Viaggio nel “motore” di Pedersen, mattatore d’inizio stagione

27.02.2024
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Ora sta tirando un po’ il fiato, lo rivedremo alla Parigi-Nizza, ma senza ombra di dubbio Mads Pedersen è stato il mattatore d’inizio stagione. L’ex iridato, in forza alla Lidl-Trek, infatti ha messo nel sacco 6 vittorie su 8 giorni di gara. Ha vinto in volata, ha vinto a crono, ha vinto le classifiche generali.

Non è la prima volta che il danese mette in mostra questo suo essere eclettico. Già al Tour de France dell’anno scorso lo abbiamo visto fare spalla a spalla con Philipsen in volata e poi tirare in salita per Ciccone. E dopo qualche giorno lo abbiamo visto fare un numero pazzesco ad Amburgo, degno del migliore dei finisseur.

Ma per fare tutto questo serve quello che in gergo è chiamato un “grande motore”. Oltre ad un certa cattiveria agonistica, aspetto che al danese proprio non manca.

Del motore di Pedersen abbiamo chiesto al suo “meccanico di fiducia”, il suo coach, Mattias Reck.

Mattias Rick, svedese, è l’allenatore di Pedersen. Eccoli al termine di un test lo scorso anno, pochi giorni prima che arrivasse il main sponsor Lidl (foto Instagram)
Mattias Rick, svedese, è l’allenatore di Pedersen. Eccoli lo scorso anno, pochi giorni prima che arrivasse il main sponsor Lidl (foto Instagram)
Mattias, Mads è partito fortissimo. Come valuti la sua preparazione invernale? C’è qualche aspetto a cui hai prestato particolare attenzione?

Mads, sta andando molto bene come sempre. La continuità è più importante dei piccoli dettagli specifici. Durante l’inverno è stato molto bravo non ha perso alcun allenamento. Continuiamo ad andare avanti nello stesso modo in cui abbiamo lavorato insieme negli ultimi due anni e mezzo. L’obiettivo è sempre quello di mantenere e di sviluppare la sua naturale capacità di resistenza e allo stesso tempo migliorare ulteriormente i suoi sprint.

Quindi non mollerà l’aspetto dello spunto veloce…

Lo sprint sarà sempre un fattore chiave. Ci sono molti buoni velocisti nelle classiche, quindi deve essere molto veloce anche lui. Nelle gare a tappe fa sprint di gruppo e nelle classiche sprint in drappelli più piccoli, ma lo spunto resta cruciale.

Ci sono dei lavori specifici che a Mads piacciono particolarmente e altri che non sopporta?

Non direi. Mads è un corridore a cui piacciono molto i grandi blocchi di allenamento. Gli piace lavorare davvero duramente. E anche se a volte fa molte gare, non ha problemi a prepararsi con buoni blocchi di allenamento nel mezzo.

Come dicevamo in apertura, Mads vince nello sprint, vince come finisseur, aiuta in salita… come riesce ad essere competitivo in ogni settore?

E’ un leader ed è un corridore molto importante in seno al team. Supporta l’intera squadra con la sua personalità e il suo carattere, sia dentro che fuori dalle gare. Non corre solo per vincere, ma anche per aiutare gli altri a raggiungere i loro obiettivi, come appunto abbiamo visto nelle tappe in salita al Tour per Ciccone o quando Richie è arrivato terzo al Tour. Ha un motore e una resistenza così grandi che normalmente non si stanca delle corse a tappe. Mads, infatti ha un recupero molto rapido, quindi è un perfetto super gregario e allo stesso tempo un leader.

Pedersen (classe 1995) domina il prologo dell’ultimo Tour de Provence, dove ha vinto anche la generale e conquistato 3 tappe su 4
Pedersen (classe 1995) domina il prologo dell’ultimo Tour de Provence, dove ha vinto anche la generale e conquistato 3 tappe su 4
Super corridori e super motori. Sono i cinque del Poggio di Sanremo del 2023? Gli stessi di Glasgow…

È impressionante vedere i grandi corridori di questo periodo, di questa generazione. Sono tutti fortissimi e molto completi. Prendiamo ad esempio la vittoria di Pogacar al Fiandre l’anno scorso. L’anno prima ha imparato a conoscere le classiche fiamminghe e l’anno dopo ha vinto. Ha spinto tutti al limite sia tatticamente che fisicamente. Un corridore che si allontana dall’essere “specialista” e vince sul terreno di casa di altri. O prendiamo alcuni dei Tour di Van Aert (a proposito Van Aert e Pogacar secondo me sono i due corridori più completi). O il tempismo e la “botta” nelle salite di Van der Poel che lo hanno portato a vincere così tante grandi gare di un giorno. Quindi c’è sicuramente abbastanza concorrenza per Pedersen. Ma questo è anche ciò che ci ispira e ci motiva a lottare, ad allenarci e a correre per migliorare ancora, per sfidarli e fare del nostro meglio per avvicinarci a loro.

E cosa ha Mads in più e in meno di loro?

Nelle gare meno collinari Mads normalmente parte già come uno dei favoriti. Nelle gare più dure, più ondulate, invece anche se Mads è già fortissimo in salita, ci sono alcuni corridori che salgono  meglio di lui. Vedremo cosa faremo per sfidarli e per batterli, se servono più W/kg o una tattica diversa. Mads sa come correre!

Hai detto di seguire Pedersen da due anni e mezzo: quanto è migliorato in questo periodo e che margini ha?

Abbiamo iniziato a lavorare a metà del 2021. Ovviamente ho avuto la possibilità di iniziare da un livello già elevato. Avevo molti anni di preparazione da esaminare, come informazioni di base. Questo rende le cose un po’ più facili per me allenatore. Abbiamo subito trovato una buona collaborazione sapendo che ognuno di noi ovviamente sarebbe già arrivato alla Trek nello stesso periodo, nel 2017. Io avevo alcune idee che volevo testare e hanno funzionato bene. Allo stesso tempo Mads voleva concentrarsi ancora di più su stesso ed è diventato un corridore migliore. E lo è diventato non solo perché abbiamo cambiato alcune cose del suo allenamento, ma anche perché c’è stato un processo naturale di crescita come corridore e come persona. Pertanto abbiamo visto progressi in ogni aspetto, direi, e siamo diventati più costanti nel corso dell’anno.

VdP, Van Aert, Pogacar e Pedersen. Quattro “mega motori” del lotto dei pro’, al mondiale di Glasgow
VdP, Van Aert, Pogacar e Pedersen. Quattro “mega motori” del lotto dei pro’, al mondiale di Glasgow
Perché a Mads non piace il ritiro in quota? 

L’altitudine, insieme ad esempio al lavoro in palestra (squat, pressa…) ti rendono un ciclista migliore, ma sono due dei regimi di allenamento più difficili per avere risposte chiare in anticipo. Devi testare e giudicare. Quando si tratta di altura c’è un equilibrio da considerare, non solo dal punto di vista dell’allenamento e degli adattamenti fisiologici che si ottengono, ma anche di ciò che un ciclista “sente” nello stare tre settimane su una montagna prima di andare allo Svizzera o al Delfinato e poi al Tour. Per un corridore di classifica è più chiaro cosa fare, ma per un corridore da classiche o per un velocista, anche se si hanno benefici sia in termini di capacità aerobica che anaerobica, non è sempre così. Magari in quota perde un po’ di peso più facilmente e questo non è sempre la cosa migliore per tutti i corridori.

Chiaro. Quindi qual è la tua opinione su velocisti in altura?

Ho già svolto training camp in quota con i velocisti e ho lavorato bene. Ma uno stesso ciclista l’anno successivo non è andato in quota e si è comunque comportato altrettanto bene. Il paragone secondo me non è tanto tra ritiro in quota e niente, ma tra un buon ritiro in quota o al livello del mare, in abbinamento ad una gara in più (o in meno, ndr). Per gli altri ciclisti con cui ho lavorato penso di poter dire che l’altura aiuta sicuramente, non c’è dubbio! Per concludere questo argomento direi che non escludiamo che Mads possa fare altura in futuro. Vedremo nei prossimi anni.

