Non passa giorno in cui non veniamo informati di incidenti che vedono coinvolti dei ciclisti, spesso con esiti purtroppo mortali. Da tutte le parti si cercano soluzioni, vengono fatte proposte di legge. Tutto ciò sembra però non essere sufficiente. Canyon di recente ha deciso di dare il suo contributo concreto a salvaguardia della salute dei ciclisti grazie alla definizione di una partnership con Autotalks, leader mondiale nelle soluzioni di comunicazione V2X (Vehicle-to-Everything).
La tecnologia V2X integra le informazioni provenienti da altri sensori, in particolare in situazioni con carenza di visuale, condizioni meteorologiche avverse o di scarsa illuminazione. L’obiettivo finale è quello di migliorare notevolmente la sicurezza stradale complessiva.
Aumenta la sicurezza
Con questo nuovo accordo, Canyon ha deciso di integrare la tecnologia V2X in alcune delle sue e-bike premium, consentendo così ad altri veicoli dotati della stessa tecnologia di ricevere una notifica quando una bici Canyon si trova nelle vicinanze. In questo modo si vuole garantire ai ciclisti una maggiore sicurezza quando si trovano in mezzo al traffico.
La tecnologia V2X oggi è presente in un numero in costante crescita di veicoli a motore. Consente ad auto e camion di comunicare con altri veicoli dotati di tecnologia V2X e di essere avvisati in anticipo di situazioni potenzialmente pericolose. La soluzione V2X di Autotalks supporta sia gli standard europei (DSRC) che gli standard statunitensi e cinesi (LTE-V2X).
Obiettivo crescita
Attualmente sulle strade europee circola circa un milione di auto dotate di tecnologia V2X e circa 20.000 mezzi stradali attrezzati per l’infrastruttura. Nelle intenzioni dei responsabili di Autotalk questi numeri dovranno aumentare notevolmente nei prossimi anni. A confermarlo è Yuval Lachman, vicepresidente marketing e sviluppo aziendale di Autotalks.
«La sicurezza delle biciclette – ha dichiarato – illustra l’efficacia della tecnologia V2X nella prevenzione degli incidenti e costituisce una componente fondamentale del piano di implementazione globale di V2X. La leadership di Autotalks nello sviluppo della tecnologia V2X per prevenire gli incidenti in bicicletta invia un forte messaggio all’ecosistema sulla dedizione dell’azienda a proteggere coloro che sono più vulnerabili sulla strada».
In Canyon sono molto soddisfatti dell’accordo raggiunto con Autotalks, come conferma Lionel Guicherd-Callin, Global Director per le soluzioni Canyon Connected.
«In Canyon, vogliamo ispirare le persone di tutto il mondo a pedalare di più. Consideriamo la sicurezza sulla strada come un ostacolo per far sì che più persone vadano in bicicletta, quindi siamo entusiasti di collaborare con Autotalks per portare più biciclette abilitate V2X sulle nostre strade e consentire un comportamento di guida più responsabile dei veicoli a motore».
In Canyon si prevede di avere la disponibilità commerciale della tecnologia V2X sulle biciclette disponibili esclusivamente su canyon.com entro la fine del 2026.
A Torino con Prudhomme, patron del Tour. Parliamo di percorsi, campioni e sicurezza. «La domenica ero con Rebellin a Monaco, tre giorni dopo era morto»
Scott Italia e Guidare Oggi hanno recentemente presentato una specifica “web-series” dedicata alla complessa, ma necessaria, convivenza in strada tra automobili e biciclette.
Da sempre, il rapporto tra auto e bici sulle strade rappresenta un argomento di grande rilevanza e di grande sensibilità per Scott. Negli ultimi anni, l’incremento dell’uso delle biciclette come mezzo di trasporto è stato notevole: la crescita è stata quasi esponenziale, soprattutto in epoca pandemica e post pandemica. Tuttavia, nonostante questa diffusione del mezzo sostenibile bicicletta, la convivenza tra auto e bici rappresenta ancora oggi una sfida importante, da vincere, con inevitabili problemi legati al tema sicurezza. E a tal proposito, la mancanza di un’adeguata educazione stradale, e di una profonda cultura della condivisione della strada, contribuisce ancora moltissimo ad alimentare tensioni e conflitti tra automobilisti e ciclisti.
Educazione e rispetto
Ed è proprio per cercare di dare una risposta, di portare un contributo alla soluzione di questo problema, che nasce ”Sulla stessa Strada”: una serie molto ben strutturata di “pillole video” realizzate in collaborazione con Andrea Brusadin, insegnante di scuola guida, ideatore e proprietario della pagina YouTube Guidare Oggi.
L’obiettivo di questa produzione – fruibile ovviamente a titolo gratuito – è quello di offrire semplici consigli e utili informazioni per rendere più sicura la convivenza sulla strada, con l’obiettivo dichiarato di utilizzare al meglio questo importante e sensibile spazio comune. I video si basano sull’apprendimento di semplici ma basilari regole della circolazione: come ad esempio l’utilizzo delle piste ciclabili, l’equipaggiamento che i ciclisti dovrebbero avere, le accortezze che spesso vengono sottovalutate ma che potrebbero fare la differenza in occasione di frangenti rischiosi…
”Sulla Stessa Strada” è una serie di cinque video fruibili sui canali social sia di Scott Italia che di Guidare Oggi. Il primo episodio, andato in onda venerdì 7 luglio, ha trattato un tema semplice come quello dell’apertura delle portiere e dell’attenzione del ciclista quando si passa accanto ad una macchina parcheggiata.
A seguire, si affronteranno problematiche essenziali legate al tema del sorpasso delle macchine sui ciclisti, delle piste ciclabili (quando usarle e quando non usarle), della differenza di utilizzo tra attraversamento ciclabile e pedonale, di come prendersi il giusto e corretto spazio sulla carreggiata, di come andare in fila indiana senza affiancarsi al proprio compagno di pedalata.
«Sopravvivo»: un abbraccio e questa sola parola per raccontare la sua vita da quel giorno di aprile 2021, quando l’auto guidata da una donna con troppa fretta e zero senso di responsabilità portò via sua figlia Silvia Piccini.
Come per Marco Scarponi e Marco Cavorso, la vita di Deyanira Reyes e del marito Riccardo da allora sono diventate una dolorosa esposizione perché l’immenso sacrificio non sia stato invano. Li abbiamo incontrati al Giro d’Italia sulla cima del Monte Lussari, nell’hospitality ricavata sul tetto della stazione della cabinovia, con le magliette che ricordano il sorriso della figlia e la possibilità da quest’anno di donare il 5 per mille in dichiarazione dei redditi per promuovere le loro iniziative (gli estremi a questo link, ricercando Aps Con il Sorriso di Silvia Piccini).
Due mesi dopo la morte di sua figlia, Riccardo aveva pedalato dal Friuli fino a Piazza San Pietro, per portare Silvia a Roma. Lo avevamo incontrato alle porte della Capitale e le sue parole ci avevano scosso. Da quel viaggio, il friulano non ha più toccato la bicicletta, come se la pagina si fosse chiusa in quel momento e senza Silvia su quei pedali non ci fosse più un senso.
La famiglia di Silvia Piccini e i suoi amici hanno avviato un progetto di solidarietàAl Circuito di San Daniele, l’associazione il Sorriso di Silvia Piccini ha dotato dei radar da bici ai pro’ friulaniAlessandro De Marchi, vincitore a San Daniele, è subito stato accanto alla famigliaDeyanira, la mamma di Silvia Piccini, con l’altra figlia e le amiche dell’associazioneJonathan Milan, che a San Daniele è arrivato terzo, posa con il “team Silvia”
Il camionista sparito
E’ davvero difficile vendere il cambiamento, convincersi che qualcosa si stia muovendo. E’ difficile non sentirsi presi in giro, vedendo per l’ennesima volta il servizio realizzato dalle Iene sulla morte di Rebellin e il camionista che lo travolse.
