Giro, Tour e adesso la Vuelta. Prosegue il viaggio di Kuss

25.07.2023
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Adesso la Vuelta. In un certo senso, al di là della sua voglia di esserci, Sepp Kuss lo stanno tirando per la manica. Da una parte Roglic, che lo aspetta dal Giro d’Italia. Dall’altra Vingegaard, cui ha cavato le castagne dal fuoco più d’una volta al Tour de France. E adesso che l’americano ha ufficializzato la sua presenza alla Vuelta al fianco dei due capitani, resta il dubbio di chi dovrà aiutare e per chi invece, chissà, preferirebbe farlo.

Quasi mezz’ora a parlare di sé: così Kuss si è concesso nel secondo giorno di riposo
Quasi mezz’ora a parlare di sé: così Kuss si è concesso nel secondo giorno di riposo

La seconda parte

Questa è la seconda parte di un’intervista fatta con Kuss nel secondo giorno di riposo del Tour. Nella prima ci ha raccontato di sé e dei suoi capitani. Dei pensieri al momento di infliggere fatica ai rivali. Del suo apporto alla Jumbo-Visma e la sua aspirazione di esserne semmai un giorno il capitano. Dovevano ancora andare in scena la crono e il giorno di Courchevel. Vingegaard si aggirava nel ristorante dell’hotel, raggiungendo a tratti la tavola del team e a tratti quella di sua moglie e sua figlia. Fra lui e Pogacar c’erano ancora 10 secondi, chissà se in cuor suo il danese era sicuro di poter scavare il solco.

«Penso che Jonas vincerà sulle montagne – diceva Kuss – non so dire però con quale distacco. Anche un secondo sarebbe abbastanza, giusto? Sì, un secondo basterebbe, ma io penso che sarà molto di più e a quel punto faremo parte della storia. Già l’anno scorso è stato super memorabile, emozionante da guardare e farne parte. Anche quest’anno è stato davvero eccitante, i percorsi sono stati ben progettati e c’è stata molta azione ogni giorno. Anche grazie ai corridori che ci sono in gara e al modo in cui stanno correndo. Forse le altre squadre non capiscono bene cosa stia succedendo, ma è bello farne parte».

Ci hai detto che vivi ad Andorra, passi molto tempo negli Stati Uniti?

Non così tanto. Soltanto un mese o due all’anno, di solito fuori stagione. In estate è difficile tornare, per cui la mia vita si svolge sempre più in Europa.

In America il ciclismo professionistico ha un suo seguito?

Penso che stia diventando uno sport di moda anche negli Stati Uniti. Conosco persone di quando ero più giovane che non sarebbero mai andate in bicicletta, mentre ora pensano che sia davvero uno sport superlativo. Puoi vestirti bene e avere una bici fantastica. E’ uno sport per la classe più istruita, che guarda il Tour. Magari non c’è una base di fan per guardare le classiche, ma il Tour sì…

L’effetto Armstrong sta diminuendo?

Penso che tanti negli Stati Uniti ritengano che siccome Armstrong si drogava, di riflesso anche tutti gli altri lo facciano ancora. Questa è la loro opinione ed è difficile cambiarla, ma io penso che sono passati parecchi anni da quello che è successo. Le persone vanno avanti, il ciclismo va avanti.

Al Tour of Utah 2018 vince tre tappe e la classifica finale: è appena arrivato alla Jumbo, ha 24 anni
Al Tour of Utah 2018 vince tre tappe e la classifica finale: è appena arrivato alla Jumbo, ha 24 anni
Lance era il tuo campione preferito?

Ero un suo fan, ma non era il mio preferito. Mi sono sempre piaciuti di più Contador, Valverde oppure Pantani, anche se lui è stato prima della mia generazione. Erano più spettacolari, mi piaceva il loro modo di correre, era emozionante da guardare.

Quali sono stati i tuoi primi ricordi guardando il Tour de France? 

Sicuramente gli anni di Armstrong, ma il ricordo più vivo è di quanto vinse Cadel Evans. All’epoca ero un ciclista di mountain bike e anche lui lo era stato. Per questo tifavo Cadel.

Tutto questo accadeva a Durango?

Sì, con la mia famiglia intorno. Guardavamo il Tour a colazione prima di uscire.

Con sua moglie ai piedi del palco del Giro in Via dei Fori Imperiali. Il ciclismo esalta i posti belli (foto Bram Berkien)
Con sua moglie ai piedi del palco del Giro in Via dei Fori Imperiali. Il ciclismo esalta i posti belli (foto Bram Berkien)
Il fatto che tu sia così forte in salita dipende dal fatto che arrivi da Durango?

Certo. Lì intorno ci sono un sacco di montagne davvero alte e soprattutto con la mountain bike si riesce ad arrivare proprio in cima. In Colorado non ci sono molte strade pianeggianti. A Durango invece è come se metà fosse davvero piatta e metà fosse veramente alta montagna. Quindi c’è un po’ di tutto.

Hai un messaggio per i fan americani?

Grazie per il supporto. Anche i miei genitori sono dall’altra parte dell’Oceano a guardare, ma posso sentire la loro energia. Ho anche letto tutti i messaggi di supporto che le persone inviano dagli Stati Uniti e penso che sia davvero bello rendermene conto.

Che tipo di messaggi?

Un signore mi ha scritto che non guardava il Tour da dieci anni, ma ora con tanti corridori americani che si fanno vedere, era davvero eccitato. Cosa dire? Sono orgoglioso di farne parte.

L’annuncio della partecipazione alla Vuelta è stato fatto sul podio finale del Tour, a margine delle feste, delle sfilate e delle passerelle. E Kuss, ancora incerottato, ha sfoggiato il suo sorriso gentile ed ha annuito. «Due settimane per riprendermi – ha detto – e poi sarò prontissimo».

Syncros per DSM: raggi e cerchio in un solo pezzo di carbonio

24.07.2023
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COMBLOUX – Nel giorno del lancio, abbiamo passato qualche minuto con il loro progettista William Juban. Di lì a poche ore, le nuove ruote Capital SL di Syncros avrebbero debuttato ufficialmente nella cronometro del Tour de France sulle Scott del Team DSM-Firmenich. Alle loro spalle un lavoro davvero lungo, frutto di una collaborazione con la squadra. E se l’obiettivo per la WorldTour di Bardet e compagni era arrivare a un set di ruote per la crono (nello stesso giorno debuttava anche la lenticolare posteriore), la genesi del progetto Capital risale ad almeno 5 anni fa. Il debutto infatti risale a un terreno diametralmente opposto: quello della mountain bike. La stessa tecnologia era alla base delle Silverton SL, portate in gara da Nino Schurter e con cui Pidcock ha vinto le Olimpiadi a Tokyo.

