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Verso il gran finale: come ha lavorato e come sta Ciccone?

29.09.2023
5 min
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Giulio Ciccone è pronto ad affrontare il suo ultimo blocco di gare del 2023. L’abruzzese sarà di scena domani al Giro dell’Emilia, quindi Tre Valli Varesine e Giro di Lombardia. In realtà poi il suo programma prevede anche l’appendice asiatica della Japan Cup. 

Il corridore della Lidl-Trek è rientrato in gara dopo le fatiche del Tour de  France e lo ha fatto al Giro di Lussemburgo, anche se prima c’era stata la parentesi del Trofeo Matteotti. Come ha lavorato dunque Ciccone nel suo post Tour? Cosa ci possiamo attendere? Ce lo ha detto Giulio stesso… E lo ha fatto con un tono brillante che ci ha lasciato davvero una piacevole impressione.

Giulio Ciccone (classe 1994) in maglia a pois a Parigi con sua moglie Annabruna
Giulio Ciccone (classe 1994) in maglia a pois a Parigi con sua moglie Annabruna
Giulio, ultime fatiche. Una stagione tutto sommato buona a parte la parentesi del Covid che non ti ha permesso di fare il Giro…

E’ quasi fatta dai! E’ stata una buona stagione, altroché. Io dico sempre che se non avessi preso il Covid non avrei vinto la tappa al Delfinato, non sarei andato al Tour e non avrei portato a casa la maglia a pois. Magari se fossi andato al Giro d’Italia chissà cosa avrei fatto. Questi intanto sono stati risultati concreti.

Partiamo proprio dalla fine del Tour: come è andata?

La settimana successiva alla Grande Boucle sono stato ancora in giro per mezza Europa per i circuiti, avendo vinto la maglia c’erano questi impegni. Quindi mi sono riposato una settimana, una settimana scarsa. Ne avevo bisogno. Avendo cambiato i piani nel corso della stagione sono arrivato a fine Tour che ero davvero stanco.

E come hai lavorato?

Ho fatto una parte di giorni, 5-6, di riposo assoluto, poi qualche piccola uscita e dal 10 agosto ero di nuovo nel pieno degli allenamenti. Non sono andato in altura. Subito dopo il Tour, Bennati mi ha chiamato e mi ha detto del Matteotti. Io ho accettato immediatamente. Sapevo che qualche gara mi serviva e l’ho vista come un’ottima occasione. E infatti è stata ottima per tornare a fare un po’ di ritmo. E poi era anche un po’ la corsa di casa.

Ciccone è tornato in gara al Matteotti (in azzurro), vale a dire 55 giorni dopo la fine del Tour (foto Instagram)
Ciccone è tornato in gara al Matteotti (in azzurro), vale a dire 55 giorni dopo la fine del Tour (foto Instagram)
Il Matteotti si è tenuto il 17 settembre, a seguire c’è stato il Lussemburgo: che sensazioni hai avuto? Hai riconosciuto la gamba “fotonica” del Tour?

Riprendo il discorso del cambio dei piani nel corso dell’anno. Dopo il Tour mi serviva quel periodo di stacco e il Lussemburgo lo abbiamo preso proprio per fare ritmo. L’ho disputato in un’ottica di carico di lavoro. E tutto sommato le sensazioni sono state buone nonostante il livello alto. I valori non erano malvagi, ma come detto, mancava il ritmo corsa. E quella gara era perfetta: cinque tappe, l’ultima delle quali a sei giorni dall’Emilia, percorsi vallonati con salite brevi… L’unico piccolo rammarico è che nei giorni più difficili faceva freddo, c’erano sette gradi e pioveva, e in questi casi è difficile testarsi o avere indicazioni precise.

Sei giorni tra Lussemburgo ed Emilia: come li hai gestiti?

Nei primi due ho continuato a recuperare, ma andando in bici: senza avrei avuto l’effetto opposto e il Lussemburgo anziché farmi bene mi avrebbe fatto male. Poi ho fatto un giorno di lavoro intenso e quindi in questi ultimi due giorni prima dell’Emilia ancora recupero, scarico. In bici ovviamente. Alla fine non ho fatto molto (esattamente il discorso che faceva Notari qualche giorno fa, ndr).

Giro dell’Emilia: cosa ci possiamo aspettare da Giulio Ciccone?

L’Emilia è una di quelle gare che mi piace tanto, ma proprio tanto… devo però ancora capire se è adatta a me! Certo, con i corridori che ci sono quest’anno è dura, soprattutto per essere a fine stagione. Però io ho lavorato bene e anche di testa sono propenso, sono motivato. E in questa fase della stagione magari si riesce a cogliere qualcosa di più proprio perché si ha voglia. Mettiamola così: le aspettative sono buone, il risultato vedremo.

Al Lussemburgo un buon lavoro, peccato per il freddo in un paio di tappe chiave
Al Lussemburgo un buon lavoro, peccato per il freddo in un paio di tappe chiave
Fai lo stesso discorso per il Lombardia?

E’ un po’ diverso perché il Lombardia è l’obiettivo grande, grande. Arriva alla fine e lo si prepara come fosse un mondiale… ma è così per tutti. Io mi aspetto di stare bene.

Preferivi il finale più duro di Como o quello più classico di Bergamo che andrà in scena il prossimo 7 ottobre?

A me piace di più questo di Bergamo. Primo, perché sono strade che conosco molto bene (Ciccone è stato alla Colpack, team bergamasco, ndr). Secondo, perché l’arrivo a Bergamo presuppone un tracciato diverso, con salite più lunghe e regolari prima. Vero, il finale di Como è più duro, ma anche più esplosivo se vogliamo, mentre qui c’è lo strappo della Boccola (Bergamo Alta, ndr), ma come ho detto ci si arriva facendo scalate più lunghe. E’ una corsa diversa.

Allora vedremo Ciccone fare a “sportellate” con Pogacar!

Il Lombardia è il mio grande obiettivo. In questa corsa ho colto un quinto posto nel 2020. La condizione c’è, manca ancora qualcosa e spero di trovarla con Emilia e Tre Valli Varesine. Se tutto va come deve andare sarò competitivo come voglio io.

Stagione agli sgoccioli, come cambiano i carichi di lavoro?

