Light oppure aero? La complicata scelta dei pro’

06.08.2021
5 min
Salva

L’evoluzione e gli studi sui telai offrono ai pro’ dei modelli di bici sempre più performanti, stagione dopo stagione. Le esigenze dei corridori crescono con l’aumentare delle performance e la loro scelta va di pari passo. Ormai lo sviluppo del telaio ha raggiunto degli standard sempre più vicini alla perfezione. Si sa, ogni atleta è fatto a modo suo, sia per esigenze tecniche ma ancor di più per le caratteristiche fisiche. Le case costruttrici sono arrivate perciò al punto di dividere i telai a seconda di queste esigenze.

Non è raro vedere i team professionisti avere a disposizione più telai durante la stagione: uno aerodinamico, per le gare in pianura, l’altro light, ovvero leggero, usato nelle gare con tanto dislivello. In controtendenza, rispetto alle altre squadre, c’è Pinarello, che offre al team Ineos una sola bici, la Dogma F, vincitrice, tra l’altro dell’oro olimpico di Tokyo con Richard Carapaz.

Nell’analizzare questa situazione ci siamo soffermati sulla suddivisione dei telai, andando a chiedere a vari corridori come si trovano e se abbia veramente senso avere questa doppia scelta.

Diamo parola, quindi, a coloro che fanno sfrecciare questi telai sugli asfalti di tutto il mondo. Salvatore Puccio (Ineos Grenadiers, Pinarello Dogma F), Edoardo Affini (Jumbo-Visma, Cervélo S5 Aero e Cervélo R5 light), Matteo Fabbro (Bora-Hansgrohe, Specialized Venge e Specialized Tarmac), infine Emanuele Boaro (Astana-Premier Tech, Willier Zero Slr e Willier Filante).

Scelta di squadra

Avere a disposizione due telai crea una difficoltà logistica per le squadre, nel momento in cui si va a correre. La difficoltà principale è anche capire se agli atleti vengano fornite due bici per gli allenamenti di tutti i giorni.

«La scelta del team è legata alle caratteristiche dei corridori – esordisce Salvatore Puccionon abbiamo velocisti, quindi non è stato sviluppato il telaio per le gare di pianura. La Pinarello Dogma F è una bici ibrida, ideata per essere performante in tutte le situazioni di corsa, come abbiamo visto anche al Giro nella tappa delle strade bianche. 

«Quella di avere due telai la ritengo una scelta inutile, cambiare bici da una tappa ad un’altra crea una scomodità non indifferente per il posizionamento in sella, noi professionisti sentiamo la differenza se un telaio viene modificato leggermente, figuriamoci se cambia completamente mezzo».

Venge ai box

Quella della Ineos non è però l’unica scelta in questo senso, Specialized ha deciso di fermare ai box il modello Venge, quello dedicato alla pianura o alle volate. Ce lo spiega meglio Matteo Fabbro, atleta del team Bora-Hansgrohe.

«Fino a metà della stagione 2020 – dice – usavamo due bici, ora con il nuovo sviluppo della Tarmac, la Venge è stata abbandonata. Una scelta fatta dalla casa madre, noi atleti non siamo stati chiamati in causa, anzi io preferivo avere la doppia bici. Per un corridore leggero come me, avere un vantaggio in pianura, seppur minimo, è fondamentale. Poi, fin quando non è arrivato il Covid, avevamo entrambe le bici a casa per allenarci. Se si aggiungono i periodi di ritiro nei quali provavi entrambe, si arrivava ad un numero simile di chilometri percorsi con l’una e con l’altra».

La Ineos ha corso il Giro con la F12, poi dal Tour è arrivata la Dogma F
La Ineos ha corso il Giro con la F12, poi dal Tour è arrivata la Dogma F

Scelta fissa

Edoardo Affini, un metro e 92 per 80 chili, ha delle caratteristiche atletiche completamente differenti da Fabbro, ed una visione altrettanto opposta.

«Sebbene Cervélo metta a disposizione due telai, S5 per la pianura e R5 per la montagna – spiega il mantovano – io non ho mai utilizzato quest’ultimo. Anche nelle tappe con un dislivello importante scelgo l’S5, perché anche in questo caso il mio lavoro principale è in pianura. Di conseguenza preferisco usare una bici che mi dia la massima prestazione sul terreno di mia competenza».

Sintesi finale

Infine, Emanuele Boaro, trova il riassunto definitivo: «Si parla di bici veloci e di bici leggere – inizia così il corridore dell’Astana – ma la differenza di peso è minima, si parla di grammi, neanche di etti. La grande differenza è nella guidabilità, la bici aero è più rigida e quindi adatta a corridori potenti o per chi deve disputare delle volate. Io stesso, al campionato italiano ho adoperato la Filante, ovvero la bici veloce, poiché, nonostante il dislivello elevato si pensava ad un arrivo in volata.

«La Willier Zero la usano molto i nostri scalatori, ma per un discorso più mentale. Quel che fa maggiormente la differenza sono le componentistiche, mettere delle ruote a profilo alto o basso su una bici la cambia completamente, in guidabilità e scorrevolezza. La scelta è condizionata molto anche dal fattore psicologico, molti ciclisti preferiscono usare una bici che considerano più performante, anche se poi le caratteristiche differenziano di poco. In un grande Giro la doppia bici la uso sempre, anche se preferisco non cambiarla da una tappa all’altra, ma di settimana in settimana, utilizzando quella che ritengo migliore a seconda delle strade percorse».

Facciamo un giro sulla Dogma F oro a Tokyo

28.07.2021
7 min
Salva

La voce raggiante di Fausto Pinarello dopo la vittoria di Carapaz nella prova su strada delle Olimpiadi parlava di passione sportiva e realizzazione professionale. L’ecuadoriano aveva già condotto alla vittoria la nuova Dogma F al Giro di Svizzera, ma in quei giorni la bici era mascherata da F12. Questa volta invece, con un’edizione olimpica che prevedeva la bandiera della nazionale sulla forcella e quella del Giappone al posteriore, la medaglia d’oro è stata il riconoscimento più prestigioso che il trevigiano potesse immaginare.

Laboratorio Ineos

La Dogma F è l’ultima nata dell’azienda trevigiana ed è la bici destinata a dare la svolta, lanciando il brand verso il nuovo quadriennio olimpico, durante il quale vedremo anche il varo della nuova bici da crono. E ancora una volta sarà il Team Ineos il partner dello sviluppo.

