Simmons e il coraggio di provarci: stupito anche Tadej

11.10.2025
6 min
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Per vincere il suo quinto Lombardia di fila, questa volta Superman Pogacar ha dovuto sconfiggere Capitan America. In pochi, alla partenza da Como avrebbero scommesso che sarebbe stato il barbuto Quinn Simmons l’ultimo baluardo a resistere al supereroe sloveno, arrendendosi soltanto ai 33,7 chilometri dal traguardo, quando mancavano soltanto 2,6 km alla cima del Passo di Ganda. 

Solo a 82 km dall’arrivo

Tutti si aspettavano un monologo del bicampione del mondo e, invece, la lunga fuga di giornata che ha visto tra gli altri protagonisti anche un redivivo Michael Matthews e il nostro Filippo Ganna è stata l’azione che ha animato la classica delle foglie morte. Una giornata più estiva che autunnale viste le temperature sempre superiori ai 20 gradi. Con un vantaggio sempre attorno ai 3 minuti, gli attaccanti hanno tenuto viva la corsa e ai -82 chilometri da Bergamo. E’ stato proprio il ventiquattrenne del Colorado che ha lasciato la compagnia e ha provato l’impresa, facendo risplendere al sole la sua maglia a stelle e strisce. 

«Non mi aspettavo di arrivare così lontano – ci ha raccontato mentre si faceva largo come un funambolo tra i tantissimi tifosi che l’acclamavano sulla via del ritorno al bus della Lidl-Trek – quando sono scattato. Speravo di essere l’uomo di riferimento per “Skjel“ (Mattias Skjelmose, ndr), ma poi mi hanno detto alla radio che non stava bene e stava già soffrendo. Così ho deciso di provarci in prima persona e di vedere fino a dove avrei potuto spingermi».

Giro di Lombardia 2025, Quinn Simmons sul passo Gandia tra ali di folla
Simmons ha attaccato il Passo di Ganda con 2 minuti su Pogacar ed è stato ripreso a 3,4 chilometri dallo scollinamento
Giro di Lombardia 2025, Quinn Simmons sul passo Gandia tra ali di folla
Simmons ha attaccato il Passo di Ganda con 2 minuti su Pogacar ed è stato ripreso a 3,4 chilometri dallo scollinamento

Pogacar, qualcosa di disumano

Quando Tadej l’ha affiancato ai -34, il campione nazionale statunitense ha sbuffato e provato a resistere per 300 metri, ma ha subito capito che non era il caso. «La velocità a cui saliva Pogacar era qualcosa di disumano», ha risposto, prima di abbandonarsi all’abbraccio della futura moglie Sydney, alla quale ha fatto la proposta di matrimonio lo scorso luglio ai Campi Elisi al termine di un Tour de France all’arrembaggio.  Nelle interviste post-gara, lo stesso alieno sloveno ha ammesso di non aspettarsi Quinn come maggiore minaccia alla sua cinquina in serie da primato. 

Il terzo gradino del podio è sfuggito di appena 25 secondi, ma Simmons ci è salito lo stesso per ricevere il premio Pier Luigi Todisco, per il primo corridore che transitava in vetta al Ghisallo, la salita preferita della compianta firma della Gazzetta dello Sport. «Io però speravo di salire sul vero podio dei primi tre. Sarà per la prossima volta», ha ribadito prima di infilarsi all’interno del bus.

Giro di Lombardia 2025, Quinn Simmons, podio per il Premio Todisco
Sul podio Simmons c’è salito per ricevere il Premio Todisco, essendo passato per primo sul Ghisallo
Giro di Lombardia 2025, Quinn Simmons, podio per il Premio Todisco
Sul podio Simmons c’è salito per ricevere il Premio Todisco, essendo passato per primo sul Ghisallo

Lottare per il podio

A raccontarci altri particolari di questo folle Lombardia in casa Lidl-Trek ci ha così pensato il diesse Maxime Monfort, che ha ricostruito i piani studiati il mattino alla partenza di Como.

«L’azione era pianificata a tavolino – spiega – perché volevamo mandare avanti un nostro uomo, ma non ci aspettavamo che avrebbe preso così piede. La composizione della fuga era perfetta con 14 uomini, esattamente come speravamo per poter piazzare uno dei nostri che avrebbe potuto essere una pedina importante ai piedi del Ganda. All’inizio della salita però, il vantaggio era di 2 minuti e mezzo, per cui ci siamo resi conto che Quinn poteva davvero lottare per il podio. E’ stato inaspettato, ma al tempo stesso fantastico».

In quegli istanti, in cui uno dei tre gradini era ancora alla portata, Monfort ha provato a galvanizzare il suo ragazzo. «Gli ho detto di non provare a seguire Pogi perché tanto in un modo o nell’altro l’avrebbe staccato e lui sarebbe esploso. Dietro c’era un bel gruppo e speravo che riuscisse a rimanere con Remco fino alla cima della salita, così avrebbe avuto ancora qualche chance sull’ultimo strappo verso Bergamo (la Boccola; ndr). Non è andata così, ma siamo comunque felicissimi per questo quarto posto». 

Dopo tutto il giorno in fuga, l’arrivo di Simmons a Bergamo è stato vissuto come un successo
Giro di Lombardia 2025, Quinn Simmons, arrivo sul traguardo di Bergamo
Dopo tutto il giorno in fuga, l’arrivo di Simmons a Bergamo è stato vissuto come un successo

Per la Liegi o il Lombardia

Di sicuro un piazzamento che apre nuovi orizzonti per la prossima stagione, anche perché già alle Tre Valli Varesine, Capitan America aveva provato a lasciare il segno. Oggi è stato, a detta di tutti, l’unico a provare a scompaginare un copione già scritto.

«Ha fatto più di 200 chilometri a tutta e anche sul Ganda – prosegue Monfort – ha tenuto un grandissimo passo al netto della stanchezza. Una giornata come questa ci obbliga a fare dei bei ragionamenti e riconsiderare tutto. Lui diceva di non riuscire a performare su salite superiori ai 10 minuti e, invece, oggi abbiamo come si è comportato su una da mezz’ora. Ci dimentichiamo sempre che è ancora molto giovane, forse perché è nel giro da tanti anni. A volte sembra un veterano di 28/29 anni, ma ha ancora tanto da migliorare e dobbiamo studiarci il calendario per bene. Può davvero dire la sua in corse come la Liegi o il Lombardia. Questo piazzamento ci permettere di terminare la stagione alla grande e non è un caso che chiuderemo l’anno al terzo posto nel WorldTour».

Giro di Lombardia 2025, Quinn Simmons, abbraccio con la sua ragazza
Alla fine di tutto, con il quarto posto in salvo, Simmons si condede all’abbraccio della futura moglie Sydney
Giro di Lombardia 2025, Quinn Simmons, abbraccio con la sua ragazza
Alla fine di tutto, con il quarto posto in salvo, Simmons si condede all’abbraccio della futura moglie Sydney

L’arrivo di Ayuso

Anche Jacopo Mosca, prima di imboccare la strada di casa, elogia il compagno: «Quinn ha fatto davvero un bel numero. Non era il nostro piano iniziale, ma quando hai una squadra così forte, puoi giocarti tutte le carte. In una giornata un po’ matta come questa, lui ha saputo inserirsi alla perfezione». Sul dominio Uae nelle corse di un giorno, il piemontese aggiunge: «Bisogna essere realisti. Pogi ha dimostrato quanto va forte, ma bisogna sempre trovare il modo di combattere. E penso che l’azione odierna di Quinn abbia dimostrato che un modo c’è, per cui andiamo in vacanza felice». 