28.09.2023
4 min
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Siamo a fine stagione e nel vasto campo della preparazione qualcosa inizia a cambiare. E cambia per due motivi principali. Il primo, più fisiologico, è che a fine anno ormai le condizioni tendono a livellarsi. Altrimenti se così non fosse la crescita dei valori sarebbe infinita. Il secondo motivo, è che i fisici mediamente sono più stanchi, pertanto “meno propensi alla fatica”, per dirla in modo molto spicciolo.

Di questo aspetto della preparazione autunnale ne parliamo con Giacomo Notari, coach dell’Astana Qazaqstan (in apertura foto Instagram), attualmente impegnato in Asia, per il Tour de Langkawi penultima corsa a tappe della stagione.

Giacomo Notari (classe 1988) è coach dell”Astana e ha anche un suo centro di preparazione, l’NG Training
Giacomo Notari (classe 1988) è coach dell”Astana e ha anche un suo centro di preparazione, l’NG Training
Giacomo, dunque, come cambiano i carichi di lavoro a fine stagione?

E’ una risposta ampia e difficile. Diciamo che il carico dipende soprattutto dal calendario gare dell’atleta. Dopo la Vuelta, ci sono quasi solo corse di un giorno, spesso molto fitte come quelle in Italia e in questa fase, ripeto, con l’ultimo grande Giro alle spalle, la stanchezza fisica e mentale si fa sentire. Pertanto i carichi calano un po’.

Quanto? Chiaro che ci riferiamo ad una stima e non a numeri precisi…

Io credo che diminuiscano di un 20 per cento, anche 25. Proprio perché ci sono corse di un giorno si va a ricercare la brillantezza e si è brillanti se si è freschi. E per essere freschi serve il recupero. In questa fase perciò si tende molto a sfruttare la gara e a scaricare nei giorni tra un impegno e l’altro.

Si dice, proprio in virtù della stanchezza, che i lavori più intensi vengano assimilati meno: è così? Per esempio l’altura ormai non si fa più…

Per me no, semmai questa componente dell’assimilazione è molto legata all’aspetto mentale, cioè quanto un corridore è stanco e propenso a lavorare. Perché se la testa c’è, è motivato, e chiaramente di base sta bene, il lavoro viene assimilato normalmente.

Anche in questo periodo della stagione la fase intensa dei lavori è molto importante
Anche in questo periodo della stagione la fase intensa dei lavori è molto importante
E quali sono i lavori più intensi che si fanno?

Si tende a fare qualche sessione dei classici 30”-30”, 40”-20” o 15′ in sessioni di 5′ di Vo2Max con recuperi completi. O ancora una salita lunga partendo dal medio e facendo il finale fuori soglia..

E per il resto?

Dipende anche quanto tempo si ha a disposizione tra una gara e l’altra, se si deve arrivare al Giro di Lombardia o si stacca prima. Nel caso si faccia “la classica delle foglie morte” ci sta che si facciano un paio di allenamenti lunghi, curando ancora un po’ la parte aerobica, e poi si passa a qualche lavoro di brillantezza. Ma per il resto in questa fase sono soprattutto le sgambate a tenere banco. Considerando che ci sono parecchie corse come accennato.

Dopo lo stacco estivo Lutsenko (qui primo al Memorial Pantani) ha inanellato una serie di corse di un giorno e sarà così fino a fine stagione
Dopo lo stacco estivo Lutsenko (qui primo al Memorial Pantani) ha inanellato una serie di corse di un giorno e sarà così fino a fine stagione


E invece il metodo del preparatore cambia o è sempre lo stesso? Per esempio, come inviate i programmi durante questo periodo?

Questo dipende da team a team. Noi per esempio inviamo i programmi in Pdf, come nel resto della stagione. TrainingPeaks lo utilizziamo per analizzare i file di gare e allenamenti. Quel che cambia è che rispetto ad inizio stagione il programma va rivisto più spesso, si tende a parlare molto più anche con il corridore per sentire come sta. Il programma lo devi adattare, rimodulare. E infatti nel pieno della stagione di solito inviamo programmi di due settimane, in questa fase di una sola settimana.

Rispetto al passato, in linea di massima, in questa fase si affronta l’autunno in un altro modo?

Di base direi di no, ma come è ormai noto essendo cambiato il modo di correre, oggi in allenamento, anche in questo periodo, si tende a fare più intensità. E questo perché non puoi più permetterti di andare alle corse per allenarti. Il livello è alto anche nelle gare più piccole e quindi ci devi arrivare ben preparato.

Il monte ore annuo del cronoman: numeri da capogiro

15.08.2023
5 min
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All’inizio dell’anno viene decisa gran parte della stagione, sia quella agonistica (il calendario) sia quella relativa alla preparazione. Sempre più spesso si sentono parlare coach ed atleti di ore di allenamento, non solo nel ciclismo, e non di chilometri. Questo approccio dà un quadro d’insieme di quanto siano grandi i volumi di attività nel corso dell’anno.

In questa suddivisione colpisce moltissimo la differenza di ore di sella fra chi è anche un cronoman e chi no. Possono esserci differenze pari a dieci volte, tra chi vi pedala per 10-12 ore e chi per 100-120 ore. Quando si entra in tema di cronometro e di preparazione va quasi da sé che l’interlocutore sia Marco Pinotti, coach della Jayco-AlUla.

Una bici da crono (da allenamento) per Foss. L’ex iridato ci fa anche le distanze in quota
Una bici da crono (da allenamento) per Foss. L’ex iridato ci fa anche le distanze in quota
Marco, davvero si parla di quelle quantità di ore e di quelle differenze?

Magari 120 ore sono effettivamente molte, anche se non è un numero impossibile, tuttavia può starci specie se ci si include le gare.

Il monte ore si stabilisce ad inizio stagione?

Non del tutto. Non si pongono delle percentuali di ore a crono e di ore su strada. Diciamo che ad un cronoman si cerca di fornire prima di altri la bici “da tempo” e la prende almeno per un’uscita a settimana. Sempre. Che diventano due prima di un grande Giro o di una gara in cui c’è una crono e tre prima di un evento come un mondiale, un’Olimpiade, un campionato nazionale… Tutte cose che lo stradista in linea non fa e che chiaramente contribuisce a spostare il monte ore di allenamento verso la crono.