La bici è stata tenuta nascosta fino a maggio, poi lo stesso Fausto ha pensato bene di farsi fotografare al Giro d’Italia, nel giorno di riposo di Canazei, mentre ne utilizzava una. La squadra correva ancora con la F12, Bernal con essa ha conquistato la maglia rosa, ma a partire dal Tour è andato in scena il cambiamento. Con la sola eccezione dei freni, non ancora a disco. Ma anche questo è destinato a cambiare a breve. I corridori hanno già le bici così equipaggiate, ma finché Shimano, ancora soffocata dai ritardi Covid, non potrà garantire la fornitura completa di ruote allo squadrone, si resterà con i rim brakes di sempre.

Fibra spaziale

La nuova bici nasce da fibra di carbonio Torayaca T1100 1K, garanzia di altissime prestazioni, grazie alla sinterizzazione che consente un controllo della struttura delle fibre a livello nanometrico. Il risultato è un sostanziale miglioramento delle prestazioni rispetto alle altre fibre di carbonio di Toray, già ampiamente utilizzate nel settore aerospaziale e in altri settori di altissima fascia. A ciò si aggiunge la nuova tecnologia utilizzata per le resine. Tramite l’utilizzo di nanoleghe, si ottimizzano in un colpo solo la resistenza alla trazione e alla compressione, dando vita a materiali pre-impregnati in grado di soddisfare i livelli di prestazioni richiesti dagli elementi strutturali nell’industria aerospaziale e anche da attrezzature sportive di fascia alta.

Il telaio è realizzato con fibra di carbonio Torayaca T1100 1K
Il telaio è realizzato con fibra di carbonio Torayaca T1100 1K

Bici all-round

Utilizzando un materiale così pregiato, gli ingegneri Pinarello e quelli Ineos hanno concepito un telaio aggressivo e filante, che al primo sguardo si fa apprezzare per il nuovo disegno del carro, la rimodulazione dei tubi del triangolo principale e la nuova forcella.

L’innesto dei foderi sul piantone è sottile e ottimamente raccordato. Il triangolo dal perimetro ridotto, che rispecchia una tendenza molto… americana, rende la bici reattiva. Al contempo, il fatto di averlo realizzato con sezioni ridotti (possibile proprio grazie alla altissima qualità del carbonio utilizzato) consente la flessione che rende la bici anche confortevole: quello di cui hanno bisogno i corridori, che qui sopra sono… condannati a starci anche per otto ore. Non è una bici aero e neppure una bici da salita: è una bici all-round che permette al professionista e a chiunque avrà il piacere di utilizzarla di avere vantaggi su ogni terreno.

La Dogma F, come nello stile di Pinarello, è asimmetrica, per compensare le sollecitazioni che sul lato destro vengono imposte dalla catena.

La zona della scatola del movimento centrale è resa più rigida del 12 per cento
La zona della scatola del movimento centrale è resa più rigida del 12 per cento

Nata in galleria

Però all’aerodinamica è stato dedicato più di un occhio. La forcella, innanzitutto. La nuova Onda discende direttamente da quella montata sulla Bolide da crono, con un disegno a lame che le permette di infilarsi nel vento e di mantenere l’ottima manovrabilità della bici.

Restando nel comparto anteriore, un grande apporto al design più filante viene anche dalla completa integrazione dei cavi sul manubrio, con lo sterzo reso più fluido dall’adozione di nuovi cuscinetti più performanti.

Nuovo è anche il disegno del tubo obliquo, con il profilo troncato che accresce la rigidità e insieme riduce la resistenza al vento laterale.

La testa della nuova forcella Onda mette in risalto l’asimmetria della bici
La testa della nuova forcella Onda mette in risalto l’asimmetria della bici

Reggisella in 3D

Osservandola da dietro, con il piantone dalla sezione a lama, si ha davvero il senso di una bici da crono e in questo contesto risalta anche il reggisella, realizzato in un pezzo unico di titanio stampato in 3D dalla tedesca Materialise. 

A Brema sono stati effettuati prima i test di simulazione virtuale, garantendo la stampabilità e l’affidabilità del risultato. Poi il team ha condiviso i progetti stampati in 3D con Pinarello perché conducesse i suoi test su un banco di prova e su strada. Alla fine il componente in titanio è risultato più leggero del 42,5 per cento rispetto alla versione originale in alluminio.

Cura dimagrante

La Dogma F nasce nella doppia versione con freni a disco e rim brakes (che hanno ancora mercato), con una diminuzione di peso di 265 grammi nella misura 53 rispetto alla Dogma F12, 250 grammi nella misura 55 da noi provata.

Il nuovo disegno della scatola del movimento ha permesso di conferire a quella zona così delicata una rigidità superiore del 12 per cento, mentre il computo complessivo della rigidità risulta migliore del 3,2 per centro nella versione con freni tradizionali e del 4,8 per cento rispetto alla versione con freni a disco.

In termini di resa, dati forniti da PiInarello, il miglioramento a 40 km/h è di 1,3 watt che diventano 2,6 watt a 50 km/h, con la sensazione di una bicicletta che ai 40 all’ora ci arriva da sé, poi ha bisogno di una… spintarella.

352 combinazioni

Il telaio della nuova Dogma F è prodotto in 11 misure, cui si sommano 16 misure di manubrio e 2 di reggisella, per un totale di 352 combinazioni. Se proprio un difetto le va trovato, quello è il prezzo. Non è una bici per tutti. Montata con lo Sram Red da noi provato, la quotazione si attesta sui 14 mila euro. Aggiungendo al carrello le Lightweight di questo test, si raggiungono i 17 mila. L’eccellenza ha il suo prezzo. E se il risultato finale è una medaglia d’oro alle Olimpiadi, si capisce che stiamo parlando di una vera macchina da corsa. Quanti di quelli che comprano una Ferrari, del resto, sono in grado di apprezzarla al massimo dei suoi cavalli?

Diego Colosio nuovo direttore commerciale di Pinarello

23.07.2021
2 min
Salva

Diego Colosio è il nuovo direttore commerciale di Pinarello. La notizia era nell’aria da qualche tempo – Colosio era a Treviso già dallo scorso mese di maggio – ma l’ufficialità è arrivata appena da qualche giorno. Per la casa trevigiana ecco dunque un uomo di esperienza e dinamico.

Diego Colosio, nuovo direttore vendite Pinarello
Diego Colosio, nuovo direttore vendite Pinarello

Trent’anni nella “bike industry”

Dopo importanti esperienze maturate sempre nel settore vendite di realtà primissima fascia come Gruppo, Colnago e soprattutto Bianchi, Diego Colosio arriva in Pinarello. E lo fa, forte di un bagaglio d’esperienza decisamente consolidato, in modo particolare per quanto riguarda il mercato estero.