Anche perché per il 2026, la Lidl-Trek ha ulteriormente rafforzato l’organico, con l’innesto di Juan Ayuso. In tanti hanno dubbi sull’inserimento a livello caratteriale dello spagnolo, come dimostrano anche le scaramucce verbali a distanza con Skjelmose, ma Mosca ha è di tutt’altro avviso.

«Arrivano corridori sempre più forti – dice – e intanto crescono quelli che abbiamo già in squadra. La prossima stagione si prospetta bene e non mi esprimo sul carattere di Juan perché quello che dicono gli altri non mi interessa affatto. Sono sicuro che sarà un ragazzo eccezionale, che si troverà benissimo nel nostro gruppo e ci penserà la strada a mettere a tacere le polemiche dei giornalisti. Sono pronto a scommettere su questo». E come già dimostrato con l’incredibile Simmons, la Lidl-Trek è pronta a stupire ancora.

Simmons non solo gambe. Idee innovative. E sulle interviste…

19.08.2025
5 min
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Al Tour de France i suoi colleghi in gruppo lo avevano ribattezzato Captain America e in effetti con la sua scenografica maglia a stelle e strisce di campione degli Stati Uniti un po’ Quinn Simmons lo ricordava. Tanto più se pensiamo che era sempre all’attacco, sempre davanti al gruppo e a disposizione dei compagni. Ricordiamoci, per esempio, quando in occasione della seconda vittoria di Jonathan Milan il friulano era rimasto dietro: Simmons ricucì il divario (quasi un minuto) praticamente da solo.

Ma l’atleta della Lidl-Trek ci ha colpito anche per delle dichiarazioni affatto banali. Aveva detto che il ciclismo, stando così le cose, è poco attraente per un adolescente. Rischia di diventare noioso e che alla fine nelle interviste al vincitore si sentono sempre le stesse cose: «Sono felice per la vittoria, oggi avevo gambe fortissime», questo il succo. E tutto sommato per alcuni aspetti la sua visione è anche giusta.

Simmons (classe 2001) viene dal Colorado, Stati Uniti. Ad oggi vanta 7 vittorie da pro’
Simmons (classe 2001) viene dal Colorado, Stati Uniti. Ad oggi vanta 7 vittorie da pro’

Ecco Simmons

Abbiamo così cercato di coinvolgerlo per capire davvero quale fosse il suo pensiero e cosa si potrebbe fare per riaccendere un po’ l’entusiasmo tra i giovani.

“Il ciclismo non è molto divertente per un adolescente”. Partiamo da qui. «In verità – spiega Simmons – ho detto che non guardo la bici per divertimento, la guardo perché mi piace la competizione, mi piace il lavoro, mi piace cercare di essere il migliore in qualcosa. Non vedo una bici da strada come qualcosa di molto divertente e per me ci sono altri sport che mi piacerebbe fare per divertimento o come hobby. La mia opinione è che per me la bici è più importante della felicità».

Una volta c’erano i miti. I campioni che ti attiravano verso quello sport e magari anche a praticarlo. Baggio nel calcio, il bomber della tua squadra del cuore. Pantani. Senna. Schumacher, Federer, la Pellegrini o una nazionale che vince, pensiamo alla pallavolo alle Olimpiadi. L’idolo di Simmons è stato Peter Sagan.

«Sono cresciuto guardando Sagan. Mi piaceva molto il suo stile sulla bici, la gara aggressiva, il modo in cui vinceva e la maniera in cui si presentava. Era divertente, è sempre stato molto bello, diverso, soprattutto quando ero piccolo. E poi era bello perché lo vedevo alle classiche, ma anche ai mondiali… che ha vinto tre volte. Era una grande ispirazione per me e uno dei corridori che mi hanno fatto amare la bici».

Arrivato nel professionismo che conta nel 2010, Peter Sagan è stato un vero ciclone per il ciclismo
Arrivato nel professionismo che conta nel 2010, Peter Sagan è stato un vero ciclone per il ciclismo

La “cura”…

E cosa si dovrebbe fare? Abbiamo chiesto a Simmons, per esempio, se gli arrivi di tappa in circuito aiuterebbero lo show.

«Sì – dice Simmons – mi piace molto la gara in circuito. Lo stile del campionato mondiale, la gara a piena velocità, rende bella la competizione. Ed è meglio anche per gli spettatori. Non solo, ma è anche molto più sicuro per noi corridori».

Il tema dei circuiti non è nuovo in questo ciclismo in continua evoluzione, che cerca di essere sempre più “televisivo”, come si suol dire oggi. Un “essere televisivo” che passa inevitabilmente attraverso frazioni più brevi e appunto i circuiti per coinvolgere di più la gente a bordo strada. I ritmi sono sempre più serrati, le soglie d’attenzione da parte del pubblico sono sempre più ridotte: si cerca (lo spettatore) e si propone (l’organizzatore) qualcosa di adrenalinico. Basta pensare che nell’atletica leggera un must come i 10.000 metri è sparito dai meeting internazionali. Ci sono delle riunioni apposite. E anche i 5.000 rischiano sempre di più.

Grinta, gambe e idee innovative per Simmons
Grinta, gambe e idee innovative per Simmons

Verso il futuro

Ma Simmons si è mostrato intelligente anche su questo fronte e se da una parte si è detto favorevole ai circuiti, dall’altra è stato realista: «Ho capito che c’è la storia e che qualcuno potrebbe storcere il naso, ci sarebbero molte gare che non funzionerebbero come circuiti, ma penso che se lo sport si spostasse in questo senso sarebbe buono. E ripeto, lo sarebbe sia da un punto di vista di divertimento che di sicurezza. A tal proposito la discussione sulle radio non la capisco, non capisco perché le persone pensano che sia negativa. Parlando della sicurezza, sarebbe davvero pericoloso toglierle. Per me non è un’opzione correre senza radio. Se il direttore non può informarci di un avvenimento pericoloso o se c’è una caduta, sia se sei in piedi, sia se sei rimasto in piedi… è un grande problema. Non devono nemmeno essere considerate per essere tolte».

Un altro tassello per aumentare lo show e l’attenzione – ma da giornalisti diremmo anche il racconto – è stata l’introduzione dei team radio resi pubblici a turno. Qualcosa che si vede in Formula 1. Ma anche su questo aspetto l’opinione pubblica è parsa spaccata. In America lo show regna sovrano e in qualche occasione ha persino prevalicato i cardini dello sport, ma se non vengono alterate le regole perché non prevederlo? Bisogna ammettere che sanno come catturare l’attenzione. Pensiamo alle grandi cerimonie prima del Super Bowl o agli intrattenimenti per il pubblico durante le pause nelle partite di basket. Ma anche a tutta una serie di dati che vengono proposti in tempo reale ai telespettatori.

Divertimento, show… ma anche sostanza. Che guida Simmons (foto Instagram)!
Divertimento, show… ma anche sostanza. Che guida Simmons (foto Instagram)!

L’importanza del racconto

Però è anche vero che un savoir faire mediatico, come quello del Tour de France, riesce ad esaltare in modo esponenziale l’evento. Quanta gente c’era lungo le strade? E la controprova si è avuta anche al Tour de France Femmes. Nel ciclismo non è facile intervenire. La radice dello sport, i cardini tecnici sono molto forti, ma è certo che qualcosa aiuterebbe. Non tutte le corse sono il Tour insomma.

Simmons ha parlato anche delle interviste post gara. A lui stesso abbiamo chiesto quali domande gli piacerebbe ricevere.