Da dove vogliamo cominciare?

Dal fatto che queste ruote sono piuttosto diverse dal solito. Sono realizzate in un unico pezzo di carbonio. Non ci sono raggi e non ci sono nipples. E’ un pezzo unico, dal centro e fino al cerchio. Solo il mozzo dove alloggiamo i cuscinetti è in alluminio ed è incollato nella struttura. Il resto è una vera costruzione in un unico pezzo, con la novità che possiamo variare ugualmente tensione nei raggi, che quindi si comportano come in una ruota tradizionale.

Come è possibile?

Grazie a un processo brevettato di Syncros. Nella fase in cui inseriamo il mozzo nella parte centrale della ruota e lo incolliamo, riusciamo a portare la tensione nei raggi. Nella ruota normale, lo fai tirando i nipples, qui lo facciamo attraverso il mozzo e tirando le due flange della ruota. E’ tutto ottimizzato al meglio.

Ottimizzato cosa?

L’interazione fra tutte le parti che compongono la ruota. La forma dei raggi, il numero di raggi, la posizione dei raggi perché lavorino perfettamente con la forma del cerchio. Lavorando su un unico pezzo, non abbiamo dovuto integrare una serie di componenti, ma abbiamo sviluppato una singola entità.

Ci fai un esempio?

Non avere i nipples significa ad esempio che non abbiamo bisogno di rinforzare l’area in cui i raggi si inseriscono nel cerchio. E’ tutto nello stesso layup. Guardando con attenzione, si può notare la fibra del raggio che arriva alla flangia. Il raggio che proviene dal mozzo va verso il cerchio e lo attraversa. Anche i raggi si incrociano, ma non sono incollati uno sull’altro. Sono davvero fibre che si sovrappongono e si fondono insieme. Il carbonio o i compositi danno il meglio quando vengono utilizzati sotto tensione e il raggio per natura è sotto tensione. Quindi l’uso dei raggi in carbonio aveva molto senso e ci ha permesso di mettere a punto la geometria e la forma dei raggi in modo che abbiano un profilo aerodinamico.

Quale forma hanno?

Sono schiacciati, ma abbiamo aumentato un po’ la loro sezione, arrivando a renderli il 35% più resistenti di un raggio d’acciaio. Questo ci ha permesso di ridurne il numero, infatti abbiamo solo 16 raggi e grazie ai quali otteniamo anche un ottimo risultato aerodinamico. La stessa assenza dei nipples concorre a questo risultato, grazie a forme assolutamente fluide.

Ruote hookless per tubeless: unica opzione?

Crediamo che sia il futuro. La ruota per la crono è larga 23 millimetri, questa che vi sto mostrando è da 25, per cui la dimensione minima del pneumatico da utilizzare è 28. Non abbiamo bisogno di nastro sulle ruote perché escono dallo stampo perfettamente lisce. In questo modo il team sta risparmiando qualcosa fra i 300 e i 400 grammi rispetto alla configurazione che avevano prima e ne sono entusiasti.

Quali feedback avete avuto dai corridori in termini di resa?

Prima si sono stupiti per la reattività delle ruote, perché sono più leggere di quelle che avevano prima. Poi, dopo averci pedalato più a lungo, si sono molto sorpresi dalla stabilità. Quindi abbiamo lavorato molto nello sviluppo dell’aerodinamica per assicurarci che i venti trasversali non influiscano troppo sulla stabilità di guida e le loro valutazioni vanno tutte in questo senso. Un altro aspetto che li ha sorpresi è il comfort. Le ruote possono sembrare un po’ troppo rigide, ma non lo sono. Rimangono elastiche e confortevoli.

Sono ruote per il solo uso crono?

No, in realtà sono state sviluppate anche per l’uso gravel, ovviamente con pneumatici più grandi. Abbiamo appena detto che la misura più redditizia di pneumatico sia la 29, in realtà si può arrivare fino a pneumatici da 50. Tuttavia, queste non sono ruote da mountain bike, quindi bisognerebbe restare in un corretto utilizzo gravel. E poi ovviamente si potranno usare nelle gare su strada. Qui al Tour abbiamo portato la versione più leggera, quindi con cerchio da 40 millimetri, ma si può salire senza problemi.

Al Tour ha debuttato anche la nuova ruota a disco.

Parte da una base simile a quella della ruota anteriore, come ci è stato richiesto dal team. Dopo i primi test di giugno 2022, infatti, ci hanno chiesto di sviluppare la lenticolare posteriore. In pratica partendo da un disco da 40, abbiamo applicato due coperture aerodinamiche, una per lato.

Quindi il disco non è portante?

No, c’è sotto la struttura in carbonio. Gazie a questa costruzione e alle nostre ruote super leggere come base, abbiamo raggiunto la ruota a disco più leggera del mercato. Quindi il peso finale è di 970 grammi con specifiche molto moderne, quindi canale da 25 millimetri, cerchio hookless tubeless ready. Questo per noi è il futuro.

Sono serviti davvero 5 anni?

Cinque anni di sviluppo, da quando abbiamo lanciato le Silverton SL. Avevamo appena iniziato lo sviluppo della versione strada. Nel 2018 siamo passati nella galleria del vento, distaccando sul progetto due ingegneri che ci hanno lavorato a tempo pieno per cinque anni. Ora le ruote esistono e vengono prodotte come i nostri telai in Asia, perché sono i migliori partner e hanno la tecnologia più avanzata. In Europa non esistono realtà industriali di questo livello. 

EDITORIALE / Per Tadej è arrivato il tempo delle scelte?

24.07.2023
5 min
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Difficile dire se Tadej Pogacar abbia trovato in Jonas Vinegaard la sua bestia nera. I segnali ci sono, ma lo sloveno scherzando ha raccomandato di non avere troppa fretta. Ha ragione, ma crediamo che nel suo team si dovrà fare un’attenta valutazione dei margini su cui intervenire per rendere lo sloveno ancora più incisivo.

