Il Tour, l’Italia e la sicurezza: parla Prudhomme

25.12.2022
6 min
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L’Italia si tinge di giallo. Toscana, Emilia Romagna e Piemonte si sono unite come i moschettieri per infilzare l’obiettivo che tutto lo Stivale inseguiva da sempre: la Grand Départ del Tour de France. L’ultima tappa delle presentazioni sul nostro territorio è stata quella a Palazzo Madama di Torino. Prima della conferenza organizzata dalla Regione Piemonte per illustrare la terza frazione del 1° luglio 2024, abbiamo incontrato il direttore generale della Grande Boucle, Christian Prudhomme per una chiacchierata a tutto tondo sul mondo delle due ruote.

L’intervista con Prudhomme si è svolta alla vigila della presentazione torinese del Tour 2024 (foto Umberto Zollo)
L’intervista con Prudhomme si è svolta alla vigila della presentazione torinese del Tour 2024 (foto Umberto Zollo)
Come nasce quest’omaggio storico per l’Italia e per tutto il suo ciclismo?

Era da tantissimo tempo che volevamo fare la Grand Départ dall’Italia. Mi sembra davvero pazzesco che non sia accaduto prima, ma le tessere del puzzle non si erano mai incastrate.

Quanto è stata importante la spinta delle regioni per raggiungere questo traguardo?

Toscana, Emilia Romagna e Piemonte sono state brave a fare squadra, così come le città, a cominciare da Firenze, da cui scatterà la prima tappa. Hanno fatto un po’ come i moschettieri: uno per tutti, tutti per uno, ed è stata la ricetta vincente perché il Tour partisse dall’Italia. Volevamo omaggiare i campioni che hanno scritto pagine indelebili del ciclismo mondiale come Bartali, Coppi, Pantani, a 100 anni dalla prima vittoria italiana (Bottecchia nel 1924, ndr). Siamo contentissimi di questa opportunità, non vediamo l’ora di valorizzare il magnifico paesaggio del vostro Paese. Da luoghi che sono patrimonio dell’Unesco come il centro storico di Firenze, le arcate di Bologne, i paesaggi vinicoli del Piemonte con vini di grandissima qualità. Non vedo l’ora di scoprire questi posti splendidi.  

Nel 2023 la Spagna, nel 2024 l’Italia: il Tour abbraccia gli altri due Paesi dei grandi giri in un momento in cui il mondo è diviso dalle guerre. 

Lo sport permette di avvicinarsi alla gente. Il ciclismo più di tutti gli altri perché attraversa le città e i paesini che si trovano sul percorso delle sue competizioni.

Dopo le presentazioni di Firenze e Bologna, in platea anche Davide Cassani (foto Umberto Zollo)
Dopo le presentazioni di Firenze e Bologna, in platea anche Davide Cassani (foto Umberto Zollo)
L’anno prossimo, il tracciato strizza l’occhio agli scalatori: corretto?

Il Tour è sempre per scalatori, poi magari l’anno prossimo ci sarà la sfida tra un grimpeur puro e un passista, come accadde in passato con il duello tra Bahamontes e Anquetil. Al giorno d’oggi però non ci sono differenze così marcate tra scalatori e passisti, ma ci siamo ritrovati una generazione di fenomeni straordinari, che attaccano da lontano, che animano la corsa e la rendono entusiasmante per tutti.

Che ciclismo ci aspetta dopo i ritiri di due monumenti come Nibali e Valverde?

Il Tour dello scorso anno è stato magnifico. Pogacar era il super favorito e non ha vinto, ma è stato grandioso nella sua sconfitta. Non ha mai mollato, attaccando persino sui Campi Elisi. Vingegaard è stato straordinario. Ha ottenuto una splendida vittoria sul Granon, grazie all’aiuto della sua squadra, la Jumbo Visma. Sono stati capaci di accerchiare Pogacar e di regalarci quella che, a mio parere, è stata la tappa più bella degli ultimi trent’anni. Sono sicuro che ci aspettano altre annate splendide, sia nel 2023 sia nel 2024 quando si partirà dall’Italia. 

Il percorso della corsa su strada dell’Olimpiade di Parigi 2024 sarà nelle vostre mani?

Noi presteremo soltanto i nostri servizi e faremo il lavoro che ci chiederanno di fare, ma non siamo noi a scegliere il percorso. Offriremo soltanto la nostra esperienza sotto l’aspetto tecnico, anche perché non capita tutti i giorni di avere i Giochi in casa a Parigi.

Il Tour de France del 2022 è stato magnifico, per la resa di Pogacar sul Granon e i suoi successivi tentativi di recuperare
Il Tour de France del 2022 è stato magnifico, per la resa di Pogacar sul Granon e i suoi tentativi di recuperare
Negli stessi giorni si sono celebrati anche i funerali di Davide Rebellin, omaggiato dalla platea di Palazzo Madama con un minuto di silenzio. Che segno ha lasciato quest’ennesima tragedia?

E’ stato drammatico e l’Italia continua a pagare un dazio enorme. Il pensiero vola sempre anche a Michele Scarponi, che ci ha lasciato qualche anno fa. Non soltanto in Italia, ma in tutti gli altri Paesi del mondo devono fare attenzione a chi va in bicicletta. Chi va in bici, uomo o donna, non ha nessuna protezione. Mi sembra pazzesco pensare che il lunedì sera ho stretto la mano a Davide Rebellin a Monaco e tre giorni dopo lui non c’era più. Il Tour de France continuerà a lavorare affinché non si ripetano queste tragedie, per noi che porteremo sempre nel cuore il ricordo di Fabio Casartelli. C’è un messaggio che deve passare e ne abbiamo parlato di recente a Monaco con Matteo Trentin, perché bisogna far qualcosa per la sicurezza stradale. Al Tour lavoriamo molto su questo tema, mentre ai villaggi di partenza cerchiamo di lanciare un messaggio per la sicurezza quotidiana: la strada si condivide

Il giorno prima di Torino, presentazione a Bologna. Qui Bonaccini, Prudhomme e Nardella, sindaco di Firenze
Il giorno prima di Torino, presentazione a Bologna. Qui Bonaccini, Prudhomme e Nardella, sindaco di Firenze
Tour de Femmes avec Zwift: soddisfatto dei riscontri ottenuti?

E’ stato davvero magnifico avere mezzo mondo a bordo strada, l’interesse delle televisioni, la direzione formidabile di corsa da parte di Marion Rousse. Poi, una corsa spettacolare con le olandesi Annemiek Van Vleuten e Marianne Vos sugli scudi. Non è stato un rilancio soltanto per catturare audience televisiva, ma per riportare pubblico a vedere le corse dal vivo. E’ stato bellissimo vedere tante piccole bambine che si immedesimavano nelle campionesse odierne pensando: “Domani potrei esserci io al suo posto”. Proprio come è accaduto per tanti anni in Italia tutte le volte che si vedeva passare un fuoriclasse come Nibali. Chissà che ora non capiti lo stesso con Marta Cavalli come modello per le più piccine. E’ un cambiamento epocale.

Il ciclismo è in continua evoluzione. Si è parlato moltissimo dei ciclisti esplosi con Zwift come Jay Vine, due tappe vinte alla Vuelta 2022: pensieri?

Ci sono tantissimi giovani che sgomitano. Non tutti sono Coppi o Gimondi, esplosi prestissimo e capaci di vincere il Tour in giovanissima età. Ora il movimento è su scala globale e propone atleti che arrivano al top utilizzando anche metodologie differenti da quelle canoniche, come il caso di Zwift. Corridori magari nati sui rulli, ma poi dimostratisi fortissimi anche su strada: dunque, le carte si sono mescolate. Ciò è un bene e rende ancora più interessante il nostro sport.

Prudhomme ha portato in omaggio anche una maglia gialla (foto Umberto Zollo)
Prudhomme ha portato in omaggio anche una maglia gialla (foto Umberto Zollo)
Qualche suggestione per il futuro del Tour?

La corsa la fanno i corridori, per cui non è vero che dipende tutto dal percorso. Questa generazione di fenomeni, ad esempio, utilizza il percorso in maniera migliore rispetto alla precedente e questo diverte i più giovani. Tra gli utenti che hanno seguito il Tour, la seconda fascia più numerosa comprendeva i telespettatori di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Avere nuovo pubblico che segue il Tour de France per noi è una notizia splendida, grazie anche all’imprevedibilità di corridori alla Van Aert o Van der Poel. 

Come procede la lotta al doping?

La battaglia contro chi bara non riguarda soltanto il mondo dello sport. Abbiamo lavorato tantissimo con l’Uci e con le squadre, soprattutto durante la pandemia ed è stato fondamentale questo lavoro corale, perché se non l’avessimo fatto, ci sarebbero stati dei passi indietro fatali. Con il Covid ci siamo ritrovati tutti sulla stessa barca e abbiamo capito l’importanza di muoverci insieme per il bene del ciclismo.

