Ciabocco in Olanda, un’occasione per crescere

03.09.2022
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Il futuro di Eleonora Ciabocco è già scritto: dalla prossima stagione la 18enne due volte vicecampionessa europea junior sarà in Olanda, al Team DSM. Andare all’estero era un destino praticamente certo sin dall’inizio della stagione, vedere tutti i suoi risultati collezionati settimana dopo settimana non potevano non prefigurare l’interesse dei grandi team internazionali, ma c’era da fare i conti con la volontà sua e della sua famiglia.

Eleonora ha, come moltissime sue coetanee, il forte senso dell’avventura e avere l’opportunità di partire, andare a vivere un’esperienza lontano da casa mettendosi in gioco a 360° era qualcosa da cogliere al volo.

«I contatti con il team c’erano già dalla fine dello scorso anno – racconta la Ciabocco – i risultati che avevo conseguito alla prima stagione da junior costituivano delle valide credenziali, ma considerando la mia giovane età e anche la difficile situazione generale, con il covid che rendeva ancora difficili gli spostamenti mi hanno spinto a continuare sulla strada che avevo già intrapreso. Siamo però rimasti in contatto e appena i regolamenti lo hanno consentito, abbiamo messo nero su bianco».

Ciabocco europei
Due edizioni degli europei junior e due secondi posti per la Ciabocco
Ciabocco europei
Due edizioni degli europei junior e due secondi posti per la Ciabocco
Che cosa ti hanno chiesto per il tuo primo anno da elite?

Mi hanno lasciato molta libertà, anche perché nel 2023 io dovrò dare gli esami di maturità, quindi sarebbe stato pressoché impossibile trasferirmi in toto. Continuerò ad allenarmi e a gestirmi nella prima parte di stagione raggiungendo la squadra dove si dovrà gareggiare, ma restando a casa per pensare alla scuola. Dopo mi metterò a completa disposizione, intanto però ho aggiunto allo studio le lezioni d’inglese per potermi disimpegnare al meglio nei contatti con dirigenti e compagne di squadra.

Al Team Dsm troverai un’altra campionessa d’Italia, quella Francesca Barale che ti aveva preceduto nell’albo d’oro tricolore. Con lei hai avuto contatti?

Sì, abbiamo parlato a lungo, mi ha spiegato come funziona il team, che cosa chiede, come gestire soprattutto i primi mesi con la scuola da dover finire. E’ stata preziosa, rassicurandomi. Dovrò andare in Olanda per prendere il materiale ma non dovrò partecipare a ritiri specifici, sarò con loro solo per i periodi delle gare. Questo come detto fino alla prossima estate.

Ciabocco podio
Ciabocco in evidenza sin da esordiente, qui al titolo tricolore a Comano Terme (foto Fabiano Ghilardi)
Ciabocco podio
Ciabocco in evidenza sin da esordiente, qui al titolo tricolore a Comano Terme (foto Fabiano Ghilardi)
Per quanto riguarda la preparazione, dovrai seguire un loro programma?

Probabilmente sì, ci sarà il loro preparatore che curerà tutte le mie tabelle e tutto il resto. Ma questo mi verrà comunicato una volta che sarò lì per la prima presa di contatto.

Dicci la verità: era davvero necessario andare all’estero, dall’Italia non si è fatto avanti nessuno?

Gli unici che si sono fatti avanti sono stati quelli della Valcar: in primavera avevo sentito che avevano intenzione di costruire una squadra quasi completamente rinnovata ma ancora non sapevano come muoversi sul mercato. Ad agosto si sono fatti avanti, ma io avevo già firmato. Un pochino mi è dispiaciuto, ma sono pienamente soddisfatta della mia scelta di andare in Olanda.

Ciabocco tricolori 2022
La Ciabocco ha firmato un contratto biennale, ma fino a giugno resterà a casa (foto Fabiano Ghilardi)
Ciabocco tricolori 2022
La Ciabocco ha firmato un contratto biennale, ma fino a giugno resterà a casa (foto Fabiano Ghilardi)
Come la vedi, un salto nel buio o un’opportunità?

Domanda difficile, potrò rispondere solo fra qualche tempo. Non so come sarà, ma sono convinta che sarà comunque una grande esperienza, non solo dal punto di vista ciclistico. Sarà importante per me, per crescere come persona prima ancora che come ciclista. Poi, sul lato sportivo, io entro nel mondo delle elite in punta di piedi, quel che ho fatto da junior ormai non conta più, anche se è servito per richiamare l’attenzione, infatti i responsabili del team mi conoscono molto bene. Ma anche loro su un punto sono stati chiari: inizialmente la priorità è la scuola…

Arensman di forza. E adesso non è più il delfino di Bardet

04.08.2022
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Thymen Arensman è alto e magro, viso pallido e gote rosse, battuta pronta e sorriso che invoglia a parlarci assieme. La sesta tappa del Tour de Pologne è una cronometro di poco meno di 12 chilometri che dal paesino di Gronkov porta alla stazione sciistica di Rusinski.

Su queste estese colline ricoperte da verdi prati l’occhio si perde verso l’orizzonte, dove si trovano le vette più alte. Inizia a fare caldo in Polonia, dopo sei giorni di nuvole e temperature al di sotto dei 20 gradi, finalmente, esce il sole

La prima da pro’

I giovani olandesi vanno forte, sono venuti qui in Polonia e stanno facendo vedere grandi cose. Prima la volata di potenza e classe di Olav Kooij, poi la cronometro di Arensman, in forza al Team DSM. Una prova di forza da parte di un ragazzo che è nato nel 1999 e che promette un gran bene. Che la cronometro potesse essere il momento decisivo lo si sapeva. E nessuno si è mai nascosto dal dirlo.

«E’ la prima vittoria da professionista e ne sono estremamente felice – i suoi occhi non mentono, dice Arensman – è il primo passo di una carriera che è iniziata da davvero poco tempo. E’ veramente un giorno speciale, la prima vittoria da professionista coincide con la prima nel WorldTour.

