Z2 o Z3? Con Pozzovivo entriamo nei meandri di queste intensità

02.11.2024
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Jakob Fuglsang qualche tempo fa ci disse di quanta Z3 si fa in gara e della sua necessità di tornare ad allenarsi a questa intensità che era quasi sparita. «I giovani – ci disse Fuglsang – fanno Z2 e fuori soglia. Mi sono adeguato, ma con me non ha funzionato. Pertanto sono tornato alla Z3, il vecchio medio». Un tema che meritava di essere approfondito.

Per farlo abbiamo chiamato in causa Domenico Pozzovivo, il quale oltre ad essere stato in gruppo fino a pochi giorni fa, vuole diventare un preparatore atletico di primo ordine. E il cammino lo ha già iniziato da un bel po’, visto che recentemente si è laureato in Scienze Motorie.

Z2 e Z3, zone di intensità aerobica e il loro impatto sulle performance in gara, dunque. E con Pozzovivo si discute in modo approfondito delle differenze tra questi approcci di allenamento, con riferimento specifico alla sua esperienza e alle necessità dei professionisti di oggi.

Per allenare la Z2 e la Z3 si devo fare uscite a ritmi non eccessivi, ma comunque costanti (foto Twitter)
Per allenare la Z2 e la Z3 si deve fare uscite a ritmi non eccessivi, ma comunque costanti (foto Twitter)
Domenico, partiamo da quel che ci diceva Fuglsang. Qual è la situazione secondo te?

Dire che i giovani si allenano prevalentemente in Z2 è un po’ una forzatura. C’è spesso del “depistaggio” in certi racconti, perché ciascuno cerca di mantenere segreti i propri metodi di allenamento. Inoltre, le semplificazioni fanno comodo: quando qualcosa sembra facile, ci attrae subito. Sentiamo dire che Pogacar ha costruito le sue basi in Z2, e quindi si pensa subito che vada bene per tutti. Ma in realtà non è così. Anche i giovani ciclisti non si allenano solo in Z2.

Cosa s’intende per allenamenti in Z2 e Z3? Che utilità hanno?

L’intensità della Z2 è utile per alcuni ruoli specifici nelle squadre, soprattutto per chi deve controllare la corsa. Ad esempio, un corridore che guida il gruppo tenendo a bada le fughe nei primi chilometri ha bisogno di allenare molto la Z2 e anche la Z3. Questo perché gli serve mantenere un’intensità costante per non esaurire le risorse troppo in fretta. Tuttavia, allenarsi in Z2 non migliora direttamente la VO2 Max, anche se può aiutare indirettamente.

Nel senso che ci puoi costruire la famosa base?

Esatto, quella per poter eseguire al meglio i lavori più intensi e specifici per il VO2 Max.

Fisher-Black e Christen, due giovani… che tiravano. Come spiegava Pozzovivo per loro tanta Z2 e, in questo caso, Z3 bassa
Fisher-Black e Christen, due giovani… che tiravano. Come spiegava Pozzovivo per loro tanta Z2 e, in questo caso, Z3 bassa
Quindi quali sono i vantaggi principali dell’allenamento in Z2?

La Z2 serve soprattutto per ottimizzare il consumo dei grassi, che è l’aspetto principale di questa zona di intensità. Fino al limite della Z3, il carburante principale sono i grassi, quindi lavorare in questa zona aiuta a risparmiare glicogeno per le fasi più intense. Però, allenandosi solo in Z2, si rischia di perdere velocità e potenza anaerobica, e si può anche perdere un po’ di esplosività nei brevi sforzi.

E la Z3, invece, che ruolo ha?

La Z3 è un range piuttosto ampio e spesso si divide in “medio” e “medio-veloce.” Se si sta nella parte bassa, quella del medio, permette di affinare la biomeccanica della pedalata e di lavorare su aspetti come la cadenza e la potenza. Quando si arriva nella zona Z3 alta, o sweet spot, si ha già un vantaggio in termini di miglioramento della soglia, utile per le gare in salita e i cambi di ritmo.

Durante una gara, quanto tempo si passa effettivamente in Z2 e Z3? Qui ci riallacciamo a Fuglsang.

Dipende molto dalla gara. Prendiamo una corsa come l’ultimo Lombardia, ad esempio: nella parte pianeggiante, sfruttando l’aerodinamica cioè stando a ruota o ancora di più in coda al gruppo, si usa molto la Z2, come nel tratto tra la discesa della Roncola e l’inizio dell’ultima salita. Ma in salita, poi, si sale almeno in Z3, se non in Z4. Anche nelle discese non si è mai costantemente in Z2 poiché ci sono rilanci continui.

Per certi lavori la strumentazione elettronica è fondamentale (qui Battistella)
Per certi lavori la strumentazione elettronica è fondamentale (qui Battistella)
Tu quanto allenavi queste zone?

La Z2, onestamente, molto poco. E forse l’ho trascurata troppo, anche per via della mia attitudine ad affrontare l’allenamento in modo intenso. Tendo a prediligere l’intensità, quindi la Z2 mi è sempre sembrata un po’ troppo “blanda.” Tuttavia, negli ultimi tempi ho rivalutato la sua importanza, soprattutto per l’ottimizzazione metabolica nei momenti in cui è necessario bruciare grassi e perdere peso.

Dunque anche la Z2 ha un suo ruolo specifico?

Sì, esatto. È fondamentale, ad esempio, in inizio stagione o quando si torna dopo una pausa per ottimizzare il metabolismo dei grassi. Allenamenti di lunga durata in Z2, le cosiddette sessioni fat max sono utili anche se, per chi è abituato all’intensità, è difficile doversi “forzare” a mantenere un ritmo più blando.

Fat max: un concetto sempre più diffuso nel ciclismo e non solo

01.11.2024
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Sempre più spesso sentiamo parlare di “Fat Max” nel campo della preparazione atletica, non solo nel ciclismo ma anche in altri sport di endurance, come ad esempio la maratona. Ma cos’è esattamente la Fat Max? A cosa serve? Di base, si può definire come quell’intensità di esercizio alla quale il corpo raggiunge il massimo tasso di ossidazione dei grassi, cioè il punto in cui si brucia la maggior quantità di grassi come fonte di energia.

Per capire meglio, ne abbiamo parlato con il dottor Andrea Giorgi della VF Group-Bardiani CSF-Faizanè. Giorgi è la persona più indicata per affrontare questo tema sia perché è medico sia perché è anche un preparatore atletico (in apertura foto @GabrieleReverberi).

Il dottor Andrea Giorgi
Il dottor Andrea Giorgi
Dottor Giorgi, può spiegarci cos’è esattamente la Fat Max?

La fat max è un concetto legato agli sport di endurance, dove l’energia proviene principalmente dall’ossidazione dei grassi e degli zuccheri, i nostri “carburanti” per sostenere lo sforzo. I grassi rappresentano una riserva energetica molto ampia nel corpo. Questa riserva è distribuita nel tessuto adiposo sottocutaneo, nei muscoli e nel sangue, particolarmente utile per le attività a bassa intensità e di lunga durata.

E quindi, per i ciclisti?

Negli atleti, i grassi ossidati provengono principalmente dai depositi intramuscolari. Questo è un adattamento specifico all’allenamento: in una persona non allenata, il corpo utilizza principalmente i grassi in circolazione, mentre l’atleta riesce a sfruttare meglio quelli intramuscolari. La particolarità della fat max è che rappresenta il punto massimo di ossidazione dei grassi durante l’attività fisica.

La Fat Max si verifica a un’intensità specifica?

Esattamente. La fat max indica l’intensità alla quale si raggiunge la massima ossidazione dei grassi come fonte di energia, generalmente tra il 65 per cento e l’80 per cento del VO2max per gli atleti, con valori variabili a seconda del grado di allenamento. Oltre questo punto, si attiva il cosiddetto “punto di crossover”, dove il corpo inizia a ossidare più carboidrati e meno grassi man mano che l’intensità aumenta. Gli atleti più allenati riescono a mantenere un elevato consumo di grassi anche a intensità maggiori, ottenendo così un vantaggio nelle attività di endurance.

Secondo Giorgi, Pogacar avrebbe un livello di fat max elevatissimo. «Quando lui viaggia con i grassi, gli altri sono già ai carboidrati»
Secondo Giorgi, Pogacar avrebbe un livello di fat max elevatissimo. «Quando lui viaggia con i grassi, gli altri sono già ai carboidrati»
Come si allena la fat max?