Garmin Edge 1040 Solar e Varia RCT, l’apice dell’ecosistema

16.07.2022
8 min
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Il nuovo Garmin Edge 1040 Solar si dimostra un device completo e funzionale, non un semplice giocattolo, ma uno strumento di lavoro con un’autonomia “perpetua”. L’ultima versione del Varia invece integra una videocamera ed è un utile supporto nell’ambito della sicurezza stradale.

Insieme fanno parte dell’ecosistema Garmin, sempre più completo, facile da sfruttare e che si aggiorna in maniera costante.

Il binomio Garmin non conosce ostacoli

Il device è una sorta di icona del ciclismo moderno, al pari del power meter. “Il Garmin”, non è solo il nome del dispositivo, ma identifica una categoria di prodotti che diventano dei compagni di viaggio. Con il bike computer oggi si fa tutto: si controlla l’attività in bici, si utilizzano le funzioni mappali e ci si connette con il telefonino. Si creano dei gruppi di uscita dove nessuno (a meno che non lo voglia) è lasciato per strada (il riferimento è diretto alla funzione Group Track). Il device diventa di fatto anche uno strumento social. Il cumputerino può essere una distrazione, oppure uno strumento di prevenzione, tenendo ben presente che dipende sempre da come viene utilizzato.

La luce posteriore invece non è ancora entrata in modo ufficiale nella testa del ciclista, anche se i numeri ci dicono di un buon incremento di utilizzo. Non è considerata fondamentale soprattutto nei paesi latini, mentre nelle nazioni del centro e nord Europa è uno strumento utilizzato al pari del casco. La luce posteriore non è solo utile per essere visti, ma cattura l’attenzione dell’automobilista (o chi per esso) anche a centinaia di metri di distanza.

I due accessori messi insieme offrono dei vantaggi notevoli, soprattutto per quanto concerne la sicurezza, la prevenzione e diventano un potente deterrente.

Edge 1040 Solar, non finisce mai

Potremmo star qui delle ore a descrivere ed argomentare le decine di funzioni, che diventano centinaia se calcoliamo anche le tante possibilità di incrociare i dati forniti. Molte di queste sono mutuate dalle versioni precedenti, altre sono state migliorate ed aggiornate, alcune sono nuove. E poi c’è anche una app rinnovata e più ricca. Con quest’ultima e tramite il telefonino, ora è possibile modificare direttamente le schermate e di conseguenza i campi dati; quindi anche quando siamo in movimento e abbiamo necessità di customizzare uno o più dati.

Il gancio ora è in alluminio. E’ più robusto, se messo a confronto con il passato e offre la stessa interfaccia di alimentazione, ad esempio con una luce frontale montata sotto il supporto.

La funzione Solar, un valore aggiunto non da poco e per nulla banale, che si apprezza quando si sfrutta il Garmin al pieno delle sue potenzialità (infinite). Alcuni dati rendono l’idea del prodotto: con cinque sensori abbinati e accesi (power meter, sensore velocità e fascia cardio, Varia RCT e telefonino), in una giornata limpida e con un buon soleggiamento, dopo oltre 2 ore di attività l’Edge Solar ha consumato il 6% di batteria. Tradotto: abbiamo risparmiato più del 30% di autonomia standard ogni ora. Inoltre, se il dispositivo è spento e viene lasciato al sole, accumula energia utile ad aumentare l’autonomia.

I vantaggi

La funzione Solar limita il collegamento della batteria alla rete domestica. L’Edge 1040 Solar è un gran strumento in ottica endurance, bikepacking e viaggi in bici. Ha uno schermo grande e non è un peso piuma, ma quando c’è da guardare la mappa in movimento, da zommare e osservare i dettagli, tutto è più facile.

Grazie alla nuova app e alle funzioni di valutazione del training (pre, durante e post), il sistema è al pari di un virtual trainer di buon livello.

Le funzioni Power Guide e Stamina

La prima in particolare, che permette di avere un polso maggiore di come gestire la propria uscita, magari il classico allenamento di distanza dove vengono inserite delle ripetute. Oppure una gara endurance, dove la gestione dell’autonomia e il rispetto dei propri valori di soglia diventano fondamentali ai fini della qualità della performance.

Stamina invece dà l’idea di quanta energia stiamo consumando per mantenere il nostro motore a regime. Questo valore, combinato in modo corretto (per corretto intendiamo l’essere a conoscenza del consumo calorico che rientra nel range ottimale e soggettivo) con il consumo di calorie, diventa uno strumento eccellente, per capire quanta benzina abbiamo nelle gambe, quando alimentarsi durante l’attività e anche per migliorare il recupero.

Inoltre, queste due funzioni, combinate tra loro e con i diversi sensori esterni (power meter e fascia cardio), aumentano la qualità della valutazione dei carichi di lavoro, quelli esterni e quelli interni. I primi relativi principalmente al misuratore di potenza, i secondi connessi alla frequenza cardiaca.

Garmin Varia RCT

Rispetto al sensore Varia Radar tradizionale, la versione RCT con telecamera integrata è più spessa ed ha un ingombro maggiore. C’è sempre la luce e le sue modalità sono customizzabili. La memoria della telecamera è gestita da una MicroSD (compresa quella da 16gb), per video e foto; anche in questo caso le funzioni sono modulabili.

A cosa può servire una cam posteriore? Un occhio in più non guasta di certo, anche se, gli eventuali filmati ed immagini vengono immagazzinati e rivisti in un secondo momento. E può anche essere divertente rivedere alcuni video dopo l’uscita. Abbinata alla luce ed al radar, evita di girarsi indietro quando si pedala e aiuta a rimanere concentrati sulla strada.

Con la app, ma il controllo avviene anche tramite device
Con la app, ma il controllo avviene anche tramite device

App Varia per smartphone

E’ l’applicazione che gestisce direttamente il dispositivo Varia Radar con la telecamera (quest’ultima ha una visuale di 220° al pari di un obiettivo fisheye). Da qui si può controllare e personalizzare l’obiettivo, il radar (questa funzione si aggiunge e completa l’interfaccia radar con il Garmin), trasferisce i video e le immagini.

A nostro parere è molto interessante la modalità/funzione che attiva automaticamente la cam insieme al radar; ad esempio quando si avvicina un veicolo e rimane spenta quando il retro è libero. Per chi utilizza il verbo delle action-cam e delle app dedicate, è una sorta di app paragonabile alla famiglia Quick.

Il supporto specifico per l’utilizzo off-road
Il supporto specifico per l’utilizzo off-road

In conclusione

La luce e il radar sono strumenti dai quali non si dovrebbe prescindere, davvero importanti ai fini della sicurezza personale e utile anche a chi sopraggiunge da dietro. Il led posteriore stimola l’attenzione e permette di essere visti da lontano e oggi lo stesso traffico motorizzato condiziona in maniera negativa anche gli automobilisti. Garmin Varia Radar fa parte della sicurezza attiva che può sfruttare il ciclista e l’integrazione della cam può aiutare nel caso di incidente, magari ai fini assicurativi.

L’Edge 1040 Solar strizza l’occhio alle attività di lungo raggio, endurance e non solo, turismo e viaggio. Ha uno schermo grande, ampio e pienamente sfruttabile, con tanti campi e schermate da usare. Il dispositivo è comodo e facile da usare, molto diretto ed intuitivo. Proprio questa intuitività, mutuata anche per aggiornare la app Garmin Connect, gli permette di capire al volo anche le funzioni legate alla valutazione della performance, talvolta piene di numeri da interpretare.

Un altro passo in avanti è stato fatto nelle analisi dello stato di forma all’interno del workout, fattore che a nostro parere dovrebbe ricoprire il secondo gradino del podio, subito dopo la programmazione del training e dell’uscita. E poi non dobbiamo dimenticare che l’Edge 1040 Solar può anche essere utilizzato come un semplice bike computer gps con schermo touch.

Un libro, tante storie: caro Marco, sapevi tutto di Michele?

20.02.2022
7 min
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Un libro dedicato a Michele attraverso gli scritti di 55 persone del mondo del ciclismo, musicisti, suiveur e scrittori che l’hanno conosciuto. Così Marco Scarponi ha inteso ancora una volta ricordare suo fratello, affidando la redazione a Marco Pastonesi.

Quando ci è arrivato, avendone scritto un capitolo, abbiamo iniziato a leggerlo, rivivendo episodi di cui siamo stati testimoni e scoprendo sfumature inedite. E qui è scattata la curiosità: Marco Scarponi avrà imparato qualcosa di nuovo su suo fratello? Glielo abbiamo chiesto.

Con questo libro curato da Marco Pastonesi, la Fondazione Michele Scarponi ricorda il campione
Con questo libro curato da Marco Pastonesi, la Fondazione Michele Scarponi ricorda il campione

«Immaginavo e ho avuto la conferma – dice – che Michele comunque è sempre stato ed è una grande anima. Quindi dovunque si trovasse, dovunque si trovi porta sempre una bellissima atmosfera. Ma soprattutto ho scoperto che ha fatto delle cose stupende, dei gesti bellissimi. Il piede a terra che ha messo nel Giro del 2016 è stato solo l’apice di tanti gesti che lui ha fatto nella sua vita. Gesti di solidarietà, di amicizia, di bellezza. Quindi tramite questo libro, ne ho scoperti altri, ma tanti altri nel libro neanche ci sono».