Tra i diversi incarichi di cui sarà responsabile, spiccano quelli del coordinamento e dello sviluppo del team di vendita, dell’indirizzo del front e back office, e la pianificazione della domanda a livello di gruppo. Colosio riporterà direttamente ad Antonio Dus, Ceo di Cicli Pinarello spa, a Sergio Meneghin, il Sales area Mmanager, e ad Elisa Grosso, la responsabile del servizio clienti.

Filippo Ganna con la Pinarello che fu di Miguel Indurain (ora nelle sede trevigiana)
Filippo Ganna con la Pinarello che fu di Miguel Indurain (ora nelle sede trevigiana)

Un piano ambizioso

Come già accennato, Colosio vanta un trascorso nella “bike industry” più che trentennale. Il contributo e l’impulso che il nuovo manager italiano saprà trasferire in azienda sarà fondamentale per lo sviluppo di Pinarello. Una fase di evoluzione che prevede l’attuazione di un precisa strategia già delineata da un piano industriale a medio termine. E proprio questi importanti progetti saranno realizzati in stretta collaborazione con l’intero team di gestione globale di Cicli Pinarello spa. Un team che ad oggi potrà dunque contare anche sull’esperienza e sulla professionalità di Colosio.

«Essere stato scelto da un brand come Pinarello per ricoprire questo importante ruolo – ha commentato Diego Colosio – lo considero il completamento di un percorso sia professionale che personale molto gratificante. Sono davvero grato per l’opportunità di poter collaborare con questo team di professionisti nella realizzazione del nostro ambizioso piano industriale. Senza dimenticare che, da ciclista e da appassionato, per me rappresenta un vero e proprio onore entrare a far parte di questa storica famiglia».

pinarello

Collinelli Atlanta 1996

Collinelli, ricordi Atlanta? «Un oro olimpico si vince così…»

10.07.2021
5 min
Salva

Alice nel Paese delle Meraviglie. Ci si sente un po’ così, al primo approccio con le Olimpiadi. Una città si consacra allo sport, radunando tutto il meglio che c’è al mondo in quasi tutte le discipline, almeno le più conosciute, per assegnare quel titolo che, più di ogni altro, può cambiare la vita. E’ con questi occhi che Andrea Collinelli si avvicinò ad Atlanta, alle Olimpiadi targate Coca Cola. Sono passati 25 anni, ma il ricordo è ancora vivido nella sua come nella mente di tanti appassionati, perché quell’avventura si concluse come meglio non si poteva.

Una bella favola, anche se a raccontarla dopo tanto tempo i contorni perdono un po’ di lucentezza: «Ero un novizio, ma mi aspettavo che si potesse vivere tutti insieme, invece noi del ciclismo eravamo decentrati, a una ventina di minuti dal villaggio olimpico. Dovevamo preservare la concentrazione, così andavamo al centro solo per pranzo e cena, prendendo un trenino. Ma questo non è il particolare che più mi è rimasto impresso…».

E cosa allora?

La fatiscenza degli alloggi. Erano terribili: pavimenti in linoleum, brandine in ferro, stanze spartane, come nei peggiori ostelli, il che faceva un po’ a pugni con le location, davvero bellissime: quando andavamo al villaggio vedevamo le ville delle varie delegazioni dove festeggiavano le medaglie di tizio o caio. E’ quello che ti faceva capire che non è una manifestazione come tutte le altre.

Collinelli Villa 2021
Collinelli insieme al Cittì Marco Villa: l’olimpionico ha condiviso parte della preparazione degli azzurri
Collinelli 2021
Collinelli oggi: l’olimpionico ha condiviso parte della preparazione degli azzurri della pista
Che effetto fa vivere un’esperienza simile insieme a campioni di altri sport?

E’ quasi surreale: ti ritrovi al tavolo con il campione dei 100 metri oppure il tennista numero 1 al mondo, il nuotatore vincitore di chili di medaglie o la ginnasta in copertina su tutti i giornali. E senti nell’aria quella concentrazione massima verso un obiettivo che accomuna tutti. Pensi che per una volta la vittoria avrà lo stesso valore per ognuno, a prescindere dalla disciplina.

Tu non arrivavi ad Atlanta da sconosciuto…

Ero partito con la convinzione di poter vincere o quantomeno salire sul podio, l’anno prima ai mondiali in Colombia ero stato secondo. Ma sapevo anche che per ottenere questo risultato tutto doveva concatenarsi nella maniera migliore, devi rimanere concentrato e pensare a scaricare tutto quello che hai appena lo starter spara il colpo di pistola.

Le specialità ciclistiche contro il tempo sono state spesso al centro delle spedizioni azzurre e sarà anche così quest’anno, con Ganna su strada ma soprattutto alla guida dell’attesissimo quartetto dell’inseguimento. In prove simili quanto conta l’uomo e quanto il mezzo?

Bella domanda… E’ sicuro che per ottenere risultati vengono fatti sempre grandi investimenti tecnici. Io lavorai a lungo sullo sviluppo della bici a canna di fucile di Pinarello, ma rispetto ad allora sono stati fatti ulteriori ed enormi passi in avanti, si raggiungono livelli di penetrazione dell’aria impensabili ai miei tempi. Bisogna pensare che in prove simili tutti aiuta, un manubrio particolare può fare la differenza esattamente come un copriscarpe…

Collinelli bici Atlanta 1996
La particolare bici Pinarello di Collinelli ad Atlanta 1996, frutto di un lunghissimo lavoro anche alla galleria del vento
Collinelli bici Atlanta 1996
La particolare bici Pinarello di Collinelli ad Atlanta 1996, frutto di un lunghissimo lavoro anche alla galleria del vento
Rispetto a un quarto di secolo fa, la concorrenza in queste discipline (ricordiamo che l’inseguimento individuale dove Collinelli conquistò il titolo olimpico e dove Ganna è campione e primatista mondiale non si disputa più alle Olimpiadi da molti anni, ndr) è aumentata?

La concorrenza è sempre stata tanta, ci sono scuole ciclistiche che hanno sempre investito su queste discipline a cominciare dai Paesi di lingua inglese. Poi è chiaro che lo sport è ciclico, ma è altrettanto chiaro che ogni epoca si caratterizza per i suoi investimenti e per le sue specifiche tecniche e quest’anno non sarà così diverso.

Che cosa significa vincere un oro olimpico?

Non è paragonabile con alcun’altra vittoria. Se dopo 25 anni siamo ancora qui a parlarne, se vengo intervistato per questo, capisci che è qualcosa che resta. Quando vinsi, non compresi subito la portata dell’impresa, sembrava una vittoria come le altre, lo capii bene in seguito… Anche perché ero stato il primo italiano a vincere l’oro nella specialità e rimasi anche l’ultimo.

