Covi, ti ricordi quel giorno sul Fedaia?

Giada Gambino
21.07.2022
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Alessandro Covi si trova chiuso in camera. Ha dovuto, momentaneamente, interrompere gli allenamenti e la stagione a causa del Covid. Così chiude gli occhi e ripercorre i momenti di quella che è stata la sua ultima ed emozionante vittoria: la 20ª tappa del Giro d’Italia con arrivo sulla Marmolada… 

«Dopo il ritiro di Almeida (causato dal Covid alla 18^ tappa, ndr) – racconta Covi, corridore professionista del team UAE Emiratesla squadra voleva conquistare la vittoria e forse perché eravamo quelli meglio piazzati nel momento della creazione del gruppo di fuga o forse perché della UAE eravamo quelli più in forma, mi sono ritrovato in testa con Formolo».

Alla partenza da Belluno la UAE voleva vincere. E’ stato Covi, qui con Ulissi, a entrare nella fuga giusta
Alla partenza da Belluno la UAE Emirates voleva vincere. E’ stato Covi a entrare nella fuga giusta

In fuga con Formolo

I due compagni di squadra, così, iniziano una lunga, faticosa ma bella fuga, interpretandola in modo diverso. Alessandro assume un atteggiamento di attacco, Davide rimane sulla difensiva facendo da stopper al compagno. 

«Più pedalavo – continua Covi –  più sentivo e capivo di stare bene. Decisi di andare dall’ammiraglia e parlai anche con Davide. Sapevo quali fossero le mie intenzioni e ne avevo messo tutti al corrente, ottenendo il via libera».

Il corridore del UAE Team Emirates, quindi, accelera e nella discesa verso Arabba stacca tutti.

«Avevo ben chiaro in testa cosa fare: andare a tutta sino ai piedi della salita e guadagnare quanto più vantaggio possibile sugli inseguitori».

Senza mai voltarsi

Non si volta, non ne ha motivo, il suo obiettivo è davanti ed è focalizzato su di esso. E’ dura, la strada sale sempre di più.

«Sono abituato alla fatica, alla sofferenza e questa non mi spaventa. Non voglio commettere gli stessi errori del passato, che mi hanno fatto mancare la vittoria per la troppa emozione del momento».

Nel Giro d’Italia U23 del 2019, Covi aveva perso la seconda posizione nella generale negli ultimi 2 chilometri della tappa proprio con arrivo sulla Marmolada.

Gli ultimi chilometri di salita sono stati interminabili: la bravura di Covi è stata rimanere freddo
Gli ultimi chilometri di salita sono stati interminabili: la bravura di Covi è stata rimanere freddo

Calma e sangue freddo

Alessandro, adesso, si concentra, respira, placa le sue emozioni e si focalizza solo ed esclusivamente sul mantenere le energie e non sprecarle subito.

«La strada è lunga e non ho un’immatura frenetica fretta di arrivare al traguardo, voglio mantenermi, preservarmi». 

Lo informano che Novak sta cercando di raggiungerlo. «Nel caso in cui ci riuscisse, mi troverebbe pronto per un duello finale. Non la lascio vinta, combatterò sino all’ultimo se sarà necessario, ma questa tappa dovrà essere mia».

Si gira a destra, poi a sinistra. Vede due ali di folla che lo spingono, moralmente, sempre più forte verso il traguardo.

«Guardo i watt, la folla urla il mio nome, mi incitano e i miei watt aumentano di 40/50. Quei punti colmi di folla mi danno una spinta così bella, così essenziale che inevitabilmente fanno accrescere il mio vantaggio».

La vittoria al Fedaia ha riscattato la beffa di tre anni prima al Giro U23
La vittoria al Fedaia ha riscattato la beffa di tre anni prima al Giro U23

Novak è lontano

Spinto dal pubblico, spinto dalla passione per il ciclismo, passione che ha invaso il suo cuore sin da bambino e di cui non ha potuto fare a meno… giunge ai meno 300 metri. Si volta, Novak è lontano.

«Ho ancora un po’ di energie, quelle che mi ero preservate nel caso in cui mi avesse raggiunto».

Allora realizza, capisce e inizia ad assaporare il gusto della vittoria. Giunge al traguardo, alza le braccia al cielo.  «Non so se riesco a credere a ciò che è successo, forse è impossibile capirlo subito». 