Viezzi negli occhi del preparatore: diversificare per crescere

13.02.2024
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Nella sua intervista post-vittoria mondiale, Stefano Viezzi era stato chiaro nel dare tanti meriti della sua esplosione fragorosa nel ciclocross al suo preparatore Mattia Pezzarini, parlando anche della sua propensione a diversificare l’attività allargandola addirittura alla mtb. Troppa carne al fuoco per lasciarla lì a bruciare: non si poteva prescindere dal parlare con lo stesso Pezzarini, proprio per capire quale possa essere il futuro del friulano ormai sulla bocca di tutti gli appassionati, non solo italiani.

Mattia Pezzarini, 25 anni, laureato in Scienze dello Sport. Spinge Viezzi verso la multidisciplina
Mattia Pezzarini, 25 anni, laureato in Scienze dello Sport. Spinge Viezzi verso la multidisciplina

«Con Stefano lavoro da un anno e mezzo – esordisce Pezzarini, nato a Corno di Rosazzo nel 1998 – Finora abbiamo privilegiato ciclocross e strada, lo scorso anno ha fatto solamente 3 gare in mtb ma ho intravisto grande potenziale anche in questa specialità. E’ un mondo da scoprire, dagli orizzonti sconosciuti per lui, ma io credo che possa arrivare molto lontano e che possa dargli enormi soddisfazioni. Ne abbiamo parlato, gli ho fatto l’esempio di Philipsen iridato in due discipline, io penso che abbia le doti tecniche giuste per emergere anche lì, unite a un fisico ideale, con la sua altezza non indifferente».

Che cosa ti spinge a seguire questa via?

C’è un fattore che va considerato: è uno che si difende molto bene in soglia anaerobica, ha limiti sconosciuti in questo senso e dobbiamo lavorarci. Il ciclocross è solo un primo passo secondo me, può fare altrettanto bene su strada, nelle cronometro e nella mountain bike, tanto è vero che confido di vederlo in nazionale sia agli europei che ai mondiali offroad.

Su strada nel 2023 è stato secondo al Giro del Friuli, dietro Bessega (foto Rodella)
Su strada nel 2023 è stato secondo al Giro del Friuli, dietro Bessega (foto Rodella)
Un progetto molto ambizioso, seguire tre discipline sull’onda di mostri sacri come Van der Poel e Pidcock e loro stessi dopo anni di tripla attività non sono più molto convinti…

Stefano è convinto anche perché fisiologicamente sa che può emergere. Inoltre io vedo la mountain bike propedeutica anche per l’attività su strada, proprio perché ha un’elevata soglia anaerobica. Ad esempio la mtb è un passaggio importante anche per approcciarlo nella giusta maniera alla cronometro che secondo me può essere la “sua” disciplina.

E Stefano cosa dice?

La pensa come me, d’altronde l’ha fatta solo una volta e ha chiuso 6° agli italiani. Io credo invece che possa davvero dire la sua anche in campo internazionale. Poi, tornando alla mountain bike, potrebbe anche essere un canale privilegiato per portarlo alle Olimpiadi fra quattro anni.

Tra gli obiettivi di Viezzi per il 2024 c’è correre il tricolore di mtb a Pergine Valsugana
Tra gli obiettivi di Viezzi per il 2024 c’è correre il tricolore di mtb a Pergine Valsugana
Viezzi comunque ha già detto che, se il ciclocross è la specialità che più gli piace, la strada è quella dove vede il suo futuro…

Ha ragione, la penso anch’io così, quello dovrà essere il suo pane. Proprio sull’esempio di VDP e Pidcock, un domani potrà anche scegliere, dirigere la propria attività verso una maggiore specializzazione, ma questo riguarda il futuro. Stefano è un atleta in costruzione. Guardando il mondiale di ciclocross, ad esempio, è facile cogliere come sui rilanci sia ancora carente e abbiamo visto come Van der Poel abbia fatto proprio di questo la sua forza. Su strada Viezzi secondo me può già fare cose notevoli in gare come l’Eroica.

Abbinare ciclocross e strada comporta stagioni diverse. Strada e mtb percorrono invece lo stesso periodo temporale, ma richiedono anche abitudine. Come conciliarle?

E’ un aspetto da considerare. Io prevedo dei cicli di lavoro esclusivamente per la mtb, considerando però il fatto che in questa stagione non andremo oltre le 6 gare in tutto. Certamente ci sarà da prevedere qualche giorno di passaggio da una disciplina all’altra, per riprendere la mano con una bici o con l’altra. Nella mountain bike poi non ha il potenziometro, quindi effettuerà lavori a tutta proprio per abituarsi allo sforzo. Ma tutto ciò servirà anche in funzione delle cronometro, che sono un mio pallino.

Viezzi al Giro del Veneto 2023, dove ha contribuito al 3° posto nella cronosquadre (foto Instagram)
Viezzi al Giro del Veneto 2023, dove ha contribuito al 3° posto nella cronosquadre (foto Instagram)
Con la Work Service c’è accordo su questa diversificazione dei lavori?

Sì, anche perché questo è un “must” per Stefano, che non vuole prescindere dalla sua attività nel ciclocross. Ancor di più ora che ha la maglia iridata e vuole onorarla passando di categoria. L’approccio con gli U23 non sarà facile essendo un primo anno, ma vuole comunque confermare il suo valore.

Voi siete amici anche al di fuori del ciclismo. Che tipo è?

La cosa che più mi piace di lui è la sua estrema semplicità. Che si traduce in un’applicazione nel lavoro quasi maniacale. Di atleti ne ho già visti molti, ma nessuno è mentalmente così. Vi racconto un episodio: a luglio parlando lontano dagli allenament,i mi disse che il suo sogno era vincere il mondiale e avrebbe fatto di tutto per riuscirci. Per questo dico che, quando si mette in testa una cosa, ha una concentrazione pazzesca. Poi, come lui stesso ha raccontato, è molto legato alla natura, le uscite in mezzo al verde sono la sua valvola di sfogo. Ed è anche bravo nella raccolta di funghi…

Per il neoiridato ora una stagione tra strada e mtb, ma poi si tornerà al ciclocross
Per il neoiridato ora una stagione tra strada e mtb, ma poi si tornerà al ciclocross
Sappiamo che sta imparando l’inglese, il che potrebbe significare anche un futuro fuori dall’Italia, magari in un devo team. Una soluzione che ti vedrebbe favorevole?

Sì e per molte ragioni. Innanzitutto è la strada ideale per crescere sapendo che c’è una via maestra che può portarlo in un team professionistico. Inoltre all’estero hanno una vera predilezione per la multidisciplina, quindi può trovare un sistema di lavoro che potrebbe favorirlo in tal senso. Sa che da parte mia c’è tutto il mio appoggio.

Zoccarato: inverno tra forza e intensità col nuovo coach

04.02.2024
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Forza prima e intensità poi: è l’inverno di Samuele Zoccarato. Il potente passista della VF Group-Bardiani ci spiega la sua settimana in questa prima fase dell’anno. Che poi nel suo caso neanche si può parlare di settimana vera a propria, ma è una continua alternanza di triplette e doppiette. In più Zoccarato ha anche cambiato preparatore e il confronto, aiuta a capire il nuovo metodo di lavoro.

 «Parlerei di un monte ore di allenamento – dice Zoccarato – che va dalle 20 alle 28 ore a settimana, in base alle distanze e ai lavori previsti. Faccio triplette di carico, un giorno di scarico e di nuovo una tripletta o una doppietta, quindi mi è difficile stilare una settimana tipo.

«Però posso dire che cerco di far coincidere sempre un giorno di scarico o di riposo il sabato o la domenica così da avere un giorno libero nel fine settimana».

Rullo Elite Suito, notizia Radio Deejay
Zoccarato ha utilizzato i rulli per completare la doppia sessione di forza: faceva degli esercizi monopodalici
Rullo Elite Suito, notizia Radio Deejay
Zoccarato ha utilizzato i rulli per completare la doppia sessione di forza: faceva degli esercizi monopodalici
E come ti sei regolato questo inverno?