«Dopo mezz’ora avevano tutto per prenderlo – dice il barista veneto intervistato – invece l’hanno identificato dopo tre giorni».
Già, perché il tipo non sarebbe affatto scappato, come farebbe comodo far credere per giustificare il fatto che se ne stia impunito in Germania. Ha visto sì il corpo di Davide – racconta suo fratello – poi sarebbe rimasto sul posto ad aspettare per 10 minuti. Da lì ha fatto pochi chilometri ed è andato a caricare due bancali di vino. In seguito si è spostato a Verona per un altro carico e lì ha dormito. L’indomani ha caricato a Pastrengo e alle 12 a Bolzano. E solo a quel punto è passato in Austria e da lì in Germania.
«La stampa italiana ha già spiegato tutto – il fratello rincara la dose – se la Polizia avesse fatto il suo lavoro e non la stampa, la questione sarebbe stata già chiarita».
Anche se è difficile da credere, il fratello dice che Wolfgang Rieke non si sarebbe accorto di aver procurato lui l’incidente. In ogni caso, forse viziati dalle serie tivù da cui siamo bombardati, troviamo difficile capire. Possibile che un camion segnalato non sia stato rintracciabile nei suoi spostamenti nelle 24 ore successive all’incidente?
Al funerale di Rebellin sono state spese tante belle parole, cadute però nel vuotoAl funerale di Rebellin sono state spese tante belle parole, cadute però nel vuoto
La condanna indecente
Silvia ha una storia tutto sommato simile. Anche la donna che l’ha uccisa ha ritenuto opportuno rinnegare l’umanità e rifuggire qualsiasi forma di contatto con la famiglia Piccini, evitando persino di presentarsi alle udienze che hanno portato al patteggiamento. Lo stesso giudice lo ha fatto notare, ma la donna aveva il diritto di farlo e ne ha approfittato. Condanna a un anno e 4 mesi, sospensione della patente per tre anni e ugualmente un’annotazione sui social secondo cui il 2021 sarebbe stato un anno molto positivo.
A cosa serve aver istituito il reato di omicidio stradale se poi la punizione è così blanda? E mentre Riccardo Piccini raccontava scenari per nulla (purtroppo) sorprendenti sul fatto che magari certe sanzioni si possono anche aggirare perché tanto nessuno ti controlla, ci è venuta in mente la vicenda di Niccolò Bonifazio.
Il 12 luglio scorso, un’auto che marciava contromano investì e trascinò il corridore ligure. Solo che in questo caso l’investitore, un anziano delle sue parti, ha preso a chiamarlo e perseguitarlo. Nonostante il ritiro della patente, ha continuato a guidare. Finché, solo di recente è stato nuovamente fermato e la storia si è chiusa.
A cosa porterà l’incontro fra il presidente Dagnoni e il ministro Piantedosi? (foto Federciclismo)A cosa porterà l’incontro fra il presidente Dagnoni e il ministro Piantedosi? (foto Federciclismo)
Le foto ricordo
Giusto ieri, alla partenza della Green Fondo Paolo Bettini di Pomarance (foto di apertura), alla partenza faceva bella mostra di sé il cartello sul metro e mezzo da osservare al momento di sorpassare un ciclista. Ne abbiamo parlato molto ed è giusto continuare a farlo: Silvia Piccini non sarebbe morta, invece l’Audi che la uccise viaggiava a velocità troppo sostenuta e la agganciò per un pedale. Tutti i corridori, chi più e chi meno, hanno messo la faccia su iniziative simili. La loro Associazione ha apposto il proprio logo, ma le cose non cambiano. Il presidente federale Dagnoni ha incontrato il Ministro dell’Interno Piantedosi, poi sono state presentate delle proposte di riforma al Codice della Strada.
Servirebbe a qualcosa fermare o ritardare una tappa del Giro d’Italia in onore dei morti della strada, anziché per le avverse condizioni del meteo?
Nel 2021, anno della morte di Silvia Piccini, come pure oggi, i notiziari riportavano gli orrendi numeri dei femminicidi in Italia: 119 donne ammazzate, numeri da bollettino di guerra. Negli stessi 12 mesi i ciclisti ammazzati sulle strade sono stati invece 229, quasi il doppio. Peccato però che loro non facciano per nulla notizia.
Conci alla continental Alpecin, Fedeli vicino alla firma, mentre gli altri stringono i denti. Eppure nella gestione del caso Gazprom si vedono tanti buchi
Il Garmin, quasi un simbolo per il ciclista che utilizza questa parola per identificare un prodotto: una categoria, un ecosistema e sempre più lo si usa anche come strumento di supporto. Il computerino ed i suoi accessori diventano un valore aggiunto, che non azzera i rischi, ma può essere d’aiuto quando si tratta di sicurezza stradale.
Come utenti della strada, i ciclisti devono utilizzare tutto quello che la tecnologia gli mette a disposizione, per diminuire le variabili di pericolosità e per essere visibili, sempre, comunque e a lunga distanza.
Le versione RCT del Garmin Varia, con mini cam integrata registra filmati e immagini (foto Garmin)Le versione RCT del Garmin Varia, con mini cam integrata registra filmati e immagini (foto Garmin)
Garmin e luci sempre accese
La luce posteriore dovrebbe essere uno strumento dal quale non si può e non si deve prescindere. Aumenta la visibilità del ciclista e permette allo stesso all’automobilista di vedere il ciclista, che è mediamente più lento rispetto al traffico motorizzato. Lampeggiante oppure fissa, intermittente o personalizzabile nelle modalità, il led posteriore ha degli ingombri minimi che non infastidiscono neppure il più agonista dei ciclisti. Essere avvistati in lontananza ad 1,5 chilometri non è cosa da sottovalutare (lo strumento Varia Radar attira l’attenzione dell’automobilista anche oltre questa distanza). Capire che un veicolo (o una serie di veicoli in sequenza) giunge alle nostre spalle, senza per forza voltarci perdendo di vista la strada davanti a noi, è un altro dei fattori che contribuiscono a limitare le distrazioni. Acceso e configurato, il radar rileva fino ad 8 veicoli motorizzati che dovessero eventualmente sopraggiungere.
La strada è di diversi attori e tutti sono protagonisti. Talvolta non sono sufficienti il buon senso e l’educazione, perché le variabili in gioco sono diverse e la più importante è quella umana. Così come noi ciclisti abbiamo imparato a usare il device gps, il casco ed il power meter, perché non imparare ad usare le luci su strada quando usciamo ad allenarci? La tecnologia di oggi ci aiuta, sta a noi imparare a sfruttarne le potenzialità a nostro favore. Se poi vogliamo andare oltre e fare uno step aggiuntivo, allora una luce con la mini-cam integrata può offrire un ulteriore vantaggio (e può anche essere divertente). E in caso di sinistro ci può fornire un aiuto.
Radar attivo, display rosso e veicolo in avvicinamentoLuce verde, il veicolo è passato, ma anche l’allarme sonoro cattura la nostra attenzioneUn’immagine con risoluzione ottima, scattata con il Varia RCTUn aiuto per il ciclista, ma anche per le auto quando le strade sono strette. Il ciclista è visibile da lontanoRadar attivo, display rosso e veicolo in avvicinamentoLuce verde, il veicolo è passato, ma anche l’allarme sonoro cattura la nostra attenzioneUn’immagine con risoluzione ottima, scattata con il Varia RCTUn aiuto per il ciclista, ma anche per le auto quando le strade sono strette. Il ciclista è visibile da lontano
Come un salvavita
L’ecosistema, che poi è quello di Garmin ed è una grande famiglia di strumenti tutti connessi tra loro, ci permette inoltre di comprendere quanto la connessione tra i vari strumenti porti dei vantaggi. Il radar posteriore è acceso e comunica con il device che avvisa quando un veicolo è in avvicinamento. La luce lampeggia e la mini-cam si attiva in loop e registra dei brevi filmati e immagini.