«Riguardo alle interviste post gara – spiega Simmons – non mi riferisco tanto alle domande che ci pongono, come giornalisti potete chiedere qualsiasi cosa, ma penso che è più la maniera in cui i corridori rispondono. Se c’è una battaglia in una gara, se c’è qualcosa che è andato male o qualcosa che non è stato giusto, non bisogna sempre dare la risposta perfettamente politicamente corretta. Penso che possiamo essere più onesti come corridori. Penso che se tutti iniziano a fare questo, chi lo fa non avrà tanto problema se diventa normale e ci si comporta come persone. Penso che in altri sport si comportano così. Noi dobbiamo sempre avere un filtro e quando lo rimuovi inizia a essere un problema».

Una Lidl-Trek gigantesca per la doppietta di Milan

23.07.2025
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VALENCE (Francia) – Jonathan Milan aveva già vinto, quando sul traguardo sono passati da un lato Thibau Nys, dall’altro Tom Skujins e in mezzo Quinn Simmons. I due lo hanno indicato come fosse stato lui a vincere la tappa. E l’americano, sollevandosi dal manubrio nella sua tenuta da Capitan America, ha ringraziato i compagni e si è preso una parte del merito per la vittoria del compagno, gigantesco e forte come Hulk. Forse è proprio vero che per conquistare questo traguardo servisse essere anche un po’ supereoi.

«E’ stato impressionante – dice Luca Guercilena al riparo del pullman della Lidl-Trek, quando Simmons si infila sotto e lo saluta – perché nonostante i tentativi di fuga e tutto il lavoro fatto oggi, Quinn è riuscito ancora a fare qualcosa di incredibile. Soprattutto dopo la prima salita, quando c’era da chiudere un buco quasi di 40 secondi. Ha veramente fatto un lavoro impressionante, per cui buona parte della tappa di oggi è anche sua».

Jonathan Milan ha vinto la seconda tappa nel primo Tour. Lo ha fatto senza un ultimo uomo a lanciarlo, in uno scenario da Classica del Nord. Jordi Meeus ha provato a rimontarlo, ma è rimasto indietro di mezza bicicletta. Peccato che una caduta abbia tagliato fuori il resto degli sprinter, quando ormai non si aspettava altro che l’ultimo atto della tappa.

Festa Lidl-Trek

Sulla città si è abbattuto un acquazzone di gocce grasse che in meno di mezz’ora hanno infradiciato la carovana e reso la strada di sapone. Sotto il tendone del pullman si scambiano pacche e abbracci, in attesa che arrivi Milan. Stuyven parlotta con lo stesso Simmons, Skujins rilascia interviste. Guercilena li abbraccia tutti, con il sorriso di chi ha raggiunto uno dei traguardi che si era posto. Lo aveva detto dal mattino: oggi bisogna fare tutto il possibile per vincere. E poi ci saranno i traguardi a punti per consacrare la maglia verde e arrivare a Parigi possibilmente con la certezza matematica di averla vinta.

«Siamo venuti qua con l’obiettivo di vincere due tappe – spiega – e provare a prendere la maglia verde. Poi ovviamente avremmo voluto fare qualcosa in montagna con Skjelmose, ma abbiamo visto cosa è successo (il riferimento è alla caduta e al ritiro del danese nella tappa di Superbagneres, ndr). Però abbiamo tenuto la concentrazione e oggi l’idea era quella di correre come fosse una classica di un giorno. Come squadra abbiamo dimostrato di averci creduto, nonostante gli attacchi di vari team sulle salite. E poi nel finale con una lettura ideale dello sprint.

«Se fossimo rimasti con una sola tappa vinta, avrei sentito che mancava qualcosa. Perché comunque siamo ambiziosi, anche se non è facile fare risultato nel Tour del debutto. Con l’idea di squadra che vogliamo essere, sicuramente le due vittorie dovevamo ottenerle. E Jonathan ha dimostrato di essere cresciuto, soprattutto nella sua gestione personale ha ancora grandi margini. Sono fiducioso che continuerà in questo suo processo di crescita con noi, fiduciosi che possa ottenere ancora dei grandissimi risultati».

Un grande lavoro di squadra

Milan indossa un giubbino verde pesante e il berretto di lana della squadra. Il clima fuori è decisamente autunnale e se domani sulle Alpi ci sarà la stessa acqua, per i corridori si prospettano giorni tosti. 

«E’ stato un finale incredibile – dice – un po’ caotico a causa del meteo. Mi aspettavo un po’ di pioggia, ma non come adesso. Penso che ci siamo mossi nel modo migliore, la squadra mi ha supportato fin dall’inizio. Non posso dire di aver fatto tutto da solo. Vorrei descrivere il lavoro fatto oggi dai miei compagni. I ragazzi hanno controllato la corsa dall’inizio della tappa, ovviamente con l’aiuto di altre squadre. Mi hanno riportato in gruppo quando mi sono staccato sulla prima salita. Poi sulla seconda hanno tenuto un buon ritmo, senza mai dare tutto gas. Hanno mantenuto un ritmo costante e alla distanza è stato perfetto per recuperare sugli attaccanti. Hanno sempre cercato di supportarmi, portandomi le borracce e incitandomi, una cosa che mentalmente ha significato tanto. Quindi non si può dire che abbia vinto da solo.

«Nel meeting prima della tappa – prosegue – puoi pianificare tutto. Dire che all’ultima curva dovresti andare con due o tre corridori davanti, ma alla fine è sempre difficile arrivare in quel punto, non è una PlayStation. Per cui alla fine i ragazzi mi hanno semplicemente messo nella posizione migliore, nel miglior modo possibile. Avevamo tutti un grande obiettivo, per cui è la vittoria di tutti: non di uno solo».

La lotta per la verde

La maglia verde che indossa è un po’ più salda. Con il quinto posto, primo dietro i quattro fuggitivi, Milan ha conquistato 11 punti nel traguardo volante di Roche Saint Secret Beconne. Altri 50 sono venuti con la vittoria, per cui ora il vantaggio su Pogacar è di 72 punti.

«Finora – dice – è stato un Tour de France davvero duro. Oggi abbiamo conquistato 61 punti per la maglia verde, quindi sono davvero contento. Era uno dei nostri obiettivi all’inizio della giornata, ma non è mai facile avere un piano veramente specifico e poi raggiungerlo. Anche nei prossimi giorni cercheremo di dare il massimo per conquistare più punti nei traguardi intermedie. Pogacar è una rockstar del ciclismo, quindi vedremo i punti che otterrà. Da parte mia, cercherò solo di dare il massimo per portare questa maglia il più lontano possibile, magari fino a Parigi.

«Lo so che hanno cambiato il percorso, inserendo il circuito di Montmartre, ma non voglio iniziare subito con il dire che ho perso un’occasione. Sappiamo che sarà più dura da controllare e sarà uno scenario diverso rispetto al solito arrivo dei Campi Elisi. Ho parlato con i ragazzi che hanno partecipato alle Olimpiadi l’anno scorso e mi hanno confermato che ci sarà una grande lotta per le prime posizioni prima della salita. Cercheremo di dare il massimo, ma voglio vivere questo Tour tappa dopo tappa».

Da domani inizierà la parte più dura. Per due giorni, il suo orizzonte sarà quello intermedio del traguardo a punti e poi ci sarà soltanto da entrare nel tempo massimo. Dopo gli abbracci e le parole di oggi, siamo certi che la Lidl-Trek sia pronta a dare anche l’anima per portare a casa il terzo obiettivo di questo Tour.