Quartetto Rio 2016
Il quartetto azzurro alle ultime Olimpiadi: richiamati all’ultimo, chiusero in sesta posizione
Quartetto Rio 2016
Il quartetto azzurro alle ultime Olimpiadi: richiamati all’ultimo, chiusero in sesta posizione
Come si affronta una gara olimpica?

E’ fondamentale cancellare dalla mente tutto quello di cui abbiamo parlato finora. Bisogna controllare la pressione e pensare che in fin dei conti è una gara come un’altra, con le stesse regole, dove l’unica cosa che si può fare è dare il meglio di se stessi. Ricordo che quando affrontai la finale, ero tranquillo, concentrato. All’arrivo, vedendo il risultato, mi sentii come se un grosso peso mi si fosse levato dalle spalle, se tutto il cammino fatto per arrivare lì fosse finalmente concluso e scoppiai a piangere.

Che cosa consiglieresti quindi ai ragazzi e alle ragazze a Tokyo?

Premesso che sono ragazzi che conosco bene, con cui ho condiviso anche parte della preparazione, ho detto loro di non pensare all’evento e viverlo nella maniera più distaccata possibile. Da questo punto di vista le condizioni particolari dei Giochi giapponesi, senza pubblico, aiuteranno. Bisogna vivere quel che succederà senza nervosismi, isolandoti dall’evento in sé.

Sei ottimista su quel che potranno fare?

E’ un gruppo che ha lavorato bene, bisogna essere consapevoli di questo, poi l’arrivo delle medaglie dipende da tanti fattori, ma io penso che ci sarà modo per sorridere.

La Pinarello di Bernal e le sue “fissazioni”

03.06.2021
5 min
Salva

E dopo aver parlato in lungo e in largo del vincitore del Giro d’Italia adesso tocca alla sua bici. Come è stata gestita la Pinarello F12 di Egan Bernal durante la corsa rosa? Quali sono le sue particolarità? E che “fissazioni” ha il colombiano? 

Innanzi tutto la sua bici è una Pinarello F12 Xlight “di serie”, cioè un telaio di quelli che si trovano in commercio: stesse geometrie, stesso peso, stessa struttura. Grossi interventi lo staff tecnico della Ineos-Greandiers non ne ha effettuati durante la corsa rosa, tuttavia ci sono dei piccoli cambiamenti e adattamenti che meritano attenzione.

Pinarello-Dogma-F12-Ineos
La Pinarello Dogma F12 della Ineos-Grenadiers, unica squadra del Giro ad avere solo la versione con freni tradizionali
Pinarello-Dogma-F12-Ineos
La Pinarello Dogma F12 della Ineos-Grenadiers: unica squadra del Giro ad avere solo la versione con freni tradizionali

53 mon amour

Bernal, come tutti i corridori della Ineos, sia quelli presenti al Giro che gli altri, utilizzano di base l’11-30 di Shimano, chiaramente Dura Ace. E lo utilizzano sia sulle bici da gara che da allenamento, da crono e da strada. E’ così nel 99% dei casi, una scelta ponderata che li aiuta ad abituarsi a quella determinata cassetta.

Bernal durante il Giro, nonostante vada “duro” come si addice ad uno scalatore puro, a volte ha utilizzato la corona da 36 denti. E’ stato così nelle frazioni più impegnative di alta montagna.

«Nel giorno dello Zoncolan – spiega Matteo Cornacchione, meccanico del team inglese – ha scelto il 32 al posteriore. Per questa sua richiesta, ponderata con lo staff dei preparatori, con l’atleta e il responsabile dei materiali, abbiamo anche utilizzato il cambio e la cassetta posteriore Ultegra. Perché con il 32 serve il cambio a gabbia lunga che nella versione Dura Ace non c’è. Sappiamo che funziona bene lo stesso, ma per evitare rischi abbiamo seguito i suggerimenti del costruttore giapponese. Quindi abbiamo optato per questo set che pesa in tutto 140-150 grammi in più (30-40 grammi il cambio e un etto abbondante la cassetta). E’ il nostro protocollo di sicurezza».

Egan poi ha sempre usato il 53, mai il 54 come ormai si usa fare da molti in tappe di pianura. Chiaramente nelle altre frazioni in cui non aveva il 36 la corona piccola era il 39.

Fausto Pinarello sul podio di Milano. La bici da crono rosa che non ha utilizzato Bernal è “a casa” del costruttore trevigiano
Fausto Pinarello sul podio di Milano. La bici da crono rosa che non ha utilizzato Bernal è “a casa” del costruttore trevigiano

Peso (quasi) al limite

In generale Bernal non ha grosse fissazioni, ma sul peso e come vedremo sulle pressioni (soprattutto) è molto attento. E infatti Cornacchione ha sempre garantito un peso prossimo al limite dei 6,8 chili. Pensate che in Ineos hanno acquistato la stessa bilancia che utilizza l’Uci per ovviare ad inconvenienti e differenze di tarature. La bici di Egan era sempre sui 6,840 chili, computerino escluso, si tenevano quei 40-50 grammi di margine per stare tranquilli, anche perché poi ci sono alcuni giudici che pesano le bici con il Garmin e altri senza. Anche riguardo al device di Velon, per limare dei grammi avevano tolto il supporto in gomma con cui è fornito ed era fissato “a nudo” con delle normali fascette. «La bici di Egan durante il Giro ha oscillato tra i 6,840 e 6,860 grammi», spiega il meccanico.

Dura Ace da 60, una garanzia

Riguardo alle ruote invece il colombiano solitamente utilizzava le Shimano Dura Ace da 60 millimetri, il cui mozzo, sempre secondo Cornacchione è una vera garanzia di scorrimento e tenuta. Ma nelle tappe di montagna per avere una ruota più leggera ancora Egan optava per le Lightweight (le Meilenstein, il cui profilo è da 48 millimetri), ma…

«Ma nella tappa di Cortina d’Ampezzo ha scelto lo stesso le ruote Shimano da 60 millimetri – rivela Cornacchione – questo set infatti garantise una frenata più lineare e sicura anche con il bagnato, mentre la Lightweight è ben più complessa da utilizzare in quelle condizioni. Non volevamo rischiare. Poi nella planata dal Giau, Caruso e Bardet soprattutto sono scesi forte, ma noi in quel momento tenevamo sott’occhio maggiormente il distacco da Yates». 