«Questa sera avrò qualcosa da festeggiare con i miei compagni, considerando che sono salito anche in seconda posizione nella classifica generale».

Incontro ravvicinato

Mentre ci spostiamo velocemente dal traguardo alla mix zone, notiamo una bici nera che brilla sotto il sole di Rusinski. E’ il mezzo, la Scott Plasma con il quale il giovane olandese ha appena vinto la crono a 40,075 di media oraria, ma con 337 metri di dislivello! Così chiediamo di visionarla ed il meccanico accetta volentieri e ci spiega anche qualche dettaglio. 

«Thymen – ci dice – ha scelto di montare il 56 davanti, la strada era sì in salita ma nella prima parte, ed in alcune sezioni, bisognava fare tanta velocità. Poi lui ha le leve lunghe e quindi ha più facilità nello spingere un rapporto del genere. Al posteriore siamo andati sul classico 30, non servivano altri rapporti (era un percorso da “rapportone” diremmo noi, ndr)».

Terzo nella classifica generale al al Tour of the Alps e miglior giovane, l’olandese corre forte e il futuro lo attende
Terzo nella classifica generale al al Tour of the Alps e miglior giovane, l’olandese corre forte e il futuro lo attende

Crono che passione

Thymen Arensman lo abbiamo visto correre bene, soprattutto in Italia: due secondi posti al Giro d’Italia, il terzo posto nella classifica generale della Tirreno-Adriatico ed il secondo al Tour of The Alps. Una grande passione anche per le cronometro: nelle quattro disputate quest’anno non è mai uscito dalla top ten.

«Le cronometro – dice l’olandese- mi piacciono e le curo bene, per essere un corridore completo da Grandi Giri serve andare forte anche lì. Generalmente percorsi brevi come questo, o quello di Budapest al Giro, non mi piacciono molto. Preferisco avere “minutaggi” più lunghi, anche se oggi ci ho messo 18 minuti, quindi direi che va bene».

La squadra lo ha affiancato a Bardet. Al Tour of the Alps, i due si sono aiutati moltissimo. Soprattutto, Thymen aveva aiutato Romain, il vecchio, il capitano. Ricoprire certi ruoli è importante per crescere e formarsi. Questa vicinanza, che si stava ripetendo anche al Giro lo aveva etichettato come il “delfino di Bardet”: sarà ancora così dopo questo Tour de Pologne?

Una lunga giornata per Arensman che viene via da Rusinski solamente al calar del sole
Una lunga giornata per Arensman che viene via da Rusinski solamente al calar del sole

Verso Cracovia

Arensman ha 23 anni e quest’anno ha corso la sua terza grande corsa a tappe: il Giro, supportando, fino a quando è rimasto della partita, Romain Bardet. Il suo debutto lo ha fatto alla Vuelta, nel 2020, quando è stato prelevato dalla Seg Racing Academy (dove ha corso per 6 mesi con Marco Frigo) e “trasportato” alla Sunweb, poi l’anno successivo diventata DSM. 

«Alla Vuelta sono andato bene già dalla prima esperienza – spiega Arensman – ho ottenuto un terzo posto a Sabinanigo ed un sesto a Ourense. Nel 2021 sono tornato alla Vuelta, facendo prima qualche corsa a tappe sempre in Spagna (Volta a Catalunya e Vuelta a Burgos, ndr).

«Le grandi corse a tappe sono tutte difficili e impegnative, ho fatto prima più gare in Spagna per imparare. Ho un buon recupero tra una tappa e l’altra e la resistenza nell’arco delle tre settimane mi soddisfa, vedremo cosa potrò fare, per ora sono contento così».

Thymen si ferma a parlare con altri colleghi della stampa locale, lo ringraziamo e torniamo a scrivere. Oggi ha vinto un altro olandese, mentre Ethan Hayter si prende la maglia di leader. Domani si arriva a Cracovia, e si chiuderà il 79° Tour de Pologne, probabilmente con una volata di gruppo e pochi sconvolgimenti nella classifica generale. Ma mai dire mai nel ciclismo di oggi.

Scope Atmoz, ricordate le ruote DSM che si gonfiavano da sé?

18.07.2022
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Scope Atmoz di Scope Cycling è un sistema che si basa su due piccoli compressori alloggiati sui mozzi delle ruote, anteriore e posteriore. E’ un equipaggiamento che ha fatto parlare molto di sé prima della Parigi-Roubaix e poi di fatto mai utilizzato in gara dal Team DSM.

Atmoz è stato al centro di un’esplosiva operazione di marketing, che ha permesso di far schizzare la notorietà del marchio olandese, comunque sempre in prima fila per lo sviluppo delle tecnologie delle ruote. Lo abbiamo visto e toccato con mano, quindi abbiamo posto alcuni quesiti a Ruud Kooijmans, dello staff di Scope Cycling.

Sviluppato con la collaborazione del Team DSM
Sviluppato con la collaborazione del Team DSM

Atmoz, i componenti

Prima di tutto è fondamentale precisare che il pacchetto è una sorta di regolatore della pressione degli pneumatici, che permette di abbassare e alzare le atmosfere. Il range compreso è tra un minimo di 3, fino ad un massimo di 8 bar. L’Atmoz è stato sviluppato sulla base delle ruote Scope, testato con le ruote Shimano Dura Ace, quelle in dotazione al Team DSM. Il sistema è stato pensato per regolare la pressione delle gomme tubeless, ma funziona con tutte le tipologie di pneumatici.

Ci sono i due collarini sui mozzi che fungono da serbatoi dell’aria. Vengono ricaricati grazie ad una normale pompetta per le gomme e hanno una valvola d’ingresso tipo Presta. Sono collegati alla valvola del cerchio tramite due cannette che scorrono e sono fissate ai raggi.

I due serbatoi comunicano via wireless con una centralina alloggiata sotto lo stem e a sua volta collegata con due comandi (uno per l’avantreno, uno per il retrotreno). Ognuno di questi ha due pulsanti: uno per abbassare la pressione, il secondo per farla aumentare.