Per allenare la fat max bisogna identificare la zona di “crossover” tramite test specifici, come quelli che misurano il consumo di ossigeno e il quoziente respiratorio (QR), ovvero il rapporto tra anidride carbonica prodotta e ossigeno consumato. In genere, quando il QR è intorno a 0,7, la maggior parte dell’energia proviene dall’ossidazione dei grassi.

È chiaro…

La fat max si allena tramite sessioni a bassa intensità da 90′ in su, che migliorano l’efficienza mitocondriale nei muscoli a fibra rossa, grazie alla presenza di mitocondri che ossidano i grassi. Tuttavia, è altrettanto importante eseguire anche allenamenti ad alta intensità per migliorare la qualità muscolare e il numero di mitocondri. Si parla spesso di diete low-carb o chetogeniche per favorire l’ossidazione dei grassi, ebbene queste possono effettivamente aumentare la capacità di ossidazione lipidica, ma riducono la capacità di utilizzare i carboidrati ad alte intensità, rendendo più difficile mantenere l’intensità elevata negli allenamenti. La chiave è trovare un equilibrio tra l’uso dei grassi come carburante a lungo termine e l’efficienza con i carboidrati durante sforzi più intensi.

In pratica, brucio i grassi ma vado più piano…

Esatto. In assenza di fonti di energia immediatamente disponibili, come i carboidrati, si perde in prontezza energetica.

Yeman Crippa è il primatista italiano della maratona. Anche per i podisti di lunghe distanze come lui il lavoro sulla fat max è centrale (foto Grana/Fidal)
Yeman Crippa è il primatista italiano della maratona. Anche per i podisti di lunghe distanze come lui il lavoro sulla fat max è centrale (foto Grana/Fidal)
Ma allora perché si insiste così tanto sulla Fat Max e allo stesso tempo si parla della necessità di introdurre 100-120 grammi di carboidrati all’ora?

Perché, durante la corsa, i carboidrati sono essenziali per ottenere prestazioni ottimali alle alte intensità.

Una curiosità: una grande capacità di Fat Max è importante anche nella maratona?

Sì, per lo stesso motivo dei ciclisti. Va considerato che mediamente i podisti hanno un VO2max leggermente più alto dei ciclisti e quindi una fat max a frequenze cardiache più alte. Tuttavia, il riferimento nella maratona è solitamente il ritmo corrispondente ai 2 millimoli di lattato, un livello che l’organismo riesce a smaltire senza accumulo. Se un atleta riesce ad aumentare questa soglia di fat max, potrà mantenere una “velocità di crociera” più elevata e risparmiare energie per il finale (ricordiamo inoltre che oggi anche nella maratona si utilizzano integratori di carboidrati liquidi, che permettono di sostenere ritmi ancora più elevati: il mix di cui diceva Giorgi ndr).

Stagione alle spalle: il riposo invernale (e quello estivo)

17.10.2024
6 min
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Ancora un paio di gare poi si potrà davvero dire che anche questa stagione è finita. E come di consueto, al termine di un’annata scatta il periodo del riposo. Riposo che però non è più come un tempo e che va ben distinto da quello (o quelli) nel corso dell’anno.

Il riposo è parte integrante della preparazione, pertanto ci siamo rivolti ad un esperto per parlarne. Stavolta abbiamo bussato alla porta di Paolo Artuso, uno dei coach della Red Bull-Bora Hansgrohe (in apertura foto @friesooooo).

Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe la scorsa stagione
Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe la scorsa stagione
Paolo, parlaci della differenza tra il riposo di fine stagione e quello durante l’anno.

I due tipi di riposo sono differenti non solamente per la durata. A metà stagione puoi fare 7-8 giorni di riposo tra prima parte e seconda parte, mentre fra una stagione e l’altra puoi fare tre settimane. C’è chi preferisce andare più vicino al mese e chi preferisce fare leggermente meno. Io di solito consiglio le tre settimane.

Una via di mezzo, nella quale si è certi di recuperare…

Ed è anche uno dei motivi per cui dico sempre ai corridori di tenere duro fino a metà ottobre anche se hanno finito di correre prima.

“Cosa si va a riposare” in quelle tre settimane e in quei 6-8 giorni?

In base alla lunghezza del periodo di riposo ci sono differenti risposte. Più la pausa è corta e meno va ad inficiare la forma fisica. Se sto fermo una settimana, si è solo un po’ meno brillanti. Il cuore è un po’ meno efficiente. Dopo i sette giorni invece c’è un cambiamento metabolico. I muscoli iniziano a diventare meno efficienti e consumano di più. Consumano soprattutto il glucosio, si “disallenano”. Ciò significa che nel caso si dovesse riprendere immediatamente forte si avrebbe meno benzina da sfruttare.

Secondo Artuso il corridore dovrebbe arrivare almeno alla seconda metà di ottobre e non mollare troppo a lungo
Secondo Artuso il corridore dovrebbe arrivare almeno alla seconda metà di ottobre e non mollare troppo a lungo
Al cuore cosa succede? E cosa significa meno efficiente?

Anche il cuore è un muscolo, pertanto diventa meno efficiente anche questo. La differenza è che per gli stessi sforzi deve pompare più velocemente perché è un po’ meno forte di prima. Questo è quello che succede in una settimana circa, il break di metà stagione. Ma si fa presto a ripristinare il tutto.

Mentre dopo le tre settimane?

Dopo tre settimane, oltre ad ampliarsi questo effetto di minor efficienza, iniziano a diminuire anche la capillarizzazione muscolare, la vascolarizzazione. Di conseguenza va a diminuire il massimo consumo di ossigeno. Si perde un po’ la solida base aerobica. Il muscolo s’impigrisce.

Una volta, Paolo, si diceva di fare le analisi a fine stagione e poi dopo il riposo per vedere come erano state ripristinate le scorte. E’ così? E soprattutto, cosa significa rimpinguare le scorte?

Significa riempire l’omeostasi, cioè il bilanciamento generale dei valori (ferro, emoglobina, vitamine…). Ma questo valeva prima, adesso i corridori hanno un’alimentazione talmente precisa e associata alla preparazione che non sono mai in deficit. Se c’è un deficit è perché c’è qualcosa che non va. Non so un virus, dei problemi familiari. Piuttosto per il recupero c’è anche un’altra cosa da non sottovalutare.

Quale?

La parte psicologica. Gli atleti arrivano a questo periodo dell’anno che sono stanchi morti, che hanno bisogno di staccare. Di pensare ad altro. La freschezza mentale conta moltissimo.

Tra Tour e Quebec c’erano 43 giorni. Così Pogacar ha ricaricato le batterie, prima del finale di stagione (foto Instagram)
Tra Tour e Quebec c’erano 43 giorni. Così Pogacar ha ricaricato le batterie, prima del finale di stagione (foto Instagram)
Ed è quantificabile il recupero mentale?

Direi di no. Poi molto dipende dalla stagione che hai fatto e come è andata: due grandi Giri o uno? Ottanta giorni di corsa o 30? Una buona stagione o una stagione travagliata? Ai miei ragazzi dico di ritornare avendo voglia di fare, di pedalare.

Prendiamo un corridore a caso: Pogacar! Tra la fine del Tour e la successiva gara, il Gp Quebec, è stato lontano dalle gare per 43 giorni. Tadej ha detto di essersi riposato per arrivare fresco e con voglia al finale di stagione. Cosa ne pensi? E quello stacco è diverso da quello che farà in questi giorni?

Fondamentalmente quando ti alleni riesci a controllare il carico di lavoro: fai quello di cui hai bisogno. In gara no. In gara dipende da mille fattori esterni: caldo, freddo, pioggia, ritmi imposti, salite fatte a blocco… Insomma non sei tu che decidi. Probabilmente dopo la fine del Tour, Pogacar ha preso la sua pausa di una settimana, dieci giorni al massimo, e poi ha ripreso ad allenarsi appunto come voleva e secondo le sue esigenze del momento. Ricordate quello che dicevamo tempo fa?