E a fine stagione, in percentuale, quanto tempo del suo monte ore uno specialista passa sulla bici da crono?

Si va dal 10 al 50 per cento, per i super specialisti. Io credo che una quantità di ore più concreta sia tra le 80 e le 100 ore l’anno per un cronoman sulla bici da crono. Mentre gli altri si attestano al di sopra delle 20 ore.

Quanto può dare in più lo stare in sella alla bici da crono? Ammesso che si possa stabilire…

E’ difficile, dipende molto da come si passano quelle ore sulla bici da crono e anche dalla posizione che ha quello specialista, cioè se è più o meno estrema. Diciamo che può esserci una differenza di miglioramento del 5 per cento. Ma è un dato molto grossolano.

Chi era un atleta che passava davvero tante ore sulla bici da crono?

Mi viene in mente Kung, ma forse più di tutti Rohan Dennis. Lui ci fa anche i lavori specifici e forse anche per questo è uno dei pochissimi atleti in grado di esprimere gli stessi watt, se non di più, sulla bici da crono che non su quella da strada. Perché va ricordato che la vera differenza il cronoman la fa con l’efficienza biomeccanica. E’ una questione muscolare.

Sin qui abbiamo parlato dei cronoman. Ma quanto è importante che su quella bici ci passi del tempo anche lo scalatore?

E’ importante, ma questo non deve togliere nulla alla sua attività principale che è andare forte in salita. Poi è chiaro che è importante, specie nel ciclismo super livellato (in alto) di oggi, ma gli obiettivi per cronoman e scalatore sono diversi.

Grazie all’aumento del monte ore sulla bici da crono, Kristen Faulkner è migliorata molto anche nella guida di questo mezzo
Grazie all’aumento del monte ore sulla bici da crono, Kristen Faulkner è migliorata molto anche nella guida di questo mezzo
Cioè?

Il cronoman si allena a crono per andare forte in quella disciplina. Lo scalatore soprattutto perché il giorno dopo la tappa contro il tempo non deve accusare troppo a livello muscolare il cambio di bici. Si chiama transizione. Simon Yates (nella foto di apertura, ndr) per esempio, ci ha lavorato parecchio e non a caso al Tour il giorno dopo la crono ha fatto secondo. Ovviamente quando dico che è importante per lo scalatore, mi riferisco a quello che deve fare classifica.

Marco, prima hai detto che a grandi linee usare molto la bici da crono può dare un 5 per cento in più rispetto a chi la usa di meno in termini di prestazione, di efficienza biomeccanica, e in termini di guida?

Chiaramente serve, ma con i fenomeni e i materiali che ci sono adesso conta un po’ meno che in passato. Oggi ci sono dei super specialisti e qualche fenomeno tra gli uomini di classifica: basta. Tanti corridori per svariati motivi (traffico, tempistiche, certezza di rispettare determinati wattaggi…) utilizzano la bici da crono sui rulli. In questo modo magari migliorano sul piano muscolare e della posizione, ma non su quello della guida. Tuttavia questo tipo di miglioramento è strettamente legato alle capacità di guida del singolo atleta. Matteo Sobrero per esempio è molto bravo e, parlando di guida, non avrebbe così necessità di passarci tante ore. Kristen Faulkner, al contrario, ne aveva tanto bisogno. Da quest’anno ha aumentato il suo monte ore con la bici da crono ed è migliorata parecchio.

I “mezzi alternativi” nel giorno di scarico

14.08.2023
5 min
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Utilizzare un “mezzo alternativo” nel giorno di scarico: il variegato mondo della preparazione propone anche questo. In frontiere sempre più evolute, che cercano il capello, non sono pochi gli atleti che nel giorno del riposo attivo scelgono di salire su una Mtb, sulla bici da crono o in qualche rarissimo caso anche di nuotare (vedi Wurf che spesso è impegnato nei suoi triathlon) o chi inforca la gravel bike.

Notari 2022
Giacomo Notari, preparatore dell’Astana-Qazaqstan
Notari 2022
Giacomo Notari, preparatore dell’Astana-Qazaqstan

Andare piano

Giacomo Notari, preparatore dell’Astana-Qazaqstan ci spiega i perché di tali scelte. «Partiamo dal presupposto che il giorno di scarico e quello di riposo totale sono importanti, se non di più, dei giorni di allenamento o di carico, perché se non recuperi bene poi anche i successivi lavori non verranno bene, né si assimileranno quelli precedenti, quindi qualsiasi attività si faccia questa va intrapresa bene.

«Se mezzi alternativi alla bici da corsa – spiega Notari – come la Mtb o la bici da crono piacciono è giusto usarli. Oggi rispetto a qualche anno fa è diverso. Si è più aperti a certe variazioni. Una volta non si doveva camminare, stare in piedi… Oggi una camminata di 30′ si può anche fare. Ma certo se nel bel mezzo della stagione si fa una scarpinata in montagna o si va a correre non è il massimo. Parliamo sempre di uno sport di elite, estremamente specifico».

«Mtb, gravel e bici da crono vanno benissimo, a patto che, soprattutto in mtb, non si faccia troppo dislivello. Perché per quanto si vada piano, alla fine le salite specie quelle offroad, fanno faticare. E lo stesso vale per la bici da crono, ma in relazione alla velocità. Ci si può stare anche un’ora e mezza, ma a ritmi blandi».

Riguardo al nuoto Notari non si dice contrario, ma anche in questo caso vige la regola delle basse intensità. «E conta molto l’attitudine che ha il corridore con il nuoto, perché se è bravo e lo fa abitualmente può anche starci una nuotata, altrimenti meglio evitare. Specie se si è nel pieno della stagione. Sarebbe un gesto troppo diverso».

Gli “altri” muscoli

E quest’ultimo concetto relativo al nuoto ci proietta verso il tema dell’utilizzare muscoli differenti. Quali vantaggi ci sono nel salire in sella ad una bici da crono, ad una Mtb o, come accade sempre più spesso, in sella ad una gravel?