Il 27 luglio del 2014, Nibali vince il Tour. La preparazione fu perfetta, ma anche molto impegnativa
Il 27 luglio del 2014, Nibali vince il Tour. La preparazione fu perfetta, ma anche molto impegnativa

Come Nibali contro Sky

Pogacar è un talento straordinario, bello da veder correre, entusiasmante negli scatti e nelle volate, ma gli è arrivato fra le ruote un bel bastone nocchiuto e spesso. Un avversario che riesce a imporsi sacrifici quasi monacali, che ha numeri da grande scalatore e alle spalle una squadra che vive le sfide allo stesso modo. Per Pogacar non è semplice staccare in salita un corridore costruito nei dettagli come il danese. C’è bisogno di lavori specifici, probabilmente servirà scendere di peso, forse cambiando in parte le sue caratteristiche.

In qualche misura sembra di rivivere il dilemma di Nibali, quando decise di puntare con decisione sul Tour de France. Non che prima non lo avesse fatto, ma la legge di Sky era inesorabile. E quando nel 2012 Vincenzo arrivò terzo a quasi 7 minuti da Wiggins e Froome, si capì che per sfidarli sul loro terreno sarebbe stato necessario avere la loro stessa maniacalità. Il Tour del 2014 nacque in questo modo. Vincenzo si trasformò in una vera macchina da guerra. Non rinunciò alla sua imprevedibilità, ma è certo che si presentò al via tirato e allenato come mai fino a quel punto e come mai sarebbe tornato negli anni successivi.

Prima del Tour, Vingegaard e Pogacar si sono incontrati alla Parigi-Nizza, poi strade diverse
Prima del Tour, Vingegaard e Pogacar si sono incontrati alla Parigi-Nizza, poi strade diverse

Obiettivi da scegliere

Non crediamo che il problema di Pogacar sia tanto nelle troppe corse di primavera. Conteggiando anche i giorni del Tour, Tadej ha 42 giorni di gara contro i 46 di Vinegaard. Tadej ha partecipato a 2 corse a tappe prima del Tour e le ha vinte entrambe. Vingegaard ne ha corse 4 e solo in una è finito secondo (dietro Pogacar alla Parigi-Nizza) e le altre le ha vinte.

Quel che c’è di diverso forse è il recupero fra una gara e l’altra e il tempo per costruire la forma del Tour. Quante giornate ha dedicato Vingegaard ai sopralluoghi delle tappe? Tante, a sentire i suoi racconti. Probabilmente più di quelli dedicati da Pogacar. E’ chiaro che il danese ha potuto farlo avendo nel Tour il suo obiettivo primario, un po’ come Froome a suo tempo, che vinceva le gare a tappe WorldTour (dal Catalunya al Delfinato), ma solo come passaggi verso il traguardo superiore.

Pogacar dovrà rinunciare a giocarsi il Fiandre e la Liegi? Questa è sicuramente la sfida che dovrà raccogliere e affrontare.

Quando corre Pogacar, il resto della UAE Emirates può solo tirare
Quando corre Pogacar, il resto della UAE Emirates può solo tirare

Un solo capitano

Il Tour è fatto di una costruzione maniacale. Se tutti seguissero lo stesso calendario, allora forse il talento sarebbe sufficiente per fare la differenza. Ma così non è e anche il talento immenso di Pogacar rischia di non bastare se messo al confronto con l’approccio metodico della Jumbo-Visma. E qui il discorso segue un’altra ansa.

Crediamo che anche Vingegaard potrebbe essere protagonista alla Liegi o alla Freccia Vallone, ne ha tutte le qualità. Però ha scelto (finora) di concentrarsi sul Tour e la squadra ha dirottato verso le classiche altri atleti che si chiamano Van Aert, Laporte, Benoot e a volte anche Roglic. Alla UAE Emirates invece questo non succede. I corridori ci sarebbero, ma quando corre Pogacar, agli altri tocca tirare. Lo sanno, lo accettano, difficilmente potrebbero fare altrimenti. Ma tutto questo va a favore di Pogacar?

Mentre Vingegaard lavora per il Tour, alle classiche pensano Van Aert e gli altri
Mentre Vingegaard lavora per il Tour, alle classiche pensano Van Aert e gli altri

Strade diverse

Certo il suo palmares è da stella assoluta e può di certo bastargli. Ha vinto due Tour, il Fiandre, la Liegi, la Freccia Vallone. Ma gli sta bene arrivare secondo al Tour, dietro uno che nella Grande Boucle ha scelto di specializzarsi? La scelta da fare è questa e deve farla Pogacar, non certo i suoi capi. Anche perché, visto il suo approccio meraviglioso al ciclismo, viene da chiedersi se Tadej sarebbe effettivamente capace di imporsi quello stile di vita così schematico nel nome della grande conquista. O se invece questo finirebbe con il logorarlo.

Già pochi mesi fa, Tadej ammise che una carriera non può durare tanto correndo sempre al 100 per cento e questa è una considerazione applicabile più a lui che al rivale. I più esperti dicono che la fine dipenda più dall’usura mentale che dal logorio atletico. E se il rischio è che Tadej, svuotato del divertimento, molli improvvisamente tutto, allora vale la pena fare un supplemento di riflessione. Vale la pena snaturarsi per inseguire Vingegaard al Tour?

Forse no, ma diventa necessario se quello è l’obiettivo. Se invece l’obiettivo è dare spettacolo, divertirsi e far appassionare ancora più tifosi, allora qualcuno potrebbe proporgli strade alternative. Esistono anche il Giro d’Italia o la Vuelta, restando lontani dall’ossessione del Tour, che già troppi talenti ha stremato per amore di quel giallo così squillante.

Un paio di lezioni che Pogacar porta a casa dal Tour

24.07.2023
5 min
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Non deve essere facile stare in piedi lì accanto per il secondo anno consecutivo. Ci sono corridori che potrebbero costruirsi la carriera su un secondo posto al Tour e due tappe vinte, se però ti chiami Tadej Pogacar, forse non basta. Perciò quando parla nell’ultima conferenza e nelle dichiarazioni spizzicate qua e là, sembra che torni a casa da un impegnativo viaggio di istruzione.