Ripetiamolo…

Quando fai tante gare vai anche a regredire su determinati aspetti, mi riferisco alla densità mitocondriale. Quando vai per lungo tempo ad una acidosi elevata, cosa che succede solamente in gara, vai ad “ammazzare” a livello numerico i mitocondri che produci allenandoti. Pogacar ha gestito bene questa fase. Al contrario, parlo in generale, durante il riposo invernale bisogna stare attenti a non eccedere…

Almeida in questi giorni è in vacanza alle Canarie: relax e qualche concessione gustosa (foto Instagram)
Almeida in questi giorni è in vacanza alle Canarie: relax e qualche concessione gustosa (foto Instagram)
Perché poi quei mitocondri li devi “rifare da capo”?

Ci sono i corridori che dicono: “Voglio fare un mese di riposo”. Okay, però in un mese tutti quei cambiamenti che s’innescano (consumo di ossigeno, capillarizzazione, efficienza cardiaca, consumo del glucosio, aumento del peso…), te li ritrovi in uno stato più avanzato e oggi non te lo puoi più permettere. Alla prima corsa devi essere pronto, altrimenti è solo un rincorrere. Se si sta troppo fermi, i muscoli che di solito sono abituati a utilizzare anche i grassi come energia, perdono questa attitudine. Altra cosa: si perde tono muscolare. Pertanto un mese potrebbe essere troppo, al giorno d’oggi.

In queste tre settimane, Paolo, tu sei dell’idea che sia meglio il riposo totale, oppure che bisogna fare delle attività alternative?

Lascio piena libertà ai ragazzi, purché non si affatichino troppo. Vogliono andare a giocare a pallone? Bene, ma senza esagerare e possibilmente senza rompersi una gamba! Chiaramente nello stacco durante la stagione, non si fa niente di tutto ciò. Quello è riposo e basta. Piuttosto nel periodo di stacco a fine stagione, consiglio agli atleti di sfruttare lo stop per sistemare quelle piccole cose che nel corso dell’anno diventerebbero dei problemi. Non so, un controllo dal dentista, il setto nasale, una visita specifica…

Nelle tre settimane di stacco invernale lasci abbastanza libertà, ma nella pausa di mezza stagione, quella di 6-8 giorni, si molla proprio del tutto? Parliamo anche dal punto di vista alimentare…

No, non si molla del tutto. Se vuoi farti due cene va bene, ma basta così. Già mettere su un chilo e mezzo non è poco in piena stagione. Pensiamo poi che oggi gli atleti mangiano più e meglio che in passato e che certi atteggiamenti di rilassamento totale sono meno necessari di un tempo, quando c’erano restrizioni importanti e sbagliate anche dal punto di vista scientifico. In tal senso il ciclismo è cambiato, per fortuna.

Ancora su juniores e carichi di allenamenti. Parola a Notari

18.09.2024
6 min
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Torna prepotente il tema degli allenamenti e degli juniores, categoria sempre più cruciale nel ciclismo, almeno in questa fase storica. 

L’età degli juniores è un momento spesso decisivo. In questo contesto sono ancora fresche le parole di Stefano Garzelli e quelle di Eros Capecchi dopo il Lunigiana.

E poiché l’argomento è caldo ne abbiamo parlato con un preparatore, Giacomo Notari, che tra l’altro è a stretto contatto con i giovani, in quanto coach della UAE Team Emirates Gen Z. E proprio lui aveva qualche sassolino da togliersi dopo il secondo posto del suo Pablo Torres al Tour de l’Avenir. Ma andiamo con ordine.

Il preparatore della UAE Emirates Gen Z, Giacomo Notari
Il preparatore della UAE Emirates Gen Z, Giacomo Notari
Giacomo, ripartiamo dal discorso delle ore di allenamento e le 25 ore che oggi fanno gli juniores…

Le ore di allenamento dicono tutto e niente: bisogna vedere cosa si fa in quel tempo. Fare 25 ore e portare a spasso la bici non ha senso. Una cosa che per me è, e resta, fondamentale è il modello prestativo per cui ci si deve allenare. Una gara juniores dura al massimo 2 ore e mezza, 3 in qualche caso. A cosa serve fare 5 ore? Se glielo si fa fare due volte l’anno, perché il ragazzo è curioso, vuole provare, va bene. Non è quello che incide. Ma se diventa la prassi no. Si va solo ad attivare un sistema che porta a bruciare le tappe sotto ogni punto di vista: tecnico e fisico.

Qual è dunque secondo te lo standard a cui dovrebbe attenersi uno junior? Ammesso che questo standard esista…

Anche in questo caso mi viene da dire: dipende. Quando un ragazzo fa 3 ore, 3 ore e 30′ al massimo è più che sufficiente. Anche perché fino a giugno va a scuola e pertanto ha già un impegno importante. Io direi che 12-14 ore a settimana possono andare bene.

E il giorno di scarico deve esserci?

E’ fondamentale ed è quello che si fa fatica a far capire ai ragazzi, che troppo spesso vanno troppo forte quando dovrebbero fare scarico. Questo poi non gli permette di recuperare veramente. Un recupero che non è solo fine a se stesso, ma che va pensato in vista delle fasi intensi, cioè i lavori specifici che dovrà fare. Le sessioni intense, quelle che magari simulano la prestazione in gara, servono e vanno fatte. E’ lì che bisogna andare forte. E se tu hai recuperato riesci a lavorare bene, migliori e vai più forte. Altrimenti se fai fatica a fare certi allenamenti non migliori molto.

Spesso i social portano ad emulazioni dai risvolti non sempre positivi
Spesso i social portano ad emulazioni dai risvolti non sempre positivi
Il recupero ti permette di assimilare il lavoro. E’ la supercompensazione, giusto?

Esatto. Poi ci possono essere dei periodi medio-brevi programmati di carico in cui si decide di recuperare meno, ma poi bisogna mollare e far respirare l’organismo. Specie quando si è giovani.

Il recupero, quando si parla di juniores, riguarda anche la crescita, non solo la condizione fisica?

Sì, ma se sto in bici 24-25 ore a settimana e in più ho la scuola e gli interessi che si possono avere a quell’età, non è facile recuperare. Sicuramente almeno un giorno a settimana di riposo totale serve. Lo fanno anche i pro’ ormai, figuriamoci i ragazzi.

Facciamo la parte del diavolo, Giacomo. E’ vero che bisogna rispettare i tempi di crescita e quant’altro, però è anche vero che se i ragazzi non raccolgono i risultati in questa fase, poi rischiano di restare a piedi. Forse spingere non è poi così sbagliato da un certo punto di vista.

E’ un’obiezione legittima. Oggi viviamo in un’epoca nella quale ognuno pensa di dire la sua, pur non avendo le conoscenze per farlo. E’ il mondo dei social media, ma quello che mi preme sottolineare, almeno nel caso italiano, è che diciamo sempre che non ci sono giovani. Ma in realtà è che non ci sono i tecnici validi. Tutto è nelle mani dei tecnici delle squadre giovanili.

Vai avanti…

Oggi i ragazzi vedono sulle varie piattaforme, per esempio Strava, quel che fanno i campioni o un loro coetaneo che va forte e cercano di replicarlo. Ma non sono sempre buoni esempi. Non è detto che le 25 ore di allenamento vadano bene per quel ragazzo. Ognuno ha i suoi tempi di crescita. Per questo dico che servono tecnici che sappiano individuare le giuste fasi dei carichi di lavoro e del recupero. Magari trovo un ragazzo che regge le 6 ore, gliele faccio fare e va forte. Poi passa under 23 si ritrova un tecnico che magari non gliele fa fare e finisce per “allenarsi di meno” e quindi non ha più margini di miglioramento.

E’ importante che i ragazzi e i tecnici gestiscano al meglio i carichi di lavoro in allenamento (foto Instagram – team Vangi)
E’ importante che i ragazzi e i tecnici gestiscano al meglio i carichi di lavoro in allenamento (foto Instagram – team Vangi)
Come la mettiamo con questa corsa ad anticipare i tempi?

Viviamo certamente un momento complicato. Ci sono meno squadre e si fa sempre più fatica a passare nella categoria successiva. Un allievo oggi fa fatica a passare junior ed è normale per certi aspetti che un ragazzo sia costretto a fare risultato, però per me è difficile accettare tutto ciò. Da tecnico oltre al volume di ore che accumuli è importante quel che fai, come ho detto prima. Porto l’esempio di Pablo Torres (under 23, ndr). Nella settimana che ha fatto di più quest’anno ha accumulato 20 ore e 30’… ed è arrivato secondo all’Avenir, non in una “corsetta”. Posso dire che a Livigno ho visto degli juniores, quindi ragazzi più piccoli di lui, fare 25 ore a settimana. Quindi è vero che c’è questa rincorsa ad anticipare i tempi per fare risultato e trovare una squadra buona (magari un devo team, ndr) ma non deve essere una scusa. Per questo insisto molto sui tecnici. Loro devono capire che non sono bravi se i ragazzi gli vincono 5-6 corse, ma sono bravi se fra 5 anni quelle vittorie le colgono tra i professionisti. Noi ci focalizziamo sull’albero e non sulla foresta che c’è intorno.

