Tosello e le differenze con le bici del 2014 per le pietre

29.06.2022
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In questi giorni abbiamo parlato spesso della quinta tappa del Tour de France, quella del pavè. L’abbiamo ricordata, l’abbiamo analizzata da un punto di vista tattico, adesso buttiamo un occhio sul punto di vista tecnico. E lo facciamo con Gabriele Tosello, storico meccanico dell’Astana Qazaqstan (in apertura foto Instagram – Getty, ndr).

“Toso” c’era  anche nel 2014 e quell’anno aveva preparato la bici di Nibali. E se lo Squalo volò sulle pietre, una fetta di quel “successo” fu anche la sua.

Gabriele Tosello è il meccanico dell’Astana da molti anni. C’era già nel 2014
Gabriele Tosello è il meccanico dell’Astana da molti anni. C’era già nel 2014

Da Specialized a Wilier

«La differenza più grande fra quelle bici e quelle attuali è la bici stessa – commenta Tosello – almeno nel nostro caso noi usammo un telaio specifico. All’epoca avevamo Specialized e la casa americana aveva un modello chiamato proprio Roubaix. Si trattava di un telaio “più morbido”, merito principalmente degli elastomeri su forcella e carro posteriore.

«Era una bici davvero adatta a quel percorso, molto confortevole. Mentre le ruote erano le stesse che utilizzavamo nelle altre tappe».

«Adesso le cose si sono invertite. Usiamo il telaio che utilizziamo normalmente, ma con altre ruote.

«Nonostante su carta sia un po’ più rigida, la maggior parte dei ragazzi pedalerà sulla Wilier Filante (gli altri sulla Wilier 0 Srl). Abbiamo fatto dei test nel periodo delle classiche del Nord e ci siamo accorti che questa bici dava dei leggeri vantaggi in termini di comfort e quindi di guida. Test che fece, tra gli altri, anche Moscon».

Ruote importantissime

Tosello ha parlato di un’inversione di tendenza: stessa bici ma ruote diverse. Alla base di questa soluzione ci sono più motivazioni. Telai con strutture diverse nel layout costruttivo, presenza dei freni a disco e di conseguenza anche di ruote con ben altre tecnologie rispetto al 2014.

«Adesso le ruote sono un po’ più larghe – riprende Tosello – e soprattutto si possono avere con la tecnologia tubeless. Credo che sei dei nostri otto ragazzi al Tour useranno i tubeless. Gli uomini di classifica e quelli che puntano alla tappa di sicuro, mi riferisco a Moscon e Lutsenko».

«Corima per l’occasione ci ha fornito una ruota specifica, una ruota intermedia direi. Di solito noi utilizziamo i profili da 32 o 47 millimetri, la ruota che monteremo in questa tappa stile Roubaix sarà da 40 millimetri. Si tratta di una tubeless modificata.

«Queste Corima hanno raggi piatti in acciaio ma con niplles esterne al cerchio e non all’interno. I motivi di questa soluzione sono due. Quello principale è che trattandosi di un cerchio tubeless, fare troppi fori sul cerchio appunto rischia di indebolire la sua struttura e di favorire anche delle impercettibili perdite di aria. E la seconda motivazione riguarda il fatto che in questo modo la ruota è leggermente più flessibile. 

«Volendo, c’è anche una terza motivazione. Con le niplles esterne possiamo intervenire meglio sulla tensionatura e la centratura».

Con “Toso” si passa poi ad analizzare le coperture. Nel 2014 sostanzialmente cambiava solo la misura del tubolare.

«Noi usammo – riprende Toso – un tubolare di un marchio francese da 28 millimetri. Ricordo che li gonfiammo intorno ai 5 bar, quelli di Nibali appena meno: sui 4,8. Stavolta le gomme, saranno tubeless, ma sempre da 28 millimetri. Abbiamo l’opzione da 30 millimetri pronta in caso di maltempo. Ma deve essere davvero brutto, brutto!

«Per quanto riguarda le pressioni scenderemo al di sotto dei 5 bar, credo 4,5: con i tubeless si può fare, liquido e mousse te lo consentono. Con le mousse anche se fori, il cerchio non va a terra e quantomeno esci dal settore in pavè. Puoi andare avanti mentre aspetti l’ammiraglia».

Grudzev, che sarà presente al Tour, in azione all’ultima Roubaix
Grudzev, che sarà presente al Tour, in azione all’ultima Roubaix

Zero compromessi

Alla fine le bici attuali con queste ruote (cerchio e gomma) sono performanti sul pavé, ma rispetto al 2014 sono molto più performanti sui tratti in asfalto.

«Esatto – dice Tosello – restano comunque bici veloci. Dobbiamo considerare che sono strutture completamente diverse. C’è stata un’evoluzione continua e… poveri noi meccanici! Ormai siamo più ingegneri che meccanici!

«Pensiamo al carbonio: altri intrecci, altre fasciature e anche un altro peso. Una volta si tendeva ad irrigidire laddove si pensava che ci fossero più tensioni. Quindi si metteva più materiale nella zona della scatola del movimento centrale. Adesso si è visto che non è così. Lì si “è tolto” del materiale e lo si è tolto anche dalla zona del reggisella ed è stato inserito nel carro per esempio. Tanto ha inciso la disposizione delle fibre.

«In teoria i telai pesano meno, ma con il disco alla fine la bici pesa uguale, se non qualcosa in più rispetto al 2014. Quella Specialized Roubaix pesava 7 chili, la Wilier Filante in versione pavé ne pesa 7,2, ma è più performante: è molto più scorrevole e quel piccolo peso in più è abbondantemente recuperato così».

L’inserto di Prologo da inserire sul manubrio (è disponibile in due misure di lunghezza 156mm e 166mm)
L’inserto di Prologo da inserire sul manubrio (è disponibile in due misure di lunghezza 156mm e 166mm)

Comfort più importante

Essendo una tappa in pavè e non una corsa “secca” come la Roubaix, diventa fondamentale uscirne indenni.

«E’ importantissimo non avere piaghe o dolori in vista del giorno dopo – conclude Tosello – A tal proposito non cambiamo le selle, ma semmai i corridori possono scegliere pantaloncini un po’ più imbottiti.

«Prologo inoltre ci ha preparato un “nastro” speciale. Un inserto con la loro tecnologia (e materiale, ndr) CPC, che si può mettere sopra o sotto il nastro e ammorbidisce molto. Ed è anche antiscivolo».

Le tecnologie in generale sono cambiate tantissimo. Le bici sono più comode e più veloci. E il perno passante ha inciso molto.

«Rispetto al bloccaggio classico i ragazzi dicono di avere tutt’altre sensazioni di guida. Ruote e telaio sono un “tutt’uno”, un feeling di guida diretto. Mentre con il bloccaggio c’erano le ruote e c’era il telaio. La sensazione era di avere due pezzi distinti».

Prima crono del Tour. Rilanci decisivi e un altro duello fra loro

28.06.2022
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Adriano Malori ci porta nella crono di apertura del Tour de France. Un po’ come abbiamo fatto ieri con Ballan per quanto riguarda il pavé, stavolta lo facciamo per la prova contro il tempo.

Chi sono i favoriti per il percorso di Copenaghen? E perché? “Malo” scende subito nel dettaglio. E prima ancora che glielo avessimo chiesto, già aveva studiato bene il tracciato danese.

La planimetria della crono di Copenaghen: dislivello impercettibile, distanza di 13,2 km (immagine Letour.fr)
La planimetria del percorso della crono di Copenaghen: dislivello impercettibile, distanza 13,2 km (immagine Letour.fr)
Adriano, che cronometro sarà?

Sarà una crono per la quale servirà tanta potenza, ma anche tanta capacità di guida. Dalla mappa non si capisce bene quanto la strada sia larga o stretta, e quindi quanto si possano fare forte le curve, ma di sicuro non è una crono filante. Non è come se fosse sull’argine del Po da Cremona a Brescello!