Siamo andati per periodi. A dicembre per esempio con il dottor Andrea Giorgi che mi segue da quest’anno, ci siamo concentrati molto sulla forza. E’ capitato di lavorarci anche tre giorni di seguito. Il primo giorno facevo palestra, poi aspettavo sei ore e salivo sui rulli, dove facevo un’ora e mezza ancora lavorando sulla forza, con esercizi monopodalici.

Interessante. Come li eseguivi?

Dopo una fase di riscaldamento, per tre o quattro volte facevo delle sessioni con una gamba a 300 watt fino ad esaurimento. Erano molto dure. Era come andare a 600 watt con due gambe. E infatti duravo al massimo due minuti per gamba.

Perché aspettavi sei ore?

Perché ci sono degli studi che dimostrano che per assimilare per bene il lavoro di forza fatto in palestra, bisogna attendere e non saltare subito in sella.

Per Zoccarato primi veri fuori giri della stagione in corsa…
Per Zoccarato primi veri fuori giri della stagione in corsa…
Il secondo giorno come procedevi?

Facevo 4 o 5 ore con dei lavori. Nella prima e nella quarta ora dovevo fare delle partenze da fermo con vari rapporti, più o meno lunghi, per attivare tutte le fibre muscolari: 3×30”, recupero 4′, poi un ritmo tranquillo. Nelle ore centrali facevo SFR, quindi forza a bassa cadenza con recupero ad alta cadenza.

Il terzo giorno: cosa facevi?

Mediamente 5 ore, con delle sessioni di volate da 30” e recupero di 2′. Questo aspetto dei 30” forte l’ho mantenuto anche nell’off-season, per esempio quando andavo a camminare in montagna. Di tanto in tanto inserivo 30” di corsa forte. Questo serve per limitare il decadimento del Vo2 Max. E infatti quando ho ripreso stavo meglio.

E siamo al giorno di scarico…

Due ore facili.

La seconda tripletta cosa prevedeva?

Sostanzialmente le stesse cose, ma invertivo il primo giorno con il secondo. Mentre nel terzo giorno anziché fare delle volate da 30”, facevo 3×15′ di “swift spot”, vale a dire lavorare a cavallo di due zone, la Z3 e la Z4. Si tratta di lavorare vicino alla soglia, ma senza essere troppo aggressivi, specie perché si è ad inizio stagione. Era indifferente farle in salita o in pianura. Spesso cercavo terreni misti e, credetemi, fare 15′ non è una passeggiata. Anche perché in questa uscita non c’è mai un vero e proprio recupero. Al massimo si scende in Z2 e infatti tornavo a casa con una bella media sia di velocità che di watt. Sono tornato a casa anche con più di 280 watt medi che, considerando anche le discese, gli stop, il traffico, non è poco. Ero bello cotto!

Anche in allenamento Zoccarato non trascura l’alimentazione
Anche in allenamento Zoccarato non trascura l’alimentazione
Hai cambiato preparatore, è cambiato anche il lavoro?

Ora sono seguito da Giorgi, prima da Luca Zenti, coach della UAE Adq. Sostanzialmente non ci sono state grandi differenze sui lavori, ma sulle intensità e sui recuperi. Prima al 95 per cento, sapevo come avrei finito un allenamento e che non avrei sputato l’anima, ora invece più di qualche volta mi è capitato di non riuscire a finire i lavori e questo credo sia dovuto anche dalla tanta Z2 che faccio e non ai picchi. Stando costantemente in quella fascia, la catena è sempre in tiro.

Ora però Samuele ci siamo appena lasciati alle spalle gennaio, come è cambiato il menù? Sei passato dalla forza a cosa?

Le ore sono leggermente diminuite, ma neanche troppo, mentre sono aumentate le intensità. Sono aumentati i lavori in Z3 e Z4 e sono stati inseriti dei richiami in Z5. Però non ho mai toccato i massimali in allenamento. Neanche prima delle gare di Majorca e della Valenciana.

Puoi farci un esempio di qualche lavoro più intenso?

Per esempio facevo degli swift spot in Z4-Z5: 1′ in Z5, 30” di recupero in Z2. Oppure quando facevo la distanza inserivo dei lavori piramidali alla prima, terza e quinta ora: 3′ di VO2Max e 2′ di recupero in Z2; 2′ e 1′; 1′ e 40”; 40” e 30”… Un lavoro simile ti aiuta a conoscere il proprio fisico, specie nelle ore finali quando sei stanco, quando calano gli zuccheri. Riesci anche a capire come gestire gli integratori e la nutrizione. Capisci come migliorare nell’ultima ora.

Il veneto cura molto anche la parte a secco e della mobilità articolare in particolare (immagine dal web)
Il veneto cura molto anche la parte a secco e della mobilità articolare in particolare (immagine dal web)
Hai toccato il tasto dell’alimentazione, quali accorgimenti hai adottato per tutti questi particolari allenamenti?

Io sono molto alla buona e non ho preso chissà quali precauzioni. In linea di massima faccio riferimento all’introito calorico settimanale e se ho speso tanto, non faccio problemi a mangiarmi una pizza. In generale la dose di carboidrati è sempre alta sia a tavola che in bici. In bici mi attengo sempre agli 80-90 grammi di carbo l’ora, tra gel, barrette, malto… questo per avere il glicogeno sempre pieno. Ma questo vale più o meno sempre, al massimo quando dovevo lavorare sulla forza cercavo di aumentare la dose proteica negli shake prima e dopo gli allenamenti.

E lo stretching?

Quello lo faccio sempre e anche nei ritiri lo facevamo tutti insieme in squadra. Io però, quando faccio palestra, lavoro molto anche sulla mobilità articolare, specie quella delle gambe e della schiena. Avere una buona mobilità significa avere una capacità maggiore delle articolazioni e quindi del movimento e sfruttare meglio la muscolatura.

Sci di fondo e bici col Giro nel mirino: è l’inverno di Marco Frigo

16.01.2024
5 min
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Da una sciata di fondo sulle piste di Asiago, alle più miti temperature di Marbella, Marco Frigo si appresta così ad affrontare la sua seconda stagione tra i grandi. Il corridore della Israel-Premier Tech, sta lavorando sodo, ma con calma. Anche perché il suo debutto in gara non sarà a brevissimo e ancora più in là sono i suoi obiettivi.

Una convinzione che nasce principalmente dal suo buon 2023. Un anno di risposte, di conferme, ma anche consapevolezze che le carte sono in regola, ma la strada per arrivare in alto è ancora lunga. 

Frigo appartiene alla nazionale d’oro di Amadori. Quella di Zana, Colnaghi e Baroncini. Di Gazzoli e Verre. Ragazzi che piano piano si stanno facendo largo, ognuno tra le proprie storie, le proprie difficoltà, i propri tempi… ma avanzano.

Marco Frigo (classe 2000) sta lavorando molto anche a crono, specialità che non disdegna affatto
Marco Frigo (classe 2000) sta lavorando molto anche a crono, specialità che non disdegna affatto
Marco, partiamo dalla più classica delle domande: come stai?

Bene, dai. Sin qui è stato un buon inverno. Dopo una stagione positiva c’è più consapevolezza e quello che ora faccio, lo faccio con più tranquillità e più sicurezza, perché so che il cammino che intraprendo mi porta dove voglio. Lo scorso anno invece avevo molti più dubbi, molti punti interrogativi. Starò facendo abbastanza? Andrà bene questo allenamento? Sarò al livello richiesto dal WorldTour? Riuscirò a portare a termine la stagione?

Dopo un anno in prima squadra, tante corse WorldTour e un grande Giro, il motore si dice sia diverso. Vale anche per te?

Diciamo che ho buone sensazioni e anche i numeri dei test lo dicono. Sono circa tre settimane più indietro rispetto allo scorso, quando venivo dal finale di stagione in cui mi ero rotto lo scafoide e, avendo ripreso prima, di questi tempi avevo più chilometri e più lavori nelle gambe. E anche per questo sono fiducioso.