La funzione di rilevamento incidente è in modalità on, così a casa stanno più tranquilli. Si attiva quando viene rilevata un’avaria e ai contatti pre-impostati viene inviata la propria posizione, all’istante. Questa permette a chi è dall’altra parte di vedere esattamente dove siamo, con una risoluzione degna di nota. Il tutto avviene con un semplice messaggio.
Una luce come quella del Garmin Varia, viene notata ad oltre 1000 metri di distanzaPer chi usa il telefonino come bike device, la app Varia allarga la compatibilità di utilizzoUna luce come quella del Garmin Varia, viene notata ad oltre 1000 metri di distanzaPer chi usa il telefonino come bike device, la app Varia allarga la compatibilità di utilizzo
In conclusione
Diminuire le variabili negative che si generano inevitabilmente quando siamo sulla strada e la stessa sicurezza stradale vanno ben oltre l’utilizzo di un prodotto Garmin. Ma è pur vero che se questo stesso dispositivo mi rende visibile e mi asseconda nell’attività outdoor, ben venga tutto quello che la tecnologia è in grado di offrire.
L’Italia si tinge di giallo. Toscana, Emilia Romagna e Piemonte si sono unite come i moschettieri per infilzare l’obiettivo che tutto lo Stivale inseguiva da sempre: la Grand Départ del Tour de France. L’ultima tappa delle presentazioni sul nostro territorio è stata quella a Palazzo Madama di Torino. Prima della conferenza organizzata dalla Regione Piemonte per illustrare la terza frazione del 1° luglio 2024, abbiamo incontrato il direttore generale della Grande Boucle, Christian Prudhomme per una chiacchierata a tutto tondo sul mondo delle due ruote.
L’intervista con Prudhomme si è svolta alla vigila della presentazione torinese del Tour 2024 (foto Umberto Zollo)L’intervista con Prudhomme si è svolta alla vigila della presentazione torinese del Tour 2024 (foto Umberto Zollo)
Come nasce quest’omaggio storico per l’Italia e per tutto il suo ciclismo?
Era da tantissimo tempo che volevamo fare la Grand Départ dall’Italia. Mi sembra davvero pazzesco che non sia accaduto prima, ma le tessere del puzzle non si erano mai incastrate.
Quanto è stata importante la spinta delle regioni per raggiungere questo traguardo?
Toscana, Emilia Romagna e Piemonte sono state brave a fare squadra, così come le città, a cominciare da Firenze, da cui scatterà la prima tappa. Hanno fatto un po’ come i moschettieri: uno per tutti, tutti per uno, ed è stata la ricetta vincente perché il Tour partisse dall’Italia. Volevamo omaggiare i campioni che hanno scritto pagine indelebili del ciclismo mondiale come Bartali, Coppi, Pantani, a 100 anni dalla prima vittoria italiana (Bottecchia nel 1924, ndr). Siamo contentissimi di questa opportunità, non vediamo l’ora di valorizzare il magnifico paesaggio del vostro Paese. Da luoghi che sono patrimonio dell’Unesco come il centro storico di Firenze, le arcate di Bologne, i paesaggi vinicoli del Piemonte con vini di grandissima qualità. Non vedo l’ora di scoprire questi posti splendidi.
Nel 2023 la Spagna, nel 2024 l’Italia: il Tour abbraccia gli altri due Paesi dei grandi giri in un momento in cui il mondo è diviso dalle guerre.
Lo sport permette di avvicinarsi alla gente. Il ciclismo più di tutti gli altri perché attraversa le città e i paesini che si trovano sul percorso delle sue competizioni.
Dopo le presentazioni di Firenze e Bologna, in platea anche Davide Cassani (foto Umberto Zollo)Dopo le presentazioni di Firenze e Bologna, in platea anche Davide Cassani (foto Umberto Zollo)
L’anno prossimo, il tracciato strizza l’occhio agli scalatori: corretto?
Il Tour è sempre per scalatori, poi magari l’anno prossimo ci sarà la sfida tra un grimpeur puro e un passista, come accadde in passato con il duello tra Bahamontes e Anquetil. Al giorno d’oggi però non ci sono differenze così marcate tra scalatori e passisti, ma ci siamo ritrovati una generazione di fenomeni straordinari, che attaccano da lontano, che animano la corsa e la rendono entusiasmante per tutti.
Che ciclismo ci aspetta dopo i ritiri di due monumenti come Nibali e Valverde?
Il Tour dello scorso anno è stato magnifico. Pogacar era il super favorito e non ha vinto, ma è stato grandioso nella sua sconfitta. Non ha mai mollato, attaccando persino sui Campi Elisi. Vingegaard è stato straordinario.Ha ottenuto una splendida vittoria sul Granon, grazie all’aiuto della sua squadra, la Jumbo Visma. Sono stati capaci di accerchiare Pogacar e di regalarci quella che, a mio parere, è stata la tappa più bella degli ultimi trent’anni. Sono sicuro che ci aspettano altre annate splendide, sia nel 2023 sia nel 2024 quando si partirà dall’Italia.
Il percorso della corsa su strada dell’Olimpiade di Parigi 2024 sarà nelle vostre mani?
Noi presteremo soltanto i nostri servizi e faremo il lavoro che ci chiederanno di fare, ma non siamo noi a scegliere il percorso. Offriremo soltanto la nostra esperienza sotto l’aspetto tecnico, anche perché non capita tutti i giorni di avere i Giochi in casa a Parigi.
Il Tour de France del 2022 è stato magnifico, per la resa di Pogacar sul Granon e i suoi successivi tentativi di recuperareIl Tour de France del 2022 è stato magnifico, per la resa di Pogacar sul Granon e i suoi tentativi di recuperare
Negli stessi giorni si sono celebrati anche i funerali di Davide Rebellin, omaggiato dalla platea di Palazzo Madama con un minuto di silenzio. Che segno ha lasciato quest’ennesima tragedia?
E’ stato drammatico e l’Italia continua a pagare un dazio enorme. Il pensiero vola sempre anche a Michele Scarponi, che ci ha lasciato qualche anno fa. Non soltanto in Italia, ma in tutti gli altri Paesi del mondo devono fare attenzione a chi va in bicicletta. Chi va in bici, uomo o donna, non ha nessuna protezione. Mi sembra pazzesco pensare che il lunedì sera ho stretto la mano a Davide Rebellin a Monaco e tre giorni dopo lui non c’era più. Il Tour de France continuerà a lavorare affinché non si ripetano queste tragedie, per noi che porteremo sempre nel cuore il ricordo di Fabio Casartelli. C’è un messaggio che deve passare e ne abbiamo parlato di recente a Monaco con Matteo Trentin, perché bisogna far qualcosa per la sicurezza stradale. Al Tour lavoriamo molto su questo tema, mentre ai villaggi di partenza cerchiamo di lanciare un messaggio per la sicurezza quotidiana: la strada si condivide.
Il giorno prima di Torino, presentazione a Bologna. Qui Bonaccini, Prudhomme e Nardella, sindaco di FirenzeIl giorno prima di Torino, presentazione a Bologna. Qui Bonaccini, Prudhomme e Nardella, sindaco di Firenze
Tour de Femmes avec Zwift: soddisfatto dei riscontri ottenuti?