«Ovviamente il desiderio era vincere – dice – ma considerando tutto, penso che il secondo posto sia un risultato davvero straordinario per la squadra e anche per me. Quindi sì, sono super felice di essere di nuovo qui a Parigi, soprattutto sul podio. E per l’ultima volta in maglia bianca. Non sono più giovane… (sorride, ndr)».

La maglia bianca e quella a pois: una stretta di mano con Ciccone alla fine del Tour
La maglia bianca e quella a pois: una stretta di mano con Ciccone alla fine del Tour
Come te la sei cavata a gestire alti e bassi?

Sapevo che prima o poi sarebbero venuti giorni come quello di Courchevel e, se non giorni, magari dei momenti. Non credo che rimarrà l’ultima volta in cui qualcuno mi spingerà al limite. Credo di poter imparare qualcosa da quanto è successo. E se dovesse capitare ancora, saprò cosa aspettarmi.

Si sta parlando molto della tua rivalità con Vingegaard, che cosa si può dire di più?

Stiamo correndo in un ciclismo bellissimo e ci spingiamo l’un l’altro al limite. Penso che in questo momento possiamo essere tutti felici per come stiamo correndo. Al contempo, dobbiamo anche pensare che è solo una gara ciclistica e che dobbiamo goderci ogni momento che possiamo avere.

Sabato, verso Le Markstein, il primo giorno di sensazioni come nella prima settimana. Vingegaard nella scia
Sabato, verso Le Markstein, il primo giorno di sensazioni come nella prima settimana. Vingegaard nella scia
Parli bene, ma sei il primo a storcere il naso. Ieri hai ricevuto le congratulazioni per la vittoria di tappa, pensi di meritarle oggi per il secondo posto?

Nessuno dovrebbe congratularsi con me (ride, ndr), se non ne ha voglia. Sono molto contento di tutto ciò che questo Tour mi ha portato. Due vittorie di tappa, due di noi sul podio, il secondo posto per la squadra nella classifica finale e ancora la maglia bianca. Per me questo rimane un buon Tour e un’ottima stagione. Qualcosa di cui vado fiero, nonostante gli alti e bassi.

Che cosa c’è stato sabato di diverso, che ti ha permesso di vincere?

Mi sono sentito di nuovo me stesso, è stata questa la grande differenza. Non lo sono mai stato nell’ultima settimana e le persone più vicine se ne erano accorte. Sul Joux Plane e prima sul Grand Colombier, non avevo un bell’aspetto e infatti non mi sentivo benissimo. Giorno dopo giorno stavo peggiorando. Ma per quello che mi è successo sul Col de la Loze, davvero non ho spiegazioni.

Gianetti ribadisce che Pogacar è il più forte al mondo perché lotta in tutte le gare
Gianetti ribadisce che Pogacar è il più forte al mondo perché lotta in tutte le gare
Come lo hai affrontato?

Tutti sperimentano qualcosa di simile ad un certo punto della loro carriera. Uno di quei giorni in cui ti senti inutile. Per questo sono felice di essermi ripreso a fine Tour. Sono andato in giro pallido per una settimana, ora sulla mia faccia c’è di nuovo colore.

Dopo quelle sconfitte, ti è venuto in mente di programmare diversamente la stagione?

Non so perché dovrei, mi piacciono le sfide. Quest’anno la mia grande sfida è stata vincere prima la Parigi-Nizza e poi fare del mio meglio nelle tre grandi classiche: Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre e Liegi-Bastogne-Liegi. Ho provato a vincerle tutte e tre. Faremo diversamente il prossimo anno? Adesso è troppo presto. Tutto quello che posso dire è che al 90 per cento tornerò al Tour e proverò a vincerlo di nuovo.

Nella tappa di Parigi, Pogacar ha lavorato negli ultimi giri per tenere davanti i compagni allo sprint
Nella tappa di Parigi, Pogacar ha lavorato negli ultimi giri per tenere davanti i compagni allo sprint
Intanto Giannetti continua a definirti il miglior ciclista del mondo, perché fai tutte le gare.

Adoro il ciclismo e a primavera sono sempre in forma. Perché non usare quella forma per una gara come il Giro delle Fiandre? Ecco chi sono, cosa mi piace fare e ciò di cui sono orgoglioso. Posso competere in molte competizioni diverse, su tutti i terreni.

Hai imparato qualcosa da questo Tour?

Che quando mi sento super male, posso ancora soffrire: questa per me è la lezione più grande. Ho imparato anche che vale la pena continuare a mordere. Per questo voglio anche ringraziare tutti coloro che hanno continuato a motivarmi: la mia squadra, la famiglia, i fan, persino le persone sui social media… Devi sopravvivere al brutto momento e continuare a sperare in momenti migliori. Alla fine ne vale la pena.

La crisi di Courchevel è arrivata a 14,4 chilometri dall’arrivo: con lui è rimasto Marc Soler
La crisi di Courchevel è arrivata a 14,4 chilometri dall’arrivo: con lui è rimasto Marc Soler
Verrai al Giro?

Il Giro è una delle mie corse preferite e non sono mai riuscito a farlo. Posso dire solo che è difficile. Il Tour resta il Tour, il più grande di tutti. E combinarli e fare per due volte la classifica generale, è quasi impossibile nel ciclismo moderno. Inoltre, la mia fame di vincere ancora il Tour dopo questi due secondi posti è solo aumentata.

Sarai ai mondiali?

Se me lo aveste chiesto due giorni fa, avrei sicuramente detto di no. Ora non lo so. Vedremo come mi sento quando torno a casa la prossima settimana e mi rilasso un po’. Il fatto è che il mondiale di quest’anno è complicato, arriva in un brutto momento. D’altra parte, mi è sempre piaciuto correrlo. Quindi non prometto niente, ma vorrei andarci.

Meeus si prende Parigi, invece Vingegaard punta sulla Vuelta

23.07.2023
5 min
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Quando Jonas Vingegaard sale sul podio finale, il ricordo va per forza all’ultima volta che là sopra, vestito di giallo, vedemmo un italiano. Solo così è possibile capire l’emozione dei tifosi danesi e quella stessa del vincitore. In uno dei rari momenti di commozione, Jonas si guarda intorno e nel riconoscere sua madre e suo padre sente che forse quel cammino iniziato per sfida dai tempi della scuola lo sta portando davvero lontano.