Atmoz è interfacciabile con un device, tipo Garmin oppure Wahoo, che rende visibile sul display le bar di esercizio quando il sistema è azionato.

Il valore alla bilancia è intorno ai 350 grammi tutto compreso e ad oggi è disponibile solo per i team pro’.

Nel complesso il sistema è visibile, ma al tempo stesso ben integrato
Nel complesso il sistema è visibile, ma al tempo stesso ben integrato
Perché non è stato utilizzato dal Team DSM in occasione delle gare del pavé?

Principalmente perché abbiamo accumulato dei ritardi dovuti alle diverse certificazioni ed emologazioni, in quanto il sistema tocca diversi componenti. Interessa le ruote, dal mozzo, ai raggi e i cerchi, ma anche gli pneumatici. Alcuni di questi ritardi non ci hanno permesso di fornire il sistema a tutti i corridori ed effettuare le ore di utilizzo necessarie per prendere la giusta confidenza. I test e le certificazioni si devono basare su un range ampio di prodotti, anche se in DSM utilizzano le ruote Shimano e le gomme Vittoria.

I pulsanti al manubrio che azionano Atmoz sulle due ruote
I pulsanti al manubrio che azionano Atmoz sulle due ruote
Quanto tempo vi è servito per sviluppare Atmoz?

E’ complicato dare un numero e quantificare, perché il percorso evolutivo del sistema è stato diviso in vari step. Una cosa voglio sottolineare: per noi, che siamo abituati a fare della ricerca e farla costantemente, non è stato complicato sviluppare un sistema come Atmoz. E’ stato più difficile affrontare la via delle certificazioni, dimostrandone la sicurezza e l’affidabilità.

Ci puoi fare un esempio?

In più di un’occasione ci hanno chiesto se il serbatoio sul mozzo poteva esplodere e se fosse esploso che danni avrebbe potuto arrecare. Nessun serbatoio di Atmoz è mai esploso, neppure durante i primi test.

Il mozzo anteriore con la valvola Presta per il gonfiaggio e quella di sicurezza per il rilascio
Il mozzo anteriore con la valvola Presta per il gonfiaggio e quella di sicurezza per il rilascio
Pensate che un prodotto come Scope Atmoz sia applicabile in futuro nel segmento road?

Difficile a dirsi, anche se funziona molto bene ed è versatile. Ad oggi lo abbiamo reso disponibile solo per i team dei professionisti. E’ da immaginare anche in un contesto gravel e mtb.

Con i serbatoi pieni di aria, quante volte possiamo azionare il sistema?

Difficile da dire, dipende da quanto si sgonfia e a quanto si rigonfia. Potrei dire che è efficace per almeno 10/12 ricariche.

Le due guaine di flusso dell’aria che scorrono verso la valvola
Le due guaine di flusso dell’aria che scorrono verso la valvola
Non c’é il pericolo che gonfi con un impeto eccessivo?

No, perché il flusso di Atmoz può essere tarato con differenti livelli di erogazione. Abbiamo studiato questa soluzione proprio per azzerare il rischio di eventuali problematiche, considerando che gli pneumatici e i cerchi che offre il mercato hanno caratteristiche molto diverse tra loro.

Road, gravel e Mtb, quindi il sistema ha una compatibilità allargata?

Lo Scope Atmoz va bene per tutte le ruote. Il serbatoio si adatta ai mozzi delle ruote e le guaine per l’aria scorrono parallele ai raggi. La centralina è facilmente posizionabile sotto lo stem e i pulsanti sono bloccati con un elastico, adattabili a qualsiasi tipo di manubrio.

La gioia del Giro e il debutto al Tour. La calda estate di Dainese

29.06.2022
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Subito dopo la fine del Giro d’Italia e poco prima di correre quello del Belgio, ad Alberto Dainese hanno detto che avrebbe corso anche il Tour de France. Per il padovano di 24 anni, che l’anno scorso fu fatto debuttare alla Vuelta al secondo anno nella WorldTour, si tratta di una bella accelerazione.

«L’idea era venuta già alla fine del Giro – dice – ma certo è tutto un’incognita. La forma c’è, ma se non ho recuperato bene, il rischio è che dopo una settimana io possa calare. Vedremo, ormai ci siamo…».

Copenhagen ha accolto il Tour con uno sventolio di bandierine gialle e altre dei colori di tutte le maglie. Vedere bici nelle strade non è una notizia, vedere la Grand Depart del Tour de France è un’altra storia per la città che nel 2011 ospitò i mondiali vinti da Cavendish, rimasto a casa. Un velocista in meno con cui fare i conti, si potrebbe pensare parlando con Dainese, anche se il Tour è più grande dei suoi campioni e le difficoltà vengono dal suo ecosistema e non tanto dai pesci che vi nuotano dentro.

Copenhagen si è tinta dei colori del Tour. Stasera presentazione dei team, venerdì la crono e via…
Copenhagen si è tinta dei colori del Tour. Stasera presentazione dei team, venerdì la crono e via…
Come è andato il Giro?

Rispetto alla Vuelta è stato più facile da gestire. Il gruppetto si formava con una logica e non c’era da diventare matti. Poi chiaramente dipende dalla condizione. Se hai gamba e riesci a non staccarti subito nei tapponi, allora gestisci bene. E io non ho mai avuto una vera crisi, per cui sono uscito stanco, ma non a pezzi.

Aver vinto una tappa cambia la consapevolezza?

Più che altro ti fa pensare che se ce l’hai fatta una volta, puoi riprovarci. Sarebbe stato bello anche vincere a Treviso, la tappa di casa, però me ne sono fatto presto una ragione.

La vittoria di Reggio Emilia ha dato a Dainese la percezione di poterlo fare ancora
La vittoria di Reggio Emilia ha dato a Dainese la percezione di poterlo fare ancora
Che cosa hai fatto dopo l’ultima crono?