Era amico di tutti…

Da queste pagine emerge il grande senso di Michele per l’amicizia. Il piacere di stare insieme agli altri. Già l’amicizia che ha con Luis Matè, oppure il rapporto che ha con tutti i direttori sportivi. E poi emerge tantissimo, secondo me, il suo lato sensibile. Michele in fondo è sempre stato visto come uno che scherza e basta, in realtà è una persona molto intelligente e molto sensibile.

Fai un esempio?

C’è un racconto di Davide Marta. Parla di quando lui riprende al Giro dell’Appennino dopo la squalifica. E lì si vede tutta la grande intensità di Michele, tutta la sua serietà e la grande voglia di ritornare a correre. Michele era molto concentrato, era molto serio su quello che faceva. Poi anche il racconto di Paolo Condò, ad esempio, quando parla della sconfitta contro Contador sull’Etna.

Nel 2011 sull’Etna, lottò contro Contador senza pensare mai di arrendersi
Nel 2011 sull’Etna, lottò contro Contador senza pensare mai di arrendersi
Cosa dice?

C’è un pezzetto in cui Michele, anche senza parlare, con quell’azione lì ci ha detto tante cose e ha fatto vedere quanto fosse grande in quello che faceva, anche nella sconfitta. «Un uomo che faceva i conti con se stesso, stremato oltre ogni limite eppure testardamente riottoso alla resa».

Ti aiuta averlo accanto?

Tantissimo. Sono passati quasi 5 anni e non è facile portare avanti il messaggio di qualcuno che non c’è più. Per me è un po’ più facile, perché Michele ha lasciato tantissimo. E’ ancora un testimonial importante per tutto quello che facciamo. A volte mi chiedono di cercare qualcuno da affiancargli, ma che senso ha? Quando vado nelle scuole, parlo coi bambini. Racconto la storia di Michele, arrivando fino alla morte. Prima gli faccio vedere le immagini e Michele diventa subito un protagonista che dà ancora tantissimo e loro se ne innamorano. In quello che faccio con la Fondazione, lui ci indica la strada.

Che cosa ha dato il ciclismo a Michele?

Noi ci diciamo sempre che il ciclismo l’ha salvato da una vita che poteva essere diversa. Nel senso che quando scelse di fare il ciclismo a 16-17 anni, quando decise di lasciare la scuola per seguire il suo sogno di fare il ciclista, ebbene lui lì ha messo tutto se stesso. Il ciclismo lo ha messo in condizione di esprimersi. Di tirare fuori tutto quello che aveva dentro. Non c’era un altro sport, dal mio punto di vista, che Michele potesse fare per rappresentare quello che sentiva. Noi non siamo una famiglia di ciclisti e lo sapete che spesso i ciclisti vengono da genitori già ciclisti, da nonni ciclisti.

Colle dell’Agnello al Giro del 2016, dopo la discesa Scarponi si fermerà ad aspettare Nibali
Colle dell’Agnello al Giro del 2016, dopo la discesa Scarponi si fermerà ad aspettare Nibali
Mentre voi?

Nella nostra famiglia non ci sono stati ciclisti, eravamo tifosi. Eravamo contadini e muratori di qui intorno, ma eravamo anche dei ciclisti e non lo sapevamo. Quindi l’unico modo per raccontare la nostra famiglia e quello che c’era dentro Michele, era fare il ciclista. 

Che cosa gli ha tolto il ciclismo?

Il ciclismo gli ha dato tanto, mentre gli ha dato molto meno non mandando messaggi come quello della sicurezza stradale. In tutte le squadre in cui è stato non ho mai visto un minimo di attenzione su questo. Ecco, questo è sorprendente, il solo dito che mi sento di puntare. Io sono entrato nel mondo del ciclismo con Michele, ma in maniera più diretta dopo la sua morte. Magari è difficile avvicinarsi a una famiglia come la nostra dopo quello che abbiamo vissuto. Molti lo stanno facendo adesso e io magari dopo un mese che era morto Michele mi chiedevo perché non si facesse sentire nessuno.

Che risposta ti sei dato?

Mi rendo conto che ci vuole tempo e molte persone fanno fatica. Spesso è capitato anche a me di andare da famiglie di vittime della strada e ho capito che non serve a niente andarci subito e che ci vuole il giusto tempo. Dal ciclismo mi aspettavo tanto, ma adesso mi aspetto un po’ meno.

Non passa corsa dal quell’aprile 2017, senza che sulla strada un cartello ricordi Michele
Non passa corsa dal quell’aprile 2017, senza che sulla strada un cartello ricordi Michele
Cosa ti aspettavi?

Mi aspettavo molto di più da qualcuno, certo. Però mi rendo conto che non siamo tutti uguali. Me ne faccio una ragione. Dopo quello che è successo, mi sarebbe piaciuto che si fossero un po’ tutti coalizzati e fermati. Perché è morto uno di noi. Qui invece non ci si ferma per niente. Lo sport deve continuare, come lo show…

Tu però vai avanti…

Io capisco che magari la mia figura a volte possa essere ingombrante o fastidiosa, però mi aspetterei più coinvolgimento. Ma si fa fatica, siamo sempre un po’ egoisti. Adesso stiamo cercando di mettere in piedi una scuola di ciclismo per bambini e tutti ne sono entusiasti. Poi ti volti e intorno non c’è nessuno che ti aiuti, mentre se c’è da fare una gran fondo sono tutti pronti.

La sicurezza stradale…

Anche se facciamo delle riforme, cadono nel vuoto e questa cosa è impressionante. In Italia vale il detto di Verga, che tutto cambia affinché non cambi nulla. In questi giorni si è parlato tanto delle morti degli studenti nell’alternanza scuola-lavoro, ma della sicurezza stradale non si parla. Nel suo primo settennato, il Presidente della Repubblica Mattarella non ha mai parlato delle morti sulla strada, eppure si parla di migliaia di giovani. Dicono che non ci sono abbastanza Forze dell’Ordine per far rispettare il codice della Strada, eppure per rincorrere la gente che durante il lockdown andava a camminare sulla spiaggia le hanno trovate.

Dietro quel sorriso bislacco, c’erano i pensieri di un uomo profondo e buono
Dietro quel sorriso bislacco, c’erano i pensieri di un uomo profondo e buono
All’estero si danno da fare…

In Inghilterra quel principio che c’è nel nostro slogan, per cui la strada è di tutti a partire dal più fragile, è diventato un principio che sta dentro il codice della strada. E’ vero che sulla strada dobbiamo tutti rispettare le regole, però è innegabile che l’automobilista abbia più potere e caratteristiche tecnologiche tali da renderlo più pericoloso. Non sono opinioni, è fisica. Ma da noi sembrano discorsi insostenibili. Evidentemente ci sono degli interessi troppo superiori…

In cosa Michele e Marco si somigliano?

Io rispetto a lui sono stato sempre indeciso, Michele era più determinato. Mio fratello sapeva quello che voleva e se lo andava a prendere. Michele era uno che sapeva fare le salite e ci ha detto: «Guardate, le salite si fanno così. Si deve fare fatica». E’ stato sempre deciso, io non sono stato mai così, io sono uno che rimanda. Però dopo la sua morte, in certo senso lo prendo un po’ come esempio e cerco di mettermi nella sua scia. E poi…

E poi?

Ho la stessa caratteristica di sdrammatizzare, di fare come lui, di buttarla un po’ in burla. Piace molto anche a me questo modo di fare, quella risata di Michele spesso simile alla mia. Però entrambi probabilmente veniamo però da un momento ben preciso, che è quello di sognare tanto. Siamo grandi sognatori e a tutti e due piace fare qualcosa, non semplicemente partecipare senza motivo. E poi non so quante altre cose ci accomunano e quante ci tengono distanti, è tutta da scoprire ancora ‘sta roba.

Marco Scarponi, sul podio della Tirreno-Adriatico 2019, con Lutsenko
Marco Scarponi, sul podio della Tirreno-Adriatico 2019, con Lutsenko
Ti sei reso conto che per tutto il tempo hai parlato di Michele al presente?

Io sono un familiare, ho perso un fratello. Quindi dovete capire che sono traumatizzato all’infinito e quindi per fare sì che questo per me sia una fonte di energia e un valore, devo essere convinto che Michele sia qui. Anche se so che probabilmente non è così ed è tutta una proiezione che ci facciamo noi vivi. Però il fatto di dire e pensare costantemente che Michele sia qui e viva in quello che sto cercando di fare, per me è la soluzione per andare avanti.