Però spesso questi tecnici lungimiranti militano nei migliori team, quelli che ti consentono di crescere con minor fretta…

Il problema per me è che nel ciclismo c’è gente che non è aggiornata. E’ nei giovanissimi, negli esordienti che serve un tecnico bravo. Ma per questo servono soldi e allora ci si appoggia ai pensionati. E, potrà sembrare una contraddizione, per fortuna che ci sono: altrimenti chi porterebbe avanti queste squadre? Però alla fine ci ritroviamo in questa situazione. Da noi Giaimi ha un contratto fino al 2026, io non gli tiro il collo. Che vinca la domenica mi importa relativamente. A me importa che maturi, che cresca come atleta a tutto tondo.

Correre va bene secondo Notari, purché con tempistiche ben ponderate (foto Giro Lunigiana)
Correre va bene secondo Notari, purché con tempistiche ben ponderate (foto Giro Lunigiana)
Ma Giaimi a quel punto in qualche modo è già “sistemato”. Sono i “non Giaimi” il problema. Lui è già in un devo team. Torniamo alla domanda di prima.

Infatti la coperta è corta. E’ un cane che si morde la coda. Il ragazzo vuole passare in un devo team e vuole anticipare i tempi. Ma il Lorenzo Finn della situazione andrebbe forte anche se facesse 18 ore a settimana. Lasciamogli il margine per l’anno dopo. Magari al primo anno da under 23 farà 20 ore, al secondo 22 e così via…

La soluzione?

La Federazione deve fare di più. I corsi per i tecnici sono fatti bene, molto bene, anche sul piano della preparazione, ma proprio per questo bisogna accertarsi che chi esce da questi corsi sia veramente preparato.

Chiaro…

Che s’imbastisse una tavola rotonda con i soggetti interessati per parlarne bene. E poi penso che il correre tutte le domeniche, come spesso si fa da noi, possa diventare un limite alla crescita dei ragazzi.

Perché?

Perché correndo tutte le settimane si ha una mentalità che è maggiormente orientata al risultato e contestualmente non permette di fare adeguati carichi di allenamento per migliorare, perché a quel bisogna recuperare per poter essere poi pronti alla domenica. Ci vorrebbero blocchi di gare di 3-4 settimane, magari anche con una gara a tappe, e blocchi di allenamento di 2-3 settimane senza gare. In queste settimane si può lavorare per la vera crescita dei ragazzi. Alla fine quello che ti fa migliorare veramente è l’allenamento, la gara è una cartina al tornasole.

Preparazione estiva: cala (poco) il volume, ma l’intensità resta

30.08.2024
5 min
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Siamo verso la fine di agosto e in qualche modo il grande finale di stagione è già iniziato. A questo punto dell’anno viene da chiedersi come cambia la preparazione. I corridori si allenano ancora in un certo modo? E cosa guardano i preparatori? 

Un tempo neanche troppo lontano, basta andare indietro di 10 anni, forse meno, si diceva che ad un certo punto dell’anno era sufficiente fare del mantenimento, che tanto la condizione non sarebbe continuata a crescere. E che addirittura insistere sarebbe stato controproducente. Di tutto questo ne parliamo con Claudio Cucinotta, uno dei preparatori in forza all’Astana-Qazaqstan . 

Il coach Claudio Cucinotta (classe 1982) cura la preparazione degli atleti dell’Astana e anche di molti biker d’elite
Il coach Claudio Cucinotta (classe 1982) cura la preparazione degli atleti dell’Astana e anche di molti biker d’elite
Claudio, quindi cosa fa un corridore a fine agosto?

Dipende da tante cose. Dalla periodizzazione fatta durante l’anno, dagli appuntamenti in programma, dall’atleta in questione… C’è anche chi in questo momento è al top della forma perché rende bene con il caldo. Altri atleti con certe temperature non vanno altrettanto forte, rendono invece in primavera.

A questo punto dell’anno, mediamente, i valori sono gli stessi o calano un po’?

Rispetto ad inizio stagione quel che è un pelo più basso è il peso e quindi alcuni valori non sono proprio gli stessi. Magari a marzo si hanno più negli sforzi esplosivi, dei picchi assoluti che adesso non si fanno più. Mentre restano più o meno invariati in salita.

A te preparatore cosa interessa fargli fare in questo periodo?

Ancora una volta devo dire dipende. Magari è più difficile che lo scalatore puro faccia dei lavori massimali, mentre lo sprinter deve mantenere alti i livelli di forza sui 5”, sui 15”, sui 30” e quindi farà degli sforzi anaerobici e anaerobici lattacidi. Molto in questo caso è legato al calendario e alle caratteristiche degli atleti.

In questa fase dell’anno, per alcuni atleti non va tralasciato l’aspetto del caldo… che molti soffrono
In questa fase dell’anno, per alcuni atleti non va tralasciato l’aspetto del caldo… che molti soffrono
Okay, facciamo un esempio estremo: Pogacar e Van der Poel che puntano al mondiale. Stesso obiettivo, caratteristiche fisiche diverse. Cosa fanno?

Pogacar può vincere un grande Giro e le classiche, quindi è più forte dal punto di vista aerobico. Van der Poel è più forte nelle classiche, è più esplosivo. Più pronto alle volate e alle salite brevi. Immagino si prepareranno in modo diverso. Pogacar che per sua stessa ammissione ha lavorato molto sulle salite e la resistenza, laddove pagava qualcosa rispetto a Vingegaard, insisterà sugli sforzi brevi, le volate… proprio per rispondere agli attacchi di gente come VdP o Van Aert, che potrebbe anche ritrovarsi nella volata finale e non sono facili da battere.

Chiaro…

Al contrario Van der Poel che sullo sforzo anaerobico è già fortissimo di suo, vista la durezza del mondiale, che a mio avviso propende un filo a favore di Pogacar, lavorerà sulla resistenza. Immagino molta Z3-Z4, per riprodurre il modello prestativo richiesto dal mondiale.

Un tempo, come dicevamo all’inizio, da luglio in poi i volumi calavano parecchio…

I volumi più grandi restano quelli d’inizio stagione. In questa parte dell’anno un’atleta medio ha fatto almeno un grande Giro o è impegnato alla Vuelta e a livello di volume, tra gare fatte e il calendario fitto che si propone, non dovrebbe aver grossi problemi. Quindi si fa “meno volume”, ma l’intensità resta. E con un calendario tanto folto si possono sfruttare proprio le gare per fare intensità e fare meno a casa. E così facendo non gli mancherebbe neanche il volume. Pensiamoci: c’è la Vuelta, è da poco finito il Giro di Germania, c’è il Renewi Tour, poi Bemer Classic… anche chi non è alla Vuelta può mettere insieme 15-20 giorni di corsa gestendo bene i recuperi.

Meno ore, ma l’intensità resta secondo Cucinotta e anche secondo gli altri coach
Meno ore, ma l’intensità resta secondo Cucinotta e anche secondo gli altri coach
Insomma si lavora ancora forte…

Poi per scelta posso anche correre meno e lavorare a casa sull’intensità. Fermo restando che se l’atleta dovrà andare al mondiale non potrà trascurare la parte di volume: la corsa iridata sarà comunque di 6 ore, 6 ore e mezza. Chiaro però che non saranno più le triplette di 5-6 ore d’inizio stagione, ma qualche doppietta di 4 ore, tre ore e mezza. Magari una sola volta fa le 6 ore.

Claudio, invece tu da preparatore quali valori osservi?

Più o meno gli stessi che tengo sott’occhio tutto l’anno. I parametri sono quelli: la potenza media, la normalizzata in gara e in allenamento, forse si dà un pelo più di peso alla variabilità cardiaca che è un buon indice sullo stato di recupero e di freschezza dell’atleta, ma anche questa si valuta tutto l’anno. La vera differenza sapete qual ‘è?