Cinque giorni senza bici. Poi l’ho ripresa per uscite al massimo di un’ora e mezza. Il ritmo gara l’ho ripreso al Giro del Belgio (15-19 giugno, ndr) perché le ore le avevo dal Giro. In questi casi non devi fare poco, ma neanche troppo poco.

Che vigilia stai vivendo, come al Giro o il Tour ha un altro respiro?

Un po’ di tensione c’è. Per adesso non la sento così tanto, ma immagino che dopo la crono e alla vigilia della prima volata, sarà diverso. La vigilia è quella, senti più pressione, ma l’organizzazione di squadra è la stessa.

Dopo il Giro d’Italia, ecco quello del Belgio, con il 6° posto nella 2ª tappa vinta da Philipsen. Alberto a sinistra
Dopo il Giro d’Italia, ecco quello del Belgio, con il 6° posto nella 2ª tappa vinta da Philipsen
Il Tour è notoriamente il banco di prova dei velocisti più forti.

La pressione viene anche da questo. Le prime tappe saranno super nervose, perché tutti vogliono stare davanti. Il mio obiettivo è sopravvivere alla prima settimana e poi provare a fare qualcosa.

Avrai un treno o un ultimo uomo dedicato?

Dovrebbero esserci Nils Eekhoff e John Degenkolb, sicuramente meglio che al Giro, ma è anche molto più alto il livello del Tour.

Proprio oggi i corridori della DSM hanno avuto in prova la nuova Scott Foil RC (foto Team DSM)
Proprio oggi i corridori della DSM hanno avuto in prova la nuova Scott Foil RC (foto Team DSM)
Hai provato la nuova bici, che abbiamo presentato proprio oggi: che effetto ti ha fatto?

La Scott Foil RC è tanto reattiva, si sente che scorre. Ce l’hanno consegnata da poco, dovrò abituarmi in fretta. Normalmente uso ruote da 50 per tubolari, con cui mi trovo molto bene. Ne avevamo già parlato al Giro. Sarà anche solo un fatto mentale, ma le sento più maneggevoli nei rilanci e scappano meglio dalle curve. Gli esperti dicono che con le 60 andrei meglio e infatti comincerò con quelle. Faremo la prova per le prime tappe, anche perché non dovrebbe esserci troppo vento. E poi semmai proverò a cambiarle di nuovo…

La stessa Addict RC per Dainese e Barale: quali differenze?

01.06.2022
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La stessa bici, la Scott Addict RC, per due corridori che in comune hanno soltanto il colore della maglia. Uno, Alberto Dainese, 24 anni, è un velocista compatto e potente, campione europeo U23 e vincitore della tappa di Reggio Emilia all’ultimo Giro d’Italia. L’altra, Francesca Barale, 18 anni, è appena passata al Team DSM e sta facendo esperienza per capire che atleta possa diventare. Finora è stata campionessa italiana della strada e poi della crono fra le junior.

La Scott Addict RC

La bici, si diceva, è la Scott Addict RC, bici unica, in quanto leggera e aerodinamica. Il primo punto è stato raggiunto grazie alla rivisitazione della stratificazione delle fibre di carbonio ad alto modulo. In questo modo, la rigidità del telaio è aumentata del 14,5 per cento, senza incidere sul peso. Si parla per il futuro del ritorno di un modello aerodinamico come la Foil, ma ad ora si ragiona su una solo opzione.

Grazie al nuovo asse eccentrico per la forcella, la bici ha il passaggio dei cavi totalmente integrato sia per i gruppi meccanici che elettronici. In pratica è stato creato uno spazio fra i cuscinetti dello sterzo, in cui passano cavi e tubi di trasmissione e freni. Il tutto ben si sposa con il manubrio Creston IC, ugualmente integrato.

Per ottenere la migliore aerodinamica è stato brevettato anche un nuovo profilo dei tubi, con l’obiettivo di ridurre la resistenza all’aria. Anche i foderi orizzontali lavorano nella stessa direzione, evitando che l’aria crei resistenze o turbolenze nella zona del carro.

Dainese, Addict RC taglia S

La bici di Dainese, dice Martijn Don, è una taglia S. Con il suo 1,76 di statura, Alberto potrebbe anche orientarsi su una M, ma ha concordato con il team di andare sul telaio più piccolo.

«Come tutti gli altri ragazzi del team – prosegue il meccanico olandese – Alberto ha una Addict RC con lo Shimano Dura Ace 12V. Stando così le cose, lo standard è la guarnitura 40-54, ma in qualche tappa usiamo il 56, dipende dal vento e dal percorso. Quando ha vinto a Reggio Emilia, aveva il 54 e ruote da 50. Essendo piccolo c’era molto vento e a lui non piacciono le ruote troppo alte».

La scelta al corridore

La scelta delle ruote e di altri componenti avviene dopo la valutazione da parte dei vari esperti che lavorano nel team.

«Loro guardano il percorso – spiega ancora Martijn Don – salite, discese e pianure e danno l’input per cosa è meglio a livello di ruote, poi i corridori scelgono cosa preferiscono. Nel giorno in cui Alberto ha vinto aveva appunto ruote da 50 e tubolari Vittoria da 26. La pressione dipende dal peso del corridore, Alberto pesa sui 70 chili e gonfia a 6,3. Abbiamo anche i tubeless, ma ancora prevalgono i tubolari. Stesso sistema per il manubrio.

«Quando vengono nel team, sia uomini sia donne, fanno un bike fit. Gli esperti vedono e decidono il miglior tipo e misura di manubrio. Poi difficilmente lo cambiano, una volta che hanno una buona posizione. E sempre restando sul manubrio, Alberto ha il freno dietro a destra, come tutti gli europei. Solo Hamilton, che è australiano, li ha invertiti».

Bici rigida e reattiva

Dainese conferma tutto e si mangia le mani per la fuga sfuggita al controllo nella tappa di Treviso, dove ha vinto la volata del gruppo alle spalle di De Bondt e Affini.