Sicurezza e bici, le parole di Ballerini e Moscon

09.02.2022
5 min
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Quando si parla e si scrive di sicurezza, i temi sono numerosi e non sono sufficienti le ore del giorno per argomentare quanto sarebbe necessario. La sicurezza stradale è un macrotema e non è solo quella del ciclista e del “traffico lento” (la bicicletta ne fa parte), ma è questione di educazione e di relazione. Se è vero che non si possono azzerare i rischi, è altrettanto giusto scrivere che spetta anche al ciclista utilizzare alcuni strumenti che diventano una sorta di deterrente.

Sin dagli anni nel Team Bahrain, Nibali è stato uno dei primi testimonial di Garmin Varia per il progetto sicurezza stradale (foto Instagram)
Sin dagli anni nel Team Bahrain, Nibali è stato testimonial di Garmin Varia (foto Instagram)

Le luci ad esempio, che a tutti gli effetti sono un sistema di sicurezza attivo. Oppure sfruttare la tecnologia radar che oggi è disponibile. Abbiamo fatto una chiacchierata con Davide Ballerini e rubato qualche minuto a Gianni Moscon, impegnato nel ritiro dell’Astana, ricordando che Vincenzo Nibali fu uno dei primi testimonial della campagna di sicurezza promossa da Garmin e ancora oggi si spende in varie iniziative sul tema.

Davide, utilizzi il sistema Garmin Varia Radar, pensando alla sicurezza?

Sì, lo utilizzo e non solo perché è sponsor del team. E’ un’abitudine che ho preso e che ho fatto mia, faccio fatica ad uscire in bici ad allenarmi e non avere con me il sistema Garmin. Uso il computerino, la luce e anche la funzione radar. Quest’ultima la personalizzo in base alle situazioni.

Davide Ballerini, utilizzatore del sistema completo Varia Radar di Garmin (foto QuickStep- Alpha Vinyl)
Davide Ballerini, utilizzatore del sistema completo Varia Radar di Garmin (foto QuickStep- Alpha Vinyl)
Spiegaci meglio.

Quando mi alleno da solo, utilizzo principalmente la luce, quella la uso da sempre e la tengo accesa costantemente. Quando sono in compagnia, magari con altri 3 o 4 compagni di allenamento, preferisco attivare anche la funzione radar. Sapere che c’è un veicolo in arrivo alle spalle e non doversi voltare! Non è poca cosa. Inevitabilmente e comunque in base alle strade, procediamo in coppia e avere uno strumento che mi avvisa quando arrivano le macchine, è qualcosa che mi infonde una maggiore sicurezza. Diciamo che c’è da considerare anche un fattore ambientale, ovvero dove ci si allena e quanto traffico c’è. Ma vi posso dire che non di rado, anche in zone più tranquille, lo uso al massimo delle potenzialità, magari silenziando l’acustica. Adeguo le sue funzioni.

E’ la prima volta, oppure in passato avevi usato qualcosa del genere?

Le luci le ho sempre utilizzate, mentre il radar è la prima volta. L’avevo già notato tempo addietro, mi aveva incuriosito e mi erano piaciuti il funzionamento, l’approccio, la semplicità di utilizzo e anche l’ingombro ridotto. Mi sono reso conto da subito che era qualcosa di estremamente utile e ne guadagno in sicurezza.

Anche il Team Astana Qazaqstan è supportato da Garmin. I corridori utilizzano la luce ed il radar in allenamento (foto Garmin)
Anche il Team Astana Qazaqstan è supportato da Garmin (foto Garmin)
In tema di sicurezza, noti delle differenze tra Italia ed estero?

Posso dire che non c’è una differenza sostanziale, tra l’Italia e le altre Nazioni. La situazione perfetta non esiste. Volendo fare un esempio: in Belgio ci sono più ciclabili e sono tutte molto belle, ma è anche vero che è pieno di trattori e bisogna fare molta attenzione. Credo sia più che altro una questione di cultura ed educazione, ma anche di tolleranza. La strada è di tutti, noi ciclisti dobbiamo prestare attenzione e rispettarne il codice. E dobbiamo imparare ad utilizzare gli strumenti che aumentano il grado di sicurezza. Vedo ancora qualche appassionato in giro senza casco… Non va bene!».

E’ possibile fare di più a tuo parere, sempre in tema di sicurezza? Da dove si potrebbe cominciare?

Sì, si può fare di più! Non è mai abbastanza, io parto sempre da questo presupposto. Credo che ad oggi non sia mai stata fatta una campagna di sensibilizzazione vera e propria, con il soggetto della sicurezza stradale. Una buona soluzione sarebbe quella di partire dalle scuole e dai più giovani. Partire dalla cultura e sviluppare un senso di coerenza, aspetti fondamentali. E poi il buon senso da parte di tutti gli attori della strada. E’ bello vedere i cartelli che indicano la distanza di 1,5 metri: quella che la macchina dovrebbe tenere. Ma noi ciclisti dobbiamo essere coscienti che talvolta percorriamo strade che in totale sono larghe un metro e mezzo! E quindi, chi ha ragione? Anche l’educazione e il senso civico aiutano e non poco».

Il design dei prodotti non è fastidioso ed ingombrante, si integra perfettamente ai componenti della bici (foto Garmin)
Il design dei prodotti si integra perfettamente ai componenti della bici (foto Garmin)

Il punto con Moscon

«Da quando uso il pacchetto Garmin Varia – dice il trentino dell’Astana Qazaqstan – mi sento decisamente più sicuro, prima di tutto visibile. Voglio dire, visto che anche io sono automobilista, che a volte è difficile vedere i ciclisti e per questo è un sistema che consiglio a prescindere. Utilizzando la luce si diventa visibili anche a distanza e vieni notato con un anticipo maggiore. Il radar invece è uno strumento che completa l’aspetto sicurezza e ti permette di stare più attento, anticipando anche le eventuali mosse dell’automobilista».

Come si dirige una corsa? A lezione da Babini…

10.01.2022
7 min
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Quando siamo seduti sul divano e apprezziamo le gesta dei corridori, diamo per scontato tutto quello che sta attorno e che fa funzionare questo fantastico sport. Dietro a una Parigi-Roubaix di Colbrelli o ad un titolo europeo ci sono figure che gestiscono tutto quello che sta prima, durante e dopo la corsa. Il direttore di corsa e l’organizzatore fanno parte dei mille occhi che devono garantire la sicurezza e la riuscita di un evento. Un’orchestra di interpreti composta da innumerevoli collaboratori disseminati sul percorso e coordinati da un direttore d’orchestra. Raffaele Babini è tra questi una delle figure più affermate nel panorama nazionale e internazionale. Fa parte del team di RCS da quindici anni e vanta la direzione di corse tra le più importanti al mondo come Giro d’Italia, Milano-Sanremo, europei di Trento, mondiali di Imola e molte altre.

Tra tutte le esperienze che ha vissuto ci sono anche eventi tragici come quello del 9 maggio 2011. «La morte di Weylandt, l’ho vissuta da vicino ed è stata straziante. Per una piccola distrazione abbiamo perso un corridore che oggi potrebbe essere qui. A volte mi lascio prendere dall’enfasi e da quello che può essere determinante per la vita dei corridori». Questo fa capire quanto la sicurezza durante una corsa sia importante e quanti siano gli aspetti su cui ci si debba soffermare.

Raffaele Babini al Giro d’Italia under 23 insieme a Fabio Vegni (foto di ExtraGiro)
Raffaele Babini al Giro d’Italia under 23 insieme a Fabio Vegni (foto di ExtraGiro)
Quanto è importante essere organizzatore e direttore di corsa?

E’ un po’ il il mio pallino, credo che fare la direzione di corsa voglia dire conoscere nel dettaglio l’impianto organizzativo. Aver gestito in toto gli europei di settembre a Trento è stata una grande sfida in cui ho dovuto assumere l’impegno e curare tutti i dettagli che sono dietro all’organizzazione, non solamente per i percorsi, questi vengono dopo, ma tutto l’impianto strutturale. A partire dagli hotel che ospitano, dall’accoglienza, alla partenza, al percorso e il dopo gara. Per quanto riguarda i ruoli, sono tutti importanti dentro all’organizzazione. Per arrivare ad avere un risultato globale ottimale degno di un grande evento sotto ogni profilo.

Parliamo di sicurezza, come si gestiscono le responsabilità?

La pianificazione credo che sia tutto. Il nostro ruolo oggi più che mai ha assunto, dalle modifiche dal disciplinare tecnico a pieno titolo, la responsabilità totale da parte del Ministero come direzione di corsa. Ed è l’unico che si interfaccia per quanto riguarda la sicurezza non solo per gli atleti ma a 360 gradi. Io ritengo che sia fondamentale vivere tutti i passi che l’organizzatore si trova di fronte. Come consulente tecnico e come figura preparata, al quale non si può concedere nessuna divagazione e nessuna dimenticanza. Oltretutto le attenzioni e responsabilità non sono solo sportive ma anche pecuniarie. 

Questo viene applicato a tutte le categorie?