Accoglienza post Giro a Taino per Covi da parte del suo fan club (foto Alessandro Perrone)
Accoglienza post Giro a Taino per Covi da parte del suo fan club (foto Alessandro Perrone)

Con i piedi per terra

Alessandro apre gli occhi. Rivive la sua vittoria con emozione, ma una giusta dose. E’ già proiettato al futuro, il Giro d’Italia si è concluso per lui nel migliore dei modi, ma adesso ci sarà tanto altro ad attenderlo e sarà pronto ad affrontare tutto con la determinazione che lo contraddistingue e con la consapevolezza di ciò che è la sua persona.

Dopo la vittoria di tappa, hanno iniziato a seguirlo e tifarlo maggiormente. «Ma sono lo stesso corridore di sempre. Il bambino cresciuto tra i ciclisti che, inevitabilmente, ha reso lo sport di famiglia la sua più grande passione e ragione di vita (la madre Marilisa è stata una ciclista come pure il fratello, mentre il padre Alberto ha corso sino ai dilettanti, ndr). Cercherò di affermarmi sempre più, senza perdere mai le mie caratteristiche come corridore e come persona, che rendono unico il me ciclista».

Kamna decisivo. La mossa chirurgica di Gasparotto

29.05.2022
4 min
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Ieri a vincere non è stato solo Jai Hindley, che tra l’altro non ha vinto, bensì ha preso la maglia rosa, ma è stata la Bora-Hansgrohe. E più precisamente Enrico Gasparotto, il direttore sportivo di questo Giro d’Italia.

Ancora una tattica azzeccata da parte del tecnico friulano. Chiaro, ci vogliono sempre le gambe. Ma far coincidere buone gambe e buona tattica, è meno semplice di quel che possa sembrare.

Enrico Gasparotto (al centro) stava organizzando il ritorno a valle con l’elicottero. Era davvero tardi ormai sul Fedaia
Enrico Gasparotto (al centro) stava organizzando il ritorno a valle con l’elicottero. Era davvero tardi ormai sul Fedaia

Spazio alla Bahrain 

Sul Fedaia, sta per calare la sera. Mentre si dirige all’elicottero per tornare a valle con alcuni suoi ragazzi, rimasti a lungo al controllo antidoping, Gasparotto ci racconta della tattica della sua squadra.

Solo una settimana fa era “preoccupato” perché il gruppo aveva scoperto troppo presto quanto fossero forti. «Speravo di nasconderlo più a lungo», ci aveva detto. 

Oggi aveva mandato davanti Lennard Kamna (in testa sul Fedaia nella foto di apertura). Un punto di appoggio a prescindere, una pedina usata in modo chirurgico nel finale. Mentre tutti gli altri facevano quadrato intorno all’australiano, proteggendolo persino con un uomo alla sua ruota. E procedevano senza spendere un briciolo di energia in più del necessario dopo il super lavoro verso Castelmonte.

Kamna in fuga: Gasparotto lo aveva pensato proprio per ritrovarselo davanti (e fresco) nel finale del Fedaia
Kamna in fuga: Gasparotto lo aveva pensato proprio per ritrovarselo davanti (e fresco) nel finale del Fedaia
Enrico, complimenti prima di tutto. Andiamo al sodo. Kamna in quella posizione, in quel punto del Fedaia, era studiato?

Diciamo che “Lenna” aveva sofferto un po’ negli ultimi giorni, quindi il fatto di averlo davanti nella fuga ci avrebbe protetto nel finale. E in modo specifico in quella parte lì, quella finale del Fedaia, dove normalmente tutti sono da soli. Se fosse rimasto in gruppo non avrebbe tenuto sin lì.

Quindi era voluta?

Sì, l’avevamo studiata. Ed è venuta fuori bene, no?

Parecchio! Vi aspettavate questo crollo di Carapaz?

Tutti (corridori e tecnici, ndr) ci avevano detto che Jai era quello più forte in questi giorni. Lo vedevano in gruppo e lo vedevamo anche noi. Però, sapete, un conto è dirlo e un conto è farlo.

Però verso la Marmolada ti sei preso le tue responsabilità, hai concretizzato questa superiorità decantata…

Ovviamente una salita come la Marmolada non lascia spazio a dubbi, visto quanto è dura. Credo che Hindley se la meriti proprio questa maglia. Perché è sempre stato molto calmo per tutto il Giro, non solo in corsa. Ed è stato sempre regolare nelle prestazioni. Non è mai andato sopra le righe. Molto “balance” in tutto. E credo che questo lo premi. Che poi è il segreto per vincere le grandi corse a tappe.