Sorpresa Meeus

L’ultima tappa se l’è presa Jordi Meeus e forse nessuo l’aveva scommesso, considerato che nelle precedenti volate aveva collezionato un sesto e due settimi posti.

«Questo è senza dubbio il miglior giorno della mia carriera – dice invece il belga di 25 anni – sapevo già dagli sprint precedenti di questo Tour che era possibile fare di più. Oggi è andato tutto alla perfezione. Mi sono sentito bene tutto il giorno e anche le gambe erano perfette. Grazie a Marco Haller e Danny Van Poppel mi sono ritrovato ben posizionato. Ho preso la ruota di Pedersen, poi sono uscito dalla scia e sono riuscito a passarli tutti. Considerato che questo è stato il mio primo Tour, porto a casa una grande esperienza e una vittoria che lo rende ancora più indescrivibile».

Magari alla Bora-Hansgrohe, venuta al Tour con grandi mire di classifica, il settimo posto di Hindley non basta, ma certo le due vittorie di tappa (con lo stesso Hindley e ora con Meeus) e un giorno in maglia gialla rendono il boccone assai più gustoso da digerire.

La Cervélo gialla in favore di fotografi: per Vingegaard la passerella di Parigi è nel pieno
La Cervélo gialla in favore di fotografi: per Vingegaard la passerella di Parigi è nel pieno

Jonas alla Vuelta

Vingegaard ha già raccontato ieri tutto quello che voleva dire, ma intanto si lascia andare con la promessa di tornare anche il prossimo anno e, aprendo la porta sulla Vuelta, inizia ad agitare sin d’ora i discorsi. «Voglio vincerla – dice il danese – non vado per fare il gregario, sarò un secondo capitano».

Non è un mistero che la Jumbo-Visma sia in corsa per vincere i tre grandi Giri del 2023 e per questo, racconta Richard Plugge, il piano di portare Jonas in Spagna era stato varato già da dicembre. Così, se finora la corsa spagnola era stata indicata come terreno di caccia per il vincitore del Giro Primoz Roglic, ora diventa un appuntamento da condividere.

«Avere due leader – provoca invece Patrick Lefevere, forse preoccupato – per loro potrebbe trasformarsi in uno svantaggio. Con noi, Evenepoel sarà chiaramente l’unico leader e per noi sarà un vantaggio».

Onore al vincitore

Le ultime parole, prima di rifugiarsi nella meritata festa che chiude il Tour de France, sono quelle di Tadej Pogacar, che per ridere (ma neppure troppo) risponde a Vingegaard, poi lo applaude.

«Altro che piano per farmi fuori – sorride lo sloveno – l’unica volta che hanno provato a farmi fuori è stato sul Marie Blanque (la prima tappa dei Pirenei, ndr). Jonas stava meglio di me quel giorno, ma quando ha provato a liquidarmi il giorno dopo, la tappa l’ho vinta io. Quindi riguardo al piano di cui tanto parlano: nessuno mi ha fatto fuori, ho fatto tutto da me. Io e la mia brutta giornata. Mi sono fatto fuori da solo. Ma devo essere onesto su questo: in quei due giorni Jonas è stato eccezionale. Ha avuto due tappe in cui non potevo competere. Ho molto rispetto per lui: è un bravo ragazzo, uno dei migliori scalatori e per il momento il miglior corridore del Tour. Sono sicuro che avremo un brillante futuro insieme. Parliamo già come una coppia… (ride, ndr)».

Anche quest’anno se li è messi tutti alle spalle

23.07.2023
5 min
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La conferenza stampa all’arrivo, un anno dopo. La maglia gialla arriva al termine del protocollo e trova il modo di scambiare qualche battuta con Tom Dumoulin, che sta seguendo il Tour come opinionista dell’olandese NOS. Dopo l’arrivo, il vincitore del Giro 2017 si è fermato anche con Sepp Kuss per chiedergli della caduta in cui ha battuto la faccia sull’asfalto. Poi cominciano le domande e Vingegaard si racconta.

Ha l’espressione sollevata, in un modo o nell’altro il viaggio volge al termine. Fuori ha fatto un po’ di show, un grande passo per il suo essere riservato. Se ricordate il mondo in cui è cresciuto e i dettami imposti nel villaggio in cui è nato, di cui abbiamo raccontato lo scorso anno, capirete anche perché per il vincitore del Tour sia così difficile esporsi. Ha lanciato i fiori a una tifosa vikinga e fuori di testa e si è perso finalmente nell’abbraccio della compagna che gli ha passato il telefono.

Dal podio della maglia gialla, Vingegaard ha tirato i fiori a questa tifosa danese e impazzita
Dal podio della maglia gialla, Vingegaard ha tirato i fiori a questa tifosa danese e impazzita
Cosa significa davvero per te questa seconda vittoria assoluta consecutiva? 

Dovrebbe essere chiaro che sono molto contento. Il Tour è stato il mio più grande obiettivo quest’anno. Quindi è fantastico finire così. Mi sarebbe piaciuto vincere la tappa. Ho provato ad attaccare di sorpresa nel finale perché sapevo di non avere possibilità in volata contro Tadej, ma la cosa più importante era mantenere la maglia gialla. Devo ringraziare la mia squadra. Sono stati fantastici. Avevamo un piano ogni giorno e lo abbiamo eseguito nel modo giusto.

Qual è la più grande differenza rispetto all’anno scorso?

Che ho avuto più fiducia in me stesso e così anche la squadra. Sappiamo quali sono i miei punti di forza e sappiamo anche come sfruttarli al meglio. Penso che non tutti abbiano capito il nostro piano ogni giorno, ma l’abbiamo fatto e ha funzionato.

Il forcing della UAE sulla salita finale ha neutralizato in un attimo la fuga di Pinot e Pidcock
Il forcing della UAE sulla salita finale ha neutralizato in un attimo la fuga di Pinot e Pidcock
In cosa consisteva questo piano?

Non so se sia il caso di svelarlo. Se raccontiamo in che modo abbiamo eliminato Pogacar, forse lui potrebbe lavorarci sopra per il futuro. Potreste chiedere a Grischa (Niermann ndr) se vuole dire qualcosa di più o no.

Hai vinto il Tour due volte. Che ambizioni hai per il futuro?