Sì, non mi stancherò mai di dirlo. Non c’è una diversificazione della gestione di un evento, piccolo medio o grande che viene distinto da livelli di categoria ma non di sicurezza. Io ritengo che un giovane sia ancora più prezioso e vada tutelato sempre in tutto e per tutto. Non dobbiamo sottovalutare nessun aspetto quando si tratta di oggettività di sicurezza.

Com’è cambiata la sicurezza in gara negli anni?

Il nostro scenario è cambiato da 30 anni a questa parte per quello che è la corsa in sé. L’arredo viario disposto dagli enti proprietari che hanno modificato radicalmente quella che è la viabilità delle nostre strade è di conseguenza a caduta nel nostro sport. Una volta c’era un’intersezione importante di un incrocio regolato da semaforo, oggi ci sono rotatorie e canalizzazioni che sono servite a smaltire la viabilità ordinaria. Il ciclismo s’è trovato a fare i conti con una situazione dove la sicurezza stradale è diventata discutibile. Per quello che è il bene della viabilità ordinaria, risulta negativo per il ciclista fine a se stesso. 

Qui Babini durante una riunione tecnica insieme agli addetti delle moto staffette
Qui Babini durante una riunione tecnica insieme agli addetti delle moto staffette
E’ cambiato anche il modo di correre?

Una volta le velocità erano intorno ai 45 all’ora, oggi affrontano tratti ai 60 con punte fino ai 70. Anche la caduta ha avuto un evoluzione nell’impatto. Oggi vediamo che sempre più spesso alla luce degli elementi che troviamo sulla sede stradale, ne derivano conseguenze più gravi. E gli infortuni diventano sempre più frequenti.

Come si prevedono i pericoli a cui va incontro il gruppo?

Per organizzare servono squadre, o gruppi di lavoro altamente professionali,  parlo di eventi di livello. Servono squadre organizzative che hanno visione della corsa, delle dinamiche della corsa, delle caratteristiche piano altimetriche dei percorsi e saper leggere quello che il corridore interpreta a modo proprio. Noi siamo quelli che hanno consapevolezza della casistica che si trova dalla partenza all’arrivo. Poi le corse in sé hanno una composizione dinamica, hanno bisogno di una lettura attenta e in evoluzione.

Riuscite a prevedere tutto?

Non mi sento mai soddisfatto di quello che si fa. Io mi chiedo sempre se ho fatto tutto per essere il garante della sicurezza di questi ragazzi. Mi impegno al massimo per non lasciare niente in mano al caso. Poi lo dico in tutta sincerità e anche con serenità: capitano quei momenti che trattieni il respiro e dici «E’ andata bene». Ma questi momenti si riducono al minimo, se si analizzano tutte le criticità e si riescono a coinvolgere tutti i collaboratori, lo pretendi e su questo i corridori ti seguono.

In che senso?

I corridori hanno la percezione esatta di quello che gli sta intorno. Se siamo professionali lo recepiscono nell’immediato. Per esempio, dal modo di fare un ritrovo di partenza fino allo svolgere un percorso di gara. Per arrivare agli ultimi chilometri che spesso meritano un’analisi più approfondita. Se curi ogni dettaglio l’atleta lo vede e corre più rilassato. 

Ecco Babini durante un briefing con Marco Selleri e altri collaboratori di ExtraGiro
Ecco Babini durante un briefing con i collaboratori di ExtraGiro
La cura del dettaglio è determinante quindi…

Io sono molto determinato su questo punto, devi essere il primo che vuole da tutti il meglio. Per esempio, sono stato un assertore che gli autisti dovessero essere non solo tesserati, ma debbano avere una formazione di base. Tu puoi essere un bravo autista, ma la corsa la si deve saper leggere. In qualsiasi caso, che si abbia a bordo un direttore di corsa, un responsabile, un medico o qualsiasi altra figura, lo devi conoscere e devi conoscere il suo ruolo. Lo devi portare sempre nel punto ottimale per svolgere quella funzione  con le condizioni di massima sicurezza.

E’ una questione di sinergie da parte degli addetti ai lavori?

Esatto, pretendere da ognuno il comportamento più professionale, porta a qualificare il livello organizzativo quindi il livello dell’evento. Nel primo Giro d’Italia U23 che abbiamo organizzato, quando Marco Selleri mi chiamò, io posi una sola condizione: tenere l’asticella alta. Alcuni dicevano che non erano professionisti, poco importa, la sicurezza non deve avere categoria. Al terzo anno ho trovato un livello altissimo da parte di tutti, proprio perché avevamo alzato gli standard e quello era diventato la nostra normalità. Se tu pretendi il massimo dai corridori, direttori sportivi, collaboratori, prima e dopo l’arrivo, si va verso verso la garanzia della sicurezza costante.

Con ExtraGiro avete organizzato un mondiale in tempi record…

Un mondiale non si inventa. Si vede se hai delle basi sulle quali hai lavorato duramente nel corso degli anni. Tutto è servito a organizzare eventi che potevano sembrare improponibili. Il merito non è stato solo nostro, ma anche delle Prefetture e degli agenti che inviano. Voglio fare un plauso per quello che fanno per il ciclismo. Perché aspettare ore sotto il sole, freddo o pioggia per un breve passaggio è qualcosa che aggiunge valore alla corsa. 

Analizziamo tre argomenti di una corsa su cui il vostro occhio deve prevedere tutto. Il primo è un arrivo in volata. Come si sceglie un arrivo in un centro cittadino?

Per gli arrivi a 70 all’ora, si segue la norma sportiva, amministrativa: lo dicono gli atti organizzativi. Nei punti dove la velocità è molta alta sta diventando impossibile arrivare nei centri storici. Di inviti ne arrivano molti, ma per garantire la sicurezza, molti non sono adatti e siamo costretti a rifiutare. Milano-Sanremo, Lombardia, Strade Bianche, Giro Under, lo spettatore non può non riconoscere la sicurezza che è stata messa in atto.

La drammatica caduta che ha coinvolto Jakobsen e Groenewegen
La drammatica caduta che ha coinvolto Jakobsen e Groenewegen
Una grossa polemica per un arrivo in volata fu al giro di Polonia…

Quello è qualcosa di inaccettabile. Un’atleta come Groenewegen si è preso gran parte della colpa e forse ne risentirà anche la sua carriera. Ma se andiamo a riesaminare la dinamica. In quante volate ci sono scorrettezze, moltissime, ma c’è un margine anche in queste dinamiche tecnico sportive. Lì ha sbagliato l’organizzatore. Le transenne che volano a 5 metri dall’arrivo, non sono accettabili. Qualcosa non ha funzionato. Le transenne non volano. Il conto l’ha pagato solo uno.

Un altro aspetto su cui si polemizza sono le moto tra i corridori…

Gli operatori tv non sempre sono i migliori interpreti della sicurezza. A volte si deve passare anche a toni esigenti nei loro confronti. Perché basta una disattenzione nel voler fare una ripresa più bella che può costare la sicurezza di molti corridori. L’obiettivo della telecamera e dei fotografi è preziosissimo e deve essere lì a documentare, ma lo si deve fare con criterio. Quando c’è la professionalità da parte loro non si deve neanche usare la radio, basta un cenno e si viene capiti. 

L’ultima provocazione riguarda il Tour 2021. La spettatrice con il cartello che ha steso il gruppo…

L’atleta ha bisogno del pubblico. Nel ciclismo sia ha una platea varia che sta a bordo strada. Ci sono dei momenti in cui all’interno del gruppo non si molla la posizione per nessuna ragione. Perché in certi frangenti è talmente alta di competizione che non ci si può permettere che il capitano vada in trentesima posizione. Poi c’è enfasi, il ragazzino che vuole la borraccia, lo spettatore che vuole accarezzare il corridore. Il ciclista è rispettato e prova empatia e questo può essere un pregio ma può diventare anche un difetto. Bisogna quindi sensibilizzare il pubblico.

La seconda vita di Carbonari, lettone di Montegranaro

21.12.2021
5 min
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Quando dicono che non bisogna mollare mai perché prima o poi arriva l’occasione giusta, bisogna crederci. Il ciclismo, sport che amplifica questa metafora della vita, regala spesso tanti esempi. In meno di due anni Anastasia Carbonari (in apertura nella foto Baiocco, ndr) è passata dal rischiare la vita a causa di un incidente al guadagnarsi il passaggio alla Valcar Travel&Service, sua prossima formazione, per merito di una coraggiosa azione all’ultimo Giro d’Italia Donne.

Anastasia Carbonari da sola verso Mortegliano all’ultimo Giro Donne: la fuga della rivelazione
Anastasia Carbonari da sola verso Mortegliano all’ultimo Giro Donne: la fuga della rivelazione

I due giorni chiave

Ci sono un paio di date che segnano la storia recente della 22enne di Montegranaro che quest’anno ha corso con la Born To Win. Per capire meglio basta premere i tasti per riavvolgere e mandare avanti veloce il nastro.

Il 31 luglio 2019 Anastasia si sta allenando sulle strade di casa e viene investita da un automobilista. Fortunatamente, se così si può dire, riporta solo la frattura della vertebra L3. Tre mesi di busto, immobilità, stagione finita.