E’ stato davvero magnifico avere mezzo mondo a bordo strada, l’interesse delle televisioni, la direzione formidabile di corsa da parte di Marion Rousse. Poi, una corsa spettacolare con le olandesi Annemiek Van Vleuten e Marianne Vos sugli scudi. Non è stato un rilancio soltanto per catturare audience televisiva, ma per riportare pubblico a vedere le corse dal vivo. E’ stato bellissimo vedere tante piccole bambine che si immedesimavano nelle campionesse odierne pensando: “Domani potrei esserci io al suo posto”. Proprio come è accaduto per tanti anni in Italia tutte le volte che si vedeva passare un fuoriclasse come Nibali. Chissà che ora non capiti lo stesso con Marta Cavalli come modello per le più piccine. E’ un cambiamento epocale.
Il ciclismo è in continua evoluzione. Si è parlato moltissimo dei ciclisti esplosi con Zwift come Jay Vine, due tappe vinte alla Vuelta 2022: pensieri?
Ci sono tantissimi giovani che sgomitano. Non tutti sono Coppi o Gimondi, esplosi prestissimo e capaci di vincere il Tour in giovanissima età. Ora il movimento è su scala globale e propone atleti che arrivano al top utilizzando anche metodologie differenti da quelle canoniche, come il caso di Zwift. Corridori magari nati sui rulli, ma poi dimostratisi fortissimi anche su strada: dunque, le carte si sono mescolate. Ciò è un bene e rende ancora più interessante il nostro sport.
Prudhomme ha portato in omaggio anche una maglia gialla (foto Umberto Zollo)Prudhomme ha portato in omaggio anche una maglia gialla (foto Umberto Zollo)
Qualche suggestione per il futuro del Tour?
La corsa la fanno i corridori, per cui non è vero che dipende tutto dal percorso. Questa generazione di fenomeni, ad esempio, utilizza il percorso in maniera migliore rispetto alla precedente e questo diverte i più giovani. Tra gli utenti che hanno seguito il Tour, la seconda fascia più numerosa comprendeva i telespettatori di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Avere nuovo pubblico che segue il Tour de France per noi è una notizia splendida, grazie anche all’imprevedibilità di corridori alla Van Aert o Van der Poel.
Come procede la lotta al doping?
La battaglia contro chi bara non riguarda soltanto il mondo dello sport. Abbiamo lavorato tantissimo con l’Uci e con le squadre, soprattutto durante la pandemia ed è stato fondamentale questo lavoro corale, perché se non l’avessimo fatto, ci sarebbero stati dei passi indietro fatali. Con il Covid ci siamo ritrovati tutti sulla stessa barca e abbiamo capito l’importanza di muoverci insieme per il bene del ciclismo.
Il piano di Vingegaard consisteva nel far stancare Pogacar, evitando fuori giri e tenendolo nel mirino. Alessandro Vanotti ne è convinto e spiega perché
Il nuovo Garmin Edge 1040 Solar si dimostra un device completo e funzionale, non un semplice giocattolo, ma uno strumento di lavoro con un’autonomia “perpetua”. L’ultima versione del Varia invece integra una videocamera ed è un utile supporto nell’ambito della sicurezza stradale.
Insieme fanno parte dell’ecosistema Garmin, sempre più completo, facile da sfruttare e che si aggiorna in maniera costante.
Schermo grande, ma impatto frontale molto risicato
La luce, visibile a parecchi metri di distanza
Schermo grande, ma impatto frontale molto risicato
La luce, visibile a parecchi metri di distanza
Il binomio Garmin non conosce ostacoli
Il device è una sorta di icona del ciclismo moderno, al pari del power meter. “Il Garmin”, non è solo il nome del dispositivo, ma identifica una categoria di prodotti che diventano dei compagni di viaggio. Con il bike computer oggi si fa tutto: si controlla l’attività in bici, si utilizzano le funzioni mappali e ci si connette con il telefonino. Si creano dei gruppi di uscita dove nessuno (a meno che non lo voglia) è lasciato per strada (il riferimento è diretto alla funzione Group Track). Il device diventa di fatto anche uno strumento social. Il cumputerino può essere una distrazione, oppure uno strumento di prevenzione, tenendo ben presente che dipende sempre da come viene utilizzato.
La luce posteriore invece non è ancora entrata in modo ufficiale nella testa del ciclista, anche se i numeri ci dicono di un buon incremento di utilizzo. Non è considerata fondamentale soprattutto nei paesi latini, mentre nelle nazioni del centro e nord Europa è uno strumento utilizzato al pari del casco. La luce posteriore non è solo utile per essere visti, ma cattura l’attenzione dell’automobilista (o chi per esso) anche a centinaia di metri di distanza.
I due accessori messi insieme offrono dei vantaggi notevoli, soprattutto per quanto concerne la sicurezza, la prevenzione e diventano un potente deterrente.
La configurazione con la app specifica Varia
Un’immagine dalla cam posteriore
La configurazione con la app specifica Varia
Un’immagine dalla cam posteriore
Edge 1040 Solar, non finisce mai
Potremmo star qui delle ore a descrivere ed argomentare le decine di funzioni, che diventano centinaia se calcoliamo anche le tante possibilità di incrociare i dati forniti. Molte di queste sono mutuate dalle versioni precedenti, altre sono state migliorate ed aggiornate, alcune sono nuove. E poi c’è anche una app rinnovata e più ricca. Con quest’ultima e tramite il telefonino, ora è possibile modificare direttamente le schermate e di conseguenza i campi dati; quindi anche quando siamo in movimento e abbiamo necessità di customizzare uno o più dati.
Il gancio ora è in alluminio. E’ più robusto, se messo a confronto con il passato e offre la stessa interfaccia di alimentazione, ad esempio con una luce frontale montata sotto il supporto.
La funzione Solar, un valore aggiunto non da poco e per nulla banale, che si apprezza quando si sfrutta il Garmin al pieno delle sue potenzialità (infinite). Alcuni dati rendono l’idea del prodotto: con cinque sensori abbinati e accesi (power meter, sensore velocità e fascia cardio, Varia RCT e telefonino), in una giornata limpida e con un buon soleggiamento, dopo oltre 2 ore di attività l’Edge Solar ha consumato il 6% di batteria. Tradotto: abbiamo risparmiato più del 30% di autonomia standard ogni ora. Inoltre, se il dispositivo è spento e viene lasciato al sole, accumula energia utile ad aumentare l’autonomia.
La porta d’ingresso per la ricarica con USB C
La mappa, facile da controllare e da vedere
Schermo anti pioggia e cage di protezione ai lati
Lo schermo è touchscreen
La porta d’ingresso per la ricarica con USB C
La mappa, facile da controllare e da vedere
Schermo anti pioggia e cage di protezione ai lati
Lo schermo è touchscreen
I vantaggi
La funzione Solar limita il collegamento della batteria alla rete domestica. L’Edge 1040 Solar è un gran strumento in ottica endurance, bikepacking e viaggi in bici. Ha uno schermo grande e non è un peso piuma, ma quando c’è da guardare la mappa in movimento, da zommare e osservare i dettagli, tutto è più facile.
Grazie alla nuova app e alle funzioni di valutazione del training (pre, durante e post), il sistema è al pari di un virtual trainer di buon livello.
La schermata che aiuta ad analizzare il volume dell’allenamento e i progressi
Ogni uscita contribuisce a valutare il training load progressivo
Il primo screen dopo l’accensione
La traccia del consumo, utile per valutare il recupero
La schermata che aiuta ad analizzare il volume dell’allenamento e i progressi
Ogni uscita contribuisce a valutare il training load progressivo
Il primo screen dopo l’accensione
La traccia del consumo, utile per valutare il recupero
Le funzioni Power Guide e Stamina
La prima in particolare, che permette di avere un polso maggiore di come gestire la propria uscita, magari il classico allenamento di distanza dove vengono inserite delle ripetute. Oppure una gara endurance, dove la gestione dell’autonomia e il rispetto dei propri valori di soglia diventano fondamentali ai fini della qualità della performance.