Hanno detto che Jai era il più forte. E allora perché non ha affondato il colpo già due giorni fa verso Castelmonte? Volevate conservare tutte le energie per il Fedaia?

La tattica della tappa friulana è andata diversamente rispetto al piano che avevamo. Speravamo che la Bahrain Victorious ci desse una mano, perché è una settimana che ci dicono che ci vogliono provare. E quindi abbiamo detto: okay, siccome si arriva tra l’altro in zone dove loro hanno delle sedi e magari sono anche motivati, facciamo qualcosa. «Dateci una mano». Glielo avevamo chiesto. Ma poi si sono tirati indietro. Evidentemente per loro è più importante la classifica a squadre o lottare per un piazzamento. A quel punto abbiamo puntato ad oggi (ieri, ndr), e Jai ha dimostrato di essere il più forte.

Kamna era entrato nella fuga di giornata. Dopo aver collaborato nelle prime fasi per prendere il largo aveva corso al risparmio
Kamna era entrato nella fuga di giornata. Dopo aver collaborato nelle prime fasi per prendere il largo aveva corso al risparmio
Saresti stato contento di arrivare alla crono con 3” di ritardo, come recitava la classifica prima del via da Belluno?

Sì, assolutamente. E non avremmo mai pensato di arrivare a Verona con quasi un minuto e mezzo di vantaggio. Però, scherzando, qualche giorno fa ho detto: tranquilli ragazzi, tanto sulla Marmolada guadagniamo due minuti e siamo a posto! Non sono due, è 1’25”, ma va bene!

Enrico, già questo inverno ci avevi detto: “Ma quale meteora, Hindley è forte davvero”. Come hai fatto ad inquadrare questo ragazzo in così pochi mesi dal tuo arrivo in Bora-Hansgrohe? Cosa ti ha colpito?

Perché per fare dei risultati del genere non sei un corridore banale. Jai aveva già fatto secondo al Giro e non lo fai per caso. Ha avuto una regolarità incredibile non solo in questo Giro, ma in tutto l’inverno, tra gare e preparazione. Ha fatto anche quinto alla Tirreno e questo premia.

I ragazzi sono tutti “innamorati” di te e di come li fai correre all’attacco…

Ah, ah – ride Gasparotto – non lo so! Loro sono contenti e sono contento anche io.

Il ritorno di Hindley, capolavoro nel nome della rosa

28.05.2022
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Non aspettava altro. Jai Hindley è lo scalatore più forte del Giro, si vedeva nel suo andare agile di tutti i giorni e nel rispondere facilmente alle accelerazioni di Landa e Carapaz. Non aveva mai calato un dente, facendosi bastare l’agilità. Sul Blockhaus ha vinto allo sprint. E oggi, davanti a un arrivo in salita degno di questo nome, ha dato gas e Carapaz si è sgretolato. Decisivo è stato l’aiuto di Kamna, incontrato sulla salita finale. E quando a 3,5 chilometri dall’arrivo è iniziato il forcing della Bora-Hansgrohe, la corsa ha finalmente vibrato come tutti aspettavano da giorni.

«Finora avevamo corso in modo accorto – dice la nuova maglia rosa – risparmiando energie. Abbiamo cercato di cogliere ogni opportunità, ogni occasione. Ma sapevo che la vera occasione in cui combinare qualcosa fosse oggi. E quando ho visto che Carapaz iniziava a soffrire, ho preso motivazione e ho dato tutto».

Il forcing della Bora è iniziato a 3,5 chilometri dall’arrivo, ai meno 2,8 Hindley è rimasto da solo
Il forcing della Bora è iniziato a 3,5 chilometri dall’arrivo, ai meno 2,8 Hindley è rimasto da solo

Quasi lacrime

Sul palco era commosso. La mente è andata alla tappa di Sestriere, come oggi la penultima al Giro del 2020, quando vestì la maglia rosa senza sapere che l’avrebbe perduta l’indomani per mano di Tao Geoghegan Hart. Poi a tutto il brutto della passata stagione, in cui sognava di dare seguito al bello mostrato invece un infortunio al ginocchio gli hanno impedito di concludere il Tour of the Alps e lo stesso Giro d’Italia, concluso mestamente col ritiro il giorno dello Zoncolan.

«Provai a tornare per la Vuelta – dice – ma non ce l’ho fatta. Così con la squadra abbiamo deciso di resettare tutto e concentrarci sul 2022».