Quale sarà il canovaccio della tua stagione agonistica?

Più o meno quello dell’anno scorso. Partirò dal Tour de Provence (8-11 febbraio, ndr). Farò soprattutto delle gare a tappe con l’obiettivo primario del Giro d’Italia. Successivamente, dopo lo stacco post Giro, preparerò il finale di stagione, stavolta con la speranza di fare meglio dello scorso anno nella seconda metà.

Frigo vuol fare bene le classiche di fine stagione. Eccolo, qui al Giro dell’Emilia
Frigo vuol fare bene le classiche di fine stagione. Eccolo, qui al Giro dell’Emilia
Come stai lavorando nel complesso in questo inverno?

In generale sono aumentati, ma di poco, i volumi. Qualche chilometro in più, ma anche qualcosa in più nei lavori. Se lo scorso anno, per esempio, facevo 3×15” adesso magari faccio 3×20”. Lo abbiamo stabilito con il mio allenatore, Ruben Plaza. Comunque sin qui ho fatto pochi lavori. Insisteremo di più sull’intensità a partire dalla prossima settimana.

Nel tuo gruppo di allenamento c’è anche Froome?

Dipende. Magari un giorno capito nel gruppo con Chris e un altro sono con Jakub (Fuglsang, ndr). Dico che in ogni caso mi piace questa cosa, perché sono corridori che guardavo da bambino e adesso mi ritrovo quotidianamente con loro. Questo mi rende orgoglioso, felice.

A proposito di Fuglsang, proprio lui alla Veneto Classic ad ottobre ci aveva parlato benissimo di te. Ci aveva detto anche che ti stava dando una mano per migliorare in discesa. Ci lavorate ancora?

Ho un buonissimo rapporto con lui. E siamo spesso compagni di stanza. E’ un corridore di esperienza, di classe. Siamo entrambi molto diretti e il confronto è costante. Spero di fare molte gare con lui. Da un atleta così c’è solo che da imparare.

Sci e bici: il connubio perfetto per Marco Frigo
Sci e bici: il connubio perfetto per Marco Frigo
Marco, sei anche un appassionato di sci di fondo. E ti sei allenato anche con un azzurro di Coppa del mondo come Simone Mocellini: cosa ti dà questo sport per il ciclismo?

Sì è vero, il fondo mi piace molto. Avrei voluto molta più neve per sciare di più. Spero che quando tornerò da Marbella ce ne sarà un bel po’, così mi allenerò ancora sugli sci stretti. Questa è una passione nata da bambino. In particolare me l’ha trasmessa mio nonno Carlo. Lo sci di fondo per me è un buon metodo di allenamento, fa bene sia per la componente aerobica che per quella muscolare e del core. Si compensa alla grande con il ciclismo. Ho anche idea di acquistare degli skiroll per il futuro, nel caso non dovesse esserci neve per farne di più tra novembre e dicembre.

Capitolo Giro d’Italia. In passato ci hai detto che sei uomo da corse a tappe e ora che vuoi arrivarci in forma…

Ho detto che lavoro in quella direzione. Forse per la classifica generale è ancora un po’ presto, ma di due cose sono certo. Una: cercare di vincere una tappa. Due: nelle prime due tappe non si mollerà di un centimetro. Voglio tenere duro il più possibile perché in qualche modo potrebbe esserci in palio la maglia rosa, come fu a Lago Laceno lo scorso anno (quando la prese Leknessund, ndr). 

Al Giro c’è anche un bel po’ di crono…

E’ un aspetto che mi piace curare. Credo possa essere una specialità a me favorevole, viste le mie caratteristiche fisiche, specie poi per le brevi corse a tappe. Oltre alle uscite in programma, quando faccio i rulli, sia scarico che i lavori, li faccio sempre con la bici da crono. Proprio ieri qui a Marbella abbiamo fatto quasi 4 ore sulla bici da crono. Poi la mezz’ora finale ci siamo sciolti su quella strada. Abbiamo fatto anche qualche lavoro di gruppo, tipo cronosquadre… anche a ritmo gara.

Resistenza e intensità diverse: il piano di Giorgi per Fiorelli

08.01.2024
5 min
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«Ho trovato un ragazzo generoso, disponibile e soprattutto un grande lavoratore», parole di Andrea Giorgi su Filippo Fiorelli, suo nuovo allievo. Da quest’anno coach e dottore, Giorgi infatti segue la preparazione dell’atleta siciliano in prima persona. 

E’ stato Fiorelli stesso nel ritiro della VF Group–Bardiani a dirci di aver cambiato strada e di essersi affidato al preparatore interno. 

Fiorelli è un talento in seno a questo team e anche uno dei corridori italiani con più potenziale. Questa potrebbe essere la sua occasione.

Andrea Giorgi, medico della VF Group-Bardiani, si è unito al gruppo dei Reverberi dalla scorsa stagione
Andrea Giorgi, medico della VF Group-Bardiani, si è unito al gruppo dei Reverberi dalla scorsa stagione

“Made in Bardiani”

«Il team – spiega Giorgi – voleva che da quest’anno si centralizzasse il più possibile il controllo degli atleti, anche per questo sono aumentati quelli seguiti internamente da me e Borja Martinez, altro coach dello staff medico, ed è stato preso anche il nutrizionista (Luca Porfido, ndr). C’è stata questa possibilità di cambiare e Filippo era propenso a fare un altro passo. Così dopo un anno di lavoro in cui comunque lo supervisionavo (era allenato da Alberati, ndr) abbiamo deciso di provarci».

Giorgi spiega che con Fiorelli si lavora bene, primo perché come detto è uno stakanovista e poi non si tira mai indietro di fronte alle novità. Tra i due c’è sempre un punto d’incontro. Se Filippo è troppo stanco, magari si aggiusta il tiro in corsa.

«Ci sentiamo quotidianamente – spiega Giorgi – Filippo vuole fare le cose per bene e per ogni cosa mi chiede consiglio. C’è un confronto costante. Siamo entrambi chiari. Se piove, se è stanco, se il rullo non funziona… come si aggiusta il tiro? Per esempio all’inizio ha avuto dei problemi con la nuova metodologia in palestra. “Con questi carichi mi serve la sedia a rotelle, altro che la bici”, mi diceva. Però si è adattato presto».

Filippo Fiorelli (classe 1994) da quest’anno è seguito dal dottore e preparatore Giorgi (foto Gabriele Reverberi)
Filippo Fiorelli (classe 1994) da quest’anno è seguito dal dottore e preparatore Giorgi (foto Gabriele Reverberi)

Obiettivo resistenza

Giorgi e Fiorelli stanno lavorando soprattutto su una direttiva: la resistenza. Arrivare meglio ai piedi delle salite, significa poterle affrontare meglio. E di conseguenza sfruttare lo spunto veloce di Filippo. 

«Non so perché, ma nelle professional la parte aerobica è meno curata rispetto che nelle WorldTour – dice Giorgi – poi magari ci sta che i più forti finiscono nelle WorldTour anche per doti fisiche naturali, ma è un dato di fatto, lo dicono i numeri, che nel WorldTour curano di più la componente aerobica.

«Nel caso di Filippo quindi ho insistito subito sulla resistenza soprattutto, ma anche sull’ipertrofia del muscolo. Ed ho inserito delle intensità più elevate. Questo anche perché volevo che arrivasse più pronto al primo ritiro. E così è stato. Anche col peso, il suo tallone d’Achille, era a posto. Alle misurazioni del caso e alla plicometria a ultrasuoni era perfetto. Tanto è vero che gli ho fatto i complimenti. Ed era è solo un mese e mezzo che lavoravamo insieme».

Anche i test fisici danno ragione al duo Giorgi-Fiorelli. La capacità aerobica del siciliano è migliorata.