Uno scatto a ruota di Pogacar: le fatiche (atroci) di Bagioli

30.09.2024
4 min
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ZURIGO (Svizzera) – La maglia verde della Slovenia e il ciuffo di capelli che esce dal casco che celebra la doppietta Giro-Tour. Pogacar accende le danze quando i chilometri al traguardo avevano ancora tre cifre: 100. Sulla salita di Witikon arriva l’affondo del fuoriclasse di casa UAE Team Emirates. Gli prende la ruota Quinn Simmons, l’americano con il barbone folto e due gambe massicce. La terza figura nella foto di apertura, che si intravede appena, è quella di Andrea Bagioli, che a differenza dello yankee ha il volto pulito e qualche chilo in meno: dodici per l’esattezza. Il buco tra la coppia formata da Pogacar e Simmons è di 30 metri, così il nostro portacolori ci si fionda. Per un momento sembra l’azione giusta, in cui la corsa prende una direzione chiara, con l’Italia che ha colto il momento perfetto. 

Bagioli prima del via da Winterthur con alle spalle il suo fan club
Bagioli prima del via da Winterthur con alle spalle il suo fan club

Tempismo giusto

La tempistica di Bagioli è corretta, le gambe sembrano reggere, anche se la bocca è spalancata a cercare ossigeno. Ma più di così i polmoni del valtellinese non ne riescono a immagazzinare, i muscoli allora cedono e un metro diventano presto due, poi tre e infine una voragine. Dopo questo sforzo brutale il numero 34 dell’Italia finisce al pullman anzitempo. Noi lo aspettiamo sotto, ma le forze spese sono tante, Bagioli ha bisogno di riposo. Esce solamente dopo la riunione con Bennati, più di un’ora dopo il nostro arrivo. 

«In teoria – spiega il corridore della Lidl-Trekero uno di quelli che doveva muoversi un po’ più verso la fine, però quando scatta uno come Pogacar si segue sempre. Sentivo di stare veramente bene, mi sono detto “ci provo” però il ritmo che stava facendo era veramente troppo alto. Non tanto per la salita ma quando la strada spianava, non mi faceva recuperare. E alla fine sono saltato completamente».

Pogacar attacca, alle sue spalle si muove Quinn Simmons, a breve chiuderà Bagioli
Pogacar attacca, alle sue spalle si muove Quinn Simmons, a breve chiuderà Bagioli
Hai speso troppo nel chiudere quel buco di 30 metri?

E’ stato faticoso. Però siccome ho un buono spunto veloce non ho sofferto tantissimo. Infatti mi sento di dire che l’ho chiuso abbastanza velocemente. 

Poi Simmons, che era in seconda posizione nel terzetto, ha mollato praticamente subito. 

Ha lasciato altri metri da chiudere e non mi ha dato una mano, ecco. Poi, come ho detto, quando spianava io speravo che Pogacar mollasse un attimo, così da riuscire a respirare. Invece spingeva sempre a gran ritmo. 

Si vedeva fossi “a tutta” con la bocca spalancata nel cercare aria. 

Ero al limite, avevo male ovunque: alle braccia, alle gambe. Insomma, mi bruciava tutto il corpo dallo sforzo. Ero al limite.

Dopo lo sforzo il valtellinese ha mollato il colpo, uno sforzo incredibile
Dopo lo sforzo il valtellinese ha mollato il colpo, uno sforzo incredibile
Sei riuscito a guardare i dati?

No, al momento niente (sorride, ndr) guarderò il file a casa per vedere che numeri ho fatto.  

L’impressione?

Sicuramente avrò fatto un record su 5 minuti, probabilmente intorno ai 500 watt.

Quando siete scollinati, nella zona del rifornimento fisso, abbiamo avuto l’impressione che il peggio fosse passato.  

Ero a tutta anche lì, nell’agguantare la borraccia dal massaggiatore e ho perso un metro, sono rimasto al vento e niente. E’ andato. 

Ti è mancato proprio quel metro di scollinamento, perché poi lì iniziava una parte favorevole, giusto?

La strada iniziava a scendere, però c’è da dire che dopo ci sarebbe stata un’altra salita, quindi sicuramente avrebbe ancora spinto a tutta e mi sarei staccato lì.

Bagioli recuperate le energie scende dal bus e ci racconta com’è andata
Bagioli recuperate le energie scende dal bus e ci racconta com’è andata
Com’è provare a stare dietro a Pogacar e vederlo sereno?

In un certo senso è brutto, però penso che ci siamo abituati tutti da un po’. Non è la prima volta che fa questi numeri quindi non possiamo farci niente, è un gradino sopra tutti e chapeau a lui.

Cosa ti faceva più male? Le gambe? La testa nel pensare che quel momento non finisse più?

Riuscivo a pensare solamente al mal di gambe, l’acido lattico che circola e a nient’altro. Punti a stare con lui il più possibile, sperando che molli un pochino il colpo. Invece quasi aumenta. E’ stato un tentativo buono, ne ho parlato anche con Bennati, quando parte Pogacar è sempre un’ottima cosa seguirlo. Se ci ho provato e sono rimasto lì vuol dire che le gambe sono buone, è un segnale che fa sperare per le prossime gare in Italia, questo è sicuro.

EDITORIALE / Dietro quel gatto, un mondo da scoprire

06.03.2023
5 min
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E’ un argomento delicato. Così tanto delicato da risultare fastidioso e sperare di poterne stare alla larga, anche se tanti ci hanno chiesto come mai non abbiamo scritto ancora nulla sulla vicenda di Tiberi e il gatto. Una storia accaduta a giugno, conclusa a settembre e data alle cronache pochi giorni fa. La tempistica è insolita, ma c’è poco da commentare davanti a chi si compra un fucile, apre la finestra e spara ai cartelli ammazzando un malcapitato felino. Cambia poco che il gatto sia stato ucciso per errore. Una ragazzata? Sarebbe sbagliato chiuderla così.

E’ stato Federico Pedini Amati, Segretario di San Marino per il Turismo, a diffondere la notizia dello sparo (foto Facebook)
E’ stato Federico Pedini Amati, Segretario di San Marino per il Turismo, a diffondere la notizia dello sparo (foto Facebook)

Come a scuola

Antonio Tiberi è un bravo ragazzo e fra i suoi errori c’è stato anche quello di non aver avvisato la squadra ai tempi del fatto. Nei giorni scorsi tuttavia ne abbiamo sentite di tutti i colori. Il fatto merita condanna, questo è fuori discussione. Ma come accade in episodi che coinvolgono un personaggio pubblico, chiunque ne abbia scritto sui social ha impugnato la tastiera come la carabina, sparando sul ciclista.

Della vicenda è capitato di parlare diffusamente alla recente Strade Bianche e la storia di Tiberi e il gatto ha cambiato completamente prospettiva.

Da una parte c’è stato il richiamo all’obiettività. I colpi sono stati sparati dalla finestra di un appartamento e il gatto è morto. Dall’altra abbiamo ascoltato quelli che hanno rilevato la stranezza di una notizia resa pubblica ben oltre la sua conclusione.

Un po’ come quando si va a colloquio con gli insegnanti e si cerca di spostare l’attenzione dalla negligenza dello studente al ruolo del docente.

Quella manina di colore in risposta al tweet di José Been valse a Simmons una lunga sospensione (foto Daily Mail)
Quella manina di colore in risposta al tweet di José Been valse a Simmons una lunga sospensione

Il caso Simmons

Parlando con lo staff della Trek-Segafredo, che ha sospeso Tiberi fino a data da destinarsi, abbiamo cercato di cogliere le differenze rispetto al caso che portò alla sospensione di Quinn Simmons.

Correva il 2020 e il corridore americano, neoprofessionista dopo aver vinto il mondiale juniores ad Harrogate 2019, rispose al tweet di José Been. Nel post, la giornalista augurava al popolo americano che la presidenza Trump terminasse alla svelta. Il commento di Simmons fu l’emoji di una manina di colore che salutava.