“Pressionemania”

Ecco poi il capitolo delle gomme e delle pressioni. La copertura di Bernal è sempre stata il tubolare Continental Alx da 25 millimetri, nella versione più leggera. E’ una gomma con la quale Bernal ha ormai un certo feeling, tuttavia quando vede già solo una nuvola all’orizzonte, specie se la tappa è mossa, Egan va in allerta con la pressione.

«Lui si fida ciecamente di noi meccanici. Per esempio sulla posizione, una volta trovata quella ad inizio stagione non la cambia più. Neanche quest’anno con tutto quel discorso dello spessore tra scarpa e tacchetta (che a proposito è di 1,5 centimetri), ma sulla pressione vuole sempre verificare. Leggero com’è lui di solito le mette a 6,5 bar. Una mattina prima di una tappa ha visto una remota possibilità di pioggia e me l’ha fatta mettere a 6,4. Un nulla, ma per la sua testa contava molto».

Notte fonda ormai, i meccanici Ineos continuano a lavorare
Notte fonda ormai, i meccanici Ineos continuano a lavorare

Catene e stickers

Per il resto, avendo cambiato una bici a settimana Bernal non ha sostituito neanche la catena. Dopo aver preso la maglia rosa a Campo Felice di fatto gli è stata consegnata una bici nuova con i colori del primato. E lo stesso è stato fatto prima dell’ultima settimana.

«E poi non è mai caduto, né ha avuto problemi meccanici, quindi tutto è flato via tranquillo. In realtà un cambio di catena lo abbiamo fatto, ma a tutti e non solo a lui, dopo la tappa di Montalcino. Non ce n’era bisogno, ma dopo tutta quella polvere abbiamo preferito fare così.

«Le serigrafie di solito le mettiamo noi meccanici. Ci arrivano degli stickers particolari. E’ un lavoro in più ma si fa con piacere. Nella crono finale, Fausto (Pinarello, ndr) gli ha mandato la bici da crono nuova tutta rosa, ma Egan non l’ha voluta usare per non rischiare nulla. Ha preferito quella già “rodata” a Torino. Ci abbiamo lavorato fino a mezzanotte! Era perfetta…».

Ganna, la ruota bucata e il cambio bici da record

01.06.2021
7 min
Salva

Ganna fila che è un piacere. Nell’ammiraglia che lo segue, Tosatto è alla guida, Cioni studia i dati. Sul sedile dietro viaggiano sir David Brailsford e Matteo Cornacchione, il meccanico. Ha la sua valigetta e una coppia di ruote. Sul tetto della Mercedes, due crono di scorta e anche la bici da strada. La coppia di ruote serve casomai il corridore buchi andando alla partenza, anche se il Team Ineos è solito piazzare un meccanico accanto alla rampa per coprire le evenienze di tutti. Ganna fila che è un piacere ed è già in vantaggio su tutti, quando con un gesto indica la ruota posteriore. La sua radio può solo ricevere, ma il gesto è inequivocabile. La ruota è bucata.

Queste le immagini dalla camera car della Ineos realizzate da Velon

Tosatto e Cioni

«Tosatto ha cominciato subito a dire che avremmo dovuto cambiare la bici – ricorda Matteo – mentre Cioni guardava la velocità, che non calava. Quasi non voleva accettare che la gomma potesse essere bucata. Probabilmente deve aver preso un vetrino e la gomma scendeva pianissimo. Pippo avrà fatto 4 chilometri con la ruota che si sgonfiava e intanto spingeva più forte perché non voleva perdere terreno e dondolava e dava di spalle. Tosatto era sicuro che nelle ultime curve sul lastricato non ce l’avrebbe fatta. Se la gomma si fosse sfilata, sarebbe caduto. Siamo andati avanti così per un po’, poi su un binario a 4-5 chilometri dall’arrivo, Pippo deve aver sentito che la ruota gli scappava e a quel punto Cioni si è convinto e gli ha detto di fermarsi».

Ganna è arrivato come un treno al miglior intermedio sulla sua Bolide azzurra, ma nel finale la ruota posteriore si è bucata
Ganna come un treno al miglior intermedio, ma nel finale la ruota posteriore si è bucata

Pit stop: cambio bici

Ganna si ferma. Solleva la gamba e ci fa passare sotto la bici, poi la appoggia. Fa due passi verso l’ammiraglia e già Cornacchione gli è addosso. Pippo sale sulla Bolide nera, Matteo lo spinge finché ha fiato in corpo e la crono riparte. Sembra tutto facile, immediato, banale, ma dietro c’è un mondo.

Cosa succede dal momento in cui l’ammiraglia si ferma?

Apro lo sportello. Scendo. Mollo il gancio. Prendo la bici. Potrei allentare il gancio mentre l’ammiraglia frena, ma rischio che quando apro lo sportello, la bici cada e sarebbe un danno ben peggiore.

E’ facile mettere giù la bici?

Quella da crono è più grande. E quando la prendi, non puoi sbatterla per terra per evitare problemi alle ruote. Pesa 700-800 grammi più della bici da strada e sul tetto è messa con il manubrio in avanti. Quindi l’ho presa per la forcella e per il fodero orizzontale e tenendola così, l’ho appoggiata per terra. Il tempo di farlo e Pippo ci era già sopra. Ha dovuto venirci incontro, perché Tosatto si è fermato un po’ indietro. Avesse guidato Cioni, gli sarebbe montato sopra. Dario quando guida è un diavolo.

La bici sul tetto ha la catena sul rapporto per ripartire?

Sempre. Scegliamo insieme il rapporto, di solito con la catena sul 58 per evitare che Pippo debba cambiare dopo essersi lanciato. Si potrebbe mettere sul 46×15 e lui potrebbe prendere subito velocità facendo una partenza come su pista. Ma poi sarebbe costretto a far salire la catena sul 58 e in quei frangenti e con tutti quei watt, rischierebbe di spaccare qualcosa. Per cui 58×19-21, Pippo si è lanciato e ha fatto subito scendere la catena.

Quanto pensi che abbia perso?

Non abbiamo quantificato, ma siamo nell’ordine di 12-13 secondi.

Verso il traguardo invece Ganna viaggia sulla Bolide nera, cambiata da poco
Verso il traguardo invece Ganna viaggia sulla Bolide nera, cambiata da poco
Rispetto al solito, non abbiamo visto Pippo spostare il Garmin.

Perché per lui, Bernal e pochi altri, sulla bici di scorta abbiamo un altro Garmin già tarato. Quell’apparecchio per loro è più importante della borraccia, tante volte più per un fatto psicologico.

Pippo è ripartito e tu a quel punto?