«Certe intensità che lo scorso anno erano un problema adesso sono quasi il suo recupero – spiega il preparatore – io ricordo Masnada quando era all’Androni. In quei tre anni la sua capacità aerobica è andata sempre migliorando e infatti adesso guardate dove è.

«A 5 watt/chilo nel WorldTour ormai passeggiano, mentre i nostri fanno fatica. Dovevamo arrivare a questo standard perciò e ci stiamo avvicinando. Migliorando la capacità aerobica si è più freschi e quindi più resistenti quando la corsa entra nel vivo». Aspetto quest’ultimo, ancora più importante per le caratteristiche di un corridore come Fiorelli che deve sfruttare il suo spunto veloce nel finale.

Il siciliano non ha paura di buttarsi in volata, né teme i mostri sacri dello sprint come accadde lo scorso anno a Salerno
Il siciliano non teme i mostri sacri dello sprint come accadde lo scorso anno a Salerno

Corse mosse

Per Giorgi, Fiorelli non è un velocista puro. Secondo il toscano, Filippo fa le volate perché sa stare in gruppo, ha grinta e forza. Ma una volata di gruppo farebbe fatica a vincerla.

«Però – continua Giorgi – se resiste sullo strappo le sue possibilità aumentano notevolmente. Di Philipsen e Milan ce ne sono pochi, loro hanno anche un treno e wattaggi mostruosi. Filippo può vincere altre corse: quelle con i gruppetti ristretti o gli sprint dove si arriva dopo uno scollinamento».

«La sua corsa? Una tappa mossa, come del resto ha già fatto vedere, una Per Sempre Alfredo, una Coppa Sabatini o una Veneto Classic. E questa benedetta tappa al Giro d’Italia. In fin dei conti non ci è andato lontano neanche lo scorso, come a Salerno per esempio. Non dico la Sanremo solo perché la Classicissima è molto lunga e Filippo sta lavorando adesso sulla resistenza, ma in futuro…».

La VF Group-Bardiani è tornata a Benidorm (foto Gabriele Reverberi)
La VF Group-Bardiani è tornata a Benidorm (foto Gabriele Reverberi)

Evoluzione sì, rivoluzione no

Da qualche giorno la VF Group-Bardiani è tornata a Benidorm. Nel corso di gennaio Giorgi insisterà parecchio anche sull’intensità, caratteristica che comunque serve con l’avvicinarsi delle gare. E contestualmente sarà ridotta la palestra. Anche questo è stato un bel cambiamento per Filippo. Prima faceva la parte a secco con meno carico e non usciva in bici. Adesso invece quando fa la palestra i carichi sono ben più pesanti e al pomeriggio salta in sella.

«Io credo – conclude Giorgi – che il suo monte ore settimanale sia aumentato non di molto: il 10-15 per cento al massimo. Quel che più è cambiato è come sono distribuite le intensità nell’arco dell’allenamento. Non c’è mai un’uscita tutta uguale. Filippo sa che nella prima ora deve fare questo lavoro. Nella seconda questo e così via. Anche i recuperi sono variati parecchio: non sono mai troppo blandi.

«Ricordiamo poi che parliamo di un ragazzo di quasi 30 anni e non si poteva stravolgergli la vita, ma i suoi valori sono cresciuti un bel po’ e in Z2 siamo ben al di sopra dei 300 watt».

Un test sul Col de Rates e la stagione di Zana può iniziare

15.12.2023
6 min
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ALTEA (Spagna) – Quando spunta dalla curva, una delle ultime del Col de Rates, Filippo Zana ha il fiatone. Però è ancora lucido. Il dottor Luca Pollastri e il preparatore Marco Pinotti lo aspettano per il prelievo del sangue, dal lobo dell’orecchio. Una puntina, nulla più più. Quanto basta per valutare la quantità di acido lattico che il veneto ha accumulato nei 6′ di sforzo.

La Jayco-AlUla ha scelto il versante di Parcent per questo test incrementale. Si finisce un chilometro scarso prima dello scollinamento. Coach Pinotti ha scelto questo punto perché la salita è più regolare e c’è un comodo spiazzo, tra l’altro anche panoramico, dove parcheggiare le ammiraglie. 

E’ dunque in questo contesto che Zana sta preparando la stagione che verrà. Certi dati, chiaramente restano segreti, ma le sensazioni sembrano buone. E il volto di Filippo non fa che assecondare le nostre sensazioni.

Filippo Zana (classe 1999) col Pirata. Il ritiro del veneto durerà in tutto 13 giorni
Zana (classe 1999) col Pirata. Il ritiro del veneto durerà in tutto 13 giorni
Filippo, se ti dovessi paragonare a un anno fa come stai? Dodici mesi fa c’era uno Zana che approdava al WorldTour, adesso?

Credo di essere più motivato. E sicuramente più consapevole di aver lavorato bene, di essere riuscito a togliermi delle soddisfazioni. Di aver raggiunto degli obiettivi e di averne fissati altri, forse ancora più alti.

Quali sono questi obiettivi ancora più alti?

Penso alla Strade Bianche. Stavolta spero di far bene fino in fondo, di essere protagonista, visto che l’anno scorso è andata abbastanza bene. Ero davanti, ma nel finale mi sono mancate un po’ le gambe. Poi ci sarà il Giro d’Italia dove darò una mano ad Eddie Dunbar, con la speranza di essere ancora più pronto.

Quindi non ci sarà Simon Yates al Giro?

In teoria no, poi vediamo. Siamo ancora a dicembre, ma dovrebbe essere questo il nostro programma.

Credevamo che non andando al Tour, come avevi paventato, saresti stato il capitano e che stessi lavorando “sull’operazione Giro”?

No, credo sia ancora presto. Intanto diamo supporto ad Eddie…

Come nel 2023, Zana aiuterà Dunbar al Giro, con la sensazione che entrambi saranno più forti e consapevoli
Come nel 2023, Zana aiuterà Dunbar al Giro, con la sensazione che entrambi saranno più forti e consapevoli
Parliamo del tuo lavoro qui in Spagna. Cosa stai facendo in questo ritiro?

Viste anche le temperature che ci sono qui, specie nella prima parte della settimana (oltre 25 gradi, ndr), stiamo facendo un bel po’ di ore che servono come base. A casa con certe temperature riesci a fare un po’ meno. Credo che alla fine in questa dozzina di giorni di allenamento faremo 40 ore più o meno. Che corrisponderanno immagino a 1.000-1.200 chilometri.

Ti abbiamo visto fare quel test, di cosa si trattava?

Abbiamo fatto un primo test del lattato. Un test utile per vedere più o meno i valori su cui lavorare. E’ noto che fare un test adesso, a inizio stagione, non è come farlo magari prima del Giro, quando si è in forma. Ma proprio per questo è utile, perché ti dà i giusti valori per allenarti. E’ molto importante avere questi riferimenti per riuscire a lavorare al meglio. 

E rispetto all’anno scorso i numeri sono migliorati?

Un po’ sì, ma a dire il vero mi sento anche meglio dell’anno scorso. Mi sento meglio in generale. Sono contento di come abbiamo iniziato.

Col peso come va? A prima vista sembri già molto magro, ma tu non fai testo!

In effetti sono messo già bene… senza volerlo. Non ho fatto niente di particolare. Ho sgarrato quando volevo sgarrare. E poi ho anche più muscolo rispetto a dicembre dell’anno scorso. 

Come in corsa, anche in ritiro, Filippo ha prestato grande attenzione all’alimentazione
Come in corsa, anche in ritiro, Filippo ha prestato grande attenzione all’alimentazione
E’ una tua valutazione o lo dicono gli strumenti?

Lo dice il test della Bia. Da questa riesci ad estrapolare la quantità di massa magra, la percentuale di muscolo. 

Conosci la tua percentuale di grasso?

Varia un po’ nel corso dell’anno. Per esempio quest’anno prima del Giro era al 6 per cento, poi è risalita un po’, specie dopo la frattura della clavicola, ma alla Vuelta era di nuovo al 6 per cento. Adesso sarò un poco di più, ma va bene. Diciamo che abbiamo individuato un peso ideale e quando devo andare forte lo devo raggiungere.