Arriviamo allo scorso 9 luglio. Alla nona tappa del Giro Donne, nella canicola friulana di Mortegliano, si fa quasi cinquanta chilometri di fuga (prima solitaria poi con altre due compagne di avventura) venendo ripresa in vista del traguardo. Quello sforzo, come avevamo già documentato, le dà fiducia.

Passaporto lettone

Quando contattiamo al telefono la Carbonari – che da pochi mesi ha ottenuto la doppia cittadinanza ed il passaporto lettone grazie a mamma Natasha, nativa di Riga – in sottofondo che vuol giocare con lei c’è Bianca. E’ una cagnetta trovatella tutta nera adottata sei anni fa a Capodanno, dopo che era scappata impaurita dal fracasso dei fuochi d’artificio. Entrambe hanno avuto una nuova opportunità per ritrovare il sorriso.

Passaggio a Tallin,, durante l’ultima visita al Paese di sua madre (foto Instagram)
Passaggio a Tallin, durante l’ultima visita al Paese di sua madre (foto Instagram)
Anastasia hai firmato un anno di contratto con la Valcar. E’ il caso di dire che galeotta fu quella fuga al Giro?

Sì, tutto è nato proprio quel giorno. Davide Arzeni (il diesse della formazione bergamasca, ndr) mi ha notata e mi ha contattata per fare dei test. Per fortuna sono andati bene e mi ha detto che facevo al caso loro per il 2022. Sono veramente contenta di questa possibilità. Sono andate via parecchie ragazze importanti, ma è una squadra giovane con cui si possono fare bene tante cose

Che fuga era stata e come la rivedi a distanza di mesi?

E’ stata davvero una grande occasione e un’emozione incredibile, con le moto della televisione attorno. Al mattino era arrivato il nostro presidente che ci aveva spronato a farci vedere. Sentivo che era una giornata a me favorevole. Non volevo concludere il mio Giro in modo anonimo, anche se in confronto alle big non ho fatto nulla. Rivivendola adesso, non avrei mai pensato che mi avrebbe portato alla Valcar. E’ stata anche una prova per me. Magari ora con un lavoro mirato e competenze maggiori, potrei riuscire a correre senza subire la gara. 

Sei approdata in un team che ha un livello quasi da WorldTour. Cosa ti aspetti dal 2022?

Fare esperienza, vedere fino a dove posso arrivare e scoprire i miei limiti. Non nego che mi piacerebbe farmi vedere ancora, ma l’obiettivo primario è aiutare la mia squadra. Per me sarà un onore pedalare con compagne di quel calibro ed imparare da loro. Già nel 2020, quando ero all’Aromitalia Vaiano, avevo fatto gare internazionali ed avevo capito qual è il livello. Con la Valcar tutto ciò avrà una valenza maggiore e credo che sia l’ambiente migliore in cui crescere

Il Giro 2021 è stato una rampa di lancio, non solo per la fuga di Mortegliano
Il Giro 2021 è stato una rampa di lancio, non solo per la fuga di Mortegliano
Qual è la tua dote migliore?

Riesco a dare tutto quello che ho, tendo a non risparmiarmi. Mi piace andare all’attacco, da giovane lo facevo spesso e vincevo molto poco, perché tatticamente non ragionavo tanto (ride, ndr). Adesso però sono migliorata.

Torniamo a quel terribile incidente. In quei giorni, oltre a guarire, che pensieri ti passavano per la mente?

Ho realizzato che avrei potuto anche non salvarmi. L’auto andava molto veloce. La dinamica è stata molto simile all’incidente di Michele (Scarponi, suo conterraneo, ndr). Sono stata fortunata. Poi però è arrivato il momento in cui ho capito che volevo fare del ciclismo il mio lavoro. Che volevo concentrare tutta me stessa sul ciclismo. Sentivo la mancanza della bici, non vedevo l’ora di poter tornare a pedalare.  

Quell’episodio che cosa ti ha lasciato?

Do molto più valore a tante cose ed ho più carattere davanti alle avversità. Come aspetto negativo mi ha confermato quanto rischiamo e siamo fragili noi ciclisti sulla strada. Ora se posso, cerco di uscire con i miei compagni di allenamento. Infatti l’incidente mi è successo mentre ero sola. Ero spaventata, immobile a terra con l’automobilista che mi incolpava anziché aiutarmi. E meno male che quel giorno sopraggiunse il mio amico Marco Gallo (ex dilettante della Calzaturieri Montegranaro, ndr) che mi aiutò chiamando l’ambulanza.

Sulla salita test di Monterubbiano, vicino casa (foto Instagram)
Sulla salita test di Monterubbiano, vicino casa (foto Instagram)
Che messaggio ti senti di dare, visti questi ultimi due anni?

Che bisogna continuare a lottare anche se ci sono momenti difficili. Il ciclismo mi ha dato molto, mi ha insegnato questo. Anche a fare sacrifici che ripagano sempre. Dopo il buio, arriva sempre la gioia. Devo però anche ringraziare la mia famiglia. Mamma Natasha, papà Anelio e mio fratello Filippo mi hanno sempre supportata in tutto.

Chiudendo, Anastasia, c’è quindi la possibilità di vederti indossare la maglia della Lettonia alle manifestazioni internazionali?

Sì, esatto. In realtà puntavo alla nazionale italiana, però mi sono resa conto che questa era una bella opportunità e ne ho approfittato. Ho già ricevuto passaporto e carta d’identità, entrambi col mio cognome con la kappa (ride, ndr). Intanto ho avuto già qualche contatto con il loro cittì Raivis Belohvosciks che parla anche italiano (più volte campione lettone, è stato pro’ dal 1998 al 2011 militando anche in Lampre e Saunier Duval, ndr). Spero di essere presa in considerazione, ho un obiettivo in più per l’anno prossimo.

Acsi e Federazione, prove di intesa a Roma sulla sicurezza

03.11.2021
6 min
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«Quello della sicurezza non è un tema nuovo purtroppo – dice Nibali al tavolo dell’Acsi – per questo anno dopo anno sono stati aggiunti nuovi strumenti. Il primo fu l’uso obbligatorio del casco in corsa. E’ normale, con la grande cultura del ciclismo in Italia, che tanti ragazzi si avvicinino alla bicicletta, in più l’e-Bike ha messo in sella tante persone alle prime armi. Il popolo italiano è cresciuto con le auto e anche se un po’ sta cambiando, i numeri degli incidenti che coinvolgono le bici sono impressionanti. Come utenti più esperti, riusciamo ad anticipare i problemi. Per gli altri la situazione è più complicata…».

Il forum sulla sicurezza voluto dall’Acsi si è svolto nel Salone d’Onore del Coni a Roma
Il forum sulla sicurezza voluto dall’Acsi si è svolto nel Salone d’Onore del Coni a Roma

Nibali e Agnoli

Roma, pomeriggio d’inizio novembre, Salone d’Onore del Coni al Foro Italico. L’Acsi ha organizzato un forum sulla sicurezza e ha scelto per farlo la casa dello sport italiano. Il presidente Malagò passa per gli onori di casa, risponde con due frasi di maniera, poi torna a un meeting sugli aspetti fiscali delle associazioni sportive. Fra gli ospiti chiamati a intervenire ci sono la Federazione e vari soggetti che di questa battaglia hanno fatto una ragione di impegno quotidiano. Per cui si riconoscono l’avvocato Federico Balconi, creatore di Zerosbatti, il Prefetto Sgalla in collegamento su Zoom, la stampa di settore e appunto Vincenzo Nibali. 

Il siciliano è arrivato da Fiuggi, dov’è ospite dei suoceri, assieme a Valerio Agnoli. La mattina l’hanno passata in gravel a coprirsi di fango. Il tempo di un saluto al telefono al neo cittì azzurro Bennati, scherzando sui 150 battiti medi di Valerio in appena due ore mentre lo Squalo si è fermato a 100, e il discorso prende il largo.

Tutto lo staff di Acsi, con Nibali. Da sinistra, il presidente Antonino Viti e accanto il suo vice Emiliano Borgna

Nel 2019, 253 morti

Antonino Viti è il presidente dell’Acsi. E’ un signore discreto che trasmette buone maniere, che prima racconta che l’associazione che presiede nacque proprio a Roma nel 1960 in occasione delle Olimpiadi. Ma quando snocciola i numeri, nella sala cala il silenzio.

«I dati Istat riferiti al 2019 – dice – parlano di 3.173 morti sulla strada, di questi 253 sono ciclisti, con un aumento del 15 per cento dal 2018. Nel 2020 la pandemia ha fatto esplodere il numero dei praticanti. La bici è sempre più amata, per allenamento, gara e turismo. Parliamo per l’Italia di 55 milioni di pernottamenti di turisti in bicicletta. Il prossimo passo è abbattere la barriera tra professionisti e praticanti per condividere le stesse esigenze e le problematiche comuni».