Stamina invece dà l’idea di quanta energia stiamo consumando per mantenere il nostro motore a regime. Questo valore, combinato in modo corretto (per corretto intendiamo l’essere a conoscenza del consumo calorico che rientra nel range ottimale e soggettivo) con il consumo di calorie, diventa uno strumento eccellente, per capire quanta benzina abbiamo nelle gambe, quando alimentarsi durante l’attività e anche per migliorare il recupero.
Inoltre, queste due funzioni, combinate tra loro e con i diversi sensori esterni (power meter e fascia cardio), aumentano la qualità della valutazione dei carichi di lavoro, quelli esterni e quelli interni. I primi relativi principalmente al misuratore di potenza, i secondi connessi alla frequenza cardiaca.
Il Varia RCT visto lateralmente
L’aggancio ad un seat-post largo e con lati differenziati
Varia Radar RCT (a sinistra) vs Varia Radar
Il Varia RCT visto lateralmente
L’aggancio ad un seat-post largo e con lati differenziati
Varia Radar RCT (a sinistra) vs Varia Radar
Garmin Varia RCT
Rispetto al sensore Varia Radar tradizionale, la versione RCT con telecamera integrata è più spessa ed ha un ingombro maggiore. C’è sempre la luce e le sue modalità sono customizzabili. La memoria della telecamera è gestita da una MicroSD (compresa quella da 16gb), per video e foto; anche in questo caso le funzioni sono modulabili.
A cosa può servire una cam posteriore? Un occhio in più non guasta di certo, anche se, gli eventuali filmati ed immagini vengono immagazzinati e rivisti in un secondo momento. E può anche essere divertente rivedere alcuni video dopo l’uscita. Abbinata alla luce ed al radar, evita di girarsi indietro quando si pedala e aiuta a rimanere concentrati sulla strada.
Con la app, ma il controllo avviene anche tramite deviceCon la app, ma il controllo avviene anche tramite device
App Varia per smartphone
E’ l’applicazione che gestisce direttamente il dispositivo Varia Radar con la telecamera (quest’ultima ha una visuale di 220° al pari di un obiettivo fisheye). Da qui si può controllare e personalizzare l’obiettivo, il radar (questa funzione si aggiunge e completa l’interfaccia radar con il Garmin), trasferisce i video e le immagini.
A nostro parere è molto interessante la modalità/funzione che attiva automaticamente la cam insieme al radar; ad esempio quando si avvicina un veicolo e rimane spenta quando il retro è libero. Per chi utilizza il verbo delle action-cam e delle app dedicate, è una sorta di app paragonabile alla famiglia Quick.
Il supporto specifico per l’utilizzo off-roadIl supporto specifico per l’utilizzo off-road
In conclusione
La luce e il radar sono strumenti dai quali non si dovrebbe prescindere, davvero importanti ai fini della sicurezzapersonale e utile anche a chi sopraggiunge da dietro. Il led posteriore stimola l’attenzione e permette di essere visti da lontano e oggi lo stesso traffico motorizzato condiziona in maniera negativa anche gli automobilisti. Garmin Varia Radar fa parte della sicurezza attiva che può sfruttare il ciclista e l’integrazione della cam può aiutare nel caso di incidente, magari ai fini assicurativi.
L’Edge 1040 Solar strizza l’occhio alle attività di lungo raggio, endurance e non solo, turismo e viaggio. Ha uno schermo grande, ampio e pienamente sfruttabile, con tanti campi e schermate da usare. Il dispositivo è comodo e facile da usare, molto diretto ed intuitivo. Proprio questa intuitività, mutuata anche per aggiornare la app Garmin Connect, gli permette di capire al volo anche le funzioni legate alla valutazione della performance, talvolta piene di numeri da interpretare.
Un altro passo in avanti è stato fatto nelle analisi dello stato di forma all’interno del workout, fattore che a nostro parere dovrebbe ricoprire il secondo gradino del podio, subito dopo la programmazione del training e dell’uscita. E poi non dobbiamo dimenticare che l’Edge 1040 Solar può anche essere utilizzato come un semplice bike computer gps con schermo touch.
Un libro dedicato a Michele attraverso gli scritti di 55 persone del mondo del ciclismo, musicisti, suiveur e scrittori che l’hanno conosciuto. Così Marco Scarponi ha inteso ancora una volta ricordare suo fratello, affidando la redazione a Marco Pastonesi.
Quando ci è arrivato, avendone scritto un capitolo, abbiamo iniziato a leggerlo, rivivendo episodi di cui siamo stati testimoni e scoprendo sfumature inedite. E qui è scattata la curiosità: Marco Scarponi avrà imparato qualcosa di nuovo su suo fratello? Glielo abbiamo chiesto.
Con questo libro curato da Marco Pastonesi, la Fondazione Michele Scarponi ricorda il campioneCon questo libro curato da Marco Pastonesi, la Fondazione Michele Scarponi ricorda il campione
«Immaginavo e ho avuto la conferma – dice – che Michele comunque è sempre stato ed è una grande anima. Quindi dovunque si trovasse, dovunque si trovi porta sempre una bellissima atmosfera. Ma soprattutto ho scoperto che ha fatto delle cose stupende, dei gesti bellissimi. Il piede a terra che ha messo nel Giro del 2016 è stato solo l’apice di tanti gesti che lui ha fatto nella sua vita. Gesti di solidarietà, di amicizia, di bellezza. Quindi tramite questo libro, ne ho scoperti altri, ma tanti altri nel libro neanche ci sono».
Era amico di tutti…
Da queste pagine emerge il grande senso di Michele per l’amicizia. Il piacere di stare insieme agli altri. Già l’amicizia che ha con Luis Matè, oppure il rapporto che ha con tutti i direttori sportivi. E poi emerge tantissimo, secondo me, il suo lato sensibile. Michele in fondo è sempre stato visto come uno che scherza e basta, in realtà è una persona molto intelligente e molto sensibile.
Fai un esempio?
C’è un racconto di Davide Marta. Parla di quando lui riprende al Giro dell’Appenninodopo la squalifica. E lì si vede tutta la grande intensità di Michele, tutta la sua serietà e la grande voglia di ritornare a correre. Michele era molto concentrato, era molto serio su quello che faceva. Poi anche il racconto di Paolo Condò, ad esempio, quando parla della sconfitta contro Contador sull’Etna.
Nel 2011 sull’Etna, lottò contro Contador senza pensare mai di arrendersiNel 2011 sull’Etna, lottò contro Contador senza pensare mai di arrendersi
Cosa dice?
C’è un pezzetto in cui Michele, anche senza parlare, con quell’azione lì ci ha detto tante cose e ha fatto vedere quanto fosse grande in quello che faceva, anche nella sconfitta. «Un uomo che faceva i conti con se stesso, stremato oltre ogni limite eppure testardamente riottoso alla resa».
Ti aiuta averlo accanto?
Tantissimo. Sono passati quasi 5 anni e non è facile portare avanti il messaggio di qualcuno che non c’è più. Per me è un po’ più facile, perché Michele ha lasciato tantissimo. E’ ancora un testimonial importante per tutto quello che facciamo. A volte mi chiedono di cercare qualcuno da affiancargli, ma che senso ha? Quando vado nelle scuole, parlo coi bambini. Racconto la storia di Michele, arrivando fino alla morte. Prima gli faccio vedere le immagini e Michele diventa subito un protagonista che dà ancora tantissimo e loro se ne innamorano. In quello che faccio con la Fondazione, lui ci indica la strada.
Che cosa ha dato il ciclismo a Michele?
Noi ci diciamo sempre che il ciclismo l’ha salvato da una vita che poteva essere diversa. Nel senso che quando scelse di fare il ciclismo a 16-17 anni, quando decise di lasciare la scuola per seguire il suo sogno di fare il ciclista, ebbene lui lì ha messo tutto se stesso. Il ciclismo lo ha messo in condizione di esprimersi. Di tirare fuori tutto quello che aveva dentro. Non c’era un altro sport, dal mio punto di vista, che Michele potesse fare per rappresentare quello che sentiva. Noi non siamo una famiglia di ciclisti e lo sapete che spesso i ciclisti vengono da genitori già ciclisti, da nonni ciclisti.