La fiducia di “Gaspa”

Il nuovo anno si è aperto con l’arrivo di Gasparotto sull’ammiraglia. E il friulano aveva visto subito che il giovane australiano fosse sulla strada del ritorno.

«Jai sta bene – ci disse mesi fa – è ad un buon punto con la condizione. La nostra idea è di mettergli attorno una squadra che possa aiutarlo a confermarsi. Chiaro che un giovane possa avere delle difficoltà, soprattutto se deve riconfermarsi subito. Ci mette del tempo a processare la sua dimensione. Questo tempo è passato e noi vogliamo portarlo al Giro nel massimo delle condizioni». Detto e subito fatto.

Capolavoro Kamna

Quando parla del suo tecnico, Hindley cambia espressione e si intuisce che la fiducia ricevuta gli ha permesso di ripartire come sognava già lo scorso anno.

«Gasparotto è stato un grande corridore – dice – e ha portato la sua esperienza in ammiraglia. Conosce le strade, conosce le corse, conosce gli uomini. Correre non è la stessa cosa di guidare una squadra, ma con lui ci troviamo alla perfezione. Il piano oggi era chiaro. E quando ho trovato Kamna davanti a me, non è servito dirgli niente. Lui mi ha guardato e poi ha fatto il suo gran lavoro. Ha spinto fortissimo, ha agevolato il mio attacco. Non conoscevo la Marmolada e non sono venuto a provarla. L’ho studiata sul libro di corsa, ma era tutta la tappa a essere pericolosa, piena di salite e alla fine della terza settimana ».

Sul podio della maglia rosa, Hindley è parso molto commosso
Sul podio della maglia rosa, Hindley è parso molto commosso

La maglia più bella

Carapaz si è accasciato sulla bici a 2,8 chilometri dall’arrivo e a quel punto lo sgambettare agile di Hindley si è trasformato nello spingere duro a caccia di secondi da mettere in cascina prima della crono di domani a Verona.

La maglia rosa ha perso tutto il suo stile. E anche se poi Carapaz ha trovato un passo regolare, si è capito che il pedalare dell’australiano fosse più efficace. Il bilancio sul traguardo è stato di 1’28” in suo favore. Probabilmente avrebbe superato Carapaz anche arrivando alla crono con i 3 secondi di ritardo che aveva stamattina, ma certo così le cose per Richard si fanno irrecuperabili.

«Questa è la maglia più bella del ciclismo – dice Hindley – è un onore indossarla di nuovo, per di più al termine di una tappa così impegnativa. Avevamo un programma sin dall’inizio del Giro e gli siamo rimasti fedeli per tutta la corsa. La squadra ha fatto tutto per me, i corridori e il personale. Domani non sarà facile, ma ce la metterò tutta perché stavolta voglio vincere il Giro».

Wiggins ha detto chiaramente che il Giro si è chiuso sul Fedaia, ma ha consigliato a Hindley di restare concentrato stasera
Wiggins ha detto chiaramente che il Giro si è chiuso sul Fedaia

Ritorno in elicottero

Qualche cenno della sua storia prima di andare via. Il pensiero che va a Umbertone che lo accolse da dilettante e che quassù nel 2019 vinse con il suo Einer Rubio la tappa di cui ha raccontato Covi dopo la vittoria. Poi vengono a chiamarlo. Lo portano al controllo medico e poi all’abbraccio del resto del team. E quando tutto è finito, il sole ha iniziato a scendere e i giornalisti sono corsi a scrivere, un elicottero si è abbassato sul Fedaia e li ha portati tutti in hotel, con le bici a bordo e la gran voglia di far festa.

«Stia attento a cosa farà stasera – ha commentato Bradley Wiggins ai microfoni di Eurosport – resista alla tentazione di festeggiare. Dubito che Carapaz possa riprendersi la maglia rosa, a meno di una caduta o di una foratura. Ma occorre restare concentrati. Per le feste avranno tempo domani sera».

Carapaz crolla. La brutta serata della Ineos sulle Dolomiti

28.05.2022
4 min
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«No palabras», nessuna parola. E’ tutto quello che ha detto Richard Carapaz al termine della tappa della Marmolada. Anche dopo essere tornato indietro al controllo antidoping, per la seconda volta scappa via scuotendo la testa e lasciando a bocca asciutta noi giornalisti, la nutrita stampa sudamericana e i tifosi.