Io a quel punto sono corso indietro per rimettere a posto la bici. Caricarla è più complicato, perché devi infilare le ruote in quei piccoli binari. E poi, trattandosi della bici blu, non volevo graffiarla. Per cui ci ho messo 2 secondi in più, ma non l’ho danneggiata. Sono operazioni da fare comunque in fretta, perché sennò rischi che il direttore sportivo ti lasci lì.

Per quanto tempo Ganna è rimasto senza assistenza?

A dire tanto 500-600 metri, poi gli siamo tornati sotto per le ultime indicazioni. Al mattino aveva fatto la sua ricognizione e ricordava bene il finale dall’anno scorso, ma quando hai sotto delle gomme diverse, la tenuta della bici è sempre un po’ diversa, anche se non sono gomme nuove.

Sulla hot seat, Ganna assiste agli arrivi di tutti i corridori più pericolosi
Sulla hot seat, Ganna assiste agli arrivi di tutti i corridori più pericolosi
Sono ruote usate solo da lui oppure sono ruote del team?

Sono le sue gomme, montate sulle sue ruote. Non è facile, ma per Pippo e pochi altri si può fare. In magazzino determinati materiali vengono messi da parte. Così abbiano finito la crono e Pippo è riuscito a vincere. E a quel punto sono arrivati con lo scanner per controllare la bici.

Lo scanner?

Sì, non il solito tablet. Hanno uno scanner in cui però la bici non entrava per quanto è grande. Io ero già tornato in partenza per seguire Martinez, per cui gli ho detto di smontarla da sé e poi l’avrei rimessa a posto io. E così hanno controllato la bici di Pippo, quella di Martinez e alla fine anche quella di Bernal. Nessun barbatrucco e neanche cuscinetti speciali. E poi hanno controllato anche il peso.

La bici da crono di Ganna rischia davvero essere troppo leggera?

Proprio no. Un po’ perché ci teniamo circa 60-70 grammi di tolleranza e poi perché la stessa ruota anteriore che abbiamo scelto per quel giorno era più pesante. Quello che eventualmente abbiamo perso in grammi lo abbiamo conquistato in watt.

Il lavoro dei meccanici è decisivo per ottenere grandi risultati (foto Instagram)
Il lavoro dei meccanici è decisivo per ottenere grandi risultati (foto Instagram)

Tocco italiano

Dopo la crono e come abbiamo già raccontato, David Brailsford ha commentato che i suoi meccanici potrebbero dare lezioni al capo meccanico della Mercedes in Formula Uno. Noi vi abbiamo raccontato in che modo tre italiani abbiano scortato e assistito il campione del mondo (italiano) alla vittoria della crono di Milano. Questa iniezione di italianità sta dissipando quel fastidioso alone che negli anni andati ha reso il Team Ineos poco simpatico. E Brailsford, che ci vede molto bene, si è accorto anche di questo.

Pinarello per Ineos: tutto confermato

20.04.2021
4 min
Salva

Squadra che vince non si cambia. Potremmo definire con questa frase la collaborazione fra Pinarello e il Team Ineos Grenadiers. Per farci raccontare come i corridori della squadra britannica stanno affrontando la stagione 2021 abbiamo parlato con Fausto Pinarello e con uno dei meccanici del team Matteo Cornacchione.

Nel solco della continuità

Ci siamo chiesti se per il 2021 i granatieri del Team Ineos potrebbero avere qualche novità tecnica, tipo l’adozione del freno a disco o qualche altra evoluzione del telaio.
«Per il 2021 rimarrà tutto uguale – esordisce Fausto Pinarello – i nostri corridori continueranno con freni tradizionali e stesso materiale. Siccome la produzione è partita in ritardo finiremo di integrare le bici che mancavano ad alcuni corridori e riforniremo i nuovi arrivati».

Tutto invariato anche a livello estetico: «Continueremo con la colorazione blu notte con la lambda rossa».

Oltre alla Dogma F12 standard i ragazzi della Ineos vengono dotati anche di una versione più leggera.

«A quasi tutti forniamo anche la XLight che useranno nei grandi Giri, così hanno la versione più leggera che può fare la differenza». Ricordiamo che la Dogma F12 XLight ha un peso di 60 grammi in meno rispetto alla Dogma F12. Un valore che può sembrare irrisorio, ma che nel ciclismo di oggi dove si vince un Giro d’Italia per pochi secondi può diventare fondamentale. Basta vedere il distacco minimo che Tao Geoghegan Hart ha inflitto a Jai Hindley: soli 39 secondi.

Pinarello F12
La Pinarello Dogma F12 del Team Ineos Grenadiers
Pinarello F12
La Pinarello Dogma F12 con la colorazione del Team Ineos Grenadiers

Pinarello K10 per le classiche

Ma non ci sono solo i grandi Giri nei programmi della Ineos e così a chi affronterà le classiche del nord verrà fornita un’ulteriore bicicletta.
«I corridori che si giocano la Roubaix e il Giro delle Fiandre usano la Dogma K10, più adatta per quel tipo di terreno – continua Fausto Pinarello – qualcuno usa la Dogma F12 anche in quelle gare, ma pochi. Mi sembra che all’ultima Roubaix avessero optato tutti per il K10».

Le geometrie e la forma dei tubi della Dogma K10 sono studiati per fornire un comfort leggermente maggiore su sfondi sconnessi. Un valore che ci dà un’indicazione in questo senso è il carro posteriore, che è leggermente più lungo per dare più stabilità alla bici.
E a cronometro? «Beh li visti i risultati di Ganna nel 2020, rimane la Bolide».

Kwiatkowski in azione al Giro delle Fiandre sulla  K10
Kwiatkowski in azione al Giro delle Fiandre sulla K10
Kwiatkowski in azione al Giro delle Fiandre sulla  K10
Kwiatkowski in azione al Giro delle Fiandre sulla Dogma K10

Materiali identici al 2020

Abbiamo parlato anche con Matteo Cornacchione, uno dei meccanici storici della squadra.
«Rispetto al 2020 non ci sono novità – ci conferma Cornacchione – i ragazzi corrono con le Pinarello montate con il manubrio e il reggisella Most, porta borraccia Elite, pneumatici Continental, selle Fizik, gruppo Shimano Dura Ace Di2, ruote Shimano C40 e C60 più le Lightweight da usare nelle tappe più dure dei Giri. Shimano ci fornisce anche i pedali, sono molto affidabili e con una bella base di spinta, e Shimano anche per i misuratori di potenza».