Anche se la gravel in virtù di una posizione pressoché identica a quella da strada è la migliore per certi aspetti, come quello mentale e la tecnica di guida, è meno efficiente per altri, come quello muscolare… se si ha l’obiettivo di variare chiaramente.

«Il vantaggio – prosegue Notari – è quello di variare la propria attività abituale. Si dice che vengono chiamati in causa altri muscoli, ma questa definizione non è precisa. Se utilizzo la bici da crono o la mtb i muscoli sono quelli, ma in virtù di angoli diversi possiamo dire che gli stessi muscoli vengono utilizzati in maniera differente. In Mtb, ma tutto sommato anche con la bici da crono, stando più avanzati si utilizzano di più i quadricipiti».

Notari insiste soprattutto sulla bici da crono. Secondo lui utilizzarla nel giorno di scarico è importante in quanto l’atleta si abitua a cambiare bici: un passaggio utile nelle corse a tappe. Il giorno dopo la crono infatti non è raro che i corridori ne risentano, che abbiano dolori ai muscoli e se si tratta di uomini da corse a tappe, non va chiaramente bene. Ma non va bene neanche se si è dei cacciatori di tappe e il giorno dopo la crono c’è una frazione adatta a quel corridore che sia un attaccante o un velocista.

Felline durante una tranquilla uscita in Mtb: gambe e testa si rigenerano anche così (foto Instagram)
Felline durante una tranquilla uscita in Mtb: gambe e testa si rigenerano anche così (foto Instagram)

Dai muscoli alla mente

Ma come ci spiegava recentemente Germani (e non solo lui), o ascoltando in passato i racconti di Ballerini, utilizzare un altro mezzo, in questo caso la Mtb, è anche uno scarico mentale. Non a caso per la foto di apertura abbiamo scelto Germani durante un’escursione zaino in spalla con la ruote grasse. Si percorrono nuove strade, non è quello il “proprio sport” e tutto si vive in modo diverso. In molti casi non si utilizzano né cardio, né potenziometri.

«Utilizzare un altro mezzo – dice Notari – è anche uno scarico mentale e va bene. Spesso si pensa che noi preparatori lobotomizziamo i ragazzi con i numeri e tabelle… ma perché tutto funzioni ci vuole la testa, la motivazione e questa si trova anche così. Altrimenti se contassero solo i numeri, basterebbe capire chi ha la soglia più alta e si potrebbe stilare l’ordine d’arrivo già prima del via.

«Va bene quindi utilizzare un mezzo alternativo, in questo caso mi riferisco più alla mtb che varia di più rispetto al quotidiano. Ma vado oltre, se un atleta conosce bene questo mezzo, può anche farci dei lavori specifici o uscite di endurance (vedi Ballerini, ndr). Ben venga dunque il mezzo alternativo a livello di testa».

Milan “poco brillante”? Fusaz ci spiega perché

10.08.2023
4 min
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Ne avevamo parlato direttamente con Jonathan Milan e lo stesso friulano ha ribadito il concetto dopo l’inseguimento iridato: «Sono stanco. Ho fatto fatica a recuperare dopo il Giro d’Italia». Il tutto con un bronzo al collo! Il che non può che farci ben sperare. Pensiamoci un po’: se a 23 anni, dopo aver preso parte al tuo primo grande Giro, con giusto una manciata di giornate in pista per allenarti arrivi terzo in un mondiale, il bicchiere è decisamente mezzo pieno.

Tuttavia con il suo coach, Andrea Fusaz abbiamo voluto analizzare meglio la situazione del “Jonny nazionale” e capire meglio il perché di questo recupero lento e di questa stanchezza latente rimasta nelle sue gambe.

Jonathan Milan (23 anni da compiere) bronzo iridato nell’inseguimento individuale
Jonathan Milan (23 anni da compiere) bronzo iridato nell’inseguimento individuale

Il primo GT

Fusaz fa un discorso semplice, ma al tempo stesso importante, che lega il grande Giro alla stanchezza delle gambe, ma anche a quella mentale. E c’è un aspetto che in tutto questo discorso resta sempre centrale. E questo aspetto non è tanto il grande Giro, quanto il primo grande Giro. Una differenza fondamentale.

«Sicuramente – spiega Fusaz – Milan non aveva la stessa brillantezza che si può avere prima di un grande Giro, ma tutto ciò per me è normale, tanto più alla sua età. Jonathan è partito per la corsa rosa senza pressioni, nessuno gli ha chiesto nulla. Poi è stato lui stesso a mettersele a suon di risultati, con la vittoria, la maglia ciclamino… tutto ciò lo ha portato a tirare un po’ troppo la corda non solo fisicamente». Gli mancava cioè quel guizzo che ti fa andare oltre i tuoi limiti.

Giro d’Italia 2023, Milan vince la seconda tappa a San Salvo
Giro d’Italia 2023, Milan vince la seconda tappa a San Salvo

Calo fisiologico

Secondo Fusaz la stanchezza mentale incide quando non si “performa” – come si dice adesso – o almeno non lo si fa a livelli che vanno oltre certi limiti. Perché comunque va ricordato che Milan non è andato piano. A Glasgow si è espresso su standard molto alti ed importanti. E parlano i risultati: terzo con un 4’05″868.

«A volte – riprende Fusaz – ci si dimentica che siamo di fronte a degli esseri umani e non a delle macchine. Tecnicamente Milan non era stanco, altrimenti non sarebbe riuscito a fare ciò che ha fatto. Come ho detto, era meno brillante.

«Non cambierei nulla del suo post Giro. Abbiamo rispettato le tempistiche necessarie. Dopo il tempo di recupero bisognava riprendere a lavorare per gli obiettivi successivi, però è chiaro che se esci stanco ci metti un po’ di più a ritornare al top. Ma torniamo al solito discorso, al punto di partenza: Milan era al primo grande Giro. In più bisogna considerare che a metà stagione è più difficile recuperare. Non è come lo stacco d’inverno in cui puoi stare davvero due settimane senza fare nulla totalmente.

«E’ fisiologico per un ragazzo della sua età, al primo grande Giro pagare un po’. Non stiamo parlando di un ragazzo di 28-30 anni che di Giri ne ha fatti già due, quattro o sette… Jonathan si è ritrovato di fronte ad un carico di lavoro enorme per 20 giorni per la prima volta e per di più con degli obiettivi importanti». Non poteva mollare, come invece hanno potuto fare altri “girini”».