Il corridore della Ineos-Grenadiers ha di fatto perso il Giro d’Italia, salvo qualcosa di particolare domani. L’obiettivo della stagione, quello per cui aveva lavorato tanto, è svanito. E in questi casi lo sconforto regna sovrano.

Sivakov accelera. Carapaz sembra stare bene… Paga, per ora, solo Landa
Sivakov accelera. Carapaz sembra stare bene… Paga, per ora, solo Landa

Dalle stelle…

Mancavano quattro chilometri all’arrivo e finalmente Carapaz con la squadra aveva preso in mano la situazione. Dopo l’estenuante stallo del blocco Bahrain-Victorious, sembrava che la maglia rosa volesse provarci dopo i segnali positivi di ieri a Castelmonte.

Sivakov accelera e spacca il gruppo. Restano Hindley e Carapaz stesso. Stavolta Landa non c’è. E’ duello. Si va in quota, Carapaz scatta e sembra fatta. Il re del Giro 2019 sembra proprio possa dominare.

Carapaz, signori, è salito in cattedra.

Hindley è andato. Carapaz lo vede scappare. Kamna invece potrebbe mollare, ma la sua presenza è per innervosirlo
Hindley è andato. Carapaz lo vede scappare. Kamna invece potrebbe mollare, ma la sua presenza è per innervosirlo

Alle stalle

Ma la sua lezione dura poco. Hindley non molla, anzi. Lo affianca pure. Lanciando un bel messaggio all’ecuadoriano. E strada facendo l’australiano ritrova anche Kamna. Il tedesco mena forte e all’improvviso Richard perde un metro. Poi due.

Le sue gambe diventano macigni. A quelle di Hindley invece spuntano le ali. E’ qui che si decide il Giro. 

Da dietro qualcuno recupera addirittura su Carapaz. Eppure Richard non sembra piantato. Merito del suo 39×34, rapporto corto che camuffa non poco. Le gambe girano anche, ma di strada se ne fa poca.

Sale sui pedali, ondeggia. Non è il massimo dell’estetica, ma lui non lo è mai. E poi non è certo questo il momento di badare allo stile.

I suoi compagni sono dietro. Hindley invece scappa a ruota di Kamna che per quei mille metri sembra il corridore più fresco del pianeta.

Venti secondi. Quaranta. La maglia rosa se la sente sempre meno sua. Anche se dovesse andare forte nella crono di domani. Crono per la quale i suoi tecnici erano al lavoro sin da stamattina. Puntavano su una bici super leggera, vista la salita delle Torricelle. 

Magari Richard la userà lo stesso. Ma con tutt’altro spirito.

Quello che poteva essere un “piccolo” problema, si trasforma in dramma nel chilometro finale. Kamna non c’è più, adesso è incollato a Carapaz. Hindley per la prima volta è veramente a tutta sui pedali. Sa che sta guadagnando e spinge al massimo. La sua crono è questa.

Carapaz adesso è in difficoltà. Neanche l’amica quota, i 2.000 metri del Fedaia, lo aiuta. Il distacco si dilata. Più di un corridore lo stacca. Anche Landa lo riprende e lo lascia lì. 

Solo 24 ore prima sembrava dovesse essere avviato verso il consolidamento della maglia rosa e invece…

Una brutta serata

Dopo l’arrivo i suoi massaggiatori lo vanno a prendere sin quasi sulla linea. Richard ha la bocca spalancata. 

Gli corriamo dietro, non parla. Si sente solo il rumore del suo fiatone. Scuote il capo. Bisbiglia qualcosa di impercettibile ai suoi. I massaggiatori gli indicano dove sono i bus. Gli danno una bottiglietta d’acqua e solo dopo che la pendenza degrada del tutto, e la strada inizia a costeggiare il Lago Fedaia, Carapaz comincia a pedalare e scappa via.

Nel clan Ineos-Grenadiers la sera, che doveva essere di festa, si trasforma in un incubo. Nessuno ha voglia di parlare. Gli altri ragazzi che sfilano verso i bus, hanno facce stanche e deluse. Anche loro oggi avevano cercato di scortarlo al meglio. Ma è andata così. Di certo, non hanno nulla da recriminarsi per come, anche tatticamente, hanno corso questo Giro. Sono “solo” mancate le gambe.