Il casco obbligatorio

Roberto Sgalla ha un curriculum imponente. E anche se adesso è direttore del Centro Studi Americani, in passato ha rivestito anche il ruolo di direttore della Polizia Stradale, per cui sul tema sicurezza ha sempre avuto l’occhio critico e la propensione a non… propendere necessariamente dalla parte dei ciclisti, ravvisandone spesso i comportamenti impropri. La Federazione però l’ha inserito nella Commissione sicurezza e in questa veste parla nel microfono del suo iPad.

«Il ciclismo – dice – è lo sport con più alta mortalità in rapporto al numero dei praticanti. In Italia c’è un numero eccessivo di gran fondo, che espongono i partecipanti a rischi impensabili. Abbiamo dei video che lo dimostrano (dirlo a casa di chi ha nelle gran fondo la sua ragione sociale è piuttosto singolare, ma il tema c’è, ndr). L’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo in cui il casco non è ancora obbligatorio. In cui sotto Covid si sono fatte ciclabili semplicemente comprando secchi di vernice e tracciando righe bianche, mentre ci sarebbe bisogno di infrastrutture più stabili».

Crisafulli, consigliere Fci, ha parlato di azione nell scuole e di scuola guida
Crisafulli, consigliere Fci, ha parlato di azione nell scuole e di scuola guida

Iniziare dalle scuole

Ci sarebbe bisogno soprattutto di concretezza, viene da pensare ascoltando gli interventi. E forse, come fa notare Nibali, anche una semplice striscia di vernice bianca sulla strada consente alle auto di sapere quale sia la loro corsia e mostra alle bici dove stare.

«Bisogna intervenire nelle scuole – spiega Gianantonio Crisafulli, consigliere federale addetto al cicloturismo – partendo magari dai ragazzi delle superiori, che si avviano a prendere la patente. Bisogna che si parli di più di biciclette nei corsi di scuola guida. I fondi europei per la ripartenza dal Covid hanno stanziato 750 milioni di euro per la creazione di ciclovie e per la ciclabilità urbana. In Italia la pista ciclabile è promiscua, ci sono ciclisti e pedoni, all’estero no. E’ bello andare al lavoro in bici, ma bisogna essere certi di ritrovarla all’uscita, per cui servono depositi sicuri. La manutenzione delle nostre strade è da Terzo Mondo. E da ultimo, bisognerebbe che i ciclisti fossero più educati. Sarà un percorso lungo, il Governo è a fine legislatura, magari non è il momento di affrontare il tema, sperando che nel frattempo quelle risorse vengano spesi nel modo giusto».

Il vero appello alla concretezza è arrivato da Emiliano Borgna, presidente di Acsi Ciclismo
Il vero appello alla concretezza è arrivato da Emiliano Borgna, presidente di Acsi Ciclismo

Basta parole

Valerio Piccioni, giornalista della Gazzetta che conduce il dibattito con Antonello Orlando della Rai, fa notare che anche l’ultima volta il Governo era in scadenza e si disse che non fosse il momento di parlarne. E a un tratto ti assale la sensazione che l’esercizio verbale abbia preso nuovamente il sopravvento sulla concretezza, che però torna quando parlano Emiliano Borgna e Federico Balconi: loro la concretezza l’hanno sposata.

«Dopo il lockdown – dice Borgna, vicepresidente Acsi e presidente di Acsi Ciclismo – sulle strade si è riversata un’utenza nuova e concordo sul fatto che per creare una cultura diversa servirà del tempo. Però intanto dobbiamo fare formazione per chi utilizza la bici e dobbiamo farlo insieme. Come Acsi ci occupiamo di sport di base, la Fci di sport olimpico: il nostro sforzo deve essere comune per il bene di chi va in bici».

Il patto tra Fci e Acsi l’ha annunciato a parole Crisafulli prima di scappare verso l’aeroporto ed è qualcosa su cui terremo lo sguardo, viste le tante promesse del passato. Fra i due enti non corre buon sangue. La Fci non vede di buon occhio l’Acsi per i numeri del tesseramento totalmente dalla loro parte, grazie a tariffe più abbordabili e a un’elasticità organizzativa che in Federazione per ora non sono in grado di garantire. E adesso che alla tessera Acsi si aggiunge l’iscrizione gratuita a Zerosbatti e l’accesso gratuito alla tutela legale, il pacchetto è completo.

Balconi e Nibali, Zerosbatti ha preso il volo grazie alla loro collaborazione
Balconi e Nibali, Zerosbatti ha preso il volo grazie alla loro collaborazione

L’omicidio stradale

Federico Balconi, che con Nibali e Johnny Carera, anche lui presente, s’è inventato Zerosbatti infatti chiude con parole nette e finalmente chiare. Intanto racconta la breve storia della sua associazione, che già da tempo vi abbiamo raccontato, poi fa notare che nell’ultimo anno, i 350 casi gestiti hanno visto incidenti fra ciclisti solitari e automobilisti distratti, dal telefono o chissà cos’altro. Il loro intervento è di supporto e mediazione. La base degli avvocati si è estesa a tutta Italia, con una rete territoriale che sta diventando sempre più importante (Nibali conferma ad esempio che Fausto Malucchi, suo avvocato di sempre, è entrato nella squadra).

«Anche se il codice della strada si riferisce alle bici in modo superato – chiude Balconi – vi è prevista la fattispecie del sorpasso delle bici ed è previsto anche il reato di omicidio stradale. Perciò, rivolgendomi anche e soprattutto agli amici della stampa, quando vi trovate davanti a un ciclista ucciso, smettete di usare parole come fatalità e parlate di omicidio. Forse è il modo perché la gente apra finalmente gli occhi».

C’è concretezza anche nell’annuncio che in settimana Antonino Viti sarà a colloquio con Valentina Vezzali, Sottosegretario allo Sport nel Governo Draghi, e le sottoporrà anche il delicato tema della sicurezza. Quei 253 morti e quelli che purtroppo verranno meritano leggi e non parole.

Chris Anker vive ancora nelle parole di chi gli ha voluto bene

22.09.2021
4 min
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Le strade nella campagna fra Bruges e il mare sembrano dipinte. Casette senza recinzioni. Alberi e zone in ombra lungo i canali. Cavalli e mucche che trascorrono placidamente il tempo. Eppure, per un motivo che sarà difficile decifrare, sabato in questo quadro idilliaco di pace e verde, Chris Anker Sorensen ha perso la vita mentre era sulla bici che, pur avendo smesso di correre, portava sempre con sé.

«Amico dolce, premuroso e talentuoso – scrive Brian Nygaard su Twitter, addetto stampa alla Saxo Bank – è insopportabile pensare che non ci vedremo mai più. Eri sempre lì per tutti gli altri, anche quando stavi facendo le cose più belle per te stesso nella tua vita e nella tua carriera. Riposa in pace, Chris Anker Sorensen. Non c’è consolazione, solo amore».

Sorensen infreddolito nella postazione di commento della Roubaix (foto Instagram)
Sorensen infreddolito nella postazione di commento della Roubaix (foto Instagram)

Gregario col sorriso

Vinse la tappa del Terminillo al Giro d’Italia del 2010. Raramente gli riusciva di alzare le braccia, pur essendo uno di quelli sempre all’attacco, quando non aveva da aiutare il capitano. Quella volta staccò Simone Stortoni e Xabi Tondo, altro gregario dal sorriso che l’anno dopo avrebbe incontrato una fine anche peggiore. Nel 2008 invece era arrivato da solo a La Toussuire, nel Delfinato vinto da Valverde su Cadel Evans.

Però sapeva far vincere e nella Saxo Bank in cui corse gli anni migliori, non mancarono le occasioni di fatica per condurre il capitano al successo. Come alla Vuelta 2014 al fianco di Contador e il Tour del 2010, quello vinto da Contador sulla strada e poi passato a Schleck per la squalifica dello spagnolo.

E Chris Anker Sorensen era sempre pronto agli ordini di Riis, con il suo sorriso sempre in faccia. Danese che sapeva anche lasciarsi andare al confronto del ben più gelido team manager

Alla Vuelta del 2014 ha lavorato sodo fino alla vittoria della maglia rossa di Alberto Contador
Alla Vuelta del 2014 ha lavorato sodo fino alla vittoria della maglia rossa di Alberto Contador

La casa a Lucca

Il dolore ha viaggiato subito sui social e ha riportato alla memoria altre storie identiche. Un uomo giovane che stava vivendo la sua passione e lascia a casa una moglie e due bimbe.

«Penso proprio alle sue bimbe – racconta Pino Toni, che di Sorensen fu a lungo l’allenatore – perché mia figlia faceva loro da baby sitter. Aveva comprato casa fuori le mura di Lucca, una bifamiliare col suo giardino intorno. La moglie aveva preso l’aspettativa dal lavoro per seguirlo in Toscana, poi quando finì di correre decisero di tornare in Danimarca. Io l’ho conosciuto che era già in Toscana e so che mi riteneva un amico. Di noi toscani aveva preso il gusto di mangiare, ma essendo un corridore alle dipendenze di Bjarne Riis non era il tipo che esagerava. Non faceva chissà quale vita fuori dalla bici, stava tanto in famiglia. Avevamo legato molto, per come si può legare con un danese».