Come si dovrà gestire?

E’ importante partire forte e subito belli caldi. Con una quindicina di curve nei primi 5 chilometri basta perdere un secondo a svolta che già si sono accumulati quindici secondi, che sono un’eternità su una crono di 13 chilometri. Il punto chiave a mio avviso c’è a metà corsa. La strada fa una sorta d’imbuto. E’ dritta, o comunque lineare per 1,7 chilometri. Lì si può spingere forte. Chi è dietro di un paio di secondi può recuperare.

Nel complesso quindi è una crono veloce?

Abbastanza, è piatta e poi, ripeto, bisogna capire la reale larghezza della strada. Piuttosto, per me influirà non poco il vento. Perché nel finale si costeggia il mare, si pedala in spazi più aperti, mentre in città si è più riparati. Se i primi partono senza vento e poi questo dovesse cambiare, nel finale si perderebbe un bel po’ di tempo. Le energie che si sprecano prima poi presentano il conto in caso di vento contrario.

Adriano, passiamo in rassegna i favoriti. I primi due sono scontati, immaginiamo…

Assolutamente sì. Filippo Ganna e Wout Van Aert: sono loro i favoriti e visto il percorso io li metto alla pari. Pippo è più forte nel gesto, però su un tracciato con così tanti rilanci Van Aert può far valere le sue doti di crossista. E’ più abituato a rilanciare. In più lui nelle crono, quelle più lunghe, ha mostrato dei limiti in quanto alla gestione. Partiva forte, poi rallentava, poi riprendeva… Non era regolare. Su questo percorso il problema della gestione non si pone. E poi sa lavorare in acido lattico più di Pippo. Però non scordiamo gli allenamenti che hanno fatto i due per arrivare al Tour?

Cioè?

Pippo ha puntato questa crono. Ha lavorato quasi esclusivamente per questa prova. Van Aert ha dovuto lavorare anche per le salite dove dovrà aiutare Roglic.

Per Malori Thomas è troppo “rigido” per una crono così. Tuttavia si potrà difendere bene contro gli uomini di classifica
Per Malori Thomas è troppo “rigido” per una crono così. Tuttavia si potrà difendere bene contro gli uomini di classifica
Altri pretendenti?

Tra i cronoman metto Kung, ma lo vedo una tacca al di sotto di Pippo e Wout. Lui manca di continuità. Se ci fate caso fa una crono bene e una o due “male”. Aveva fatto bene nella crono del Tour scorso e poi ha steccato le Olimpiadi. Ha vinto l’Europeo e ha sbagliato il mondiale. Chiaramente è forte e segue i primi due.

E tra Pogacar e Roglic?

Vedo meglio Pogacar su questo tracciato, visto che non ci sono dei lunghi tratti in cui si può spingere a tutta. Ci sono dei rilanci o quantomeno delle curve nelle quali devi smettere di pedalare, questo è sicuro. Roglic potrebbe perdere qualcosina nei suoi confronti. Dalla sua però Primoz ha il fatto che va agile e può rilanciare bene. Entrambi potranno guadagnare qualcosa sugli altri uomini di classifica: Thomas, Adam Yates, Mas… Loro per me partono già con 30” di ritardo. Thomas forse un po’ meno. Comunque Pogacar magari potrà fare un quarto-sesto posto e Roglic appena dietro.

Eppure Thomas va forte a crono…

Sì, ma è parecchio “legato” nelle curve e nei rilanci. Questa è una crono che si vince nei rilanci. Saranno questi l’ago della bilancia. Tu arrivi all’ingresso in curva a 60 all’ora, fai la curva a 40 e poi ti rimetti a 60 all’ora. Ecco, chi impiegherà meno tempo per riportare la velocità da 40 a 60 all’ora vincerà questa crono.

Malori impegnato nella crono di apertura del Tour ad Utrecht nel 2015
Malori impegnato nella crono di apertura del Tour ad Utrecht nel 2015
E’ paragonabile alla crono di apertura di Torino dello scorso anno?

No, quella era più filante. Semmai la paragonerei a quella di Utrecht, che aprì il Tour del 2015. E’ una crono che va affrontata “cattivi a bestia”. Io stavo bene, andai forte. Entravo e facevo le curve come un elicottero, ma nei rilanci ero una mozzarella di bufala campana! Chiusi ottavo a 29″ da Rohan Dennis.

Facciamo del fantaciclismo! Potendo includere anche i cronoman dell’era moderna, diciamo degli ultimi 30 anni da Indurain in poi, chi sarebbe il corridore perfetto per questa gara?

Cancellara – risponde secco Malori – lui è il cronoman perfetto. Il più grande della storia per me. Aveva grande potenza, andando agile rilanciava benissimo e guidava la bici da crono come pochi altri. 

Sagan, il ritorno e il Covid che non fa più paura

28.06.2022
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Dopo la vittoria al Giro di Svizzera, per Sagan è arrivato il campionato nazionale slovacco e nel mezzo è venuta anche un’altra dose di Covid. Il virus cambia forma e di riflesso varia anche l’atteggiamento delle squadre. In altri tempi, la squadra avrebbe fermato Peter, tenendolo a casa dal Tour. Oggi, fatte le necessarie verifiche, il programma va avanti. Le direttive UCI sono identiche, è cambiato l’atteggiamento.

Sagan ha raccontato questi giorni al belga Het Nieuwsblad, proprio lasciando intuire il diverso approccio con quel che gli è capitato. E la leggerezza del contagio.

Sagan ha dovuto abbandonare la primavera per le notevoli difficoltà fisiche che accusava
Sagan ha dovuto abbandonare la primavera per le notevoli difficoltà fisiche che accusava
Peter Sagan, stai di nuovo bene?

Sì, il contagio al Giro della Svizzera è stato un altro conto da pagare, un’altra gara che non ho potuto finire. Per fortuna questa volta non ho avuto nessun sintomo, una grande differenza rispetto alle volte precedenti. Ho potuto correre il campionato slovacco senza problemi.

Diversamente dalla tua catastrofica primavera, perché hai staccato la spina prima del Giro delle Fiandre?

Molto difficili. Non riuscivo a venirne a capo. Non ho capito neanche io cosa mi è successo. La mia forma era pessima, mi sentivo stanco, non funzionava niente… Alla lunga non riuscivo nemmeno a finire le gare più facili. Non era normale.

Hai parlato di un dolore alle gambe che non avevi mai provato.

Non era tanto il dolore, quello sulla bici lo sento ogni giorno. Era proprio il momento in cui iniziavo a pedalare. Se stai pedalando a 400 watt, il mal di gambe ci può stare. Ma io stavo già male quando pedalavo a malapena a 250 watt. Questa era la cosa strana.

La vittoria di tappa in Svizzera è stato per Sagan il primo modo per ripagare la nuova squadra
La vittoria di tappa in Svizzera è stato per Sagan il primo modo per ripagare la nuova squadra
Eri sicuro che fosse correlato alle conseguenze del Covid di gennaio?

Così mi hanno detto i dottori. Ho fatto un esame medico dopo l’altro. Ovunque il risultato è stato lo stesso: post-Covid. Mi stava bene, avevo solo bisogno di tempo e pazienza. Lo so: molte persone pensano che sia una scusa, ma ognuno reagisce in modo diverso. Per alcuni è un grosso problema, per altri no. A quanto pare appartengo alla prima categoria. Inoltre, la maggior parte delle persone, torna al lavoro dopo due settimane. Sono un po’ stanchi, ma è tutto ciò che si può vedere. E’ diverso se, come me, hai bisogno del tuo corpo per lavorare. Le polemiche non cambiano quello che ho sentito io. Nessuno può guardare dentro il mio corpo.