Milan ha sofferto in qualifica, mentre è cresciuto nella finale ed è arrivato il bronzo
Milan ha sofferto in qualifica, mentre è cresciuto nella finale ed è arrivato il bronzo

Guardando avanti

Questo non vuol essere un processo. Il ricordo va ai mondiali di Roubaix 2021 quando Ganna fu terzo nell’inseguimento individuale e tutti restammo scioccati. Lo stesso Villa ha ricordato quell’episodio. Tra l’altro a giocarsi l’oro ci andò proprio Jonny!

«Sento parlare di certi risultati quasi come se fossero negativi – dice Fusaz – ma alla fine siamo stati secondi al mondo nel quartetto, primi e terzi nell’individuale. La Danimarca aveva atleti che fanno solo pista. I nostri vengono dalla strada e questo conta… Siamo ad eventi di portata mondiale: qualcuno che ti mette la ruota davanti lo puoi anche trovare».

Il quadro di Fusaz va a braccetto con le parole del cittì Marco Villa, il quale pensando alle Olimpiadi del prossimo anno ha già indicato la via: dopo il Giro tutti all’appello da lui. E’ chiaro che il tutto rientra in un programma più generale. In cui si progettano con ampio anticipo certi “macrocicli” di lavoro. Queste esperienze, vedi il Ganna sfinito a fine 2021 o il Milan poco brillante dopo il Giro di quest’anno, non fanno altro che tracciare la via. Quella giusta chiaramente.

Al top per Glasgow. Colbrelli punta sulla freschezza mentale

03.08.2023
5 min
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OPOLE – Si parla molto della condizione con la quale i corridori arriveranno al mondiale di Glasgow. Di solito la preparazione è molto più lineare e si sfrutta la Vuelta. Stavolta c’è il Tour de France, ma le due gare a quanto pare non sono proprio la stessa cosa. La prova francese è più snervante.

In più il percorso scozzese non è così duro. Sì, alla fine propone oltre 3.000 metri di dislivello, ma la disposizione dello stesso agevola i corridori più “pesanti”. E’ lecito dunque pensare se possa essere il viatico migliore per la prova iridata.

Qualche giorno fa Alessandro Ballan ci ha detto che chi esce dal Tour ha un’altra gamba – e questo è innegabile – ma poi ha aggiunto un aspetto che ci ha fatto riflettere: l’ultimo che ha vinto il mondiale senza passare dal grande Giro è stato Mads Pedersen. E guarda caso il percorso era piuttosto simile. Questi dubbi li abbiamo “girati” a Sonny Colbrelli, il quale è con Valsir sulle strade del Tour de Pologne.

Al Polonia i “tre tenori” del Tour (Majka, Mohoric, Kwiato) avevano più brillantezza, specie nelle prime tappe
Al Polonia i “tre tenori” del Tour (Majka, Mohoric, Kwiato) avevano più brillantezza, specie nelle prime tappe
Sonny, ma dunque è davvero fondamentale passare dal grande Giro in vista del mondiale? O si può arrivare bene a Glasgow anche  intraprendendo altre vie?

I corridori sono diversi l’uno dall’altro. Io, per esempio, riuscivo ad allenarmi bene in altura: ne uscivo con una gamba da Tour de France o quasi. Altri invece hanno bisogno di più gare. E’ indubbio che qui al Polonia chi è uscito dal Tour abbia un’altra gamba. Prendiamo Almeida, va forte, ma non è super brillante, come Majka, Mohoric o Kwiatkowski.

Chiaro…

Certo, il grande Giro ti dà una grande condizione: una condizione con la quale non dico che arrivi a fine stagione, ma quasi. Molto dipende però da come lo si è fatto. Vingegaard chiaramente ha speso tutte le cartucce, altri no. E se sei riuscito a risparmiare qualcosa, può darti molto.

Tu hai nominato tre corridori che qui al Polonia stanno brillando, ma dalla fine del Tour c’è stata una settimana di riposo, poi la settimana del Polonia, appunto, e domenica si corre il mondiale: la condizione non è infinita…

No, non è infinita, ma come ho detto conta molto come si è usciti dal Tour che è dispendioso sia di gambe che di testa. Io avrei fatto il grande Giro, finito quello di nuovo l’altura e poi il mondiale. Ma mi rendo conto che non è facile ripartire per l’altura dopo un grande Giro. Mi ricordo che nel 2021 ho finito il Tour de France, sono stato cinque giorni a casa e poi mi sono diretto a Livigno e ci sono rimasto un mese. Quella è stata la mia mossa vincente.

In vista di Glasgow conta molto come si è interpretato il Tour. Anche da un punto di vista mentale
In vista di Glasgow conta molto come si è interpretato il Tour. Anche da un punto di vista mentale
Stavolta non ci sarebbe stato neanche il tempo per andare in altura dopo il Tour. Semmai bisognava farlo dopo il Giro. Ma torniamo a cose più concrete: questo mondiale non è durissimo, magari anche arrivarci con più brillantezza, più forza esplosiva facendo altre gare può essere vantaggioso?

Una corsa come il Polonia può essere un ottimo viatico per Glasgow. Bene o male le tappe sono abbordabili. Le strade sono larghe, non c’è stress a parte nei finali, dove se vuoi ti puoi staccare. Puoi a fare il tuo lavoro senza appesantirti. 

Prima hai detto che uno come Vingegaard, o comunque un corridore che punta alla classifica, ne esce sfinito, ma altri possono risparmiarsi. Ti riferivi a qualcuno in particolare?

A Van der Poel. Lui si è messo a disposizione del suo capitano, Philipsen, per le volate e, a parte due o tre tappe in cui si è mosso per dare un po’ di spettacolo, non ha speso troppo. La sua testa era al mondiale. Penso che VdP quest’anno ha una grandissima occasione, tra l’altro è già salito sul podio in quel circuito quando Trentin ha vinto l’europeo. Il mondiale per lui sarebbe la ciliegina sulla torta di una stagione d’oro. E poi la squadra è tutta per lui. I belgi invece sono due: c’è Remco e c’è Van Aert, che al Tour, anche se si è ritirato ha speso più di Van der Poel.