Sicuramente ho altri obiettivi. Solo che il Tour è la gara più importante del mondo e per me è davvero speciale. E’ ancora troppo presto per dire cos’altro voglio provare, ma il Tour rimane speciale. Molto probabilmente tornerò l’anno prossimo per provare a vincere una terza volta.

Pogacar ha attaccato, Vingegaard lo ha seguito, Gall è rientrato: il finale è esploso così
Pogacar ha attaccato, Vingegaard lo ha seguito, Gall è rientrato: il finale è esploso così
Sei sembrato più forte in questo Tour, è una sensazione o c’è del vero?

L’anno scorso ho avuto alcuni infortuni e in un paio di occasioni sono stato male in primavera. Quest’anno è andato tutto liscio. Questo fa una grande differenza. Inoltre continuo a migliorare. Non il 20 percento all’anno, ma piccoli pezzetti qua e là.

Dopo la sua vittoria a Poligny, Mohoric ha rilasciato un’intervista molto emozionante su tutti i sacrifici che i corridori devono fare per avere qualche possibilità di ottenere qualcosa nel Tour.

La penso esattamente come lui. Tutti dobbiamo sacrificare molto e Matej lo ha espresso molto bene. Quando mi guardo indietro, quest’anno sono stato lontano dalla mia famiglia per 150 giorni. Non è così ovvio che tutti lo accettino. D’altra parte, seguire i nostri programmi mi dà fiducia. Ci alleniamo duramente e siamo molto precisi con l’alimentazione e so che facendo così, raggiungerò il mio massimo livello.

Kuss è caduto su Rodriguez ed è arrivato staccato, mentre lo spagnolo ha perso un posto nella generale
Kuss è caduto su Rodriguez ed è arrivato staccato, mentre lo spagnolo ha perso un posto nella generale
L’anno scorso avevi queste stesse certezze?

Ho corso il mio primo Tour nel 2021, arrivando secondo. Quello è stato anche il periodo in cui ho iniziato a ottenere i primi risultati. E’ stato il primo anno in cui sono stato in grado di affrontare meglio la pressione. Ho lavorato per questo, ho dovuto impararlo. Dal momento in cui ci sono riuscito, ho iniziato a conquistare podi e vittorie.

Hai combattuto un duro duello con Pogacar fino a Courchevel e quel giorno Tadej ha dovuto arrendersi. Pensi che la vostra rivalità renda il ciclismo più popolare?

E’ bello avere rivalità nel ciclismo. Quest’anno c’è stata una grande battaglia, è stato incredibilmente difficile vincerla, è stato difficile uscirne vincitore e ne sono super felice. Tadej è stato molto duro, ma l’ho battuto. E credo che dovrò scontrarmi con lui ancora, magari anche il prossimo anno.

L’abbraccio con la compagna, che poi gli ha passato al telefono il Principe di Danimarca
L’abbraccio con la compagna, che poi gli ha passato al telefono il Principe di Danimarca
Correrai ancora quest’anno?

Ho bisogno di un po’ di tempo per pensarci. Voglio vedere come esco da questo Tour. L’anno scorso mi sentivo ancora bene, anche se mentalmente è stata molto dura. Cercherò di metabolizzare il tutto, prima di fare nuovi piani.

L’anno scorso si parlò di vita stravolta dopo il Tour, pensi che questa volta sarai in grado di affrontarlo un po’ più facilmente?

Ho detto spesso che non c’è mai stato un problema. La vissi in modo davvero facile e mi sono anche divertito. Certamente non è stato un prezzo pesante da pagare e penso che sarà così anche adesso. Nel frattempo, il principe Frederik di Danimarca ha chiamato Trine e lei me l’ha passato. Si è congratulato con me e ha detto che è stato impressionante che io abbia vinto il Tour due volte di seguito. Era molto felice per me.

Un urlo per due: Ciccone missione compiuta, Pogacar risorge

22.07.2023
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«Quando all’auricolare mi hanno detto che se avessi preso i successivi punti al Gpm avrei vinto la maglia a pois, ho davvero capito che ce l’avrei fatta. E’ stato un momento molto bello», parole di Giulio Ciccone che poco dopo su quel Gpm, il Col de la Schlucht, transita per primo ed esulta. Urla come se fosse all’arrivo di una tappa. In qualche modo per lui il vero traguardo di giornata, ma potremmo dire di questo Tour de  France, era proprio quella linea a 1.136 metri sui Vosgi.

In quel momento l’abruzzese ha matematicamente conquistato la maglia a pois. Un primato ambito, prezioso, cercato, sudato… Dopo l’esultanza sul Gpm tanto spontanea quanto bella, Giulio spinge il bottoncino della radio per congratularsi con la squadra. Era stato lui stesso a Courchevel a dirci che ormai quella maglia, che già indossava, era un obiettivo per tutti.

Tadej Pogacar (classe 1998) esulta con forza a Le Markstein. E’ il secondo successo in questo Tour per lui
Tadej Pogacar (classe 1998) esulta con forza a Le Markstein. E’ il secondo successo in questo Tour per lui

Urla Pogacar

A Le Markestein però ridono (quasi) tutti. Ride e urla anche Tadej Pogacar, che ha vinto la tappa e conquista una vittoria che probabilmente non sarà tra le sue più belle, ma che dà tanta speranza allo sloveno. 

Quello del corridore della UAE Emirates è un urlo di sfogo. Una liberazione. E fa quasi strano vederlo festeggiare così. Ma dopo certe batoste e momenti difficili, per uno che non ci è abituato, è comprensibile. Oggi è sembrato correre con la voglia e la cattiveria di è solito a fare certe azioni, ma anche la consapevolezza di poterle prendere. E allora quell’urlo si capisce e assume tutt’altro aspetto.

«Oggi – ha detto Pogacar – mi sono sentito di nuovo me stesso. Sono stato bene dall’inizio alla fine della tappa ed è stato bello rivivere certe sensazioni dopo diversi giorni di sofferenza. Sono molto felice».

Gioiscono (quasi) tutti

Gioisce Jonas Vingegaard che mette in cassaforte il suo secondo Tour de France. Gioisce Felix Gall perché ha capito di poter iniziare a competere con i grandi. E fanno festa anche in casa Yates: Adam per la vittoria di Tadej e Simon per aver agguantato la quarta piazza.