«Mentre sosteniamo il diritto alla libertà di parola – scrisse il team in una nota – riterremo le persone responsabili delle loro parole e azioni. Purtroppo, Simmons ha rilasciato dichiarazioni online che riteniamo divisive, incendiarie e dannose per la squadra, il ciclismo professionistico, i suoi fan e il futuro positivo che speriamo di contribuire a creare per lo sport. In risposta, non correrà per Trek-Segafredo fino a nuovo avviso».

Simmons, come ora Tiberi, si scusò: «A coloro che hanno trovato razzista il colore dell’emoji, posso assicurare che non intendevo interpretarlo in quel modo. Vorrei scusarmi con tutti coloro che l’hanno trovato offensivo poiché mi oppongo fermamente al razzismo in qualsiasi forma».

La vicenda si è svolta nella Repubblica di San Marino, residenza di Tiberi e vari altri corridori
La vicenda si è svolta nella Repubblica di San Marino, residenza di Tiberi e vari altri corridori

Personaggio pubblico

Quel tweet fu dirompente, almeno dal punto di vista della proprietà americana del team. Diede risonanza mondiale a un fatto che altrimenti sarebbe rimasto negli Stati Uniti. Simmons aveva 19 anni, ma capì presto che essendo un personaggio pubblico, non gli era consentito alcun tipo di leggerezza.

Anche Tiberi è molto giovane, di anni ne ha 21, ma il caso che lo riguarda è universale. Il fatto che sia un personaggio pubblico ha reso il gesto ancora più grave, al pari di altri episodi successi in passato ad altri corridori. Il pizzico di Sagan al sedere della miss al Fiandre del 2013. La brutta gaffe di Keisse nel 2019 in Argentina, con una cameriera che lo denunciò per molestie. Per terminare alle accuse di razzismo all’indirizzo di Moscon. Gesti che provocarono multe, sospensioni e minacce di licenziamento.

Il lavoro e l’ozio

Si potrebbe allargare ulteriormente il discorso. Si va a vivere lontani da casa in residenze di comodo per avere delle agevolazioni. Succede però che terminato l’allenamento si viva da esiliati, sperimentando la noia. Questo almeno raccontano alcuni dei corridori residenti. Così magari l’idea di comprarsi un fucile (ancorché depotenziato) e provarlo può sembrare il modo per passare un po’ il tempo.

A volte stare vicini a questi ragazzini così forti e privilegiati comporta anche la responsabilità di educarli per il ruolo che ricoprono. E magari indirizzarli verso scelte che alcuni di loro – presi come sono a inseguire la prestazione, il peso e la perfezione atletica – non sono in grado di valutare. Ci sono atleti, ad esempio, che nel tempo libero hanno scelto di studiare e si sono laureati.

Il tiro al Tiberi che si è scatenato nei giorni scorsi è stato violento quanto il tiro di Tiberi al gatto. Antonio è una brava persona e viene da una bella famiglia, per cui starà maledicendo da giorni quel gesto sconsiderato. E’ indubbio che abbia imparato la lezione: sarebbe grave se si trincerasse dietro qualsiasi forma di vittimismo.

Non si sa cosa deciderà la Trek-Segafredo. Si ventila anche l’ipotesi del licenziamento, a fronte del quale ci sarebbero già un paio di squadre pronte a farsi sotto. Come si disse qualche giorno fa, il ciclismo non è per tutti. Essere professionisti al top non significa solo firmare dei bei contratti. Significa anche ricevere (e pretendere) da chi ti assiste la formazione necessaria per saperci stare dentro.

Simmons fa piangere Richeze: una botta secca e via

25.01.2023
5 min
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Avevano pensato lo stesso attacco, ma Simmons l’ha fatto prima e ha vinto. Richeze è passato dietro con la testa bassa. E quando lo abbiamo visto venirci incontro, piangeva. Sarebbe stata la vittoria in casa nella corsa di fine carriera, avrebbe avuto un gran sapore.

La terza tappa della Vuelta a San Juan si è conclusa all’interno del Circuito Villicum, con pubblico sugli spalti e un finale thrilling. Stava tutto a entrare in testa nell’ultima curva e da lì fiondarsi sul traguardo, anticipando i velocisti e i loro treni.

Il piano di Baffi

«Abbiamo realizzato quello che avevamo pensato ieri sera e ribadito stamattina. A volte si fanno mille piani, ma quando riescono c’è grande soddisfazione».

Adriano Baffi parla con motivato orgoglio, mentre Simmons dal palco saluta e alle spalle del tecnico della Trek-Segafredo Cataldo, Vacek e Aberasturi ripassano la tattica messa perfettamente in atto.

«E’ caduto nella prima tappa – ricorda Baffi – ma gli ho detto di far finta che non ci fosse mai stata. E’ come se ieri avessimo ricominciato ed è venuto il terzo posto. Oggi abbiamo vinto. Il ragazzo aveva qualità quando è arrivato, sapevamo che le avesse ancora e adesso sta imparando il modo giusto di correre, meno impulsivo. Oggi doveva stare a ruota dei compagni fino al momento giusto e così è andata».

Baffi ha spiegato che quel tipo di attacco era stato studiato dalla sera prima
Baffi ha spiegato che quel tipo di attacco era stato studiato dalla sera prima

L’ultima curva

Venerdì si arriva sul Colorado, che gli ricorderà casa sua. Lui alla battuta sorride e incassa l’ennesima salva di complimenti. Quando lo incontrammo a Calpe disse che il fuoco per quest’anno sarebbe stato vincere, non importava come. C’è riuscito al terzo giorno.

«Avevamo parlato di questo finale – racconta l’americano dai capelli e la barba rossi – era la mia sola chance per vincere, non essendo un velocista. Mathias (Vacek, ndr) mi ha guidato alla perfezione a quell’ultima curva. La squadra oggi ha lavorato tutto il giorno per me, è persino facile fare un minuto di sforzo quando gli altri ti aiutano a questo modo. Baffi me l’ha detto di scordarmi del primo giorno e di tenere fede al piano. Mi ha infuso grande energia».

Richeze anticipato

Anche Richeze l’aveva cerchiata di rosso, sapendo di non avere il ritmo né le gambe per contrastare corridori più avanti di lui nella condizione.

«Non correvo da giugno – dice – e nonostante tutto, questo secondo posto ha un sapore amaro. Non sono in grado di fare uno sprint di gruppo con tutti gli altri, io uso il 54 e mi pare duro, loro usano il 56. Volevo attaccare, ne avevo parlato con Fernando (Gaviria, ndr). Sapevo che chi fosse partito per primo in quella curva, avrebbe preso il giusto vantaggio. Solo che mentre ero lì per partire, Simmons mi ha anticipato. Ha avuto più resistenza di me. Ho provato a uscire, ma non ho avuto le gambe per chiudere».

A Calpe, Simmons ci aveva confessato la sua voglia di vincere e ora è al settimo cielo
A Calpe, Simmons ci aveva confessato la sua voglia di vincere e ora è al settimo cielo

Colorado, casa sua

Baffi ha anche detto che con Simmons sono venuti guardando più lontano della singola tappa. E che uno come lui, che lo scorso anno alla Tirreno si fece in fuga il Carpegna, sull’Alto del Colorado potrebbe anche tenere duro.

«E’ una grande salita – sorride – e io peso 72 chili. Difficile per me tenere il passo dei colombiani, che sono più leggeri. In squadra c’è Vacek che potrebbe pensare alla classifica, ma è chiaro che arriveremo a quell’ultima salita molto vicini e io non mi farò indietro. Se arriveremo in cima in un gruppo ristretto, farò certamente lo sprint. Arrivo a casa mia, arriverò fino in cima (ridendo, ndr)».