Vai, spara…

E’ che oggi si tende a programmare e a periodizzare meglio. La fase intensa è intensa per davvero e quella di stacco è più netta. Una volta un corridore non staccava mai del tutto nel corso dell’anno. Era sempre abbastanza pronto, ma raramente era al 101 per cento. Oggi invece almeno una o due volte nel corso dell’anno, il corridore non tocca la bici 5-7 giorni. E questo fa sì che arrivi meglio ai periodi di picco, che di solito sono due l’anno, in qualche caso anche tre. Ma questo ti consente anche di poter lavorare sempre, quando ne hai bisogno. Che poi è il concetto che l’amatore medio fa fatica a comprendere. Fanno scarico a 32 di media, quando Pogacar forse fa 28.

La dura stagione di Silvia Persico: l’analisi con il suo coach Zenti

14.08.2024
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Silvia Persico è una delle nostre più grandi cicliste e sta vivendo una stagione tormentata da malanni e infortuni ed è stato un dispiacere non poterla vedere al top come ci aveva abituato in queste ultime annate.  Spesso si è discusso su di lei e nel calderone e tra i vari punti in esame si è parlato anche del cambio di preparazione della portacolori dell’UAE Team Adq .

E’ innegabile che sia cambiato qualcosa e che qualche problema ci sia stato. Lei stessa nel ritiro di dicembre ci disse che si apprestava ad un inverno senza ciclocross, da sempre colonna portante dei suoi allenamenti. Per fare chiarezza a 360° attorno a Persico abbiamo parlato direttamente con il suo coach, Luca Zenti.

Il preparatore Zenti con Silvia Persico (foto da Facebook)
Il preparatore Zenti con Silvia Persico (foto da Facebook)
Luca, dicevamo di un anno difficile per Silvia. Tanti cambiamenti e nel calderone è finita anche la preparazione. Partiamo da un quadro generale che ci dica di questo suo 2024.

Direi che è stata in effetti una stagione complicata. Anche in virtù di precise direttive di squadra, dichiarate apertamente ad inizio stagione, si è deciso di non fare il cross e certamente questo ha inciso. Non è facile adattarsi per chi, per 9 anni, ha impostato un certo tipo di preparazione. Non è stato un cambio banale.

Quindi è vero che l’assenza del cross ha inciso?

Certo, ma non c’è stato solo quello, bisogna dirla tutta. Silvia è incappata in moltissime sfortune, molti malanni. A gennaio, dopo una buona preparazione, poco prima dell’inizio della stagione, ha avuto un problema con un ginocchio e si è fermata per due settimane. Non era brillantissima, e nonostante tutto, proprio perché aveva lavorato bene, non è andata malissimo all’UAE Tour Women.

Lei ci disse che in quell’occasione aveva fatto il suo personal best sui 30’.

Esatto, proprio perché come ho detto in quel mese e mezzo avevamo lavorato bene. Alla Strade Bianche, dopo l’UAE Tour non era stata brillante, successivamente aveva preso un filo di continuità e nelle classiche del Nord non era andata male. Poi però ha avuto un problema familiare, la perdita della nonna, a cui era legatissima, e alle Ardenne di nuovo non era super. Passano queste gare ed ecco la mononucleosi. Quindi siamo andati avanti senza poter fare carichi di lavoro. Ad inizio maggio è andata a Burgos e lì Silvia era forse al 50 per cento.

Sul Jebel Hafeet all’UAE Tour ad inizio stagione una buona prestazione che dava fiducia…
Sul Jebel Hafeet all’UAE Tour ad inizio stagione una buona prestazione che dava fiducia…
A quel punto cosa avete fatto?

Ne è seguita una settimana di stop per poter recuperare un po’ e successivamente abbiamo ripreso con un blocco di lavoro ripartendo quasi da zero. Da lì siamo andati anche sul San Pellegrino in altura. Per questa fase ho deciso di impostare un lavoro polarizzato: parecchio volume, inserendo poi anche degli stimoli a soglia e di Vo2 Max, quindi stimoli di una certa intensità. Successivamente è andata all’italiano ma era in una fase di pieno carico in vista del Giro Women.

Come è andata la corsa rosa? Anche lì non possiamo negare che Persico abbia avuto le sue difficoltà.

Vero, così come è vero che eravamo andati lì con l’idea di non fare classifica. E infatti sul primo arrivo in salita Silvia si è volutamente staccata proprio per uscire di classifica e avere più spazio per le fughe. Poi però per ordini di scuderia è dovuta restare al fianco delle migliori e dulcis in fundo ecco il Covid.

Un calvario insomma…

In vista di Parigi pertanto non si è potuta allenare bene e infatti Silvia è partita per le Olimpiadi con il morale a terra. Sì, tra Giro e Giochi abbiamo fatto qualche piccolo lavoro di richiamo, ma neanche troppo intenso visto lo stato infiammatorio che porta il Covid. E poi tra cadute e tutto il resto non è stata una prova a cinque cerchi fortunata. E’ facile comprendere che in mezzo a tutte queste sfortune non è facile impostare un lavoro, trovare la continuità necessaria per le gambe e anche per la testa. Non abbiamo avuto il tempo per poter lavorare sull’intensità.

Stando al tuo racconto, giusto in inverno siete riusciti a lavorare bene.

Esatto e infatti, come detto, all’UAE Tour Silvia ha espresso buoni valori. Anche in quel caso è mancata solo la parte anaerobica perché guarda caso si era dovuta fermare quelle due settimane per il problema al ginocchio.

Indirettamente Persico al Giro non è stata faorita da alcune scelte tattiche del team
Indirettamente Persico al Giro non è stata faorita da alcune scelte tattiche del team
Tante sfortune vero, ma poi immaginiamo che, Luca, tu abbia dovuto fare i conti appunto con la mancanza del cross. Come hai sostituito quella parte? Quella parte della preparazione che dà lo spunto forse per lottare con le più grandi…

La prima cosa è stato un approccio differente: come essere performante dopo i 2.000-2.500 chilojoule? Abbiamo provato con un approccio polarizzato: quindi tanta Z2 ma al tempo stesso anche parecchi stimoli lattacidi. In generale è aumentato il suo volume di lavoro. Silvia ha fatto molte più ore a settimana che in passato, ma questo tutto sommato sarebbe successo comunque senza il cross che, correndo almeno una volta a settimana, ti porta a ridurre i carichi di lavoro complessivi. E sempre in sostituzione del cross quest’inverno 2-3 volte a settimana facevamo degli stimoli lattacidi.

Quindi i fuorigiri non sono mancati?

No, poi è chiaro che fatti i vari test a fine febbraio la sua tolleranza al lattato difettava un pochino rispetto agli altri anni. Quell’intensità complessiva che ti dà il cross, con il solo allenamento non riesci a replicarla. Però almeno fin lì Silvia non stava male.

Lei prima della Strade Bianche ci disse anche di un buon lavoro in palestra…

Anche questo è sempre stato legato al discorso della forza e dell’intensità. Abbiamo lavorato molto con il bilanciere, facendo anche parecchia forza massima che a ridosso delle gare diventava forza esplosiva. Alla fine anche a secco abbiamo cercato di simulare il cross, mettiamola così.

Persico, in seconda ruota, al Tour Femmes dove la UAE Adq ha presentato una maglia nuova
La lombarda, in seconda ruota, al Tour Femmes dove la UAE Adq ha presentato una maglia nuova
E’ vero che avete fatto meno SFR?

Qualcosina in meno è vero. In generale c’è stato un approccio diverso alla forza. Abbiamo aumentato un po’ il lavoro a secco e neuromuscolare. In bici Silvia ha fatto partenze da ferma, volate e, fedele al lavoro polarizzato, anche Vo2Max e lavori molto intensi di 2′-3′. Ma il problema, credetemi, non è stato la forza, il cross o chissà cosa… il problema è che a parte il mese e mezzo iniziale non siamo mai riusciti a lavorare con continuità a causa di tutti i problemi fisici e di salute che l’hanno tormentata quest’anno.

E ora cosa farai? Tu come preparatore come potrai recuperare la tua atleta anche mentalmente?

Conosco Silvia da molto tempo e so che potenziale abbia. Io sono convinto che un mese e mezzo ben fatto, senza stop, le consentirebbe di fare un buon finale di stagione. Lei non ha bisogno di molti mesi per entrare in forma. Mentalmente: la prima cosa è ritrovare il piacere di correre, che poi va di pari passo con la condizione e in generale con un ambiente favorevole. Il tutto innescherebbe un circolo virtuoso.