Un Covi enorme si prende il Fedaia e salva la UAE

28.05.2022
6 min
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«Forse è davvero il Karma – dice Covi sorridendo – nel 2019 quassù ebbi una bella delusione. Stavo lottando per il podio al Giro d’Italia U23 e non essendo uno scalatore, sarebbe stato un bel risultato. Invece dovetti arrendermi ai colombiani che quel giorno si presero tutto (Einer Rubio vinse la tappa, Mauricio Ardila il Giro, ndr). Oggi ancora qui sul Passo Fedaia ho provato la più grande gioia sportiva da quando corro».

Gran mal di gambe

Questo è un giorno che Alessandro non dimenticherà tanto facilmente. Nella tappa in cui Jai Hindley ha buttato giù Carapaz dalla testa della corsa, il piemontese (nato a Borgomanero, anche se vive a Taino, in provincia di Varese) del UAE Team Emirates è partito in fuga al terzo chilometro del Pordoi e ha realizzato un’impresa che in certi momenti è parsa disperata.

Lo ha fatto con la sfrontatezza che lo ha sempre accompagnato e negli ultimi mesi si sta trasformando in grande concretezza. Non ha perso una pedalata. A volte ha fatto fatica a trovare il rapporto e ce ne spiegherà il motivo. Ma soprattutto è riuscito a gestire la fatica e il mal di gambe senza dare troppo peso al ritorno di Novak, che per qualche chilometro è parso sul punto di riprenderlo.

Ai meno 3 dall’arrivo, il mal di gambe ha fatto temere a Covi che arrivassero i crampi
Ai meno 3 dall’arrivo, il mal di gambe ha fatto temere a Covi che arrivassero i crampi

«Era fondamentale essere in fuga – racconta – e già stamattina avevo pensato che se fossi riuscito a prenderla, non avrei potuto aspettare l’ultima salita. Era importante scollinare per primo dal Pordoi, fosse stato anche con 10 secondi. Poi mi sarei buttato in discesa e sarei arrivato ai piedi del Fedaia con un po’ di vantaggio. Mi sarebbe bastato un minuto, ci sono arrivato con 2’30” e un gran mal di gambe».

Sul limite dei crampi

Il Fedaia picchia sodo. Il giorno è fresco, la gente è assiepata e arroccata su un’allegria da Giro d’Italia che sa di ritorno alla normalità. Grigliata e birre, tante bici. Il popolo del ciclismo è una tribù variopinta e fantastica.

Covi ha fatto la discesa dipingendo curve con tratti d’autore. Ha mangiato. Ha mandato giù borracce. Ma quando la pendenza ha iniziato a incattivirsi, il vantaggio ha iniziato a scendere e da dietro è partito Novak come una contraddizione. Se hai Landa che lotta per la generale, perché non lo aspetti come ha fatto Kamna per Hindley?

Il gruppo giù dal Pordoi, tirato blandamente dal Team Bahrain: come hanno corso?
Il gruppo giù dal Pordoi, tirato blandamente dal Team Bahrain: come hanno corso?

«Come l’ho gestita mentalmente? Pensavo solo al mal di gambe – dice Covi – e a dare quel che mi rimaneva e che potevo fino alla riga. Ero sul limite dei crampi. Quelli erano l’unica cosa che non doveva venire. Per questo cercavo di cambiare il rapporto per tenere il ritmo e anche se sembravo andare a vuoto, credo di essere riuscito a tenere un bel ritmo. Se fosse arrivato Novak, avrei preso fiato e l’avrei battuto allo sprint. Oggi volevo vincere».

Almeno 10 Giri davanti

E così vendetta è fatta. Avevamo parlato con Covi, Formolo e Ulissi per sapere come avrebbero reagito all’uscita di scena di Almeida, fermato dal Covid. Avevano promesso che sarebbero andati in fuga e oggi nell’azione che ha deciso la tappa c’era anche il Formolo sornione, che finché ha avuto forza, gli ha guardato le spalle.

«L’uscita di scena di Almeida – ripete – è stato un colpo durissimo. Spesso guardiamo solo alla corsa, ma il rapporto fra compagni si costruisce prima e la corsa è la parte minore. Con Almeida ho fatto un training camp in cui progettavamo di vincere il Giro oppure andare sul podio. Nei giorni in cui c’è stato, ognuno di noi ha lavorato per lui in base alle sue caratteristiche. Io non avrei mai potuto scortarlo in salita, ma lui ogni sera ci ringraziava. Quando è andato via gli ho detto: “Siamo giovani, abbiamo davanti almeno altri 10 Giri d’Italia. Ti tocca ancora tanta fatica!”. Il ciclismo sta cambiando pelle. Sono stato contento di vedere Hindley in maglia rosa, perché è un bravo ragazzo e in gruppo si comporta sempre bene».