Eri preoccupato che le cose non sarebbero mai andate bene?

Non proprio. Lo sapete, non mi preoccupo mai delle cose che non posso cambiare. Nemmeno adesso. Ero felice di qualsiasi progresso. Ma se non fosse stato così… Devi prendere la vita come viene: non preoccuparti troppo del futuro, meglio vivere nel presente.

Anche Vlasov ha preso il Covid al Giro di Svizzera, ma come Sagan anche lui correrà il Tour
Anche Vlasov ha preso il Covid al Giro di Svizzera, ma come Sagan anche lui correrà il Tour
Quando hai sentito il cambiamento?

Durante il mio ritiro in quota a maggio, in America. Lì ho notato che gradualmente tutto sembrava di nuovo normale. Il mio corpo reagiva come al solito, recuperavo dopo uno sforzo, mi sono sentito di nuovo bene… Poi era solo questione di tempo. E la dimostrazione c’è stata in Svizzera. Non ho intenzione di dire che sono completamente tornato, ma quella vittoria di tappa è stata bella.

Basterà per essere protagonista al Tour?

Vedremo, ma sono decisamente pronto. Una volta iniziato, vivrò giorno per giorno. Puoi pianificare quanto vuoi, ma dopo il primo giorno, tutto può essere diverso da quello che avevi in mente.

Van Aert punta decisamente alla maglia verde. Tu sai cosa significa…

Non è una cosa che puoi programmare. Ho vinto alcune maglie verdi. In certi anni non ero al meglio e l’ho vinta facilmente. Altri anni ero al top della forma e ho dovuto lottare fino all’ultimo giorno. Possono succedere tante cose in 21 giorni. Ma una cosa è certa. Van Aert è al top della forma. Se pedala come sta facendo da mesi, può vincerla davvero. Può vincere gli sprint, può andare forte in montagna… Può fare tutto. Non ci sono molti corridori di quel calibro. Van Aert, Van der Poel… Non vedo proprio nessun altro.

Non Sagan?

Vedremo. Proverò sicuramente. Ma la pressione stavolta non è su di me.

Corri il Tour per la prima volta con Total Energies, una squadra francese. Una grande differenza?

Non proprio. Per loro è la competizione più grande e importante del mondo. Ma non è così per ogni squadra? Spero solo di poter restituire qualcosa. In tutto quello che mi è successo in primavera, la squadra mi ha sempre supportato al cento per cento.

Dopo i ricordi, punti di forza e debolezze dei big sulle pietre

27.06.2022
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Abbiamo appena rivissuto l’inizio del cammino trionfante di Nibali, ma cosa riserverà ai campioni attuali la Lille-Arenberg Porte du Hainaut? La quinta tappa del Tour de France è lunga 157 chilometri e con 11 settori di pavè si annuncia come una Roubaix in miniatura. Alessandro Ballan di Roubaix ne ha corse molte e anche una tappa sulle pietre molto simile a questa all’interno di una Grande Boucle.

«Era il 2012 – racconta Ballan – e si correva per Cadel Evans. Ricordo che c’era un grande nervosismo in gruppo e in squadra quel giorno». Una tappa così particolare in un contesto, quello di una grande corsa a tappe che è del tutto diverso, può creare grossi scompigli.

Alessandro Ballan sulle pietre della Roubaix, da notare come pedala sulla “schiena d’asino” (foto Instagram)
Alessandro Ballan sulle pietre della Roubaix, da notare come pedala sulla “schiena d’asino” (foto Instagram)
Alessandro, quanto peserà questa tappa e cosa ci si potrà attendere?

Sarà una frazione molto delicata, temuta da tutti, soprattutto dagli uomini di classifica. Bisogna considerare che rispetto alla Parigi-Roubaix i corridori sono diversi e tre quarti del gruppo che ci sarà non sa andare sul pavé. Non sa tenere linee e posizioni, non sa limare su quelle strade. Si sprecheranno ancora più energie. Energie che poi serviranno ancora fresche, visto che siamo solo alla quinta tappa. Dalle ammiraglie diranno a tutti di stare davanti e ci saranno “199 corridori” intorno a te che vogliono andare in testa.

Il nervosismo dominerà la scena quindi?

Sì, perché come ho detto ci sono energie fresche e col fatto che la prima salita è alla settima tappa mi aspetto una classifica molto corta. Una classifica nella quale anche i velocisti, nonostante la crono iniziale, possono ancora prendere la maglia gialla. Al Tour già ce n’è tanto di nervosismo, quel giorno sarà ancora di più. E sarà un bel problema per i corridori più piccoli e leggeri come gli uomini di classifica.

Ecco hai toccato il punto. Analizziamoli questi uomini e cerchiamo di capire come affronteranno questa tappa: i loro punti di forza e le loro debolezze. Partiamo da Primoz Roglic…

Lo sloveno si adatta un po’ a tutti i percorsi e raramente si fa cogliere in castagna quando la corsa entra nel vivo. Non si è mai misurato su una Roubaix vera e propria e ha scarsa esperienza sulle pietre. Avrà tanta paura e soprattutto lui ha “l’obbligo” di vincere. Ma il suo punto di forza è la squadra. La Jumbo-Visma è costituita per il 60% per la salita, ma ha dei nomi molto forti per il piano e il pavè. Uno su tutti: Van Aert.

Pogacar (qui con Trentin) ha voluto “assaggiare” le pietre questa primavera partecipando alle classiche del Nord
Pogacar (qui con Trentin) ha voluto “assaggiare” le pietre questa primavera partecipando alle classiche del Nord
Pensi che Wout dovrà piegarsi agli ordini di squadra?

In partenza sì. Poi se la tappa si dovesse mettere bene, se non ci saranno rischi, nel finale potrebbe avere carta bianca.

Pogacar: punti di vantaggio e svantaggio?

Rispetto a Roglic ha una squadra meno forte, però lui quest’inverno ha fatto le classiche del Nord ed ha accumulato un minimo di esperienza, senza contare che un bel po’ di cross lo ha fatto. In più Tadej è sempre rilassato e rispetto a Roglic non ha l’obbligo di vincere. Inoltre Pogacar ha la consapevolezza che se anche dovesse perdere un po’ di terreno ha la possibilità di recuperare.

C’è poi la schiera dei francesi: Pinot, Gaudu e anche Bardet…

Sono tutti molto bravi in salita e leggerini e già questo non li avvantaggia. Senza contare che non mi sembra abbiano squadre super attrezzate per questi percorsi. Certo è un po’ surreale che i francesi non abbiano gli uomini da pavè. Però non dimentichiamoci che hanno buoni corridori nel complesso e che per dieci anni hanno avuto un bel “vuoto”. Un po’ come noi adesso.

Però, Alessandro, rispetto ai nomi fatti Bardet ha un ottimo passato nella Mtb, magari certi attitudini gli restano addosso…

Vero, tra loro tre è quello che si difende meglio e tutto sommato la sua Dsm non è male su certi percorsi.

Soprattutto i big, dovranno pensare a preservarsi, anche per quel riguarda calli e vesciche a mani e fondoschiena
Soprattutto i big, dovranno pensare a preservarsi, anche per quel riguarda calli e vesciche a mani e fondoschiena
E poi c’è Enric Mas: uno spagnolo, con squadra spagnola sul pavé… Se fossi il suo direttore sportivo cosa gli diresti?

Ah, ah – ride Ballan – andrei nel panico anche io! Gli direi di seguire gli uomini di classifica e soprattutto quelli che hanno una buona squadra. Ma questa indicazione arriverà a molti e per lui non sarà facile. Mas potrebbe pagare parecchio: non ha esperienza sul pavé ed è in una squadra che non ha certe corse nelle corde.

Ci sono poi gli Ineos-Grenadiers, con Martinez e Thomas: come li vedi?