«La mia bici ideale – dice – deve essere reattiva. Per questo uso le ruote intermedie, sono più scattanti. Meglio le 50 delle più alte, che uso solo se la corsa è piatta e c’è vento a favore. Stesso discorso con i rapporti. Uso di base il 54, ma capita anche di mettere il 56. Deve essere però proprio una corsa veloce. E il manubrio è sempre integrato. Abbiamo una sola bici montata al top, mi sta più che bene».

Barale, rapporti più agili

Sulla sua Addict RC, Francesca Barale ha sempre la guarnitura 36-52 e la cassetta 11-30 al posteriore. Scelta simile a Dainese sul fronte delle ruote, anche se le 50 mm che per Alberto sono intermedie, per lei sono alte.

«Sulla bici da allenamento – dice la piemontese – utilizzo quelle con il profilo medio, con i copertoncini. Invece in gara monto le ruote alte, da 50 millimetri con i tubolari».

Posizione a cuneo

Interessante osservare la sua posizione in sella, molto bassa sull’anteriore. Grazie anche all’assenza di spessori fra manubrio e telaio.

«Confermo che non uso spessori – dice – tra l’attacco manubrio e lo sterzo. Credo che anche l’utilizzo sistematico della bici da crono, a casa per fare i miei allenamenti, mi sia di aiuto ad abbassare la schiena ed essere aerodinamica. Quando non sono allenamenti specifici, la uso nelle uscite di scarico, per non perdere confidenza».

Amadori lo aspettava: «Dainese vale più di così»

19.05.2022
6 min
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Amadori era in finestra che l’aspettava. E mentre guardava lo scorrere del tempo e delle corse, si chiedeva come mai impiegasse tanto. Così quando ieri Dainese ha vinto la tappa di Reggio Emilia, il tecnico romagnolo ha fatto un sorriso e s’è messo ad aspettarne altri. I suoi ragazzi.

«C’è una lunga lista che ancora non ha mantenuto il buono fatto vedere – riflette – ma per alcuni si tratta solo di aspettare. Dainese con me ha fatto il Tour de l’Avenir a vent’anni, poi il mondiale e l’europeo che ha vinto nel 2019. Ha sempre avuto caratteristiche particolari, nel senso che non va piano neanche su certe salite. Sembra disegnato su misura per le classiche, per me vale anche più di così…».

Grande recupero

Il cittì azzurro degli under 23 è alle prese con i preparativi della Corsa della Pace che si correrà in Repubblica Ceca dal 2 al 5 giugno. Perciò ieri è andato appena sulla strada per veder passare il Giro d’Italia, ma continuerà a lavorare ai suoi obiettivi. Per Dainese (che in apertura è con Omar Bertolone dopo aver vinto gli europei del 2019) fa volentieri una sosta.

«Non mi sorprende che abbia vinto ieri – dice – anche se la tappa era tutta piatta. Era comunque l’undicesimo giorno di corsa e certi velocisti cominciano a essere stanchi. Lui è giovane, recupera già bene di suo e può fare ancora belle cose. Nel senso che è resistente. Se ieri fosse stata una classica piatta, forse avrebbe trovato qualcuno più forte. Ma dopo undici tappe, il più forte è stato lui».

Ieri a Reggio Emilia, 11ª tappa del Giro, la vittoria di Dainese su Gaviria e Consonni
Ieri a Reggio Emilia, 11ª tappa del Giro, la vittoria di Dainese su Gaviria e Consonni

Crescita intelligente

Sorprende che si usino già simili argomenti per un ragazzo di 24 anni, ma evidentemente il cammino di crescita scelto dal padovano sta iniziando a dare i suoi frutti e ci riallaccia alla gradualità di cui parlava stamattina Fabrizio Tacchino a proposito di Tiberi.

«Non voglio mettere la croce addosso al nostro ciclismo – dice Amadori – anche qui si fanno le cose per bene. Però le scelte di Dainese sono state chiare. Ha iniziato a correre tardi, perché prima faceva altro, e ha seguito una crescita graduale. A un certo punto ha preso la sua borsina ed è andato per due anni all’estero, in Olanda, alla Seg Racing Academy (la continental fondata da un pool di procuratori, che ha cessato l’attività nel 2021. Oltre a Dainese, vi hanno militato Affini e Frigo, ndr). E loro lì hanno impostato le sue stagioni scegliendo percorsi adattissimi alla sua crescita».

Un’idea per Bennati

Il percorso è proseguito al Team Dsm (prima Sunweb), dove Dainese è approdato nel 2020. Primo anno di corse WorldTour, fra cui la Tirreno-Adriatico, ma senza grandi Giri. Nella scorsa stagione il debutto alla Vuelta, con cinque piazzamenti fra i primi cinque. Quest’anno, il debutto al Giro, nel 2022 che vede il percorso degli europei velocissimo e quello dei mondiali leggermente più impegnativo. Amadori sta al suo posto, sa che adesso Dainese è affare di Bennati.

«Bisognerebbe chiedere a chi di dovere – sorride – confermo che l’europeo è molto semplice e credo che presto Bennati andrà a vedere il percorso di Wollongong. Parrebbe un mondiale per gente veloce dotata di resistenza, secondo me Dainese ha 24 anni e bisogna dargli fiducia. Bisogna che crescano. Una cosa che non vedo accadere in certe squadre».

E con l’ultima battuta sibillina alla sua maniera, Amadori si rimette in cammino. Il Giro nel frattempo ha salutato Caleb Ewan. E se oggi l’arrivo di Genova ha visto l’arrivo della fuga, quello di domani a Cuneo potrebbe offrire un’altra occasione ai velocisti capaci di resistere al Colle di Nava.

Dainese rimonta a più di 75 all’ora. Reggio Emilia è sua

18.05.2022
6 min
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Un metro dopo l’altro. Lentamente. Inesorabilmente. A Reggio Emilia Alberto Dainese è protagonista di uno sprint che non si aspettava neanche lui.