Hai lavorato in palestra in questo periodo?

Sì, sì, come l’anno scorso del resto. La palestra è stata una parte fondamentale del mio allenamento. L’ho mantenuta per tutto l’anno, anche durante le corse. Facevo un richiamo a settimana. Mentre in questa fase arrivo anche a tre sedute. Mi trovo bene e quindi penso che continuerò a lavorarci. Faccio lavori con il bilanciere, la pressa, esercizi a corpo libero anche per lavorare sul core.

Avete un preparatore specifico per la palestra?

Un po’ di esercizi me li dà la squadra. E poi anche i fisioterapisti ci danno degli esercizi specifici. In questo modo possiamo lavorare anche sui punti deboli.

Solo parte della Jayco-AlUla è venuta in ritiro. Ma per gennaio saranno al completo
Solo parte della Jayco-AlUla è venuta in ritiro. Ma per gennaio saranno al completo
Fare la base, cosa che sentiamo spesso: a che intensità pedali?

Sostanzialmente Z2, che diventa una Z3 in salita. Io lo chiamo “il lungo”, alla vecchia maniera. E’ quell’intensità in cui hai la gamba in tiro, ma non fai tanta fatica da produrre acido lattico. E’ anche un’andatura ideale per bruciare i grassi.

A proposito di grassi, una volta in ritiro non si mangiava in bici, o lo si faceva molto poco. Adesso invece vediamo che molti ragazzi hanno una tabella di carbo da ingerire anche in questa fase. Vale anche per te?

Per tutto il ritiro, in bici e non, abbiamo la tabella alimentare: colazione, pranzo, cena e bici. Ed è importante per riuscire a sostenere i carichi e a stare bene al tempo stesso, tanto più che io non ho bisogno di dimagrire, ma devo solo mantenere. 

In bici opti per un’alimentazione solida o liquida?

Un po’ di tutto. Abbiamo barrette, gel, rice cake, paninetti e anche dei dolcetti che ci fa la squadra, molto graditi per variare un po’ dal resto della stagione. In più abbiamo anche i carboidrati nelle borracce. 

Con la bici come va invece? Dopo un anno la senti tua del tutto?

Con Giant mi sono trovato veramente bene. Una gran bici. Poi tutto continua ad evolversi, continuano ad arrivare cose nuove. Bisogna ringraziare anche Marco Pinotti per questo: lui è fissato sui materiali e sull’aerodinamica in particolare. Fa evolvere la squadra ed è fondamentale al giorno d’oggi.

Finché è stato campione italiano, Zana ha utilizzato una Propel tricolore. Quest’anno il veneto ha optato per un manubrio più stretto
Finché è stato campione italiano, Zana ha utilizzato una Propel tricolore. Quest’anno il veneto ha optato per un manubrio più stretto
Preferisci la TCR o la Propel?

Quest’anno ho usato soprattutto la Propel, ma so che c’è qualche novità in arrivo. A quel punto vedremo quale userò. Per ora vado ancora con la Propel.

Hai ritoccato qualcosa?

Ho cambiato il manubrio. L’ho messo più stretto. Prima era da 42 centimetri ora è da 39: è una misura che ha fatto Giant per il nostro manubrio che è un semintegrato. Lo sto provando proprio in questi giorni in ritiro. Per ora mi trovo bene, l’aerodinamica ne guadagna. In pianura e in salita, anche quando mi alzo, non sento grandi differenze, vediamo un po’ come va in discesa. Ma prima di giudicare mi serve qualche giorno.

Cambiando il manubrio, hai toccato anche un po’ la posizione della sella, dell’attacco o magari le tacchette?

No, tutto uguale. Gli angoli non cambiavano.

Con quanti chilometri hai finito la scorsa stagione?

Sui 30.000 chilometri.

Stai utilizzando le corone 54-40?

Sì, sempre quelle. Mi ci sono trovato bene durante tutto l’arco dell’anno e non le ho mai cambiate.

Preparazione: per Pozzovivo l’unico vero dogma è adattarsi

06.12.2023
5 min
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Qualche giorno fa coach Leonardo Piepoli è intervenuto su Davide Formolo. Si parlava di cambiamenti nella preparazione, di approcci differenti da avere… ma siamo sicuri che un corridore riesca a cambiare tanto facilmente, specie se over 30? Spesso insistere sui determinati concetti, se non addirittura gli stessi allenamenti veri e propri, era un dogma imprescindibile.

In tanti facevano fatica a cambiare. Il concetto era ed è: “Quell’allenamento è andato bene, lo faccio di nuovo”. In realtà non è proprio così. E non lo è per una lunga serie di motivi: età, stimoli fisici in senso stretto, cambio di ruolo in squadra…

Domenico Pozzovivo, per esempio, il pro’ in attività più esperto con i suoi 41 anni, ha vissuto ormai diverse epoche del ciclismo e si è sempre adattato. Magari, visto da fuori, il corridore ancora in forza alla Israel-Premier Tech può sembrare uno dei più abitudinari: i ritiri sullo Stelvio o sull’Etna, gli allenamenti costanti anche quando il meteo non è buono… «Quando hai poca grinta, vai con Pozzo», parola di Alberto Bettiol, suo vicino di casa a Lugano, tanto per dirne una. Per Domenico ieri mattina un’ora di nuoto e poco dopo un’uscita in mtb nelle zone del suo Pollino.

Pozzovivo, che sta prendendo la seconda laurea proprio in Scienze Motorie, ci ha spiegato che cambiare è quasi un imperativo, specie nel ciclismo di oggi. L’approccio alle uscite in bici, ma anche all’alimentazione, al riposo, all’integrazione… è totalmente diverso che in passato.

Domenico Pozzovivo (classe 1982) in compagnia di alcuni amici in mtb
Domenico Pozzovivo (classe 1982) in compagnia di alcuni amici in mtb
Domenico, partiamo dal concetto che emerge dalle parole di Piepoli: si riesce a cambiare i propri allenamenti dopo tanti anni da professionista?

Questo concetto del non cambiare è proprio contrario ai principi basilari dell’allenamento. Una seduta, una preparazione, per essere stimolante deve essere differente. Deve variare, altrimenti non produce più stimoli. Bisogna cambiare, altrimenti si ha una sorta di assuefazione.

Assuefazione, il corpo riconosce certi stimoli e certi limiti. E lì resta, insomma…

Esatto, si ha un’assuefazione che non è solo fisica, ma anche mentale. Non arrivi più al limite. Non ci riesci perché vivi l’allenamento come una routine e non come una sfida. E a mio avviso questo aspetto di sfida non dovrebbe mai mancare neanche nell’allenamento.

Nella tua tua nuova avventura universitaria si parla espressamente anche di questi concetti?

Più che altro sono concetti a cui arrivi dopo che li hai messi in pratica, ma a livello accademico non si parla di questi aspetti mentali, specialmente legati al ciclismo di altissimo livello. Si parla di quelli fisici chiaramente, dei principi base sugli stimoli.

Pozzovivo è passato nel 2005: anni, soprattutto in questo periodo, dai ritmi più blandi. Eccolo nel 2012 con Modolo provando i materiali per la crono
Pozzovivo è passato nel 2005. Eccolo durante un ritiro del 2012 con Modolo provare i materiali per la crono
Quindi è facile o no modificare le proprie abitudini?

La verità è che alla fine tutti fanno fatica a modificare loro abitudini, ma bisogna imporselo. Devi. Io per esempio faccio più difficoltà ad affrontare i lavori brevi e intensi come i 30” o un minuto a tutta. E faccio fatica sia fisicamente che mentalmente. Ogni anno quando devo iniziarli, devo quasi fare una sorta di training autogeno: «Dai, da oggi li devi fare!», mi dico. E devi avere la capacità di toccare i tuoi limiti in quei lavori. Tanto più che sono uno scalatore e una volta, non era così. Non ci ero abituato.

Cosa è cambiato di più in tanti anni dunque? In cosa ti sei dovuto adattare?