Bennati e l’altro Sorensen

Ricorda Daniele Bennati, che con Sorensen ha corso quattro anni, che si era così radicato in Toscana da aver preso anche delle sfumature dell’accento.

«Assieme a lui – ricorda Daniele – abbiamo vinto la Vuelta del 2014 con Contador. Era uno di quei corridori che un capitano vorrebbe averse sempre, Alberto compreso. Dio solo sa quante borracce e quanti chilometri in salita gli toccò tirare, mentre Tosatto e io facevamo il lavoro in pianura. Sabato ero nel Chianti alla partenza della Gran Fondo Gallo Nero e c’era anche Rolf Sorensen, il “biondo”. Era distrutto. Il fatto era appena successo. Doveva andare anche lui in Belgio per commentare i mondiali e raccontava che la tv danese avrebbe lasciato ai suoi uomini la possibilità di scegliere se andare o fermarsi qualche giorno per assorbire il dolore».

La sua bici anche al Tour, per pedalare sul circuito dei Campi Elisi (foto Instagram)
La sua bici anche al Tour, per pedalare sul circuito dei Campi Elisi (foto Instagram)

Guida per i giovani

L’altro giorno il vincitore danese della cronometro under 23, Johan Price-Pejtersen, ha parlato di Chris Anker come di un’ispirazione per i giovani ciclisti danesi.

«E lui proprio con i giovani dava il meglio – ricorda ancora Pino Toni – perché riusciva a spronarli in modo incredibile. Ricordo che mi trovai a fare il direttore sportivo da solo nel Giro di Polonia del 2013 che partiva dal Trentino. E ricordo che grazie a lui riuscimmo a prendere la maglia di leader con Majka in cima al Pordoi, dove finiva la prima tappa. Chiaro che dei morti si parla sempre bene, ma lui era bravo davvero. L’ultima volta che l’ho visto, eravamo alla Vuelta del 2019 e mi fece un’intervista sui sistemi di navigazione delle ammiraglie».

I corridori danesi che finora hanno brillato ai mondiali del Belgio hanno rivolto una parola al gioviale gregario di 37 anni che proprio per raccontare meglio i percorsi delle cronometro che sarebbe iniziate di lì a poche ore, nella mattinata di sabato 19 settembre aveva deciso di percorrerne in bici i chilometri. In un bel mattino fresco di sole, che annunciava ignaro un’altra giornata meravigliosa…

Oltre all’assicurazione, la tutela legale: accordo Acsi-Zerosbatti

18.09.2021
5 min
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Le strade sono piene di bici e di pericoli. L’incremento dettato dal Covid non ha reso la situazione meno pericolosa, con automobilisti esasperati e sempre più distratti. Poi ci saranno pure i ciclisti che vanno in gruppo quando non dovrebbero e tutto il resto, ma alla fine della fiera loro si fanno male e gli altri no. Le notizie di cronaca si susseguono. E se nulla si muove sul piano legislativo (è davvero avvilente rendersi conto del disinteresse per gli utenti deboli della strada), fa piacere segnalare l’iniziativa di Acsi e Zerosbatti. Il primo è un ente che assomma circa 52mila tesserati fra gli amatori ed è presieduto nella sezione ciclismo dall’avvocato Emiliano Borgna. Il secondo è l’associazione creata dall’avvocato Federico Balconi, che offre assistenza immediata e tutela legale ai suoi associati in caso di incidente. I due hanno deciso di unire le forze, così a tutti i tesserati Acsi dal 2022 sarà offerta dalla stessa associazione la tessera Zerosbatti, senza alcun aumento nei costi del tesseramento.

La cronaca è impietosa. Il 24 giugno un’auto ha fatta cadere Francesca Baroni, alla vigilia del Giro d’Italia Donne
La cronaca è impietosa. Il 24 giugno un’auto ha fatta cadere Francesca Baroni, alla vigilia del Giro d’Italia Donne

Obiettivo concretezza

Con Emiliano Borgna abbiamo parlato spesso. Fu sua la proposta, finora disattesa, di una collaborazione con la Federazione ciclistica italiana per abbinare alle Gran Fondo delle gare delle categorie giovanili, sfruttando la logistica delle zone di arrivo. L’accordo con Zerosbatti ha davvero un ottimo sapore.

«E’ un’idea interessante e concreta – spiega – perché si parla spesso di sicurezza, si pensano mille cose, dal metro e mezzo ad altre forse, ma poi per mille motivi diversi non si realizza molto. Così abbiamo pensato se non altro di offrire un servizio in caso di sinistro, un consiglio e l’appoggio legale, perché quando ti buttano per terra, non sempre sai come muoverti e cosa fare. Perciò ci siamo incontrati con Federico Balconi, abbiamo iniziato a ragionare e l’accordo è stato spontaneo».

Al Giro d’Italia Donne, Anna Van der Breggen in rosa con Yanira, mamma di Silvia Piccini, uccisa sulla strada mentre si allenava
Al Giro d’Italia Donne, Anna Van der Breggen in rosa con Yanira, mamma di Silvia Piccini, uccisa sulla strada mentre si allenava

Attività formative

Zerosbatti nei mesi ha raccolto il favore anche di alcuni professionisti di spicco, fra cui Nibali, e questo potrebbe servire per invogliare gli amatori a non sottovalutare l’opportunità.

«L’idea di fondo – prosegue Borgna – è anche quella di organizzare delle attività formative, delle tavole rotonde attraverso cui affrontare le varie questioni legate alla sicurezza. Perciò nella tessera 2022 i nostri associati si troveranno anche la tutela legale e penso che potranno esserne contenti anche sul piano economico, dato che affiliarsi a Zerosbatti costerebbe comunque 15 euro. All’Italian Bike Festival di Rimini abbiamo visto tutti quali grandi numeri facciano le e-bike e le bici che saranno usate da utenti della strada che non hanno una grande dimestichezza. Per questa iniziativa penso ai nostri amatori, ma anche a loro. Con una tessera che gli dà l’assicurazione, trovano anche la tutela legale».

L’amicizia fra Borgna e Balconi è iniziata da anni nel mondo delle Gran Fondo
L’amicizia fra Borgna e Balconi è iniziata da anni nel mondo delle Gran Fondo

Paga tutto l’Acsi

Chi paga i 15 euro per 52mila tesserati, se è vero che non avranno alcun aumento nel tesseramento? E’ questa la prima domanda con cui bussiamo alla porta di Federico Balconi, ideatore e motore di Zerosbatti con l’appoggio esterno e lungimirante di Johnny Carera.

«Conoscevo Borgna da anni – racconta – e da un paio abbiamo cominciato a pensare di fare qualcosa insieme. Ho parlato con la nostra assicurazione, abbiamo spuntato un prezzo di favore e tutti i costi li sosterrà Acsi, che ha rinunciato a qualcosa per farsi carico di questo impegno importante. Certo un numero così grande di tesserati richiederà anche a noi di strutturarci. Stiamo facendo colloqui su colloqui, non bastano avvocati. Serve anche gente capace di empatia e che sia capace, al primo contatto, che di solito avviene in caso di incidente, di spiegare al ciclista frastornato cosa fare. All’inizio il supporto è prima di tutto morale, poi si passa a fare le foto e alla tutela legale».

Ai rilievi dei carabinieri si possono aggiungere quelli individuali, come foto e testimonianze
Ai rilievi dei carabinieri si possono aggiungere quelli individuali, come foto e testimonianze

Una base larga

Si tratta di grandi numeri, che potrebbero esplodere ancora se con il passa parola si aggiungessero altre tessere.

«Stiamo toccando con mano dai primi riscontri – ancora Balconi – quanto fosse urgente questa esigenza. Mentre in caso di incidente il singolo scrive all’assicurazione e si espone alla valutazione dei periti, i nostri iscritti scrivono a noi. Siamo noi il primo filtro, li guidiamo nelle richieste. Avere un incidente non è vincere alla lotteria, per cui se non ti fai male, puoi sperare di avere gratis il modello nuovo della bici distrutta. Le furbate sono ciò che rende i liquidatori poco disponibili. Si cerca la soluzione stragiudiziale, lavoro da 25 anni con le assicurazioni e penso che con logica, buon senso e diritto si portino a casa buoni risultati in tempi rapidi. Se parliamo solo di danni materiali, in due mesi il caso si chiude. Ma bisogna essere onesti e trasparenti.

«E se poi ci sarà da andare in causa, la polizza di tutela legale ti permette di andare senza troppi pensieri e senza dover anticipare le spese legali. E se anche i tempi si allungano, la copertura ti tiene al sicuro. Emiliano è un avvocato. E anche se per questo incarico non esercita la professione, ha avuto una visione giuridica importante. E chi dice che un giorno, forti di tante migliaia di tesserati, non si possa andare dal legislatore a chiedere delle riforme? Il principio del referendum è proprio questo…».