Geoghegan Hart Pinarello Bolide Giro
Geoghegan Hart sulla Bolide a Milano 2020
Geoghegan Hart Pinarello Bolide Giro
Geoghegan Hart sulla Bolide a Milano 2020

La scheda tecnica

GruppoShimano Dura Ace Di2
RuoteShimano/Lightweight
PneumaticiContinental
ManubrioMost
SellaFizik
Reggisella Most
PedaliShimano

Bici in gran quantità

Quello che ci ha impressionato è il numero di biciclette che i meccanici della Ineos si trovano a curare: «Quest’anno abbiamo 32 corridori, se pensi che in media ogni corridore ha 7 biciclette ci troviamo ad assemblarne più di 220. Ti faccio l’esempio di Ganna, che se non ricordo male ha 2 bici da cronometro e 3 da strada in magazzino che usa nelle gare, poi a casa ha un’altra bici da cronometro e una da strada per allenarsi. Poi chi corre le classiche arriva a 9 bici con le Dogma K10. I capitani che si giocano i grandi Giri hanno una o due bici in più e poi i sudamericani hanno una bici in più da tenere a casa loro. Sai farle viaggiare in aereo non è il massimo».

Froome e la crono: caro Malori, come lo vedi?

15.04.2021
5 min
Salva

Adriano Malori e la sua passione per il posizionamento e le crono sono ancora una volta al nostro fianco per cercare di… leggere il nuovo Froome, ancora sotto traccia e piuttosto misterioso. C’erano tanti punti di domanda sulla sua possibilità di ritornare ai vertici, perché l’incidente è stato indubbiamente serio. Ma altra curiosità era legata ai nuovi materiali, per capire se sia semplice lasciarsi alle spalle anni di personalizzazione estrema con Pinarello e la struttura Ineos. E mentre fonti della Israel Start-Up Nation fanno sapere che la bici da strada è a posto e per il britannico si sta lavorando a una nuova Factor da crono per il Tour, questo confronto è un modo molto interessante per ingannare l’attesa e capire su cosa si stia eventualmente lavorando.

Un po’ di fotografie

Perciò abbiamo mandato ad Adriano alcune foto. Prima del Froome 2016 che vinceva l’ultima crono alla Vuelta e poi della recente Volta a Catalunya e gli abbiamo lasciato il microfono.

«La prima cosa da dire prima di partire – annota giustamente Adriano – è che nelle due foto c’è una differenza sostanziale legata proprio a Froome. Nella foto del 2016 è magro e tonico, nella attuale si vede che il peso non è ancora quello per vincere e di conseguenza anche la posizione sembra viziata».

Così Chris Froome nella cronometro individuale della Volta a Catalunya del 23 marzo
Così Froome alla Volta a Catalunya il 23 marzo
Il 9 settembre 2016 vince la crono di Calpe alla Vuelta Espana
Il 9 settembre 2016 vince la crono di Calpe alla Vuelta

Il manubrio

L’osservazione va avanti partendo dalla bici attuale, una Factor Slick con il tubo obliquo della serie Twin Vane EVO e i foderi schiacciati che creano una sorta di protezione aerodinamica attorno alla ruota posteriore. Il manubrio si chiama 51 Speedshop ed è composto da una serie di elementi regolabili per il raggiungimento della posizione. Ma il nodo da sciogliere è se sia possibile riportare le misure fra una bici da crono e la successiva.

«No – dice subito Malori – non riesci ed è proprio il manubrio a fare la maggior differenza. Fra un Deda e un Itm, per fare i primi due nomi che mi vengono in mente e che non sono coinvolti nel discorso, ci sono delle differenze non conciliabili. E proprio guardando la foto di quest’anno, si nota che Chris ha i polsi iper estesi nel prendere le protesi, segno che non sono adatte al suo modo di impugnarle, mentre il manubrio di Pinarello lo è di sicuro. Come lo hanno fatto su misura per Wiggins e ora per Ganna, di certo era su misura anche per Froome. Proprio questo mi fa pensare che ci sia allo studio una bici fatta proprio per lui. Un corridore così lo richiede».

Malori
Adriano Malori oggi si dedica a preparazione e posizionamento nel suo studio 58×11
Malori
Malori si dedica a preparazione e posizionamento nel suo studio 58×11

Troppo basso

Questa considerazione fa pensare che ogni crono dal debutto al Tour sarà per Froome una sorta di banco di prova tecnico per fornire agli ingegneri di Factor tutte le indicazioni per costruire la nuova bici.

«Rispetto al 2016 – dice Malori – quest’anno è più avanzato e più basso. E siccome, cosa che abbiamo già detto parlando di Ganna, nelle crono conta più essere stretti che bassi, questa posizione mi lascia qualche punto interrogativo. Consideriamo anche il fatto che Froome ha una cassa toracica molto capiente, per cui questa posizione gli impedisce di respirare bene. L’angolo fra il quadricipite e il bacino è troppo chiuso. Altro motivo per pensare che siamo davanti a una posizione provvisoria e che prima del Tour gli daranno materiale diverso perché fin qui sembra che sia lui ad adattarsi alla bici e non il contrario».

Scodelle avanti

Altra sensazione, guardando le foto, è che la stessa bici abbia misure diverse. Froome è certamente più avanti, ma pare che la distanza fra sella e appoggio sul manubrio sia superiore oggi rispetto al passato.

«Servirebbe misurarle – sorride Adriano – però una sensazione simile ti assale e ci sarebbe da considerare semmai se il manubrio di Pinarello sia più arretrato. Di certo in entrambi i casi, le scodelle sono troppo avanti rispetto agli avambracci, a norma dovrebbero essere ancora più vicine al gomito, ma questo dipende anche dalle abitudini del corridore. Su Factor, anche per l’inclinazione del manubrio, l’angolo tra l’avambraccio e il bicipite è più chiuso, mentre il manubrio di Pinarello è più alto. La conseguenza è quella che dicevamo prima, cioè la posizione molto bassa in relazione alla sua cassa toracica».

Ad ora il manubrio utilizzato da Froome è il 51 Speedshop Mono-Riser Aerobar
Ad ora il manubrio utilizzato da Froome è il 51 Speedshop Mono-Riser Aerobar

Occhi aperti

L’ultima annotazione riguarda il casco, con l’attenuante che magari nel momento della scatto Froome stesse guardando verso il basso e non in avanti come invece è chiaro nella foto del 2016.

«Quella forma – dice Malori – ha la punta che guarda in alto e non va bene. Si nota che nella foto su Pinarello, il casco è in linea con il gruppo spalle-collo. Comunque sono curioso di sapere a cosa stiano lavorando. Da qui al Tour c’è ancora una vita. Basterà osservarlo a partire dal Romandia, che avrà un prologo e una cronometro finale e di sicuro al Delfinato, che ha la crono e dovrebbe essere l’ultima corsa prima del Tour».