In questi giorni Silvia Persico è impegnata al Tour de France Femmes, speriamo vivamente che il lavoro in Francia possa esserle utile per il recupero delle motivazioni e della condizione fisica in vista del finale di stagione… che può ancora offrile molto.

Come si sceglie la sede dell’altura? Ci dice tutto Artuso

08.08.2024
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L’altura è un elemento sempre più importante nell’insieme della preparazione. E si cerca di effettuarla in modo sempre più specifico e dettagliato. Per primo conta la location. Già, ma come si sceglie? E perché?

Paolo Artuso, uno dei coach della Red Bull-Bora, ci accompagna in questo viaggio tecnico, relativo appunto all’allenamento in quota. Solo qualche giorno fa Franco Pellizotti ci aveva spiegato perché aveva preferito portare Tiberi e gli altri ragazzi in rotta verso la Vuelta al Pordoi anziché a Livigno o magari a Sierra Nevada. 

Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe nel 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe nel 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Paolo, dunque, come si sceglie il luogo dell’altura?

La discriminante principale resta la quota e quella ottimale è intorno ai 2.200-2.300 metri. Il secondo aspetto di cui si tiene conto è logistico: quanto è pratico quel luogo da raggiungere per lavorare e in che periodo della stagione si è. E per questo, d’inverno si tende ad andare sul Teide e d’estate si va a Tignes, sul Pordoi, Isola 2000, Sestriere… Mentre se devo fare scarico tra Tour e Vuelta, Livigno va benissimo. Il terzo aspetto è la metodologia che s’intende intraprendere, che a sua volta si basa su tre filosofie.

Quali?

Uno: vivo e dormo in alto e mi alleno in basso. Due: vivo e mi alleno in alto. Tre: mi alleno in alto e vivo in basso. Quest’ultima opzione, con gli anni, almeno nel ciclismo si è visto che funziona meno di tutte. Personalmente invece preferisco la prima di queste tre filosofie.

Perché? Anche Pellizotti più o meno era sua tua stessa linea…

Perché allenandosi in basso si riesce a lavorare meglio sulla soglia e sui volumi, mentre da quota 1.500-1.600 inizia a diminuire la potenza espressa e tutto diventa più complicato da gestire: i consumi… il logorio degli atleti… il recupero…

E per questo spesso in questa fase della stagione viene scartata la location di Livigno: non si può lavorare a quote troppo basse…

Poi è chiaro, se magari devi preparare anche qualche tappa che prevede salite altissime tipo lo Stelvio, magari fai anche qualche lavoro in quota.

Quando si è in quota il monitoraggio degli atleti è molto importante. Qui un saturimetro
Quando si è in quota il monitoraggio degli atleti è molto importante. Qui un saturimetro
Però proprio perché è più difficoltoso, se si spinge forte alle alte quote non si migliora di più?

Faccio fare qualche lavoro in quota, ma parliamo di cose corte: al massimo di 15″-20″. Quando si effettua un allenamento ci sono due carichi: quello interno, quindi soglia, battiti, fatica, e quello esterno, in pratica ciò che produci. Se lavori in quota guadagni da una parte, il carico interno, ma perdi dall’altra, il carico esterno. E allora qui ci si chiede: qual è l’obiettivo dell’altura? E’ aumentare la massa emoglobinica e da qui di conseguenza il Vo2Max e l’aumento della prestazione. Ma in tal senso è importante anche la preparazione del camp stesso.

Cioè?

Il camp in quota si prepara già la settimana prima facendo scarico. Al ritiro in altura si deve arrivare freschi altrimenti il rischio è quello di ammalarsi. Se si è stanchi e le difese immunitarie sono basse cambiando sede e andando in quota si aggiunge altro stress al fisico. Per questo che so, dopo un Catalunya, non li mandiamo subito in quota ma ai ragazzi facciamo fare scarico per almeno due o tre giorni. Semmai  gli faccio fare un testa a casa, così da avere i parametri di riferimento per zone d’intensità e lavori.

Quale test?

Un classico incrementale. E da qui s’intensifica anche il contatto con lo staff medico e il nutrizionista per eventuali supplementazioni, visto che si consuma di più. Non mi riferisco solo all’alimentazione ma anche ad un supplemento di ferro, vitamine del gruppo B e vitamina D. E dopo si va in quota.

Per Artuso i ritmi non dovrebbero mai essere eccessivi in altura. Meglio effettuare un buon volume. Qui Roglic in allenamento verso la Vuelta (foto @redbullborahansgrohe)
Per Artuso i ritmi non dovrebbero mai essere eccessivi in altura. Meglio effettuare un buon volume. Qui Roglic in allenamento verso la Vuelta (foto @redbullborahansgrohe)
E lì cosa si fa?

I primi quattro giorni sono di totale adattamento. Quindi tre giorni di endurance tranquilli e uno di riposo. Dal quinto s’inizia a lavorare. In questa fase è importantissima tutta la parte del monitoraggio: saturazione, peso, qualità del sonno… L’altura di può dare vantaggi, ma è anche facile combinare dei “casini”.

Quanto dura l’altura? Una volta si parlava di due settimane…

Vero, se si arriva a 21 giorni è meglio. Lo dimostrano gli studi. Però dipende anche un po’ dalla testa del corridore. Non è facile per tutti restare in quota perché si fa davvero una vita monastica: mangiare, dormire, allenamento, massaggi. Stop. In queste tre settimane si cerca di aumentare il volume complessivo: si fanno anche 30 ore a settimana, ma mantenendo i lavori che si fanno solitamente a casa. La vera differenza, oltre alla quota, tra un camp e l’allenamento a casa è il monitoraggio dell’atleta.

Paolo, ma i lavori massimali non si fanno in altura? In teoria allenandosi forte in ambienti difficili la resa finale dovrebbe essere elevata.

Come detto prima se si fa parliamo di lavori corti, di pochi secondi in cui si resta nella fase anaerobica. Poi magari qualcuno li fa fare, ma personalmente preferisco di no. Non ho mai scritto nel programma dei miei atleti 5′ a blocco. In altura faccio fare gli stessi lavori che si fanno in basso: base, forza, Fat Max, soglia… La densità mitocondriale porta efficienza muscolare ma quando i mitocondri ci sono. Se faccio fare dei lavori a tutta e creo un ambiente acido i mitocondri muoiono. A tutta per davvero ci si va solo in gara. 

Chiaro…

Alla fine si va in quota per avere dei miglioramenti a livello ematico cosa che apporta l’esposizione all’altura. Da qui l’incremento della massa emoglobinica.

La parte a crono non manca mai per gli uomini di classifica. Anche Artuso porta qui i suoi atleti quando è sul Teide (foto Instagram)
La parte a crono non manca mai per gli uomini di classifica. Anche Artuso porta qui i suoi atleti quando è sul Teide (foto Instagram)
Massa emoglobinica?

Stando in quota non solo aumenta la densità del sangue (più globuli rossi, ndr) ma anche la quantità. Faccio un esempio: se tu hai un chilo di emoglobina nel tuo corpo e in altura riesci ad alzarla anche solo dell’1 per cento significa che hai aumentato la tua massa emoglobinica di un grammo, ma questo aumento fa sì che nel consumo di milllimoli al minuto durante l’attività tu hai migliorato il tuo Vo2Max. Hai più trasporto di ossigeno. In pratica con poco hai un miglioramento importante.

Tornando invece alla scelta del luogo, voi preparatori vi basate anche sull’orografia del sito? Cioè su che tipo di strade ci sono?

In parte sì, ma come detto all’inizio conta la quota e in particolare quella dove si vive, si dorme. E conta anche la tipologia di atleta. E’ chiaro che un velocista sul Teide fa fatica. Lì o sali o scendi. In questo caso meglio Livigno, almeno lì ha la possibilità di fare anche un po’ di pianura, per di più in quota. Mentre per lo scalatore ci sono meno problemi riguardo alla location. Il Pordoi mi piace molto in tal senso, però è anche vero che d’estate soprattutto nei weekend c’è davvero troppo traffico per allenarsi. Sierra Nevada la conosco meno però in basso c’è pianura e poco traffico e si può allenare bene. Ma il top, anche per la vita che si fa, per me è il Teide. Anche per questo se è un camp di recupero Livigno va bene: consente anche qualche distrazione.