Colle dell’Agnello al Giro del 2016, dopo la discesa Scarponi si fermerà ad aspettare NibaliColle dell’Agnello al Giro del 2016, dopo la discesa Scarponi si fermerà ad aspettare Nibali
Mentre voi?
Nella nostra famiglia non ci sono stati ciclisti, eravamo tifosi. Eravamo contadini e muratori di qui intorno, ma eravamo anche dei ciclisti e non lo sapevamo. Quindi l’unico modo per raccontare la nostra famiglia e quello che c’era dentro Michele, era fare il ciclista.
Che cosa gli ha tolto il ciclismo?
Il ciclismo gli ha dato tanto, mentre gli ha dato molto meno non mandando messaggi come quello della sicurezza stradale. In tutte le squadre in cui è stato non ho mai visto un minimo di attenzione su questo. Ecco, questo è sorprendente, il solo dito che mi sento di puntare. Io sono entrato nel mondo del ciclismo con Michele, ma in maniera più diretta dopo la sua morte. Magari è difficile avvicinarsi a una famiglia come la nostra dopo quello che abbiamo vissuto. Molti lo stanno facendo adesso e io magari dopo un mese che era morto Michele mi chiedevo perché non si facesse sentire nessuno.
Che risposta ti sei dato?
Mi rendo conto che ci vuole tempo e molte persone fanno fatica. Spesso è capitato anche a me di andare da famiglie di vittime della strada e ho capito che non serve a niente andarci subito e che ci vuole il giusto tempo. Dal ciclismo mi aspettavo tanto, ma adesso mi aspetto un po’ meno.
Non passa corsa dal quell’aprile 2017, senza che sulla strada un cartello ricordi MicheleNon passa corsa dal quell’aprile 2017, senza che sulla strada un cartello ricordi Michele
Cosa ti aspettavi?
Mi aspettavo molto di più da qualcuno, certo. Però mi rendo conto che non siamo tutti uguali. Me ne faccio una ragione. Dopo quello che è successo, mi sarebbe piaciuto che si fossero un po’ tutti coalizzati e fermati. Perché è morto uno di noi. Qui invece non ci si ferma per niente. Lo sport deve continuare, come lo show…
Tu però vai avanti…
Io capisco che magari la mia figura a volte possa essere ingombrante o fastidiosa, però mi aspetterei più coinvolgimento. Ma si fa fatica, siamo sempre un po’ egoisti. Adesso stiamo cercando di mettere in piedi una scuola di ciclismo per bambini e tutti ne sono entusiasti. Poi ti volti e intorno non c’è nessuno che ti aiuti, mentre se c’è da fare una gran fondo sono tutti pronti.
La sicurezza stradale…
Anche se facciamo delle riforme, cadono nel vuoto e questa cosa è impressionante. In Italia vale il detto di Verga, che tutto cambia affinché non cambi nulla. In questi giorni si è parlato tanto delle morti degli studenti nell’alternanza scuola-lavoro, ma della sicurezza stradale non si parla. Nel suo primo settennato, il Presidente della Repubblica Mattarella non ha mai parlato delle morti sulla strada, eppure si parla di migliaia di giovani. Dicono che non ci sono abbastanza Forze dell’Ordine per far rispettare il codice della Strada, eppure per rincorrere la gente che durante il lockdown andava a camminare sulla spiaggia le hanno trovate.
Dietro quel sorriso bislacco, c’erano i pensieri di un uomo profondo e buonoDietro quel sorriso bislacco, c’erano i pensieri di un uomo profondo e buono
All’estero si danno da fare…
In Inghilterra quel principio che c’è nel nostro slogan, per cui la strada è di tutti a partire dal più fragile, è diventato un principio che sta dentro il codice della strada. E’ vero che sulla strada dobbiamo tutti rispettare le regole, però è innegabile che l’automobilista abbia più potere e caratteristiche tecnologiche tali da renderlo più pericoloso. Non sono opinioni, è fisica. Ma da noi sembrano discorsi insostenibili. Evidentemente ci sono degli interessi troppo superiori…
In cosa Michele e Marco si somigliano?
Io rispetto a lui sono stato sempre indeciso, Michele era più determinato. Mio fratello sapeva quello che voleva e se lo andava a prendere. Michele era uno che sapeva fare le salite e ci ha detto: «Guardate, le salite si fanno così. Si deve fare fatica». E’ stato sempre deciso, io non sono stato mai così, io sono uno che rimanda. Però dopo la sua morte, in certo senso lo prendo un po’ come esempio e cerco di mettermi nella sua scia. E poi…
E poi?
Ho la stessa caratteristica di sdrammatizzare, di fare come lui, di buttarla un po’ in burla. Piace molto anche a me questo modo di fare, quella risata di Michele spesso simile alla mia. Però entrambi probabilmente veniamo però da un momento ben preciso, che è quello di sognare tanto. Siamo grandi sognatori e a tutti e due piace fare qualcosa, non semplicemente partecipare senza motivo. E poi non so quante altre cose ci accomunano e quante ci tengono distanti, è tutta da scoprire ancora ‘sta roba.
Marco Scarponi, sul podio della Tirreno-Adriatico 2019, con LutsenkoMarco Scarponi, sul podio della Tirreno-Adriatico 2019, con Lutsenko
Ti sei reso conto che per tutto il tempo hai parlato di Michele al presente?
Io sono un familiare, ho perso un fratello. Quindi dovete capire che sono traumatizzato all’infinito e quindi per fare sì che questo per me sia una fonte di energia e un valore, devo essere convinto che Michele sia qui. Anche se so che probabilmente non è così ed è tutta una proiezione che ci facciamo noi vivi. Però il fatto di dire e pensare costantemente che Michele sia qui e viva in quello che sto cercando di fare, per me è la soluzione per andare avanti.
Incontro a sorpresa e conoscenza reciproca fra Aru e Baroncini a #NoiConVoi2021, pedalata di solidarietà sulle strade dei Sibillini. Che cosa si sono detti?
Non si parla mai abbastanza dei temi legati alla sicurezza stradale. Davide Ballerini e Gianni Moscon argomentano i loro punti di vista e ci danno qualche indicazione utile sui sistemi attivi che possono utilizzare i ciclisti
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Quando si parla e si scrive di sicurezza, i temi sono numerosi e non sono sufficienti le ore del giorno per argomentare quanto sarebbe necessario. La sicurezza stradale è un macrotema e non è solo quella del ciclista e del “traffico lento” (la bicicletta ne fa parte), ma è questione di educazione e di relazione. Se è vero che non si possono azzerare i rischi, è altrettanto giusto scrivere che spetta anche al ciclista utilizzare alcuni strumenti che diventano una sorta di deterrente.
Sin dagli anni nel Team Bahrain, Nibali è stato uno dei primi testimonial di Garmin Varia per il progetto sicurezza stradale (foto Instagram)Sin dagli anni nel Team Bahrain, Nibali è stato testimonial di Garmin Varia (foto Instagram)
Le luci ad esempio, che a tutti gli effetti sono un sistema di sicurezza attivo. Oppure sfruttare la tecnologia radar che oggi è disponibile. Abbiamo fatto una chiacchierata con Davide Ballerini e rubato qualche minuto a Gianni Moscon, impegnato nel ritiro dell’Astana, ricordando che Vincenzo Nibali fu uno dei primi testimonial della campagna di sicurezza promossa da Garmin e ancora oggi si spende in varie iniziative sul tema.
Davide, utilizzi il sistema Garmin Varia Radar, pensando alla sicurezza?