Cappellino e ciuffo, Alessandro Covi ha portato allegria sul Giro
Cappellino e ciuffo, Alessandro Covi ha portato allegria sul Giro

Sfrontato come Pierino

Il sorriso ce l’ha stampato sul volto e col ciuffo che fuoriesce dal cappellino, ha l’espressione di un Pierino al settimo cielo, che oggi ha centrato il sogno di sempre.

Sulla salita che rese grande Pantani consegnandolo alla storia del Giro d’Italia, Alessandro Covi si è ripreso con gli interessi quel che due anni fa gli tolsero i colombiani. Nella UAE di Pogacar e delle altre star, stravedono per lui e lui oggi ha salvato il bilancio del Giro dello squadrone che non aveva ancora stretto nulla fra le mani.

I suoi 23 anni sono un ottimo biglietto da visita. Non è scalatore, ma va forte in salita: l’anno scorso è stato terzo sullo Zoncolan e oggi ha domato il Fedaia. Vince quando ci sono gli strappi. Non cerchiamo eredi di chi non c’è più o il pelo nell’uovo. Teniamoci stretti la sua leggerezza e speriamo che torni a brillare presto. Intanto godiamoci la sua vittoria come le tre degli altri italiani che finora hanno firmato tappe in questo Giro d’Italia.

Blockhaus, Santa Cristina e Fedaia: quale farà più male?

21.11.2021
5 min
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Il prossimo Giro d’Italia si annuncia a dir poco tosto. Propone tante salite, ma tre sembrano essere più dure delle altre. Non solo, ma si annunciano anche decisive visto che sono all’arrivo. Di quali scalate parliamo? Blockhaus, Santa Cristina e Fedaia (in apertura il tratto spettacolare nei Serrai di Sottoguda).

Per analizzare meglio questi tre “giganti” ci siamo rivolti a Gilberto Simoni che queste salite le conosce bene. Nella sua carriera le ha affrontate in corsa sin da dilettante, come il Blockhaus. Gibo di scalate se ne intende visto che ci ha costruito i suoi successi più prestigiosi.

Simoni al termine della Chieti-Blockhaus al Giro 2009
Simoni al termine della Chieti-Blockhaus al Giro 2009

Numeri simili, durezze differenti

Si tratta di tre salite lunghe e, almeno numericamente, somiglianti. Il Blockhaus misura: 13,6 chilometri, 1.141 metri di dislivello e ha una pendenza media dell’8,4 %. Il Santa Cristina: 13,5 chilometri, 1.078 metri di dislivello e una pendenza media dell’8%. Infine il Passo Fedaia conta: 14 chilometri, 1.062 metri di dislivello e una pendenza media del 7,6%.

Ma in salita i numeri contano fino a un certo punto. Porzioni, segmenti, tipologia dei tornanti (se spianano o tirano), meteo… Ogni scalata ha la sua storia e il suo DNA.

Il Blockhaus si scalerà nel corso della 9ª tappa (187 chilometri) con partenza da Chieti
Il Blockhaus si scalerà nel corso della 9ª tappa (187 chilometri) con partenza da Chieti

La lunghezza del Blockhaus

«Il Blockhaus  – ricorda Simoni – lo feci la prima volta da dilettante. Arrivai secondo. Mi sembra salissimo dal versante di Passo Lanciano. Ero con il mio compagno Amilcare Tronca che morì poi per un incidente stradale. Io ero in maglia di campione italiano e la squadra voleva che vincessi. Quasi litigammo affinché si prendesse quella tappa. Lui voleva essere fedele agli ordini di squadra. Ma io avevo già vinto 16 corse e gli dissi di stare tranquillo. Tante volte mi aveva aiutato ed era giusto che vincesse lui».

«Per il resto – aggiunge Gilberto – si tratta di una salita molto lunga. E’ la prima vera scalata del Giro. Anche l’Etna non è cosa da poco, ma lì si può stare bene anche a ruota. Chi attacca sul vulcano rischia di fare la fine del topo con quella pendenza e la strada larga. Sul Blockhaus invece non è così.

«Queste salite appenniniche di inizio Giro recano sempre un po’ d’incertezza. Fanno paura, non si sa mai come sono i valori in campo. In ogni caso questa salita sarà un bello spartiacque e metterà subito in evidenza i veri protagonisti del Giro. Il dislivello è importante».