E se si deve usare la bici da crono?

Quella con gli uomini di classifica si usa sempre e si usa di frequente. Ma la scelta del luogo incide fino ad un certo punto: un tratto di pianura o pianeggiante si trova sempre. Al Teide per esempio si va sulla salita di Chio che ha lunghi rettilinei e tratti pianeggiante o al 2-3 per cento dove poter stare bene in posizione.

Il Tour di Vingegaard: ragionando a mente fredda con Pino Toni

28.07.2024
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Cosa ci ha detto il secondo posto di Jonas Vingegaard al Tour de France? Ci sono diversi aspetti da valutare a mente fredda riguardo al danese. Come è variata la sua condizione nel corso delle tre settimane. Come ha reagito fisicamente e mentalmente. Cosa ci si può attendere da lui.

Sono aspetti tecnici che svisceriamo con il preparatore toscano Pino Toni, il quale su certi temi, forte della sua esperienza, ha vedute a 360°.

Pino Toni ha collaborato con molti team e tutt’ora collabora con atleti professionisti
Pino Toni ha collaborato con molti team e tutt’ora collabora con atleti professionisti
Pino, partiamo da un tuo giudizio generale sul Tour di Vingegaard.

Se è vero quello che ha detto il suo staff, e cioè che è andato più forte di quando ha vinto il Tour, e io ci credo perché altrimenti in quel team non lo avrebbero portato, direi che ha fatto una grande corsa. Jonas e la Visma-Lease a Bike hanno fatto un gran bel lavoro per rimetterlo in sesto, ma non è bastato. L’altro, Pogacar, nel frattempo è cresciuto tantissimo. I 6,7 watt/kg che ha espresso l’anno scorso sulle salite lunghe non bastavano più. Adesso servono i 7 watt/kg. Sono cambiati i parametri di riferimento. Almeno per vincere, perché comunque con 6,7 watt/chilo si è competitivi. Non dimentichiamo che Vingegaard ha messo dietro il miglior Evenepoel di sempre.

In tanti si aspettavano una crescita di Vingegaard nel corso delle tre settimane. Non è avvenuto, come mai?

Perché questo è il ciclismo attuale di altissimo livello. Anche se sei un Pogacar o un Vingegaard, se non arrivi al top non cresci come un tempo. Oggi non è più possibile. E poi questo aspetto secondo me va visto in modo un po’ diverso.

Cioè?

Secondo me in casa Visma non si aspettavano tanto che crescesse Vingegaard, quanto piuttosto che calasse Pogacar, che di fatto sarebbe stato alla sesta settimana di corsa tra Giro d’Italia e Tour. Che calasse di condizione. Perché poi c’è anche da fare un distinguo fra condizione e prestazione.

D’ora in poi non sarà facile per Jonas inseguire Tadej
D’ora in poi non sarà facile per Jonas inseguire Tadej
Spiegaci meglio.

La condizione è la base, la prestazione è la performance. Faccio un esempio, per ottenere un’ottima prestazione, se magari voglio che il mio atleta faccia i suoi 20′ migliori di sempre, fatta la sua preparazione gli faccio fare due giorni di scarico, uno di attivazione e poi il test sui 20′ e se tutto va bene otterrò il suo top. La condizione invece nel caso del Tour è il livello base di quell’atleta. Sono le capacità dell’atleta a reagire al gruppo, agli eventi e alle condizioni della corsa. E’ il riuscire a stare davanti, a fare la gara. Non si tratta solo di numeri.

Lo abbiamo visto anche al Giro Women che il caldo ha fiaccato le ragazze, non hanno espresso i migliori valori, ma hanno comunque creato delle differenze: questo è il concetto?

La condizione di Vingegaard era buona, ma inferiore a quella di Pogacar. Anche quando ha vinto la tappa, la faccia di Jonas non era bellissima. Si vedeva che aveva speso molto. Lì per esempio, nel suo caso, si è trattato di una performance. Jonas era più fresco, mentre l’altro aveva un Giro d’Italia alle spalle. Ma poi la condizione era diversa. Per questo io credo che ora, al netto dell’incidente di Vingegaard, Pogacar sia più avanti.

Per Toni, Vingegaard non ha grande margine di miglioramento, specie a crono dove lui e il suo team erano già ad un livello stellare
Per Toni, Vingegaard non ha grande margine di miglioramento, specie a crono dove lui e il suo team erano già ad un livello stellare
E quindi adesso Vingegaard cosa dovrà fare? Dove potrà limare ancora?

Intanto un’altra cosa che ci ha detto questo Tour è che un avvicinamento senza incidenti è fondamentale. Entrambi, si è visto, che con l’incidente lo hanno perso. Che sia un fattore di numeri, di testa, di piani scombussolati… ma incide. Dove può crescere o limare il danese: io credo che più di tanto non possa crescere. Semmai dovrebbe migliorare in salita. Jonas può vincere un Tour contro Pogacar solo se è più forte, ma di tanto, in salita. Lo deve staccare in modo netto.

Perché?

Perché ora Tadej è più forte anche a crono. Ha fatto dei passi enormi, ma loro in UAE Emirates avevano da limare. In Visma non so quanto spazio abbiano ancora nella crono per migliorare. In UAE ci sono arrivati adesso perché in fin dei conti prima non avevano questa necessità. Ma questo ci dice anche che oggi per vincere a certi livelli l’atleta da solo, benché forte, non basta più. Servono gli staff. E loro due hanno due squadre importanti. Un po’ come la Formula 1.

In F1 si mette in pista una monoposto, nel ciclismo si mette in corsa un atleta…

Esatto. Chiaro che serve un grande atleta, questo è ovvio, ma poi serve che chi è dietro di loro vada oltre. Esca dalle righe, dalla routine, che faccia ricerca. Ricerca sui materiali, sull’alimentazione, sull’integrazione…

E’ una sfida anche di staff: tutti devo spingersi oltre, non solo gli atleti leader
E’ una sfida anche di staff: tutti devo spingersi oltre, non solo gli atleti leader
Come ne esce Vingegaard mentalmente secondo te? 

Per me Jonas deve considerare il suo Tour come un super Tour. E’ comunque il secondo al mondo nonostante quel grosso incidente ad inizio aprile. Sarà rimontato in bici a fine aprile, avrà ripreso a fare qualche allenamento specifico a maggio, mentre l’altro vinceva il Giro. Non ha avuto i tempi per metabolizzare quanto fatto. Ma per il resto ha messo dietro tutti, tutti tranne uno. Quindi per me ne deve uscire con un giudizio positivo.

A mente fredda abbiamo visto davvero che Pogacar al Giro si è allenato, non sarà bello da dire ma è così, tu per primo ci parlasti di “scatti per attivazione” durante la corsa rosa. Questa cosa potrebbe aver acceso qualche spia  d’interesse anche a Vingegaard? Potrebbe venire al Giro anche lui in futuro?

Bisogna considerare che sono due corridori un pochino diversi, anche se entrambi mirano al Tour. Pogacar può vincere tutto, anche la Roubaix, l’altro ha qualche limite in più. Vingegaard è un atleta un po’ più specializzato e il livello della sua prestazione top in una corsa di un giorno ce l’hanno diversi corridori. Per questo dico che forse a Vingegaard un Giro potrebbe costare un po’ di più che a Pogacar, fosse anche solo mentalmente. Chiaro, lo vincerebbe, ma il suo carico esterno sarebbe maggiore.

Carico esterno?

Sì, tutto quello che c’è intorno, la sua spesa in generale. Il suo TTS (il livello di stress, ndr) sarebbe maggiore e questo dipende da tanti fattori, il recupero o semplicemente le energie nervose per stare in gruppo. Tadej è molto abile e sciolto nello stare in gruppo, nel guidare la bici, Jonas un po’ meno. 

Sistema polarizzato e perdita di peso dietro la rosa di Elisa

17.07.2024
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I grandi successi a certi livelli non si ottengono mai da soli. Ovviamente vince l’atleta, il campione o la campionessa, ma dietro le quinte ci sono altre figure che s’impegnano. E Paolo Slongo è una di queste. Il coach veneto della Lidl-Trek forse più di tutti ha contribuito alla conquista del Giro d’Italia Women di Elisa Longo Borghini.