In teoria come squadra non dovrebbero avere problemi. Di sicuro Martinez avrà più difficoltà di Geraint. Io Thomas me lo ricordo che correva sempre le classiche del Nord. Tra gli uomini di classifica è il più avvantaggiato. Però sono curioso di vedere per chi correranno. Lui può aiutare Martinez.

Secondo te con un Tour vinto e gli ottimi segnali dati al Giro di Svizzera si metterà a disposizione di Martinez?

Thomas potrà anche cercare di avvantaggiarsi su Martinez in questa tappa, ma ormai ha una certa età e non so quanto potrà tenere sulle tre settimane. Non dimentichiamo che dalla vittoria del suo Tour sono passati un bel po’ di anni (era il 2018, ndr). Alla fine rischia di essere un boomerang per loro. Potrebbero trovarsi cn entrambi gli uomini fuori classifica se non fanno subito certe scelte.

Altri outsider?

Mi viene in mente O’Connor. Un buon giovane, interessante, ma credo che pagherà dazio. Poteva aiutarlo, e tanto, Greg Van Avermaet, ma non ci sarà in quanto non al meglio.

Colbrelli lo scorso anno ha usato i tubeless sulle pietre. Solo a fine gara, misurando la pressione delle gomme, si è accorto di aver forato
Colbrelli lo scorso anno ha usato i tubeless. Solo a fine gara, misurando la pressione delle gomme, si è accorto di aver forato
Riguardo ai materiali invece ci sono differenze tra una Roubaix e una “Roubaix tappa del Tour”?

Una volta ce ne erano di più. Spesso si cambiavano i telai e si usavano telai più morbidi e con carri più lunghi. Oggi si sostituiscono le ruote nella maggior parte dei casi. Ruote più larghe con gomme più larghe e soprattutto tubeless. La presenza del liquido conta moltissimo. Io che testo anche i materiali, ho notato che i fori più piccoli neanche li senti e anche con quelli più grandi te la cavi. Una volta sono incappato in un bel buco. Usciva del liquido dalla gomma. Mi sono fermato. Ho premuto il dito per 10” precisi e si è chiuso. In questo modo non dico che vai all’arrivo, ma di certo non devi attendere l’ammiraglia e all’uscita dal settore c’è il meccanico per cambiare la ruota al volo.

Tutto ciò incide molto, specie per chi non è uno specialista. E’ un piccolo vantaggio…

Sì, anche perché come detto, c’è gente meno esperta e si presuppone che fori di più. Io tra Roubaix e Fiandre credo di non aver mai forato. Bisogna anche saperlo prendere il pavè. Se stai sulla “schiena dell’asino” non fori. O almeno è difficilissimo. Se invece corri sulla striscia di terra ai lati, scorri di più, ma sotto le tue ruote ci sono anche sassi e sporco. E poi un’ultima cosa…

Cosa?

Se dovesse piovere tutto si complicherebbe tantissimo. Specie gli ingressi nei settori. io paragono il pavè bagnato al ghiaccio. In questo caso aumenterebbero le quotazioni di Van Aert e della Jumbo-Visma.

Quel giorno sul pavé che cambiò la storia del Tour

27.06.2022
8 min
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Oggi come ieri, in un rincorrersi di storie uniche e imprese di campioni. Il Tour ritroverà il pavé mercoledì prossimo, 6 luglio, come quel giorno al Tour de France del 2014. Ben strana invenzione che minò alle fondamenta il pragmatismo scientifico e inattaccabile del Team Sky. Soprattutto perché si mise a piovere. La pioggia fece e farebbe ancora la differenza. Quando l’anno successivo si arriverà a Cambrai, sul pavé asciutto il britannico Froome sarà inattaccabile.

Ma il 9 luglio del 2014 piove, ha piovuto per tutta la notte. E’ la quinta tappa, 160 chilometri scarsi, ma i tratti di pavé fanno paura. Nelle squadre, gli unici a sembrare tranquilli sono gli uomini del Nord. Tutti gli altri, scalatori leggeri e fragili, hanno i nervi a fior di pelle. Froome in particolare ostenta una finta sicurezza.

Nibali ha conquistato la maglia gialla vincendo la seconda tappa a Sheffield
Nibali ha conquistato la maglia gialla vincendo la seconda tappa a Sheffield

Nibali, prove generali

Nibali ha coperto la maglia tricolore con la gialla sin dal secondo giorno. Lo Squalo conosce i segreti del fuoristrada. Sa come si muove la bici quando un sasso fa scappare la ruota, ma non ha mai corso sul pavé. Per questo in primavera ha anticipato la partenza per il Nord. E il giovedì prima dell’Amstel, si è fermato a provare materiali e traiettorie assieme a Peter Van Petegem, che la Roubaix l’ha conquistata nel 2003.

«A guidare la bici me la cavo – ha detto Vincenzo subito dopo – e avrò una squadra molto forte. Fuglsang ha un passato importante nella mountain bike, guida molto bene e ha un’azione fluida. Poi ci sono Grivko e Westra. Sono convinto che anche Contador andrà bene, forse chi potrebbe soffrire di più è Froome, anche se Wiggins ha dimostrato alla Roubaix di essere abbastanza capace su questo tipo di percorsi. La scelta di Sky e di Bradley di fare la Roubaix ha un senso, soprattutto se Wiggins farà il Tour. I tratti di pavé per me non sono una novità assoluta, li conoscevo già, anche se non li ho mai affrontati in corsa. Ero venuto nel 2010 in perlustrazione con la Liquigas e ora quell’esperienza mi tornerà utile. Insomma un’idea ce l’ho già, ma se malauguratamente dovesse piovere, servirà un cingolato…».

Quarta tappa a Lille, Froome è caduto e ha un polso dolorante. L’indomani si andrà sul pavé
Quarta tappa a Lille, Froome è caduto e ha un polso dolorante. L’indomani si andrà sul pavé

Froome è già caduto

Wiggins non farà il Tour, quello vinto nel 2012 resterà la sua ultima apparizione. Ma nella Roubaix si è piazzato al 9° posto, a 20 secondi da Terpstra che l’ha vinta. Froome non l’avrà accanto e viste le frizioni fra i due, non c’era da aspettarsi cose troppo diverse. In più, il vincitore uscente ha il polso dolente a causa della caduta del giorno prima nella tappa di Lille. Ma Chris accetta la sfida e 10 minuti prima della chiusura del foglio firma, lascia il suo nome in mezzo agli altri.

«Le sue condizioni – ha detto il medico di gara – sono buone, ma ha dolore. Impossibile dire ora se e come ne sarà influenzato nei prossimi giorni. Non ci sono fratture, ma abrasioni al ginocchio sinistro e all’anca sinistra e una contusione al polso sinistro. Alla mano destra, una piccola piaga».

Su Nibali vigila ogni giorno un grande Scarponi, ma nella tappa del pavé l’uomo è Fuglsang
Su Nibali vigila ogni giorno un grande Scarponi, ma nella tappa del pavé l’uomo è Fuglsang

Percorso modificato

Piove anche al raduno di partenza e gli organizzatori si rendono conto che sono più i rischi dei vantaggi. Anche Cancellara è perplesso, figurarsi gli uomini di classifica e i loro manager. Perciò venti minuti prima del via, viene comunicata l’esclusione dalla corsa dei due tratti più pericolosi. Il comunicato ufficiale cancella il settore numero 7 di Mons en Pevele (1.000 metri) e il numero 5 di Orchies (1.400 metri). I chilometri sul pavé scendono a 13.

Il tempo di dichiarare che stringerà i denti e da Radio Tour arriva la notizia della caduta di Froome in un tratto di asfalto. Un passaggio accanto all’auto del medico e poi Chris riparte scortato da Eisel. 