Il messaggio di Cavendish

Mentre Richeze se ne va, la domanda un po’ perfida gliela facciamo. Avresti dedicato l’eventuale vittoria a Mark Cavendish?

«No – dice – per me è una cosa superata. Comunque mi ha scritto. Ha detto che non avrei dovuto parlare in giro e avrei dovuto prima sentire lui o il suo procuratore. Gli ho risposto che l’ho cercato per giorni e non ha mai risposto e che ho detto semplicemente la verità. Allora ha detto che dovrei avercela anche con Gaviria e Viviani che non mi hanno aiutato. Gli ho risposto che loro sono stati chiari dall’inizio, hanno detto che non riuscivano e comunque non sono stati loro a promettermi un posto in squadra. Lui non chiede scusa, ma va bene così. Se avessi vinto, non sarebbe stata per lui. Adesso faccio un giretto in bici, perché ho le gambe di legno. Domani potrebbe essere buona, se riesco a passare le salite. Potrei andare in fuga o pensare all’ultima tappa, vincendola come nel 2017. Sarebbe il modo migliore per concludere la carriera».

Simmons inquadra il momento di vincere

29.12.2022
7 min
Salva

Quinn Simmons, lo junior che ad Harrogate sbranò il mondiale dall’alto di una clamorosa supremazia fisica, si accinge al quarto anno da professionista. L’americano di Boulder, Colorado, passò professionista nel 2020 dagli juniores e in alcune sue dichiarazioni di inizio inverno, si è capito chiaramente che il 2023 sarà l’anno per tornare a vincere, dopo la tappa al Wallonie nel 2021.

Simmons ha la barba e i capelli rossi, la fronte alta e gli occhi stretti. Ispira simpatia e la sensazione di avere davanti un cavallo brado, di quelli visti in centomila film girati dalle sue parti. Parla chiaro, con frasi brevi e concetti semplici. Di base, è anche spiritoso.

Al ritiro di Calpe, Simmons con il massaggiatore Alafaci e il ds De Jongh
Al ritiro di Calpe, Simmons con il massaggiatore Alafaci e il ds De Jongh
Sei passato professionista direttamente dagli juniores, pensi che sia stata la scelta giusta?

Soprattutto adesso, guardando il Covid e tutto il resto, è stata la scelta migliore che potessi fare. Nel 2020 ho fatto 35 giorni di corsa. Alla fine si tratta del nostro lavoro, per cui sono stato pagato più di quanto sarebbe successo se fossi stato negli under 23. Avrei fatto forse 10 corse e avrei guadagnato 5.000 euro. Sarebbe stato un anno sprecato. Invece ho fatto delle gare WorldTour in linea e anche a tappe. Ho avuto una sorta di cuscinetto prima di fare il primo vero anno da pro’. Per cui penso che sia stata al 100 per cento la scelta migliore.

Cosa ti manca oggi per vincere una gara?

Devo diventare più veloce rispetto all’anno scorso. Servirebbe un po’ di fortuna, anche se non ci credo molto. Forse ho solo bisogno di cogliere il momento giusto e di diventare più intelligente. Ma sento di aver fatto progressi ogni anno, quindi adesso è il momento di fare l’ultimo passo, che è anche il più difficile.

In fuga sul Carpegna, zero gradi e neve, in difesa della maglia dei Gpm
In fuga sul Carpegna, zero gradi e neve, in difesa della maglia dei Gpm
Siamo stati tutti tuoi tifosi nel giorno di Carpegna alla Tirreno. Cosa ricordi?

Ricordo la sofferenza. Quello è stato uno dei giorni più difficili che abbia avuto su una bicicletta. Ma avevo un obiettivo, anche se piccolo. E’ stato bello difendere la prima maglia in una gara WorldTour (quella dei Gpm, ndr) e soprattutto farlo su una salita bella come quella, con dei tifosi così calorosi e tutto il resto. Non è stata una vittoria, ma è uno dei ricordi migliori sulla bici. Ero davvero orgoglioso dello sforzo che ho fatto, perché sono un ragazzo pesante per certe salite. E’ stata una faticaccia.

Arrivare da solo è il tipo di vittoria che preferisci?

A questo punto, prendo qualunque tipo di vittoria. Allo sprint, da solo, in due… Non mi interessa come.

Qual è un programma per il prossimo anno?

Comincio a San Juan in Argentina, che è bello perché non ci sono mai stato. Dovrebbe essere divertente e poi il resto del calendario sarà simile agli anni passati. Farò il calendario italiano. Strade Bianche, Tirreno, poi le classiche e spero di tornare al Tour.

Per Simmons il numero rosso della combattività dopo i 150 chilometri di fuga verso Cahors al Tour 2022
Per Simmons il numero rosso della combattività dopo i 150 chilometri di fuga verso Cahors al Tour 2022
Hai parlato di divertimento. Cosa c’è di divertente nel ciclismo?

Stare sopra tante ore in bici probabilmente non è divertente, per contro mi piace molto correre. Allo stesso modo non mi piacciono molto le prime tre ore di gara, in cui si dorme. Ma quando vai davvero forte e sai che cominciano gli attacchi, quello è il mio momento preferito. Mi piace davvero. Anche se è il momento più doloroso. Come quando il gruppo si riduce a una ventina di corridori e ti giochi la corsa. Quello mi piace molto.

Quindi è meglio gareggiare che allenarsi?

Dipende. Andare in bici per sette ore non è il massimo, ma mi piace fare bene il lavoro e sapere che ho fatto tutto il possibile per essere pronto. E a quel punto la gara è più divertente se sai di aver fatto tutto il lavoro che dovevi fare.

Per un americano, scalare l’Alpe d’Huez significa dare un senso alla carriera
Per un americano, scalare l’Alpe d’Huez significa dare un senso alla carriera
Cosa ricordi del mondiale di Harrogate?

Sapevo che avrei vinto. Al mattino dissi ai compagni sul pullman che avremmo fatto qualcosa di speciale, perché un americano non vinceva quella gara dai tempi di Greg Lemond. Avevo già pianificato con un anno di anticipo dove volevo attaccare. E loro hanno fatto un lavoro perfetto. E’ stato bello ritrovarsi nel gruppo di testa con un altro americano (Magnus Sheffield, ndr) e poi fare 30 chilometri da solo. Da junior non hai mai spettatori e all’improvviso ti ritrovi su un circuito pieno di persone. Ricordo che avevo detto ai miei genitori dove aspettare con la bandiera in modo da portarla fino al traguardo. Fu meraviglioso.

E’ stato difficile passare dal mondo juniores al WorldTour?

Non è per sembrare presuntuoso, ma se da junior decidevo che volevo vincere, vincevo. Non c’era dubbio. Poi passi nel WorldTour e devi lottare per restare nel gruppo. Fa male al morale, ma ovviamente sapevo che sarebbe successo. Ero consapevole della situazione in cui mi stavo cacciando. Forse è stato un po’ più difficile di quanto mi aspettassi, ma è stato davvero un grosso cambiamento. Ho intorno tanti corridori da cui imparare, preferisco lavorare per vincere delle grandi corse, piuttosto che vincerne una da under 23. Non mi darebbe molta soddisfazione. Preferisco essere staccato al Tour che vincere una tappa dell’Avenir.

Harrogate 2019, dopo 30 chilometri da solo, Simmons prende la bandiera da sua madre e vince
Harrogate 2019, dopo 30 chilometri da solo, Simmons prende la bandiera da sua madre e vince
Cosa ti è parso del Tour?

