti corridori in crisi. «A un certo punto – raccontava Fabbro sull’arrivo – ho cominciato a vederne troppi che cadevano o arrivavano lunghi nelle curve. Ho da fare un Giro d’Italia e ho preferito pensare alla salute. E se oggi ho pagato la fatica di ieri, domani dovrò ancora andare in fuga».

E’ il bello di questa corsa nervosa e selvaggia. Ogni giorno una fuga e nella fuga mai personaggi banali. Oggi nel gruppetto ripreso proprio all’inizio dell’ultima salita viaggiava addirittura Froome, che ha compensato il senso di una timida ripresa con una curva sbagliata e la conseguente, lieve caduta. Domani l’ultima tappa. Yates appare sicuro, Pello non ha troppo da perdere, Sivakov vorrà rifarsi. Agli italiani resta l’opzione fuga. Bisogna dire che finora non ci è andata affatto male.