Harrogate 2019, Pedersen vince la maglia iridata. Nel mese precedente aveva inanellato 10 giorni di corsa, ma non la Vuelta
Harrogate 2019, Pedersen vince la maglia iridata. Nel mese precedente aveva inanellato 10 giorni di corsa, ma non la Vuelta
Ballan ci ha fatto notare che l’ultimo a vincere il mondiale senza passare dal grande Giro è stato Petersen. Il percorso di Glasgow non è troppo diverso: magari rispetto ad altre volte il grande Giro potrebbe essere meno importante?

In parte sì, specie dopo un Tour de France corso come negli ultimi anni: sempre a mille, resta nelle gambe. Ma se il corridore riesce a smaltirlo, può aiutarti per un altro paio di settimane. Quello che più conta però è un’altra cosa.

Quale?

La freschezza mentale. Il mondiale è anche una gara lunga e non conta solo essere veloci o arrivare con la gamba ancora buona. E’ importante la freschezza mentale con cui si arriva all’appuntamento clou, l’ho capito sulla mia pelle. Ed è’ quello che ho fatto nell’ultimo anno in cui ho corso. Prima mi sfinivo, mi mettevo delle pressioni addosso da solo, poi ho iniziato a pensare diversamente. «Sono alla Roubaix, all’Europeo, all’italiano – mi dicevo – ma alla fine sono corse come altre: come vanno, vanno… Il prossimo anno ce ne sarà un’altra». 

Come abituarsi al grande caldo? Ce lo spiega “doc” Pollastri

02.08.2023
4 min
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OPOLE – Quando si va al di sopra dei 30 gradi le cose cambiano di netto per i corridori. E’ quel che abbiamo visto al Tour de France (il caso Pogacar è forse il più emblematico) e in molte gare di questo scorcio di stagione. Abituarsi al caldo pertanto è fondamentale per evitare il temuto calo di prestazioni.

Nell’era del ciclismo che nulla lascia al caso, i corridori curano anche questo aspetto. Il dottor Luca Pollastri, della Jayco-AlUla, ci spiega quali metodi applicano gli atleti della sua squadra per ovviare a questa problematica.

Luca Pollastri, medico della Jayco-AlUla
Luca Pollastri, medico della Jayco-AlUla
Dottor Pollastri, qui in Polonia non fa caldo, però veniamo da corse in cui il solleone si è fatto sentire. Lo abbiamo visto al Tour de France, dove c’è stato soprattutto un elevato tasso di umidità: ebbene come si abituano i corridori al caldo? Si fanno degli allenamenti specifici? 

C’è gente che in passato si è anche allenata in sauna, ma noi non l’abbiamo fatto. Tuttavia abbiamo impostato delle strategie che prevedono una sorta di acclimatazione, o comunque di adeguamento al caldo, utilizzando ad esempio la sauna nell’arco della giornata (ma senza bici, ndr) oppure utilizzando le ore più calde per uscire proprio per simulare le condizioni che si troveranno in gara. Si creano degli adattamenti i cui benefici poi si sentono durante la competizione.

L’abbigliamento gioca un ruolo sempre più importante sia per l’aerodinamica che per la termoregolazione. Ci sono maglie e pantaloncini sempre più sottili e traspiranti. Magari i corridori si allenano con qualcosa di leggermente più pesante per poi indossare appunto quei capi leggeri in corsa?

No, questo devo dire che non ci è capitato. Piuttosto si evita di avere tutte quelle accortezze che si hanno invece in gara. Quei comfort a vantaggio dell’atleta per il caldo appunto.

Quali?

Penso alle “ice socks”, le calze con i cubetti di ghiaccio, che il corridore posiziona normalmente nella regione cervicale dentro la maglia. Oppure all’attenzione che lo staff dedica alla temperatura delle borracce, che sono sempre fresche. Sono portate ad una temperatura tendenzialmente controllata all’interno dei frigo box che abbiamo nelle macchine. Penso alla temperatura sul bus… Tutte cose che non si curano durante gli allenamenti quando i ragazzi non hanno il supporto dello staff. Quindi in allenamento l’acqua sarà un po’ più calda, non avranno il ghiaccio da mettere sulla schiena, non riposano in ambienti ideali… Sono piccole cose che mettono il corpo sotto stress. Stress, che al contrario cerchiamo di evitare o ridurre al minimo durante la competizione.

Tutti i team, qui la Groupama-Fdj, quando fa caldo in corsa distribuiscono le borracce e le calze di ghiaccio
Tutti i team, qui la Groupama-Fdj, quando fa caldo in corsa distribuiscono le borracce e le calze di ghiaccio
Una curiosità dottore, perché quelle calze col ghiaccio si mettono nella zona cervicale? C’è una motivazione specifica?

Perché è una delle zone sicure, non reca danni all’intestino o ad altre parti sensibili. E’ anche una zona che fa percepire un maggior senso di freschezza. E poi la questione è anche molto pratica: questi ragazzi sono in bicicletta, quindi di fatto non abbiamo poi tutti questi punti dove metterle. La zona cervicale pertanto è una posizione comoda dove metterle. Senza contare che, banalmente, il ghiaccio che si scioglie cola verso la parte bassa della schiena e l’area interessata al fresco si allarga e quella gocciolina dà una piccola scossa. Talvolta queste calze vengono posizionate anche anteriormente, sul petto. Ma questo va parecchio a discrezione del corridore.

Quindi ci si abitua al caldo non tanto con allenamenti specifici, quanto togliendo quei rimedi che riducono lo stress.

Esatto.

E invece alla lunga per controbattere il caldo è importante recuperare bene. Vediamo spesso che si immergono nelle nelle vasche di ghiaccio…

Esatto, recuperare bene aiuta in tutto ciò. Per quel che riguarda le vasche di ghiaccio è importante farle nell’immediato post tappa. Basta immergersi per pochi minuti. Si tratta di un’immersione pressoché totale, lasciando fuori ovviamente solo la testa.

L’acqua a che temperatura è?

Le temperature sono basse ma non bassissime. Solitamente siamo un po’ sopra i 10 gradi. Il ghiaccio serve ad abbassare la temperatura dell’acqua che si ha a disposizione.