Una volta, e non parlo di 15 anni fa ma molti meno, non facevi quei lavori così brevi, almeno se eri uno scalatore. Però io credo che devi stare al passo coi tempi. Essere chiusi mentalmente non va bene, ogni certezza la devi rimettere in discussione e non parlo solo di allenamenti, ma anche di integrazione, alimentazione.. Insomma per me i dogmi non esistono. Oggi ancora di più. Una volta i cambiamenti importanti avvenivano ogni cinque anni, adesso ogni 2-3 anni tutto è rivoluzionato.

Facciamo un esempio pratico: le SFR per esempio. Come le fai adesso e come le facevi prima?

Forse questo è l’aspetto che meno è cambiato, specie per me. Io non faccio delle SFR vere e proprie, ma faccio una parte a potenza costante e una parte con cadenze alte. Un alternarsi di forza e trasformazione, di “in e out”… Quindi questo non è variato, quello che semmai è cambiato è l’approccio alla forza. Una volta uno scalatore non faceva la forza massima, adesso sì. E lo stesso l’approccio alla soglia, quello sì che è cambiato parecchio.

L’approccio alla forza (e non solo) è cambiato anche per gli scalatori. Magari se ne fa meno in bici, ma più a secco, almeno in certi periodi dell’anno
L’approccio alla forza (e non solo) è cambiato anche per gli scalatori. Magari se ne fa meno in bici, ma più a secco, almeno in certi periodi dell’anno
E come ti sei adattato?

Prima si faceva poca soglia, proprio in termini di volumi, e sempre molto “flat”, lineare. Adesso, numeri alla mano, se ne fa almeno il triplo e con delle variazioni d’intensità del fuorisoglia stesso.

Però i chilometri sono scesi?

Un po’ sì: aumenta la qualità e un po’ si riduce la quantità. Ma sono calati anche perché ad esclusione delle grandi classiche, le tappe sono più corte e anche nei grandi Giri non ci sono più i tapponi di un tempo. Io ormai le sei ore, sei ore e mezzo, le faccio giusto prima di un Lombardia o di una Liegi.

Quindi nessun dogma, “obbligo” di cambiare anche contro le proprie voglie: così si adatta il pro’, giusto?

Continuo parlando della soglia. Una volta non ti sognavi di fare i lavori a soglia o fuorisoglia a dicembre. Oggi invece sono due aspetti caratterizzanti nell’inizio della preparazione: la base, che che forse è l’unico dogma esistente, e la soglia appunto. E questi due aspetti vanno di pari passo. Se ci si pensa sono i due estremi della preparazione: s’inizia facendoli insieme e poi si riempie quello che c’è nel mezzo. E’ quasi una manipolazione matematica della curva della preparazione.

Cross del Nord e percorsi italiani: modelli prestativi differenti?

03.12.2023
5 min
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I fettucciati italiani e i percorsi del cross in Belgio: una differenza abissale. Senza entrare nel merito di queste differenze e del problema tecnico che ne deriva, ci siamo interrogati sui modelli prestativi che nascono da tracciati tanto differenti. 

In un percorso come quello di Follonica, per fare un esempio, un crossista sta al massimo per 15”-20” consecutivi, cioè tra una curva e l’altra. A Niel, in Belgio, abbiamo visto tratti pedalati che superavano il minuto. Va da sé che s’innesca un processo metabolico differente. E’ come dire: «Faccio atletica», ma un conto è fare i 110 ostacoli e un conto i 400 metri piani.

Fabrizio Tacchino è uno dei coach del centro studi della Federciclismo e della Fitri
Fabrizio Tacchino è uno dei coach del centro studi della Federciclismo e della Fitri

Motori in ballo

In questo quadro, come abitudine di bici.PRO, abbiamo coinvolto un esperto, il preparatore Fabrizio Tacchino, formatore dei diesse italiani della Fci e della Federazione di Triathlon, ma anche preparatore di giovani crossisti.

«In Belgio – spiega Tacchino – la tradizione è diversa e alcuni circuiti sono storici e identificativi, quasi come quelli della Formula 1. E magari un percorso è più adatto ad un certo tipo di atleta e meno ad un altro. 

«In più quelli sono circuiti pensati principalmente per gli elite, mentre da noi sono realizzati anche per attirare più gente. E così sullo stesso tracciato devono correre dai G6 agli elite».

Riguardo ai modelli prestatitivi entrano in ballo i motori degli atleti. Sui percorsi più aperti e anche più larghi del Nord, chi ha una grossa cilindrata in qualche modo riesce ad emergere, al netto della tecnica chiaramente. E parliamo di cilindrate così grandi che nel cross italiano, in questo momento non ci sono. 

Tacchino parla di un motore alla Ganna, per fare un esempio. «In tempi recenti c’è stato Trentin che ha provato a fare un po’ di cross. Adesso abbiamo Colnaghi, che ci sta provando. Ma lui lo fa soprattutto per una questione di allenamento, non è dunque uno specialista. Nel cross si lavora sulle alte intensità, molto utili per quando ricomincia la stagione su strada».

Il percorso di Follonica, tappa del Giro d’Italia ciclocross: la differenza visiva è netta rispetto ad un cross del Nord
Il percorso di Follonica, tappa del Giro d’Italia ciclocross: la differenza visiva è netta rispetto ad un cross del Nord

Fibre rosse, fibre bianche

Dicevamo all’inizio dei modelli prestativi. Un conto è spingere per 15” un conto per un minuto, il tutto su uno sforzo costante che è l’ora di gara. Se analizzassimo il file di un ciclocrossita in un percorso italiano e in uno del Nord, di certo vedremo tanti più picchi in quello italiano. Frutto di tante ripartenze e frenate, in corrispondenza di curve, molto spesso a gomito, e rilanci.

«Specie nei tracciati italiani – riprende Tacchino – ci sono azioni corte di 20”-30” che anche se potenti non sono massimali: la maggior parte arriva a picchi di 600-700 watt. Se si pensa alla potenza e alla cadenza che sviluppa un velocista durante uno sprint, sono dati piuttosto normali».

«Quel che serve è anche l’esplosività. Questa si nota soprattutto nelle categorie giovanili: vedi subito se un corridore è scalatore o meno. Certi sforzi per lui sono poco adatti o meglio gli riescono meno naturali, in quanto ha fibre muscolari più resistenti, ma meno rapide. E il discorso è molto chiaro se si ragiona in modo inverso, cioè immaginare i crossisti puri su strada».

E in effetti i crossisti puri, anche i migliori del Belgio, su strada non emergono. Le loro fibre saranno esplosive, ma non rendono altrettanto dopo molte ore. Mentre il contrario può avvenire. Il pensiero va immediatamente a Van der Poel e Van Aert.  

Van Aert e Van Der Poel (entrambi in foto) ma anche Pidcock sono tra i pochissimi che emergono sia su strada che nel cross
Van Aert e Van Der Poel (entrambi in foto) ma anche Pidcock sono tra i pochissimi che emergono sia su strada che nel cross

Questione metabolica

Tra lo spingere un minuto di seguito e una manciata di secondi, varia anche il consumo degli zuccheri.

«Ci sono studi interessanti – dice Tacchino – sull’immagazzinamento dei carboidrati riguardo agli sforzi intensi. Ci si è accorti che anche negli sforzi brevi e intensi c’è bisogno di tanti carbo. E infatti si stanno sviluppando integratori che forniscono maggiore energia ai muscoli. Prima c’erano le caramelle gommose, che davano zucchero senza creare problemi intestinali, adesso i prodotti sono più complessi».

Noi stessi abbiamo visto dedicare parecchia attenzione alla fase di carico dei carbo nel pre gara e anche nel post gara, specie se il giorno dopo c’è un secondo un cross. La questione dei carbo è centrale anche in questa disciplina. Anzi, forse per certi aspetti lo è anche di più, vista la durata dell’evento e le intensità. In un’ora si brucia solo la benzina migliore, cioè quella dei carboidrati appunto.