Romain Bardet sfila dietro l’arrivo con un sorriso enorme. Sbatte i pugni sul manubrio dalla gioia per il suo compagno. Il francese la volata non l’ha vista, ma ha sentito gli urli dall’ormai immancabile radio. E ha capito. Ha capito che Alberto ce l’aveva fatta. Una sorpresa.

Incognita vento

L’undicesima frazione della corsa rosa, la seconda più lunga del Giro d’Italia (203 chilometri), si temeva potesse essere noiosa. Si sapeva che si sarebbe arrivati allo sprint e magari gli attacchi potevano essere scoraggiati.

Le antenne erano dritte per tutti quanti però, perché c’era vento. Jumbo Visma, Quick Step – Alpha Vinyl ed Ineos Grenadiers. Dopo Bologna, per una trentina di chilometri, è stata battaglia serrata: obiettivo stare davanti, non prendere buchi per i possibili ventagli.

Il percorso però cambia di nuovo direzione e il vento torna a favore. Niente da fare. E’ sprint compatto. Se il bravissimo belga della Alpecin Fenix, Dries De Bondt, sfiora il colpaccio, dietro le cose passano con una calma apparente.

Tutti aspettano che Cavendish e Demare prendano l’iniziativa. Guarnieri, compagno del francese, conosce bene queste strade visto che è quasi di casa.

Anche Dainese e la Dsm restano fedeli al dogma di stare davanti. Un po’ per proteggere Bardet e un po’ perché i suoi compagni lo hanno ben scortato. Anzi era lui che doveva scortare…

«Non dovevo fare io la volata – racconta Dainese – doveva farla Bol. Ma poi ci siamo parlati. Mi ha detto che non stava bene e così ho provato io. E anche io non ero convintissimo, non mi sentivo super, visto che la scorsa notte non avevo dormito bene».

Dal basket alla bici

Già, ma ce l’ha fatta. E allora chi è Alberto Dainese? Chi è questo ragazzo che porta l’Italia a prendersi una tappa dopo oltre metà Giro?

E’ un ragazzo di Padova, Abano Terme per la precisione. Classe 1998, è al terzo anno da professionista. Giocava a basket, ma non essendo troppo alto è passato alla bici.

«La bici – racconta Alberto – l’ho conosciuta da bambino perché passavo i pomeriggi dai nonni, mentre mamma e papà lavoravano. I miei nonni seguivano il ciclismo in tv e mi sono appassionato. Da allievo ho fatto anche un bel po’ di pista, perché non ero scaltro in gruppo. Ma questo, credo, mi ha dato un buon colpo di pedale, così come che i tanti balzi fatti nel basket mi hanno dato un po’ di esplosività».

Guardate Dainese (maglia nera) dov’era a meno di 100 metri dal traguardo. Da notare anche la posizione raccolta alla Cav
Guardate Dainese (maglia nera) dov’era a meno di 100 metri dal traguardo. Da notare anche la posizione raccolta alla Cav

Olanda e Italia

Alberto Dainese prima di passare alla Dsm ha militato anche alla Seg Racing Academy, una continental olandese. Una squadra che fa molta attività internazionale e che funziona bene a quanto pare, visto che quando Marco Frigo, altro gioiello italiano, gli aveva chiesto consiglio se andarci o no, Alberto stesso gli aveva dato il via libera.

«Vero – riprende Dainese – ho fatto due anni in Olanda e mi è servito. Ma prima ne avevo fatti due alla Zalf e anche quelle sono state stagioni preziose. Alla Seg ho fatto molta esperienza, ma anche con Marino Amadori in nazionale ho corso parecchio. Pertanto non mi sento di dire che sono uscito solo da una squadra olandese, la scuola italiana c’è e conta. E visto quel che abbiamo vinto negli ultimi anni non mi sembra in crisi».

L’esplosione di gioia. Il veneto conquista la sua prima vittoria al Giro
L’esplosione di gioia. Il veneto conquista la sua prima vittoria al Giro

Velocità e non watt

Reggio Emilia intanto cerca di tornare alla sua tranquillità. Questa città della Bassa oggi era strapiena. Ancora una volta il Giro ha spopolato. Mentre attraversiamo il rettilineo per tornare in sala stampa, ci “rivediamo” la volata.

Dainese ha fatto davvero una rimonta super.

«E’ stata una volata lunga – dice Dainese – In effetti sono partito da dietro e non so se il vento fosse contrario o a favore, non l’ho capito bene! Quando è partito lo sprint non ho accelerato subito, ma quando sono uscito ho visto che avevo un buono slancio e ho spinto fino alla fine. Ci ho creduto.

«Demare aveva la posizione migliore, ma tante volte conta “l’elastico”, cioè come arrivi sulla linea, come esci».

«Ho fatto lo sprint con il 54×11 e girava agile. E’ stata una volata molto veloce. Se mi dite che Gaviria (secondo, ndr) ha toccato i 75, io avrò fatto qualcosina in più. Non conosco ancora i watt, ma alla fine contano relativamente, quel che conta è la velocità.

«Anche io ogni tanto guardo i dati e mi dico: ah okay, si possono fare. Ma poi certi picchi li devi toccare a fine tappa, dopo 200 chilometri. Guardate Cav che vince con watt relativamente bassi».

Bardet si è complimentato con Alberto. In squadra il francese è un riferimento per tutti
Bardet si è complimentato con Alberto. In squadra il francese è un riferimento per tutti

Bardet leader

Sul podio, dopo la beffa di Girmay di ieri che lo ha costretto al ritiro, Dainese è stato ben attento al tappo dello spumante. Gli schizzi sono finiti sulla folla e simbolicamente sui suoi compagni.

Ancora una volta il ciclismo si è mostrato sport di squadra. Dopo la linea d’arrivo, i Dsm si sono ritrovati tutti assieme. Capitan Bardet era il più felice, quasi più di Alberto.

«In squadra c’è un bel clima – conclude Dainese – quando si soffre e si fatica tutti insieme e uno di noi vince, la felicità è per tutti. Bardet poi ha sempre creduto in me, anche quando non ci credevo io. E vedere un ragazzo che è terzo in classifica e vuol vincere il Giro così contento per te è bellissimo».