E forse gioisce persino Thibaut Pinot, che ha regalato ancora una grande emozione a sé stesso e ai suoi tantissimi tifosi di tutto il mondo. Mentre era in fuga, c’è chi tifava per lui… e chi mente, ammettiamolo! Il vecchio Thibaut correva in casa. Era alla sua ultima occasione per fare bene alla Grande Boucle e si è preso la giusta passerella.

L’unico che non ride è Carlos Rodriguez che perde una posizione nella generale. Passa dal quarto al quinto posto, a vantaggio appunto di Simon Yates. Seppur giovane, il talento della Ineos-Grenadiers annovera l’ennesima caduta in carriera. Si complica la vita da solo.

Lui lotta ce la mette tutta. E’ fortissimo, basta vedere in che condizioni ha concluso una tappa da oltre 3.000 metri di dislivello, ma certo deve mettere a punto qualcosina.

Giulio ha vinto la maglia a pois: 1° Ciccone 105 punti; 2° Gall 92; 3° Vingegaard 89. Domani un Gpm di 4ª categoria che non cambierà la graduatoria
Giulio ha vinto la maglia a pois: 1° Ciccone 105 punti; 2° Gall 92; 3° Vingegaard 89. Domani un Gpm di 4ª categoria che non cambierà la graduatoria

Dopo Chiappucci

Ma in questo finale caotico, forse anche con qualche fuoco d’artificio in meno di quel che ci si attendeva, la notizia per gli italiani è la maglia a pois di Giulio Ciccone.

Il corridore della Lidl-Trek succede a Vingegaard – il danese lo scorso anno aveva vinto anche lquesta classifica – e per quanto riguarda gli italiani a Claudio Chiappucci. El Diablo siglò una doppietta tra il 1991 e il 1992.

Giulio aveva messo questa maglia tra gli obiettivi al via. A Bilbao si poteva pensare alla classifica, ad una tappa e al primato dei Gpm appunto. 

Lo scorso anno fu terzo e capì che tutto sommato si poteva fare. «E’ il gran giorno – aveva detto prima della tappa Ciccone – può essere uno dei più belli della mia vita, ma anche uno dei peggiori. Dovremmo stare davanti». E Cicco e la sua squadra sono stati dei cecchini. Attenti. Nelle prime posizioni sin dal chilometro zero.

«Penso che abbiano fatto qualcosa di incredibile oggi. Devo ringraziare tutta la squadra perché siamo partiti con un piano e hanno fatto tutto alla perfezione. Questa maglia è per loro. Hanno fatto più della metà del lavoro. Ora voglio godermela».

«L’obiettivo principale di questo Tour era vincere una tappa, ci sono andato vicino, ma non ci sono riuscito. Alla fine va benissimo così».

Santini rafforza il legame con Bergamo e pensa all’Atalanta

22.07.2023
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Il legame con la propria terra, quella bergamasca, per Santini è sempre stato un richiamo forte di appartenenza. Un binomio che passa attraverso lo sport ed ora, grazie alla collaborazione con l’Atalanta, arriva anche al calcio. Santini ha infatti presentato la sua collezione di capi dedicata alla Dea. Entrambi gli sport sono legati profondamente al popolo bergamasco, che vede nel ciclismo e nel calcio parte del proprio DNA. 

Stesse passioni

Due sport così diversi ma allo stesso tempo vicini, per passione e attaccamento al territorio ed alla città di Bergamo. Una sottile linea che unisce Santini e l’Atalanta e che cucita crea questa particolare collezione, dedicata a chi vuole pedalare con i colori della propria squadra del cuore addosso.

Santini realizza abbigliamento ciclistico dal 1965 e nel corso degli anni è arrivata ad altissimi livelli. L’ultimo, in ordine di tempo, vestire la maglia gialla del Tour de France. La stessa capacità ed abilità tecnica del marchio bergamasco vengono trasportate su questa collezione, che diventerà un motivo di orgoglio per i tanti tifosi dell’Atalanta che vogliono mostrare la propria fede calcistica anche quando pedalano.

La collezione

Una serie di capi d’abbigliamento ricca: due maglie, un pantaloncino e tanti accessori abbinati. I colori sono quelli dell’Atalanta, ovvero nero e azzurro, con tanto di logo della squadra. La prima delle due maglie: la Sleek, è dedicata ai ciclisti più esigenti, che ricercano un fit aerodinamico. Un capo realizzato con tessuti made in Italy e 100% riciclati da PET e filati di scarto (foto di apertura). L’azzurro domina sulla maglia, mentre le maniche sono nere, il forte richiamo all’Atalanta è sulle tasche e nello stemma sul petto. 

La seconda maglia della collezione è pensata per chi ama un taglio classico ed una vestibilità morbida. Santini ha combinato tessuti in microrete: leggeri e traspiranti, con la grafica del vero tifoso atalantino sulla schiena.

Completano la collezione i pantaloncini con tessuto compressivo Thunderbike Power e fondello GITevo, i guantini, le calze ed il cappellino.

Santini

Test e verifiche: Carbon-Ti con la UAE nel giorno di riposo

22.07.2023
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«E’ uno dei modi con cui otteniamo i famosi marginal gain – spiega Formolo, in procinto di rientrare al Tour de Pologne – in questo caso con corone e freni di Carbon-Ti. Parlo per esperienza, ma ogni volta che capito in un negozio di bici, mi chiedono proprio dei freni. Gli è bastato vedere le foto. Vanno bene, vanno veramente bene. E sono anche belli…».

La superficie del disco è tale da favorire il raffreddamento della pista frenante
La superficie del disco è tale da favorire il raffreddamento della pista frenante

Vero debutto al Giro

Abbiamo passato parecchio tempo a osservare i freni a disco X-Rotor SteelCarbon 3 di Carbon-Ti montati sulle Colnago del UAE Team Emirates, prima al Giro d’Italia e negli ultimi giorni al Tour ed è vero quel che dice Formolo: il colpo d’occhio seduce. Si parla del disco, composto dal corpo centrale in carbonio e la pista frenante in acciaio. Sono belli, ma funzionano? E quali vantaggi danno?

«Il fattore peso è importante per i grandi Giri – spiega Marco Monticone, product manager dell’azienda bresciana – tanto che l’utilizzo diffuso fra gli atleti di punta, Almeida per primo, è iniziato al Giro d’Italia. Lì ci siamo trovati in condizioni estreme, con temporali, piogge, discese molto lunghe fatte in condizioni estremamente critiche.