Astana e Tinkoff guidano il gruppo. Nibali mostra sicurezza. Con Westra nella fuga, il siciliano non ha particolari incombenze se non quella di restare al sicuro nella maglia gialla che fende l’acqua. Il primo tratto di pavé è ormai in vista.

Contador aveva svolto il sopralluogo sul pavé nei giorni della Roubaix, scortato dal diesse De Jongh
Contador aveva svolto il sopralluogo sul pavé nei giorni della Roubaix, scortato dal diesse De Jongh

Contador ha paura

Sono passate due ore e Froome cade ancora. Le strade bagnate non sono mai state terreno di caccia per gli uomini di Sky. Anche Wiggins l’anno prima ha buttato a mare il Giro nella tappa di Pescara, a vantaggio di Nibali che nel bagnato invece è maestro.

Questa volta a Froome è fatale una curva a destra. Le inquadrature lo mostrano mentre stringe il polso con due dita della mano sinistra. Prova a impugnare il manubrio, ma non ce la fa. Gli passano la bici, neanche la guarda. Mentre il gruppo di testa inizia a sporcarsi nel primo tratto di pavé, Chris Froome alza bandiera bianca.

Adesso anche Contador ha paura. Bennati l’ha preso per mano dal primo settore, ma senza che davanti l’Astana abbia fatto chissà cosa, il suo ritardo è di 9 secondi. Nibali intuisce l’occasione e si mette a parlare con il fango e con le pietre, mentre dietro lo spagnolo annaspa e lentamente affonda.

Durante tutta la tappa, Nibali riesce a schivare pericoli e cadute
Durante tutta la tappa, Nibali riesce a schivare pericoli e cadute

Si decide il Tour

Mancano 45 chilometri al traguardo e attorno alla maglia gialla si è formato un gruppetto di corridori decisi a giocarsi la tappa. Contador ha 45 secondi di ritardo, Bennati al suo fianco ha capito invece che sarà dura, ma continua ad animarlo e a tirare.

Con Nibali ci sono Sagan, Cancellara e Mollema, dei fuggitivi ancora in testa non parla nessuno. E’ chiaro che dietro si stia facendo la storia. Le scivolate e le cadute si succedono, ma Vincenzo le schiva. Arriva anche a fermarsi per non finirci dentro, ma riparte subito di slancio. Al suo fianco c’è Fuglsang, Westra lo aspetta, mentre Contador è scivolato a un minuto di ritardo.

Le parole di Ballerini

Lo spagnolo ha compagni in gamba, ma il freddo e la paura lo stanno bloccando. Anni prima, Franco Ballerini disse che il pavé è come una salita: se vai in crisi, sprofondi. Contador non è mai sprofondato in salita, ma su questo terreno che non è il suo, assaggia la disfatta. Franco è scomparso da quattro anni, i suoi consigli per Nibali sarebbero stati tanti e preziosi. La sera prima però l’ha chiamato Pozzato, degno erede del Ballero, e le sue parole su come impugnare il manubrio e la posizione sul pavé si riveleranno decisive.

Le banchine sono allagate, le buche piene d’acqua. Nibali infatti affronta il quarto settore muovendosi come un cacciatore di Roubaix, scortato da Westra e Fuglsang. Quando mancano 15 chilometri al traguardo, Boom sferra l’attacco. L’olandese viene dal ciclocross e corre con la Belkin. Chissà se è già stabilito dal prossimo anno correrà anche lui in maglia Astana.

Nonostante l’aiuto di Bennati, Contador arriva al traguardo a 2’54” da Boom
Nonostante l’aiuto di Bennati, Contador arriva al traguardo a 2’54” da Boom

Magnifico Fuglsang

A sei chilometri all’arrivo, la storia è scritta. Froome è lontano, Contador è sempre più in difficoltà. Alle spalle di Boom, Nibali e Fuglsang scavano il solco cercando di essere prudenti. Sul traguardo, il danese è secondo, Nibali terzo, quarto arriva Sagan, quinto Cancellara. Contador viene applaudito e incoraggiato dopo 2’54”. Si parlerà molto del suo ritiro nel giorno della Planche des Belles Filles (10ª tappa), ma lo spagnolo è sceso dal treno del Tour nel giorno del pavé.

«Oggi è stata una giornata tremenda – dice Nibali nella conferenza stampa – almeno tre volte ho rischiato di andare per terra, ma con un po’ di abilità e di fortuna sono rimasto in piedi. Aver corso in mountain bike da ragazzo ha fatto la differenza. Certi automatismi non si perdono. Fuglsang è stato stupendo. Mi dispiace per Froome, purtroppo però il Tour e il ciclismo sono fatti anche delle cadute e io per una caduta l’anno scorso ho gettato via il mondiale di Firenze. Adesso ho un buon vantaggio in classifica generale, ma la strada è ancora lunga e difficile. I chilometri per Parigi sono tanti e ora il primo avversario da controllare è sicuramente Alberto Contador».

Sul podio di Parigi, il 27 luglio del 2014, Nibali festeggia il suo Tour de France
Sul podio di Parigi, il 27 luglio del 2014, Nibali festeggia il suo Tour de France

Nuovamente il 6 luglio

Sarà il quinto giorno di gara anche il prossimo 6 luglio, quando la Grande Boucle proporrà al gruppo la tappa da Lille ad Arenberg. Frazione di 157 chilometri con 11 settori di pavé. Froome ci sarà ancora e questa volta Fuglsang correrà al suo fianco. Nibali forse la seguirà in televisione, Contador probabilmente sarà sul posto con Eurosport. Sarà un giorno da seguire e raccontare. La grande avventura del Tour sta per cominciare.

Domenica attenti a Viviani, ha il dente avvelenato…

24.06.2022
5 min
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Non è di certo facile correre un campionato italiano quando sai di avere a disposizione solo un compagno di squadra. Lo è ancor meno quando il tuo fisico sta ancora assorbendo le ultime botte, che in questa prima parte di stagione non sono neanche state poche. Figurarsi poi quando aspetti dall’11 febbraio il ritorno alla vittoria. Eppure è un Elia Viviani bello carico quello che si appresta ad affrontare la gara tricolore e lo si sente non solo dalle parole, ma anche e soprattutto dal tono della voce, quello tipico di chi è pronto a salire sul ring per scaricare tutta la rabbia sul rivale.

E’ vero, finora la stagione dell’olimpionico di Rio parla di una sola vittoria, al Tour de la Provence. Eppure non si può certo dire che Elia vada piano, anzi. Da inizio aprile ha corso 19 volte e il suo ruolino di marcia porta ben 9 presenze nella top 5 degli ordini di arrivo, significa che la gamba c’è sempre stata, ma è mancato quel quid per trasformare qualche piazzamento in una vittoria: «Mi fa piacere che la cosa sia stata notata perché è proprio così e so bene dove è mancato quel piccolo particolare».

Viviani Kooij 2022
Elia battuto da Kooij allo ZLM Tour. In Olanda aveva mostrato una gran forma fino alla caduta
Viviani Kooij 2022
Elia battuto da Kooij allo ZLM Tour. In Olanda aveva mostrato una gran forma fino alla caduta
Spiegaci…

Quando arrivi a quei livelli, la vittoria sfugge principalmente per due ragioni: una è l’errore personale che sicuramente ci sta e riguardando indietro, qualcosa di diverso potevo farlo in qualche frangente. L’altra, che a parer mio ha pesato di più, è non avere avuto a disposizione non tanto e non solo un classico treno per il velocista, ma il vero e proprio ultimo uomo, quello che riesce a pilotarti verso gli ultimi 200 metri dove bisogna scaricare i cavalli.