Slongo è uno dei preparatori più esperti in gruppo. Per anni ha collaborato, tra gli altri, anche con Vincenzo Nibali. Ha un palmares lungo così. «Ma – dice il veneto – aver aggiunto in bacheca anche questo Giro d’Italia Women è emozionante. E’ qualcosa in più. Anche per noi preparatori ogni anno si tratta di rimettersi in gioco. In autunno quando finisce la stagione, io riordino le idee. Studio nuove soluzioni, nuovi metodi. E certe vittorie sono uno stimolo».

Paolo Slongo con Elisa Longo Borghini sul Teide, laddove è partito l’assalto al Giro Women 2024
Paolo Slongo con Elisa Longo Borghini sul Teide, laddove è partito l’assalto al Giro Women 2024
Paolo, al Giro abbiamo visto l’Elisa più forte di sempre?

In generale, quest’anno, sì. E’ la più forte di sempre e lo dicono i risultati. Ormai è in grado di competere con tutte le più grandi e su tutti i terreni. Non che prima non lo fosse, ma adesso come detto raccoglie di più. E’ migliorata a crono e nel fuori soglia. Per i grandi Giri adesso parte per vincere. Prima andava bene lo stesso, era costante, ma magari correva per il podio. Ora ha agguantato questa prima vittoria in un grande Giro e vuol dire molto. Adesso Elisa fa definitivamente parte delle atlete di prima schiera che ci sono sempre.

Hai parlato di risultati, ma è migliorata anche nei numeri delle sue prestazioni?

Un po’ sì. E lo ha fatto perché adesso è più magra. Elisa ha perso un paio di chili. E per questo abbiamo lavorato a stretto braccio con Stephanie Scheirlynck, la nutrizionista della Lidl-Trek. E’ stato un bel lavoro di squadra, condiviso. Eravamo costantemente in contatto per stabilire il regime alimentare in base agli allenamenti. L’idea era di poterla far allenare forte e mangiare di conseguenza.

Avete cambiato qualcosa nella preparazione più in generale?

Direi che c’è stato un cambiamento drastico nell’approccio all’allenamento. Non posso entrare troppo nello specifico, ma posso dire che siamo passati da un sistema più tradizionale ad un sistema polarizzato (qui per saperne di più, ndr). E si è visto sin dalle classiche che questo metodo aveva buoni effetti. Ma ancora una volta parte del merito è stato della squadra.

Perché?

Perché ha assecondato le nostre idee. A partire dal ritiro sul Teide a marzo e poi un altro a giugno sul San Pellegrino. Questo ha significato fare qualche gara in meno, però abbiamo fatto un bellissimo avvicinamento al Giro. In più dopo l’italiano Elisa è ritornata in quota proprio al San Pellegrino con la nazionale del cittì Paolo Sangalli.

Quest’anno Longo Borghini è dimagrita, ma è riuscita a mantenere i suoi standard di forza
Quest’anno Longo Borghini è dimagrita, ma è riuscita a mantenere i suoi standard di forza
Come ha lavorato in quegli ultimi giorni?

Io avevo lasciato la moto lassù e facevo la spola tra casa mia e il San Pellegrino. Devo dire che Sangalli è stato bravo perché comunque ci ha lasciato spazio.

Quindi Elisa ha rifinito la sua preparazione in quota facendo fuori giri dietro motore?

Anche. Lassù ha lavorato con la bici da crono e un solo giorno abbiamo fatto una simulazione di gara su una salita. L’abbiamo fatta sulla Marmolada, lato Canazei che è più regolare e un po’ meno duro rispetto al versante di Malga Ciapela. E poi come detto 2-3 volte siamo andati in Val di Cembra, che è poco trafficata specie dai mezzi pesanti, per lavorare a crono. Lì ci portavo Nibali.

Veniamo invece ai giorni del Giro Women, Paolo. Tu seguivi Elisa da remoto?

Esatto. Ci sentivamo ogni giorno. La sera ricevevo i dati, ci lavoravo su e alla mattina trovavano il report sul suo stato di condizione, sul TSS (il livello di stress, ndr), sul recupero e aggiungevo i miei feedback.

Come giudichi il suo Giro Women da un punti di vista fisico?

Ovviamente buono. E’ stato un Giro che è iniziato benissimo con la vittoria della crono. Da quel momento si sapeva che l’altra tappa dura ed importante sarebbe stata quella del Blockhaus. E in tutto questo Elisa non ha mai sofferto più di tanto.

Slongo ha detto che uno degli obiettivi di Longo Borghini era la crono: obiettivo centrato
Slongo ha detto che uno degli obiettivi di Longo Borghini era la crono: obiettivo centrato
Però lei stessa ha ammesso che a Toano ha sofferto parecchio il caldo nel finale…

Sì, ma il suo stato di forma è sempre stato buono. Io sapevo che stava bene. E anche nella tappa del Blockhaus non è andata piano. Quella tappa era talmente dura che non si sapeva davvero come potesse andare. Noi sinceramente credevamo che le avversarie più pericolose una volta lassù sarebbero state Labous e Fisher-Black. Pensavamo a guadagnare su di loro e invece ci siamo ritrovati una grande Kopecky.

Vi ha fatto paura quella sera? 

Eh un po’ sì. Con gli abbuoni ancora in palio il giorno dopo sarebbe stata molto pericolosa. Ci avrebbe potuto mettere in difficoltà. Però da parte mia sono rimasto sempre fiducioso perché in tre arrivi su tre su uno strappo Elisa l’aveva preceduta. E poi io conoscevo davvero i suoi valori e per questo ero relativamente tranquillo, il problema è che poi a parlare è sempre la strada. Magari un Giro che è finito così è stato più bello per i tifosi, ma noi in squadra abbiamo sudato freddo!

Qual è stato l’approccio psicologico sempre quella sera? Come ha reagito Elisa?

Secondo me è cresciuta molto anche sotto questo aspetto. Magari subito dopo il Blockhaus, quando nessuno si aspettava una Kopecky così tanto forte, che comunque era già arrivata seconda ad un Tour, Elisa ha avuto un po’ paura. Ha avuto qualche pensiero. Però posso dirvi che ha reagito immediatamente. La sera stessa diceva: “Questa maglia faranno fatica a portarmela via. Domani farò io la corsa”. Quindi ha mostrato subito un atteggiamento positivo. Poi sia lei che io abbiamo una caratteristica comune: quella di restare con i piedi per terra, specie dopo tante difficoltà. In più era consapevole di essere forte.

Al Giro Women in tutti gli arrivi sugli strappi l’italiana ha preceduto la belga
Al Giro Women in tutti gli arrivi sugli strappi l’italiana ha preceduto la belga
Prima abbiamo accennato al suo rendimento: come è stato nel corso del Giro?

Sempre costante, poi è normale che ci sia stata qualche giornata in cui era un po’ meglio e altre in cui era un po’ peggio. Ma nel complesso sono stati valori elevati dalla crono iniziale all’Aquila.

Longo Borghini ha detto che sul Blockhaus erano un po’ più bassi rispetto ai suoi standard: perché?

Sono stati un pelo più bassi, ma questo dipendeva dal grande caldo che c’era. Certe temperature li fanno abbassare, vale per tutti. Gli atleti tante volte hanno riferimenti assoluti. Magari lei aveva in testa quello fatto al San Pellegrino, ma un conto è fare certe prestazioni a 18 gradi e con due giorni di carico alle spalle, e un conto al settimo giorno di gara e con quasi 40 gradi: è normale che calino.

Ultima domanda, Paolo, da dove nasce realmente la vittoria di questo Giro Women?

Nasce tre anni fa, quando arrivato anche io in questo gruppo, Elisa mi disse che voleva migliorare a crono e fare classifica nei grandi Giri. Se invece devo entrare nello specifico di questo Giro, è iniziato con i primi ritiri in autunno, quando tutti insieme abbiamo buttato giù i programmi della stagione. Quindi le classiche fatte bene e il lavoro per quelle. Lo stacco. La Vuelta corsa in ottica Giro e ora il blocco Giro e Olimpiadi, passando per un Tour non da leader… E questo scrivetelo!

Perché?

Perché non vorrei che qualcuno si montasse la testa e magari si aspettasse chissà cosa al Tour Femmes. E poi c’è il finale di stagione con un mondiale duro, che molto somiglia ad una classica. Se la testa ci sarà ancora, se non sarà stanca, potrebbe essere un’altra bella occasione per Elisa.