Arensman, l’angelo di Bardet, ha il futuro già scritto nei Giri

17.05.2022
4 min
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Thymen Arensman è olandese, ha 22 anni ed è alto 1,92, che a parlarci dopo un po’ ti viene il torcicollo. Ha gli occhi furbetti leggermente a mandorla, che poi (data la mascherina) è tutto quel che si vede fuori corsa al Giro d’Italia: unico evento all’aperto ad aver mantenuto i protocolli Covid nel mondo del ciclismo. Inno alla prudenza e monumento alla difficoltà di lavoro per chi deve raccontare e viene tenuto oltre la transenna.

Nel 2022 il ragazzone del Team Dsm, il cui peso forma è di 68 chili, ha incrociato quasi esclusivamente su strade italiane. Fatto salvo il UAE Tour di febbraio, infatti, il suo calendario fin qui lo ha visto alla Tirreno-Adriatico (sesto finale), alla Milano-Torino e al Tour of the Alps (terzo finale e miglior giovane).

«Non avevo mai corso tanto in Italia – dice sorridendo, così almeno possiamo immaginare – ma quest’anno mi sono rifatto. Le strade mi si addicono, in più da ex studente di storia all’Università, riuscire a vedere tanti palazzi è un piacere. Al netto della fatica della corsa, mi sto proprio divertendo».

Decimo nella crono di Budapest, Arensman va molto bene contro il tempo
Al Giro, Arensman è venuto per aiutare Bardet e finora ha fatto un gran lavoro

Promesso alla Ineos?

Le voci di mercato lo vorrebbero già promesso al Team Ineos Grenadiers, che si sta rifondando sui giovani e di qui a 3-4 anni sarà nuovamente formidabile. Thymen ovviamente svia e ancora una volta dà la sensazione di sorridere.

Diventato pro’ dopo due anni e mezzo alla SEG Racing Academy, era già entrato nel radar degli appassionati di ciclismo olandesi nel 2018, con il terzo posto alla Roubaix U23 e il secondo al Tour de l’Avenir. Un minuto e mezzo alle spalle di Pogacar, ma davanti a Vlasov, Sosa e Almeida.

«Non sono sorpreso che Pogacar abbia vinto il Tour – dice – già nel 2018 si vedeva dai valori che facevo per seguirlo che in salita fosse fortissimo. Spero di arrivare al suo livello un giorno, ma sto seguendo un percorso diverso. Il fatto è che non ero molto inferiore a lui, ma andare in bicicletta è più che pedalare duramente. Ad esempio non mi è mai piaciuta la sovraesposizione e per questo ho preferito rimanere nell’ombra».

Sulle strade del Giro, in fondo, per Bardet e Arensman lo stesso copione del Tour of the Alps, chiuso in 1ª e 3ª posizione
Sulle strade del Giro, per Bardet e Arensman lo stesso copione del Tour of the Alps

Un giovane Dumoulin

Arensman è passato professionista nel 2020 al Team Sunweb, poi diventato Team DSM, e non ha fatto in tempo a incontrare Tom Dumoulin, che proprio quell’anno passò alla Jumbo Visma.

«Mi piace qui – dice – voglio avere tutto chiaro e sapere per quale scopo lavoro durante l’allenamento. Per me è stata una scelta facile andare al momento di passare. Ho intrapreso sin da subito una traiettoria a lungo termine. Ad esempio, sin dall’inizio ho potuto decidere da solo come fare con l’alimentazione, pur rimanendo entro le linee guida. Gradualmente i miei allenamenti sono cresciuti, ma non credo di essere ancora al massimo. Quando sarò più grande voglio avere delle percentuali di miglioramento.

«Se guardo alle mie capacità fisiche – prosegue – il futuro è nei Giri. Non sono molto esplosivo, ma ho una soglia anaerobica alta e vado forte in salita. Inoltre, ho fatto grossi progressi a cronometro. Potrei somigliare a Dumoulin, uno scalatore relativamente pesante con molta potenza. Non sembro un colombiano e nemmeno uno spagnolo. Però devo acquisire l’esperienza mentale per vedere se è davvero quello che voglio e posso fare».

Terzo al Tour of the Alps e miglior giovane. La sua Scott ha standard di rigidità notevoli, malgrado la sua altezza
Terzo al Tour of the Alps e miglior giovane. La sua Scott ha standard di rigidità notevoli, malgrado la sua altezza

Tributo alla Scott

Al Giro l’obiettivo è dichiarato e neanche tanto misterioso: aiutare Bardet nel suo piano di classifica. I due hanno già diviso il podio al Tour of the Alps, vinto dal francese.

«Il quinto posto alla Tirreno e il podio in Trentino – dice – fanno capire che ho salito un bel gradino, ma non sono ancora al mio meglio. Cercherò di crescere ancora. L’obiettivo è aiutare Romain, disinteressandomi di ogni altra cosa, compresa la maglia bianca. Se lavori, ci sta che poi perdi terreno. Abbiamo studiato il Giro nei dettagli e ci siamo preparati in base a quello che abbiamo visto. E’ stato studiato tutto in modo preciso, dall’alimentazione alle biciclette. Nonostante io sia molto alto e in squadra ci siano altri come me, le nostre Scott Addict RC sono leggere e rigide, anche in discesa. Su percorsi come quelli che ci aspettano, con certe discese, la bici sarà uno snodo cruciale».

Stavolta Thibaut non stecca. E con lui fa festa anche Bardet

22.04.2022
6 min
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Incredibile. Neanche il tempo di mettere l’articolo online che Thibaut Pinot era già fuga. E finalmente stavolta ce l’ha fatta. Stavolta ha voltato pagina. Stavolta sull’arrivo ci è un arrivato con la testa alta. E il sorriso. Basta confrontare le due foto di apertura dei due articoli.