E’ stato molto bello. Sono arrivato con una grande preparazione, quindi ho iniziato molto bene e davvero in forma. Mi sono divertito. Anche sulle grandi montagne, stando in gruppo, non ho mai avuto un solo giorno di difficoltà pazzesche per arrivare al traguardo. Il Tour è importante per noi americani. Quando dicevo che sarei diventato professionista, la gente quasi non capiva che lavoro avrei fatto. Poi sono andato al Tour e ho cominciato a ricevere messaggi da persone che non sentivo da anni. Non lo sto dicendo perché mi piace il riconoscimento, ma allo stesso tempo è bello dire: «Ehi, guardate, questo è un vero lavoro».

Eppure il ciclismo dovrebbe essere popolare a Durango, no?

Lo è, ma le gare sono un’altra cosa. Mi pare che al Tour quest’anno ci fossero cinque americani e due erano di Durango. E’ una città di 16.000 persone in mezzo al nulla ed è fantastico che avessimo due corridori al Tour.

A ruota di Van Aert verso Longwy: Simmons ammette di essersi divertito, ma non è riuscito a dare un solo cambio
A ruota di Van Aert verso Longwy: Simmons ammette di essersi divertito, ma non è riuscito a dare un solo cambio
Sei cresciuto con qualche campione di riferimento?

A essere onesti, fino a 17-18 anni, volevo correre in mountain bike. Seguivamo i corridori dello Specialized Factory Team, soprattutto perché alcuni di loro venivano da Durango. Poi sono arrivato in Europa, sono stato… esposto alle corse su strada e in quel momento sono cambiato. La mia generazione non ha avuto davvero nessuno da guardare. Ovviamente all’epoca c’erano corridori fortissimi, ma ero più fan di Sagan che di altri americani.

Ovviamente è vietato parlare di Lance Armstrong?

Forse con il team o chiunque si occupi dei media, dovrei stare attento. Ma voglio dire che per noi ragazzi è difficile dimenticare. Al riguardo si sono dette tante cose, ma un obiettivo, soprattutto in questo gruppo di giovanissimi americani, è provare a farlo di nuovo. E questa volta lo faremo nel modo giusto.

Cos’è per te la Parigi-Roubaix?

La gara preferita da guardare, difficile da vincere. Ogni anno sono diventato più leggero e vado meglio in salita, perciò non sono più tanto adatto a guidare sulle pietre e a tenere le posizioni. Ho paura passando da un settore all’altro, quindi almeno per ora la mia attenzione si è spostata. Ma sicuramente a un certo punto della mia carriera, quando avrò più fiducia e sarò più forte, con la potenza giusta, la Roubaix tornerà nella lista.

Al Wallonie 2021, Simmons vince la terza tappa a 20 anni
Al Wallonie 2021, Simmons vince la terza tappa a 20 anni
Cosa ne pensi del tuo lavoro?

Penso che il ciclismo sia bello, è sicuramente un sacco di lavoro. Ho trascorso due mesi a casa per la prima volta in cinque anni. Così è stancante, ma allo stesso tempo sei in viaggio verso posti davvero fantastici. E’ qualcosa di diverso dagli altri sport e questo lo rende più interessante. Negli altri sport professionistici americani, ti sposti tra le città ogni fine settimana e non è bello come andare in Francia per un intero mese.

Immagini mai come sarà la tua prossima vittoria?

Ci penso ogni volta che salgo in bici per allenarmi, ogni volta che vado in palestra. E’ un pensiero che deve esserci. E’ qualcosa che ti fa alzare e andare ad allenarti alle 6 del mattino. Riuscite a capirlo?

La cultura del lavoro, nella classe (istrionica) di Simmons

06.08.2022
5 min
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Istrionico, potente, a volte “barbuto”, sorprendente. Stiamo parlando di Quinn Simmons, corridore statunitense della Trek-Segafredo. Un’immagine di lui che probabilmente non scorderemo mai risale a questa primavera. Che poi parlare di primavera in quel contesto climatico è un parolone. 

Eravamo nel gelo di Carpegna, alla Tirreno, e prima della seconda scalata al Cippo, Quinn, in lotta per la maglia dei Gpm, una volta ripreso e staccato da Pogacar e gli altri big, si era fermato per mettersi i gambali e una maglia lunga. Questo tanto per inquadrare il personaggio! 

Sempre quel giorno, mentre lo intervistavamo dietro al palco ecco partire la banda ad un metro da noi. Baccano infernale. Lui imitò il gesto della tromba. 

Quinn Simmons durante la scalata al Carpegna alla Tirreno 2022
Quinn Simmons durante la scalata al Carpegna alla Tirreno 2022

Parla De Jongh

Ma oltre ai ricordi, chi è davvero questo ragazzo classe 2001 del Colorado? A farci un identikit tecnico di Simmons è Steven De Jongh, direttore sportivo della Trek-Segafredo nonché preparatore di Simmons.

«Lavoro con Simmons dal 2019 – dice De Jongh – un mio collega che lo seguiva già prima me lo segnalò, poi è toccato a me. Vinse subito tre corse e la classifica generale in una corsa a tappe negli juniores. Ciò che ha fatto in quella stagione è stato incredibile. Vinse il titolo mondiale juniores ad Harrogate a fine stagione».

A quel punto la Trek-Segafredo si assicura il ragazzo. L’inizio è buono, ma è anche il 2020… l’anno della pandemia. Così tutto è rimandato all’estate. E per poco in quell’estate Simmons non fece subito il colpaccio. Fu Attila Valter, nella sua Ungheria, a togliergli la gioia della prima vittoria da pro’.

Steven De Jongh, oggi diesse e coach, è stato un pro’ dal 1995 al 2009 (foto Twitter)
Steven De Jongh, oggi diesse e coach, è stato un pro’ dal 1995 al 2009 (foto Twitter)

Classiche e non solo

Quinn è un “ragazzo grande”, ma va forte anche in salita: che tipo di corridore è dunque? Oggi vediamo questi giovani che vincono un po’ ovunque. Anche Simmons potrà fare così? 

«Beh – continua De Jongh – per me Quinn deve ancora scoprirlo. Che sia adatto alle corse di un giorno, penso sia sicuro. Ma lo vedo di più per un’Amstel che per un Fiandre o una Roubaix, perché può fare meglio la differenza in salita che sul pavè.

«Ma ripeto, è giovane e può migliorare ancora. Magari nelle gare a tappe di una settimana, potrà avere un ruolo importante, ma in quel caso dovrebbe ricominciare a lavorare sulla cronometro».

Simmons (maglia rosa) in allenamento all’alba con dei suoi amici (immagine Instagram)
Simmons (maglia rosa) in allenamento all’alba con dei suoi amici (immagine Instagram)

La cultura del lavoro

Ma non solo madre natura ci ha messo lo zampino. Se Simmons va forte è merito anche del suo impegno. De Jongh ci parla di un ragazzo che fa del lavoro uno dei suoi punti di forza.

«A Quinn – dice il tecnico olandese – piace davvero allenarsi e lavorare sodo. Come tutti preferisce i lavori di resistenza a quelli brevi e intensi, perché sono dannatamente difficili! 

«Penso che quest’anno abbia fatto davvero un bel passo avanti. Ora si sta prendendo anche un po’ di riposo, in vista del finale di stagione. Negli ultimi anni si è impegnato tanto. Ha accumulato una grande mole di ore di lavoro e forse anche per questo a volte ha perso freschezza. Ma la sua etica del lavoro è veramente buona». 

E questa cultura dell’impegno è particolarmente apprezzata da De Jongh. «Mi piace la sua mentalità perché se ha qualcosa in testa, lo fa davvero. Quando Quinn vuole raggiungere qualcosa, lo punta e lo raggiunge. Un suo obiettivo è crescere gradualmente e lo ha dimostrato dall’anno scorso».