Il discorso di avere o meno a disposizione un treno appare spesso nelle discussioni con i corridori, anche Bonifazio raccontava di come bisogna saper ormai inventare le volate leggendo la corsa…

E’ vero, ma se devi affrontare una prospettiva del genere sai bene che le cose cambiano. Un velocista con una squadra a disposizione avrà la possibilità di giocarsi la vittoria 10 volte su 10, poi magari non vincerà sempre, ma sarà sempre lì a battagliare. Se devi fare quasi da solo, di occasioni ne avrai 5 e le possibilità calano drasticamente, deve davvero andare tutto perfettamente per centrare il successo.

Viviani Gand 2022
Finora Viviani ha corso 44 volte nel 2022 con una vittoria e ben 16 presenze in Top 10
Viviani Gand 2022
Finora Viviani ha corso 44 volte nel 2022 con una vittoria e ben 16 presenze in Top 10
Prima parlavi di errori personali, ti riferisci in particolare a qualcosa?

All’ultima tappa dello ZLM Tour ero secondo in classifica generale e a punti, mi stavo giocando tutto ma sono caduto a una decina di chilometri dal traguardo. Sono arrivato con tutta la parte sinistra del corpo abrasa. Ho poi continuato a gareggiare a La Route d’Occitanie, quattro tappe con due piazzamenti, ma ho pedalato male perché avevo ancora molto fastidio e il risultato è stato sovraffaticare il polpaccio sinistro. Da domenica ho sedute di fisioterapia quotidiane che mi stanno rimettendo a posto, ma potevo evitare di correre sopra ferite aperte…

Domenica sarai al campionato italiano, vista la situazione sia fisica che di squadra, che cosa ti aspetti?

Il massimo e non lo dico per fare lo sbruffone, non sono il tipo. E’ un bel percorso, difficile perché quando ci sono 3.000 metri di dislivello non può essere altrimenti, ma si presta a molteplici interpretazioni e può favorire tanti corridori. Sia i velocisti come me o Ballerini che tengono in salita, sia chi attacca da lontano, sia chi ha il passo in salita per fare la differenza. Poi dobbiamo considerare che ci sono almeno 4 squadre che possono dare un’impronta alla gara: Eolo Kometa che ha un Albanese in grande spolvero, la Bardiani che ha un sacco di uomini, la Uae con gente come Covi, Ulissi, Trentin che si adattano a quel percorso come un guanto e infine l’Astana. Impossibile che si arrivi in volata, a un certo punto la corsa esploderà e io dovrò farmi trovare pronto.

Viviani Europeo 2019
Il corridore di Isola della Scala punta forte sull’europeo, già vinto nel 2019
Viviani Europeo 2019
Il corridore di Isola della Scala punta forte sull’europeo, già vinto nel 2019
Quest’anno la Ineos Grenadiers ha deciso di presentare al Tour una squadra votata interamente alla causa della classifica. Di aspettavi di non esser scelto?

Sì, non avrebbe avuto senso esserci. La squadra ha fatto una scelta e un investimento, portare un velocista senza assistenza, costretto a inventarsi qualcosa ogni volta che c’è una volata con poche chance a disposizione non avrebbe portato nulla. Torniamo al discorso di prima: i risultati li puoi ottenere se hai un uomo d’esperienza al tuo fianco votato alla causa e a ben guardare di gente simile ce n’è davvero poca: Morkov, Guarnieri, Richeze, Van Poppel e l’elenco è già finito…

Che cosa farai allora?

Ci saranno altre gare, altre occasioni, poi io ho un grande obiettivo in testa: essere all’europeo di Monaco su un percorso che mi si addice particolarmente, la settimana dopo poi c’è Amburgo e anche lì ho dimostrato di far bene. Voglio vincere entrambe o almeno una delle due gare, ma devo farmi trovare pronto.

Viviani italiani 2018
Un precedente che porta bene: la vittoria di Viviani al campionato italiano 2018 a Darfo Boario Terme
Viviani italiani 2018
Un precedente che porta bene: la vittoria di Viviani al campionato italiano 2018 a Darfo Boario Terme
Sarai in Coppa del mondo su pista a Cali?

No, in nazionale tornerò per i mondiali. Farò le gare su pista di Fiorenzuola e Pordenone per mantenere la confidenza con il gesto, ma poi punterò direttamente sulla rassegna iridata alla quale tengo particolarmente, infatti chiuderò con la stagione su strada a settembre proprio per preparare i mondiali come si deve.

L’umore sembra decisamente alto…

Sono carichissimo, i risultati sono dalla mia parte e dicono che manca davvero poco per compiere l’ultimo passo. E’ chiaro che se non vinci da febbraio senti che ti manca qualcosa, perdi quella confidenza con il successo che in molti casi aiuta. Io so che gare come l’italiano e l’europeo possono essere adatte a me, ci credo tantissimo, ma chiaramente per quest’ultimo devo farmi trovare pronto da Bennati al momento giusto.

Storia di Woods, l’uomo forgiato dal dolore

24.06.2022
6 min
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La Route de l’Occitanie, chiusa con la vittoria di Bonifazio nell’ultima tappa, ha premiato Michael Woods, il canadese che a 35 anni ha conquistato così la sua prima corsa a tappe dopo una carriera a essere descritto come uno specialista delle corse in linea, delle classiche nello specifico. Woods sta preparando il Tour de France, nel quale sarà in una compagine di “vecchietti terribili”, da Fuglsang a Froome, alla ricerca di squilli più che mai necessari, perché la Israel Premier Tech è in piena lotta per non retrocedere. Il WorldTour del prossimo anno avrà ugualmente 18 licenze, ma per l’ammissione faranno fede i punteggi. Si potrà perdere il titolo a vantaggio di team professional che ne avranno conseguiti di più, con evidenti ripercussioni su budget e sponsor.

Il canadese in proposito non ha mai perso il suo ottimismo: «Abbiamo gente davvero forte, se siamo in questa situazione è colpa solamente della sfortuna. Ora però il vento sta girando dalla nostra parte, vedi i risultati di Impey in Svizzera o dello stesso Fuglsang. C’è quindi da essere ottimisti, al Tour faremo bene».

Woods Tokyo 2021
Woods a Tokyo, dove perse la volata per il podio contro Van Aert e Pogacar. Ci riproverà a Parigi 2024
Woods Tokyo 2021
Woods a Tokyo, dove perse la volata per il podio contro Van Aert e Pogacar. Ci riproverà a Parigi 2024

In atletica è ancora un nome…

Relegare il successo ottenuto in Francia a una delle tante vittorie che ogni settimana il mondo ciclistico offre agli appassionati è però troppo poco, perché dietro quel successo c’è una storia fatta di sacrifici, di riscatto dai colpi della vita, per alcuni versi anche originale. Perché Michael Woods non è un personaggio come gli altri.

Pochi sanno ad esempio che da 17 anni Woods detiene ancora il record nazionale juniores del miglio, ben sotto il famoso muro dei 4 minuti (3’57”48 per la precisione). Già, perché inizialmente il ciclista di Toronto non era… un ciclista.

«L’atletica è sempre stato il mio grande amore», ha raccontato nello scorso inverno a una troupe giunta appositamente dal Canada nella sua residenza ad Andorra. «Nel 2005 quel tempo mi permise di entrare nella Top 50 mondiale dei 1.500 metri, ma soprattutto di guadagnarmi una borsa di studio per l’università dello Utah. Avevo una carriera davanti e sognavo di competere per il Canada a Pechino 2008, ma le cose andarono diversamente».