Trent’anni fa, la cavalcata rosa di “Coppino” Chioccioli

28.03.2021
5 min
Salva

Un flash-back di trent’anni, basta premere il tasto rewind e tornare al Giro d’Italia del 1991, quello dominato da Franco Chioccioli. E ci si accorge di quanto alcune ricorrenze possano presentarti conti salati o ricompense.

Riavvolgiamo il nastro della memoria insieme a lui, che all’epoca aveva 31 anni e ora si divide tra il ruolo di team manager della sua squadra di elite/under 23 Futura Team Rosini (fondata nel 2003) e quello di gestore del suo agriturismo La Greppia a Pian di Scò, nel cuore dell’alto Valdarno sulle colline aretine.

«Anche se – esordisce – a causa di questo maledetto virus è quasi un anno e mezzo che non si lavora tanto. Di clienti ne abbiamo pochi perché la gente non può muoversi».

La vittoria del 1991 nasce dalla cocente delusione del 1988 sul Gavia
La vittoria del 1991 nasce dalla cocente delusione del 1988 sul Gavia

Il Gavia del 1988

In realtà il ricordo di quel trionfo parte da un po’ prima, dalla corsa rosa del 1988 e dalla tremenda giornata di neve sul Gavia nella Chiesa Valmalenco-Bormio. Chioccioli è passato alla Del Tongo ad inizio anno. Ha già vinto nella cronosquadre di Vieste e poi a Campitello Matese ad inizio Giro. Il toscano è in maglia rosa da due giorni e guida la generale con circa mezzo minuto di vantaggio sullo svizzero Zimmermann e 55” su Visentini, ma nella discesa rimane vittima (una delle tantissime di quella tappa) del freddo. Giunge al traguardo a 5′ dal vincitore Breukink, scendendo terzo in classifica a quasi 4′ da Hampsten, che poi conquisterà quella edizione.

In quella frazione Chioccioli non solo perde la maglia rosa ma anche tanta fiducia nei propri mezzi, che lo aveva accompagnato fino a quel momento. Malgrado il quinto posto finale, seppur a 13’20” dallo statunitense della Seven Eleven-Hoonved, “Coppino” passerà i successivi due anni in cerca di riscatto (solo due successi totali), concludendo il Giro rispettivamente in quinta e sesta piazza.

Il 1991 senza attese

Nel 1991 non si concentra sulla classifica generale, vuole solo vincere tappe per ritrovare morale. Parte forte, fortissimo: terzo, secondo, terzo nelle prime tre frazioni e maglia rosa già al secondo giorno di corsa, con lo stesso tempo di Bugno, dominatore dell’anno prima. Cede il simbolo del primato per ventiquattro ore al francese Boyer (vincitore della quarta tappa a Sorrento) poi lo riprende subito a Scanno e lo conserva con un margine risicato su Lejarreta. Può essere la volta buona, ma…

Arriviamo alla decima frazione, metà Giro, cronometro Collecchio-Langhirano di 43 chilometri. Franco, appunto, che succede?

Sto bene, la condizione psicofisica è cresciuta di giorno in giorno ma non sono tranquillo del tutto, ho ancora qualche spettro della tappa del Gavia. Per me è il primo crocevia. Parto con 1’03” di vantaggio su Bugno, che è quello più specialista dei miei diretti avversari. Vado a tutta cercando di limitare i danni, però non so se è abbastanza. Taglio il traguardo e mi accorgo di aver salvato la maglia rosa per un solo secondo proprio su Bugno, vincitore. Incredibile, festeggio, coltivo speranze, ma forse è solo merito del “fattore c.f. culo-fortuna” che serve sempre.

Guardiamola sotto un altro punto di vista. Il giorno del Gavia era il 5 giugno, lo stesso di questa cronometro. Forse era un segno del destino…

La data del Gavia me la ricordavo bene, onestamente. Avevo sofferto non solo per il freddo, per la fatica e per la delusione del risultato, ma anche perché da quel giorno tante persone attorno a me si erano allontanate. Alla data di Langhirano invece non ci avevo mai fatto troppo caso, anche perché tutti ci ricordiamo piuttosto quel famoso secondo. Sono coincidenze che capitano nel ciclismo.

Da lì in avanti è stata una cavalcata, durante la quale riesci a centrare tre tappe nell’ultima settimana e fortificare la maglia rosa, che alla fine hai indossato sempre tranne per due giorni.

Dopo la crono non furono giornate semplici. Bugno era più distante in classifica, ma temevo l’imprevedibilità di Chiappucci. Con le mie vittorie in tre giorni di Aprica e Pordoi, quest’ultima azzardando una lunga fuga, mi sentivo più al sicuro. Poi al penultimo giorno, la crono di Casteggio, che era adatta alle mie caratteristiche, servì per definire la classifica.

A Milano conquista il Giro scortato da Fabio Roscioli e Luca Gelfi
A Milano conquista il Giro scortato dal compianto Luca Gelfi
Quanto è contato partire senza pressioni?

Non avere l’assillo della classifica è stato fondamentale, così come non avere avuto eventi sfavorevoli in corsa. Questi due aspetti hanno inciso tanto, ma devo dire che se non fossi stato così in forma ed in crescendo di condizione non avrei ottenuto nulla. Diciamo che mi sono meritato quella vittoria e anche il fatto che mi sia girato tutto bene.

E il ciclismo attuale com’è? Come lo interpreterebbe il Chioccioli di trent’anni fa?

Non amo fare paragoni con le varie epoche, sono cambiate troppe cose, lo vedo con i ragazzi che alleno. Rispetto ai miei tempi, dove c’erano sostanzialmente solo capitani e gregari, ci sono tante seconde e terze punte importanti che possono fare bene in ogni gara. Posso dire che io correrei adattandomi al ciclismo di adesso, così come ho fatto quando correvo io.

Sul podio finale fra Chiappucci e il giovane Max Lelli
Sul podio finale fra Chiappucci e il giovane Max Lelli
E invece adesso c’è uno con le caratteristiche di Chioccioli?

No, direi di no. Anzi sì, direi un po’ Aru, ma si è perso negli ultimi anni per tanti motivi e mi dispiace davvero tanto.

Forse perché in lui ti rivedi in quel 1988 che ti fece perdere fiducia in te e persone attorno? Vuoi dargli un consiglio?

Sì, un po’ somiglia a quella mia situazione anche se non conosco bene le questioni di Aru. Lo vorrei rivedere protagonista presto, ma a lui servono persone che gli vogliano bene in modo disinteressato. Non è facile trovarle ma sono quelle che possono aiutarti a riprendere fiducia e speranza nei propri mezzi.