Sì, lo utilizzo e non solo perché è sponsor del team. E’ un’abitudine che ho preso e che ho fatto mia, faccio fatica ad uscire in bici ad allenarmi e non avere con me il sistema Garmin.Uso il computerino, la luce e anche la funzione radar. Quest’ultima la personalizzo in base alle situazioni.
Davide Ballerini, utilizzatore del sistema completo Varia Radar di Garmin (foto QuickStep- Alpha Vinyl)Davide Ballerini, utilizzatore del sistema completo Varia Radar di Garmin (foto QuickStep- Alpha Vinyl)
Spiegaci meglio.
Quando mi alleno da solo, utilizzo principalmente la luce, quella la uso da sempre e la tengo accesa costantemente.Quando sono in compagnia, magari con altri 3 o 4 compagni di allenamento, preferisco attivare anche la funzione radar. Sapere che c’è un veicolo in arrivo alle spalle e non doversi voltare! Non è poca cosa. Inevitabilmente e comunque in base alle strade, procediamo in coppia e avere uno strumento che mi avvisa quando arrivano le macchine, è qualcosa che mi infonde una maggiore sicurezza. Diciamo che c’è da considerare anche un fattore ambientale, ovvero dove ci si allena e quanto traffico c’è. Ma vi posso dire che non di rado, anche in zone più tranquille, lo uso al massimo delle potenzialità, magari silenziando l’acustica. Adeguo le sue funzioni.
E’ la prima volta, oppure in passato avevi usato qualcosa del genere?
Le luci le ho sempre utilizzate, mentre il radar è la prima volta. L’avevo già notato tempo addietro, mi aveva incuriosito e mi erano piaciuti il funzionamento, l’approccio, la semplicità di utilizzo e anche l’ingombro ridotto. Mi sono reso conto da subito che era qualcosa di estremamente utile e neguadagno in sicurezza.
Anche il Team Astana Qazaqstan è supportato da Garmin. I corridori utilizzano la luce ed il radar in allenamento (foto Garmin)Anche il Team Astana Qazaqstan è supportato da Garmin (foto Garmin)
In tema di sicurezza, noti delle differenze tra Italia ed estero?
Posso dire che non c’è una differenza sostanziale, tra l’Italia e le altre Nazioni. La situazione perfetta non esiste. Volendo fare un esempio: in Belgio ci sono più ciclabili e sono tutte molto belle, ma è anche vero che è pieno di trattori e bisogna fare molta attenzione. Credo sia più che altro una questione di cultura ed educazione, ma anche di tolleranza. La strada è di tutti, noi ciclisti dobbiamo prestare attenzione e rispettarne il codice. E dobbiamo imparare ad utilizzare gli strumenti che aumentano il grado di sicurezza. Vedo ancora qualche appassionato in giro senza casco… Non va bene!».
E’ possibile fare di più a tuo parere, sempre in tema di sicurezza? Da dove si potrebbe cominciare?
Sì, si può fare di più! Non è mai abbastanza, io parto sempre da questo presupposto. Credo che ad oggi non sia mai stata fatta una campagna di sensibilizzazione vera e propria, con il soggetto della sicurezza stradale. Una buona soluzione sarebbe quella di partire dalle scuole e dai più giovani. Partire dalla cultura e sviluppare un senso di coerenza, aspetti fondamentali. E poi il buon senso da parte di tutti gli attori della strada. E’ bello vedere i cartelli che indicano la distanza di 1,5 metri: quella che la macchina dovrebbe tenere.Ma noi ciclisti dobbiamo essere coscienti che talvolta percorriamo strade che in totale sono larghe un metro e mezzo! E quindi, chi ha ragione? Anche l’educazione e il senso civico aiutano e non poco».
Il design dei prodotti non è fastidioso ed ingombrante, si integra perfettamente ai componenti della bici (foto Garmin)Il design dei prodotti si integra perfettamente ai componenti della bici (foto Garmin)
Il punto con Moscon
«Da quando uso il pacchetto Garmin Varia – dice il trentino dell’Astana Qazaqstan – mi sento decisamente più sicuro, prima di tutto visibile. Voglio dire, visto che anche io sono automobilista, che a volte è difficile vedere i ciclisti e per questo è un sistema che consiglio a prescindere. Utilizzando la luce si diventa visibili anche a distanza e vieni notato con un anticipo maggiore. Il radar invece è uno strumento che completa l’aspetto sicurezza e ti permette di stare più attento, anticipando anche le eventuali mosse dell’automobilista».
Quando siamo seduti sul divano e apprezziamo le gesta dei corridori, diamo per scontato tutto quello che sta attorno e che fa funzionare questo fantastico sport. Dietro a una Parigi-Roubaix di Colbrelli o ad un titolo europeo ci sono figure che gestiscono tutto quello che sta prima, durante e dopo la corsa. Il direttore di corsa e l’organizzatore fanno parte dei mille occhi che devono garantire la sicurezza e la riuscita di un evento. Un’orchestra di interpreti composta da innumerevoli collaboratori disseminati sul percorso e coordinati da un direttore d’orchestra. Raffaele Babini è tra questi una delle figure più affermate nel panorama nazionale e internazionale. Fa parte del team di RCS da quindici anni e vanta la direzione di corse tra le più importanti al mondo come Giro d’Italia, Milano-Sanremo, europei di Trento, mondiali di Imola e molte altre.
Tra tutte le esperienze che ha vissuto ci sono anche eventi tragici come quello del 9 maggio 2011. «La morte di Weylandt, l’ho vissuta da vicino ed è stata straziante. Per una piccola distrazione abbiamo perso un corridore che oggi potrebbe essere qui. A volte mi lascio prendere dall’enfasi e da quello che può essere determinante per la vita dei corridori». Questo fa capire quanto la sicurezza durante una corsa sia importante e quanti siano gli aspetti su cui ci si debba soffermare.
Raffaele Babini al Giro d’Italia under 23 insieme a Fabio Vegni (foto di ExtraGiro)Raffaele Babini al Giro d’Italia under 23 insieme a Fabio Vegni (foto di ExtraGiro)
Quanto è importante essere organizzatore e direttore di corsa?
E’ un po’ il il mio pallino, credo che fare la direzione di corsa voglia dire conoscere nel dettaglio l’impianto organizzativo. Aver gestito in toto gli europei di settembre a Trento è stata una grande sfida in cui ho dovuto assumere l’impegno e curare tutti i dettagli che sono dietro all’organizzazione, non solamente per i percorsi, questi vengono dopo, ma tutto l’impianto strutturale. A partire dagli hotel che ospitano, dall’accoglienza, alla partenza, al percorso e il dopo gara. Per quanto riguarda i ruoli, sono tutti importanti dentro all’organizzazione. Per arrivare ad avere un risultato globale ottimale degno di un grande evento sotto ogni profilo.
Parliamo di sicurezza, come si gestiscono le responsabilità?
La pianificazione credo che sia tutto. Il nostro ruolo oggi più che mai ha assunto, dalle modifiche dal disciplinare tecnico a pieno titolo, la responsabilità totale da parte del Ministero come direzione di corsa. Ed è l’unico che si interfaccia per quanto riguarda la sicurezza non solo per gli atleti ma a 360 gradi. Io ritengo che sia fondamentale vivere tutti i passi che l’organizzatore si trova di fronte. Come consulente tecnico e come figura preparata, al quale non si può concedere nessuna divagazione e nessuna dimenticanza. Oltretutto le attenzioni e responsabilità non sono solo sportive ma anche pecuniarie.
Questo viene applicato a tutte le categorie?
Sì, non mi stancherò mai di dirlo. Non c’è una diversificazione della gestione di un evento, piccolo medio o grande che viene distinto da livelli di categoria ma non di sicurezza. Io ritengo che un giovane sia ancora più prezioso e vada tutelato sempre in tutto e per tutto. Non dobbiamo sottovalutare nessun aspetto quando si tratta di oggettività di sicurezza.