Woods corsa
2005, Woods trionfa ai Giochi Panamericani junior sui 1.500 metri (foto Tyler Brownbridge)
Woods corsa
2005, Woods trionfa ai Giochi Panamericani junior sui 1.500 metri (foto Tyler Brownbridge)

Un altro sogno in frantumi

La sua carriera infatti ha una brusca interruzione quando Michael si rompe un piede. La sentenza dei medici è implacabile: ben difficilmente riuscirà a riprendere i livelli di prima, troppo stress per il suo arto. Per lui è una doccia fredda, dopo che da bambino aveva già dovuto mettere da parte il suo primo amore sportivo, che per un canadese non potrebbe essere altro che l’hockey su ghiaccio. Troppo gracile avevano detto, ma almeno aveva trovato qualcosa per tirarsi su…

Il destino a volte prende vie tortuose. Nel cammino di rieducazione Woods inizia ad andare in bici, il movimento ciclico della pedalata aiuta l’articolazione e col tempo non solo migliora la situazione fisica, ma sente crescere dentro di sé anche la passione. In fin dei conti – pensa – non sono poi tanti i campioni canadesi in questo sport, c’è stato Bauer, poi Hesjedal, ma potrebbe essere una strada giusta per arrivare dove voglio, ossia alle Olimpiadi

Woods figlio
Michael Woods con il piccolo Willy, nato dopo Tokyo 2021 (foto David Powell/Rouleur)
Woods figlio
Michael Woods con il piccolo Willy, nato dopo Tokyo 2021 (foto David Powell/Rouleur)

La rinascita dal dolore estremo

Woods fa il suo esordio tra i pro’ in una squadra continental nel 2013, a 27 anni e ripensandoci viene da ridere, considerando come nel ciclismo attuale sei considerato “vecchio” neanche passata la soglia degli under 23. Fa subito vedere di che pasta è fatto, tanto che nel 2016 viene ingaggiato dalla Cannondale-Drapac e si dimostra subito corridore molto adatto a certi tipi di corse in linea, quelle mosse dove scompaginare le tattiche altrui oppure nelle tappe. Nel 2017 finisce 7° alla Vuelta, l’anno dopo è secondo a Liegi e terzo ai mondiali, in quello che è l’anno più bello e nel contempo più brutto.

Dopo pochi giorni dalla sua nascita, il primo figlio Hunter muore e la coppia di genitori è attonita. Non c’è tempo per il ciclismo, c’è da condividere un dolore: Michael e sua moglie vivono giorni, settimane in continua altalena, ma parlando, confrontandosi si fanno forza l’un l’altro e pian piano iniziano a ricostruire le fondamenta della famiglia.

Woods Tour 2021
Il 35enne di Toronto ha già vestito la maglia a pois nel 2021, ma ora vuole portarla a Parigi
Woods Tour 2021
Il 35enne di Toronto ha già vestito la maglia a pois nel 2021, ma ora vuole portarla a Parigi

La famiglia prima di tutto

Di fronte a ciò, anche la frattura del femore del 2020 sembra uno scherzo: «In questi anni – dice – attraverso colpi così duri ho accresciuto la mia resilienza e questo si ripercuote anche nella mia attività ciclistica, perché faticare mi fa ancora meno paura».

Anche il lockdown non lo ferma anche perché la famiglia comincia a popolarsi. Nel gennaio 2020 è arrivata Maxine e nel 2021 tocca a Willy. I tempi del suo arrivo avevano messo in pericolo la partecipazione a Tokyo, il coronamento del suo sogno olimpico, ma conoscendolo sua moglie Elly gli aveva dato il permesso di partire. Appena chiusa la corsa, quinto a un passo dal podio, Woods è ripartito e ha rinunciato alla Vuelta per stare vicino a sua moglie.

Oggi Woods è un uomo nuovo, ma non è assolutamente appagato e i suoi risultati dipendono da questo. Intanto vuole con tutte le sue forze correre a Parigi 2024, anzi vuole vincere quella medaglia sfuggitagli un anno fa per imitare Steve Bauer che fu argento a Los Angeles 1984. Poi vuole essere il primo canadese a conquistare una Monumento e magari anche il primo a vincere la maglia a pois al Tour. Tutti obiettivi che ha sfiorato e che sa essere a portata di mano.

Woods attività
Il canadese con la divisa della sua impresa di abbigliamento per il ciclismo (foto David Powell/Rouleur)
Woods attività
Il canadese con la divisa della sua impresa di abbigliamento per il ciclismo (foto David Powell/Rouleur)

Solamente pedalare fa bene?

Ora il ciclismo lo vede in maniera diversa: «Mi ha insegnato un principio fondamentale: quando cadi, devi rialzarti e questo vale per tutto. Nessuno si offenda però se il mio grande amore resta la corsa. Quando posso, metto le scarpette e vado a correre. Al Tour des Alpes Maritimes dello scorso anno ero in stanza con Vanmarcke: piano piano, senza svegliarlo, mi preparai e andai a correre. So che molti non vedono di buon occhio questa mia attività, ma fa parte di me e non ci rinuncio».

Sul tema Woods ha anche dato una sua interpretazione che merita una riflessione: «Se sei sempre in bici, in realtà stai facendo solo un range di movimento davvero ridotto. Così influisci male sul tuo corpo. Alcuni esperti mi hanno detto che molti ciclisti professionisti finiranno con problemi di densità ossea, perché semplicemente non corrono né camminano mai».

Chiusa la carriera, Woods ha già detto che si dedicherà alla sua fondazione Mile2Marathon, per dare un indirizzo di allenamento a chi vorrà, ma produce anche attrezzatura per ciclisti e ha anche un altro intento: quello di promuovere il ciclismo fra i bambini e trasmettere gli insegnamenti che ha appreso grazie a quelle strane due ruote…

Rizzato al Tour, fra giganti, sogni e lezioni da imparare

23.06.2022
7 min
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«Mi sentirò seduto sulle spalle dei giganti che mi hanno preceduto», poi Rizzato fa una pausa e percepisci il cambio di ritmo. Il telecronista cede il posto al ragazzo e l’emozione diventa palpabile. Chiediamo spesso ai corridori che cosa provino debuttando al Tour, ma è la stessa domanda cui potrebbe rispondere chiunque l’abbia vissuto, a vario titolo e nel suo ambito. Stefano (in apertura sulla moto all’ultimo Giro, foto Mirrormedia) sarà la voce di Rai Sport nella prossima edizione della corsa francese, in un passaggio professionale che non lascerebbe insensibile neppure il più cinico dei cronisti. Figurarsi chi vive lo sport da dentro e con passione.

«Se abbiamo una virtù in un’azienda così storica – riflette – è quella di poter imparare da chi è venuto prima di noi e che poi ci affianca. E’ una grande ricchezza che vale per le grandi e le piccole cose. Chiaro che io ci dovrò mettere del mio, la mia personalità. Ci dovrò mettere la chimica con Stefano Garzelli, che già ho sentito ottima al Delfinato. Stefano è una persona che si prepara tantissimo, che ha un grande entusiasmo…».

E’ stata Alessandra De Stefano, qui con Garzelli al Tour 2016, a volere Rizzato in postazione
E’ stata Alessandra De Stefano, qui con Garzelli al Tour 2016, a volere Rizzato in postazione

Debutto ritardato

Il campionato italiano della crono è alle spalle, l’avventura francese avrà inizio la prossima settimana, ma in realtà è già iniziata da un pezzo. Stefano avrebbe dovuto debuttare alla conduzione alla Freccia Vallone e poi alla Liegi, ma il Covid l’ha costretto in casa.

Il passaggio dalla moto alla postazione non è semplice. Non è solo, come pensa una buona fetta degli appassionati dal divano, prendere un microfono e parlare. Almeno non lo è se vuoi che le parole raccontino, coinvolgano, informino. Dietro quel microfono il più delle volte ci sono persone che studiano e si mettono in gioco, pur sapendo di essere esposte al giudizio spesso frettoloso di chi non ha il tempo e nemmeno il gusto di approfondire.

Intanto la squadra RAI è al lavoro. Giada Borgato e Petacchi in ricognizione sui percorsi del Tour (foto Instagram)
Intanto la squadra RAI è al lavoro. Borgato e Petacchi in ricognizione sui percorsi del Tour (foto Instagram)
Come è successo che dalla moto sei passato alla postazione?