È molto importante per il recupero dal caldo trovare temperature adeguate al rientro negli hotel. I massaggiatori impostano l’aria condizionata sui 20 gradi
E’ molto importante per il recupero dal caldo trovare temperature adeguate al rientro negli hotel. I massaggiatori impostano l’aria condizionata sui 20 gradi
E quanto ci stanno?

Sui 5′-6′. Quando non si ha la fortuna di avere una vasca di ghiaccio, è ancora più importante che sia ben accogliente il bus.

Ci spieghi meglio…

Al rientro sul bus i corridori devono fare una doccia non particolarmente calda, anzi… Oltre a questo il bus ha una temperatura abbastanza fresca e adottiamo una strategia simile anche negli hotel. Ai ragazzi viene fatta trovare una temperatura definita in modo che l’impatto iniziale sia di un certo tipo, fino a che non vanno a dormire. Per questo gli chiediamo di mantenere l’aria condizionata accesa. Aria che poi devono spegnere nel corso della notte.

Di che temperature parliamo?

Sui 20 gradi, anche se poi dipende un po’ anche dalla temperatura esterna (più è alta e più si alza quella interna, ndr). Quindi direi tra i 20 e i 22 gradi.

Niente Grande Boucle? La Eolo-Kometa fa così…

14.07.2023
4 min
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Luglio senza Tour: va avanti il nostro viaggio tra le squadre che non sono in Francia. Dopo aver ascoltato la Corratec-Selle Italia e la Green Project-Bardiani ecco la Eolo-Kometa. A fare gli onori di casa è ancora una volta un direttore sportivo, Giovanni Ellena.

Il tecnico piemontese era uno dei pezzi storici della compagine di Gianni Savio ed è arrivato quest’anno alla corte di Basso e Contador. L’esperienza però di certo non gli manca e ci illustra come stanno affrontando questo mese.

La Eolo-Kometa in ritiro sulle strade della Valtellina (foto Instagram)
La Eolo-Kometa in ritiro sulle strade della Valtellina (foto Instagram)

Più ritiri meno gare

Rispetto alle due precedenti formazioni, la sensazione è che in casa Eolo si punti più sulla preparazione in generale che non sulle corse. Corse che comunque non mancano, sia chiaro. Dopo il Giro d’Austria i ragazzi di Ellena torneranno a mettersi il numero sulla schiena il 25 luglio alla Prueba Villafranca.

«Nella parte centrale di questo mese – dice Ellena – sono andato a Bormio a seguire i ragazzi in ritiro. C’erano Stefano Zanatta e Biagio Conte, quest’ultimo è fisso lassù, ma volevo fare un salto anche io. Poi mi sposto proprio in questi giorni al Giro della Valle d’Aosta, corsa alla quale sono legato e che mi piace seguire».

E al Valle d’Aosta Ellena troverà anche i suoi ragazzi: c’è infatti la continental della Eolo-Kometa impegnata in questa dura corsa internazionale.

«Vado a Bormio e al Valle d’Aosta anche perché quest’anno alla fine li ho vissuti poco i ragazzi. Quando sono andato a firmare il contratto in Spagna il primo ritiro era già finito praticamente, quindi questo è il primo training camp che vivo con loro.

«E poi credo che stare sul campo, a contatto con i ragazzi sia fondamentale. Ci sono cose che non emergono in una telefonata. Non li vedo in faccia. E’ vero, ci sono le videochiamate, ma non è la stessa cosa. Invece dal vivo, magari dopo tre caffè, oppure una birra, esce qualcosina di più. Si ha qualche percezione di qualcosa che magari ti sei perso per strada».

Giovanni Ellena è da questo inverno un direttore sportivo della Eolo-Kometa
Giovanni Ellena è da questo inverno un direttore sportivo della Eolo-Kometa

A tutta Europa

E poi ci sono le gare. Gli Eolo correranno praticamente in tutta Europa: dalla Spagna alla Repubblica Ceca. Però nel complesso fanno qualche giorno di gara in meno rispetto alle altre due professional italiane. Per esempio non sono in Cina.

«Il discorso – riprende Ellena – è che abbiamo corso fino a fine giugno. Una stagione già molto intensa e nella quale siamo anche riusciti a portare a casa discreti risultati. C’è dunque bisogno di uno distacco, un punto morto in cui recuperare e “fare il punto” in vista del resto della stagione. Ed è giusto farlo nel mese di luglio, in cui c’era il giusto numero di corse».

«Si tirano un po’ le somme tra chi ha corso di più, chi è stato male, chi sta bene. Si mettono sul piatto tutte le problematiche».

La Eolo in questo luglio ha corso solo al Giro d’Austria
La Eolo in questo luglio ha corso solo al Giro d’Austria

Oltre il Tour

Recupero, lavoro e qualche corsa: è questa dunque la ricetta di luglio in casa Eolo-Kometa. Alla fine il Tour sta lì e per molte squadre è quasi un bene che ci sia questo evento “spacca-stagione”. Si ha davvero modo di ripartire e preparare al meglio gli obiettivi che sono concretamente raggiungibili.

«Alla fine – conclude Ellena – a noi il Tour non toglie nulla. O sei una professional di alto livello, strutturata in un certo modo, e ce ne sono due o tre al mondo, vedi Israel-Premier Tech, Lotto-Dstiny o Total Energies, o altrimenti è inutile andarsi a cercare delle grane.

«Già riuscire a fare bene il Giro d’Italia con otto uomini non è facile, figuriamoci ad un Tour de France. È impensabile. A meno che all’improvviso non cambi qualcosa, hai tanti soldi in più e lavori bene… Penso alla Uno-X, che adesso è ad un buon livello».

Overtraining in altura (e la non-menata di Ganna)

28.06.2023
5 min
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Altura, caldo e allenamento: argomento che attira sempre, specie d’estate. Oggi i corridori salgono in quota praticamente tutto l’anno, ma la stessa altura può anche essere controproducente se non la si fa a dovere. Il rischio di overtraining è dietro l’angolo.