Com’è cambiata la sicurezza in gara negli anni?
Il nostro scenario è cambiato da 30 anni a questa parte per quello che è la corsa in sé. L’arredo viario disposto dagli enti proprietari che hanno modificato radicalmente quella che è la viabilità delle nostre strade è di conseguenza a caduta nel nostro sport. Una volta c’era un’intersezione importante di un incrocio regolato da semaforo, oggi ci sono rotatorie e canalizzazioni che sono servite a smaltire la viabilità ordinaria. Il ciclismo s’è trovato a fare i conti con una situazione dove la sicurezza stradale è diventata discutibile. Per quello che è il bene della viabilità ordinaria, risulta negativo per il ciclista fine a se stesso.
Qui Babini durante una riunione tecnica insieme agli addetti delle moto staffetteQui Babini durante una riunione tecnica insieme agli addetti delle moto staffette
E’ cambiato anche il modo di correre?
Una volta le velocità erano intorno ai 45 all’ora, oggi affrontano tratti ai 60 con punte fino ai 70. Anche la caduta ha avuto un evoluzione nell’impatto. Oggi vediamo che sempre più spesso alla luce degli elementi che troviamo sulla sede stradale, ne derivano conseguenze più gravi. E gli infortuni diventano sempre più frequenti.
Come si prevedono i pericoli a cui va incontro il gruppo?
Per organizzare servono squadre, o gruppi di lavoro altamente professionali, parlo di eventi di livello. Servono squadre organizzative che hanno visione della corsa, delle dinamiche della corsa, delle caratteristiche piano altimetriche dei percorsi e saper leggere quello che il corridore interpreta a modo proprio. Noi siamo quelli che hanno consapevolezza della casistica che si trova dalla partenza all’arrivo. Poi le corse in sé hanno una composizione dinamica, hanno bisogno di una lettura attenta e in evoluzione.
Riuscite a prevedere tutto?
Non mi sento mai soddisfatto di quello che si fa. Io mi chiedo sempre se ho fatto tutto per essere il garante della sicurezza di questi ragazzi. Mi impegno al massimo per non lasciare niente in mano al caso. Poi lo dico in tutta sincerità e anche con serenità: capitano quei momenti che trattieni il respiro e dici «E’ andata bene». Ma questi momenti si riducono al minimo, se si analizzano tutte le criticità e si riescono a coinvolgere tutti i collaboratori, lo pretendi e su questo i corridori ti seguono.
In che senso?
I corridori hanno la percezione esatta di quello che gli sta intorno. Se siamo professionali lo recepiscono nell’immediato. Per esempio, dal modo di fare un ritrovo di partenza fino allo svolgere un percorso di gara. Per arrivare agli ultimi chilometri che spesso meritano un’analisi più approfondita. Se curi ogni dettaglio l’atleta lo vede e corre più rilassato.
Ecco Babini durante un briefing con Marco Selleri e altri collaboratori di ExtraGiroEcco Babini durante un briefing con i collaboratori di ExtraGiro
La cura del dettaglio è determinante quindi…
Io sono molto determinato su questo punto, devi essere il primo che vuole da tutti il meglio. Per esempio, sono stato un assertore che gli autisti dovessero essere non solo tesserati, ma debbano avere una formazione di base. Tu puoi essere un bravo autista, ma la corsa la si deve saper leggere. In qualsiasi caso, che si abbia a bordo un direttore di corsa, un responsabile, un medico o qualsiasi altra figura, lo devi conoscere e devi conoscere il suo ruolo. Lo devi portare sempre nel puntoottimale per svolgere quella funzione con le condizioni di massima sicurezza.
E’ una questione di sinergie da parte degli addetti ai lavori?
Esatto, pretendere da ognuno il comportamento più professionale, porta a qualificare il livello organizzativo quindi il livello dell’evento. Nel primo Giro d’Italia U23 che abbiamo organizzato, quando Marco Selleri mi chiamò, io posi una sola condizione: tenere l’asticella alta. Alcuni dicevano che non erano professionisti, poco importa, la sicurezza non deve avere categoria. Al terzo anno ho trovato un livello altissimo da parte di tutti, proprio perché avevamo alzato gli standard e quello era diventato la nostra normalità. Se tu pretendi il massimo dai corridori, direttori sportivi, collaboratori, prima e dopo l’arrivo, si va verso verso la garanzia della sicurezza costante.
Con ExtraGiro avete organizzato un mondiale in tempi record…
Un mondiale non si inventa. Si vede se hai delle basi sulle quali hai lavorato duramente nel corso degli anni. Tutto è servito a organizzare eventi che potevano sembrare improponibili. Il merito non è stato solo nostro, ma anche delle Prefetture e degli agenti che inviano. Voglio fare un plauso per quello che fanno per il ciclismo. Perché aspettare ore sotto il sole, freddo o pioggia per un breve passaggio è qualcosa che aggiunge valore alla corsa.
Analizziamo tre argomenti di una corsa su cui il vostro occhio deve prevedere tutto. Il primo è un arrivo in volata. Come si sceglie un arrivo in un centro cittadino?
Per gli arrivi a 70 all’ora, si segue la norma sportiva, amministrativa: lo dicono gli atti organizzativi. Nei punti dove la velocità è molta alta sta diventando impossibile arrivare nei centri storici. Di inviti ne arrivano molti, ma per garantire la sicurezza, molti non sono adatti e siamo costretti a rifiutare. Milano-Sanremo, Lombardia, Strade Bianche, Giro Under, lo spettatore non può non riconoscere la sicurezza che è stata messa in atto.
La drammatica caduta che ha coinvolto Jakobsen e Groenewegen La drammatica caduta che ha coinvolto Jakobsen e Groenewegen
Una grossa polemica per un arrivo in volata fu al giro di Polonia…
Quello è qualcosa di inaccettabile. Un’atleta come Groenewegen si è preso gran parte della colpa e forse ne risentirà anche la sua carriera. Ma se andiamo a riesaminare la dinamica. In quante volate ci sono scorrettezze, moltissime, ma c’è un margine anche in queste dinamiche tecnico sportive. Lì ha sbagliato l’organizzatore. Le transenne che volano a 5 metri dall’arrivo, non sono accettabili. Qualcosa non ha funzionato. Le transenne non volano. Il conto l’ha pagato solo uno.
Un altro aspetto su cui si polemizza sono le moto tra i corridori…
Gli operatori tv non sempre sono i migliori interpreti della sicurezza. A volte si deve passare anche a toni esigenti nei loro confronti. Perché basta una disattenzione nel voler fare una ripresa più bella che può costare la sicurezza di molti corridori. L’obiettivo della telecamera e dei fotografi è preziosissimo e deve essere lì a documentare, ma lo si deve fare con criterio. Quando c’è la professionalità da parte loro non si deve neanche usare la radio, basta un cenno e si viene capiti.
L’ultima provocazione riguarda il Tour 2021. La spettatrice con il cartello che ha steso il gruppo…
L’atleta ha bisogno del pubblico. Nel ciclismo sia ha una platea varia che sta a bordo strada. Ci sono dei momenti in cui all’interno del gruppo non si molla la posizione per nessuna ragione. Perché in certi frangenti è talmente alta di competizione che non ci si può permettere che il capitano vada in trentesima posizione. Poi c’è enfasi, il ragazzino che vuole la borraccia, lo spettatore che vuole accarezzare il corridore. Il ciclista è rispettato e prova empatia e questo può essere un pregio ma può diventare anche un difetto. Bisogna quindi sensibilizzare il pubblico.
Un bell'approfondimento con Marco Selleri e Marco Pavarini sulle attività di ExtraGiro, realtà organizzatrice nata nel 2020. Idee per il ciclismo di domani