Il Santa Cristina non è sede di arrivo ma è vicinissima al traguardo dell’Aprica
Il Santa Cristina non è sede di arrivo ma è vicinissima al traguardo dell’Aprica

Gli strappi del Santa Cristina

Gibo ha sottolineato il dislivello e la lunghezza del monte abruzzese e infatti parliamo di scalate che durano oltre 40 minuti che, come detto, sono molto simili. Ipotizzando una VAM (velocità ascensionale media) di 1.500 metri all’ora, queste tre salite durano rispettivamente: 45′, 43′ e 42′. Chiaramente questo “su carta”, poi s’innescano discorsi tattici, la fatica che si accumula in una corsa a tappe, il meteo. L’anno scorso per esempio Yates toccò una VAM di 1.700 quando vinse a Sega di Ala.

«Il Santa Cristina – riprende Simoni – di solito lo si faceva dopo aver scalato il Mortirolo e scendendo dall’Aprica, stavolta invece si attacca dal basso. Quindi per la prima parte la strada è quella che porta all’Aprica, appunto, ma dal versante valtellinese. Poi dal bivio, a circa metà salita, cambia tutto. La strada diventa stretta, ci sono dei tornanti. Ricordo che ci sono delle rampe con strappi duri.

«Una scalata del genere non la puoi subire. Devi attaccare, devi stare davanti, altrimenti se ti difendi con tutti quei cambi di ritmo rischi di fare molta fatica ad inseguire».

Il Passo Fedaia è l’ultima grande scalata del Giro. I 5 chilometri finali sono durissimi
Il Passo Fedaia è l’ultima grande scalata del Giro. I 5 chilometri finali sono durissimi

La durezza del Fedaia

Gibo esalta subito la durezza della Marmolada. Per lui questa è la più dura delle tre, anche se, numeri alla mano, sembra la più “gentile”, ma è per questo che ascoltiamo il parere dei corridori!

E poi conta il profilo. E allora nel caso del Fedaia se si considera che nei tratti iniziali spesso la strada spiana, quel 7,6 per cento di pendenza media è ingannevole. Esattamente come diceva ieri Fabbro del Kolovrat: «E’ 9 per cento, ma nel mezzo spiana e c’è discesa». 

«Queste salite troppo dure – conclude Simoni – a volte bloccano la corsa. Un po’ come si è visto su Mortirolo o Zoncolan. Se attacchi, rischi di pagare. E allora per me non devi guardare nessuno. Devi prendere e salire al meglio che puoi: né attaccare, né difenderti. Se attacchi magari guadagni 10”. Però è anche vero che siamo nel finale del Giro e bisognerà vedere quali saranno i giochi in ballo.

«Per me non cambierà troppo le sorti del Giro. Tante volte la tattica conta poco in questi casi. Sai che arrivi lì e ti giochi tutto, semmai conta maggiormente in tappe più facili».

Fedaia: i 5 chilometri finali sono durissimi. In fondo l’uscita dai “drittoni” in corrispondenza di Capanna Bill
Fedaia: i 5 chilometri finali sono durissimi. In fondo l’uscita dai “drittoni” in corrispondenza di Capanna Bill

Quei 24′ sul Fedaia

E probabilmente alla fine Gibo ha ragione quando dice che la mitica Marmolada, il Passo Fedaia, è il più duro. E anche i numeri sono dalla sua parte. No, non ci stiamo contraddicendo!

Consideriamo anche la quota. E’ l’unica di queste tre salite che supera i 2.000 metri, è l’ultima del Giro e poi il troncone duro è il più impegnativo. Perché alla fine, proprio per ovviare al dato della pendenza media, bisogna sezionare il tratto più tosto.

Il Blockhaus è il più regolare: tolto l’inizio è tutto impegnativo. Per 10 chilometri si sale attorno al 10 per cento e con una punta del 14 per cento.

Al contrario il Santa Cristina è il meno costante. Il suo troncone duro misura 6,6 chilometri nei quali la pendenza media è del 10,1 per cento con una punta del 16 (anche se l’altimetria ufficiale recita 13).

Infine il tratto duro del Fedaia è il più breve: “appena” 5,35 chilometri, da Malga Ciapela (uscita dei Serrai di Sottoguda) al valico, ma con una pendenza media dell’11,2 per cento e una punta del 18. 

Se dovessimo tornare a quei famosi dati VAM ipotizzati, i tre segmenti durerebbero rispettivamente: 36′, 27′ e 24′. E fare 5 chilometri in 24′ la dice lunga…