Ma anche stavolta ad un certo punto i nuvoloni si sono fatti scuri per Thibaut. Il cielo si è fatto buio in discesa. Due volte. Nella prima, David De La Cruz lo ha staccato, nella seconda lo ha riacciuffato.

Ma quando uno scalatore stacca tutti in salita le sue energie si moltiplicano. Il suo scopo lo ha raggiunto e di colpo i dubbi diventano certezze. Il finale, che sulla carta, era più adatto al corridore spagnolo, Thibaut se lo è mangiato. Ha vinto “per distacco”.

«La seconda piazza di ieri – ha detto Pinot – mi ha dato fiducia».

Super Thibaut e Groupama-Fdj

Gioia dunque in casa Groupama-Fdj. Non solo per Thibaut. Una gioia nata dalle lacrime di ieri e da tanti piazzamenti colti in stagione. Però le cose stanno girando all’interno del gruppo di Marc Madiot. Guardiamo anche come vanno i suoi ragazzi della continental.

«In squadra – racconta Matteo Badilatti gregario doc della Groupama-Fdj – c’è un bel clima. Questa vittoria non è nata ieri sera a tavola dopo la sconfitta di Pinot, ma è frutto della buona atmosfera che si respira in squadra.

«Siamo uniti, lavoriamo sodo e prima o poi le cose vanno nella maniera giusta. Anche ieri sera Thibaut è stato positivo. Lui è un grande campione, una persona incredibile e sa fare bene in ogni occasione. Lui dà il massimo sempre, ci sprona ed è motivo di orgoglio anche per noi.

«Se sapevamo che Thibaut sarebbe andato subito in fuga? Beh – sorride Badilatti – la tappa oggi era difficile e quindi meglio stare davanti no? E poi con il gruppo che ha lasciato fare era perfetto per noi».

Intanto il diesse Thierry Bricaud si complimenta con Badilatti, arrivato quando Michael Storer è giusto sul podio. Gli dice come è andata. E aggiunge: «Non male, no!». Poi lo abbraccia.

Eh sì, perché la Groupama-Fdj è salita sul gradino più alto del podio anche come team.

«Oggi abbiamo ottenuto una bella prestazione di squadra – conclude Badilatti – e c’è soddisfazione. E’ stata una giornata positiva. Finalmente le cose iniziano ad andare bene. C’è motivazione. Adesso possiamo guardare in modo positivo alle prossime gare. Il segreto di questa Groupama? Lavorare!».

Bardet, re del Tour of the Alps

Da un clima di gioia all’altro. La Francia oggi fa festa. Tra i giornalisti dietro l’arrivo c’è chi azzarda una battuta: «Bardet brinda col Pinot!». Ci sta…

Romain, e ve lo avevamo raccontato giusto un paio di giorni fa, stava bene. Quello sguardo da furbetto ce lo aveva anche oggi. Ancora dopo il traguardo. Ha una grinta pazzesca. Una grinta che non gli si vedeva da tempo.

Anche per lui vale il discorso fatto con Pinot: quando lo scalatore sente le sensazioni positive in salita diventa una “macchina da guerra”.

Sullo Stronach, 3,1 chilometri durissimi, ha demolito anche psicologicamente Pello Bilbao. Ha fatto il forcing per tutta la salita. Prima con l’aiuto di Thymen Arensman e poi da solo. A mano a mano tutti si sono staccati. Tutti tranne appunto Storer e il suo giovane compagno.

Alla fine se questa è la squadra che davvero vedremo al Giro, ci sarà da stare attenti anche a loro. Arensman una volta in pianura ha fatto un lavoro eccezionale. E già prima dell’arrivo festeggiava con le braccia al cielo, forte del conoscere i distacchi per radio.

«Pensavo solo alla classifica finale – ha detto Bardet – anche perché Pello ha forato tre volte e tre volte ci siamo fermati ad attenderlo. Per questo la fuga, con Thibaut e David, ha preso così tanto margine. 

«Adesso pensiamo al Giro, ma senza pressione. Anche qui abbiamo ragionato giorno per giorno. E poi man mano è aumentata la sicurezza e stamattina abbiamo detto semplicemente: proviamoci».

Un Bardet così non si vedeva da un po’

«Nessun segreto. Lavoro diversamente: più corse, meno pressioni da parte della squadra, c’è un bell’ambiente e riesco ad esprimermi come voglio».

Anche nel Team Dsm c’è gioia. E’ incredibile vedere come i ragazzi si abbraccino e si cerchino dopo l’arrivo. E con loro i massaggiatori, i diesse. Davvero: il ciclismo è uno sport di squadra.

Bilbao, pressione o lividi?

E si abbracciano anche in casa Bahrain Victorious. Franco Pellizotti si congratula con tutti i suoi ragazzi che tornano al bus alla spicciolata. Loro non gioiscono però. Hanno perso un Tour of the Alps dominato dalla prima alla penultima salita. 

«Sapevamo – spiega Pellizotti – che ci saremmo giocati tutto sull’ultima salita che era davvero dura. Bilbao non lo ha battuto un corridore qualunque. Tra l’altro un corridore che si sta ritrovando e mi sembra anche bene. Ho anche corso con lui, me lo ricordo da giovane ed era un bravo ragazzo in gruppo. Sono contento per lui».

«Cosa ci è mancato? Nulla, come detto c’è chi è andato più forte di noi. Sì, ieri sera Pello lamentava qualche dolore per la caduta. Mi ha detto che oggi aveva tanto freddo, tanto è vero che non si è mai tolto la mantellina. Ma non regge. E non regge neanche il discorso del rischiare il giusto (pensando al Giro, ndr). C’è chi è andato più forte. Punto».

A nostro avviso, il basco ha pagato molto la pressione. E’ vero che non si può giudicare dalle immagini in tv, però prima della salita finale sembrava molto teso. E anche stamattina, prima del via, era un po’ sulle sue. 

«Mah, pressione – conclude Pellizotti – sapete alla fine è la prima volta credo che si giocava una corsa a tappe. E credo che sia una step importante per la sua crescita e per il resto della sua carriera».