In tempi più o meno recenti ci sono stati casi di corridori che, scesi dall’altura, non sono andati come ci si aspettava per sospetto di overtraining. Un paio di corridori italiani all’ultimo Giro, per esempio. Oppure la Zalf al Giro U23 di due anni fa e persino i corridori della Ineos Grenadiers qualche stagione addietro dopo una lunga permanenza in altura e il successivo Giro di Colombia. Per approfondire questo argomento abbiamo interpellato il preparatore Pino Toni.

Le squadre, almeno quelle più importanti, ormai si allenano spesso insieme in quota. Un bene, ma se qualcuno non è al top potrebbe pagare dazio (foto Instagram)
Le squadre ormai si allenano spesso insieme. Un bene, ma se qualcuno non è al top potrebbe pagare dazio (foto Instagram)
Pino, altura e overtraining come è possibile che le due cose coincidano?

In teoria non ci sono le condizioni per l’overtraining in altura. Quelle sono condizioni fisiologiche e non di performance e oggi i corridori in overtraining in altura non ci arrivano, almeno i top rider che sono ben seguiti, che si allenano con criterio. Poi ci può stare che non si ottengano i benefici che ci si aspettava.

Eppure il caso degli Ineos di qualche tempo fa fu eclatante…

Attenzione, non sbagliarono l’altura, trovarono chi andava più forte di loro. Adesso non conosco i valori precisi di quel ritiro, ma non erano bassi. Semplicemente per la prima volta (o quasi) avevano trovato qualcuno che andava più forte di loro.

Si era alzata l’asticella nel frattempo… eravamo a cavallo del Covid.

Esatto. Io ricordo sempre le parole di Inigo San Millan, il preparatore della UAE Emirates, quando disse che se non hai una base di 5,8 watt/chilo non vai da nessuna parte. Col tempo questa soglia si è alzata. Disse così perché in pochi ancora non avevano fatto meglio. Quest’anno, per esempio, nelle salite del Giro in cui hanno deciso di fare la corsa non sono mai scesi sotto i 6 watt/chilo, prima della selezione, degli attacchi. Magari chi era davanti andava a 6,2 watt/chilo e chi era coperto a 5.8 e anche nella terza settimana: in ogni caso parliamo sempre di valori alti.

Se ben fatta, l’altura può dare enormi benefici. Anche per il recupero passivo. Qui Filippo Conca a Livigno, in una vecchia foto
Se ben fatta, l’altura può dare enormi benefici. Anche per il recupero passivo. Qui Filippo Conca a Livigno, in una vecchia foto
E allora Pino, giriamo la questione: come si può lavorare male in altura tanto da finire in overtraining? Pensiamo per esempio ai fuorigiri prolungati, agli scatti…

Sostanzialmente vai in overtraining in altura, o lavori male, quando non ti sei adattato alla quota, quando non hai rispettato tempi e intensità. Per me un rischio grande è dato dal gruppo. Mi spiego: se ci sono più corridori con uno stesso programma, qualcuno che non si è ancora ben adattato o è un po’ più indietro di condizione, potrebbe esagerare nello stare con gli altri. Magari fa più fuorigiri, lavora ad intensità che non sono le sue in quel momento. E non recupera. Un altro aspetto sono i feedback dei corridori.

Cioè?

Siamo sicuri che i corridori diano sempre i feedback giusti ai loro coach? Spesso gli atleti ti dicono: «Sto bene», invece magari non è del tutto così. Forse credono di stare bene, ma queste cose oggi non dovrebbero più accadere in quanto ci sono degli strumenti fisiologici per misurare questi aspetti.

Quali?

Per esempio la varianza cardiaca (l’Hrv) o gli strumenti che rilevano la qualità del sonno… Questi dati, se incrociati con quelli degli allenamenti ti dicono molto sullo stato del corridore e del suo recupero in particolare. E poi bisogna vedere se i ragazzi sono in altura da soli o con il preparatore.

Cambia molto la presenza del coach?

Parecchio. Al netto dei valori riportati dagli strumenti, che il preparatore può vedere anche da remoto, l’allenatore sul posto vede in faccia i suoi atleti. Ci parla in modo più diretto. Nota i suoi comportamenti anche dopo le uscite. Se un ragazzo dopo pranzo scende in hotel, guarda magari una corsa in tv, parla e scherza con gli altri, è attivo… e un altro resta buttato sul letto in camera e scende solo a cena, qualcosa vorrà dire.

L’altura ormai si fa sempre: inverno ed estate. Il rischio di overtraining è lo stesso?

Dipende tutto da quello che si fa. Solitamente l’altura d’inverno è più di costruzione, di preparazione. Quella estiva di ristorazione… A parte per chi punta a Vuelta e mondiale. Nella maggior parte dei casi, chi sale in quota a luglio è gente che ha staccato a giugno, dopo il Giro, le classiche…

Restiamo sempre in tema di altura, ma più che in ottica overtraining di gestione dello sforzo. Qualche giorno fa Filippo Ganna, dopo la vittoria al tricolore crono ha detto: “Nella parte centrale potevo fare la differenza, ma con questo caldo non è mai facile. Devi fare quasi come in altura: devi abbassare di tanto i valori”. Cosa intendeva?

La macchina umana è un po’ come un motore termico e questo rende al meglio con determinate temperature d’esercizio, esattamente con la quantità di ossigeno, che in quota è minore. Pertanto la mancanza di ossigeno è paragonabile all’innalzamento della temperatura. C’è un calo prestazionale.

E se Pippo avesse insistito, si sarebbe “cotto”…

E ci sarebbe stato un calo prestazionale molto più sensibile. Bisogna pensare che con 1,5 gradi d’innalzamento della temperatura corporea interna l’organismo va in “standby”, con 2 gradi sorgono problemi molto importanti. Non a caso oggi si usa il “Core” (il sensore attaccato alla fascia del cardio, ndr) che ci dà questo valore. Personalmente non lo faccio usare molto, anche perché non avrei comunque modo d’intervenire.

Beh, con acqua addosso, maglia aperta…

Attenzione, parliamo di temperatura interna, non esterna. Tanto per restare nel paragone coi motori, se il corpo umano avesse un radiatore, okay… ma non c’è! Diciamo che Ganna è stato bravo a gestirsi, altrimenti avrebbe “fuso il motore”, sarebbe andato in blackout e di conseguenza più piano.