«Il vantaggio di peso è di circa 27 grammi, che per loro è un numero importante. Ci arriviamo grazie alla parte centrale in fibra di carbonio che nessun altro fa e ci consente di risparmiare peso, mantenendo le stesse caratteristiche di rigidezza necessarie per competizioni WorldTour».

Almeida al Giro ha usato i freni in carbonio e acciaio di Carbon-Ti
Almeida al Giro ha usato i freni in carbonio e acciaio di Carbon-Ti

Segreto industriale

Dei materiali utilizzati e dei numeri relativi si riesce a sapere ben poco: il segreto industriale viene opposto alla domanda e c’è da capirlo. I test che hanno portato al prodotto finito sono andati avanti per anni: fra diversi tipi di carbonio con lo stesso spessore possono esserci delle grandi differenze, quindi la messa a punto del miglior composito si è rivelata un passaggio chiave. Si parla infatti di terza generazione di un prodotto nato quasi 15 anni fa.

L’osservazione di Formolo va avanti. Il veronese ha utilizzato i freni X-Rotor Steel Carbon 3 al Giro d’Italia, facendo parte della… guardia scelta di Almeida.

«Della leggerezza – dice – magari ti accorgi indirettamente. Quello che si nota è che frenano allo stesso modo anche dopo le discese più lunghe. Bagnato o asciutto. Anzi, a volte mi è capitato di arrivare in fondo e di chiedermi se con i freni tradizionali, me la sarei cavata altrettanto bene».

Pista frenante in acciaio

La confutazione da parte di Marco Monticone arriva puntuale ed entra nel dettaglio della costruzione stessa dei dischi.

«Risparmiando così tanto peso nel corpo centrale grazie al carbonio – dice – abbiamo potuto dedicare più materiale alla parte più importante per le performance del disco, quindi la pista frenante. Quella non l’abbiamo alleggerita. Ci sono dei dischi più leggeri dei nostri, ma il nostro prodotto ha una pista frenante studiata per avere delle performance elevate e un raffreddamento migliore su discese estremamente lunghe».

Covi ha riscontrato che la frenata è migliore quando si arriva al riscaldamento
Covi ha riscontrato che la frenata è migliore quando si arriva al riscaldamento

Frenata a freddo

A questo punto gli facciamo notare un’osservazione fatta da Alessandro Covi, il piemontese che proprio in questi giorni si è spostato in Spagna per correre a Villafrance de Ordiza e poi San Sebastian e che i nuovi freni li ha usati anche lui al Giro.

«Frenano sempre bene – dice – magari c’è da pompare di più all’inizio della discesa, ma poi l’efficienza è sempre identica e di alto livello».

Il disegno della pista frenante, con spigoli arrotondati, è stato realizzato per consentire potenza e modularità
Il disegno della pista frenante, con spigoli arrotondati, è stato realizzato per consentire potenza e modularità

Sensazioni e abitudini

Monticone annota, fa una breve pausa e riferisce quanto ricevuto anche da parte di altri corridori della squadra emiratina.

«Quella è stata la segnalazione di qualche atleta – dice – secondo cui più i freni vengono sollecitati e più funzionano bene, che per loro è estremamente importante. Sull’efficienza inferiore a freddo, ho sempre avuto qualche dubbio. Però prendiamo sul serio tutte le loro indicazioni, ma non c’è alcun motivo per cui questo debba succedere, perché il disco si scalda in meno di un secondo. Forse è un fatto di sensazioni. Mi rendo conto che quando dai del materiale nuovo a un atleta che fa 30-40.000 chilometri all’anno, sicuramente troverà qualcosa di differente da quello che era abituato a utilizzare».

Al Tour il freno anteriore Carbon-Ti è stato usato anche all’anteriore della bici da crono
Al Tour il freno anteriore Carbon-Ti è stato usato anche all’anteriore della bici da crono

Disco semi-flottante

Rispetto a qualche disco che ha la costruzione a strati, quella che viene definita a wafer, i freni Carbon-Ti hanno la pista frenante ricavata da un pezzo unico, vincolato al corpo in carbonio da speciali rivetti in titanio. E questo crea un vantaggio.

«Questa costruzione – dice Monticone – fa sì che possiamo definire i freni semi-flottanti. Non si discostano di un millimetro come succede per quelli flottanti delle moto. In questo caso, la pista frenante è solidale col carbonio e non si avvertono movimenti. Però nel momento in cui subisce un surriscaldamento in frenata, il disco è libero di dilatarsi, con i rivetti che sono in grado di assorbire la dilatazione. Ecco perché è decisivo raggiungere il perfetto abbinamento fra rivetti, carbonio e acciaio».

Il team di Carbon-Ti ha raggiunto il Tour nel secondo riposo di Megeve per avere riscontri (foto Facebook)
Il team di Carbon-Ti ha raggiunto il Tour nel secondo riposo di Megeve per avere riscontri (foto Facebook)

La verifica al Tour

Il Tour de France è stato un momento di verifica. Lo staff di Carbon-Ti ha raggiunto il UAE Team Emirates nel secondo giorno di riposo a Megeve, dedicandosi all’approfondimento tecnico richiesto dalla squadra e per loro necessario e scoprendo che per la prima volta i propri dischi sono stati utilizzati anche all’anteriore sulla bici da cronometro.

«Lunedì scorso – racconta Monticone – siamo stati tutto il giorno con la squadra e abbiamo raccolto informazioni dagli atleti, dai meccanici e dal performance manager. Abbiamo indicato futuri nuovi prodotti che potrebbero interessare e concordato alcune cose. Abbiamo ricevuto i prodotti utilizzati al Giro, ad esempio i dischi di Almeida, in modo da fare le nostre verifiche».

A margine dell’attività del team di Pogacar, c’è un servizio che Carbon-Ti riserva ai clienti europei: la sostituzione della pista frenante usurata. Si parla di un vero e proprio “rebuild” del disco, che torna nuovo alla metà di quanto costerebbe comprarlo nuovo. Nulla di particolarmente interessante per corridori che sono abituati alle sostituzioni di parti usurate, un bel valore aggiunto per chi la bici è costretto a pagarla.