E’ un percorso che mi hanno proposto Alessandra De Stefano e Alessandro Fabretti, con l’idea di affiancare in modo un po’ più stabile Pancani, che poi è fulcro di tutto il progetto. Nel senso che Francesco mi affiancherà in questo percorso, essendo anche lui al Tour a fare lo studio e il coordinatore. Sarà fondamentale averne il supporto e i consigli. Di Tour ne ha seguiti diversi, il mestiere lo fa meglio di tutti e per me l’opportunità vera è quella di poter imparare da lui.

Nessun avvicendamento, insomma?

Questo vorrei che fosse chiaro. Per me non sarà tanto dire di aver messo la bandierina sul Tour de France e aver raggiunto uno dei miei sogni da bambino, ma la grande opportunità professionale e anche umana di fare il Tour imparando da uno che in tutti questi anni l’ha raccontato al meglio. Francesco è il numero uno: non c’è nessun passaggio di consegne, ma piuttosto un bellissimo rapporto fatto di stima profonda e del grande piacere di lavorare insieme.

Al Giro hai dovuto prendere il suo posto…

Al di là della parte emotiva (il toscano è dovuto correre infatti da sua madre Anna, che si è spenta pochi giorni dopo, ndr), è stato difficile gestire la postazione avendo in testa la moto. E’ un lavoro totalmente diverso. E’ una telecronaca, ma al tempo stesso è come se fosse una conduzione.

Saligari sulla moto al Giro 2022. Al Tour la RAI non avrà moto in corsa (foto Instagram)
Saligari sulla moto al Giro 2022. Al Tour la RAI non avrà moto in corsa (foto Instagram)
Che cosa significa?

Di fatto avevo da interpellare altre sette voci, fra il commento tecnico di Petacchi e Giada (Borgato, ndr), quello sulla storia e le storie con Fabio Genovesi. Poi c’erano il professor Fagnani da Radio Informazioni e le due moto di Saligari e Martini. Altre volte in modo più sporadico c’era un collegamento dall’arrivo, che poteva essere con Antonello Orlando o altri. Se si aggiunge la finestra sul Processo alla Tappa, le voci diventano otto e si capisce che è un lavoro molto particolare.

E’ stato difficile subentrare?

La verità è che la macchina già camminava bene, quindi l’obiettivo fondamentale era di non farla schiantare. Tenerla dritta fino al ritorno del titolare. Le varie voci già dialogavano bene, io ho approfittato di un lavoro che era già stato impostato da Francesco. Ho cercato di farlo innanzitutto con sobrietà, perché comunque non era casa mia. Ero il supplente e quindi aspettavamo tutti che Pancani tornasse.

Il Tour sarà invece casa tua. Come ti sei preparato?

Ho fatto un lavoro grosso sulla storia, sia per i consigli di Alessandra sia per l’idea che mi ero fatto io. Non si può raccontare un Tour senza capire bene cosa c’è alle spalle. Si parla tanto della sua magnitudo come se fosse un terremoto, si parla di tutto quello che c’è intorno e della sua grandeur, ma è importante capire quel che c’è stato prima.

Più bello del Giro, scrive su Instagram c’è tornare a casa dal Giro: l’ultimo è stato impegnativo
Più bello del Giro, scrive su Instagram c’è tornare a casa dal Giro: l’ultimo è stato impegnativo
Come ti sei mosso?

Sono andato a caccia delle fonti migliori e le ho trovate in un cofanetto di tre volumi bellissimi curati da L’Equipe per il centenario. E lì tra foto pazzesche e racconti bellissimi, mi sono veramente perso dentro la storia del Tour. Ne sto uscendo adesso, sto arrivando giusto alla partenza e sento di avere capito meglio il romanzo del Tour de France. Confesso che prima non avevo questa conoscenza così approfondita.

Cosa ti ha colpito?

Avevo sempre sentito dire che il Tour avesse una grande storia, ora ho scoperto che è fatta di un sacco di episodi e di dettagli attraverso cui capisci che sia una corsa anche molto crudele. E’ nata per esserlo, per essere cattiva. E’ un dialogo tra passato e presente che spero di riuscire a portare poi in trasmissione.

Quale dei Tour che hai scoperto ti sarebbe piaciuto raccontare?

Se fossi francese, direi uno di quelli con il duello fra Anquetil e Poulidor. Quando hai due personaggi così, è chiaro che vivi il Tour in modo particolare. Quello che fu definito il Tour dei Tour se non sbaglio fu quello del 1964, con Anquetil che vinse per 55 secondi. Non sarebbe male avere due personaggi così, trovare oggi un duello che sia all’altezza di quello o ci si avvicini anche solo un po’. Adesso c’è un gigante e tutti gli altri che cercano di non arrancare e di unirsi contro di lui. Ma chi può dirlo? Magari vivremo una bella sfida anche quest’anno…

L’avvicinamento di Rizzato è passato per lo studio di questi tre volumi sulla storia del Tour
L’avvicinamento di Rizzato è passato per lo studio di questi tre volumi sulla storia del Tour
Come fa un giornalista, che con la moto è nel gruppo, a raccontare la corsa senza vedere nessuno?

Siamo al cuore del discorso ed è una cosa che ha occupato molti dei miei ragionamenti. Anche se si farà cronaca, l’obiettivo è proprio portare dentro il racconto quello che ho vissuto sulla moto e attraverso tante interviste. Al Tour non abbiamo il supporto degli inviati in gruppo, quindi vorrei portare nella diretta un po’ della strada da cui vengo. Se ci pensate, tutti quelli che mi hanno preceduto, lo stesso Pancani che lo fa ancora, sono passati dalla moto. Ti dà un occhio diverso, più coinvolto. Si può dire davvero che sono un telecronista preso dalla strada.

Prima hai parlato del tuo sogno di bambino…

Io ho cominciato da un sito, Cicloweb. I primissimi passi li ho fatti lì da appassionato di ciclismo. Poi, mano a mano, mi sono avvicinato al giornalismo facendone un mestiere. Mi sono occupato di tante cose diverse che non avevano a che fare con lo sport, fino a quando sono entrato in Rai nel 2016. Quindi è chiaro che il Tour sia la realizzazione di qualcosa di grande e di importante che sognavo da appassionato di sport e di ciclismo. Il percorso è stato tortuoso e particolare come quello di tutti.

Ai cronisti televisivi si rimprovera il fatto di sprecare troppe parole raccontando cose che si vedono già nelle immagini. Si può evitare?

Posso dare due parti della risposta. Una viene proprio da quello che mi ha insegnato la moto, che è fatta per raccontare quello che non si vede. Quell’abitudine è bene non perderla. E poi devo ammettere con grande onestà che avere come guida Alessandra De Stefano e Alessandro Fabretti, che di ciclismo ne hanno visto e raccontato tanto, e avere Francesco Pancani in prima linea, mi aiuterà a non cadere nell’errore.

Anche Pancani, telecronista di punta a Rai Sport, si è fatto le ossa sulla moto al Giro d’Italia
Anche Pancani, telecronista di punta a Rai Sport, si è fatto le ossa sulla moto al Giro d’Italia
Cosa c’è nella borsa di Rizzato per il Tour?

Sempre troppe cose. Sicuramente il computer ce l’ho quasi sempre davanti, ma quella è una deformazione. Adesso ho una divisione abbastanza maniacale tra le cose da consultare sul computer e quelle che invece stampo e tengo in un quadernone. Nel computer guardo più l’aspetto statistico in corso d’opera, tengo sempre un occhio sui social media, perché qualche cosa che sfugge all’occhio nei vari schermi c’è e magari viene captata da un appassionato.

Quando si parte?

Il 28 giugno, martedì prossimo. Ormai manca davvero poco.