Dal Tour al gravel

Questa crescita lo ha portato da vittorie come il Tour de Wallonie del 2021, certamente importanti ma non di primissimo piano, ad eccellere anche su palcoscenici di primo ordine, come la conquista della maglia di miglior scalatore alla Tirreno o essere un brillante protagonista del Tour de France.

«In effetti – continua De Jongh – ci aspettavamo che Quinn andasse forte in Francia. L’anno scorso aveva dimostrato di essere ad un buon livello alla Vuelta (il suo primo grande Giro, ndr) e così abbiamo preparato, e bene, il Tour. L’attenzione era rivolta soprattutto sulla seconda parte (seconda e terza settimana, ndr), per essere competitivo quando c’erano le fughe. 

«Certo, essere così tante volte in fuga, penso che sia stato un po’ inaspettato anche per lui. Ma recuperava bene e ogni giorno aveva le gambe per entrarci e per provare. E’ stato bello vederlo così».

Dopo aver recuperato le fatiche del Tour, Simmons prenderà parte alle corse americane. Inizierà però dall’Europa, in Danimarca, poi correrà in Maryland, farà le due prove canadesi (Quebec e Montreal) e successivamente tornerà in Europa per l’ultimo blocco di corse: Binck Bank Tour, Paris-Tours…

«E forse – conclude De Jongh – chiuderà la stagione in Italia con la gara gravel ad ottobre».

E come poteva mancare un po’ di vero “made in Usa” per Simmons? Lui viene da Durango, una delle culle della mountain bike, è anche un grande ex biker… la gravel è il suo terreno naturale!

Simmons: barba rossa e maglia verde. Un americano sul Cippo

12.03.2022
5 min
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Capelli e barba rossa, lentiggini e un anello incastonato nel lobo dell’orecchio sinistro. I selfie col publico, il “dammi il cinque” con i tifosi e due occhi buoni. Quinn Simmons, 21 anni, è proprio il classico americano country. Gli manca solo la camicia di flanella a quadri!

Noi scherziamo, ma questo è un corridore vero. Il portacolori della Trek-Segafredo ha vinto il mondiale juniores al secondo anno in di categoria. E la scorsa stagione si è portato a casa una tappa e la classifica generale del Tour de Wallonie.

L’americano anche in corsa non ha lesinato “i cinque” col pubblico a bordo strada
L’americano anche in corsa non ha lesinato “i cinque” col pubblico a bordo strada

Obiettivo verde

E’ al terzo anno alla Trek-Segafredo ed è sempre cresciuto un po’. E la sua crescita è culminata oggi ai 1.367 metri del Cippo di Carpegna. Sulla salita dedicata a Pantani, con una grinta e una forza di quelle importanti, il barbuto americano man mano ha fatto fuori i suoi compagni di fuga. E parliamo di gente come Alaphilippe, Honorè, Aranburu… che sono ben più scalatori di lui. 

«E’ stata dura? Certo che è stata dura – racconta Simmons in zona mista – E’ stata una lunga giornata: 215 chilometri con così tanti metri di dislivello non sono mai facili. E’ stato un lungo viaggio tra queste montagne».

«Avevamo un obiettivo con la squadra. E l’obiettivo era mettere almeno uno di noi in fuga per andare a prenderci definitivamente questa maglia. Ce l’abbiamo fatta. Quando puoi conquistare una maglia in una gara del WorldTour è davvero bello. E per me è la prima volta. Quindi, ovviamente, sono felice».

«Sono soddisfatto della mia prestazione e di quanto sto facendo. Alla fine sono davvero solo al mio secondo anno da pro’. Penso che sia difficile contare il primo anno con il Covid e tutto il resto».

Con quel “tutto il resto”, probabilmente Simmons, fa riferimento alla squalifica impostagli dal team per un presunto Tweet a sfondo razzista. Ma evidentemente deve aver imparato la lezione. Tanto che la stessa Trek-Segafredo gli ha già prolungato il contratto di un anno, fino al 2023.

Simmons (classe 2001) in fuga durante la Apecchio-Carpegna. Alto 182 centimetri per 72 chili, non è uno scalatore puro
Simmons (classe 2001) in fuga durante la Apecchio-Carpegna. Alto 182 centimetri per 72 chili, non è uno scalatore puro

Motore grosso, grosso

Obiettivo centrato dunque. La maglia verde Simmons se l’è presa nel corso della quarta tappa di questa Tirreno-Adriatico e l’ha proprio cercata. Anche quel giorno, verso Bellante, c’era un circuito finale. Anche quel giorno era in fuga. E anche quel giorno Quinn è stato l’ultimo a cedere al ritorno del gruppo e a rilanciare proprio per andare a caccia di punti sui Gpm. 

«Questa maglia la cercavamo – spiega Paolo Slongo, uno dei diesse della Trek-Segafredo – oggi volevamo la fuga a tutti i costi. In realtà anche ieri Quinn ci aveva provato. E ci era pure riuscito, a dire il vero. Solo che sul primo Gpm si era toccato con Alaphilippe, aveva danneggiato una ruota e per fermarsi cambiarla aveva perso la fuga appunto. Ma soprattutto aveva perso i punti dei Gpm».

«Ha un gran bel motore questo ragazzo. Ha vinto da giovane e si è presto adattato al ciclismo dei grandi. Ha un grande potenziale anche in prospettiva. E’ un corridore da classiche. E’ uno da Fiandre, anche se tiene bene in salita ed è molto veloce. Gli piace un sacco la Strade Bianche (la scorsa settimana è stato settimo, ndr)».

L’americano è stato un’ottimo biker. E ogni tanto la usa ancora. Tra le sue passioni anche arrampicata e scialpinismo (foto Instagram)
L’americano è stato un’ottimo biker. E ogni tanto la usa ancora. Tra le sue passioni anche arrampicata e scialpinismo (foto Instagram)

Dna da biker

E questo non è un elemento da poco. Simmons infatti un po’, un bel po’, di offroad ce l’ha nel Dna. Questo ragazzo viene da Durango, Colorado, uno dei templi della Mtb. Una delle località dove è nata la ruote grasse. E con la quale lui stesso ha mosso le prime pedalate, tanto da prendere parte anche alla Coppa del mondo juniores e da vincere il titolo nazionale nel cross country.

Forse anche da questo si capisce il suo stile. Il suo modo di essere molto biker appunto.

«Eh sì – riprende Slongo – Quinn è un tipo naif. Ma nel senso buono! E’ un ragazzo a cui piace proprio andare in bici, stare nella natura. Lo vedete così grosso, con la barba, ma è un compagnone, in squadra scherza. Non è un taciturno».

Quinn dopo l’arrivo. Con 10 punti di vantaggio su Pogacar la maglia verde è matematicamente sua
Quinn dopo l’arrivo. Con 10 punti di vantaggio su Pogacar la maglia verde è matematicamente sua

Uomo squadra

E a questo giudizio di Slongo, si sposano bene le parole dopo l’arrivo (e i fatti in corsa) dello stesso Simmons.

«Ho fatto il mio lavoro – dice Simmons – Una volta presi i punti del Gpm, in discesa sono andato regolare e così al giro dopo ho anche potuto aiutare “Cicco” nella scalata finale. Anche per questo è stata una giornata di successo per noi della Trek».

Dicevamo un tipo naif. Poco prima del passaggio sotto la campana dell’ultimo giro, quando era già nel tratto transennato, Quinn ha messo il piede a terra. Ha visto un massaggiatore e all’improvviso ha fermato la bici. 

Cosa era successo?

«Oh – ribatte quasi stupito – come cosa era successo? I miei piedi erano freddi! Mi sono infilato i copriscarpe – mentre ce li indica – avevo visto quanto faceva freddo lassù e mi sono coperto».