Il percorso di Niel prevedeva lunghi tratti pedalati
Il percorso di Niel prevedeva lunghi tratti pedalati

Il focus sui dati

C’è infine la questione della preparazione vera e propria. Preparare un cross italiano e uno belga comporta delle differenze. Il coach fa lavorare di più su ripetute di 15” in Italia e più lunghe all’estero? La questione non è semplice, né univoca. Il concetto di base è “un’ora a tutta”.

«Non si fa un allenamento del tutto specifico per questo o per quel cross – conclude Tacchino – ma è chiaro che si vanno a vedere le caratteristiche del circuito. Lo facciamo anche nel triathlon. Nel cross più che sui battiti, la cui risposta è un po’ ritardata, si usano molto i watt».

«Oggi in parecchi iniziano ad avere il potenziometro anche nel ciclocross. E analizzando il file della gara, emergono dati interessanti, specie nei primi 5′-6′, quando si produce tanto lattato e ancora non lo si smaltisce. Lì si decide molto della gara. Poi ognuno prende il suo ritmo e ogni atleta basa la sua competizione, anche a livello tattico».

Passata la “buriana” del via, anche metabolicamente i valori tendono ad appiattirsi. Magari c’è qualcuno che nelle posizioni di vertice, è motivato a tenere duro. Ma per il resto si viaggia “regolari”, termine da prendere con le pinze in una gara di cross.

«Spesso i tecnici a bordo circuito analizzano anche le frazioni del giro, per capire dove e perché quell’atleta perde in quel punto. Perde perché ha lacune tecniche? Perché non ha gambe? Perché non è abbastanza forte nei rilanci?». 

La forma per il primo ritiro? Almeno al 50 per cento…

02.12.2023
5 min
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Nel ciclismo della continua evoluzione, cambia anche l’approccio al primo ritiro. Tra pochi giorni cominceranno i training camp. Atleti, staff, preparatori si ritroveranno e di fatto daranno vita alla nuova stagione. Ma se una volta il ritiro di dicembre era davvero quello della ripresa, adesso è già un momento piuttosto impegnativo.

Ma quanto più impegnativo? E soprattutto, come si arriva a questo primo ritiro? Ne abbiamo parlato con coach Claudio Cucinotta, uno dei preparatori ormai storici dell’Astana Qazaqstan.

Claudio Cucinotta, classe 1982, è uno dei preparatori dell’Astana
Claudio Cucinotta, classe 1982, è uno dei preparatori dell’Astana
Claudio, sentendo gli stessi corridori sembra che oggi bisogna arrivare pronti anche al ritiro. Si va forte anche lì. E’ davvero così?

In un mondo che va forte, in cui nella vita di tutti i giorni si corre, anche nel ciclismo è così. In effetti il periodo di vacanza degli atleti si è ridotto e con esso anche quello di transizione, cioè delle attività alternative, come le camminate, le nuotate, la mtb…. Ormai s’inizia a gennaio e soprattutto chi deve andare in Australia non può arrivarci al 70 per cento. Se oggi ti presenti così, ti lasciano in mezzo alla strada. Anche se sei un campione. Senza contare che prendi delle gran tirate d’orecchie, fuorigiri talmente grandi che diventano controproducenti.

Quindi come si arriva al primo ritiro? Com’è questo approccio?

Un po’ tutti i team iniziano nella prima settimana di dicembre e finiscono poco prima di Natale. Noi in Astana Qazaqstan, per esempio, andiamo in Spagna dal 6 al 20 dicembre. Io credo che un atleta oggi debba arrivare al primo ritiro al 50 per cento della forma almeno. Deve avere una buona base. Deve presentarsi con le tre ore e mezza, anche quattro, nelle gambe. Qualche anno bastava un’ora di meno, circa.

Definisci “qualche anno fa”.

Prima del Covid, quindi 2019. Ormai il Covid ha segnato una sorta di “prima e Dopo Cristo”, un cambio epocale. E si vede dalle prestazioni. Devi essere sempre sul pezzo.

Quindi se prima era un ritiro dove partire da zero o quasi, adesso è più avanzato. Viene dunque da chiedersi: cosa si fa in ritiro?

Sostanzialmente si lavora sulla base, la base aerobica, Z2 o Z3, ma affiancandoci anche dei lavori, la forza, anche in palestra.

Specie nel primo ritiro la palestra è un punto fisso. I bilancieri non mancano mai
Specie nel primo ritiro la palestra è un punto fisso. I bilancieri non mancano mai
Palestra?

Sì, sì… si presuppone che il corridore stia facendo palestra già da un po’ e in questa fase della preparazione sospenderla per due settimane (tanto dura il ritiro) non avrebbe senso. Durante il camp si fanno almeno due sedute di palestra a settimana. E infatti i team oggi scelgono hotel attrezzati o in alternativa si attrezzano essi stessi, portando dei bilancieri.

Claudio, prima hai detto che si riducono i tempi del riposo. Spiegaci meglio…

Il riposo assoluto oggi è mediamente di due settimane, qualcuno che ha avuto una stagione più intensa o un finale lungo può arrivare a tre. Poi si riprende e il periodo di transizione, cioè delle attività alternative ormai è davvero breve, una settimana, dieci giorni al massimo. Poi si inizia a pedalare. 

Facciamo un esempio concreto di un corridore dell’Astana che sa che il 6 dicembre deve presentarsi in ritiro. Quando riprende?

Ai primi di novembre ha ripreso ad allenarsi in bici, pertanto arriva a fine mese che quelle tre ore e mezza, quattro, le tiene benone. Quindi arriva in ritiro con già 4-5 settimane di pedalate e palestra. Io farei fare anche la mtb come attività alternativa in questo contesto: è pur sempre il gesto della pedalata e si richiama la tecnica. Per quel che mi riguarda la mtb la farei fare un paio di volte anche nel pieno della stagione. Poi ci può stare qualcuno sia un po’ in ritardo. Questo infatti è il periodo per sistemare eventuali problemi: rimovere qualche placca da una clavicola, un intervento ai denti… e allora è un po’ più indietro.

In chilometri ci sono differenze? Oggi con quanti chilometri si presentano?

Sono 15 ore di allenamento in sella a settimana mediamente, quindi direi almeno 1.500 chilometri, forse anche 2.000. In passato erano 500-600 di meno, cioè un 30 per cento in meno. 

Avere un buon peso già al primo ritiro è molto importante. Qui il dottor Borja della Green Project-Bardiani controlla uno dei suoi corridori
Avere un buon peso già al primo ritiro è molto importante. Qui il dottor Borja della Green Project-Bardiani controlla uno dei suoi corridori
E il 30 per cento in meno di chilometri corrisponde anche al livello di forma generale?

Direi proprio di sì. Chiaro che sono numeri grossolani, ma pur sempre indicativi.

E questo vale anche per il peso?

Certamente. Anche il peso deve essere buono. Però è anche vero che essendosi ridotti i tempi del riposo, gli atleti hanno anche meno tempo per ingrassare. Prima i 5-6 chili in più erano la norma, adesso si oscilla fra i 2 e i 4 chili. Se sono di più è un problema, specie per chi deve andare in Australia. Alla fine dall’inizio del ritiro alla prima gara c’è poco più di un mese e perdere tutti quei chili in un mese è un problema su cui intervenire.

Prima abbiamo accennato a cosa si fa in ritiro, si può dare anche una stima dei chilometri?

Posto che dipende anche dal meteo, direi sui 1.200-1.500 chilometri. In questa fase i ragazzi vanno abbastanza tranquilli, anche se qualche lavoro non manca e non solo in Z2 o Z3, magari si fanno lavori di forza o anche ad altissime intensità, come gli sprint, ma sono molto brevi. Insomma non si va ad intaccare la soglia o il fuorisoglia. Non c’è ancora una base abbastanza ampia e solida per supportare quei lavori. Lavori che invece vengono fatti nel secondo ritiro, quello di gennaio. Magari in questo primo camp i ragazzi possono “giocare” per un momento, e ci sta anche bene, ma non devono fare tutto l’allenamento tirato.